Free Service srl Edizioni - Falconara M. (AN) - Supplemento n. 4 al n. 3 Marzo 2009 di Regioni&Ambiente - Poste Italiane s.p.a. - spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DGB Ancona
n. 2 Marzo 2009 - Anno V
SOMMARIO IL DEMOLITORE “ARTISTA” ................................4 UNATRAS: CONTRO LA CRISI DELL’AUTOTRASPORTO, UNITI SI PUÒ VINCERE! ......9 RIPRENDIAMOCI LA CITTÀ................................ 13 LOGIMA srl LOGIMA: UN VALIDO AIUTO PER L’AUTODEMOLITORE PROFESSIONISTA ................ 18 ECO-INCENTIVI DAVVERO “ECO”? PER L’ECO-LOGIA O L’ECO-NOMIA? ..................... 20 PROTOCOLLO DI KYOTO: I CONTI TORNANO? ......................................... 25 IL ROTTAME FERROSO È MATERIA PRIMA SECONDARIA SOLO SE PROVIENE DA UN CENTRO AUTORIZZATO DI GESTIONE E TRATTAMENTO RIFIUTI ..................... 28 ECOTECNICA srl EC 500 FULL: LA CESOIA CHE TAGLIA I COSTI......... 32 TEMPI DURI PER IL RICICLO .............................. 34
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IL DEMOLITORE “ARTISTA”
“Dobbiamo lasciare il nostro pianeta un po’ meglio di come lo abbiamo trovato”
Dopo il documentario “Oltre il bizzarro” che gli ha dedicato la rete tematica digitale Discovery Channel, che i telespettatori italiani hanno potuto vedere, essendo ospitata su Sky Italia, ora Thomas Every ha pure una biografia che ne consacra le doti artistiche (Tom Kumpsh “A Mithic Obsession. The World of Dr. Evermor”, Chicago Review Press, 2008). In verità, Every era già conosciuto al grande pubblico statunitense per aver costruito Forevertron (altezza 15.2 m, larghezza 36.5, peso stimato 400 tonn.), la più grande scultura metallica che si conosca e come tale inserita nel Guinness dei Primati (1999).
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Every è nato nel 1938 a Madison (Wisconsin) da una famiglia di origine inglese che si era trasferita negli Stati Uniti. Durante gli anni della II Guerra Mondiale il padre iniziò la raccolta e il riciclo di giornali, stracci e rottami per sostenere lo sforzo bellico, continuando poi a guerra ultimata. Every a 20 anni costituì un’impresa di rottamazione, smantellando circa 350 siti industriali in tutto il Paese, fino a quando nel 1983 lasciò l’azienda nelle mani del figlio per ritirarsi in pensione. Ma aveva ben in mente quel che intendeva fare. Per anni, durante la sua attività, aveva accatastato in un magazzino, accanto alla fabbrica militare di Badger, che è stato il più grande impianto di munizioni per l’esercito degli Stati Uniti, tutta una serie di manufatti che, per la loro storia o forma, lo avevano incuriosito, sottraendoli alla demolizione per il commercio dei singoli metalli.
Acquistato un vicino terreno, cominciò la costruzione di “sculture” metalliche, assemblando con saldature e bulloni le varie parti. Aveva così inizio il complesso Forevertron e il suo autore assumeva lo pseudonimo di Dr. Evermor. Il Parco storico-artistico in cui è inserito Forevertron è stato incluso al terzo posto nella Road Side America, guida statunitense che segnala a chi viaggia sulle grandi arterie i luoghi più curiosi ed interessanti da visitare nella zona in cui si trova. Il Parco di Every sorge nella fertile pianura di Sauk (Wisconsin), tra le cittadine di Sumpter e Baraboo, lambito dalla 12a Highway che ne segnala la possibilità di fargli visita con un’apposita cartellonistica. Un’insegna metallica con un cuore color rosso brillante, infilzato da un trapano industriale, dà il benvenuto al visitatore che scorge immediatamente la sagoma imponente del Forevertron. Pur evocando scenari da Star Wars o da Harry Potter, l’opera vuol rappresentare, come dichiarato dal suo autore, una “nave spaziale” sulla quale, metaforicamente, il Dr. Evemor si imbarcherà, quando sarà giunto il momento, per salire in cielo “lontano dai frastuoni di questo mondo”. In effetti, Forevertron assomiglia ad un’astronave a cui si accede tramite un ponte e una successiva scala a chiocciola, raggiungendo una palla di vetro sormontata da un’ogiva di rame lucente, vecchia insegna prelevata dalla fabbrica di penne stilografiche “Parker” nella vicina Janesville. Ma la cosa più singolare consiste nel fatto che la “scultu-
ra” contiene parti metalliche di una vera astronave, quella dell’Apollo 11 che raggiunse il suolo lunare (1969). “Abbiamo demolito tutte le parti che erano arrivate su tre rimorchi - ha dichiarato il Dr. Evermor - ma ho conservato le due autoclavi con cui sono state prelevate le rocce lunari”. “Abbiamo poi contattato la NASA per avere la documentazione che ne attestasse l’autenticità - ha affermato nel corso di un’intervista Every, orgoglioso di aver conservato una parte del programma spaziale USA - Ci sono arrivati i disegni originali ed eccola là quella dannata cosa”. La sua filosofia è mantenere inalterata la forma originaria delle singole parti: creare il nuovo, conservando il vecchio. Oltre ai pezzi dell’Apollo 11 in Forevertron ci sono pure la dinamo elettrica bipolare di Thomas Edison (1882) prelevata dalla dismissione del Museo “Henry Ford” e la prima macchina a Raggi X, rilevata nel corso della demolizione di un vecchio ospedale. “Molte di queste forme non saranno più visibili - ha sentenziato il Dr. Evermor - Ho rispetto per le persone che hanno progettato questi materiali”. A suo avviso, queste forme potranno rivitalizzare l’immaginazione di coloro che visitano il parco, mentre l’attuale designer industriale è da lui ritenuto “privo di anima”. A chi gli fa osservare che c’è bisogno di propulsione per far volare Forevertron, il Dr. Evermor mostra Graviton, una “scultura”, poco distante da Forevertron e ad esso collegato, che, catturando la forza magnetica di un fulmine, innescherà la produzione di energia necessaria. Un po’ visionario, forse, il Dr. Evermor lo è, ma è caratte-
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ristica tipica delle persone creative. Egli è solito ricordare due eventi che hanno caratterizzato la sua infanzia: - le letture dei racconti fantastici della nonna, che hanno suscitato la sua immaginazione; - le parole del padre, pastore presbiteriano, quando, sorpresi da un’intensa tempesta con potenti scariche elettriche, cercava di rassicurarlo svelandogli che tale forza poteva venire solamente da Dio. Nel corso di 26 anni di attività artistica il Parco si è arricchito di tante altre sculture. Mentre Forevertron è enorme e imponente, altre opere di Tom sono delicate e stravaganti, come la Banda degli Uccelli (Bird Band), 70 sculture che rappresentano volatili dalle forme di strumenti musicali, ad archi o a percussioni, qualcuna in grado di suonare. A livello creativo si tratta di vere e proprie opere d’arte, tanto che l’American Visionary Art Museum di Baltimora si è offerta di acquistare l’intera Banda, ma Every si è rifiutato. Come ha egualmente declinato l’offerta di cedere per 5 milioni di dollari Forevertron: “è contrario alla mia dannata filosofia - ha dichiarato Tom - I soldi vanno e vengono, ma questa scultura sarà eterna”. Ha accolto, invece, la proposta dello Stato del Wisconsin
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di allungare il Parco fino ad incorporare l’ex fabbrica di munizioni di Badger in modo da rendere memoria a coloro che vi hanno lavorato intensamente durante gli sforzi bellici della II Guerra Mondiale Tom non fa uso di schemi o disegni: “vado avanti improvvisando, anche se può apparire sorprendente”. Così una paio di Volswagen rottamate sono divenute due coleotteri; un grande altoparlante rilevato da un vecchio teatro di Beloit (Wi) è divenuto il Celestial Listening Ear, il grande orecchio con cui si possono captare le “voci dal cielo”, indirizzando i telescopi acustici (due tubi di scappamento di due autocarri demoliti), seduti su una vecchia poltrona da dentista; un vecchio letto in ottone diventa un uccello con lucidi occhi (i pomi dei vecchi portoni) e dal lungo becco (la “pistola” di un vecchio erogatore di carburante). Durante la sua attività il Dr. Evermor non è mai incorso in incidenti e nessun visitatore ne ha avuti, anche se c’è da chiedersi come faccia il Juicer Bug (lo spremiagrumi gigante) che pesa 15 tonnellate ad essere sostenuto dalle gambe affusolate di un insetto. “Nessuno studio di ingegneria sarebbe in grado di calcolare la pressione delle gambe”, ha osservato il Dr. Evermor. Altrettanto esile è l’Aracne Arty, alto circa 6 m, sorretto da
8 zampe come un ragno vero, costituite da assi per pesare i camion. “Al di sotto e al di fuori di ogni schema, questa specie di Art Nouveau di Evermor, forma il tessuto connettivo di una fantasia meccanica”. (Tom Kupsh, in op. cit., pag. 33). Per garantirsi che Forevertron non finisca in un altro mucchio di rottami, quando egli sarà morto, Every ha costituito la “Fondazione Evermor”, organizzazione no-profit che si occupa della manutenzione e promozione del Parco, tramite
fondi che derivano dalla vendita di piccole sculture da lui costruite o delle quali ha seguito i lavori, dal momento che è ora costretto su una sedia a rotelle, dopo esser stato colpito da infarto. “Siamo su questa terra per un breve periodo di tempo - ha affermato Tom Every - Dobbiamo lasciare qualcosa della nostra presenza sul Pianeta, per conservarlo migliore di come l’abbiamo trovato”.
