FRANCO PASTORE
A. I. T. W. EDIZIONI Collana Storia
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DI FRANCO PASTORE
Praesentatio Alberto Mirabella, saggista Postfatio On. Michele Rallo, storico
Š luglio 2014 by Franco Pastore Una realizzazione A. I. T. W.
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Тὸν βίον τοῦ χρόνου Sotto la nube del tempo, mi nutro storia, non sempre la nostra. E ‘come sentire, nel respiro dell’universo, il profumo antico del passato. Franco Pastore
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PRAESENTATIO di Alberto Mirabella1 Siamo di fronte ad un libro quanto mai da sottoporre - del lettore, direttamente interessato alle vicende storiche di un passato che sembra lontano, ma che continua a vivere tutt'ora. Infatti con Benedetto Croce possiamo affermare che se vogliano capire il presente occorre studiare il passato. Il vero punto di forza è senza dubbio la ricostruzione storica del periodo che risulta molto curata fin nei minimi dettagli: i personaggi, sono descritti in modo davvero preciso soprattutto quando l'Autore punta su momenti tragici come il ripudio di Ermengarda da parte di Carlo Magno. Lo stile scrittorio è coinvolgente e consente al lettore di penetrare in quel tipo di vicende storiche dove prevale la forza, la supremazia, i tradimenti, la ferocia verso il nemico e pare proprio che egli ci faccia sentire/gustare «nel respiro dell'universo / il profumo antico del passato». Un passato storico che dovrebbe essere magister vitae e che invece l'uomo in tutto il suo arco esistenziale ha sempre dimenticato finendo per essere «sempre quello della pietra e della fionda» (Quasimodo) e che pose a Tibullo l'atroce interrogativo: «Quis fuit horrendos qui primus protulit enses?/ Quam ferus et vere ferreus ille fuit!./ Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,/ Tum brevior dirae mortis aperta via est »2 . Questa storia dei Longobardi di Franco Pastore potrebbe apparire al lettore frettoloso superflua, dopo le tante pubblicazioni che negli anni si sono avute su questo tema. Ma se si leggono con la dovuta attenzione le vicende qui descritte, ci si accorge subito come siamo di fronte a un nuovo modus narrandi in cui l'Autore fa trasparire con sgomento quella deleteria bellicosità tipica dei Longobardi. Chi come me vive a Salerno da circa mezzo secolo, a volte non si è chiesto il significato della toponomastica storica come quella della Carnale (carnaio), che ricorda con raccapriccio la battaglia contro ben ________________ 1) prof. dr. Alberto Mirabella, saggista 2)Trad. it.. "Chi fu colui, che per primo inventò le terribili armi? Quanto malvagio e feroce quello fu! Allora nacquero le stragi a danno del genere umano, allora sorsero le guerre, allora venne aperta una via più breve alla terribile morte".
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30.000 saraceni dell'anno 872. Costoro furono massacrati e si ebbe quindi una "carneficina" e da qui il nome la Carnale. I soldati, come riporta il Pastore, intonarono un inno che diventerà segno di vittoria per le future generazioni: "La torre è una carnaia Piena di corpi e tante scimitarre mentre il nemico, in fuga, sopra le navi vaga per il mare. Salerno più tranquilla va a dormire, ora ch'il giorno muore e vien la sera; questo tormento dovea pur finire, pace pei figli ogni donna spera. Torre Carnaia, custode della storia, ora sei lorda di sangue saraceno, non vergognarti, ascrivi questo a gloria ne parleranno dal Sele fino al Reno". In questi versi è reso a mo' di rappresentazione pittorica la tragica realtà di una battaglia atroce sino all'ultimo sangue. Pastore, cosa difficile per chi narra vicende storiche, riesce a conservare una valida oggettività, senza affatto enfatizzare quell'infinita successione di guerre crudeli, che ci lasciano talora sgomenti per la loro efferatezza. Egli arricchisce la narrazione inserendo spesso delle chiarificazioni terminologiche, che consentono al lettore di capire ad esempio cos'era la curtis longobarda nel Mezzogiorno d'Italia, su cui ha debitamente scritto Alessandro Di Muro3. E ancora abbiamo il nomignolo attribuito ai Longobardi Winnili ovvero cani vittoriosi e come questo termine longobardo diventi poi sinonimo di guerriero arimanno. _________________________ 3) Cfr. A. Di Muro, Curtis, territorio ed economia nel Mezzogiorno meridionale longobardo (secc. VIII-IX), in: "Quaderni Friulani di Archeologia," XVIII, 2008, pp. 111-138. Fu Mario Del Treppo a definire nel 1955, per la prima volta in maniera do-cumentata i termini della questione relativa alle curtes nel Mezzogiorno longobardo. Secondo lo storico la curtis meridionale conservò aspetti arcaici, non confrontabili con le coeve aziende curtensi bipartite del Regno italico: prova di questo sarebbe la precoce, a suo dire, dissoluzione dell'unità aziendale documentata dalla separazione del domi-nicum dal massaricium. A riprova di ciò l'autore sottolineava l'assenza di polittici nella langobardia meridionale, strumento "quasi connaturato alla forma dell'organizza-zione curtense".
