Free Service srl Edizioni - Falconara M. (AN) - Supplemento n. 2 al n. 1/2 Gennaio-Febbraio 2009 di Regioni&Ambiente - Poste Italiane s.p.a. - spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DGB Ancona
n. 1 Gennaio-Febbraio 2009 - Anno V
SOMMARIO Mercato dell’auto DOPO IL TONFO DEL 2008 IL NUOVO ANNO SI APRE ALL’INSEGNA DELLA CRISI CONCLAMATA ...............4
SELTEK srl SMONTAGGIO GOMME? RECFER PUNTA SU SEDA .................................. 22
Ecotecnica Srl FRANTUMATORI DI ECCELLENZA CON GARANZIA DI ASSISTENZA ...........................8
Rifiuti NUOVA CONDANNA DALL’UE PER L’ITALIA .............. 23 AUTOMOBILI: FUTURO ECOLOGICO ...................... 29
Qualità dell’aria MAL’ARIA 2008 ............................................. 10 LOGIMA srl I CANTILEVER LOGIMA CONQUISTANO L’ITALIA ...... 16
OMOLOGAZIONE DEI VEICOLI A MOTORE: DAL 2012 CAMBIANO LE REGOLE ......................... 33 Mercato dei rottami BRUTTA APERTURA PER IL 2009 ......................... 36
C.A.R. DEPOSITO TEMPORANEO DI AUTOVEICOLI PRESSO I CONCESSIONARI: LA PRONUNCIA DEL MINISTERO... 19
Il 21 dicembre 2008, a seguito di incidente stradale, è deceduto il Direttore Artistico di Free Service, Vinicio Ruggiero. Diplomato di Istituto d’Arte, pur avendo conseguito l’abilitazione all’insegnamento di Educazione Artistica (Scuola Media) e Discipline Pittoriche (Istituti Superiori), di fronte alla prospettiva di un lungo e defatigante precariato di supplenze nella sua Regione o di allontanarsene per ricevere incarichi duraturi, aveva ben presto iniziato la sua attività professionale di graphic designer presso una nota industria grafica marchigiana. In seguito, aveva affiancato al lavoro indipendente un’attività autonoma, avviando uno Studio dove si occupava nel poco tempo che gli restava a disposizione di pubblicità, architettura, arredo, fotografia, ecc. Queste esperienze gli offrirono l’idea di dar vita, assieme ad altri due soci, alla Free Service srl che, accanto ai servizi del preesistente Studio, aggiunse quelli editoriali, con la pubblicazione di Codici di Leggi Regionali e Nazionali, soprattutto su tematiche ambientali. Dedicandosi a tempo pieno a questa impresa, derivò la decisione condivisa di sperimentare la diffusione di uno strumento informativo e di aggiornamento normativo, che fosse di facile e tempestiva fruizione per operatori e pubblica amministrazione. Nacque così Regioni&Ambiente, divenuta in pochi anni una delle più apprezzate riviste del settore, anche grazie alle sue doti di creatività. E proprio all’interno di Regioni & Ambiente, per meglio fornire alla categoria degli Autodemolitori, su idea dell’amico Roberto Capocasa, decise di inserire, nel 2005 l’allegato Notiziario degli Autodemolitori, del quale, sin dal primo numero curò la parte grafica, contribuendo notevolmente al rilancio dell’immagine pubblica della categoria. Questa capacità di individuare la soluzione più opportuna, a dispetto delle perplessità iniziali di collaboratori e ristrettezza di tempi e strumenti, indispensabili per altri, si era dispiegata, inoltre negli allestimenti di aree per Convegni e Fiere, per conto di Enti ed Organismi istituzionali, ricevendone attestazioni di benemerenze. Il suo entusiasmo per ogni innovazione e la sua apertura verso nuove idee, indispensabili per saper affrontare con successo ogni attività imprenditoriale, li esercitava nella quotidianità, sia nella produzione artistica, partecipando a qualche mostra collettiva, dove si segnalava per sperimentazione continua di tecniche e materiali, sia nel tempo libero. È stato tra i primi a solcare le onde del mare con il windsurf (vinse un Campionato italiano nella categoria Master); ad intraprendere il volo su deltaplano (interrotto presto dopo una rovinosa caduta), a sperimentare il kitesurf (soluzione mediana dei due veicoli), ad usare lo snowboard sulle piste innevate. Praticò anche l’immersione subacquea, per poter esercitare la fotografia della vita marina di cui era cultore, tanto da allestire a poco a poco nella sua abitazione un grande acquario marino. Questo primo numero 2009 del Notiziario è dedicato a Vinicio che, tra gli altri, ha contribuito a far nascere questo prodotto editoriale, a dargli un’immagine e a veicolarne i contenuti, spesso tecnici e per questo poco accattivanti per il largo pubblico, attraverso un’estetica originale e mai stucchevole. Certo, sappiamo che la sua assenza umana e professionale non potrà essere colmata, ma memori della sua lezione cercheremo di “tracciare la strada, camminando”. Grazie Vinicio.
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Mercato dell’Auto
DOPO IL TONFO DEL 2008 IL NUOVO ANNO SI APRE ALL’INSEGNA DELLA CRISI CONCLAMATA Dagli operatori del settore la richiesta al Governo di misure di rilancio per il 2009 di Silvia Barchiesi
Un anno nero per il mercato delle quattro ruote in Italia. Si chiude, infatti, con un segno negativo il bilancio delle immatricolazioni nel bel Paese, nel 2008. Una battuta d’arresto senza precedenti, o meglio: il risultato peggiore degli ultimi dodici anni. In base ai dati diffusi dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, l’ultimo mese del 2008 ha infatti fatto segnare solo 140.656 immatricolazioni, con un calo del 13,29% rispetto al 2007. Ancora peggio i dati di ottobre e novembre che hanno registrato un -18,9 e un -29,5% rispetto agli stessi mesi del 2007. Insomma con 2,16 milioni di immatricolazioni, il 13,35% in meno rispetto al boom del 2007 e il 7,4% in meno dai 2,32 milioni di vetture immatricolate nel 2006, il 2008 si chiude con un bilancio di segno meno. E con lo stesso segno negativo apre anche il 2009 che, con 157.418 nuove immatricolazioni, contro le 234.000 dello stesso mese del 2008, incassa un –32,4%. Ad aggravare la già pesante situazione del 2008 il cosiddetto “effetto annuncio”: l’attesa degli incentivi e di misure a sostegno dell’auto e dell’intera filiera, annunciate dal Governo nel corso di un tavolo tecnico con parti sociali e rappresentanti di Confindustria, ANFIA, UNRAE, ANCMA, FEDERICPA, convocato lo scorso 28 gennaio, avrebbe infatti congelato la domanda di gennaio. Era da gennaio 1983 che non si registravano così poche immatricolazioni sul mercato italiano; mentre da dicembre 1993 non si assisteva ad un crollo su base mensile superiore: -43,71 %. Ma in picchiata non è solo il mercato italiano dell’auto. Soffre infatti anche l’auto europea. Anzi, il mercato del vecchio continente nel 2008 avrebbe proprio toccato il fondo con un calo del 7,8% rispetto al 2007 e un totale di 14.712.158 immatricolazioni di nuove vetture. Il peggior risultato dal 1993, secondo i dati diffusi dall’Acea (Associazione Europea Costruttori). Uniche isolate eccezioni ai mercati in rosso: Finlandia (+71,8%), Polonia (+10,7%) e Repubblica Ceca (+2,0%). E se è pur vero che la maglia nera va all’Islanda (-43,3%), seguita dalla Spagna (-28,1%), la crisi delle quattro ruote non risparmia di certo l’Italia, che per tutti i mesi del 2008, ha collezionato segni negativi a due cifre. Insomma con un saldo di 2.160.131 immatricolazioni e con una flessione del 13,35% rispetto all’anno precedente, il 2008 chiude in frenata per il mercato italiano dei veicoli commerciali leggeri. E il bilancio finale, con un saldo di 2.160.131 immatricolazioni e con una flessione del 13,35% rispetto all’anno precedente, segna rosso con circa 333.000 vendite in meno e una perdita di fatturato di 5,5 miliardi di euro. Questi i numeri di un’annata iniziata positivamente, ma che già da maggio aveva mostrato i primi segnali di difficoltà, sfociata in un autunno “freddo” per l’auto, e una vera e propria crisi nell’ultima parte dell’anno. Se, infatti, la prima parte del 2008 ha registrato un segno positivo nel primo trimestre
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(+11,1%), grazie al notevole portafoglio ordini acquisito a fine 2007, i mesi successivi hanno evidenziato una forte inversione di tendenza: così, dopo un primo semestre seppur lievemente positivo, il secondo si è chiuso con un vero e proprio crollo, aggravatosi ulteriormente nel gennaio 2009. Guardando alle singole marche, solo sei hanno chiuso il 2008 in crescita: si tratta di Audi che con 61.363 immatricolazioni, ha ampliato la quota dal 2,43 al 2,84% del mercato; Nissan che con 47.482 vetture ha guadagnato una fetta del 2,2% del mercato; BMW che con 45.321 autovetture ha incassato un +2,10%; Smart che con 33.807 immatricolazioni ha invece messo a segno un + 1,57%; Mazda che con 18.339 ha ottenuto un +0,85% e Skoda che con 17.671 immatricolazioni ha chiuso con un +0,82%. Nonostante il calo registrato in termini di volumi, secondo i dati dell’ANFIA (l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica), Fiat Professional in dicembre, con quasi 8.250 consegne (-18,4%), non solo ha mantenuto la leadership, ma ha migliorato di 2,4 punti la propria quota di mercato (42,1% contro il 39,7% del 2007). Nel 2008 segni meno, anche in doppia cifra, per tutti gli altri. A cominciare da Ford: 169.800 auto, calo del 14,95% e quota al 7,86% del mercato. A seguire nella classifica Opel (142.438 vetture, -19,43% e quota al 6,59%), Volkswagen (137.453 immatricolazioni, -9,93% e quota al 6,36%) e Citroën (116.049, -11,74% e quota al 5,37%). Tra le altre italiane, segni meno anche per Lancia con -10,09%, per 93.300 immatricolazioni che valgono 4,32% del mercato e Alfa Romeo che con 52.822 ha ceduto il 28,2% accontentandosi del 2,45% del mercato. E la situazione ad aggravarsi ancor di più nel 2009. Due le sole eccezioni ai segni meno: Alfa Romeo trainata dal successo della Mito (+18,21% a 4.102 immatricolazioni) e Audi (10,23% da 5.896 a 6.499). Male invece la Fiat con -33,7% e una quota di mercato che scende dal 25,87 al 25,46% e Lancia con un –34,1%. A gennaio male anche Toyota con il 53,2% di immatricolazioni in meno (da 10.031° 4.685) e una quota che si assottiglia da 4,3% al 3%, Renault che dimezza le vendite (-52,8%), Citroën che invece incassa una flessione del 43,08% e Peugeot del 33,6%. A scatenare la crisi del mercato dell’auto, secondo Gian Primo Quagliano, direttore del Centro studi Promotor di Bologna, sono: l’aumento del costo del denaro, la stanchezza della domanda dopo undici anni di vendite su livelli elevati e le maggiori difficoltà per ottenere credito al consumo; senza dimenticare, i rincari dei carburanti, il fallimento degli incentivi alla rottamazione nella formula depotenziata prevista per il 2008 e, soprattutto, l’entrata in recessione dell’economia italiana già nel secondo trimestre dell’anno. Questi, secondo Quagliano, i fattori del crollo, a cui avrebbe poi contribuito anche la crisi finanziaria ed economica mondiale.