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UNATRAS: CONTRO LA CRISI DELL’AUTOTRASPORTO, UNITI SI PUÒ VINCERE! Riunite in Assemblea, a San Benedetto del Tronto, le associazioni di categoria dell’autotrasporto per fare il punto della situazione sul futuro del settore. Presente l’on. Bartolomeo Giachino, Sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. di Eleonora Camaione
Lo stato di crisi nel quale da anni imperversa il settore dell’autotrasporto italiano negli ultimi mesi sta subendo un ulteriore inasprimento. La quantità di merce da trasportare si riduce significativamente ogni giorno che passa, gli imprenditori stanno fermando i tir e diminuendo il personale, l’indebitamento delle piccole e medie imprese è in aumento, rischiando di far chiudere le aziende stesse. Difficoltà queste che, se sommate alla crisi globale che sta investendo tutti i settori correlati all’autotrasporto (economico, delle infrastrutture, del lavoro), non lasciano spazio a prospettive rosee. Tale presa d’atto della crisi del settore necessita di misure urgenti e di strategie di ripresa del comparto dell’autotrasporto. La ricerca di soluzioni e ricette per il rilancio della categoria dei trasporti su gomma è stata al centro della prima assemblea nazionale di UNATRAS (Unione Nazionale delle Associazioni di Autotrasporto), organismo che riunisce le maggiori associazioni di categoria (Confartigianato Trasporti, Fai, Fiap e CNA Fita). Lo scorso 15 febbraio, a San Benedetto del Tronto, con uno slogan d’effetto:
“Uniti si può vincere!” si è aperto il dialogo per progettare il futuro dell’autotrasporto regionale. Attorno ad uno stesso tavolo si sono riuniti l’On. Bartolomeo Giachino, Sottosegretario al Ministero Infrastrutture e Trasporti, Franco Coppelli, Presidente UNATRAS, Mauro Squarcia, Vice Presidente Nazionale Confartigianato Trasporto, Pasquale Russo, Segretario UNATRAS, Massimo Bagnoli, Presidente Fiap, Gilberto Gasparoni, Confartigianato Trasporti Marche, Roberto Galanti, Fiap Marche, Antonio Focarile, Fai Marche, Ermanno Santini, CNA Fita Marche, Gino Sabatini Presidente CNA Ascoli Piceno e oltre 250 lavoratori e imprenditori dell’autotrasporto regionale e nazionale. “Questa è una giornata storica ha affermato Roberto Galanti di Fiap Marche è dal 1992 proviamo a riunire tutte le sigle degli autotrasportatori. Unatras ci è riuscita portandoci ad un unico tavolo con il Sottosegretario ai Trasporti Giachino. L’importante ora è rimanere uniti e continuare a portare avanti il dialogo cominciato oggi”. Numerosi sono stati gli interventi che hanno animato la giornata e portato
in superficie i problemi reali della categoria. Franco Coppelli, Presidente UNATRAS ha mosso un appello affinché i fondi promessi dal Governo a dicembre 2007 dopo lo sciopero nazionale che aveva visto lo stop dei Tir sulle strade e autostrade nazionali, vengano appostati non oltre marzo 2009. Infatti, quelle risorse sono indispensabili in questo momento di grande crisi in quanto tradotte in termini di risparmio ammontano a 4-5 mila euro annui per veicolo. “Fino ad oggi ha affermato Coppelli poche risorse e una legge a metà strada (ndr. Legge n. 133, 6 agosto 2008) che spinge all’irregolarità ha reso tesa la situazione. Se la soluzione non arriva in tempi brevissimi, non so quante imprese di autotrasporti sopravviveranno dopo marzo”. La Legge 6 agosto 2008, n. 133 che recepisce il Decreto-Legge 112/08, nell’articolo 83-bis si occupa di tutela della sicurezza stradale e della regolarità del mercato dell’autotrasporto di cose per conto terzi, ma di fatto non è stata ancora attuata. La legge prevede la costituzione di un Osservatorio sull’attività di autotrasporto (già pre-
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visto nel D. Lgs. 21 novembre 2005, n. 286), che determini mensilmente il costo medio del carburante per chilometro di percorrenza, con riferimento alle diverse tipologie di veicoli, e della Consulta generale per l’autotrasporto e per la logistica, organo che disciplina lo svolgimento dei servizi di trasporto in uno specifico settore merceologico. Di fatto ancora oggi questi organi non sono stati costituiti e la legge non ha trovato la sua piena applicazione. Nel dibattimento anche Pasquale Russo, Segretario generale UNATRAS ha portato alla luce una questione molto importante: le sovvenzioni per le piccole imprese. “Le imprese minori sono la base e dettano le scelte quando riescono a mettere su un’iniziativa che porta all’unione di tutte le sigle sindacali ha osservato Russo - In seguito alla vertenza di giugno il Governo ha stanziato 290 milioni di euro a favore degli autotrasportatori, e ci sarà un’allocazione di risorse per possibili spese, ma queste risorse devono essere garantite alle piccole aziende che stanno subendo un drastico calo delle commesse. Le ditte di trasporto minori vanno a costituire la spina dorsale della nostra economia, il settore ha bisogno di interventi rapidi. La categoria sta soffrendo, necessita di interventi lampo per superare le difficoltà che però vanno affrontate con responsabilità da tutte le parti coinvolte. Inoltre, Russo ha richiesto un intervento immediato e diretto ed ha ammesso che se la soluzione non dovesse arrivare in tempi brevi, UNATRAS sarà
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costretta ad assumere un atteggiamento meno concertativo di quello utilizzato fino ad ora. Di sicuro un atteggiamento di polso è quello intrapreso dalla Regione Sicilia. Nell’isola la disperazione sta portando i camionisti ad organizzare un altro sciopero, strumento che probabilmente non potrà far altro che peggiorare le cose. Infatti le Associazioni di categoria siciliane CNA Fita, Fai, Casartigiani, Aitras, Aias e Conftrasporto hanno proclamato il fermo regionale dei servizi di trasporto su gomma dalla mezzanotte del 2 marzo fino al giorno 6 marzo. La richiesta delle Associazioni siciliane è quella di un incontro urgente con il governo regionale per trattare alcuni temi di particolare importanza, come l’utilizzo del fondo residuo a disposizione dell’autotrasporto, lo sblocco delle procedure per il pagamento delle somme del bonus regionale e nazionale relativo alle autostrade del mare, l’approvazione del disegno di legge che istituisca la consulta regionale dell’autotrasporto e l’integrazione delle commissioni d’esame per l’accesso alla professione di autotrasportatori con un rappresentante della consulta regionale dell’autotrasporto. Come la Sicilia anche le Marche vivono uno stato avanzato di crisi, basti pensare che sono 117 le imprese di autotrasporto marchigiane scomparse lo scorso anno (2008), e ben 35 soltanto negli ultimi tre mesi (dicembre 2008, gennaio e febbraio 2009). Una tendenza che non è soltanto figlia della crisi attuale ma che dura da diversi
anni: nel 2006 furono 185 le imprese che chiusero i battenti mentre nel 2007 salirono a 197. Oltre alla maggior rigidità del sistema bancario che sta riducendo sensibilmente l’accesso al credito e le linee di finanziamento attualmente esistenti, mettendo in grave difficoltà le oltre 6.000 aziende di autotrasporto con 12.000 automezzi e 13.000 addetti che movimentano il 95% delle merci sul territorio regionale, nelle Marche influisce anche l’aumento dei costi sia del carburante sia delle assicurazioni. In sostanza per gli autotrasportatori marchigiani è sempre più difficile far quadrare i conti. Gilberto Gasparoni di Confartigianato Trasporti Marche in poche battute ha fotografato la situazione marchigiana e proposto alcune possibili soluzioni. “Gli autotrasportatori stanno subendo un calo impressionante, sono circa un 30% in meno rispetto allo scorso anno. C’è poco lavoro e non è pagato. C’è carenza di liquidità. Puntiamo quindi sulla legalità per andare avanti con fiducia. Tra gli interventi indispensabili per superare la crisi: estendere la cassa integrazione all’autotrasporto; regolamentare i rapporti di lavoro con norme a favore delle piccole e medie imprese; reperire il gasolio a prezzi più bassi, direttamente dal produttore”. Da più voci è invocato un intervento urgente del Governo della Regione Marche per l’attivazione degli ammortizzatori sociali e di strumenti di sostegno per favorire la diversificazione delle imprese.