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I longobardi in tutta la loro vicenda storica ci appaiono disposti a qualsiasi cambiamento sia a carattere religioso che di alleanze strategiche pur di raggiungere le conquiste territoriali. In breve tempo, durante la loro discesa dalla Scandinavia, i Winnili passano dal culto dei Vani diventando adoratori del dio degli eserciti e della guerra Wotan, cambiamento che si rifletterà anche sul cambiamento del loro nome, che appunto diventarà Longobardi. Quello dei Longobardi è un popolo inquieto, cambiano costantemente le loro tradizioni, lasciandosi influenzare dai popoli con cui vengono a contatto e si trasformano così da contadini a feroci combattenti. Ed è proprio questa crudeltà bellica che Franco Pastore fa ben emergere nella sua narrazione. Nel loro furioso avanzare cancellano interi popoli e pervengono al loro massimo fulgore nell'VIII secolo ed Arechi II trasferisce la corte a Salerno, come testimoniato nel Chronicon Salernitanum. I grandi personaggi del periodo longobardo sono stati tutti inseriti nel loro ruolo come Liutprando, che nel 712 succede al trono longobardo, in un momento storico importante: proprio quando i musulmani cominciavano in modo preoccupante la loro espansione nel mondo mediterraneo. E ancora non potevano passare sotto silenzio Adelperga figlia di Desiderio, re dei Longobardi, e della regina Ansa che fu in stretto contatto con Paolo Diacono, che ne curò l'educazione, poi Sichelgaita (1036 – 16 aprile 1090) seconda moglie di Roberto il Guiscardo (ovvero l'astuto). Una precisa descrizione del Roberto il Guiscardo ce la offre Anna Comnena, come riporta l'Autore che, però dubita sulla reale sua verità in quanto vigeva quasi la prassi di esaltare le virtù dei nemici: «Codesto Roberto era discendente dei Normanni, di stirpe minore, di temperamento tirannico,astuto di pensiero e coraggioso nell'azione.. [...] Era di statura notevole tale da superare anche i più alti fra gli individui. [..] Si racconta che il grido di quest'uomo aves-se messo in fuga intere moltitudini». Al quesito su cosa dov'essere fondata la grandezza di Ro-berto il Guiscardo Pastore, con grande oggettività e senza mezzi termini asserisce che: il tutto fu dovuto anche al rapporto che seppe intessere con il Papato. Il vero statista in sostanza fu invece Ruggero II che si
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scontrò con il potere papale e financo con le repubbliche marinare di Genova, Pisa e Venezia. In definitiva in questa narrazione viene fuori un tipo di Historia-storia viva, mai del tutto sopita perché sempre rivissuta attraverso l'interesse e la coscienza critica dello storico.Infine il racconto storico sui Longobardi è arricchito da una scelta ed ordinata documentazione grafica inerente i principali personaggi. Il capitolo sulla Scuola Medica Salernitana ed il Regimen sanitatis Salerni ci mostrano come Franco Pastore abbia avuto la capacità, con un forte potere di sintesi, di saper evidenziare le origini, lo sviluppo, l'importanza, i suoi esponenti principali, che goderono di grande fama nel Medioevo. Per lui questa scuola medica in quanto alle sue origini va fatta risalire in quella scuola filosofica e politica fondata nel VI secolo a.C. a Crotone dal filosofo greco Pitagora. Grande ruolo ebbero in questa scuola le donne e le figure di spicco sono Alfano (1058-1085), Costantino l'Africano (m. 1087) , Trotula de Ruggiero ostetrica e levatrice e altre donne quali: Abella, Costanza Calenda, Rebecca Guarna, Mercuriade. La medicina attingeva anche al genere di piante officinalis. Altre figure di spicco furono Giovanni da Procida, Bartolomeo de Vallona, e Filippo Fundacario. Sichelgaita fece molto per la scuola medica salernitana e lei stessa si dedicò allo studio della medicina e dell'erboristeria.La scuola medica si distinse subito per lo studio del sintomo, dell'urologia e dell'anatomia. Matteo Plateario ci fornisce un vasto elenco di piante risalenti alla tradizione fitologica greco-romana. Per quanto attiene la figura di Costantino l'Africano egli sarebbe diventato monaco presso l'Abbazia di Montecassino, dove avrebbe tradotto molti libri dal greco in latino e inerenti la medicina tra cui il Liber de stomacho e permise di conoscere a Salerno opere di medicina del mondo arabo. É stato Pietro Diacono che ci ha tramandato l'elenco delle opere di Costantino l'Africano fra cui la Dieta ciborum e il Liber febrium, de urinis, de coitu, de simplice medicina, de gynecia, glossae herbarum e così via. Fu Federico II di Svevia che nel 1231, con un atto ufficiale, riconobbe i grandi meriti di questa scuola e finì per stabilire i criteri
