La parola italia è stato oggetto di indagini non soltanto da parte di linguisti

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Franco Pastore

A.I.T.W. EDIZIONI Collana Saggi pag. 1


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La parola “Italia” Di Franco Pastore

© luglio 2017 by Franco Pastore Una realizzazione A. I. T. W. pag. 3


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NOTE CRITICHE

«[…] con Benedetto Croce possiamo affermare che se vogliano capire il presente occorre studiare il passato. Il vero punto di forza è senza dubbio la ricostruzione storica del periodo, che risulta molto curata fin nei minimi dettagli […] Pastore, cosa difficile per chi narra vicende storiche, riesce a conservare una valida oggettività, senza affatto enfatizzare quella infinita successione di guerre […]. Egli arricchisce la narrazione inseren-do spesso delle chiarificazioni terminologiche, che consentono al lettore di capire…. (1) «[…] Voglio, piuttosto, dire due parole sull’Autore, da me conosciuto quasi per caso e solamente attraverso i suoi scritti. Personaggio coinvolgente, personalità di grande interesse. A me appare come un epigono di quella nobile categoria di gentiluomini eruditi che, soprattutto al Sud, hanno percorso la storia letteraria italiana […]» (2)

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1) A.Mirabella, dalla praesentatio di “Salerno Longobardorum”. 2)A.Rallo, dalla postfatio di “ Salerno Longobardorum”.

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PREMESSA

La parola Italia è stato oggetto di indagini da parte di linguisti e di storici e non sempre ci si trova di fronte ad etimologie in senso stretto. Molto spesso vengono ipotizzate considerazioni, estranee alla ricostruzione linguistica del nome, che, nel tempo, hanno formato un ricco corpus di soluzioni[1] e, tra queste, si impone il riferi-mento ai Vituli. Infatti con il nome di Italói, i greci designavano i Vituli (o Viteli), una popolazione che abitava nella punta estrema della nostra penisola, la regione a sud dell’odierna Catanzaro, i quali adora-vano il simulacro di un vitello (vitulus, in latino). Il nome significherebbe quindi “abitanti della terra dei vitelli”. [2] Ergo, il nome inizialmente indicava solo la parte posta nell'estremo meridione della Penisola, la Calabria ed in particolare a quell'estrema parte della Calabria che giace a sud dei golfi di Sant'Eufèmia e di Squillace, tra Vibo Valenzia e Reggio Calabria (3).

_______________ 1. Alberto Manco, Italia. Disegno storico-linguistico, 2009, Napoli, L'Orientale, ISBN 978-88-95044-62-0. 2. http://www.focus.it/cultura/storia/quale-e-lorigine-del-nome-italia 3. D’altro canto, Apollodoro (2, 5) scrive che italòs nella lingua dei “Tirreni”, intende genericamente italici, significa toro: sarebbero perciò il popolo dei Vituli. Gli fa eco Varrone (De agri cultura, II), affermando che “l’Italia è detta così dai buoi”.

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Fino all’inizio del V secolo avanti Cristo, con Italia si indicò solo la Calabria(1), in un secondo tempo il nome fu esteso a tutta la parte meridionale del Paese. Nel secolo III, dopo le vittorie riportate dai romani contro i Sanniti e contro Pirro, il nome di Italia si estese fino al Magra e al Rubicone. Nel 49 avanti Cristo, quando anche alla Gallia Cisalpina furono concessi i diritti di cittadinanza romana, anche le regioni settentrionali della penisola presero il nome di Italia. Ed infine, il 27 dopo Cristo, con la riforma amministrativa di Augusto, (2) si chiamò Italia tutto il territorio che andava dalla Sicilia ad ovest del fiume Varo (presso Nizza) e ad est del fiume Arsa, in Istria.

1) Il nome Calabria viene da Calabrī, da confrontare con i Γαλάβριοι (Galábrioi) della Penisola balcanica (dalla quale forse deriva anche l'etnico Calabri). L’origine sembra essere una radice preromana *cal-/cala- o *calabra-/galabra-, che compare anche in calaverna e calabrosa, nonché in calabria, nome comune della pernice di monte (Lagopus muta), che significherebbe "roccia", "concrezione calcarea o ghiacciata" 2) Il 27 dopo Cristo Caesar Octavianus Augustus estese il nome Italia a ovest al fiume Varo (presso Nizza) e a est al fiume Arsa, in Istria.

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Capitolo I La Calabria nella preistoria. Malgrado la gran quantità di materiali paletnologici, appartenenti soprattutto alla seconda età della pietra, rinvenuti nelle tre provincie che componevano l’antico l'Ager Bruttiorum, il quadro della preistoria calabrese non può tracciarsi con quella chiarezza di dati che sussistono per altre regioni d’Italia. Se abbondano ricche collezioni, ora nei musei di Catanzaro, di Reggio, di Siracusa, di Crotone, nel Nazionale di Napoli, nel Preistorico di Roma e altrove, esse provengono per la maggior parte da ritrovamenti fortuiti, da investigazioni limitate e superficiali, Poche infatti furono le campagne regolari di scavo, eseguite in terra calabrese, e le prime, piuttosto recenti, furono rivolte allo studio delle antichità meno remote. Quel poco che possiamo dire della preistoria calabrese è dunque dovuto all'opera di alcuni studiosi e collezionisti pri-vati. Le prime notizie di preistoria calabrese sulla base dei reperti materiali, furono fornite fra il 1871 e il 1879 dall'antropologo Giustiniano Nicolucci; dopo di lui vennero Giuseppe Ruggero, Vincenzo Rambotti, Domenico Lovisato ed il Foderaro, fino al dottor Domenico Topa, il quale recentemente, in un lavoro sintetico, ha raggruppato tutte le sparse notizie. Nell'età paleolitica, non mancano testimonianze della presenza dell'uomo, benchè scarse; una sola località, la grotta della torre di Talao presso Scalea, in provincia di Cosenza, ha fornito strumenti di selce e di quarzite, punte, raschiatoi, schegge, di tipo moustériano. Le selci segnalate già nel 1885, studiate e ben definite più tardi da A. Mochi, furono raccolte in associazione con resti di fauna quaternaria (Elephas antiquus, Rhinoceros Mercki, Hippopotamus amphibius, Cervus elaphus, Bison priscus, Ursus spelaeus, Hyaena crocuta sp., Equus caballus, ecc.); in modo che l'appartenenza al Pleistocene di questi relitti industriali, primo segno di vita umana nella Calabria citeriore, è fuori dubbio. Non così può dirsi di altri manufatti silicei, creduti di foggia moustériana, raccolti in strato alluvionale nella valle del Pellena (o Alessi) presso Squillace; oltre le condizioni di giacimento e la forma dei manufatti, la presenza di resti ceramici mescolati alle selci toglie la possibilità di attribuire queste ai tempi del Paleolitico. pag. 8


L'isolotto della Torre Talao, dominato dall'omonima torre aragonese è caratterizzato dalla presenza di cavità naturali che hanno offerto riparo a gruppi di cacciatori e pescatori del Paleolitico Medio. Forse queste grotte costituiscono il più importante complesso musteriano della CalabriaIsolotto della Torre Talao agli inizi del 900 visto dalla Petrosa (44503 byte) (contemporaneo all'uomo di Neanderthal caratterizzato da strumenti di pietra differenziati nell'uso e più perfezionati). Alle prime notizie sulla grotta, datate fine '800 per merito di Lovisato e Lacava, seguì un saggio di Patroni che individuò il carattere musteriano della grotta. Le ricerche furono proseguite dal proprietario della grotta, Del Giudice, su consiglio di Aldobrandino Mochi, che nel 1914 vi intraprese il primo ed unico scavo condotto con metodi scientifici nel quale si evidenziò il problema dell'associazione di una industria musteriana dai caratteri evoluti con una fauna di tipo caldo. Nel 1932-33 vengono ripresi gli scavi da Topa. La conseguente pubblicazione segna un notevole passo indietro, non solo nei confronti del lavoro svolto dal Mochi, ma anche da quello svolto dal Patroni. Infatti vi fu un completo fraintendimento delle industrie e la loro attribuzione al Paleolitico Superiore, contro ogni evidenza paleontologica e stratigrafica. La mancanza di metodo nel condurre gli scavi, la descrizione del tutto inadeguata degli strumenti, l'illeggibilità dei disegni, molti dei quali dedicati a semplici schegge ossee scambiate per manufatti, fanno sì che i soli dati utili, ricavabili dal lavoro del Topa, siano gli elenchi delle faune, determinate in gran parte da Cardini, i quali confermano ed arricchiscono il quadro già noto dalle ricerche precedenti. Con il sopralluogo condotto nel 1957 da Blanc e Cardini si accertò la presenza di una ancora ampia porzione di deposito archeologico spesso circa 10 m. sovrapposto ad un lembo di spiaggia. In tale occasione venne preannunciato un programma di ricerche e scavi sistematici nella grotta, che però non è mai stato attuato.