Il Sottosegretario Bartolomeo Giachino, dichiarando che il Governo è attento alla questione dei trasporti e crede in questo settore, ha ammesso che in Italia però è molto arretrato rispetto al resto d’Europa. Spinto dalle richieste provenienti sia dai rappresentanti delle sigle associative sia dai lavoratori presenti all’incontro che hanno fatto sentire la loro voce e sottolineato la loro gravosa situazione e avanzato bisogni reali, il Sottosegretario Giachino ha proposto una formula che prevede interventi indispensabili da subito: “I prossimi provvedimenti da attuare sono: lo sconto sul bollo; i contributi per l’acquisto di Tir non inquinanti e lo stanziamento di 500 milioni di euro per il settore dell’autotrasporto. Pensiamo che se si ferma questo settore si fermerà anche l’economia. I soldi verranno ripartiti per: riduzione INAIL per gli autisti (122 milioni) come previsto dall’approvazione di un emendamento del decreto “Mille proroghe” sul settore dell’autotrasporto che riduce i tassi dei premi INAIL in ragione del minor tasso di incidentalità, bolli (40 milioni), 105 milioni stanziati nel decreto di giugno, 120 milioni per rimborsi spese non documentate, 70 milioni per assicurazione sanitaria e 60 milioni dalla
Finanziaria il cui utilizzo va deciso con le associazioni di categoria. Le ipotesi sono per l’Irap o per Confidi regionali. Rispetto alla questione creditizia mi impegno in tal senso anche a convocare le banche e le associazioni di categoria per spiegare la nuova normativa”. Rassicurando che nel mese di marzo 2009 entrerà in funzione la Consulta e verrà costituito l’Osservatorio, l’On. Giachino ha promesso che entro febbraio verranno presentati gli studi di settore e una volta che diverrà attuativo il decreto “Mille proroghe” si discuterà anche dei contributi per il gasolio, oltre alla modifica del Codice degli appalti. Sulla situazione marchigiana l’On. Giachino si è mostrato fiducioso: “Le Marche, prima della crisi era una regione forte perché da qui partono molti prodotti del made in Italy. Ora è necessario pensare a migliorare sia i problemi della logistica che le infrastrutture, dall’aeroporto alla terza corsia dell’A14, fino ai porti marittimi. Il Ministro dei Trasporti Altero Matteoli sta lavorando per la riforma delle Autorità portuali: non è più pensabile che il 60% delle merci in arrivo in Italia non attracchi nei nostri porti ma in quelli olandesi e tedeschi (Rotterdam, Amburgo, Anversa) perché questo vuol
dire una perdita di 3 miliardi annui di tasse portuali e una perdita di lavoro per gli autotrasportatori”. Al termine dell’assemblea l’On. Giachino ha ringraziato dell’invito, “Perché - ha affermato - da questo confronto ho appreso molti elementi e notizie cose che troveranno un altro momento di discussione nelle commissioni parlamentari, anche grazie alla presenza qui oggi degli onorevoli Amedeo Ciccanti, Luciano Agostini e Remigio Ceroni. Fra tre mesi sarò pronto ad un nuovo dialogo con voi”. In sintesi, le problematiche portate sul tavolo di lavoro sono state tante e varie. Per la prima volta si è dato valore ai reali bisogni, quelli espressi nel dibattito dagli uomini e dalle donne che ogni giorno vivono la crisi del settore dell’autotrasporto, percorrono i tragitti sempre più dissestati delle strade e autostrade italiane, dichiarano la loro gravosa situazione, nella speranza che il politico presente possa attivare strategie e azioni volte a risollevare un settore che si trova al collasso. Gli imprenditori dell’autotrasporto sono pronti ad assumersi i propri doveri, ma desiderano vedere affermati i propri diritti.
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Mobilità sostenibile
RIPRENDIAMOCI LA CITTÀ
Legambiente ha presentato una rassegna mondiale sulle città che hanno sposato la causa ambientalista e vivono (meglio degli altri) senz’auto. di Caterina Saracino
La città è fatta per gli uomini, non per le automobili. Questo è l’assunto da cui Legambiente è partita per redigere il dossier “Costruire città senz’auto”, presentato a Milano, presso la Fondazione Riccardo Catella, in occasione del convegno organizzato per l’anniversario del Protocollo di Kyoto. Il Dossier raccoglie tante storie di successo: quelle di interi quartieri di città europee, ma anche asiatiche e americane, costruiti secondo le regole della vivibilità, della condivisione, del minor impatto possibile sull’ambiente; in una parola car-free, libere dall’auto. Vivere in quartieri simili sarebbe il sogno di molti e se è vero ciò che diceva Delmore Schwartz, ossia che “nei sogni cominciano le responsabilità”, l’Italia deve “sognare” in grande. Il nostro Paese, in tal senso, è il fanalino di coda dell’Europa, come ha evidenziato il Presidente dell’Istituto Ambiente Italia, Maria Berrini. La nostra televisione seguita a bombardarci con spot pub-
blicitari che ci propongono l’automobile come estensione dello spazio vitale, come alleato indispensabile delle nostre giornate lavorative o ricreative, o anche solo come oggetto del desiderio, da sfoggiare a suon di clacson per le strade o da tenere in garage come un‘ingombrante bomboniera. Crisi o non crisi, nel Bel Paese il rapporto tra cittadini e numero di automobili è altissimo, al limite del preoccupante: a Milano ci sono 63 auto ogni 100 abitanti e a Roma si sale addirittura a 76. L’italiano medio si lamenta dell’aria irrespirabile, della mancanza di parcheggi, di ritardi ormai cronici, dovuti a code chilometriche, per arrivare sul posto di lavoro; ma anche nelle città più trafficate continua ad optare per il mezzo privato. Qualcosa, però, sembra muoversi: potrebbe essere proprio Milano ad ospitare il primo quartiere car-free d’Italia; in vista dell’Expo 2015 (dove i visitatori non potranno raggiungere la sede con mezzi propri), Legambiente ha proposto al
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Comitato promotore di collaborare alla costruzione di un quartiere libero dalle auto, che sarà perfettamente “funzionante“ nel 2016. Il capoluogo lombardo sarà, altresì, scenario del grande progetto “Green Life: costruire città sostenibili”, una Mostra internazionale sui quartieri car-free e sulle città europee che hanno intrapreso politiche eco-sostenibili, che sarà inaugurata nel 2010. Manfredi Catella Amministratore delegato di Hines Italia, presente al Convegno, sembra fiducioso sul fatto che Milano, come prima rappresentante dell’Italia in tal senso, possa essere di stimolo anche per altre città, non necessariamente province, ma anche piccoli paesi. La rassegna curata da Legambiente presenta un ventaglio di casi esemplari, che dimostrano come si possa vivere meglio la vita in città senza possedere un’auto propria. Prendiamo come primo esempio una città abbastanza vicina noi, Vienna; qui c’è il Nordmanngasse, un’area residenziale in cui è consentito l’insediamento previa una firma che vincola il futuro abitante a non possedere un mezzo privato. In questa sorta di paradiso urbano vivono all’incirca 600 persone, che usufruiscono di un’ottima rete di trasporti pubblici o si muovono a costo zero, pedibus calcantibus oppure in bicicletta, e che degli spazi (e denari) risparmiati ne fanno aree verdi e servizi di pubblica utilità. Forte del successo di Nordmanngasse, dove la qualità della vita e dell’aria sono nettamente migliori rispetto a quella di noi poveri cittadini “affumicati”, Vienna ospiterà anche Bike
City, che ha già qualche migliaio di aspiranti residenti a contendersi le previste 99 unità abitative e che baserà tutto il proprio sistema di mobilità sul caro vecchio “pedalare!”. Se proviamo a spostarci idealmente in Inghilterra, troviamo anche qui degli spunti di riflessione interessanti. Paragonata a Londra, la nostra Roma non fa una bellissima figura: la capitale inglese, infatti, ha solo 36 automobili ogni 100 abitanti, perché ha saputo rendere molto più che efficienti i trasporti pubblici, in particolare “The Tube”, la famosa metropolitana che consente una mobilità fluida e celere ad un prezzo contenuto e a grande velocità di servizio, se si pensa all’abbonamento in card elettronica. Non è un caso se è diventata uno dei simboli di Londra, assieme ai bus rossi. In tema di insediamenti inglesi car-free, Legambiente cita il Beddington Zero Energy Development, meglio noto come BedZED, situato proprio in una zona dismessa di Londra (Sutton), e Slateford Green, quartiere di Edimburgo: le scuole, i negozi e i servizi che hanno in comune sono dislocati in modo da poter essere raggiungibili a piedi. Inoltre a BedZED tutte le case sono dotate di pannelli fotovoltaici, i mobili degli appartamenti sono in plastica riciclata e le acque piovane e di scarico vengono raccolte, depurate e usate per irrigare le piante. Ci si sposta con macchine elettriche oppure si ricorre al car sharing. Da noi car sharing è un’espressione ancora poco conosciuta, ma la condivisione dell’automobile è destinata a far parlare di sé, grazie all’aumento delle città aderenti ai circuiti ICS (Iniziativa Car Sharing). Si tratta di prenotare via internet un periodo di tempo, anche breve, in cui usare una macchina messa a disposizione da un parcheggio abilitato, usufruirne e poi riportarla a destinazione, abbattendo così tutti i costi fissi e pagando solo il costo di utilizzo. Nei quartieri inglesi car-free si incentiva l’uso della Rete per fare shopping, con l’intento di risparmiarsi un po’ di emissioni nocive per fare, magari, rifornimenti di tè. Un ottimo esempio di riqualificazione di aree industriali dismesse lo fornisce una città svedese, Malmö, ex centro siderurgico, che vanta una bassa percentuale di automobili (solo il 35% delle famiglie ne possiede) e soprattutto ospita due quartieri con bassa impronta ecologica: • Augustenborg, in cui la percentuale di possessori di auto si attesta al 20%, le biciclette sono il mezzo di trasporto preferito, gli autobus sono alimentati a metano derivato da scarti organici e il car sharing è storia nota; • BO01, comprensivo di 500 abitazioni immerse in spazi verdi attraversati da sentieri pedonali e piste ciclabili. Anche la Germania ha il suo fiore all’occhiello: Vauban, vicino a Friburgo, dove sono stati proprio i cittadini, ri-
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uniti in cooperative, a fornire proposte e idee per la riqualificazione di quest’area, prima occupata da caserme e divenuta ben presto esempio brillante di mobilità sostenibile, grazie soprattutto all’efficienza del trasporto pubblico, ma non solo: l’uso di mezzi inquinanti è scoraggiato perché precluso al pagamento delle tasse che comporta; paga solo chi possiede un mezzo proprio. A Neuchâtel, in Svizzera, sta per terminare la costruzione di Ecoparc, una zona residenziale progettata secondo i dettami dello sviluppo sostenibile, nella quale i cittadini potranno in pochi minuti accedere alle aree boschive o al centro urbano e sfruttare la vicina rete ferroviaria per i trasporti, riducendo al minimo l’uso privato delle auto, anche considerato che il limite di velocità è fissato sui 15 km/h. Tramite questa casistica, il Dossier di Legambiente riporta all’attenzione i principi del New Urbanism, il movimento statunitense fondato intorno al 1980, che si proponeva di abbattere il vecchio modello “grattacielo-strada-villettaipermercato”, e di studiare nuove soluzioni architettoniche con l’obiettivo di riqualificare la vita cittadina, abolendo il
concetto di zoning (zone separate destinate ad usi specifici, ovvero solo residenziali, solo commerciali, ecc.) in favore del mixed use zoning (zonizzazione ad usi promiscui). I vantaggi sono evidenti: se i servizi fossero meglio distribuiti nel tessuto urbano, così come i negozi e le aree ricreative, tutto sarebbe più facilmente raggiungibile a piedi o in bicicletta, l’automobile non sarebbe indispensabile, i bambini potrebbero andare a scuola a piedi, finirebbe l’incubo di cercare parcheggi liberi. È chiaro, dunque, che non si può pensare di eliminare le auto in città costruite “per settori”, ma si rende necessaria una progettazione architettonica ad hoc, che garantisca un importante accorciamento delle distanze, una sicurezza maggiore per i pedoni, una rete adeguata di trasporti pubblici. Oggi il perimetro delle nostre città è disegnato dalle automobili parcheggiate, spesso anche sui marciapiedi, ma ormai non ci facciamo più caso. Al contrario, è importante renderci conto delle ingenti quantità di spazio sacrificato a noi cittadini; se un posto auto misura 10 mq, e nella sola Milano ci sono all’incirca 1.620.000 automobili, tra residenti e non, il calcolo è presto fatto: oltre 16 milioni di mq sono occupati da veicoli che resteranno fermi per il 90% del tem-
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po, quando si potrebbe sfruttare quello spazio per campi da tennis, giardini pubblici e molto altro. La soluzione più logica è ridurre drasticamente i parcheggi, come a Londra, dove il numero di posti auto è molto contenuto, proprio per incentivare i trasporti pubblici, ma sembra che i governi locali non prendano nemmeno in considerazione l’ipotesi, anzi facciano costruire sempre più parcheggi sotterranei e non (vedasi la tabella 1). Eppure le città ne guadagnerebbero anche dal punto di vista estetico: al posto di ammassi di ferraglia vaganti, i turisti o gli abitanti stessi potrebbero godere di spazi più vivibili, più aperti, guardare le vetrine in tranquillità e soprattutto portare in giro i bambini in carrozzina, senza che essi ricevano vampate di gas di scarico sul visetto. In passato c’è stato anche un ingegnere del traffico, Hans Moderman, che ha proposto un’alternativa stravagante per ovviare al problema, ossia eliminare la segnaletica stradale per responsabilizzare gli automobilisti che pare notino solo una minima percentuale dei segnali, sottoponendoli ad uno stress maggiore che potrebbe portarli ad abbandonare l’auto in favore di mezzi meno pericolosi. Proposta, questa, accolta con entusiasmo dai 45.000 abitanti di Drachten, in Olanda, dove le macchine circolano sullo stesso piano di pedoni e biciclette, osservando solo due regole: la prima, precedenza a chi arriva da destra; la seconda, ciò che ostacola gli altri sarà rimosso.