“É ormai evidente che la crisi finanziaria è penetrata strutturalmente nelle dinamiche del mercato dell’auto”, commenta Salvatore Pistola, Presidente dell’UNRAE, l’Associazione che rappresenta le Case estere operanti in Italia. Dello stessa opinione anche Eugenio Razelli, Presidente di ANFIA, secondo cui le previsioni per l’anno appena iniziato non sono certo rosee. ‘‘O si recuperano volumi di produzione entro il primo quadrimestre, oppure il 2009 sarà un anno pesante per tutta la filiera automotive, profondamente toccata dalla crisi economica in atto” ha commentato Razelli. Insomma la flessione del mercato delle immatricolazioni sarebbe solo un campanello d’allarme di un trend negativo delle vendite nei mesi a venire. E lo stesso pessimismo emerge anche dall’inchiesta congiunturale condotta a fine dicembre dal Centro Studi Promotor su un campione di concessionari specializzati nella vendita di veicoli commerciali. Il basso volume del portafoglio ordini e la bassa remuneratività del business, a sua volta fortemente sacrificata dall’esigenza di forti sconti, lasciano infatti intravedere previsioni non positive per i prossimi mesi: per il 33% dei
concessionari, secondo il report di CSP, le vendite si manterranno infatti stabili su livelli già depressi, mentre per il 60% potranno addirittura diminuire. Un volume di immatricolazioni non superiore alle 1.850.000 unità con un calo del 14,4% sul 2008. Ma il calo di fiducia degli operatori economici è confermata anche dall’indagine ISAE (Istituto di Studi e Analisi Economica), che a dicembre ha registrato un crollo dell’indice di fiducia delle imprese ai minimi storici. E non solo. Dall’inchiesta da parte dei concessionari aumenta anche la consapevolezza della gravità della situazione. Lo rivela l’indagine congiunturale del CSP concessionari la ripresa del mercato dell’auto, in mancanza di misure di sostegno della domanda, non arriverà prima del 2010. Di qui la necessità immediata di provvedimenti governativi per rilanciare il mercato dei veicoli commerciali: “Senza incentivi o altre misure di rilancio della domanda, il 2009 si chiuderà con 1 milione e 850mila targhe”. A lanciare l’allarme è Gianni Filipponi, segretario generale dell’UNRAE. Numerose sono le richieste delle Associazioni di categoria, dall’ANFIA all’UNRAE, prime fra tutte. Il varo di nuovi e robusti incentivi alla rottamazione, in
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un’ottica ecologica e di sicurezza, incentivi necessari per l’ammodernamento del parco circolante, tra il più obsoleto dell’Europa occidentale, ma che rappresenta un settore che costituisce il 14% del PIL. Senza poi contare la necessità di misure strutturali sul credito, che secondo Salvatore Pistola, Presidente UNRAE, “è una misura fondamentale per l’intera filiera dell’automotive che si sviluppa sul credito: credito al sistema; credito alle Reti di vendita, credito ai consumatori. La prolungata stretta creditizia – ha commentato – non può che avere effetti deleteri sull’intero mercato”. Agevolare l’accesso al credito, secondo l’UNRAE, diventa quindi fondamentale, specie in un settore, come quello dell’auto, caratterizzato dall’80% di vendite con formule dilazionate. Sulla stessa linea dell’UNRAE, anche l’ANFIA che chiede misure strutturali sul credito, incentivi adeguati a stimolare
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l’ammodernamento del parco circolante e iniziative di investimento, interventi questi che sono necessari per ridare slancio ad un mercato che dal 1997 al 2007 si è sempre mantenuto su livelli molto elevati. Un po’ per via di ripetute incentivazioni pubbliche alla rottamazione, un po’ per una politica di forti promozioni, resta il fatto che per 11 anni, il mercato dell’auto ha tenuto. E ha tenuto bene. Lo scorso anno invece l’inversione di tendenza. E poi il tracollo nel 2009. Ma se la crisi dell’automotive travolge l’auto nuova, di certo non risparmia nemmeno quella usata che, dopo un lieve aumento del 2% nel mese di dicembre, a gennaio 2009 registra una brusca frenata: si sono registrati, infatti, 369.051 i trasferimenti di proprietà di auto usate a gennaio, con una variazione di –17,24% rispetto allo stesso mese del 2008, che ne aveva contati invece 445.903.
ECOTECNICA s.r.l.
La ditta ECOTECNICA s.r.l. che si è prefissata di innovare costantemente la propria gamma di prodotti per soddisfare le esigenze di un mercato in costante evoluzione, è lieta di presentare la nuova serie di cesoie “coccodrillo”che permettono ai recuperatori di risolvere la maggior parte dei problemi derivanti dal trattamento di materiali compositi. Nello specifico il TOP della gamma è rappresentato dal modello EC 500 FULL destinato soprattutto agli autodemolitori. La EC 500 FULL, dotata di un premilamiera oleodinamico, in grado di dare maggiore flessibilità nell’utilizzo della macchina, visto che la pressione esercitata dal premilamiera sul materiale trattato aumenta proporzionalmente alla forza di taglio delle lame, escludendo l’intervento diretto dell’operatore, consentendogli così di lavorare in assoluta sicurezza. Alla 500 FULL si affiancano le altre cesoie della gamma, che terminano con la “piccola” con bocca da 230 mm. Una fantastica macchina operatrice adatta alla pulizia dei metalli, alla riduzione e preparazione per il successivo riciclaggio di cavi elettrici, ecc. I prodotti ECOTECNICA si differenziano dalla concorrenza per la qualità dei componenti, per le soluzioni tecniche adottate e per tutte le parti meccaniche lavorate con macchine utensili. Durante Ecomondo 2008, esposizione fieristica tenutasi dal
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05 al 08 Novembre, è stata presentata la nuova pressa-cesoia realizzata dalla ditta Ecotecnica Srl. Questa imponente macchina ha immediatamente catturato l’interesse e l’attenzione di tutti gli operatori impegnati nel trattamento del rottame. Gli utilizzatori presenti alla manifestazione hanno notato le innovative soluzioni tecniche adottate e allo stesso tempo l’elevato grado di finitura e di robustezza della pressa cesoia. La filosofia costruttiva della Ecotecnica S.r.l., ormai un marchio distintivo di qualità, è stata enfatizzata in questa cesoia: il design elegante che fa risaltare allo stesso tempo la robustezza, si accompagna all’impiego rilevante di materiali come l’acciaio anti usura Hardox di spessori rilevanti, componentistica di prima qualità. L’apice di questa pressa cesoia è raggiunto con l’impianto oleodinamico realizzato in stretta collaborazione con la Bosch Rex Roth, leader mondiale dell’oleodinamica che ha profuso tutto il suo know- how acquisito in decenni di esperienza nel settore. Si è ottenuto così una macchina che non avrà rivali per la velocità, l’affidabilità e la durata nel tempo. La direzione e i commerciali della ditta Ecotecnica saranno lieti di fornire tutte le delucidazioni a chiunque ne faccia richiesta.
CARICATORE SEMOVENTE ECO 107 La società ECOTECNICA è lieta di presentare il caricatore ECO 107 che va ad aggiungersi alla già ampia gamma di macchine di sua produzione, dedicato al trattamento per riciclaggio ferrosi e metallici. L’ECO 107 pur posizionandosi tra i caricatori di piccola dimensione pesa infatti solo 10 tonnellate, è dotato di tutti i componenti presenti su macchine di categoria superiore. Tra le dotazioni spiccano: la doppia trazione 4x4, la cabina rialzabile ed ad ampia visibilità, la pala anteriore, un braccio telescopico che raggiunge i 7m con capacità di sollevamento di 1.200Kg, la torretta girevole a 360°, il cambio a 2 velocità. L’ECO 107 avrà un prezzo molto accettabile anche per i piccoli operatori che vogliono dotarsi di un macchina versatile atto a sopperire a tutte le necessità di caricamento e movimentazione.
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Qualità dell’aria
MAL’ARIA 2008
Legambiente pubblica il dossier sull’inquinamento atmosferico delle città italiane e stila una classifica dei complessi industriali più inquinanti d’Italia. Un indagine puntuale dei problemi e delle possibili soluzioni. Ne diamo un’ampia sintesi mostrando varie chiavi di lettura. a cura di Valentina Bellucci
Anche nel 2007 l’allarme polveri sottili è scattato, puntuale, in gran parte delle principali città italiane che non sono riuscite a rispettare i limiti imposti dalla legge: nella classifica di Legambiente su 63 capoluoghi monitorati 50 hanno superato il valore limite medio giornaliero di 50 µg/m³ per più di 35 giorni nell’arco del 2007 previsto per le polveri sottili (PM10). Torino è in testa con addirittura 190 superamenti, Cagliari 162, Vicenza 140, Reggio Emilia 139. Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Lombardia sono le regioni, tutte in pianura padana, in cui si registrano i valori più elevati di giorni di superamento del limite giornaliero relativo al PM10. Nella classifica delle città metropolitane, dopo Torino c’è Milano con 132 superamenti, Roma con 116, Napoli con 70. Ed il 2008 non sembra essere da meno. Infatti, sulla scia dell’anno appena trascorso, al 20 gennaio Frosinone ha registrato 17 giorni di superamento, Napoli 13, Milano 12, Firenze 10, Venezia e Bologna 8 e Roma 7. E se il buongiorno si vede dal mattino… Ma non è solo il 2007 l’anno in cui l’aria di città non ha goduto di buona salute. I dati di Ecosistema Urbano 2008 di Legambiente infatti mostrano come anche nel 2006 il 57% dei capoluoghi di provincia italiani non ha rispettato i limiti di legge previsti per gli ossidi di azoto (NOx), il 40% ha superato il valore medio annuo imposto per le polveri sottili e ben il 46% non è rientrato nei 25 giorni di superamento del limite medio giornaliero previsto per l’ozono a partire dal 2010. Evidentemente, le misure adottate finora dagli amministratori locali (blocchi del traffico, targhe alterne, domeniche a piedi) non sono sufficienti alla risoluzione del problema dell’inquinamento dell’aria in città, dove gli alti livelli di inquinamento sono imputabili prevalentemente al trasporto stradale. In generale, quindi, questi dati poco
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polveri sottili (PM10), benzene (C6H6), monossido di carbonio(CO), ossidi di zolfo (SOX) e di azoto (NOX), sono gli inquinanti considerati nella classifica dei complessi industriali più inquinanti d’Italia stilata in base ai dati riportati nel registro Legambiente - Mal’aria 2008
rassicuranti non sono affatto di buon auspicio dal momento che l’anidride carbonica è il principale gas serra, responsabile dei cambiamenti climatici e che, in base al protocollo di Kyoto, tra il 2008 e il 2012 l’Italia dovrebbe ridurre le sue emissioni del 6,5% rispetto a quelle relative al 1990. Nel
settore dei trasporti invece dal 1990 ad oggi queste sono aumentate di oltre il 25% e ora, per pareggiare i nostri conti con il pianeta, dovremmo ridurre di un terzo le emissioni dei trasporti entro il 2010 e fare altrettanto nei dieci anni successivi. Su questo le ultime novità arrivano dal fronte europeo, dove nel mese di dicembre 2008 il Parlamento Europeo ha approvato il “Pacchetto Clima-Energia” che contiene le strategia di eurolandia per conseguire efficienza energetica, risparmio, tutela ambientale, sostenibilità, nonché la mitigazione del processo di Global Warming. (ndr: per maggiori approfondimenti sul Regolamento sui nuovi limiti di CO2 per le auto, si rimanda al box a corredo
dell’articolo) Se i trasporti, in particolare quelli stradali rappresentano un importante fonte di inquinamento nel nostro paese, il loro contributo si va a sommare con quello di altri settori altrettanto inquinanti, come quello industriale che nel 2005 ha contribuito all’inquinamento
atmosferico con il 30% delle emissioni di SOX (ossidi di zolfo) e degli IPA (idrocarburi policiclici aromatici) e circa il 25% di quelle di PM10. Idrocarburi policiclici aromatici (IPA),
Per tutti, o quasi, spicca lo stabilimento Ilva di Taranto tra le acciaierie più grandi d’Italia e d’Europa, che da solo emette, sul totale delle emissioni derivanti dagli impianti industriali, ben il 93% degli Ipa, il 40,5% del C6H6, il 73,5% del CO, il 13,9% degli SOX e il 10% degli NOX. Rimanendo su questi ultimi due inquinanti un contributo importante alle emissioni arriva anche dalle centrali termoelettriche e in particolar modo dai tre impianti ENEL (Brindisi Sud, Venezia-Fusina e Genova). Questi dati dimostrano l’urgenza e l’importanza di interventi e miglioramenti nelle attività industriali e di produzione energetica per difendere non solo l’ambiente ma anche la salute dei cittadini che vivono a ridosso di questi impianti, come nel caso di Taranto. Sono ormai noti gli effetti sulla salute dell’inquinamento atmosferico, in particolare delle polveri sottili sulla salute. Gli studi più recenti inoltre, evidenziano il ruolo centrale del PM 2,5 (le polveri sottili di diametro inferiore ai 2,5 µm) e ancor più della frazione ultrasottile (le particelle minori di 0.1 micron: “Ultra
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Fine Particles” o UFP). La conferma più recente di questa consapevolezza arriva dall’Ordine dei Medici che nel 2007 ha ufficialmente preso coscienza del problema e ha deciso di inserire nel nuovo codice di deontologia medica un articolo dedicato alla “Educazione alla salute e rapporti con l’ambiente”. Questo significa che nel diagnosticare le malattie i nostri medici d’ora in poi dovrebbero tenere presente di dove viviamo e a che livelli di inquinamento siamo quotidianamente esposti. Ma è solo quello che respiriamo che ci fa male o anche quello che “sentiamo”? Uno studio eseguito sugli impatti dell’inquinamento acustico dall’Eurispes stabilisce che nel 2004 erano circa 7 milioni gli italiani affetti da disturbi uditivi e identificava in 7 su 10 il numero di individui esposti ad eccessivi input sonori. Questi dati portano ad una stima economica, basata sui danni diretti ed