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La quantità di oggetti appartenenti all'età neolitica, raccolti nelle varie contrade calabresi, soprattutto nella provincia di Catanzaro, è veramente ingente; come aveva già rilevato il Nicolucci nel 1879. Nelle collezioni paletnologiche calabresi si contano ricchissime serie di asce, scalpelli e simili, di pietra levigata (diorite, serpentino, porfido, basalto, quarzite, e anche giadeite e nefrite) che per le forme e per la tecnica della lavorazione non si differenziano dall'analogo materiale rinvenuto nelle diverse regioni d'Italia. Speciale menzione deve farsi per il martello litico con scanalatura in giro, di cui la Calabria ha fornito esemplari numerosi e pregevoli, tanto da potersi supporre una lavorazione caratteristica locale; molto usata l'ossidiana che forse venne importata dalle Lipari riccamente fornite di questo minerale. Mentre la provincia di Cosenza finora si presenta quasi del tutto sfornita di vestigia neolitiche, quelle invece di Catanzaro e di Reggio, oltre alla straordinaria abbondanza di oggetti raccolti sporadicamente, hanno rivelato tracce di abitazione e sepolcri con rito ben definito; le zone più fruttifere, e dove è possibile supporre una densità di abitati non indifferente, sono le valli sul golfo di Squillace, specie dell'Alessi e dell'Ancinale (1), e il territorio reggino (valle del Calopinace, Monte Basilico, spiaggia di Melito). Anche sul versante tirrenico, a Monteleone, furono riscontrate tracce di una stazione all'aperto, menzionate dal Lenormant nel suo libro sulla Magna Grecia. Benché i dati di scavo non siano abbondanti, si possono ritenere attestati anche in Calabria i modi d'abitazione comuni a tutte le altre genti neolitiche d'Italia; sia in grotte naturali, come nei monti di Tiriolo (valle di Donnopetro), sia in capanne. Tracce evidenti di focolari neolitici furono notate dal Foderaro presso Cardinale, sulla sponda destra dell'Ancinale, e anche a Salto la Vecchia presso Melito. Ma le vestigia più importanti, nonostante la limitatezza dei ritrovamenti, sono quelle funebri; nel Catanzarese, presso Girifalco, nel fondo Caria, il marchese A. Lucifero scavò alcune tombe, formate da lastroni di pietra, e contenenti lo scheletro rannicchiato. Il corredo funebre si componeva di rozza stoviglia di impasto, di asce di pietra levigata, di due lame di selce e di un grande anello di ardesia; fatto notevole fu l'aver trovato in una tomba sola ben sette cranî, probabile segno della tumula_____________________

1) L'Ancinale è una fiumara calabrese. Anticamente denominato Carcinus.

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zione di ossa scarnite, secondo il Pigorini. Non solo per gli oggetti ritrovati, ma più ancora per la testimonianza del rito funebre dell'inumazione rannicchiata (che in Calabria risulta persistente fin nella prima età del ferro) si ha diritto di ritenere che questi primitivi abitatori della Calabria appartengano al grande strato etnico (stirpe ibero-ligure dei paletnologi) produttrice nel nostro paese della civiltà neolitica. Del periodo eneolitico(1) si hanno deboli testimonianze, se si pretendono trovamenti di oggetti tipici, ma la continuità degli abitati neolitici può provarsi con la stazione di Donnopetro sotto Tiriolo; parimenti può dirsi per l'età del bronzo, per la quale, attenendoci alle scoperte finora avvenute, bisogna riconoscere che in Calabria manca sostanzialmente una vera e propria civiltà enea, anche se sono stati rinvenuti qua e là armi e strumenti caratteristici di questo periodo. Ma la ricchezza e l'importanza delle vestigia paletnologiche, già riscontrate per il neolitico, nuovamente si notano per la prima età del ferro. Vestigia quasi esclusivamente funebri, che provengono da tombe e da intere necropoli, rintracciate in tutte tre le provincie. Le località principali sono: nel Cosentino: Torre del Mordillo, Spezzano e Terranova, S. Croce, Laino; nel Catanzarese: Cirò, Strongoli, Scandale, Crichi, Settingiano, Borgia e Squillace (versante jonico), e Torre Galli presso Monteleone, Nicotera (versante tirrenico); nel Reggino: S. Leo, Cannitello, Sala e Trunca, e Reggio stessa. Le necropoli che più servono allo studio della civiltà indigena, venuta a contatto dei colonizzatori greci, sono quelle di Torre del Mordillo, nella valle del Coscile, esplorata dal Viola nel 18871888, e descritta dal Pasqui e dal Pigorini; di Torre Galli e di CanaleJanchina, che, esplorate nel 1922-23, furono studiate accuratamente dall’Orsi. Nel loro complesso, queste tombe calabresi ci presentano innanzi tutto l'uso esclusivo del rito inumatorio. Ciò può affermarsi con sicurezza, poiché, meno due casi assai dubbî, i soli casi sicuri di incinerazione (otto su 336 tombe esplorate) riscontrati a Torre Galli, vanno spiegati secondo l'Orsi come il prodotto di infiltrazione di elementi greci. La posizione del cadavere e la forma del sepolcro non sono dappertutto le _________________

1) Eneolitico Periodo finale del Neolitico, della durata di circa 8 secoli, nel quale compaiono accanto agli strumenti di pietra, che rimangono in assoluta preponderanza quantitativa, i primi oggetti di metallo, e precisamente di rame quasi puro.

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medesime. Nella necropoli di Torre del Mordillo e nelle fosse di Scandale, il cadavere era in posa rannicchiata; nelle restanti tombe, eccettuato qualche esempio di giacitura accoccolata a Canale-Janchina, vige la posizione distesa. A Torre Galli, i cadaveri erano stati deposti vestiti. Quanto alla forma dei sepolcri, essa varia anche secondo la natura del terreno; nel territorio locrese, a Canale-Janchina e Patariti, si ha il tipo della cameretta scavata nella roccia, di pianta trapezoidale o quadrata, chiusa nell'ingresso da un lastrone di pietra o da macèra; altrove sono fosse rettangolari, ricoperte da blocchi di pietra, come a Torre del Mordillo e a Torre Galli; altrove, come a Crichi, Scandale, Strongoli, si tratta quasi di cassoni funebri, essendo le fosse rinforzate ai lati da lastroni di pietra, con una lastra per coperchio. Come nelle coeve tombe della penisola, i corredi funebri si compongono di materiali ceramici e metallici, che nelle forme e negli aspetti mostrano strette affinità con gli oggetti scoperti nelle necropoli contemporanee cosiddette italiche o villanoviane; ad esempio, sia a Torre del Mordillo, sia a Torre Galli e a CanaleJanchina, si raccolsero vasi d'impasto di forma biconica, ricordante la tipica forma dell'ossuario villanoviano, ma spogli di ornati o con scarse decorazioni. Delle fibule di bronzo, mentre manca il tipo più arcaico "ad arco di violino", si hanno le forme: ad arco semplice, serpeggiante o a gomito, a piattello, foliata, a navicella, ad occhi; si riannodano, più che con le siciliane, con le fibule del centro d'Italia e della Campania. Armille, anelli e anelloni, rasoi rettangolari od ovali, completano l'abbigliamento, in cui largamente presente è l'ambra. A Torre Galli, in via eccezionale, si trovarono anche oggettini d'oro e d'argento, oltre alle perline di vetro e agli scarabei; tutte cose importate d'oltremare. Le tombe, specie a Torre Galli, sono ben fornite di armi in bronzo e in ferro: daghe, lance, giavellotti, pugnali; le spade sono per lo più con impugnatura a T e con guaina decorata di fini incisioni, appartenenti a un tipo submiceneo, in voga proprio nei tempi immediatamente precedenti la colonizzazione greca. Nella necropoli di Torre del Mordillo, assai vasta (vi furono esplorate 229 tombe), ma forse meno ricca rispetto a Torre Galli, fu notato anche un grande uso di ferro; il che può essere indizio di appartenenza a tempi meno antichi. Gli scavi dell'Orsi, sia nel Monteleonese, sia nel Locrese, hanno rivelato anche traccie degli abitati (avanzi di capanna rettangolare in pag. 12


muratura a Torre Galli); a Canale-Janchina, dove la necropoli è di tipo strettamente siculo, anche il villaggio annidato su una specie di amba ricorda le terrazze abitate del sud-est della Sicilia. Il problema etnografico che i paletnologi cercarono più volte di risolvere è arduo: il materiale archeologico scavato nelle varie necropoli calabresi senza dubbio si lega strettamente a quello del restante della penisola, ma le somiglianze con i tipi del vero villanoviano sono soltanto esteriori. Le genti che seppellirono i loro morti seguendo costantemente il vecchio rito inumatorio, a Torre del Mordillo così come a Torre Galli e a Canale-Janchina non sono gl'Italici che voleva il Pigorini, ma forse sono i discendenti della stirpe cui dobbiamo le manifestazioni culturali del Neolitico; sia questa stirpe la ligure, come alcuni hanno supposto, sia la sicula propriamente detta, per i molti rapporti di affinità che esistono fra le vestigia calabresi e quelle siciliane, rafforzati dai caratteri antropologici risultati identici, secondo l'esame condotto da G. Sergi su alcuni cranî di Canale-Janchina, di tipo dolico-morfo mediterraneo. E non è da escludersi, come recentemente l'Orsi ha dimostrato di preferire, che i Siculi dell'antico Ager Bruttiorum appartengano alla stessa grande fami-

Tabula Peutingeriana (1) __________________

1)Le estremità della penisola italiana nella carta medievale (sec. XIII) nota come “Tabula Peutingeriana”, ritenuta copia di un originale romano andato perduto (300 d.C. ca.).