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Quello che è certo, casi limite a parte, è che la tendenza dei paesi più sviluppati è orientata in modo massiccio all’ecologia. Abbiamo già citato il rapporto numerico abitanti/automobili di Londra, ma la vera sorpresa è Manhattan, con sole 13 auto ogni 100 persone, segno incontrovertibile che il progresso non sia necessariamente foriero di consumi incontrollati (vedasi la tabella 2). Non ci riferiamo, però, a Paesi di recente industrializzazione, Cina su tutti, poiché essi si scontrano con questa tendenza, tanto che il tasso di motorizzazione è in crescita sempre maggiore. Ma è altrettanto vero che anche la Cina si sta impegnando nella progettazione di mezzi ecologici e, come risulta dal Dossier dell’associazione ambientalista, si prepara addirittura a costruire, entro i prossimi venti anni, ben 400 città ecologiche. Ammirevole anche l’intervento del Brasile, precisamente di Curitiba, nell’ambito dell’eco-sostenibilità. Oltre ad essere quasi un giardino urbano, grazie alle vaste superfici verdi, Curitiba ha messo a punto una particolare gerarchia delle strade, per cui gli autobus, tre volte più lunghi dei nostri e dotati di ampie porte d’accesso, viaggiano su percorsi diversi da quelli riservati alle automobili, così da rendere il traffico più spedito e sicuro. Il risultato è che il 79% dei pendolari sceglie la comodità dei mezzi pubblici, con una riduzione notevole del livello d’inquinamento. E se la migliore qualità dell’aria, il maggior grado di sicurezza e la causa dell’estetica non fossero sufficienti a convincere i governi della bontà di queste soluzioni, il Dossier mette sotto i riflettori un altro aspetto: le residenze in quartieri a bassa motorizzazione si“vendono” alla grande. Molte famiglie vorrebbero far crescere i propri figli, specie se piccoli, in ambienti più salubri, dove i cittadini escono dai gusci solitari delle autovetture e tornano ad essere una comunità. La speranza è che l’appello di Legambiente non cada nel vuoto e che la Milano post-Expo rappresenti per l’Italia solo il primo anello di una lunghissima catena.
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LogiMa srl
LOGIMA: UN VALIDO AIUTO PER L’AUTODEMOLITORE PROFESSIONISTA
Così Patrizio Piras della Ecoldor, commenta soddisfatto il suo acquisto targato LogiMa di Silvia Barchiesi
Vecchi centri di automolizione e rottamazione, addio… Sono sempre più numerose negli ultimi anni le imprese di autodemolizione, che alla luce delle nuove istanze e delle nuove disposizioni normative in materia ambientale e di sicurezza, stanno riorganizzando i propri centri. E la rivoluzione in atto non riguarda solo la razionalizzazione degli spazi, ma anche l’organizzazione del lavoro. Basta entrare in un moderno centro di autodemolizione per accorgersi della trasformazione e dell’evoluzione della figura del vecchio rottamaio in quella del nuovo professionista della demolizione, sensibile alle problematiche ambientali e sempre più attento alla sicurezza del luogo di lavoro, oltre che all’efficienza e alla produttività. A tracciare la strada di questa trasformazione obbligata è stata proprio l’Unione Europea nella Direttiva 2000/53/CE, recepita successivamente in Italia con D. Lgs. 209/2003 e successive disposizioni correttive ed integrative contenute nel D. Lgs. n. 86 del 12 aprile 2006. La Direttiva stabilisce infatti precisi
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requisiti dei centri di raccolta e dell’impianto di trattamento, che prevedono l’adeguato stoccaggio dei pezzi smontati, nonché, fra i criteri di gestione, regole precise circa la sovrapposizione massima consentita dei veicoli messi in sicurezza e non ancora sottoposti a trattamento, fatte salve le condizioni di stabilità e la valutazione dei rischi per la sicurezza dei lavoratori. Ma non solo. Ad essere regolamentate anche le modalità con cui le parti di ricambio, destinate alla commercializzazione debbano essere stoccate, prendendo opportuni accorgimenti per evitare il loro deterioramento ai fini del successivo reimpiego, secondo il principio comunitario che punta a “prevenire la produzione di rifiuti derivanti dai veicoli nonché al reimpiego, al riciclaggio e ad altre forme di recupero dei veicoli fuori uso e dei loro componenti, in modo da ridurre il volume dei rifiuti da smaltire e migliorare il funzionamento dal punto di vista ambientale di tutti gli operatori economici coinvolti nel ciclo di utilizzo dei veicoli e specialmente di quelli direttamente collegati al trattamento dei veicoli fuori uso”. È questo il quadro normativo di riferi-
mento oggi per gli operatori del settore, che si sono dovuti adeguare ai nuovi standard. Di qui l’urgenza e la necessità di una vera e propria “rivoluzione” legata alla riorganizzazione degli spazi e delle pratiche di lavoro dei centri di autodemolizione, sempre più all’insegna della sicurezza, del risparmio e dell’efficienza. Proprio in quest’ambito agisce LogiMa s.r.l., giovane società di progettazione, consulenza e vendita di soluzioni per la logistica e la gestione di magazzino, nata nel 2004 a Porto d’Ascoli dalla decennale esperienza dei suoi soci fondatori, Fabio Franceschi e Giovanni Paolini. Tra i suoi prodotti di punta infatti ci sono i cantilever, apposite scaffalature che nella loro versione mono o bifronte consentono il più sicuro e ordinato stoccaggio delle autovetture da rottamare, in risposta agli standard e ai requisiti stabiliti dalla Direttiva comunitaria e fissati dalle leggi. Numerosi centri di autodemolizione in tutta Italia hanno testato con soddisfazione i cantilever della LogiMa. Tra questi c’è anche la Ecoldor, in località Motoria a Dordali (NU), specializzata nell’autodemolizione e nella vendita di ricambi usati, oltre che nel
trattamento e smaltimento di rifiuti industriali speciali. Abbiamo sentito il titolare dell’impresa, un’impresa che si sviluppa su 600 m2 e che oggi conta 7 dipendenti, il Sig. Patrizio Pira, uno dei tanti clienti rimasti conquistati dalla tecnologia LogiMa e dai suoi prodotti. Sig. Pira può raccontarci come ha conosciuto LogiMa? Abbiamo conosciuto per la prima volta Logima in occasione della Fiera ECOMOND”, lo scorso novembre a Rimini. Lì abbiamo avuto modo di conoscere le soluzioni tecnologiche che proponeva e ci siamo subito interessati. Ma a dire il vero il “passaparola” tra i clienti LogiMa è stato fondamentale per la decisione dell’acquisto, poiché è proprio grazie ad un amico che ci fatto vede-
re e toccare con mano le funzionalità dei cantilever che ci siamo avvicinati all’azienda. Quali prodotti avete acquistato da LogiMa? Alcuni mesi fa abbiamo acquistato 5 cantilever monofronte. Abbiamo deciso di posizionarli vicino al magazzino dove effettuiamo lo smontaggio delle auto e dove abbiamo anche una pressa per la riduzione volumetrica dei rottami. Per questo la scelta è caduta sul monofronte. Cosa vi ha spinto all’acquisto? Sicuramente la qualità. Abbiamo valutato anche altre soluzioni ed offerte proposte da altre aziende, ma alla fine abbiamo scelto LogiMa proprio per la qualità, la resistenza e la capacità di durare nel tempo dei suoi prodotti.