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indiretti, pari a circa 20 miliardi di euro. E in risposta a tutto questo c’è ancora una scarsa attenzione al problema da parte delle amministrazioni che si evidenzia attraverso uno scarso o nullo numero di controlli (dai dati di Ecosistema Urbano 2008 risulta che nel 2006 sono stati 30 i capoluoghi di provincia in cui non vengono eseguiti controlli sui livelli di rumore e solo 8 quelle in cui i controlli in un anno sono più di 100), anche se, come dimostrano i dati del Treno Verde di Legambiente, i livelli di rumore registrati durante il viaggio del 2007 nelle principali città italiane sono ben oltre i limiti di legge. Ma se in Italia non respiriamo certamente un’aria salubre, anche in Europa la situazione non è migliore. Il rapporto Ecosistema Europa 2007 di Legambiente e Ambiente Italia su 30 città europee mostra infatti che anche in questo caso nel 45% delle città le concentrazioni
medie annue di polveri sottili sono state maggiori della soglia stabilita dalla legge e anche per gli ossidi di azoto la situazione non cambia di molto. Nonostante tutto, sul fronte normativo non sono arrivati i segnali auspicati. Solo il 10 dicembre scorso l’Europarlamento ha varato la nuova direttiva sulla qualità dell’aria, dopo due anni di discussioni. Se i limiti per il PM10 sono rimasti invariati rispetto a quelli già in vigore, tra gli elementi di novità sono stati introdotti gli obiettivi specifici per le polveri fini PM2,5 (25 µg/m³), da raggiungere entro il 2015; ma anche in questo caso non si è tenuto conto degli studi esistenti, tra cui quelli dell’Organizzazione Mondiale di Sanità che indicano come valore guida per questo parametro quello di 10 µg/m³. Anche per quanto riguarda i piani per la qualità dell’aria non sono stati fatti grandi passi in avanti. Si indica infatti l’obbligo di interve-
nire nel caso in cui i valori superino le soglie fissate dalla legge, ma non vengono specificati nel dettaglio gli obiettivi da raggiungere e i tempi in cui rientrare nei limiti di legge. Inoltre ancora una volta non è stato stabilito un sistema sanzionatorio utile a spronare gli amministratori ad attuare interventi realmente efficaci per migliorare la qualità dell’aria, affidando il tutto agli Stati Membri e al modo con cui recepiranno la normativa e la applicheranno. Fino ad oggi si è visto che, almeno per il nostro Paese, interventi efficaci per mi-
gliorare radicalmente la qualità dell’aria nelle città ancora non ci sono. Per vincere la sfida della mobilità e garantire una qualità della vita migliore ai cittadini bisogna innanzitutto creare un nuovo processo culturale mettendo in campo gli strumenti che abbiano un unico obiettivo, ridurre il numero di auto in circolazione, aumentando cosi il numero di quelle da demolire e garantendo al tempo stesso ai cittadini una maggiore libertà di movimento all’interno dei centri urbani. Ma nel frattempo in Italia il tasso di motorizzazione torna a salire e la media si attesta a 62 auto ogni 100
abitanti (erano 61 lo scorso anno), e sono 72 le città in cui si supera quota 60 e in cinque casi si oltrepassano addirittura le 70 auto ogni 100 abitanti. E a forza di aggiungere utilitarie e SUV, camion, furgoni e scooter, alla fine del 2006 c’è stato il sorpasso: ci sono più mezzi a motore che conducenti. Il garage Italia contiene oggi 50.961.543 veicoli, mentre i potenziali guidatori sono 282.422 di meno. E il bello è che gli spostamenti degli italiani nel 2006 sono avvenuti per il 34,5% del totale su distanze inferiori ai 2 km e per ben il 74% sotto i 10 km.
REGOLAMENTO SUI NUOVI LIMITI DI CO2 PER LE AUTO Questo Regolamento è stato adottato con divisioni all’interno del Parlamento UE. Nei mesi scorsi c’era stata “battaglia” con pressing della lobby automobilistica sul Parlamento e sul Consiglio UE, per tentare di ammorbidire la proposta originaria. Come sempre accade in questi casi si è infine raggiunto un accordo di compromesso. Il nuovo provvedimento prevede che i produttori europei di auto riducano le emissioni inquinanti del 18%, pari a 130 grammi di CO2 per chilometro, ma gradualmente: - il 65% della flotta automobilistica dovrà conformarsi entro il 2012; - il 75% entro il 2013; - l’80% entro il 2014; - il 100% entro il 2015. Per accontentare i più agguerriti parlamentari che contestavano tali misure è stato inserito un “contentino”, per cui entro il 2020 il taglio dovrà raggiungere il 40%, ossia 95gr./Km. Anche per quanto attiene le multe da applicarsi in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi da parte delle case automobilistiche era stato raggiunto un accordo tramite un “trilogo” per un sistema progressivo di applicazione delle penali che il Parlamento UE ha accolto: - per 1 gr. di sforamento 5 euro; - per 2 gr. di sforamento 15 euro; - per 3 gr. di sforamento 25 euro; - da 4 gr. in poi di sforamento 95 euro. Per il periodo transitorio 2012-2018 le somme delle penali andranno a sommarsi (es.: per uno sforamento di 3 gr. saranno 25+15+5=40 euro, a vettura prodotta); mentre dal 2019 per ogni grammo di eccesso è fissata una penale di 95 euro, la cifra che il Commissario all’Ambiente Stavros Dimas aveva previsto per ogni grammo di sforamento fin dal 2012. Aver concesso così tanto tempo all’industria automobilistica europea (soprattutto a quella tedesca che aveva “puntato i piedi”) per approntare soluzioni tecnologiche in grado di ridurre le emissioni e i costi per i consumatori, rischia di compromettere la competitività internazionale delle industrie europee, visto che l’Oriente asiatico si è già mosso per tempo e l’Amministrazione USA, stante il programma elettorale Obama-Biden, non concederà aiuti alle case automobilistiche statunitensi senza la contropartita dell’immissione sulle strade di autoveicoli meno impattanti (il recente accordo FIAT-Chrysler ne è una riprova). La Direttiva prevede poi deroghe per le piccole case automobilistiche con una produzione annua inferiore alle 10.000 auto, purché abbiano fabbriche e centri di progettazione separati; per quelle con produzione tra le 10.000 e le 300.000 auto, l’obiettivo fissato è pari al 25% delle emissioni causate dalle auto costruite nel 2007. Infine, se sono previste multe per chi non adempie ai limiti prefissati, sono altresì riconosciuti “supercrediti” destinati all’incentivazione della produzione di modelli a bassissima emissione o elettrici, ibridi e ad idrogeno.
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Oggi esistono numerosi strumenti che i sindaci possono attuare per sviluppare un trasporto pubblico efficiente, differenziato e competitivo con il mezzo privato. Accanto agli autobus, filobus e tram si possono mettere in campo il car sharing ovvero quel servizio di auto in condivisione che mette a disposizione degli abbonati diversi veicoli in ogni ora del giorno e della notte (si paga solo per l’uso reale che se ne fa e la si prenota tramite un call center operativo attivo 24 ore su 24), i taxi collettivi, l’intermodalità tra bicicletta e treni metropolitani e tanti altri servizi che permettono ai cittadini di muoversi senza dover ricorrere all’auto privata. Ma perché la sfida della mobilità urbana venga vinta è necessario un ruolo decisivo del Governo centrale. Uno studio dell’Aci ha evidenziato come “le spese per trasporti realizzate in Italia nel corso degli ultimi 25 anni
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sono state prevalentemente destinate a supportare investimenti tipici delle lunghe distanze (alta velocità, rete autostradale ecc.) piuttosto che intervenire a favore della mobilità urbana”. Invece sono proprio le aree urbane e le grandi aree metropolitane, come abbiamo visto, a denunciare i più elevati livelli di pressione ambientale e di congestione da traffico, ed è in questa direzione che occorre orientare una quota significativa dei nuovi investimenti. Si preferisce investire nelle autostrade e abbandonare a se stesso il trasporto pendolare ferroviario che interessa ogni giorno 1.600.000 persone. Ma in attesa che arrivino nuovi finanziamenti dallo Stato, è necessario che i Sindaci mettano in campo misure volte a ricavare i fondi per fare gli interventi necessari, sulla scia del road pricing di Milano, attivo dal gennaio 2008.
Infatti, il pedaggio per entrare con le quattro ruote nei centri urbani, in ottemperanza al principio comunitario “chi inquina paga”, è un provvedimento in cui è necessario sperare e credere, forti delle esperienze positive di riduzione di traffico e inquinamento in grandi città come Londra e Stoccolma. È indispensabile però che i proventi siano interamente investiti nel potenziamento del trasporto pubblico. Se sarà così, le altre grandi metropoli italiane non potranno che seguire l’esempio con l’ auspicio che sia davvero uno strumento utile per combattere smog e congestione, liberando i polmoni dei cittadini che sono in continuo rischio e dando nuova linfa vitale alle strade della città in modo da poter tranquillamente migliorare la qualità della vita e rivalorizzare il nostro territorio cosi bello e invidiato dal Mondo.
l’autodemolizione in linea con l’ambiente
SERVIZI - raccolta e trasporto di rifiuti ferrosi e non - demolizione e rottamazione di autoveicoli - vendita di ricambi di autoveicoli usati (autocarri) CERTIFICAZIONI UNI EN ISO 9001:2000 UNI EN ISO 14001:2004
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LogiMa Srl
I“Prevenire CANTILEVER LOGIMA CONQUISTANO L’ITALIA il danneggiamento degli autoveicoli, delle fiancate e soprattutto delle cappotte era la nostra preoccupazione principale” - dicono alla Pistone Srl di Polla (SA) “grazie a LogiMa possiamo usufruire di uno stoccaggio auto più ordinato e sicuro”. di Silvia Barchiesi
Piazzali di rottami con carcasse arrugginite e ferrivecchi accatastati… Questa era l’immagine dei vecchi centri di autodemolizione nell’imaginario collettivo di una volta. Ma tale immagine, seppur viva, è solo un ricordo lontano. Così come è lontana l’era del recupero “fai da te” delle parti metalliche di autoveicoli e il ricordo dell’ autodemolitore vecchio stampo, completamente in balia dei suoi rottami, sprezzante di ordine ed efficienza. Oggi la realtà dell’autodemolizione è ben diversa e può contare su dei veri e propri professionisti del settore chiamati a rispondere della sicurezza degli ambienti di lavoro e a fare i conti con regole precise e direttive della Comunità Europea., a cominciare dalla 2000/53/CE che impone precisi requisiti ai centri di raccolta. Si tratta di parametri relativi all’adeguato stoccaggio dei pezzi smontati, nonché, fra i criteri di gestione, regole precise circa la sovrapposizione massima consentita dei veicoli messi in sicurezza e non ancora sottoposti a trattamento, fatte salve le condizioni di stabilità e la valutazione dei rischi per la sicurezza dei lavoratori. Ma non solo. Ad essere disciplinate, ci sono anche le modalità con cui le parti di ricambio, destinate alla commercializzazione debbono essere stoccate, prendendo opportuni accorgimenti per evitare il loro deterioramento ai fini del successivo reimpiego, secondo il principio comunitario che punta a “prevenire la produzione di rifiuti derivanti dai veicoli
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nonché al reimpiego, al riciclaggio e ad altre forme di recupero dei veicoli fuori uso e dei loro componenti, in modo da ridurre il volume dei rifiuti da smaltire e migliorare il funzionamento dal punto di vista ambientale di tutti gli operatori economici coinvolti nel ciclo di utilizzo dei veicoli e specialmente di quelli direttamente collegati al trattamento dei veicoli fuori uso”. Insomma, per le moderne imprese del settore, efficienza energetica ed economica sono oggi sempre più un must, anche dal punto di vista normativo, oltre che da quello economico e competitivo. Ed è proprio grazie all’efficienza dell’ampia gamma di prodotti offerti, che LogiMa s.r.l., giovane società di progettazione, consulenza e vendita di soluzioni per la logistica e la gestione di magazzino, con sede a Porto d’Ascoli è riuscita ad imporsi come una delle aziende leader del settore. Tra i prodotti di punta dell’azienda, forte della decennale esperienza dei suoi soci fondatori, Fabio Franceschi e Giovanni Paolini, ci sono i cosiddetti cantilever, apposite scaffalature per lo stoccaggio degli autoveicoli, che nella loro versione mono o bifronte, consentono di mantenere ordine, pulizia e sicurezza nei centri di autodemolizione. Numerosi gli autodemolitori che, in tutta Italia, sono rimasti affascinati da questa tecnologia targata LogiMa, che fin da subito ha conquistato il mercato. Tra i fans, abbiamo conosciuto la Pistone srl di Polla (SA), azienda che in 25 anni di attività si è specializzata nella demolizione di automobili, autocarri e fuoristrada e nella
rottamazione in genere, oltre che nella fornitura e commercializzazione di pezzi di ricambio. Insomma, un’azienda dai grandi numeri che vanta un piazzale di 11.000 m2 con due capannoni di 500 m2 destinati allo smontaggio degli autoveicoli, e numerosi magazzini, alle prese ogni giorno con esigenze di ordine, efficienza e sicurezza. Di qui l’incontro con LogiMa e i suoi prodotti. Soddisfatta, ce ne parla la Sig.ra Feliciana Pistone, responsabile amministrativa dell’azienda.
cantilever, possiamo usufruire di uno stoccaggio auto più ordinato e sicuro.