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per il reclutamento dei professori di medicina. Infatti l'art. III, 47: «che nessuno nel Regno possa insegnare medicina e chirurgia se non in Salerno e che non assuma il titolo di maestro se non sarà esaminato prima con diligenza alla presenza del Nostri ufficiali e dei maestri della stessa disciplina». Per cui ogni attività didattica poteva essere effettuata esclusivamente a Salerno che godeva di grande stima in questo ambito terapeutico. Non si può far passare sotto silenzio anche la figura di Pietro Barliario talora ritenuto una sorta di mago e non si può accertare se egli svolse o meno la funzione di medico. La sua storia è frammista di episodi leggendari come quando si narra che trascorse tre notti e tre giorni nella chiesa del monastero di san Benedetto dove Gesè Crocifisso piegò la testa. Questo episodio ha lasciato tracce nelle tradizioni popolari di Salerno ed il Cristo in questione è conservato nel Museo della Cattedrale di Salerno. La fiera del Crocifisso prende proprio l'incipit da questo evento miracoloso. In merito così sottolinea il Pastore. «La preziosa croce dipinta all'origine leggendaria di questa antichissima fiera, è ascrivibile al XIII secolo e, pur notevolmente danneggiata da un incendio, soprattutto nei pannelli laterali della Madonna e di S. Giovanni, lascia ben individuare i collegamenti alla tradizione orientale bizantina del Cristo vivo sulla croce». Ed è proprio quella Croce salvifica che vediamo ascoltando questa allocuzione il Venerdì Santo al termine della Via Crucis: «Ecce lignum crucis in quo salus mundi pependit» . Un'accurata bibliografia arricchisce questa pubblicazione, che riporta sia i testi canonici storici che quelli recenti sui Longobardi e sulla Scuola Medica Salernitana. Tutta la narrazione sia sui Longobardi che sulla Scuola Medica Salernitana fanno trasparire competenza e professionalità, due peculiarità che Franco Pastore ha sempre posseduto sia in ambito storico, ma anche in quello narrativo, poetico, drammaturgico e con qualità inusitate anche quando si cimenta in vernacolo, riuscendo a tradurre le favole esopiche e poi di Fedro, dando ad esse quella verve che una versione poetica pastoriana poteva dare! Alberto Mirabella, saggista
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ARGUMENTA Salerno restò bizantina fino al VI secolo. Nel 646 d.C., dopo una lunga lotta tra Bizantini e Longobardi, la città cadde in mano a questi ultimi e divenne parte del Ducato di Benevento, anche se testimonianze di presenze longobarde già a partire dal VI secolo sono accertate dal ritrovamento di una tomba, nel Complesso archeologico di San Pietro a Corte, di una bambina di nome Teodonanda, morta il 27 settembre 566. Con l'avvento della dominazione longobarda la città conobbe il periodo più ricco della sua storia, durato più di cinque secoli. Nel 774, il principe di Benevento Arechi II trasferì la sua corte a Salerno. La città acquistò importanza e furono edificate numerose opere, ed una sontuosa reggia, della quale rimangono tracce sparse nel centro storico, edificio a cui si affiancava la Cappella Palatina (Chiesa di San Pietro a Corte). Nell'839 il principato di Salerno divenne indipendente da Benevento, acquisendo i territori del Principato di Capua, la Calabria settentrionale e la Puglia fino a Taranto. Il principe Guaimario IV, nella prima metà dell'anno 1000, annesse anche Amalfi, Sorrento, Gaeta ed il Ducato di Puglia e Calabria, cominciando in tal modo ad ipotizzare un regno che comprendesse tutta l'Italia meridionale. Opulenta Salernum fu la dizione coniata sulle monete, battute dalla città per i suoi traffici, nel X e XI secolo, a testimonianza del momento di splendore. Il principato tuttavia era scosso dalle continue incursioni dei Saraceni e dalle lotte interne per il potere. In uno di questi complotti, nel 1052, Guaimario venne assassinato. Gli successe il figlio, Gisulfo II, ma il dominio Longobardo nel meridione si avviava al declino. Intorno al 1000, nell’Italia meridionale, comparvero i Normanni, assoldati nelle contese locali dal potente di turno.Tra questi, si distinse Roberto il Guiscardo della famiglia degli Altavilla, il quale sposò Sichelgaita la principessa di Salerno, figlia di Guaimario IV. La città più vitale che mai, ebbe una nuova reggia, Castel Terracena, ed il duomo in stile arabo-normanno.