Come è cambiato il vostro centro dopo l’acquisto dei cantilever? La gestione degli spazi e l’ordine nello stoccaggio sono gli aspetti più evidenti. Lo hanno notato anche i nostri clienti che continuamente si complimentano con noi per la gestione ordinata del centro. Anche l’occhio vuole la sua parte. Insomma l’autodemolitore di oggi non è più il vecchio rottamaio di una volta. Per essere competitivi bisogna saper diventare professionisti dell’autodemolizione e LogiMa fornisce un valido aiuto in questo senso. Consiglierebbe ad altri suoi colleghi i prodotti LogiMa? Certamente sì. Proprio come hanno fatto con me. Anzi, io stesso ho in programma di effettuare anche altri ordini e di acquistare altri cantilever per il mio centro.
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Al via dall’11 febbraio il Pacchetto di misure anti-crisi per risolvere il mercato dell’auto
ECO-INCENTIVI DAVVERO “ECO”? PER L’ECO-LOGIA O L’ECO-NOMIA? di Silvia Barchiesi
Erano attesi già dalla fine dell’anno e sono arrivati solo lo scorso 11 febbraio con il pacchetto di aiuti all’industria automobilistica varato dal Governo. Eppure, i tanto discussi incentivi hanno già fatto sentire il loro effetto, prima e dopo il loro arrivo. Già a gennaio, quando il cosiddetto “effetto annuncio” ha completamente paralizzato un mercato già stagnante per tutto il 2008 e che proprio a gennaio ha incassato il peggior risultato dal 1983 con un totale di 157.418 immatricolazioni e un calo del 32,64 % rispetto a gennaio 2008. Ma l’effetto positivo degli incentivi non tarda ad arrivare, seppur in sordina, a febbraio che ha registrato un aumento dei visitatori negli showroom e un incremento degli ordini. Passano infatti dal 4% di gennaio al 59% di febbraio i concessionari che giudicano alta l’affluenza dei visitatori nei loro saloni, mentre passano dall’1% al 34% quelli che ritengono che il livello di acquisizioni sia elevato. È quanto rivela un’indagine congiunturale del Centro Studi Promoter. Da un primo scambio di dati tra ANFIA e UNRAE infatti i contratti siglati a febbraio toccherebbero quota 220.000, in aumento rispetto a gennaio e addirittura rispetto a febbraio 2008 (+4%). Ma che gli incentivi spingano gli ordini è evidente soprattutto per la Fiat (ai primi posti della top ten delle auto più vendute), che, proprio a febbraio registra, un notevole incremento dei contratti di acquisto: oltre 70 mila, fanno sapere dal Lingotto, il doppio rispetto a gennaio 2009 ed il 30% in più rispetto a febbraio 2008. Eppure nonostante timidi segnali di ripresa, non sono bastati gli incentivi per risollevare un mercato in forte picchiata. A febbraio con un totale di 165.286 immatricolazioni il mercato dell’auto registra infatti ancora segni negativi a due cifre: -24,45% rispetto allo stesso mese del 2008, in leggera ripresa di 8 punti percentuali rispetto al mese precedente quando si attestava intorno al -32,64%. Il mercato di febbraio, sottolineano gli analisti dell’Associazione che rappresenta le case estere operanti sul mercato italiano (UNRAE) in effetti è partito l’11 febbraio (data dell’entrata in vigore del pacchetto anti-crisi del settore auto). Nei primi dieci giorni del mese infatti le immatricolazioni sono state del 39% in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, mentre nella seconda parte del mese la flessione si è contenuta al 18%. “Ma i veri effetti degli ecoincentivi in termini di immatricolazioni - sottolinea Gianni Filipponi, segretario UNRAE - si cominceranno a vedere solo nel corso del mese di marzo quando le immatricolazioni potrebbero essere non inferiori alle 215.000 del 2008”. Se le previsioni fossero azzeccate marzo 2009 metterebbe a segno il primo segno positivo dell’anno e degli ultimi 14 mesi. E i primi timidi segnali di ripresa riguardano anche l’auto europea, travolta dalla crisi per tutto il 2008 con un calo delle vendite dell’8% rispetto al 2007. Sebbene secondo
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l’ACEA, l’Associazione dei costruttori europei, la flessione delle immatricolazioni a gennaio sia stata pari al 27% dello stesso mese nello scorso anno, grazie alle misure tampone degli ecoincentivi il calo della domanda a gennaio sarebbe stato contenuto rispetto ai mesi scorsi, in particolare in Francia (-7,9%), che avrebbe registrato la contrazione minore e in Germania (-14,2%). Meno efficaci sono stati invece gli incentivi in Spagna dove a gennaio è continuata la caduta delle vendite (-41,6%). L’Italia non è stata quindi l’unica, né la prima, a varare il suo pacchetto di aiuti a sostegno dell’industria dell’auto. Mentre il vento della crisi si abbatteva sull’auto europea e Bruxelles apriva il “dossier aiuti” che però ancora tardano ad arrivare, in Europa c’era chi (come Francia, Portogallo, Spagna e Inghilterra) si rimboccava le maniche per arginare la crisi. Ecco allora spuntare così nella giungla degli aiuti in libertà volte a risollevare il mercato, i pluri-gettonati “bonus”, ovvero gli incentivi alla rottamazione e all’acquisto di auto più verdi (dai 2.500 euro della Germania, ai 1.200 della Spagna, ai 1.000 euro di Francia e Portogallo, agli 800 euro della Romania) o i prestiti senza interessi per l’acquisto di auto nuove della Spagna. E non solo. La lista degli aiuti continua, ma in ordine sparso. E tutto ciò proprio per scongiurare lo scenario a tinte fosche prefigurato dalla Commissione Europea, secondo cui senza l’intervento dei singoli governi 1 fornitore europeo su 10 sarebbe destinato al fallimento. A dipingere invece in Italia lo stesso scenario a tinte fosche sono i numeri neri di Confindustria che in assenza di interventi azzarda previsioni tutt’altro che rassicuranti: crollo delle immatricolazioni di 360 mila unità, diminuzione degli ordinativi del 60% previsto nel solo primo trimestre dell’anno, calo di mezzo punto del Pil nazionale e cassa integrazione per 300 mila lavoratori, di cui 60 mila dipendenti della Fiat. In questo contesto, sulla scia di altri Paesi apripista anche l’Italia scende in campo per risollevare il mercato dell’auto. Di qui il pacchetto di misure anti-crisi entrato in vigore lo scorso 11 febbraio: Dl 5/2009 “Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi”. Ecco di seguito le misure adottate: Rottamazione auto Bonus di 1.500 euro (ma non l’esenzione dal pagamento del bollo) per chi rottama auto Euro 0, Euro 1 o Euro 2 immatricolate fino al 31 dicembre 1999 e acquista una vettura Euro 4 o Euro 5 (con emissioni massime 140 grammi CO2/Km per i veicoli benzina e massimo 130 grammi CO2/ Km per i diesel). Auto ecologiche Incentivi, senza rottamazione, per l’acquisto di auto ecologiche di 1.500 euro per auto a metano, elettriche e a
idrogeno con emissioni non superiori a 120 g/km di Co2. Questi incentivi sono cumulabili a quello per la rottamazione. Contributi per impianti a Gpl e a metano Contributo statale per chi opta per alimentazioni a basso impatto ambientale. 500 euro per il Gpl e 650 euro per il metano. Veicoli commerciali leggeri Bonus di 2500 euro per l’acquisto di veicoli nuovi in seguito alla rottamazione di veicoli euro 0,1,2 immatricolati entro il 31 dicembre 1999. Gli incentivi salgono a 4.000 euro per l’acquisto, senza rottamazione, di veicoli nuovi innovativi a metano, Gpl o idrogeno. L’incentivo è cumulabile a quello per la rottamazione. Autocarri e caravan Per autoveicoli per trasporto promiscuo, autocarri leggeri entro le 3,5 tonnellte, autoveicoli per trasporti specifici, autoveicoli per uso speciale e autocaravan contributo di 2.500 euro per l’acquisto di veicoli nuovi Euro 4 ed Euro 5 a fronte della contestuale rottamazione di veicoli Euro
0, Euro 1 ed Euro 2 immatricolati prima del 31 dicembre 1999. Mezzi pubblici più verdi Per l’installazione di dispositivi antiparticolato (contro i gas di scarico) sui mezzi del trasporto pubblico (categoria N3 e M3 di classe Euro 0, Euro 1 o Euro 2 di aziende che svolgono servizi di pubblica utilità) è previsto un finanziamento straordinario di 11 milioni di euro, ai quali, ha spiegato il ministero per lo Sviluppo economico, se ne aggiungeranno 44 recuperati dal maggior gettito Iva. Spetta il 25% delle spese sostenute per l’acquisto e, comunque, in misura non superiore a mille euro a dispositivo. I contributi non sono cumulabili con altri di natura nazionale, regionale o locale. Incentivi per le due ruote Incentivo di 500 euro per la rottamazione di motocicli o ciclomotori Euro 0 o Euro 1 per acquistarne un motociclo nuovo Euro 3, fino a 400 di cilindrata. Ma se il pacchetto di interventi approvato dal Governo segue a ruota quello degli altri Paesi europei, gli aiuti
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italiani fanno di certo eccezione. A fare la differenza non sono tanto i numeri. Mentre la Spagna stanzia 800 milioni di euro, la Francia vara aiuti per 4-5 miliardi di euro per far ripartire Renaut e Psa Peugeot Citroen, l’Inghilterra garantisce alle aziende (Jaguar e Land Rover) prestiti per 2,3 miliardi di sterline, 1,3 dei quali provenienti dalla Banca Europea degli Investimenti, la Svezia stanzia 1,89 miliardi di euro a garanzia di crediti a favore di Saab e Ford e 263 milioni di euro per investimenti in ricerca e sviluppo, l’Italia mette infatti sul tavolo degli aiuti circa 2 miliardi di euro. Ma al di là delle cifre, è la sostanza degli aiuti nostrani che non regge il confronto con quelli europei: mentre gli altri paesi dell’Unione puntano ad una riqualificazione del prodotto su tutta la filiera, la strategia italiana di sostegno all’auto guarda piuttosto agli autosaloni pieni delle concessionarie e mira piuttosto a rilanciare le vendite e a contenere i cali previsti nel 2009. A spuntarla è così la solita politica assistenzialista di rottamazioni, ennesimo “regalo”dello Stato all’industria dell’auto, ma senza alcuna svolta ecologica. Così le associazioni ambientaliste bocciano le nuove misure. Prima tra tutte