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glia mediterranea, la ibero-ligure, da cui pur discendono i Liguri propriamente detti e i più antichi abitatori della Sicilia stessa. Comunque sia, la civiltà indigena della Calabria, quale è stata rivelata dai gruppi di antichità sopra ricordate, perse i suoi caratteri fondamentali a contatto con gl'immigrati greci, ma notevoli contributi dovette portare alla formazione di quella splendida civiltà, che fu la Magna Grecia.

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Capitolo II La Calabria nella storia La Calabria medievale, esaurita dalla stessa multiforme crisi che aveva logorato l'Impero romano, percorsa dai Goti di Alarico, ebbe qualche sollievo da Teodorico, che in essa trovò il ministro dei suoi ideali, Cassiodoro. L'invasione dei Longobardi spezzò l'unità politicoterritoriale della Calabria, poiché quasi tutta l'attuale provincia di Cosenza fu strappata ai Bizantini e annessa al ducato di Benevento prima, al principato di Salerno poi. Soltanto Niceforo Foca poté finalmente ricostituire, ai primi del 900, la dominazione bizantina in tutto il paese, che venne organizzato in un thema, posto alla dipendenza di uno stratega. Nonostante questo e la lunga durata e la completa ellenizzazione del paese nella lingua, nel diritto e nelle istituzioni, nella liturgia e nel clero, sottoposto, in seguito alle lotte iconoclaste, al patriarcato d'Oriente, i bizantini non seppero garantire alla Calabria la sicurezza e il benessere necessario. Le città, sguarnite, furono costrette a difendersi da sè dalle incursioni dei Saraceni, che divennero frequentissime dal sec. IX in poi; un cieco fiscalismo contribuì a inaridire le forze locali; col decadere dell'agricoltura, a causa della palude invadente e della scarsezza della mano d'opera, rinacque il latifondo non senza funeste ripercussioni sulla storia dei secoli posteriori. Quasi nessun effetto ebbero le frequenti sommosse contro i Bizantini, i quali trovarono un valido appoggio nei monaci basiliani, che popolarono di cenobî la Calabria e vi crearono un'atmosfera di misticismo, dalla quale venne fuori, fra gli altri, Nilo da Rossano, che intorno al Mille spiegò un'opera ch'ebbe larga eco anche fuori dalla regione. Furono soltanto i Normanni, più che l'infelice spedizione di Ottone II (982) e gl'ininterrotti assalti dei Saraceni, che infransero il dominio bizantino in Calabria, non senza aver dovuto fronteggiare una certa coraggiosa resistenza delle popolazioni cittadine (1052-1059). E nell'unità della monarchia siciliana, la Calabria ebbe finalmente un lungo periodo di vita tranquilla e ordinata. Garantita la sicurezza delle persone e creati nuovi rapporti sociali col vincolo feudale, che aveva il terreno favorita la _________________________________

1) Thema (in gr. antico θέμα; al plurale θέματα) designa le circoscrizioni che nel VII secolo furono create dall'imperatore bizantino Eraclio I, per rinnovare l'assetto amministrativo e territoriale di tutto l'impero. Il significato del vocabolo, in greco classico è "ciò che è posto".

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agricoltura e gli scambî, soprattutto con la Sicilia, a cui la regione è naturalmente congiunta, tenuto a freno il baronaggio, riorganizzata e rilatinizzata la gerarchia ecclesiastica con la penetrazione del monachismo occidentale, riordinata su nuove basi l'amministrazione regionale e locale, con l'istituzione di due giustizierati, tutto ciò contribuì a destare le latenti energie indigene. Non minori premure per la Calabria ebbero gli Svevi, segnatamente Federico II, verso la cui persona e verso quella dei suoi eredi i Calabresi mostrarono forte attaccamento. Infatti, non soltanto sostennero Manfredi, osteggiando i tentativi autonomistici di Pietro Ruffo e l'esercito spedito in Calabria da Alessandro IV; ma, scoppiata la rivoluzione e la guerra del Vespro, parteggiarono per i Siciliani, costringendo Carlo d'Angiò a intervenire con le armi. Con la pace di Caltabellotta, s'inizia per la storia della Calabria un ciclo di eventi, che si chiude con la fine dell'indipendenza del Regno di Napoli (1302-1503). Fu un periodo di profonda decadenza, che trovò la sua causa precipua nell'abbandono in cui la regione fu lasciata da Angioini e Aragonesi. Gli stranieri, che ottennero dalla corte lo sfruttamento delle miniere, e specialmente gli Ebrei, diventarono, per difetto di capitali e di spirito d'intraprendenza, gli arbitri dei mercati e delle piccole indu-strie, di cui una, quella della seta, riuscì a raggiungere una certa importanza. La terra, che nei primi anni della conquista angioina era stata spezzettata fra una turba di avidi cavalieri francesi, in poco tempo si raccolse nelle mani di poche casate feudali, sulle quali emersero i Ruffo, con Nicolò Ruffo, marchese di Cotrone e conte di Catanzaro, ribelle a Ladislao di Durazzo. Soltanto pochissime città riuscirono a conservarsi demaniali; e in esse, in particolar modo a Cosenza, la vita municipale ebbe, durante il Trecento, momenti di viva drammaticità per le lotte fra nobili e medio ceto. Potentissimi furono quindi i baroni, il cui dominio, soprattutto per le qualità di alcuni personaggi, tesi ad emanciparsi dal potere regio, non fu sempre tirannico. Tale, invece, fu il fiscalismo angioino e aragonese. Contro di esso, rimaste inascoltate le voci di moderazione, i contadini calabresi, oppressi dalla miseria e dalla prepotenza, insorsero con selvaggio furore nel 1459. Volle capeggiarli un audace avventuriero spagnolo, Antonio Centeglia, che sperava di recuperare i vasti possedimenti della moglie, erede dei Ruffo, già confiscatigli per ribellione da Alfonso d'Aragona. Ma Ferdinando d'Aragona affogò pag. 16


nel sangue quella terribile rivolta di plebei, che minacciava di fargli perdere il trono, e colpì ferocemente i feudatari che avevano tentato di trarne vantaggio. Da allora, non s'ebbero serie sedizioni popolari: tanto vero che le fazioni, ricompostesi al tempo delle lotte tra Francesi e Spagnoli nel regno, non diedero luogo a conflitti, malgrado i maneggi del Lautrec. E sterile riuscì il tentativo rivoluzionario di Tommaso Campanella (1); quasi nessuna ripercussione politica ebbe la rivoluzione cosiddetta di Masaniello (1647-1648). Anzi, approfittando della supina rassegnazione delle plebi ai mali naturali e sociali, il baronaggio poté ridivenire potente e prepotente, mentre il governo vicereale di Spagna e d'Austria abbandonò a sé stessa l'infelice regione. Eppure, proprio in Calabria, afflitta da ter-remoti e da assalti barbareschi, dalla malaria e dalla siccità, in preda a confusioni di leggi e ad abusi di baroni e di ufficiali regi, senza porti né strade, non solo parecchie popolazioni cittadine si difesero, nel corso del Seicento, dalle infeudazioni, ingaggiando liti secolari o riscattandosi con gravi sacrifizî; ma inoltre il pensiero dei nuovi tempi affonda in essa le sue radici. Telesio, Campanella e Antonio Serra, per tacere di altri, ne sono antesignani. E, restaurata l'indipendenza del regno, in contrasto alla tracotanza feudale, si sviluppò fra le masse un romantico sentimento di fedeltà al re, in cui si volle vedere il difensore degli oppressi, l'unico preside della giustizia e la fonte di ogni bene. In tale sentimento, saldatosi sulla schietta fede religiosa e sulla passione quasi gelosa per la propria terra e per gli aviti costumi, trovarono la loro spiegazione le drammatiche vicende di cui la Calabria fu teatro sulla fine del sec. XVIII e sui principî del sec. XIX. Il cardinale Ruffo vi reclutò buona parte delle sue bande sanfediste (1799); i Francesi vi furono contrastati fino al 1810, con un coraggio che ebbe episodî di valore. Gioacchino Murat, fidente nel ricordo dei benefizî che la regione aveva ricevuto nel decennio francese, pensò che la Calabria lo assecondasse nel suo coraggioso tentativo; ma, sbarcato a Pizzo, restò amaramente disilluso (1815). Ma le idee, per le quali fu possibile il Risorgimento, trovarono in Ca_____________________________________________

1)Tommaso Campanella, al secolo Giovan Domenico Campanella, noto anche con lo pseudonimo di Settimontano Squilla[1] (Stilo, 5 settembre 1568 – Parigi, 21 maggio 1639), è stato un filosofo, teologo, poeta e frate domenicano italiano.