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PRAEFATIO Dalla caduta dell’impero romano d’occidente Sin dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente e della decadenza che ne seguì, in occidente, il cristianesimo si interessa alla salute morale me anche alla salute fisica della popolazione. Durante l’epoca merioingia (481-751), in prossimità del vescovado, è presente la casa dei poveri. Più tardi, durante l’epoca carolingia (751-987), canonici e monaci si sostituiscono al vescovo. In ogni monastero, il frate cappellano è incaricato dell’accoglienza dei poveri e dei pellegrini che sono ospitati in un locale vicino alla porta della casa, l’hospitalia (nel senso etimologico del termine la camera per gli ospiti). La presenza, tra gli assistiti, di infermi e di malati ispira presso i monaci che li accolgono nelle infermerie o in ospedali, delle preoccupazioni di ordine medico. I religiosi, fondando i primi ospedali, curando i poveri con la carità hanno seguito le parole del Cristo di cui San Matteo si farà eco: «Guarite i malati, resuscitate i morti, purificate i lebbrosi». Sotto l’impulso di certi abati, i monasteri servono da luogo di asilo all’arte di guarire che i monaci eserciteranno dal V al XII secolo in concorrenza con i laici prima di vedersi interdire l’esercizio della medicina dai superiori dei conventi. Durante il V secolo, San Patrizio in Irlanda, nel VI secolo, San Colombano a Luxeuil verso il 590 ed a Bobbio, vicino a Pavia, nel 612, fondano dei conventi. Cassiodoro, uomo di scienza benedettino, che redige nel 544 le Institutiones divinarum et humanorum, in cui raccomanda ai monaci: «Imparate… le proprietà dei semplici e dei rimedi composti…», è il primo a sollecitare i monaci a curare il loro prossimo. Questi con-venti raggiungeranno il loro apogeo durante il regno di Carlo magno. Nel monastero, dei monaci, medici e infermieri si occupano dell’infermeria; gli apotecari, della riserva delle droghe. Qualche volta, il monastero, possedendo delle reliquie attira gli ammalati. Tra i più famosi, Saint-Martin de Tours, Sainte-Radegonde vicino Rodez, Conques. Alcuni monaci medici sono diventati famosi come Ugo, abate di Sainte-Denis. Di fronte all’espansione demografica, alle fusioni di popolaz13
zioni, pelegrinaggi, crociate, epidemie, gli ospedali creati dall’Episcopado così come gli Ordini Ospitalieri si moltiplicano per l’accoglimento e la cura dei malati. I mezzi sono modesti ma al Carità e la fede fanno il resto. Secondo la teoria umorale ereditata dall’Antichità, l’urina è il riflesso dell’equilibrio o dello squilibrio dei quattro umori dell’organismo. Così per emettere una diagnosi, il medico osserva le urine del paziente in un vaso chiamato matula, Si tratta dell’uroscopia. Il trattamento del malato è allo stesso tempo spirituale e materiale. Dopo la confessione e la comunione, quest’ultimo, l’anima purificata, il suo corpo lavato, può ricevere le cure. L’alimentazione ne fa parte integrante. Segue ogni settimana un calendario con dei «digiuni» che non significano soppressione del nutrimento ma variazione dell’alimentazione. Tali regole unite all’affidarsi a Dio miglioravano lo stato degli ammalati meno gravi. Nei casi più seri, rimedi ed operazioni chirurgiche sono necessari, i rimedi sono forniti dalla natura. Durante il III secolo, in Asia Minore, Cosma e Damiano, due fratelli animati dalla carità, dopo i loro studi a Pergamo, esercitano la medicina senza retribuzione e guariscono numerosi malati. Subiscono il martirio sotto Diocleziano, verso l’anno 287. Dopo la loro morte, diventano i patroni dei medici e degli apotecari. Gli attributi dei due santi sono molto spesso l’urinale per san Cosma, patrono dei medici ed il vaso degli unguenti per San Damaino, patrono degli apotecari. La stirpe germanica dei Longobardi non è più remota dei suo stanziamento in area tedesca. Per altro, lo stesso mito chiama gli antenati scandinavi dei Longobardi Winnili «cani vittoriosi», il che lascia supporre che, dal punto di vista etnico- culturale, fossero diversi dai Longobardi posteriori. La metamorfosi che portò i Winnili a divenire Longobardi (i «lungabarba») si collega all’adozione del culto del dio dalla lunga barba, il “magico-guerriero di Wotan”, e a un’accentuazione della bellicosità della stirpe. Nelle fonti, i Longobardi ricompaiono durante la guerra dei Romani contro i Marcomanni quando, alleati di questi ultimi, tenta-
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Cosma e Damiano (1)
_________________ Cosma e Damiano, dalla città natale, per ragioni di studio, furono inviati in Siria, dove appresero le scienze, specializzandosi nella medicina. Esercitarono con valentia questa professione a Egea e poi a Ciro, città dell'Asia Minore. Le "fonti" sottolineano la scrupolosa preparazione professionale dei SS. Cosma e Damiano. Alcuni testi parlano di un farmaco di loro invenzione chiamato "Epopira". Si distinsero per la solerte e benefica operosità verso i malati, prediligendo i più poveri e gli abbandonati. La tradizione riferisce anche che curavano i malati senza mai chiedere retribuzione. Ciò valse loro l'appellativo di "Santi Anargiri", con cui sono passati alla storia. La loro fama di insigni benefattori, si sparse rapidamente in tutta la regione. L'attività di questi Santi non si ridusse alla sola cura dei corpi. Essi vissero in tempi difficilissimi per la fede cristiana. Dichiararsi cristiano per chi ricopriva un ruolo pubblico importante comportava rischi di carriere, proscrizione e di condanna a morte. In siffatto clima sociale, religioso e politico vissero questi due santi, che il loro principale biografo definì "illustri atleti di Cristo e generosissimi Martiri".La Chiesa li ha designati Patroni dei medici, dei chirurghi, dei farmacisti, degli ospedali.