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è Legambiente che parla di una “rottamazione vecchio stampo senza puntare né a risollevare l’industria automobilistica nazionale, come avviene nel resto d’Europa, né a disincentivare l’acquisto di auto inquinanti, tanto meno a sostenere l’innovazione tecnologica”. In discussione non è tanto l’effetto rivitalizzante delle misure approvate che già a febbraio hanno spinto i consumi e rilanciato le vendite, ma la loro scarsa natura ecologica. Il loro obiettivo? Risollevare l’industria dell’automotive (un settore trainante per l’economia nazionale con il suo contributo dell’11,4% al pil nazionale), più che incentivare e promuovere soluzioni di mobilità più sostenibili (come il trasporto pubblico); smaltire sul mercato le auto rimaste invendute nei saloni dei concessionari, piuttosto che puntare alla loro riqualificazione ambientale. In questo senso il pacchetto anti-crisi si rivela come l’ennesima occasione persa per sterzare l’industria dell’auto verso orizzonti più “verdi”. Di qui lo scetticismo nella dicitura “eco-bonus”. E pure quando gli incentivi sono davvero “eco”, come quelli che riguardano le auto alimentate ad idrogeno, ecco allora che non si può usufruirne perché questa tipologia di auto è ancora a livello di prototipo e
non ancora omologabile nel nostro paese, mentre invece gli incentivi sono usufruibili per le immatricolazioni fatte entro e non oltre il 30 marzo 2010. Insomma siamo molto lontani dalla “green revolution” di Obama (che ha chiesto all’Enviromental Protection Agency di rivedere la propria decisione contraria a limiti nelle emissioni delle auto in California e in altri Stati Usa) e dall’annunciata riconversione verde dell’industria automobilistica americana (a seguito dell’approvazione di nuovi standard di efficienza energetica per le auto entro il 2011). Ma se l’Italia è lontana anni luce dagli Stati Uniti, lo è anche dal resto dell’Europa. Se infatti nel Bel Paese si pensa prima di tutto a vendere auto e quindi a rilanciare i consumi, altrove, nel Vecchio Continente, la necessità di risollevare
un comparto trainante per le economie nazionali è anche occasione per la sua riqualificazione ambientale. Ne sono un esempio i finanziamenti alla ricerca e alla realizzazione di auto verdi in Svezia, Germania, Francia e Inghilterra. Così mentre l’Europa strizza l’occhio, oltre che al mercato, anche all’ambiente, l’Italia resta al palo e perde il treno del rinnovamento della filiera e del prodotto. Forse prima di incentivare il rinnovamento del parco auto circolante bisognerebbe pensare al rinnovamento (dal punto di vista ecologico) delle stesse auto? La riflessione è d’obbligo. Solo dopo aver realizzato auto meno inquinanti si dovrebbe infatti pensare a venderle. Solo così “economia” e “ambiente” non sarebbero più un ossimoro impraticabile, ma un binomio possibile.
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A 4 anni dalla firma del Protocollo i primi bilanci e l’analisi degli obiettivi
PROTOCOLLO DI KYOTO: I CONTI TORNANO?
Dopo “Kyoto” e aspettando il “post-Kyoto”, dubbi e perplessità sulle strade da percorrere contro il global warming di Silvia Barchiesi
Protocollo di Kyoto, 4 anni dopo. All’indomani del quarto compleanno dell’accordo, entrato in vigore proprio il 16 febbraio 2005 e volto a disciplinare gli obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra per i paesi industrializzati e con economie in transizione, si stilano i primi bilanci. Dopo le promesse enunciate nel Protocollo (riduzione delle emissioni dei gas serra nel periodo 2008-2012 del 5,2% a livello globale, dell’8% per l’Europa e del 6,5% per l’Italia, rispetto alle emissioni del 1990), per l’Europa
e per l’Italia in particolare è tempo di tirare le somme. A che punto siamo nel cammino che porta al raggiungimento degli obiettivi del Protocollo? E soprattutto ne varrà la pena? A parlare sono i numeri, ovvero i dati del “Dossier Kyoto”, realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, proprio alla vigilia del quarto anniversario. Mentre le emissioni mondiali di CO2 dal 1990 al 2006 sono aumentate di ben 7 tonnellate, da 20,95 a 27,89 tonnellate (cfr. tab. 1 e 2), l’Italia sembra aver invertito il trend delle emissioni: dal 2005, anno dell’entrata in vigore del Protocollo, al 2008 le emissioni sono scese da 578 milioni a 550 milioni di
tonnellate (cfr.tab. 3). Il calo, iniziato nel 2006, si è poi consolidato nel 2007 e nel 2008 anche a causa del consistente aumento del prezzo del petrolio, riporta il Dossier. “Alla fine del 2008 è arrivata la crisi e il prezzo del petrolio è calato - aggiunge Edo Ronchi, presidente della Fondazione e firmatario del Protocollo - ma sono scesi anche i consumi di energia”. E la crisi tutt’ora in corso lascia pensare che la riduzione proseguirà anche nel 2009. Insomma le proiezioni al 2012, secondo il Dossier, sembrerebbero portare l’Italia sempre più vicina agli obiettivi di Kyoto. “L’Italia ce la può fare a rispettare gli impegni presi in sede internazionale”, sottolinea la Fondazione. Secondo i calcoli e le previsioni contenute nel Dossier, nel 2012 l’Italia potrebbe così raggiungere quota -5,6%, avvicinandosi così in maniera consistente al traguardo del -6,5% (rispetto al 1990) fissato a Kyoto nel 2005. Sulla scia dell’Italia anche l’Europa, secondo il Dossier. Anzi, per l’Agenzia europea dell’ambiente, l’Unione Europea non solo sarà in grado di centrare il target dell’8% fissato a Kyoto, ma sarà anche in grado di superarlo, raggiungendo una riduzione di emissioni dell’11,3 %. Decisamente meno ottimistiche nel fare
previsioni, sono invece WWF, Legambiente e Greenpeace che giudicano il nostro paese “immobile” nel far fronte agli impegni presi a livello internazionale con l’accordo. “L’Italia rischia un autentico suicidio per la propria credibilità internazionale se non continuerà a fare nulla per attuare gli impegni previsti”, dichiarano WWF, Legambiente e Greenpeace in un comunicato congiunto. Nel mirino delle associazioni ambientaliste dunque c’è proprio la mancanza di un’adeguata politica ecologica: “Il nostro Paese - commentano - non solo non ha una strategia valida ma sta dando indicazioni contraddittorie con un rilancio del carbone e del nucleare a danno dello sviluppo di rinnovabili ed efficienza energetica”. Ma se la situazione italiana preoccupa, quella globale preoccupa ancora di più. Nonostante l’impegno dei Paesi del Protocollo di Kyoto nella riduzione delle emissioni, le emissioni mondiali sono aumentate di un terzo in soli sedici anni. Sono due le cause principali del fallimento del Protocollo oggi: la mancata adesione al Protocollo e il conseguente scarso impegno della precedente amministrazione degli Stati Uniti (che anziché ridurre le emissioni, nel 2006 le ha aumentate del 16% rispetto al 1990) e il forte e rapido sviluppo dei Paesi di nuova industrializzazione (come la Cina), ormai responsabile del 53% delle emissioni globali. Ecco perché secondo la Fondazione Sviluppo Sostenibile “il Protocollo di Kyoto è un primo passo necessario ma insufficiente”. E sebbene il “green new deal” annunciato dal neo presidente Obama lasci ben sperare, di fronte alla grave crisi climatica in atto, la necessità di una “governance globale dell’ambiente” diventa sempre più urgente e il nuovo trattato per il clima post Kyoto, previsto a dicembre a Copenaghen, rimane la sola possibilità per invertire il trend in corso. A sottolineare l’urgenza di una nuova politica ambientale globale è proprio il direttore generale dell’UNEP (United Nations
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Environment Programme), Achim Steiner che in “Year Book 2009”, il rapporto sui cambiamenti ambientali globali, presentato in occasione del Forum ministeriale sull’ambiente, svoltosi lo scorso febbraio a Nairobi, ricorda alla comunità internazionale l’urgenza di passare ad un’economia verde e il bisogno urgente di una governance responsabile per un pianeta che è sempre più vicino al superamento di soglie critiche e a punti di non ritorno. E gli studi sull’Amazzonia contenuti nel Rapporto lo dimostrano. Basti pensare che gli alti livelli di CO2 responsabili del riscaldamento dell’oceano e della diminuzione del 40% delle piogge, oltre che della conseguente diminuzione della crescita della vegetazione del 53%, potrebbero far aumentare le temperature locali di 8 gradi. Dati che sono ben peggiori di quelli contenuti nel rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) del 2007 secondo cui, senza le emissioni di CO2 dell’ultimo secolo, le temperature sarebbero state più basse di 0,7 °C. Se l’IPCC nel 2007 prevedeva infatti un aumento tra i 18 e i 59 cm del livello degli oceani nei prossimi 100 anni, le nuove previsioni UNEP sullo scioglimento dei ghiacciai stimano infatti l’innalzamento del mare tra i 0,8 e 1,5 metri nel prossimo secolo. Ma oltre ad individuare le cause della crisi climatica, il Rapporto IPCC delinea anche le possibili soluzioni per contenerla: per limitare entro i 2 °C la variazione della