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Masaniello (1)

__________________ 1) Nome con cui è noto il capopopolo napoletano Tomaso Aniello (Napoli 1620 - ivi 1647). Allo scoppio della rivolta napoletana del 7 luglio 1647 M. era a capo di alcuni ragazzi, appartenenti alla compagnia degli Alabardi, riuniti in piazza Mercato per festeggiare, in una battaglia simbolica, la vittoria contro i Turchi. Quel giorno i bottegai si rifiutarono di pagare la gabella sui frutti imposta dagli Spagnoli: ne nacque un tafferuglio che sollevò a rumore tutti i quartieri popolari adiacenti al mercato. I rivoltosi, guidati da M. e da altri capi popolani, invasero la reggia, forzarono le carceri, distrussero gli uffici daziarî. Scomparsi dalla scena, per varî motivi, gli altri capi, M. restò padrone del campo: pronunciò sentenze, organizzò la milizia popolare. Un attentato contro di lui fallì il 10 luglio, e ne accrebbe il prestigio: sicché il giorno successivo il viceré, dopo avere invano tentato di corromperlo, dovette riconoscere M. "capitan generale del fedelissimo popolo napoletano". Fu ucciso nel corso di un secondo attentato, il 16 luglio, dieci giorni dopo l'inizio della rivolta.

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labria molti e ardenti proseliti, specialmente nel ceto degli intellettuali e dei piccoli proprietarî. Dalle loro fila uscirono, dal 1799 al 1860, martiri generosi, come Antonio Toscano, i Poerio e molti altri. Opera delle logge massoniche istituitevi dal famoso abate Jerocades, furono le varie democratizzazioni del 1799. Ma un terreno più favorevole vi trovò la Carboneria, che da essa pare si sia propagata per le altre provincie del regno; certo, fin dal 1813 si tramava un'insurrezione contro i Francesi. La propaganda mazziniana raccolse di nuovo quelli che si erano assopiti dopo le feroci repressioni del '20 e '21. Nel '44 (v. Attilio ed Emilio bandiera) e nel '48, la rivoluzione scoppiò in molti luoghi. Nè la reazione spense i focolari patriottici, che esplosero all'apparire del Garibaldi al quale, con la fazione di Soveria Mannelli, aprìrono le porte di Napoli, nel 1860. Assai infelici erano le condizioni in cui l'Italia unificata trovò la Calabria: tendenza all'asservimento a persone e a clientele locali; analfabetismo; superstizioni e pregiudizi inveterati; carenze di strade, assenza di traffici ed iniziative private per la valorizzazione delle ricchezze regionali; malaria e povertà economica largamente diffuse; il brigantaggio imperversante per campagne e città. Ciò contribuì a diffondere sulla Calabria, attraverso una certa letteratura spicciola, una fama non rispondente a verità poiché il suo popolo, pur tra le gravi manchevolezze dovute al secolare malgoverno, ha saputo conservare le sue particolari, ammirabili virtù. I terremoti del 1905 e del 1908 hanno dato maggior risalto ai bisogni che la regione aveva d'una profonda opera restauratrice e creatrice. Oggi, un insolito fervore di lavoro scuote la Calabria e ne ridesta le sopite energie: creazione d'imponenti bacini idroelettrici, bonifiche di vaste plaghe, costruzione di strade, sistemazione di torrenti, nuove scuole, favore alla produzione, alle industrie e ai traffici paesani. C'è ormai di che sperar bene per l'avvenire di questa fantastica regione, che ha meritato la meda-glia di bronzo dorata di eccellenza di I classe di pubblica benemerenza del Dipartimento della Protezione civile: “Per la partecipazione all'e-vento sismico del 6 aprile 2009 in Abruzzo, in ragione dello straordinario contributo reso con l'impiego di risorse umane e strumentali per il supe-ramento dell'emergenza.» pag. 19


Capitolo III Il nome Calabria ed i suoi confini Il nome Calabria non designò durante l'età classica, come ora avviene, la penisola che si diparte, a sud-ovest, fra il Mare Tirreno e lo Ionio, dalla maggiore penisola italica, bensì l'odierna Penisola Salentina, detta anche in età classica Messapia(1). Il nome Calabria cominciò ad estendersi dalla Penisola Salentina all'antico Bruttium (Βρεττία dei Greci), formante con la Lucania la 3ª Regione d'Italia nella divisione augustea, probabilmente nel sec. VII dell'era cristiana, durante la dominazione bizantina nell'estrema Italia meridionale, e finì col de-signare unicamente l'odierna penisola calabrese, prima a sud del fiume Sinni e poi a sud dell'alta e ripida barriera del M. Pollino, allorché, di fronte all'estendersi della potenza longobarda verso mezzogiorno, i Bizantini si videro ristretti al possesso della terra dei Bruzî e della Sicilia. Nel basso Medioevo si cominciò ad usare la denominazione Calabrie, allorché si vennero distinguendo una Calabria Citeriore o settentrionale, comprendente la Valliscrata più a nord e la Terra Iordana più a mezzogiorno, da una Ulteriore, detta anche talora senz'altro Calabria in opposizione alle altre due parti. Sotto gli Aragonesi la divisione ebbe sanzione ufficiale e la linea del confine amministrativo fu portata al Neto (Calabria citra e Calabria ultra Neaethum), al quale si diede come linea di continuazione verso ponente il corso del Savuto. Le due Calabrie ebbero come capoluogo rispettivamente Cosenza e Catanzaro. La distinzione, confermata dagli Spagnoli, dai Borboni e dai Napoleonidi (dai quali ultimi Monteleone fu fatta capoluogo della Calabria ultra in luogo di Catanzaro) e, dopo il 1814, di nuovo dai Borboni, è ormai venuta meno interamente. Ora si parla comunemente e ufficialmente di Calabria, distinta nelle tre provincie di Cosenza, Catanzaro e Reggio. Nessun cambiamento è stato portato alle circoscrizioni territoriali delle tre provincie durante le innovazioni del 1926-1929, sicché i loro limiti e la loro estensione sono ancora quelli dell'ultimo periodo borbonico. La Calabria è, dopo le grandi isole, la regione d'Italia meglio definita nei suoi limiti e caratteri geografici. La sua natura peninsulare, __________________________________________________________ _

1) “Messapia”, che vuol indicare “Terra tra i due mari”: l'odierna Penisola Salentina.

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l'assenza assoluta di una cintura d'isole nei suoi mari e l'alta ed impervia zona montagnosa che la cinge a settentrione, fanno di essa una regione separata dal rimanente territorio italiano, con caratteristiche geografiche, fisiche ed antropiche tutte proprie. È però da notare che il confine amministrativo settentrionale della Calabria, quale è stato determinato da secolari vicende storiche, non coincide interamente con quello che veramente si può dire il confine terrestre della regione fisica calabrese, giacché esso lascia alla Basilicata tutta la parte superiore del bacino del fiume Lao, mentre comprende, all'estremo nord-occidentale, la montagna aspra e deserta che s'innalza tra la fiumara La Noce e lo spartiacque fra il bacino di questa e quello del Lao. Inoltre, all'estremo nord-orientale, il confine amministrativo comprende nella Calabria un tratto del bacino del basilicatese Sinni, deviando, dopo il Monte Rotondella, verso nord-ovest, dalla linea di spartiacque tra il Sinni stesso e le fiumare calabresi, che, tra la pianura di Sibari e quella di Metaponto, scendono allo Ionio. Più ristretti ancora di quelli della regione geografica o della amministrativa sono poi i limiti della Calabria dallo stretto punto di vista geologico. Infatti, tutta quella parte della regione situata a settentrione di una linea che si può tracciare sui corsi opposti della fiumara Sangineto (che ha foce sul Mar Tirreno fra Belvedere Marittimo e Capo Bonifati) e della corrente fluviale Esaro e Coscile-Crati, sino alla foce di quest'ultimo nello Ionio, separati l'uno dall'altro dalla stretta soglia del Passo dello Scalone, forma geologicamente una cosa sola con la vasta regione appenninica meridionale, con la quale ha comuni la natura calcarea, o dolomitico-calcarea delle rocce, la circolazione delle acque, la vegetazione, per lo più raccolta alle falde delle montagne e nelle valli, e la stessa fisionomia generale del paesaggio. Tutto il rimanente, cioè la maggior parte della regione geografica calabrese, a mezzogiorno di questa linea, è un insieme di terre anch'esse rilevate e montuose, ma di natura geologica diversa, e d'aspetto e di paesaggio, singolari nel complesso della regione fisica italiana. I rilievi di questa Calabria geologica sono formati essenzialmente di rocce d'età arcaica o primaria, cristalline eruttive o scistose (graniti, porfidi, dioriti, gneiss, micascisti, ecc.), profondamente degradate dall'azione atmosferica, sicché in essi prevalgono le forme ad altipiano e a dorsali, con allineamenti di cupole uniformi o mescolanze delle une e delle altre. pag. 21