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rono una prima penetrazione verso il Danubio. Sconfitti, rimasero per altri due secoli sulla Bassa Elba. Nel 488, giunsero nel Bassa Austria, guidati dal re Vacone. Nel 527, passarono il Danubio e penetrano in Ungheria; all’epoca il loro regno comprendeva anche la Boemia. Nel 547, si spinsero nella Pannonia meridionale e nel Norico mediterraneo, regioni chiave per il collegamento tra l’Italia ed i Balcani. La loro nuova qualità di federati li trascinò nella grande politica mediterranea di Bisanzio; infatti, prima si scontrarono con i Gepidi, poi, furono coinvolti nella guerra greco-gotica, come alleati dei Bizantini. L’ostilità contro i Gepidi vide, in seguito, i Longobardi vittoriosi, grazie anche ad una azzardata alleanza con gli Avari, che divennero la forza dominante in area balcanica. Per lasciare loro spazio, i Longobardi furono costretti a dirigersi più a ovest e, nel 569, penetrarono in Italia, sotto la guida del re Alboino; al momento dell’invasione, mantennero quasi intatta la loro antica cultura tribale, l’unico elemento di chiara influenza romana fu la loro conversione al cristianesimo ariano. L’occupazione dell’Italia da parte dei Longobardi non fu rapida né totale; Alboino occupò parte del Veneto e puntò su Milano e Pavia;il fatto militarmente più rilevante fu il lunghissimo assedio di Pavia, l’antica capitale del regno gotico, che si arrese dopo tre anni. L’assassinio di Alboino, poco dopo la presa di Pavia e per manovre bizantine, gettò, nel 572 i Longobardi nel caos, bloccando lo sviluppo razionale di piani di conquista. Nel 584, di fronte alla minaccia di un’invasione franca i Longobardi si sottomisero al re Autari, ma il caos politico cominciò a diradarsi solo con il suo successore, Agilulfo (590-616). In questo periodo fu stipulata una prima pace con l’impero, che riconobbe il regno longobardo nella sua configurazione territoriale: esso comprendeva l’Italia del nord (eccetto la fascia costiera veneta e la Liguria), la Tuscia, il cuore dell’Umbria e delle Marche e vaste regioni del sud. Già in quest’epoca, l’autorità del re longobardo era debole a sud, i duchi di Spoleto e di Benevento rappresentavano dei poteri quasi autonomi. Nel resto del regno i duchi, stretti collaboratori del re, erano posti a capo di civitates, città con il loro territorio. In tale
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contesto emerge la figura del gastaldo, in origine semplice amministratore dei beni fondiari (le curtes) del re; dal 7° sec. gli furono affidate anche intere civitates da governare al posto del duca.Il re risiedeva a Pavia, dove aveva un palarium, sede della corte e di una rudimentale aministrazione centrale, il cui fondamento economico era rappresentato dalla vastissima rete di curtes di proprietà regia. Sotto Agilulfo e sua moglie Teodolinda,aumentò la collaborazione con i esidui elementi colti della popolazione romana e si stabilì un rapporto di parziale convivenza con il papato, allora rappresentato da Gregorio Magno.1 Nella seconda metà del 7° sec. la dinastia dei re bavaresi, discendenti da Teodolinda e da suo fratello Gundoaldo, si distinse per una lenta ma sempre più netta apertura verso il cristianesimo, nella sua forma romana: nel 653 il re Ariperto I abbandonò l’arianesimo e, nel 698, con il sinodo di Pavia cadde l’ultima barriera, dello scisma dei Tre Capitoli, nei confronti della popolazione romanica d’Italia. Nell’VII sec., abbandonata la loro lingua per adottare il latino, i Longobardi, cattolici, si fusero con la popolazione locale. Nel contempo, il termine «longobardo», sinonimo di guerriero arimanno , viene impiegato per indicare l’uomo libero, che porta le armi nel quadro dell’esercito longobardo. Il momento di massima potenza politica del regno si ebbe con Liutprando (712-44) che, sfruttando i gravi contrasti che indebolivano l’Italia bizantina, lacerata dalla controversia dell’iconoclastia, riuscì a estendere i possessi longobardi in Emilia, a prendere per breve tempo Ravenna, ad arrivare fino alle porte di Roma e sottomettendo i