Sig.ra Pistone come avete conosciuto i prodotti LogiMa? Abbiamo conosciuto LogiMa e i suoi prodotti grazie alla rivista Autodemolitori. Ci siamo subito interessati ai suoi prodotti e abbiamo preso contattati con l’azienda per informazioni.
Avete riscontrato delle difficoltà nella messa in opera dei prodotti acquistati? Assolutamente no. Oltre alla qualità dei prodotti abbiamo potuto constatare anche la professionalità e la serietà di LogiMa Srl che può contare su di un servizio di assistenza qualificata dal momento dell’ordine, all’installazione, alla post-vendita. Insomma, non solo siamo pienamente soddisfatti del prodotto, perché perfettamente rispondente alle nostre esigenze e in grado di risolvere le nostre problematiche più urgenti, ma siamo pienamente soddisfatti anche dell’Azienda che è stata in grado di assisterci e accompagnarci con serietà e puntualità in ogni fase dell’acquisto.
Quali sono le esigenze che vi hanno spinto a contattare LogiMa e a scegliere i suoi prodotti? Avevamo bisogno di un diverso stoccaggio delle autovetture. Il nostro centro gestisce alcune autovetture di ultimissima generazione. Prevenire il danneggiamento degli autoveicoli, delle fiancate e soprattutto delle cappotte era la nostra preoccupazione principale. A questa nostra esigenza hanno dato risposta i cantilever LogiMa. Lo scorso anno ne abbiamo acquistati 12: 6 bifronte e 6 monofronte. In questo modo non solo abbiamo riscontrato un minor danneggiamento degli autoveicoli, ma, grazie ai
Avete in programma altri ordini targati LogiMa? Certamente. Subito dopo l’acquisto dei 12 cantilever, abbiamo contattato nuovamente l’azienda per un altro ordinativo. Questa volta abbiamo commissionato a LogiMa di progettare un prototipo di cantilever sui generis, pensato specificatamente per i fuoristrada. La nostra azienda tratta infatti anche fuoristrada e commercilizza ricambi per fuoristrada. Di qui l’esigenza di scaffalature apposite per il loro stoccaggio e la richiesta di progettare un apposito cantilever, che è stato subito accolta da LogiMa, che sta attualmente lavorando al progetto.
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newsletter aperiodica di informazione per i soci
NEWS
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DEPOSITO TEMPORANEO DI AUTOVEICOLI PRESSO I CONCESSIONARI: LA PRONUNCIA DEL MINISTERO a cura di Alberto Piastrellini
I Lettori attenti del Notiziario, ricorderanno quando, nel numero di settembre 2008 demmo notizia della richiesta ufficiale che i vertici della Confederazione Autodemolitori Riuniti (C.A.R.) avevano inviato al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, sotto forma di un giudizio tecnico-giuridico, per la corretta interpretazione della norma di riferimento. Focus della vexata quaestio era il ritiro e gestione - da parte di concessionari e dei gestori di succursali ed automercati - dei veicoli fuori uso loro consegnati per la successiva rottamazione. In sostanza, così si era espresso il Presidente C.A.R.: “Può il concessionario di autoveicoli avvalersi - attraverso formale convenzione in forma legale - di un servizio integrato di ritiro e gestione degli autoveicoli destinati alla rottamazione da parte di un centro autorizzato di trattamento, tale per cui il ritiro del bene/rifiuto avvenga dall’ultimo detentore, sollevando così tale procedura il concessionario da una impropria gestione del veicolo da demolire, dalla solo formale emissione del certificato di rottamazione , dalle registrazioni previste dalla norma e dall’onore della cancellazione al PRA, ed impegnando così il centro di raccolta convenzionato ad effettuare direttamente quanto previsto dai commi 7 e seguenti dell’art. 5 del D. Lgs 209/03 e s.m.i.?” Si consideri che la richiesta formale del quesito tecnico-scientifico rientrava nella volontà della Confederazione Autodemolitori Riuniti di giungere al più presto ad una condivisa interpetazione della norma vigente, al fine di scongiurare inutili sovrapposizioni di competenze e conseguente slittamento dei tempi di gestione del rifiuto, senza contare la difesa dell’attività imprenditoriale dei soggetti che da anni si adoperano nel settore del recupero e
trattamento degli autoveicoli. Ebbene, in data 16 dicembre 2008 (Prot. n. 14065), puntuale è giunta la risposta del Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare, a firma del Consigliere Massimiliano Atelli, Capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero stesso. Per meglio fornire ai Lettori del Notiziario una corretta informazione, abbiamo ritenuto doveroso riportare il testo completo del documento, da cui traspare che la detenzione presso il concessionario o gestore della succursale di un autoveicolo è ammessa, purché lo stesso non sia stato radiato dal PRA. Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare Via Cristoforo Colombo, n. 44 A Alfonso Gifuni Presidente della Confederazione Au-
todemolitori Riuniti (C.A.R.) Via Barberini, 11, int. 15 00187 Roma Risposta nota del 16 dicembre 2008 Prot. N. 14065 Oggetto: Quesito riguardante l’art. 5, comma 6, del decreto legislativo 209/2003, così come modificato dal decreto legislativo 149/2006 e dell’art. 190 del D.lgs. 152/2003. In ordine al quesito proposto, si rappresenta che, per una corretta interpretazione delle norme richiamate, occorre muovere dalla premessa rappresentata dalla natura di beni mobili registrati degli autoveicoli. Tale natura fa sì che “la volontà di disfarsi del bene” esplicitata nella consegna, da parte del detentore al concessionario, dell’autoveicolo destinato alla rottamazione non sia
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C .A.R. CONFEDERAZIONE AUTODEMOLITORI RIUNITI
sufficiente a qualificare tale “bene” come “rifiuto”. Il rilascio da parte del concessionario o del gestore della succursale o dell’automercato del certificato di rottamazione e dell’impegno a provvedere alla cancellazione dal PRA non costituisce, conseguentemente, il momento qualificante del passaggio da “bene” a “rifiuto”. Tale momento va
più correttamente individuato nell’avvenuta cancellazione dell’autoveicolo al PRA, atto con il quale viene meno la natura di “bene mobile registrato”. Ciò detto, è evidente che la possibilità prevista per il concessionario o per il gestore della succursale o dell’automercato di detenere gli autoveicoli destinati alla rottamazione non fa sor-
gere gli obblighi derivanti dal D. Lgs 152/2006 ed in particolare quelli previsti dall’art. 190. La consegna di tali autoveicoli da parte del concessionario o del gestore della succursale o dell’automercato ad un centro di demolizione, unitamente alla contestuale richiesta di cancellazione al PRA costituirebbe, dunque, il mo-
Mentre questo numero del Notiziario stava per essere chiuso in redazione, ci è pervenuto, dalla sede della Confederazione Autodemolitori Riuniti, un Comunicato Stampa relativo alla questione eco-incentivi alla rottamazione. Dato il notevole interesse suscitato dellíiniziativa, abbiamo ritenuto importante ospitare il comunicato sulle nostre pagine. A seguito degli eco-incentivi alla rottamazione annunciati dal Governo Italiano per rispondere positivamente alle sollecitazioni del mondo dellíimprenditoria su cui gravano da tempo segnali di crisi, allo stesso tempo, per conseguire un efficace intervento atto a riallineare il parco auto nazionale alle esigenze dellíambiente e del clima, attraverso lo stimolo allíacquisto di automezzi più performanti dal punto di vista energetico e meno inquinanti dal punto di vista delle emissioni, la Confederazione Autodemolitori Riuniti, C.A.R. è scesa in campo per evidenziare la propria disponibilità ed il ruolo fondamentale delle imprese di autodemolizione allíinterno di una virtuosa catena della rottamazione-riciclo. ìNon nascondo, tuttavia, la situazione di profondo disagio che anche le nostre aziende stanno vivendo ñ ha puntualizzato il Presidente C.A.R., Alfonso Gifuni, ricordando come ñ la crisi globale che ha investito il settore dei metalli ha causato un crollo prolungato del prezzo dei rottami, senza contare che il reiterato ricorso allíincentivazione pubblica allíacquisto di nuove auto ha messo in crisi la commercializzazione dei ricambi usatiî. ìA questo punto ñ ha commentato ñ líeconomicità della filiera ed il costo zero previsto dalla normativa non è più sostenibile dalle nostre aziende, alle quali si richiedono altresì sforzi notevoli per líadeguamento impiantistico ed ulteriori sacrifici per la differenziazione dei materiali riciclabili che, però, attualmente hanno un prezzo di mercato nettamente inferiore allíonere sostenuto per il loro recuperoî. Pertanto, sottolineando la volontà di continuare ad essere protagonisti di una filiera di eccellenza tutta italiana nel recupero dei materiali da autodemolizione, i vertici C.A.R. hanno formulato una richiesta al Governo, che attualmente la sta valutando. ìIn sostanza ñ ha dichiarato Alfonso Gifuni ñ abbiamo chiesto che nella manovra di sostegno alle imprese italiane del settore automotive, allíinterno del quale anche noi siamo stakeholders, allorquando sarà stabilita una cifra quale eco-incentivo, una parte di essa (non superiore al 5%) sia stornata per ricadere direttamente sul centro presso il quale sarà effettuata la demolizione dellíautoveicolo che usufruisce dellíeco-incentivoî. ìCrediamo ñ ha concluso ñ che questa richiesta, peraltro in linea con la normativa che regola la responsabilità economica del fine-vita-auto in capo al produttore, possa garantire la sopravvivenza delle nostre aziende in un periodo di crisi globale e, díaltro canto, consenta al cittadino di poter contare su una professionalità maturata nel tempo che ha effetti determinanti non solo nelle operazioni di smontaggio, ma anche sulla tutela dellíambiente e sulla minimizzazione dei rifiutiî.