Questa massa più ampia e più antica, allungata da nord a sud, penetrata durante l'età secondaria e la terziaria da ampî golfi marini, ancor oggi assai bene distinguibili nell'orlo interno delle sue pianure e delle sue grandi valli, dovette ricevere la sua attuale forma da sollevamenti e sedimenti, nel Pliocene. Di qui le grandi formazioni periferiche calcaree, argillose, marnose di arenarie e conglomerati, le quali fanno sì che, l'aspetto della regione, nelle sue parti più alte è piuttosto uniforme e austero, mentre nelle parti più basse e fiancali è più vario e più pittoresco. A queste stesse formazioni sedimentarie ed alluvionali del Quaternario, tuttora largamente attive, si deve poi anche la completa saldatura fra la montagna cristallina eruttivo-scistosa e la montagna calcarea e dolomiticocalcarea. Fu tale saldatura che, colmando il vasto golfo pliocenico, ora occupato dalla Piana di Sibari e dalle vallate degl'influenti del corso inferiore del Crati, determinò il definitivo formarsi della regione geografica calabrese. A costituire questa unità e a includervi, oltre il bacino del fiume Lao, inclinato verso il Tirreno a nord-ovest di una potente uniforme barriera calcarea (Cozzo Pellegrino, m. 1986, i Paratizzi, m. 1793, M. La Mula, m. 1931), anche la già ricordata montagna estrema nord-orientale, sino alla fiumana Castrocucco, contribuì pure la conformazione costiera delle due parti geologicamente differenti del rilievo, dalla Punta di Castrocucco sino alla Punta Pezzo, all'inizio dello Stretto di Messina e, di qui, sino alla pianura di Metaponto. Essa, infatti, riceve il suo carattere dalla presenza di una quasi ininterrotta e piatta cimosa litoranea alluvionale, più ampia, che si allarga, sino a formare brevi pianure costiere sullo Ionio, meno ampia e a volte esigua lungo il Tirreno, con vaste e spesso larghissime falcature, poco profonde, che si stendono fra l'uno e l'altro dei rari promontorî della regione. Da questa orlatura, continua ed uniforme anche sul margine esterno delle grandi pianure dei golfi pliocenici (pianure del Lao, di S. Eufemia e di Gioia sul Tirreno, del Neto e di Sibari sull0 Ionio), deriva l'assoluta importuosità di tutta la costa calabrese. Ergo, su di un complesso di circa 780 km. di coste, non vi sono che due porti naturali: Reggio e Crotone. Comune poi a tutta la regione geografica calabrese, è la presenza di una cintura di terrazzamenti costieri, segnanti i varî periodi, di lenta emersione, che si sono succeduti alla fine del Terziario e nel Quaternario. pag. 22


Tali terrazzamenti sono rintracciabili anche nell'orlo interno delle grandi pianure, rispondenti ad antichi golfi marini. Il fenomeno è più grandioso e più nettamente visibile sul Tirreno, da Praia a Mare a Scilla. A questi sollevamenti del Quaternario sono da ricollegare i fenomeni di bradisismo di alcune parti della costa calabrese, e specialmente di quella meridionale. Dal sec. XII, sono stati registrati più di 30 disastrosi terremoti (dall'VIII al X grado della scala Mercalli), come quello famosissimo della Piana di Gioia, del 5 e 6 febbraio 1783, accompagnati da sconvolgimenti del terreno, trasporti di masse ingenti di terra, temporanee formazioni lacustri ed altro. La Calabria settentrionale comprende due parti rilevate: la Calabria calcarea e calcareo-dolomitica già ricordata e la massa geologicamente omogenea formata dalla Sila e dalla Catena costiera paolana. Tra la prima, saldata dalla soglia del Passo dello Scalone alla montagna calcareo-dolomitica la Montea, e la seconda, si addentra, per circa 35 km. da sud a nord, la parte più interna del grande golfo pliocenico della Calabria settentrionale, la Valle del Crati, largo nel suo fondo in media 3 km., ma in qualche punto anche più di 6, sbarrato a settentrione dai sedimenti tabulari che, staccatosi dalla catena costiera stessa e dalla Sila, costringono il fiume a cercarsi faticosamente una via verso lo Ionio, in una valle di erosione angusta e selvaggia (Valle di Tarsia), che è ovviamente priva di strade e ferrovia. A mezzogiorno, la Catena costiera e la Sila sono unite da una larga soglia alta in media 700 m., inclinata per circa 15 km. da sud a nord, fra Rogliano e Cosenza, e scendente ripidamente, col suo fianco meridionale, sul profondo affossamento della valle del Savuto. La Catena costiera è una dorsale di rocce cristallino-scistose, che si allunga per circa 70 km. sino al corso inferiore del Savuto, con un'uniforme linea di vetta, distante solo 6 km. dal Tirreno. Essa culmina a 1541 m. con il Monte Cocuzzo, che, sorge all'inizio di un lungo contrafforte della sua estremità meridionale. La Sila è un vasto altipiano di perimetro pressoché circolare, dell'altezza media di 1200 m e culminante a 1929 m. con il Monte Botte Donato, il cui fianco occidentale scende, dopo un alto orlo, sulla valle del Crati, mentre gli altri fianchi sono meno alti e assai meno ripidi e si rompono nelle formazioni collinari e negl'intricati ondulamenti di ampie pag. 23


zone premontane, approdanti sulla piana di Sibari e sullo Ionio. La Sila è di natura prevalentemente granitica. Nella sua orlatura rilevata si presentano le stesse formazioni scistose della Catena costiera; mentre sul fianco settentrionale e quello orientale si stende una larga fasciatura di terreni secondarî e terziarî (calcari, argille e arenarie), che e forma il caratteristico paese costiero ionico, che si spinge a sud-est, fra il Neto e il Tacina, a forma di penisola, in un ampio sollevamento di argille azzurrastre, il cosiddetto Marchesato di Crotone. dell'altitudine media di 200 m.,. Verso sud-ovest la Sila spinge una diramazione che, fra Savuto e Amato, dopo la soglia di Soveria Mannelli (774 m.), s'innalza nel M. Reventino, donde si biforca verso est e verso ovest formando un'ampia spalliera boscosa (Montagna nicastrese), che scende terrazzata a mezzogiorno verso la vallata inferiore dell'Amato e la pianura di S. Eufemia; la quale è in gran parte di formazione alluvionale e rientra perciò quasi tutta nella Calabria settentrionale. La Calabria meridionale s'inizia con una serie di terrazzamenti che occupano la massima parte dell'Istmo di Squillace. La linea di spartiacque Ionio-Tirreno lo attraversa su di un'esile groppa (La Carrupa o Gola di Marcellinara, 250 m.), che segna la massima depressione di tutto il rilievo italico peninsulare, dall'Appennino Toscano all'Aspromonte. I terrazzamenti (Piani di Caraffa, di Borgia, di Cortale, ecc.) cingono il fianco settentrionale e si continuano lungo l'occidentale e il meridionale dell'Altipiano delle Serre, il quale, insieme con quello meno esteso e di minore altitudine media (500 m.) ed il Monte Poro, (702 m.) dell’Altipiano vibonese, nettamente terrazzato verso il mare e verso il Megima, riproduce nella Calabria meridionale la presenza di una vasta zona arcaico-cristallina, in prevalenza granitica, penetrata da una zona di depressione (la vallata del Mesima), riempita di detriti alluvionali e aperta verso il mare. Il fianco orientale comprende, nella sua orlatura, meno nettamente continua di quella dell'occidentale, la massima altitudine dell'altipiano, con il Monte Pecoraro (m. 1420). Il fianco meridionale termina al piano della Limina (gr. λίμνη "palude"), da cui s’allunga una dorsale tabulare granitica, dell'altitudine media di 900 m., che, con un succedersi uniforme di piani, giunge sino al vero e proprio Aspromonte. pag. 24


Pentedattilo - Paesaggio tipico dell’Aspromonte (1)

_________________ Aspromonte, in dialetto calabrese asprumunti è un massiccio montuoso dell'Appennino meridionale, situato in Calabria meridionale, in provincia di Reggio Calabria e limitato a est dal mar Ionio, a ovest dal mar Tirreno, a sud dallo Stretto di Messina e a nord dal fiume Petrace e dalle fiumare di PlatÏ e di Careri.

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L'Aspromonte, col quale termina l'intero rilievo calabrese, è un vasto acrocoro di natura scistosa, culminante a 1956 metri con la cima di Montalto. Simile ad un immenso cono, è solcato profondamente a raggiera dalle acque superficiali ed è vastamente terrazzato, da mezzogiorno a nord-ovest. La Calabria meridionale comprende, infine, la Piana di Gioia o di Rosarno, formata dalle alluvioni delle Serre, dell'altipiano dei Pori e della montagna tabulare, e l'ampia costa geracese(1). In complesso, nonostante la presenza di parti basse e vallive più o meno ampie, la Calabria è paese che dalla montagna riceve tutti i caratteri del suo aspetto e quelli della sua civiltà demografica ed economica. Nel rilievo complessivo si distinguono due grandi versanti: quello ionico e quello tirrenico. Il primo risulta assai più ampio del secondo, occupando la massima parte della Calabria settentrionale e più che metà della meridionale. I maggiori bacini fluviali sono ionici, come le estensioni di altipiani e la maggior parte delle coste. La stessa civiltà calabrese ebbe in passato caratteri soprattutto ionici, che anche sul versante tirrenico, si sono manifestati più evidenti e importanti che non gl'influssi della civiltà settentrionale.

Gerace

___________ 1) Gerace (Ièrax, Jèrax in greco-calabro, Jeràci in calabrese[2]) è un comune italiano di 2.715 abitanti della città metropolitana di Reggio Calabria, in Calabria.