ducati di Spoleto e Benevento. Quando, sotto Astolfo, nel 750, la stessa Ravenna cadde in mano longobarda, papa Stefano II, di fronte alle forti richieste da parte del re longobardo, si rivolse ai Franchi. Si ebbero così le due discese del re Pipino in Italia, che costrinse i longobardi a cedere le recenti conquiste, ma non li sottomisero. Ciò avvenne, in modo definitivo, con il figlio di Pipino, Carlomagno, nel 774, dopo che l’ultimo re longobardo Desiderio aveva rinnovato le aggressioni contro i territori romani. Carlo assunse la corona longobarda, ma una violenta rivolta dei longobardi del Friuli, nel 776, costrinse Carlo a destituire
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La regina Bertrada
____________________ 1) BERTRADA. - Figlia di Cariberto, conte di Laon, andò sposa al re dei Franchi Pipino il Breve; nota sotto il nome di Berta, morì dopo il marito, il 12 luglio 783, e fu seppellita a Saint-Denis, presso di lui. Fu madre di Carlo Magno e di Carlomanno; ed è nota per essersi intromessa nei matrimonî dei figli suoi con le figlie del re longobardo Desiderio, Ermengarda e Gerberga.
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i duchi longobardi sostituendoli con conti franchi.Tuttavia, l’aristocrazia longobarda non cedette mai del tutto le leve del potere locale. L’eredità politica, sociale e giuridica del regno longobardo, prosegue esplicitamente nel sud nella Longobardia minor dei duchi di Benevento, così come nel centro-nord, nel ducato di Spoleto, andando a confluire nella complessa realtà dei secoli centrali del Medioevo italiano.2 Siamo nell’VIII secolo, la Longobardia, nel momento di maggiore fulgore, era divenuta una potenza di rilievo europeo. Allora, Desiderio mise a capo del ducato di Benevento il nobile Arechi II e gli concesse in moglie la figlia Adelperga, sorella di Ermengarda, moglie di CarloMagno. Nell'estate del 771, la regina Bertrada, madre di Carlo, organizzò un viaggio in Italia, riuscendo a tessere importanti alleanze attraverso il matrimonio dei suoi figli, con quelli del re longobardo Desiderio. Il primogenito di quest'ultimo, Adelchi, fu dato in sposo alla principessa franca Gisilda, mentre Carlo Magno sposò la figlia di Desiderio, Desiderata (resa celebre dal Manzoni, col nome di Ermengarda), Carlomanno, invece, sposa l’altra sorella di Adelchi: Gerberga. Quando Carlo decide di impadronirsi dell’Italia, nel 773, ripudia Desiderata e muove guerra contro Desiderio, nonostante quest’ultimo fosse disposto a restituire al Papa i territori che gli aveva preso. Il grosso dell'esercito, comandato dal sovrano stesso,superò il passo del Moncenisio e attaccò le armate di Desiderio presso la città di Susa. Il re longobardo riuscì ad arginare l'invasione, ma intanto un'altra armata franca, guidata dallo zio di Carlo, Bernardo attraversò il Gran San Bernardo e ridiscese la Val d'Aosta, puntando contro il secondo troncone dell'esercito longobardo, affidato ad Adelchi. Quest'ultimo fu sbaragliato e dovette ritirarsi a marce forzate mentre Desiderio si rinserrava nella capitale del suo regno, Pavia.I Franchi posero l'assedio alla città dall'ottobre del 773 sino all'ini-zio dell’anno successivo. Carlo Magno si diresse a Roma per incon-trare Adriano. Giunto in San Pietro, fu incoronato re dei Franchi e il pontefice ottenne in cambio la conferma dei territori attribuiti in pre-
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Gerberga (1) _____________________ 1) Gerbèrga, figlia di Desiderio, re dei Longobardi (sec. VIII). Moglie di Carlomanno, ebbe da lui due figli, il primo dei quali, nato nel 770, fu chiamato Pipino come il nonno paterno, Pipino il Breve, re dei Franchi. Morto Carlomanno nel 771, Gerberga si vide privata dell'eredità dal cognato Carlo Magno, che usurpò il regno ai nipoti. Gerberga , con i figli e alcuni fedeli, si rifugiò presso Tassilone di Baviera, poi venne in Italia, dove trovò asilo presso il padre Desiderio. Dopo vani tentativi di ottenere dal papa il riconoscimento dei propri diritti e di quelli dei figli, venne internata in un monastero di Corbie, dove morì (773).