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temperatura media globale (variazione che produrrebbe effetti significativi, ma comunque sostenibili per l’ambiente) è necessario ridurre le emissioni mondiali del 60-80% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2050 e del 20% entro il 2020. Di qui la necessità di nuovi traguardi di riduzione delle emissioni “post-Kyoto”, ovvero per il periodo seguente al 2012. Da cui deriva la necessità di un nuovo Trattato per il clima post Kyoto, proprio in occasione della Conferenza ONU sul clima, il prossimo dicembre a Copenaghen. L’obiettivo? Arrivare ad un taglio del 30% delle emissioni di CO2 da parte dei Paesi sviluppati entro il 2020, ben oltre alla soglia del 20% che l’Unione Europea si è comunque impegnata a raggiungere con il pacchetto di misure approvate nel dicembre scorso e contenere il riscaldamento globale entro i 2 °C al di sopra della temperatura preindustriale, onde evitare conseguenze irreversibili per il nostro pianeta. Il costo? Secondo l’UE, 175 miliardi di euro all’anno entro il 2020. Secondo gli esperti dell’Università Bocconi e di Accenture molto di più: oltre 300 miliardi di euro da qui al 2020. Uno studio coordinato da Andrea Gilardoni per la Bocconi e da Claudio Arcudi per Accenture nell’analizzare il mix energetico ideale per la produzione elettrica (flessione della generazione da fonti fossili
a vantaggio di temovalorizzazione e rinnovabili), mette infatti in evidenza come questo “mix verde” risulti abbastanza oneroso dal punto di vista economico. Di qui, secondo lo studio, la necessità di una politica di sussidi e di un esborso extra di 150 miliardi di euro per gli Stati. Una spesa non indifferente per le finanze pubbliche. Ecco allora che l’ideale per l’ambiente non sembra quindi l’ideale per le tasche dello Stato. E allora? Che fare? Se poi si considerano pure le stime fallimentari di Frost&Sullivan sugli impegni assunti in materia di biocarburanti con la firma del protocollo di Kyoto, il dubbio raddoppia. Secondo lo studio infatti l’obiettivo del 5,75% di quota di biocarburanti sul totale dei consumi di combustili fissato dall’UE entro il 2010 è una chimera: l’Europa al 2010 non riuscirà ad andare oltre il 5% e a maggior ragione non riuscirà a raggiungere il traguardo del 10% al 2020. Se infatti i biocarburanti di prima generazione sono antiquati e “sorpassati” per quanto riguarda la riduzione dell’effetto serra, quelli di seconda non sono invece ancora disponibili. Ecco allora che l’unica via praticabile per l’Europa per centrare il target fissato è il miglioramento del processo di conversione e la riduzione del prezzo di estrazione rispetto a quella della produzione dei carburanti fossili. Un ipotesi sostenibile quindi, quella dei biocarburanti, ma praticabile? Secondo Vito Pignatelli, responsabile Gruppo Sistemi Vegetali per Prodotti Industriali dell’ENEA, sembrerebbe di no: per raggiungere l’obiettivo del 5,75 in materia di biocarburanti con i mezzi di cui dispone, l’Unione Europea dovrebbe infatti utilizzare 26 milioni di ettari di territorio agricolo, cioè un quarto di quello di cui dispone. Oltre che dalle magre prospettive, l’ipotesi sembra anche irrealizzabile. E allora che fare? Bella domanda… A 4 anni da Kyoto, aspettando un post-kyoto, mentre i bilanci si ricorrono e studi e controstudi si inseguono, l’importante è non confondere la strada che si vuole percorrere con la meta.
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IL ROTTAME FERROSO È MATERIA PRIMA SECONDARIA SOLO SE PROVIENE DA UN CENTRO AUTORIZZATO DI GESTIONE E TRATTAMENTO RIFIUTI A stabilirlo è la Corte di Cassazione, IIIa Sezione Penale, con sentenza del 13 gennaio 2009 a cura di Alberto Piastrellini
Con le modifiche al D. Lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale), introdotte dal correttivo n. 4/2008, viene eliminata la definizione di “materie prime secondarie per attività siderurgiche e metallurgiche”, riconducendo, di fatto, i rottami ferrosi nell’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti. Nello specifico, la qualifica di “materia prima secondaria”, allo stato attuale, può essere attribuita al rottame solo se questo proviene da un centro autorizzato di gestione e trattamento rifiuti e presenta le caratteristiche rispondenti a quelle citate nei D. M. 5 frebbraio 1998 e 12 giugno 2002, n. 161. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, IIIa Sezione Penale, con sentenza n. 833 del 13 gennaio 2009, sul ricorso proposto dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli nei confronti di Lettica Ernesto (omissis) avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di Napoli del 21 giugno del 2008 ; di cui riportiamo uno stralcio a maggior informazione dei lettori. In fatto Il tribunale di Napoli, con ordinanza del 21 luglio del 2008, accogliendo l’impugnazione proposta nell’interesse di Lettica Ernesto, quale indagato per il reato di cui all’articolo 256 del D. Lgs. n 152/2006, revocava il sequestro preventivo del capannone sito in Caivano di proprietà della società a responsabilità limitata PROIM della quale l’indagato era il legale rappresentante. Il fatto nel provvedimento impugnato viene ricostruito nella maniera seguente. Il 21.4.08 la Polizia Provinciale di Napoli svolgeva un controllo presso la società PROIM, società a responsabilità limitata esercente in Caivano l’attività di fonderia di alluminio e commercializzazione di metalli. L’iniziativa era partita da un esposto di sei mesi prima, che indicava tale azienda quale responsabile di smaltimento illecito di rifiuti. Gli investigatori accertavano che tale azienda acquistava rottami di alluminio e altri metalli come materie prime secondarie, le quali venivano conservate in varie aree recintate destinate a vari tipi di metallo, dopo avere subito alcuni trattamenti preliminari. Secondo la polizia il materiale subiva i seguenti trattamenti: l’eliminazione di contaminazioni con materiale non metallico, la riduzione volumetrica mediante una pressa compattatrice, la frantumazione in piccole pezzature tramite trituratore Vecoplan. Al termine delle sopradescritte operazioni il materiale era utilizzabile per la fusione e trasformazione in lingotti. La polizia giudiziaria riteneva che i trattamenti effettuati sui materiali acquistati, ai quali si è dianzi fatto riferimento, fossero trattamenti preliminari rientranti nell’attività di recupero di un rifiuto. Per tale ragione, secondo gli investigatori, il materiale acquistato dalla società rappresentata dall’indagato
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non poteva considerarsi escluso dalla disciplina sui rifiuti di cui al D. Lgs. n 152 del 2006 e successive modificazioni. Invero, sempre secondo gli investigatori, le materie prime secondarie erano escluse dalla disciplina sui rifiuti qualora fossero impiegate nell’attività industriale senza subire alcun trattamento preliminare. Al Lettica quindi si contestava di avere svolto attività di recupero di un rifiuto senza alcuna autorizzazione. Tanto premesso in fatto, il tribunale osservava che le attività poste in essere dall’indagato non erano attività di trattamento di un rifiuto per il suo recupero ma lavorazioni industriali di una materia prima secondaria. Precisava che, contrariamente all’assunto del pubblico ministero, il “trattamento preliminare” non si identifica con una qualsivoglia operazione sul materiale, ma riguarda i trattamenti necessari per rendere il rifiuto utilizzabile come materia prima secondaria. In definitiva per il tribunale non è rifiuto quel materiale che non ha una destinazione soggettiva all’abbandono, ma all’utilizzazione come materia prima secondaria. Il materiale di pronto impiego, secondo il tribunale, non è solo quello che è già pronto per l’utilizzazione finale ma anche ciò che è pronto per l’utilizzazione industriale .Per tali ragioni il tribunale revocava il sequestro preventivo Ricorre per cassazione il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli denunciando la violazione degli artt. 181 bis, 183 e 256 del decreto legislativo n 152 del 2006. Sostiene che all’epoca del sequestro ed attualmente i rottami ferrosi e non ferrosi sono qualificati giuridicamente come materie prime secondarie in relazione alla loro provenienza (da centro di recupero rifiuti) ed alle caratteristiche chimico-fisiche dettate dalle specifiche tecniche commerciali delle norme CECA, AISI, CAEF e UNIEN congiuntamente a quanto indicato nel DM 5 febbraio 1998 e successive modificazioni. Le specifiche tecniche CECA, CAEF e UNIEN hanno valenza di natura commerciale e, quindi, attengono ai rapporti che intrattengono sul mercato le imprese che commercializzano i metalli ferrosi e non ferrosi. Tali norme commerciali individuano e specificano le caratteristiche che devono possedere tali rottami, i quali devono essere esenti da corpi estranei quali: terre e rifiuti; non debbono presentare al loro interno corpi cavi, sostanze pericolose e plastiche e tra l’altro fanno divieto di miscelazione di diverse categorie. In Diritto Il ricorso è fondato. Poiché la materia dei rifiuti ha subito recentemente diverse modificazioni, il primo problema che si pone consiste nell’individuazione della disciplina applicabile alla fattispecie. Il sequestro in esame è stato disposto nel mese di maggio del 2008 allorché era già in vigore il decreto legislativo n 4 del 2008 che aveva modificato quello n 152 del 2006.