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mento di passaggio degli stessi dalla condizioni di “beni” ed in particolare di “beni mobili registrati” a quella di “rifiuti” in quanto, alla già esplicita volontà di disfarsi del bene esercitata dal detentore, si somma il venir meno di ogni volontà o interesse collegato al bene stesso. In armonia con tale lettura delle norme parrebbe porsi, del resto, il comma 9 dell’Art. 5 del D.Lgs 209/2003, il quale dispone che “il titolare del centro di raccolta procede al trattamento del veicolo fuori uso dopo la cancellazione dal PRA dello stesso veicolo effettuata ai sensi del comma 8” rinforzando quindi l’ipotesi, qui sostenuta, che sia proprio la cancellazione dal PRA il momento caratterizzante il passaggio da “bene” a “rifiuto” dell’autoveicolo. E per vero anche il comma 8bis dell’art. 6 del D.Lgs 2009/2003 “il deposito temporaneo dei veicoli nel luogo di produzione del rifiuto-presso il concessionario, il gestore della succursale della casa costruttrice o l’automercato- destinati all’invio a impianti autorizzati per il trattamento, è consentito fino ad un massimo di trenta giorni” ancorché parli di “luogo di produzione del rifiuto” non appare in contraddizione con l’interpretazione avanzata. La possibilità ivi prevista, infatti, pare potersi agevolmente ricondurre a quelle ipotesi in cui il concessionario o il gestore della succursale o dell’automercato mantiene gli autoveicoli presso di se anche dopo aver effettuato la cancellazione al PRA. Anche in tali circostanze, peraltro, le particolari caratteristiche del “rifiuto/veicolo” vengono prese in considerazione dal legislatore per conferire allo stesso,in caso di deposito temporaneo, un trattamento diverso da quello previsto dal D. Lgs. 152/2006 art. 183, comma 1, lett. m). Tale diversificato regime, che trova il suo fondamento nelle peculiari caratteristiche fisiche e giuridiche della
categoria di beni in esame, i veicoli, si concretizza da un lato nella riduzione temporale del deposito stesso, trenta giorni in luogo dei novanta indicati per il deposito temporaneo dal D.L.gs. 152/2006 art. 183, comma 1, lett. m, n° 2), dall’altro dalla circostanza testuale che parla di “deposito temporaneo dei veicoli” significando, con tale specificata accezione, la volontà del legislatore di mantenere “viva” l’individualità di tale tipo di rifiuto. Giova infine osservare che, per alcune categorie di rifiuti, la possibilità di trattare in modo diversificato la fase del deposito temporaneo è prevista dallo stesso D.lgs 152/2006 il quale, all’art. 183,comma 1 lett. m) n° 5 così dispone: “ per alcune categorie di rifiuto individuate con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo”. Una siffatta interpretazione delle normative richiamate in oggetto, oltre ad apparire coerente con la volontà del legislatore di assegnare al concessionario o al gestore della succursale o dell’automercato la gestione della fase di passaggio dalla condizione di “bene” a quella di “rifiuto” ed a palesarsi come rispondente ad esigenze pratiche (nonché di stretta logica), risulta altresì coerente con il particolare regime giuridico individuato dal legislatore per gli autoveicoli e con una normativa di settore che li sottopone a costanti e periodici controlli di natura tecnica e amministrativa.
“Esprimo la massima soddisfazione a nome di tutti i Soci della Confederazione Autodemolitoiri Riuniti per la rapidità con cui il Ministero dell’Ambiente e del Territorio e del Mare ha dato seguito alle nostre sollecitazioni” ha dichiarato il Presidente C.A.R., Alfonso Gifuni. “La nostra iniziativa è stato un atto indispensabile per la risoluzione di alcune ambiguità interpretative che si erano venute a creare nel territorio nazionale - ha proseguito - e, in questo senso credo che la nostra Confederazione, chiedendo il giudizio tecnico-giuridico al ministero competente, abbia fatto l’azione giusta che la base imprenditoriale si aspetta da un’associazione di categoria”. “La risposta del Ministero al nostro quesito - ha infine concluso - sancisce dei concetti molto importanti per la filiera del fine vita dei veicoli e ci ha stimolato alla richiesta di ulteriori chiarimenti definitivi circa il momento preciso in cui il bene-veicolo diventa oggettivamente rifiuto”.
Il capo dell’Ufficio Legislativo Cons. Massimiliano Atelli Via Barberini, 11 - IV piano int. 15 00187 Roma Tel. 06 42016523 - Fax 06 42000767 Cell. 335 7491160 info@carautodemolitori.it www.carautodemolitori.it
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Seltek srl
SMONTAGGIO GOMME? RECFER PUNTA SU SEDA Roberto Capocasa, storico autodemolitore marchigiano ci parla del nuovo investimento del suo centro. di Anna Antonietti
Prosegue il cammino di rinnovamento e di adeguamento strutturale della Recfer di Porto d’Ascoli (AP), retta dalla più che trentennale esperienza nel settore autodemolizione di Roberto Capocasa, Vicepresidente della Confederazione Autodemolitori Riuniti (C.A.R). “Oggi il mercato del riciclo spinge anche noi autodemolitori a cercare nuove soluzioni in grado di fornire la risposta giusta alle esigenze di un mercato in costante evoluzione – spiega Roberto Capocasa – per quanto riguarda la gestione dei pneumatici da veicoli a fine vita, fino a poco tempo fa, nel nostro centro, potevamo contare su una apparecchiatura in grado di tagliare i pneumatici. Oggi la domanda di pneumatici integri è aumentata e pertanto abbiamo dovuto allargare il nostro parco mezzi investendo di conseguenza”. La soluzione, al problema l’ha offerta Seltek S.r.l., distribu-
lavoro e allora una gabbia di protezione scende automaticamente a coprire l’area dell’operazione meccanica. Il cerchio viene spinto fuori dal pneumatico che, a fine ciclo, rimane sul piano di lavoro. Successivamente il cerchio scende attraverso lo scivolo interno, depositandosi sul pavimento o, in alternativa, viene allontanato dal nastro trasportatore. Terminato il ciclo di lavoro (appena 20 secondi), la gabbia di protezione si alza automaticamente e l’operatore può iniziare un nuovo ciclo. Le performance della macchina possono essere ampliate con l’integrazione di due nastri di trasporto; uno per il trasporto in automatico del cerchione fino al cassone di stoccaggio, il secondo, per il pneumatico che rimane sull’apposito piano di appoggio. “Devo sottolineare che la facilità di utilizzo e il costo contenuto hanno rappresentato i fattori definitivi per la scelta di questa macchina – dichiara Capocasa - soprattutto in considerazione della congiuntura economica in atto e della disponibilità accordataci dalla Seltek di venirci incontro con una proposta di pagamento molto vantaggiosa”. “Non solo – ammette Capocasa – altri colleghi del settore mi hanno riferito commenti entusiastici su questo acquisto, al punto che non ho avuto alcun dubbio nell’affrontare questo investimento”.
DATI TECNICI Dimensioni: Peso: Potenza installata: Ciclo di lavoro: Diametro max cerchio:
tore esclusivo per l’Italia di apparecchiature targate SEDA GmbH, primo distributore costruttore mondiale di sistemi per la bonifica dei veicoli. “Dal catalogo Seltek – dichiara Capocasa – abbiamo tratto il modello RTyre 100, l’attrezzatura pensata per la rimozione e separazione dei pneumatici dai cerchi ruota”. RTyre 100 è in grado di separare cerchi ruota in ferro e lega fino alla dimensione di 17 pollici provenienti da automezzi e veicoli commerciali (fino a 35 q.li), e, a richiesta, può essere munita di ciclo automatico e nastri trasportatori per l’allontanamento del cerchio e del pneumatico. Noi del Notiziario l’abbiamo vista all’opera e proviamo a descriverne le modalità operative: una volta posizionata la ruota sul piano di lavoro, l’operatore da inizio al ciclo di
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Rifiuti
NUOVA CONDANNA DALL’UE PER L’ITALIA La Corte di Giustizia europea decreta una ulteriore condanna al Bel Paese per la mancata attuazione della disciplina in materia di rifiuti. a cura di Alberto Piastrellini
Malgrado il Trattato con cui, già nel 1947, si sanciva la volontà di creare un organismo sovranazionale destinato a regolamentare politiche economiche e di mercato fra i Paesi europei appena usciti dalla Grande Guerra, sia stato firmato proprio in Italia e quel fortunato sogno anticipatore, si sia realizzato, in seguito, nella Comunità Europea, accade, troppo spesso che, il nostro Paese è piuttosto restio ad accettare completamente quelle Direttive che a livello comunitario dovrebbero equiparare in un unicum legislativo i vari Stati-membri. Questa mancanza diventa tanto più evidente proprio nel settore ambientale, dove, l’Italia e tutti gli altri Paesi – stante la problematica comune – hanno deciso già da molti anni di far derivare il proprio diritto in materia dalle sollecitazioni comunitarie. Eppure, i dati parlano chiaro, oltre 40 procedure di infrazione e svariate condanne della Corte di Giustizia europea pesano fortemente sull’immagine di un Paese che, a parole, vorrebbe essere molto “europeista”, senza viverne appieno l’identità (si ricordi, ad esempio, la tormentata vicenda che ha accompagnato il dibattito sul Pacchetto Clima-Energia, sul quale l’Italia aveva posto un improbabile “veto”). Ebbene, prima della fine del 2008, ecco che la Corte di Giustizia Europea ha condannato nuovamente l’Italia per “trasposizione non corretta” e conseguente mancata attuazione della disciplina comunitaria in materia di rifiuti, relativamente al caso dei rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche e combustibile da rifiuti di qualità elevata. Questi, infatti, sono stati derubricati dall’ambito di applicazione della normativa italiana, ricorrendo, pertanto nella condanna della Corte di Giustizia. Pertanto, nella causa C-283/07, avente per oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 12 giugno 2007, la Commissione delle Comunità europee, ricorrente, contro Repubblica italiana, la Corte di Giustizia (Ottava Sezione), ha pronunciato la sentenza di condanna a partire dalla considerazione che la Repubblica Italiana, avendo adottato e mantenendo in vigore disposizioni quali: • l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 27 dicembre 2004; in prosieguo: la legge n. 308/2004); • l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale (Supplemento ordinario alla GURI n. 88 del 14 aprile 2006; in prosieguo: il “decreto legislativo n. 152/2006”), per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati all’impiego in attività
siderurgiche e metallurgiche e il combustibile da rifiuti di qualità elevata (in prosieguo: il CDR-Q) sono sottratti a priori all’ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva 75/442»), è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 1, lett. a), della medesima direttiva. In sostanza, reputando che la normativa italiana non fosse idonea a garantire una trasposizione corretta della direttiva 75/442, la Commissione aveva deciso di intraprendere il procedimento previsto all’art. 226 CE e, con lettera datata 13 luglio 2005, aveva messo in mora la Repubblica italiana. Successivamente, non avendo ritenuto soddisfacente la risposta pervenuta dall’Italia in data 17 novembre 2005, il successivo 19 dicembre la Commissione le aveva trasmesso un parere motivato, invitandola ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi decorrenti dalla sua ricezione. Quindi, la Repubblica italiana accludeva alla propria risposta in data 27 febbraio 2006 una nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. In seguito, con lettera del 12 maggio 2006, la Repubblica italiana notificava alla Commissione, nell’ambito di altri procedimenti di infrazione relativi alla mancata trasposizione di alcune direttive comunitarie, il testo del decreto legislativo n. 152/2006 (Testo Unico Ambientale). Poiché a seguito dell’adozione del suddetto D. Lgs. la Commissione riteneva opportuno precisare l’oggetto del procedimento, il 15 dicembre 2006 trasmetteva alla Repubblica italiana un parere motivato complementare, concedendole nuovamente un termine di due mesi decorrente dalla ricezione di detto parere per presentare eventuali obiezioni. Lo Stato membro rispondeva con lettera del 19 gennaio 2007, alla quale erano allegate la copia di un progetto di decreto legislativo che prevedeva l’abrogazione di tutte le disposizioni oggetto del procedimento, nonché una nota del Ministero dell’Ambiente indicante che tale progetto era in corso di adozione “per superare i rilievi formulati dalla Commissione (…)” e che la Commissione sarebbe stata informata “con la massima sollecitudine sugli ulteriori passaggi dell’iter di adozione del decreto correttivo in questione”. Purtroppo, non avendo ricevuto ulteriori notizie da parte della Repubblica italiana, la Commissione decideva di proporre il ricorso di cui alla Causa C-283/07. A questo punto giova ricordare che l’abrogazione delle disposizioni controverse operata dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, recante disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo n. 152/2006 (Supplemento ordinario alla GURI n. 24 del 29 gennaio 2008), non produce-
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va effetti sul ricorso della Commissione poiché è intervenuta soltanto dopo che erano scaduti i termini fissati nel parere motivato e nel parere motivato complementare, e persino dopo la presentazione del ricorso stesso. Ma vediamo insieme quali sono stati gli argomenti delle parti in causa. Sui rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica La Commissione sostiene che l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a) della legge n. 308/2004 esclude, a priori e in via generale, i rottami ferrosi e non ferrosi destinati ad attività siderurgiche e metallurgiche dall’ambito di applicazione della normativa nazionale di trasposizione della direttiva 75/442. Tale esclusione avrebbe l’effetto di rendere inapplicabile a tali materiali, in particolare alla loro gestione, al loro deposito e al loro trasporto, la normativa comunitaria sulla tutela dell’ambiente. Secondo la Commissione, tali rottami possono ricadere nella nozione di “rifiuto” di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. Detti rottami non costituirebbero materie prime secondarie, bensì semplici residui di produzione e di consumo che rimarrebbero tali fino alla conclusione del processo di recupero completo, che termina con la loro trasformazione in prodotti siderurgici e metallurgici. Peraltro, i rottami in questione non possono essere considerati “sottoprodotti” ai sensi della giurisprudenza della Corte. La Repubblica italiana ri-
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tiene che l’esclusione di tali rottami operata dalla normativa nazionale controversa sia legittima, avuto riguardo alle condizioni da quest’ultima stabilite. In primo luogo, detta normativa esige che i rottami in questione posseggano non soltanto talune caratteristiche oggettive, che consentono di qualificarli come merci dotate di un valore commerciale, ma anche destinazioni specifiche e verificabili alle attività dell’industria siderurgica o metallurgica. In secondo luogo, la normativa in questione inserisce l’attività di raccolta dei rottami ferrosi e non ferrosi in un contesto produttivo industriale senza soluzione di continuità. Sul Combustibile da Rifiuti di qualità elevata La Commissione osserva che l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004 nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo n. 152/2006 sono tutti egualmente incompatibili con la direttiva 75/442, in quanto escludono dall’ambito di applicazione della normativa nazionale sui rifiuti, a priori e in via generale, il CDR-Q rispondente a talune condizioni. Siffatta esclusione pregiudicherebbe l’effettività della medesima direttiva, come pure quella di altre disposizioni comunitarie poste a tutela dell’ambiente e la cui portata risulta determinata in base alla nozione di “rifiuto” sancita dalla direttiva. La Commissione sostiene che il CDR-Q, come i rifiuti solidi urbani che lo compongono, è un residuo di consumo e rientra quindi nella definizione di “rifiuto” di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442 fino al momento della sua effettiva combustione per produrre energia. L’operazione di trattamento dei rifiuti solidi ur-
bani volta ad ottenere del CDR-Q implicherebbe soltanto una mera selezione e mescolanza di rifiuti e, pertanto, non sarebbe possibile ravvisarvi un processo di fabbricazione di un prodotto. La Repubblica Italiana ribatte che, nel momento in cui tali materiali giungono a soddisfare le condizioni per l’applicazione della normativa controversa, essi hanno ormai completato il ciclo di recupero da rifiuti e pertanto costituiscono vere e proprie merci, in ogni caso aventi un valore economico. Già lo stesso processo di fabbricazione del CDR-Q sfocerebbe nella produzione di un nuovo materiale, che sarebbe equivalente – non da ultimo grazie alle sue caratteristiche calorifiche – ad un vero e proprio combustibile fossile primario. Con la conseguenza che, già prima della sua effettiva combustione, il CDR-Q dovrebbe essere considerato quale il risultato di un recupero completo e non ricadrebbe nella nozione di «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442, come interpretata dalla Corte. Oltre a ciò, la Repubblica italiana sostiene che il decreto ministeriale 2 maggio 2006 istituisce un sistema di controllo e di tutela dell’ambiente che, unitamente alle altre regole del settore, garantisce un livello di tutela dell’ambiente quantomeno equivalente a quello previsto dalla disciplina comunitaria sui rifiuti, la cui effettività non risulterebbe, quindi, pregiudicata. Giudizio della Corte In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, si deve considerare “rifiuto” qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I della medesima direttiva e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. Pertanto, nel contesto di tale direttiva, la portata della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine “disfarsi”. Quest’ultimo deve essere interpretato alla luce della finalità della direttiva stessa, che, ai sensi del suo terzo “considerando”, consiste nella protezione della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti, nonché alla luce dell’art. 174, n. 2, CE. Quest’ultimo dispone che la politica della Comunità europea in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela ed è fondata, in particolare, sui principi della precauzione e dell’azione preventiva. La Corte ha altresì dichiarato che, stante la finalità perseguita dalla direttiva 75/442, la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo. L’effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442 deve essere accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l’efficacia.