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cedenza alla Chiesa dai re longobardi. Nel 774, alla capitolazione di Pavia e di tutto il Regno longobardo, Desiderio fu rinchiuso in un monastero, in Francia, assieme alla moglie Ansa, mentre il figlio Adelchi riparò presso l’imperatore di Bisanzio, Costantino V. Conquistata l'Italia, il carolingio si proclamò, Gratia Dei, rex Francorum et Longobardorum, mentre il ducato di Benevento rimase indipendente ma tributario di Carlo Magno. Arechi II, XV duca di Benevento vide svanire ogni possibilità di Adeaspirare alla corona di un’unica Longobardia. Assunse allora il titolo di princeps, proponendosi come l'erede delle tradizioni, della cultura e dell’identità nazionale del proprio popolo. Trasferì la corte a Salerno, dove costruì, nelle vicinanze delle mura meridionali della città, uno splendido palazzo, dotato di una cappella palatina, dedicata ai Santi Pietro e Paolo. Cercò sempre di conservare l’indipendenza del suo potentato,tanto che la sua obbedienza a Carlo Magno fu solo formale, senza alcun impegno di vassallaggio. Nel frattempo, mai cercò il conflitto aperto con il Papato e manifestò sempre un atteggiamento amichevole verso i Bizantini. Fondatore della basilica beneventana di Santa Sofia e promotore di ingenti iniziative urbanistiche, Arechi II fu un protettore di uomini di cultura, fra cui lo storico Paolo Diacono. Morì il 26 agosto del 787, pochi giorni prima dello sbarco in Lucania di ambasciatori bizantini incaricati dall'impero di stipulare, con il principe longobardo, una formale alleanza, che fu, poi, redatta dalla moglie Adelperga3. Per comprendere bene gli avvenimenti è bene ritornare a cinca trent’anni prima.
__________________ 1) Treccani – L’enciclopedia italiana. 2) J. Jarnut, Storia dei Longobardi, To, Einaudi, 2002. 3) Ulla Westerbergh, Chronicon Salernitanum. A critical edition with Studies on Literary and Historical Sources and on Language Stoccolma, 1956.
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Arechi II (1)
_________________ 1) ARECHI II, nel Chronicon Salernitanum si allude, in modo inequivocabile, ad una sua fanciullezza trascorsa in Benevento. Probabile l’ipotesi, avanzata dal Poupardin, che Arechi fosse della stessa famiglia del re Liutprando; di lui, nel celebre epitaffio, Paolo Diacono dice infatti: "Stirpe ducum, regurnque satus ascenderat ipse / nobilior gentis culmina celsa suae", sottolineando la sua appartenenza a stirpe di duchi e di re.
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E’ l’anno 758, Liutprando, quattordicesimo duca di Benevento, è deposto dal re Desiderio ed al suo posto è nominato Arechi, col nome di Arechi secondo. Intanto, la seconda figlia del re, Adelperga, per volere del padre, raggiunge Benevento con il suo precettore, il religioso Paolo di Varnefrido, passato alla storia come Paolo Diacono, per sposare il nuovo duca. Adelberga, Adalperga, Aldeperga, nata verso il 740, istruita da Paolo Diacono, che le insegnò anche il greco: "elegantiae tuae studiis semper fautor extiti" dichiarò nell'epistola dedicatoria, era una donna di grande fermezza di carattere. Si celebra il matrimonio, grazie al quale Arechi spera di diventare, un giorno, re di una sola grande Longobardia e Adelperga condivide l’ambizione del suo sposo. E’il vecchio sogno dei Re longobardia formare un grande regno, comprendente la Longobardia maior ed il ducato di Benevento. È lo stato della Chiesa a dividere in due tronconi i possedimenti longobardi, ostacolandone la unificazione. Eppure Astolfo aveva tentato la conquista dell’Italia, nel 754, e Pipino il breve l’aveva fermato. La medesima cosa farà il figlio Carlo magno, nel 774, vanificando gli sforzi e le alleanze imbastite da Desiderio. Carlo ripudia Ermengarda, come abbiamo già detto, conquista la Longobardia maior e pone l’assedio a Pavia e mentre Adelchi, sbaragliato, preferisce l’esilio, Carlo si fa incoronare re dei Franchi e dei longobardi. Intanto, anche Pavia capitola e Desiderio finisce in monastero. A questo punto, Arechi, ha compreso che i suoi sogni rimarranno tali ed allora cerca di consolidare la sua posizione elevandosi a principe e trasformando il ducato in principato. Anno 787, Carlo Magno scende al Sud per completare l’opera di eliminazione dei Longobardi ed Arechi gli invia ambasciatori ed i suoi stessi i figli quali ostaggi. Carlo accetta la sottomissione e gli lascia il ducato. A questo punto, il principe capisce di essere più sicuro a Salerno e la fortifica «perché sia di rifugio ai principi nel caso un esercito minacciasse Benevento». Ancora oggi, di quelle fortificazioni resta il castello, che riutilizza una vecchia torre bizantina, mentre le mura scendono a «V» verso la città. Nel canale navigabile, che dal mare si addentrava in Salerno, una poderosa catena bloc-
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cava il transito dei vascelli ostili. Arechi II fa edificare la città di forma rettangolare, con poche strade che calano dal monte e altre parallele alla costa. Qui, sul mare, colloca la sua reggia, bella e grande come il Palazzo di Diocleziano a Spalato, con logge e poderose fortificazioni. A nord, è annessa la cappella appena restaurata, quella che, nel Medioevo, prenderà il nome di San Pietro a Corte.