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Capitolo IV Etnia, dialetti e folklore della Calabria Etnicamente la Calabria si presenta abbastanza compatta ed omogenea, nonostante le immistioni, nell’alto Medioevo, d'invasori africani ed orientali, che hanno lasciato traccia di loro sulle coste della parte più meridionale della regione, alterando visibilmente il tipo somatico arianoitalico, derivante dai sabellici Bruzî. Costoro, nel secolo VI e nel V a. C., occuparono l'odierna penisola calabrese, sopraffacendo le popolazioni primitive, probabilmente rispondenti ad anteriori immigrazioni, esse pure ariane, e sostituendosi a poco a poco, anche sulle coste, all'elemento greco, immigratovi nei secoli VIII e VII a. C. (Magna Grecia). Gruppi particolari di popolazioni immigrate nella Calabria durante il Medioevo e al principio dell'età moderna, i Neogreci dell'Aspromonte meridionale, gli Albanesi delle provincie di Cosenza e Catanzaro (v. albanesi d'talia) e i Gallo-provenzali di Guardia Piemontese non hanno in nulla alterato la fisionomia etnica calabrese, rimanendo nettamente separati, anche linguisticamente, dal resto della popolazione calabrese. Per quanto riguarda i dialetti, Conviene tener distinta, nell'esame linguistico, la zona calabrese meridionale, da quella settentrionale. Da Catanzaro sino alla punta estrema della Calabria, il vocalismo ha caratteri siciliani: l'é e l'ó vi si fanno í e ú rispettivamente, senza riguardo alla vocale d'uscita (p. es. catanz. vina "vena", Serrastretta, vina, regg. vina, ecc.; vutu, gula, ecc.); anche l'-e e l'-i s'incontrano in -i nel tratto estremo da Nicastro e Tropea sino a Reggio e Melito Porto Salvo (p. es. kori, denti, ecc.); ma questo fenomeno si rinviene anche in una zona centrale, ad Acri. Nel tratto settentrionale, lo sviluppo per í da é è condizionato dall'uscita in -ŭ e -ī (vena a Saracena, Acri, Mangone, Melissa, ma gilu, pilu, dappertutto), mentre più esteso e, si potrebbe dire, generale, è l'ú da (a vúkka "la bocca", gúvitu, vúvitu "gomito", nepúte "nipote", ecc.); e anche l'-e non volge a -i (kore, dente a Saracena, Mangone, ecc.), mentre dappertutto l'-o s'incontra con l'-u. Un analogo parallelismo, col tipo siciliano da un lato e il napoletano dall'altro, si osserva nello svolgimento delle vocali aperte é e ó, perché mentre queste rimangono invariate quando la parola non finisce per -ī e – pag. 27


ŭ (pelle, peḍḍe, dente, kore e kori, ecc.), si dittongano, sia in sillaba libera, sia in posizione, quando si abbiano le condizioni metafonetiche, particolarmente nella zona settentrionale (p. es. úossu "osso", ma òssa "ossa", ad Acri, Serrastretta, ecc.; invece abbiamo óssu al singolare a Reggio, a S. Pantaleone, ecc.); e in modo analogo, avremo al singolare dènte, ma al plurale díenti, diénti, dinti nella zona centro-settentrionale e dènti in quella meridionale. Per quanto riguarda il folklore, le ricerche comparative hanno dimostrato il carattere magico-religioso e l'antichità di molte fra le tradizioni popolari calabresi. Secondo usanze ora dismesse, si diceva acceppata la fanciulla, sulla cui soglia l'innamorato, per farsi intendere da lei, avesse posto un ceppo adorno di nastri; e scapellata quella a cui il pretendente avesse strappato in pubblico il copricapo per indurre i genitori riluttanti al consenso. In S. Giovanni in Fiore, nella vigilia delle nozze, la sposa riceve il cistiellu (cesto) contenente gli abiti nuziali, che lo sposo le manda con una bambola di caciocavallo, adorna degli ori per la cerimonia. La nascita di un bambino, se maschio, si annunzia con cinque colpi di fucile, se femmina, con quattro. Nel primo caso, la creatura si porta al fonte battesimale adorna di nastri azzurri, facendole poggiare il capo sul braccio sinistro; nel secondo, adorna di nastri rossi, col capo sul braccio destro; prima del battesimo è paganella e non dev'essere guardata, né baciata. Le nenie funebri (repitu) diffuse un tempo, ma proibite dai sinodi diocesani, sono ora scomparse. Rigide norme governano il lutto: il focolare è spento, la porta è abbrunata; gli uomini non radono la barba; la vedova dell'ucciso ne indossa il cappotto. Gli abiti tradizionali maschili sono scomparsi: il cappello a cono adorno di fettucce, le brache di panno o di velluto verde o turchino, le calzette di lana nera o chiara. Perdurano invece i costumi femminili, fra cui caratteristici il panno rosso (sottana di color scarlatto), nel territorio che va da Belvedere Marittimo a Tiriolo; l'abito nero nella zona attorno a S. Giovanni in Fiore; la gonna azzurra, nella provincia di Reggio. Feste e spettacoli rappresentano l'apoteosi del santo patrono, al cui intervento varî paesi attribuivano la salvezza dalle aggressioni dei corsari barbareschi. Avanzi di sacre rappresentazioni si vedono nella settimana pag. 28


della Passione. Nella notte del Natale, sul focolare arde il ceppo contornato di tanti altri piccoli ceppi quante sono le persone della famiglia. A Carnevale le vie e le piazze sono percorse dalle comitive dei zupini e dei farsanti, che mettono in parodia gli avvenimenti paesani.

Bambola di caciocavallo

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1) Una riproduzione in ceramica della bambola di caciocavallo, che oltre a recare gli ori per la funzione nunziale, nei primi del 1900, si dava in regalo, ai bambini, che attratti dalla forma accattivante, non esitavano a succhiare, masticare e, quindi, ingerire “la pupaâ€?, nutrendosi e, contemporaneamente, assumendo il calcio contenuto nel formaggio. Molto utile risultava anche per rinforzare le gengive nell’etĂ della dentizione, alla stregua di quei cerchietti in gomma, che oggi diamo ai nostri bimbi allo scopo di alleviarne il prurito. Altro utilizzo era quello di decorare le tavole nei giorni di festa. La forma veniva ottenuta dall’inserimento della pasta filata del caciocavallo in appositi stampi di legno, che venivano intagliati dai pastori con attrezzi di fortuna, durante le lunghe giornate passate a pascolare i loro animali. Questi stampi erano formati da due pezzi che venivano sovrapposti per creare, a tutto tondo, la forma di una donna con il suo lungo vestito.

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Capitolo V Il nome Italia secondo Antioco ed Aristotele Secondo Antioco di Siracusa (Dion. Halic., I, 35), il nome d' Italia derivava da quello di un potente principe di stirpe enotrica, Italo, il quale avrebbe cominciato col ridurre sotto di sé il territorio estremo della penisola italiana, compreso tra lo stretto di Messina e i golfi di Squillace e di Sant'Eufemia, e, chiamata questa regione da sé stesso Italia, avrebbe poi conquistato molte altre città. Questa è una delle solite leggende a schema eponimico, ma se ne è voluto dedurre che l'estensione originaria del nome d' Italia non valicasse i confini dell'estrema punta della penisola, del che si è cercata una conferma in Ecateo, del quale abbiamo frammenti, che assegnano all'Italia Medma, Locri e Caulonia; ma non si può escludere che egli attribuisse del pari all'Italia altre località, e nell'estensione assegnata da Antioco al nome originario d'Italia non è lecito vedere più che una semplice congettura dell'autore. Quello che è certo è che, al tempo in cui egli visse, il nome d'Italia designava la regione compresa tra lo stretto di Messina, il fiume Lao e il confine orientale del territorio di Metaponto, come risulta da Strabone (VI, 24), e anzi Erodoto colloca Taranto in Italia (I, 93; III, 136, cfr. Dion. Halic., I, 73), ma poiché pure per Tucidide (VII, 33, 4) l'Italia comincia a Metaponto, è meglio attenersi per allora a questo confine. Anche Aristotele (Polit., VIII, 1329 b), seguendo Antioco, faceva derivare il nome d'Italia dal re Italo. Ellanico, invece, raccontava che, mentre Eracle traversava l'Italia per condurre in Grecia il gregge rapito a Gerione, gli fuggì un capo di bestiame, e, ricercandolo affannosamente, avendo saputo che, nella lingua locale, la bestia veniva chiamata vitulus, chiamò Ούι-ταλίαν tutta la regione. L'essenziale di questo racconto è la riconnessione del nome d'Italia alla voce vitulus, come affermano anche Timeo e Varrone, usando l’espressione: quoniam boves Graeca vetere lingua ἰταλοι vocitati sunt, quorum in Italia magna copia fuerit. È evidente, infatti, che ἰταλός è una riduzione greca del latino vitulus, operata dai greci delpag. 30


l'Italia meridionale. Un'espressione figurata della stessa riconnessione si ha nelle monete osche, battute durante la guerra sociale, con la figura del toro e nell'epigrafe Viteliu, sia che questa parola alluda alla capitale degl'Italici, Corfinio, che vediamo dagli scrittori chiamata Italica, sia che debba intendersi qual nome della dea Italia (v. Corp. Inscr. Lat., IX, al. n. 6088). Se in conformità di queste opinioni degli antichi noi ammettiamo questa riconnessione, la potremo spiegare semplicemente con la ricchezza in bestiame bovino della regione, specialmente in quella parte da cui il nome prese origine, o anche si potrà pensare che il vitello fosse il totem della stirpe degl'Itali, ricordando come anche i nomi di altre popolazioni italiche derivano da animali. E, del resto, è più probabile che la regione abbia preso nome dal popolo che non viceversa. Comunque, l'etimologia d'Italia da vitulus (umbro vitlu) è certa: la caduta del v iniziale si può agevolmente spiegare con l'essere stata la parola trasmessa ai Romani dai Greci dell'Italia meridionale, e con la stessa ragione ci possiamo spiegare la lunghezza della i iniziale di Italia di fronte alla i breve della prima sillaba di vitulus. Ma se questa derivazione è accettata dai più, non mancano storici, come il Niese, e glottologi, come il Walde, che la ritengono incerta, e vi è addirittura chi la nega, come l’ Orlando. Nel corso del sec. IV a. C. il nome d' Italia si estese, dall'una parte, sino a Posidonia e, dall'altra, comprese Taranto (Dionys., I, 74, 4 e Strab., V, 209); intorno al 300 a. C. si allargò alla Campania (Theophr. presso Athen., II, 43 b). Quando poi nei primi decennî del sec. III a. C. tutta la penisola, dall'Arno e dall'Aesis allo stretto di Messina, fu amministrativamente e militarmente unificata sotto la dominazione romana, e le diverse stirpi che l'abitavano, Latini, Sabelli, Etruschi, Apuli e Greci furono costretti a combattere sotto le insegne di Roma, con la comune designazione di togati, cioè uomini della toga, il nome d'Italia abbracciò tutta la penisola nei limiti indicati. pag. 31