A tale riguardo, alcune circostanze possono costituire indizi della sussistenza di un’azione, di un’intenzione oppure di un obbligo di disfarsi di una sostanza o di un oggetto ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. Ciò si verifica, in particolare, se la sostanza utilizzata è un residuo di produzione o di consumo, vale a dire un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale. Nel caso di specie, nessuno ha posto in dubbio che, malgrado la loro conformità a talune specifiche tecniche nazionali ed internazionali, i rottami oggetto della normativa controversa costituiscano residui di produzione o di consumo non ricercati in quanto tali. Inoltre, secondo una costante giurisprudenza, né il metodo di trasformazione né le modalità di utilizzo di una sostanza sono determinanti al fine di stabilire se si tratti o meno di un rifiuto. In particolare, la nozione di rifiuto non esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Il sistema di vigilanza e di gestione stabilito dalla direttiva 75/442, infatti, si applica a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero o di riutilizzo. Di conseguenza, l’argomento della Repubblica italiana che deduce sia la specifica destinazione sia la qualità di merce e il valore commerciale dei rottami oggetto della normativa controversa non è rilevante al fine di escludere a priori detti rottami dalla qualificazione come rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Alla luce della precitata giurisprudenza, quindi, in via di principio i rottami in questione devono essere considerati rifiuti. Però, dalla giurisprudenza della Corte si evince parimenti che un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire un sottoprodotto, del quale il detentore non cerca di disfarsi, ma che intende sfruttare o commercializzare a condizioni favorevoli in un processo successivo. Tuttavia, occorre circoscrivere il ricorso a tale argomentazione relativa ai sottoprodotti, a quelle situazioni in cui il riutilizzo, compreso quello per i fabbisogni di operatori economici diversi da quello che li ha prodotti, non sia solo eventuale, bensì certo, prescinda da operazioni di trasformazione preliminare, ed avvenga nel corso del processo di produzione. Nel caso di specie, è evidente come l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge n. 308/2004 contempli un’ampia varietà di situazioni. Non si può escludere che il “riutilizzo effettivo” in attività siderurgiche e metallurgiche previsto da queste disposizioni venga effettuato solo dopo il decorso di un periodo di tempo notevole, se non addirittura indeterminato, e che pertanto siano necessarie delle operazioni di stoccaggio durevole dei materiali in questione. Ebbene, siffatte operazioni di stoccaggio sono tali da rappresentare un intralcio per il
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detentore. Inoltre, esse costituiscono una potenziale fonte di quel danno per l’ambiente che la direttiva 75/442 mira specificamente a limitare. Ne consegue che la sostanza di cui trattasi deve essere considerata, in linea di principio, come rifiuto. Inoltre, dalla formulazione delle suddette disposizioni emerge che esse prevedono, in via generale, la possibilità di escludere i materiali in questione dall’ambito di applicazione della legislazione nazionale sui rifiuti, anche qualora tali materiali vengano trasformati prima del loro riutilizzo. È quindi inevitabile constatare che le disposizioni controverse relative ai rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica comportano che, nel diritto italiano, taluni residui, pur corrispondendo alla definizione di rifiuto sancita all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, siano sottratti al tale qualificazione. La disposizione da ultimo menzionata non soltanto reca la definizione della nozione di “rifiuto” ai sensi della direttiva 75/442, ma determina altresì, in combinato disposto con il suo art. 2, n. 1, l’ambito di applicazione della medesima direttiva. Invero, l’art. 2, n. 1, indica quali tipi di rifiuti sono oppure possono essere esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva, e a quali condizioni, laddove, in linea di principio, vi rientrano tutti i rifiuti corrispondenti alla suddetta definizione. Orbene, qualsiasi disposizione di diritto nazionale che limita in modo generale la portata degli obblighi derivanti dalla direttiva 75/442 oltre quanto consentito dal citato art. 2, n. 1, travisa necessariamente l’ambito di applicazione della direttiva stessa, pregiudicando in tal modo l’efficacia dell’art. 174 CE. Sul punto è sufficiente osservare, riguardo al caso in esame, che i rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica oggetto delle disposizioni controverse non rientrano tra le eccezioni all’ambito di applicazione della direttiva 75/447 previste al suo art. 2, n. 1. Per quanto riguarda il secondo argomento occorre anzitutto osservare che l’argomento della Repubblica italiana inerente alla qualità di merce ed al valore commerciale del CDR-Q è irrilevante rispetto al fine di escludere a priori tale sostanza dalla qualificazione come rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Inoltre, non è stato contestato che il CDR-Q derivi esclusivamente da residui di consumo e che, per tale ragione, il suo processo di produzione debba essere assoggettato, in quanto tale, alla normativa nazionale in materia di gestione di rifiuti. In ordine all’argomento secondo cui il CDR-Q costituirebbe il risultato di un recupero completo di rifiuti, è opportuno ricordare che una siffatta operazione di recupero non è sufficiente, di per sé, a determinare se la sostanza risultante costituisca o meno un rifiuto. Invero, il fatto che una sostanza sia il risultato di un’operazione di recupero completo ai sensi dell’allegato II B della direttiva 75/442 rappresenta solamente uno degli elementi che devono essere presi in
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considerazione al fine di stabilire una conclusione definitiva in merito. Del resto, un’operazione di recupero può dirsi completa soltanto se ha l’effetto di conferire al materiale in questione le medesime proprietà e caratteristiche di una materia prima e di renderlo utilizzabile nelle stesse condizioni di precauzione rispetto all’ambiente. Ebbene, il CDR-Q, anche se corrisponde alle norme tecniche UNI 9903-1, non possiede le stesse proprietà e caratteristiche dei combustibili primari. Come ammette la stessa Repubblica italiana, esso può sostituire solo in parte il carbone e il coke di petrolio. Peraltro, le misure di controllo e di precauzione relative al trasporto e alla ricezione del CDR-Q negli impianti di combustione, nonché le modalità della sua combustione previste dal decreto ministeriale 2 maggio 2006, dimostrano che il CDR-Q e la sua combustione presentano rischi e pericoli specifici per la salute umana e l’ambiente, che costituiscono una delle caratteristiche dei residui di consumo e non dei combustibili fossili. Inoltre, la giurisprudenza della Corte relativa alla distinzione tra lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, invocata dalla Repubblica italiana, non è idonea a sostenere l’argomentazione di detto Stato membro. Secondo tale giurisprudenza, benché la caratteristica essenziale di un’operazione di recupero consista nel fatto che il suo obiettivo principale è che i rifiuti possano svolgere una funzione utile, il recupero avviene soltanto nel momento stesso in cui la sostanza de qua svolge effettivamente una funzione utile, segnatamente all’atto della produzione di energia attraverso la combustione o il deposito in una miniera in disuso. Ne consegue che il CDR-Q non costituisce il risultato di un recupero completo, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di tale operazione, bensì soltanto il risultato di una fase ad esso precedente. Occorre aggiungere che la presunta “certezza dell’utilizzo effettivo” del CDR-Q, addotta dalle autorità italiane, non rappresenta un criterio rilevante al fine di escludere definitivamente l’azione, l’intenzione, o l’obbligo del detentore del CDR-Q di disfarsene. Il riutilizzo certo di un bene o di un materiale è soltanto una delle tre condizioni necessarie per qualificare detto bene o materiale come sottoprodotto, come risulta dal punto 48 della presente sentenza e dalla giurisprudenza ivi citata. Orbene, la Corte ha sottolineato che detta giurisprudenza non è valida per quanto riguarda i residui di consumo, i quali non possono essere considerati “sottoprodotti”. Risulta dalle suesposte considerazioni che le disposizioni controverse relative al CDR-Q comportano altresì la sottrazione alla normativa nazionale sui rifiuti di residui che corrispondono alla definizione di rifiuto di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, ma non ricadono fra le eccezioni previste al suo art. 2, n. 1.
Infine, la Commissione ha dimostrato in modo circostanziato, senza essere contraddetta sul punto, che il decreto ministeriale 2 maggio 2006 non garantisce un livello di tutela della salute umana e dell’ambiente equivalente a quello derivante dalla normativa comunitaria sui rifiuti. Ad esempio, relativamente allo stoccaggio del CDR-Q negli impianti di produzione di energia elettrica, tale decreto adotta una nozione più limitata di tutela dell’ambiente perché impone misure precauzionali volte ad evitare soltanto la contaminazione dell’aria, dell’acqua e del suolo, quando invece l’art. 4, n. 1, della direttiva 75/442 mira a salvaguardare anche la fauna, la flora, il paesaggio e i siti di particolare interesse e vieta di causare inconvenienti da rumori od odori. Pertanto le disposizioni invocate dalla Repubblica italiana non risultano idonee a garantire la completa conformità della normativa nazionale agli scopi della direttiva 75/442.
Conclusioni Di conseguenza, si deve constatare che la Repubblica italiana, avendo adottato e mantenendo in vigore disposizioni quali l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge n. 308/2004 e l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo n. 152/2006, per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il CDR-Q sono sottratti a priori all’ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione della direttiva 75/442, è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 1, lett. a), della medesima direttiva e pertanto, stante la presentazione della domanda da parte della Commissione, è condannata al pagamento delle spese.