Il palazzo è grande, può ospitare gli ambasciatori di Carlo con il seguito, e naturalmente Arechi e la sua corte. Esso si estendeva per un intero isolato, tra gli odierni vicolo Adelperga, vicolo dei Sartori, via Mercato, via Dogana vecchia e largo San Pietro a Corte. Qui, Adelperga apprenderà delle pene della sorella per il ripudio di Carlo e qui morirà Arechi, nell’agosto del 787. Arechi riuscì a trasformare Salerno, così come aveva fatto con la città di Benevento, quest’ultima divenuta un centro culturale e politico di primaria importanza nell’Europa dell’alto medioevo. Alla sua corte accolse artisti e letterati, primo fra tutti lo storico Paolo Diacono che fu precettore della famiglia ducale cedendo poi il ruolo al giovane vescovo Davide, anch’egli fine cultore delle bellezze dell’intelletto. Si fece promotore dell’istituzione di una schola palatina
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per istruire ed educare i suoi figli e quelli degli altri nobili, favorì e incitò lo scambio di manoscritti tra le officine scrittorie di Benevento, le abbazie di Montecassino e San Vincenzo al Volturno creando, con molta probabilità, le premesse per la canonizzazione della scrittura beneventana, sorta alla fine del sec. VIII e diffusasi fino al IX sec. nell’Italia meridionale e nella Dalmazia, fino al XIII secolo.
Cappella Palatina - A destra la porta murata d’ingresso dalla corte di Arechi II
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INDICE Presentatio ….…………………………………………….. pag.07 Argumenta ...……………………………………………… pag.12 Prefatio .…...……………………………………………… pag.13 Capitolo primo …...………………………………………. pag.26 Capitolo secondo ……..………………………………….. pag.36 Capitolo terzo …………..………………………………… pag.40 Capitolo quarto ……..…………………………………… pag.45 Capitolo quinto …..……………………………………… pag.52 Capitolo sesto ………..…………………………………… pag.60 Capitolo settimo ….………………………………………. pag.66 Capitolo ottavo …….………………………………………pag.85 Capitolo nono …….………………………………………..pag.90 Capitolo decimo ….………………………………………..pag.93 Capitolo undicesimo ….………………………………….pag.115 Capitolo dodicesimo ………………………………………pag.120 Capitolo tredicesimo ……………………………………... pag.123 Capitolo quattordicesimo ………………………………... pag.128 Capitolo quindicesimo ……………………………………. pag.138 Capitolo sedicesimo ………………………………………pag.144 Conclusio ..………..……………………………………… pag.146 Fonti bibliografiche …...…………………………………. pag.157 Postfatio ………………………………………………….. pag.161 L’autore ………...…………………………………………. pag.158 Altre opere ………………...…………………………….. pag.169 Dizionario di termini essenziali ………………………….. pag.180
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Š giugno 2017 by Franco Pastore Una realizzazione A. I. T. W. Pubblicato in ebook il 27 luglio del 2017
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Franco Pastore, scrittore salernitano, autore di numerose pubblicazioni di teatro, poesia, prosa e saggistica. Membro onorario dell’Accademia delle Scienze di Roma, dell’Academia Gentium Pro Pace e dell’Accademia Tommaso Campanella, ha vinto numerosi premi in Italia e all’estero. Docente di lettere in pensione, è giornalista iscritto alla G.n.s. Press e Direttore responsabile della rivista on line “Antropos in the World”.
In copertina: Miniatura del Canone di Avicenna, raffigurante Roberto, che saluta i medici salernitani.
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