Infine, la conquista del territorio padano e la consapevolezza dell'unità geografica della penisola fecero sì che nel corso del II secolo il nome Italia, pur conservando in senso stretto il significato politico sino al limite Arno-Aesis, si allargasse, di fatto, a tutto il territorio tra le Alpi e i due mari italiani. Le prime testimonianze su questo uso più largo del nome sono in Polibio e in Catone. E l'estensione anche ufficiale del nome a tutta intera la penisola fu compiuta allorché Ottaviano, nel 42, abolì la provincia Cisalpina creata da Silla e comprese anche l'Italia settentrionale nella sua divisione in regioni. L'unione amministrativa della Sicilia, Sardegna e Corsica, che avevano formato fino ad allora provincia a sé, all'Italia si ebbe solo con Diocleziano, che comprese le tre isole nella diocesi italiciana, suddivisa in annonaria e urbicaria: la prima, corrispondente all'Italia settentrionale con la Rezia, la seconda, all'Italia centrale e meridionale con le isole, rette rispettivamente dal vicarius Italiae residente a Milano, e dal vicarius Urbis residente in Roma. Particolarmente tormentate sono le vicende del nome dal secolo VI al XII. Non era riuscito ai Goti di sostituire al sacro nome Italia quello di Gothia, ma sotto la dominazione longobarda, per un certo periodo, i due nomi Italia e Longobardia vennero usati indifferentemente, finché non prevalse il termine Langobardia, ma sempre riferito alla regione sottoposta ai nuovi dominatori. Ancora nell'806, infatti, un documento ufficiale carolingio recita testualmente: "Italiam... quae et Langobardia dicitur".

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Poseidonia (Paestum) – IV secolo A.C. (1)

___________________ 1) Paestum, nome latinizzato del termine Paistom con il quale venne definita dopo la sua conquista da parte dei Lucani, è un'antica città della Magna Grecia, chiamata dai fondatori Poseidonia in onore di Poseidone, ma devotissima a Era e Atena. Racchiusa dalle sue mura greche, così come modificate in epoca lucana e poi romana. In passato era nota anche come Pesto. La città è stata abitata fin dall'epoca preistorica.

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Capitolo VI Dall’epoca post-carolingia al Risorgimento Con l'epoca post-carolingica, l'antica denominazione di regnum Italiae, già affermatasi con Odoacre e identificantesi presso a poco con la dioecesis italiciana, risorge per circoscrivere generalmente i limiti dell'Italia longobarda, dalla valle padana al Friuli e all'Istria non costiera, fino al Patrimonio di S. Pietro. Nel mezzogiorno della penisola, sottoposto ai Bizantini, per quanto per le successive diminuzioni del loro dominio, finisse più che altro con designare i territorî loro rimasti "in Italia" e, nel tempo stesso, si venissero affermando gli altri nomi regionali, il nome d'Italia si mantenne a lungo. Infatti, sul finire del sec. X, troviamo un catapano(1) "d'Italia" detto qualche volta anche "d'Italia e Calabria"). Analogamente, in altre regioni si trova l'espressione "d'Italia" con significato di "in Italia": marchesi d'Italia, Ottone I crea per Alberto Azzo d'Este la "marca d'Italia" (uno dei discendenti s'intitola "dux Italiae") e nel 1093 Umberto II di Savoia è conte di Moriana e "marchio Italiae". Interessante la vicenda dei titoli di Ruggiero II di Sicilia. Come Roberto il Guiscardo nel 1082 s'era intitolato "invittissimo duca d'Italia, di Calabria e di Sicilia", e Ruggiero stesso "conte di Calabria e Sicilia e di tutta la regione italica", poi, divenuto re nel 1130, si chiamò "re d'Italia". Il titolo si riferiva senza duhbio ai territorî bizantini dell'Italia meridionale. Col sec. XI la denominazione viene assumendo limiti più precisi, per quanto sempre circoscritti. In un diploma di Enrico lI, a favore del monastero di S. Sofia di Benevento, si accenna ai possessi "tam infra Italicum regnum quam eciam in Apuliae partibus" (1022): la penisola veniva dunque considerata divisa in due parti: il Ù

________________________ 1) Catapano (o Catepano) da κατά (katà) ed ἐπάνος (epànos), "colui che sta al di sopra" è il termine utilizzato inizialmente per indicare un alto ufficiale bizantino.

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regno Italico e l'Apulia, termine generico per l'Italia meridionale, all'incirca a sud della linea Garigliano-Pescara. Nel 1208, il patriarca d'Aquileia viene nominato da Ottone IV "legatus tocius (totius) Italiae" e cioè "tam in Lombardia quam per universam Tusciam nec non in ducatu Spoleti et Marchia Anconitana et Romandiola". Nel corso del secolo XIII la suddivisione geografica d'Italia si va facendo sempre più precisa e insieme il concetto dell'unità geografica d'Italia si viene diffondendo, finché si giunge all'affermazione solenne di Dante, che, oltre a delimitare i confini della nazione con assoluta precisione geografica, riconosce l'unità linguistica, storica e culturale dei suoi abitanti. Da allora, il concetto d'Italia rimane immutato. Con il Settecento, il nome Italia acquista un rilievo più forte rispetto al significato tradizionale, culturale, quello che già sopra fu detto politico-amministrativo. Più vivo si fa negli Italiani il legame ai problemi italiani. mentre la coscienza letteraria s'avvia a diventare coscienza più determinatamente politica. Con l'avvento della Rivoluzione, scrittori e giornali invocano "la repubblica italiana una e indivisibile" (1796) o la riunione in "una nazione dei diversi popoli d'Italia" (1797). Col 1802, infatti, la Repubblica Cisalpina assume l'augurale nome di italiana, e d'Italia o italiano o italico sarà tre anni dopo il nuovo regno, esteso a così gran parte della penisola. Pur nell'incertezza provocata dalle delusioni recenti e dalla diversità delle aspirazioni e dei programmi, il senso politico del nome d'Italia più non si perde. Federalisti e unitarî pensano ormai a una "Italia" concreta e ben differenziata dalle terre straniere. E il nome di "Ausonia" che i carbonari mettono innanzi nel loro progetto di una repubblica, non è che un'effimera, letteraria invenzione; perché subito il nome ritorna ad essere quello d'Italia, che, nel'32, lo statuto della Giovane Italia porrà alla cerchia delle Alpi e ai tre mari. E il regno d'Italia, imposto dalla realtà nuova, maturata in un secolo e mezzo di tentativi e di lotte, è già vivo pag. 35


Una seduta della Carboneria (1)

_________________ 1) Accanto alle rivendicazioni liberali si faceva strada, con forza, una richiesta molto precisa : rea-lizzare l’Unità d’Italia. Al centro di questi rivendicazioni, si vennero a trovare le società segrete riunite nella Carboneria, il cui nome simbolicamente trovava origine dai carbonai, i venditori di carbone (allo stesso modo con cui già i massoni si erano ispirati ai simboli dei muratori).Nel Meridione tra i protagonisti principali del moto rivoluzionario vi furono gli ufficiali Michele Morelli e Giuseppe Silvati entrambi arrestati dopo il fallimento del tentativo costituzionale (scon-fitta di Antrodoco) e giustiziati nel 1822.

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nelle coscienze degli Italiani e il 17 marzo 1861 nasce ufficialmente, quando ancora Roma e Venezia e altre regioni sono sotto diversa signoria. Concludendo, qualunque sia la tesi più attendibile, è certo però che originariamente il nome Italia si riferiva soltanto all’estremità meridionale della nostra penisola, l’odierna Calabria. Più tardi si estese alla Campania e, quando Roma assoggettò al suo dominio tutti i popoli compresi fra l’Arno e lo stretto di Messina, esso passò a indicare tutto questo territorio. Sotto l’imperatore Ottaviano (63 a.C. – 14 d.C.) il nome fu esteso ufficialmente all’intera penisola, fino all’arco alpino, e con Diocleziano (245-313 d.C.) furono amministrativamente riunite sotto lo stesso nome anche le isole. Allora? Allora è il meridione che ha dato il nome alla penisola, così come è il meridione ad essere portatore di civiltà, arte e cultura.