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AUTOMOBILI: FUTURO ECOLOGICO La crisi del settore e la causa ambientale guidano le ricerche
verso un concept di autovetture sempre più orientato al verde. a cura di Caterina Saracino
Se si dovesse stilare una classifica delle parole più pronunciate nell’anno appena passato, sul podio ci sarebbe “crisi”. E se è noto che il settore automobilistico, in questo triste domino, è stato uno dei più massacrati, è altrettanto palese che ci siano state ripercussioni anche sull’utenza motorizzata: i cittadini. C’è chi si è aperto una finestrella sul paradiso illudendosi di far camminare la sua auto con olio di fiori (di colza); chi, da ciclista della domenica, lo è diventato dell’intera settimana; e chi, semplicemente, si è tenuto il vecchio macinino a quattro ruote in attesa di tempi migliori. In occidente la parola crisi ha un’accezione quasi sempre negativa, ma sarebbe certo più saggio interpretarla all’orientale: in Cina, infatti, il termine in questione è composto da due ideogrammi, che significano rispettivamente problema (wei) e opportunità (ji), ed è alla prospettiva positiva che si dovrebbe infatti guardare. Le difficoltà economiche unite a quelle, sempre più pressanti, scaturite dalla poco rosea situazione ambientale, stanno spingendo a ricerche che si diramano in più direzioni: la costruzione di auto più “intelligenti” da una parte
e la sperimentazione su carburanti più economici e meno inquinanti dall’altra. Sul primo aspetto ci soffermeremo più tardi, mentre per il secondo basti dire che, dopo i biocarburanti a base di oli vegetali (che hanno forse più contro che pro, come abbiamo detto nel numero precedente) si fanno strada altre ipotesi quali la cellulosa delle piante e la biomassa, per non citare addirittura l’esperimento di un chirurgo plastico che ha prodotto carburante a partire dal grasso estratto dalle liposuzioni! Dunque, unire il problema all’opportunità di miglioramento appare la strada migliore per rinvigorire il settore automobilistico; ma come? Alla fine del 2008 l’allora presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ha finanziato il piano di salvataggio di due delle Big Three americane, ovvero General Motors e Chrysler, con l’erogazione di quasi diciotto miliardi di dollari, a condizione di avviare progetti di risanamento entro pochi mesi, cedere al Tesoro azioni senza diritto di voto, riconoscere al Governo il potere di firma e di veto su affari superiori ai cento milioni di dollari e così via. Anche Sarkozy si è dichiarato favorevole agli aiuti al settore automobilistico
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made in France e ha predisposto sostegni economici che si aggirano intorno ai sei miliardi di euro. Risale a pochi giorni fa la notizia secondo cui anche il premier italiano si sta muovendo in questa direzione stanziando aiuti per sostenere le industrie automobilistiche italiane. Dunque i governi sembrano uniti sul “puntare all’innovazione assicurando soluzioni che portino efficienza energetica e riduzione di CO2”, per citare il Commissario UE all’industria, Günter Verheugen che così si è espresso durante l’incontro con i Ministri di settore dei Paesi membri dell’Unione Europea tenutosi a Bruxelles lo scorso 16 gennaio. Ed è proprio questo, dopo la doverosa premessa, l’obiettivo che si cela dietro l’opportunità di questa crisi: finanziare la ricerca sulle automobili cosiddette ecologiche. Come si è potuto constatare durante l’ultimo Autoshow di Detroit, il futuro dell’automobile si presenta elettrico e, se vogliamo, anche “elettrizzante”, visto l’entusiasmo che circonda queste novità. Una distinzione fondamentale va fatta tra le auto propriamente elettriche e quelle ibride. Le auto elettriche si muovono grazie all’energia che viene accumulata in una o più batterie ricaricabili e che vanno a sostituire il motore a benzina. Come ha dimostrato “l’antenata” Jamais Contente, il veicolo elettrico progettato nel 1899 e famoso per aver superato la velocità di 100 km/h su pista, anche le auto “a batteria” moderne non trovano rivali in termini di accelerazione, rivelandosi addirittura superiori ai veicoli a combustione interna. Uno dei pregi più evidenti di questa categoria di vetture è lo scarso impatto sull’ambiente, poiché riduce la dipendenza dal carburante fossile, non contribuisce al riscaldamento globale, specie se si tratta di energia pulita come quella eolica, idroelettrica o solare, e azzera le emissioni nocive (parliamo di auto interamente elettriche) e la dispersione di polveri sottili. In più l’auto elettrica attenuerebbe anche un altro tipo di inquinamento, quello acustico, grazie alla silenziosità del motore. Il problema principale riguarda proprio l’alimentazione; se è vero che la ricerca e la produzione delle batterie si è affinata grazie al forte aumento della domanda, dovuto al diffondersi capillare di computer portatili e telefoni cellulari, è anche vero che i tempi non sono ancora maturi per far sì che una macchina possa percorrere migliaia di chilometri con una sola carica. I tempi di percorrenza sono infatti compresi tra i 30 e i 130 km se si utilizzano batterie al piombo - acido, quelle a costo più contenuto; si sale a 200 km con quelle al nickel/metal e si arriva fino a un massimo di 500 km con le batterie al litio. Le vetture elettriche costituiscono dunque la soluzione
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ottimale se si è pendolari e si percorrono tratti di non lunghissima distanza. È bene sottolineare che ad ogni frenata le batterie si ricaricano (si parla appunto di “freno rigenerativo”), ragion per cui i motori elettrici possono essere sfruttati al meglio nei veicoli che necessitano di continue fermate, come ad esempio quelli a uso urbano. Altro punto a favore è la maggiore sicurezza in caso di incidenti, per l’assenza di materiali infiammabili, e della conseguente perfetta recuperabilità dei pezzi. Di fronte a tali benefici, si è portati a chiedersi dove sia l’inghippo. La questione primaria è quella economica, ossia il costo elevato delle batterie, considerata anche la loro relativamente breve vita utile (dopo un certo numero di ricariche l’immagazzinamento di energia diventerà gradualmente più basso, esattamente come accade per le batterie al litio dei cellulari). Anche la ricarica si presenta un po’ spinosa: per rifornire di energia le vetture su strada ci vogliono delle stazioni elettriche. La questione non riguarda tanto queste ultime, che potrebbero costruirsi in qualsiasi punto, quanto la durata della ricarica, che a seconda del tipo di batteria varia da un quarto d’ora fino ad alcune ore. Questo porterebbe a tempi biblici di attesa presso tali stazioni di rifornimento. La soluzione alternativa è rappresentata dalla sostituzione della batteria scarica con un’altra, caricata in precedenza, di tipo modulare, da conservare nel bagagliaio e, all’occorrenza, prontamente sostituibile dagli addetti della stazione o da macchine preposte alla funzione. C’è chi però ha fatto notare altri aspetti negativi: alla limitata autonomia e agli alti costi, i detrattori aggiungono la produzione dell’elettricità quasi sempre da fonti fossili (e quindi le emissioni ci sarebbero, se non nell’uso delle vetture, nella loro costruzione) e il prevedibile calo del fatturato sul settore automobilistico e sulle reti di assistenza (data la facile recuperabilità dei pezzi). Le auto ibride sono invece dotate di due sistemi di propulsione. Una coppia di propulsione è costituita dal sistema diesel-elettrico, che alimenta i veicoli tramite un motore diesel e un motore elettrico che sono utilizzati insieme o separatamente, con un notevole risparmio di consumi ed emissioni nocive più limitate rispetto ai tradizionali motori a benzina. Ma si fa sempre più strada la coppia di propulsione termico-elettrica, che a sua volta si suddivide in tre tipologie: ibrido seriale, ibrido parallelo e ibrido misto. Nell’ibrido seriale il motore termico lavora autonomamente, non è collegato meccanicamente alle ruote e ha la funzione di produrre l’energia necessaria ad alimentare il motore elettrico (che consente da subito elevati livelli di prestazione in accelerazione, al contrario dei motori termici che necessitano di un certo numero di giri) e le batterie. Il
motore termico lavora indipendentemente dalla velocità del veicolo e si può disattivare manualmente con un pulsante, e di default si spegne anche durante le soste. Nelle vetture dotate di sistema di propulsione ibrido parallelo, entrambi i motori sono collegati alle ruote e possono essere sfruttati in contemporanea o in singolo. La loro architettura non permette al motore a combustione l’indipendenza dalla velocità del veicolo come accade nel seriale. Nell’ibrido misto il sistema seriale e quello parallelo sono combinati e consentono grande versatilità al motore. Che l’elettrico sia la soluzione più gettonata del momento è stato dimostrato durante l’Autoshow di Detroit, che ha visto la quasi totalità delle case automobilistiche proporre modelli “ecologici”. Una delle più in vista è stata la Mercedes, che ha coniato uno slogan significativo come “Be Electrified”. Tra le vetture presentate al Salone spiccano la Toyota con l’ultima versione della Prius (la prima risale al 1997), a
propulsione ibrida, dotata persino di un monitor multifunzionale che comprende l’ECO Indicator, che mostra consigli per ridurre i consumi. Gli interni sono ecologici e riciclabili e l’impianto di condizionamento funziona grazie a piccoli pannelli solari montati sul tetto. Un’altra casa giapponese, la Honda, ha presentato Insight, che sfrutta un sistema ibrido parallelo e si propone di diminuire i consumi tramite un sistema Ecological Drive Assistant. L’europea Mercedes punta su BlueZero, una vettura disponibile in tre versioni tutte a propulsore elettrico che garantiscono autonomia in un range compreso tra i 200 e i 600 km/h (a seconda delle configurazioni di guida). È bene citare anche Karma, della casa americana Fisker, una coupé a propulsore ibrido che vanta interni in legno esclusivamente derivato da alberi caduti naturalmente e non abbattuti. In mezzo a tanto ottimismo verso queste tecnologie “verdi” c’è anche qualcuno che storce il naso, come Harald
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Wester, ingegnere della Maserati, che sembra sminuire il successo previsto per l’elettricità perché subordinato a costi elevati e all’abbandono di una tradizione, come quella dei “macchinoni”, che, in particolare per il popolo americano, sarà difficile da accettare. D’altro canto appare inconcludente ragionare in questi termini sia perché i sostegni dei governi al settore automobilistico sono stati assegnati nell’ottica del rispetto ambientale e sia perché, nel corso della Ministerial Conference on Global and Energy in Transportation (14 - 16 gennaio scorso) di Tokyo si è parlato a lungo di misure restrittive per arrivare, nel 2020, a produrre auto che non superino i 95g/km di emissioni di anidride carbonica. E se si pensa che persino a Maranello, tempio della velocità, è entrato di recente in funzione un impianto fotovoltaico, nell’ambito del progetto Formula Uomo, è segno che i tempi sono davvero maturi per un cambiamento reale, orientato a una maggiore coscienza ambientale e alla salvaguardia della nostra salute. L’elettricità non è la sola valida alternativa ecologica, ma si sta già parlando di energia solare: abbiamo citato la Toyota Prius, con i suoi pannelli solari montati sul tetto per alimen-
tare l’impianto di condizionamento, ma pochi giorni fa la stessa casa nipponica ha dichiarato, sul giornale Nikkei, di stare già lavorando a una vettura che si muoverà soltanto grazie a questo tipo di energia. Ci vorranno anni perché sia lanciata sul mercato, ma le premesse sono ottime. In attesa di acquistare un veicolo di queste tipologie, cerchiamo almeno di rendere più ecologica la nostra filosofia di trasporto con alcuni accorgimenti (se proprio non possiamo andare a piedi o in bicicletta) che ci aiuteranno anche ad “aprire meno” il portafogli: • fare in modo che la guida sia fluida, senza brusche fermate o accelerazioni; • verificare con regolarità la pressione delle gomme, la pulizia del filtro dell’aria e l’efficienza delle candele; • non abusare del condizionatore; • spegnere il motore durante la sosta con passaggi a livello abbassati; • moderare la velocità. È costruttivo prendere atto che, in questo campo, non sono solo le case automobilistiche o i governi ad avere la responsabilità sulle sorti dell’ambiente in cui viviamo.
CONSORZIO NAZIONALE ELV DEDICATO ALLE AZIENDE CHE IDENTIFICANO IL LORO FUTURO NELLA SINERGIA ORGANIZZATIVA ED ECONOMICA
Le nostre attività • • • • • Due immagini dell’Assemblea del 23 gennaio 2009 in Bologna
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Recupero e smaltimento rifiuti Polizze assicurative (tutti i rami) Consulenze specifiche per il settore Ricambistica Attrezzature e tecnologie
OMOLOGAZIONE DEI VEICOLI A MOTORE: DAL 2012 CAMBIANO LE REGOLE Riutilizzabilita, riciclabilità e ricuperabilità sono i nuovi pilastri su cui si baserà il futuro meccanismo di concessione della omologazione CE o nazionale. a cura di Alberto Piastrellini
Mentre il mercato mondiale delle automobili subiva (e la situazione perdura tuttora) gli effetti di una caduta globale dei crediti al consumo e di un crollo della domanda, da un lato dell’Oceano Atlantico il neo-eletto Presidente degli Stati uniti d’america, Barack Obama, prometteva aiuti di Stato alle 3 grandi del settore automotive americano (Ford, Chrysler e General Motors), vincolando gli stessi a nuovi criteri produttivi in grado di rispondere positivamente alle rinnovate richieste ambientali (sostanzialmente: riduzione delle emissioni di CO2 ed NOx, riduzione della produzione dei rifiuti). Dall’altro lato dello stesso Oceano, intanto, i Paesi europei interessati da grandi gruppi automobilistici, continuavano (e, in parte taluni continuano) a lambiccarsi il cervello e frugare negli interstizi dei bilanci e delle rispettive Finanziarie, onde trovare qualche “spicciolo” superstite dal crollo dei derivati, da destinare al rilancio del comparto. Intanto, la Commissione UE se ne usciva, il 7 gennaio con una Direttiva (2009/1/CE): che modifica, al fine di adeguarla al progresso tecnico, la direttiva 2005/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sull’omologazione dei veicoli a motore per quanto riguarda la loro riutilizzabilità, riciclabilità e recuperabilità. Il testo, insolitamente breve, va ad intervenire sostanzialmente sull’Allegato IV della Direttiva 2005/64/CE ed impone ai Produttori e ai Fornitori una serie di vincoli e prescrizioni cui dovranno attenersi lungo tutta la filiera produttiva dell’automezzo. Si specifica, inoltre che: “… (omissis) il costruttore del veicolo, in accordo con l’organo competente, deve conformarsi alla norma ISO 9000/14000 o ad un altro programma di garanzia della qualità”. Inoltre, all’art. 2 si dichiara chiaramente che: “qualora non siano rispettate le prescrizioni di cui alla Direttiva 2000/64/CE, quali modificate dalla presente direttiva, a decorrere dal 1° gennaio 2012 gli Stati membri rifiutano, in base a motivi riguardanti la riutilizzabilita, riciclabilità e ricuperabilità dei veicoli a motore, di concedere l’omologazione CE o l’omologazione nazionale per nuovi tipi di veicoli”. Gli Stati membri dovranno adottare e pubblicare entro e non oltre il 3 febbraio 2010 le disposizioni legislative regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla nuova direttiva e comunicare immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni (art. 3) Infine, l’art. 4 precisa che gli Stati membri applicano tali disposizioni a decorrere dal 4 febbraio 2010. Per una lettura più coerente del testo licenziato dalla Commissione, pubblichiamo la versione integrale. DIRETTIVA 2009/1/CE DELLA COMMISSIONE del 7 gennaio 2009 che modifica, al fine di adeguarla al progresso tecnico, la
direttiva 2005/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sull’omologazione dei veicoli a motore per quanto riguarda la loro riutilizzabilità, riciclabilità e recuperabilità. (Testo rilevante ai fini del SEE) Si avverte che il testo di legge inserito in queste pagine non riveste carattere di ufficialità e non è sostitutivo in alcun modo della pubblicazione ufficiale cartacea LA COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, visto il trattato che istituisce la Comunità europea, vista la direttiva 2005/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, sull’omologazione dei veicoli a motore per quanto riguarda la loro riutilizzabilità, riciclabilità e ricuperabilità e che modifica la direttiva 70/156/CEE del Consiglio (1), in Particolare il secondo capoverso dell’articolo 6, paragrafo 2, considerando quanto segue: (1) La direttiva 2005/64/CE è una delle direttive particolari adottate nell’ambito della procedura di omologazione CE definita conformemente alla direttiva 70/156/CEE del Consiglio, del 6 febbraio 1970, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi (2). (2) Occorre definire norme dettagliate per verificare, nell’ambito della valutazione preliminare del costruttore di cui all’articolo 6 della direttiva 2005/64/CE, se i materiali impiegati per la costruzione di un tipo di veicolo siano conformi alle disposizioni dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/53/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 settembre 2000, relativa ai veicoli fuori uso (3). (3) In particolare è opportuno garantire che le autorità competenti siano in grado di verificare l’esistenza di accordi contrattuali tra il costruttore del veicolo in questione e i suoi fornitori a fini di riutilizzabilità, riciclabilità e recuperabilità e che le relative prescrizioni contenute in tali accordi vengano debitamente comunicate. (4) Le misure di cui alla presente direttiva risultano conformi al parere del comitato per l’adeguamento al progresso tecnico - veicoli a motore, HA ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA: Articolo 1 L’allegato IV della direttiva 2005/64/CE è modificato mediante inserzione del seguente nuovo paragrafo 4: «4.1. Nell’ambito della valutazione preliminare a norma
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dell’articolo 6 della direttiva 2005/64/CE, il costruttore del veicolo deve dimostrare che la conformità con le disposizioni dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/53/ CE è garantita negli accordi contrattuali con i fornitori.
4.3. Ai fini dei paragrafi 4.1 e 4.2 il costruttore del veicolo, in accordo con l’organo competente, deve conformarsi alla norma ISO 9000/14000 o ad un altro programma di garanzia della qualità.»
4.2. Nell’ambito della valutazione preliminare a norma dell’articolo 6 della direttiva 2005/64/CE, il costruttore del veicolo deve definire opportune procedure per i seguenti scopi: a) comunicare le prescrizioni applicabili al suo personale e a tutti i fornitori; b) monitorare e garantire che i fornitori agiscano conformemente alle prescrizioni in questione; c) raccogliere i dati pertinenti a livello dell’intera catena di approvvigionamento; d) controllare e verificare le informazioni ricevute dai fornitori; e) reagire opportunamente quando i dati ricevuti dai fornitori indicano una mancata conformità con le prescrizioni di cui all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/53/CE.
Articolo 2 Qualora non siano rispettate le prescrizioni di cui alla direttiva 2005/64/CE, quali modificate dalla presente direttiva, a decorrere dal 1° gennaio 2012 gli Stati membri rifiutano in base a motivi riguardanti la riutilizzabilità, riciclabilità e ricuperabilità dei veicoli a motore di concedere l’omologazione CE o l’omologazione nazionale per nuovi tipi di veicoli.
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Articolo 3 1. Gli Stati membri adottano e pubblicano, entro e non oltre il 3 febbraio 2010, le disposizioni legislative regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni. Gli Stati membri applicano tali disposizioni a decorrere dal 4 febbraio 2010.
Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri. 2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva. Articolo 4 La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
Articolo 5 Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva. Fatto a Bruxelles, il 7 gennaio 2009. Per la Commissione Günter Verheugen Vicepresidente (1) GU L 310 del 25.11.2005, pag. 10. (2) GU L 42 del 23.2.1970, pag. 1. (3) GU L 269 del 21.10.2000, pag. 34.
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Mercato dei rottami
BRUTTA APERTURA PER IL 2009 Calano i prezzi ed il recupero diventa antieconomico, ma l’ambiente che fine fa? di Alberto Piastrellini
Già nello scorso numero di dicembre del Notiziario, avevamo riportato alcune notizie circa la pesante congiuntura che sta gravando sul prezzo dei metalli e sul settore manifatturiero in generale. Oggi, ad appena un mese dall’inizio del nuovo anno, i venti di crisi non accennano a diminuire, portando scompiglio nei vari settori dell’economia e ponendo altresì difficoltà all’ambiente per effetto delle “turbative” nel comparto del riciclo. Cerchiamo di analizzare insieme le Note di mercato che l’Assofermet (Associazione Nazionale dei Commercianti in Ferro e Acciai, Metalli non ferrosi, Rottami ferrosi, Ferramenta e affini) ha diramato nelle date: 14 e 28 gennaio, relativamente al mercato dei rottami ferrosi e di quello dei rottami non ferrosi. Rottami ferrosi Brusco risveglio, in gennaio, per il comparto deputato al recupero e alla commercializzazione dei rottami ferrosi; il mese ha evidenziato una riduzione nella raccolta di rottame che ha raggiunto il picco del – 40%. “Le scorte dei magazzini hanno raggiunto i minimi storici – afferma la Nota Assofermet – e, di conseguenza, tutto il settore si dovrà confrontare con un problema di carenza
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che, se pur coerente con la crisi del comparto manifatturiero e meccanico, deve comunque soddisfare una domanda della siderurgia nazionale le cui riduzioni di produzione sono inferiori al calo del gettito di rottame”. E, se: “Atene piange… Sparta non ride” sicuramente, dal momento che la situazione contingente è confermata su tutto il territorio europeo. La Nota, che ricordiamo si riferisce alla prima parte del mese di gennaio, prosegue prevedendo una certa prudenza nella domanda di rottame, provocata, evidentemente, dalla pausa di fine anno nelle produzioni siderurgiche. Tuttavia, con la ripresa delle produzioni, si prevedono aumenti nella domanda, e, conseguentemente, evidenze di scarsità nella disponibilità dei magazzini italiani. Rottami non ferrosi Stante la crisi internazionale che continua a far sentire i suoi effetti su tutti i comparti produttivi ed economici, anche il mercato dei rottami non ferrosi si adegua alla parabola discendente, mentre l’impatto negativo del crollo dei prezzi di tutti i metalli di base, ha: “compromesso ulteriormente gli esili margini dei commercianti di rottami”. Da notare che in questa situazione molte tipologie di prodotto non vengono più lavorate, perché è diventato
antieconomico il recupero. Con buona pace, viene da dire, di tutti i discorsi e le Direttive comunitarie sulla necessità di diminuire la quantità di rifiuti prodotti, recuperarne la maggior parte ed avviarla al riciclo. La Nota relativa la mercato dei metalli non ferrosi, datata, come citato poc’anzi, 28 gennaio, fa il punto, quindi sullo stato dell’arte del comparto, evidenziando i seguenti punti nodali: • deterioramento di tutti i fondamentali e della richiesta di metallo in particolare (l brusco calo dei prezzi ha peggiorato una situazione di mercato già provata dai risultato impietosi della fine 2008, ingenerando una ulteriore riduzione della domanda); • i produttori principali hanno tentato di sostenere il prezzo tagliando la produzione, ma la misura non è stata sufficiente a compensare la riduzione della domanda (tale dinamica ha ingenerato un aumento degli stock e un crollo dei prezzi); • appare una dicotomia: da un lato si registra una quantità notevole di rottami nei diversi cantieri, dall’altra la disponibilità effettiva a prezzi di mercato appare modesta (in ogni
TOP 10 DEI PAESI PRODUTTORI DI ACCIAIO
PRODUZIONE MONDIALE DI ACCIAIO CRUDO
Fonte: World Steel Association - WSA
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caso, si ricorda sulla Nota, “più che sufficiente a soddisfare le richieste da parte dei principali produttori”); • alcune aziende ricorrono ai cosiddetti ammortizzatori sociali per tagliare la produzione dei materiali; • perdura una situazione di stallo per quanto riguarda l’attesa degli annunciati aiuti al settore automobilistico. E proprio su quest’ultimo punto ci sembra doverosa una riflessione, perché è proprio nei momenti di crisi che si dovrebbero cogliere al volo certe opportunità e bene ha fatto, in questo senso, il neo eletto Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, quando all’indomani della sua nomina ha dato l’avvio ad un “Green New Deal” dove, tra l’altro, gli aiuti
economici alle maggiori industrie automobilistiche del Paese (grandi consumatori di metalli e, indirettamente, produttori di rottami) sono dipendenti da strategie produttive che impongono la minor produzione di rifiuti e di emissioni. Invece, in Europa, malgrado l’accettazione a denti stretti di un “pacchetto Clima-Energia” costruito attorno ai desiderata di grossi gruppi industriali, si preferisce aspettare che la crisi passi e che torni economicamente vantaggioso recuperare metalli, con tutto quel che ne consegue in termini di produzione da materia prima, trasporto, energia dispersa… Può anche darsi che sia una strategia conveniente per certe imprese, ma per il sistema-ambiente?
TREND PRODUZIONE ACCIAIO
STATISTICA DELL’ACCIAIO RELATIVA ALL’ANNO 2008
Fonte: World Steel Association - WSA
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