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Bibliografia. F. von Duhn, Italische Gräberk, I, Heidelberg 1924, pp. 52-66; L. Pigorini, Preistoria (Cinquant'anni di storia italiana), Roma 1911, passim; P. Orsi, Le necropoli preelleniche calabresi di Torre Galli, ecc., in Mon. antichi Lincei, XXXI (1926); D. Randall-Mac Iver, The Iron Age in Italy, Oxford 1927, pp. 178-210; D. Topa, Le civiltà primitive della Brettia, 2ª ed., Palmi 1927; R. Vaufrey, Le Paléolithique italien, Parigi 1928, p. 62. E. Cortese, Descrizione geologica della Calabria, Roma 1895; T. Fischer, La penisola italiana, Torino 1902, pp. 300-310; S. Pagano, La Calabria, Catanzaro 1927; G. Algranati, Basilicata e Calabria, Torino 1929; G. Isnardi, Sul confine terrestre della Calabria, in Atti dell'XI Congresso geografico italiano, Napoli 1930; S. Pagano, Qualche esempio di movimenti di popolazione in Calabria, in L'Universo, VIII (1927); M. Valenti Millotti, I centri costieri della Calabria e il loro sviluppo, Catanzaro 1924; Taruffi, De Nobili, Lori, La questione agraria e l'emigrazione in Calabria, Firenze 1908; Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia, V, Roma 1911; Annuario statistico italiano, dal 1878 al 1929; F. Scerbo, Sul dialetto calabro, Firenze 1886; A. Gentili, Fonetica del dial. cosentino, Milano 1897; G. Bertoni, Italia dialettale, Milano 1916; Jaberg e Jud, Sprachu. Sachatlas Italiens u. der Südschweiz, Zofingen, I (1928), II (1929); N. Cortese, La Calabria ulteriore alla fine del sec. XVIII, Napoli 1922; O. Dito, La storia calabrese e la dimora degli ebrei in Calabria, Rocca S. Casciano 1916; N. Cortese, La rivoluzione calabrese del 1848, Catanzaro 1895; F. Lenormant, La Grande Grèce, voll. 3, Parigi 1881-1884; E. Pontieri, I primordi della feudalità calabrese, Milano 1922; E. Pontieri, , la Calabria del sec. XV e la rivolta di Antonio Centeglia, Napoli 1924; F. Fava, Il moto calabrese del 1847, Messina 1906; G. Minasi, Le chiese di Calabria dal V al XII sec., Napoli 1896; V. Visalli, I calabresi nel Risorgimento italiano, Torino 1891; L. M. Greco, Annali di Citeriore Calabria dal 1806 al 1811, Cosenza 1872; B. Chimirri, La Calabria e gl'interessi del Mezzogiorno, Milano 1916; C. Pigorini-Beri, In Calabria, Torino V. Dorsa, La tradizione greco-latina negli usi e nelle credenze della Calabria citer., 2ª ed., Cosenza 1884; G. De Giacomo, Il popolo di Calabria, I, Castrovillari 1897; R. Corso, Patti d'amore e pegni di promessa, S. Maria Capua 1925; P. Rossi, Le rumanze e il folklore in Calabria, Cosenza 1903; M. Mandalari, Canti del pop. reggino, Napoli 1881; pag. 38


R. Lombardi-Satriani, Canti pop. calabresi, I, Napoli 1929; L. Di Francia, Fiabe e novelle calabresi, Torino 1929. Riviste: La Calabria (1888-1901); Il Bruzio (1878); Folklore calabrese (1915-1920); Folklore (1921-1929).

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Dello stesso autore:  Il VANGELO DI MATTEO (estetica morale, con prefazione di Domemenico Rea) De Luca ed.- Amalfi 1979- cod. SBN IT\ICCU|P-UV\13 68781  IL CORAGGIO DELLA VERITÀ, libro inchiesta sulla tragedia di Ustica - A.I.T.W. Ed., giugno 2012 - Cod. SBN IT\ICCU\NAP\0544907.  HERACLES IN MAGNA GRECIA,iconografia ragionata. Cod.SBN IT\ IT\IC CU\MO1\0035548  ME NE JEVE PE’ CASO, contaminatio in napoletano della 1,9 satira di P.Orazio Flacco - A.I.T.W. Ed. - Sa 2013 IT\ICCU\ NAP\0595558  ‘O VIAGGIO PE’BRINNESE contaminatio in napol. 1,6 della satira di Orazio Flacco- A.I.T.W.Ediz. - Sa 2013 Cod. IT\ICCU\RML\0361796  LA SIGNORA DELLA MORTE ( Mutter der toten ) radiodramma Ed. Palladio, Sa. 1980; (La Nuova Frontiera del 30/7/81) Biblioteca Fond. Siotto Alghero - Codice SBN SBL065441  FAEDRUS, le favole latine di Faedrus in versi napoletani - A.I.T.W. Ediz., giugno 2011- Cod SBN IT\ICCU\NAP\0568756  AISOPOS, le favole greche di Esopo in versi napoletani - A.I.T.W. Ed. ni, sett. 2011 cod. SBN IT\ICCU\NAP\0568683  LE PROBLEMATICHE DELL’ ADOLESCENZA verso la formazione del sé- A.I.T.W. Ed.- Sa 2013. Cod. SBN IT\ICCU\MO1-\0035831  LE PROBLEMATICHE DELL’ADOLESCENZA i comportamenti a rischio – A.I.T.W. Ed. - Sa 2013. Codice IT\ICCU\MOD\1622636  FILOSOFIA ARISTOTELICA, schiavitù ed oikonomìa - A.I.T.W. Ed. Sa 2014, II stampa. Cod. ISBN IT\ICCU\MOD\1628166  IL CANCELLERI Tommaso Guardati - A.I.T.W. Ed.ni - Salerno 2014.  LUCIA APICELLA, la madre di tutti i caduti – A.I.T.W. Ed. – Sa 2014.  LE PROBLEMATICHE DELLA VECCHIAIA E LA MUSICOTERAPIA- pubblicato su google play il 25 genn.2015, con codice n. GGKEY :K6C9CH8SW3Q E  CATULLO A NAPOLI, i carmi tradotti in napoletano – A.I.T.W. Ediz. Salerno, febbraio 2015 - IT\ICCU\MO1\0038568  LA MORTE DI CESARE, A.I.T.W. edizioni - Salerno, febbraio 2015  MACHADO IN NAPOLETANO, A.I.T.W. ediz.ni - Salerno, maggio 2015  LAS HOJAS MUERTAS, A.I.T.W. edizioni - Salerno, agosto 2015  EN LA BRUMA DEL SOL A.I.T.W. edizioni - Salerno, agosto 2015  LA FORMAZIONE AL SERVIZIO SOCIALE – Salerno – ottobre 2015 pag. 40


 LE PROBLEMATICHE DELL’INFANZIA MALTRATTATA – SA 2016  LINEE DI PROGETTAZIONE DEI SERVIZI SOCIALI – A.I.T.W.  Edizioni – sett.2016 cod. ebook GGKEY:Y6AG11W7PAY  NOX STRIGARUM - contamination in napoletano dell’VIII satira di  Quinto Orazio Flacco A.I.T.W. Edizioni Sa. Febbraio 2017.  LA MORTE DI PITONE, La fuga di Latona - A.I.T.W. Ed.ni,SA. 2017  ALCMENA – L’inganno di Zeus- A.I.T.W. Edizioni, Salerno 2017  AULOS – CANTI E MUSICA NELLA GRECIA ANTICA- A.I.T.W. Edizioni – Aprile 2017  ΑΦΡΟ∆ΙΤΕΣ − Afrodite, A.I.T.W. Ed.ni 2017 – GGKEY:BUE1U3G034U  ∆ΑΝΑΕ− Danae - A.I.T.W. Ed.ni –GGKEY:BKT5FZWCBCZ  LE PROBLEMATICHE DELLA a dolescenza – google libri  LE PROBLEMATICHE DELLA VECCHIAIA e la musicoterapia -

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INDICE: Note critiche …………………………………… pag.5 Premessa ……………………………………….. pag.6 Capitolo primo …………………………………. pag.8 Capitolo secondo ………………………………. pag.15 Capitolo terzo …………………………………… pag.20 Capitolo quarto …………………………………. Pag.27 Capitolo quinto …………………………………. Pag.30 Capitolo sesto …………………………………… pag.34 Bibliografia ……………………………………… pag.38 Dello stesso autore ……………………………….. pag.40

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Franco Pastore, scrittore salernitano, autore di numerose pubblicazioni di teatro, poesia, prosa e saggistica. Membro onorario dell’Accademia delle Scienze di Roma, dell’Academia Gentium Pro Pace e dell’Accademia Tommaso Campanella, ha vinto numerosi premi in Italia e all’estero. Docente di lettere in pensione, è giornalista iscritto alla G.n.s. Press e Direttore responsabile della rivista on line “Antropos in the World”.

In copertina:

Strabone, in greco: Στράβων, Strábôn; in latino: Strabo; è stato un geografo e storico greco antico - Amasea, ante 60 a.C. – Amasea ?, tra il 21 e il 24 d.C..

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