L’articolo 183 del decreto legislativo n 152 del 2006, come sostituito dall’articolo 20 del decreto legislativo n 4 del 2008 considera materia prima secondaria quella avente le “caratteristiche stabilite ai sensi dell’articolo 181 bis”. Quest’ultimo articolo, introdotto con l’articolo 18 bis del decreto legislativo n 4 del 2008, dispone che non rientrano nella definizione di cui all’articolo 183 comma 1 lettera a) - ossia nella definizione di rifiuto - le materie le sostanze ed i prodotti definiti dal decreto ministeriale di cui al comma secondo nel rispetto dei seguenti criteri , requisiti e condizioni: a) siano prodotti da un’operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti; b) siano individuale la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre; c) siano individuate le operazioni di ri-utilizzo, di riciclo o di recupero che le producono, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse: d) siano precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l’ immissione in commercio., quali norme e standard tecnici richiesti per l’ utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all’ambiente e alla salute derivanti dall’utilizzo ’utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto secondario; e) abbiano un effettivo valore economico mico di scambio sul mercato. Al secondo comma si precisa che i metodi etodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materie, sostanze e prodotti secondari, devono garantire l’ottenimento ento di materiali con caratteristiche fissate con D. M. del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ai sensi dell’art. 17 della L. 23 agosto 1988 88 n. 400 di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro il 31 dicembre del 2008. 8. Al momento del sequestro tale decreto to non era stato ancora emanato. Pertanto nto in base al comma terzo dell’articolo o 181 bis citato erano applicabili i decreti ministeriali inisteriali del 5 febbraio del 1998, del 12 giugno del 2002 n 161 ed il Regolamento del 17 novembre del 2005 n 269, ossia i decreti sul recupero agevolato di rifiuti pericolosi osi e non pericolosi e relativo regolamento. Siffatti decreti ti indicano le prescrizioni da osservare nelle attività di recupero e le caratteristiche che devono avere e i materiali recuperati e per quanto concerne la fattispecie le
caratteristiche che devono avere i rifiuti metallici, a seguito dell’attività di recupero, per essere considerati materie prime secondarie. Il decreto correttivo n. 4/2008, ha apportato significative modifiche al decreto legislativo n 152 del 2006 nell’ambito dei rottami ferrosi, eliminando la definizione di “materie prime secondarie per attività siderurgiche e metallurgiche” e riconducendo quindi i rottami nel campo di applicazione dei rifiuti. In particolare la qualificazione di materia prima secondaria, allo stato attuale ed al momento del sequestro, poteva e può essere attribuita solo se il rottame proviene da un centro autorizzato di gestione e trattamento rifiuti e presenta le caratteristiche rispondenti a quelle dettate nei citati decreti ministeriali. cre Nella fattispecie il triNe bu bunale ha omesso di svolgere indagini in merisvo to alla al provenienza ed alle caratteristiche del materiale caratt sequestrato. Di conseguenseq zza il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio. Il giudice del rinvio dovrà in definitiva accertare l’osservanza del disposto di cui all’articolo 181 bis del decreto legislativo n 152 del 2006 inserito con il decreto correttivo n 4 del 2008. All’odierna udienza il A difensore ha fatto pred ssente che alla fattispecie non sarebbe applicabin lle il decreto correttivo n 4 del 2008 poiché quel materiale era stato q aacquistato prima dell’enttrata in vigore del citato decreto correttivo. d LL’assunto non merita di essere condiviso per la e ragione prima esposta ossia perché al momento del sequestro era già in vigore il decreto correttivo e, d’altra parte,
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non risulta dimostrato che il materiale in questione era stato acquistato prima dell’entrata in vigore del citato decreto. In ogni caso, quand’anche si volesse applicare la disciplina previgente ossia il decreto legislativo n 152 del 2006 nel testo anteriore alla modifica, la soluzione ossia l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, sarebbe la stessa. Invero, in base all’art. 181 comma 13 del D. Lgs. n. 152/2006, nel testo originario, la disciplina sui rifiuti non si applicava ai materiali sostanze ed oggetti, che senza necessità di operazioni di trasformazioni, già presentavano le caratteristiche delle materie prime secondarie, salvo che il detentore volesse disfarsene. Il D. Lgs. 152/06, definiva, al comma primo lettera u) dell’articolo 183 le cosiddette materie prime secondarie per attività siderurgiche e metallurgiche stabilendo che erano tali, quando la loro utilizzazione fosse certa: 1) i rottami ferrosi e non ferrosii derivanti da operazioni di recupero ro completo e rispondenti a specifiche CECA, AISI, CAEF o ad altre specifiche nazionali e internazionali, individuate entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della parte quarta del decreto ; 2) i rottami o scarti di lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta differenziata, che possedevano in origine le medesime caratteristiche riportate nelle specifiche di cui al numero precedente. In definitiva con detto articolo si sono esclusi dalla disciplina dei rifiuti quei rottami che, anche senza essere processati in un impianto di trattamento di rifiuti, avevano caratteristiche commerciali conformi alle specifiche CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o altre specifiche nazionali da individuare con provvedimento del Decreto del Ministero dell’Ambiente. In altri termini il D.Lgs. 152/06, non si limitava ad escludere dalla disciplina dei rifiuti solo i materiali generati con determinate caratteristiche dalle operazioni di recupero ma anche i materiali, le sostanze o gli oggetti che senza necessità di operazioni di trasformazione, già presentavano le caratteristiche delle materie prime secondarie, dei
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combustibili o dei prodotti individuati ai sensi dell’articolo 181. In particolare la disciplina di cui ai commi 6 e 13 del citato articolo (che è stata eliminata con il decreto correttivo n 4 del 2008) comportava che si poteva prescindere dal processo di recupero che aveva portato all’esistenza della materia prima secondaria a condizione però che essa avesse le caratteristiche nominali di quelle indicate al punto 4 di ogni capitolo contenuto negli allegati ai decreti sul recupero (decreto 5 febbraio del 1998 sui rifiuti non pericolosi e decreto n 161 del 2002 sui rifiuti pericolosi). Concludendo, in base al decreto legislativo n 152 del 2006 la disciplina sui rifiuti non si applicava alla materie prime secondarie, ancorché non provenienti da attività di recupero, che avessero “ab origine” le caratteristiche della materia prima secondaria riportata nei decreti sul recupero agevolato prima richiamati. Nella fattispecie non è stato svolto alcun accertamento sulla corrispondenza del materiale sequestrato q ai decreti dianzi richiamati. Anzi sembra certa la non conformità posto che in base ai citati decreti po iil rottame metallico non doveva essere contaminato con materiale non metallico, mentre quello in esame era contaminato. Quindi neppure in base al decreto legislativo n 152 del 2006 , il materiale sequestrato poteva essere considerato escluso dalla disciplina sui rifiuti poiché non aveva le caratteristiche per essere considerato materia prima secondaria. La Corte LLetto l’articolo 623 c.p.p. Annulla il provvedimento imAn pugnato con rinvio al tribunale di Napoli
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TEMPI DURI PER IL RICICLO Anche Frost & Sullivan conferma la crisi che sta travolgendo il mercato del riciclaggio dei rifiuti a cura di Alberto Piastrellini
La crisi economica che ha colpito il mercato globale, nel Vecchio Continente comincia a far vedere i suoi effetti negativi in tutti i settori della società e dell’industria e a farne le spese, manco a dirlo, è ancora una volta l’ambiente. Non solo perché in periodi di “vacche magre” Innovazione Tecnologica, Ricerca e Sviluppo vedono sottrarsi i fondi necessari a scapito della sopravvivenza di un antieconomico e rassicurante status quo, ma anche perché la contrazione dei mercati ha determinato un ristagno di alcune tipologie di materiali riciclabili, il cui prezzo sul mercato è caduto vertiginosamente provocando la formazione di grandi volumi di rifiuti in attesa di essere avviati al riciclo. Conseguenza dell’eccessivo costo di smaltimento degli stessi, è lo spettro dello “svantaggio economico” delle attività di riciclo stesse; spettro che, in alcuni Paesi di Eurolandia è già una preoccupante realtà. A dirlo è la prestigiosa Frost & Sullivan, società globale di consulenza per lo sviluppo economico di impresa, da oltre 40 anni operante in tutto il globo per fornire ai propri clienti supporto ed informazioni per l’individuazione di strategie innovative. Lo scenario che si presenta agli occhi degli addetti ai lavori è di per sé piuttosto inquietante: accumulo dei rifiuti nelle discariche, nei centri di raccolta e trattamento e nei magazzini; maggiore ricorso alla materia prima; impennata dei processi industriali poco sostenibili e aumento delle spese energetiche. Il tutto, paradossalmente, mentre si tenta di rendere operative normative sopranazionali che tentano proprio di promuovere la diffusione del riciclaggio, della riduzione del rifiuto alla fonte e del minor conferimento in discarica. E i venti di crisi non sembrano destinati a calare nel breve periodo. Infatti, secondo gli analisti della prestigiosa Società, date le premesse attuali, il volume dei rifiuti in attesa di essere avviati al riciclo, continuerà a crescere almeno sino alla fine del primo trimestre del 2009. Inoltre, se fino ad oggi il grande collettore dell’offerta di materiali riciclabili era il mercato asiatico, la caduta della domanda da questi mercati non fa che peggiorare la situazione. In mezzo a tanto pessimismo, in parte giustificato dai fatti,
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qualche nota di speranza arriva dalla programme manager Frost & Sullivan per la gestione dei rifiuti, Suchitra Padmanabham, la quale ha sottolineato che: “I Governi dei Paesi europei hanno già risposto al declino attuale aumentando la spesa al fine di introdurre nuova liquidità nell’economia e ciò è risultato in nuovi progetti infrastrutturali in Paesi come in Regno unito, già profondamente colpito dalla crisi finanziaria”. “Al fine di contenere il danno ha proseguito le società energetiche e di smaltimento dei rifiuti sono state incoraggiate a intraprendere progetti che creano opportunità nei settori della minimizzazione, della selezione e della separazione dei rifiuti”. Mentre il resto d’Europa si interroga e si arrovella per rispondere positivamente alle problematiche succitate, l’Italia si barcamena tra un tentennante “vorrei ma non posso” e un ancora più preoccupante “pollice verso”. Si invoca a parole la tutela dell’ambiente e del territorio e poi si corteggia l’idea delle “grandi opere” e della cementificazione “libera”; si annuncia il bisogno di ridurre i rifiuti, ma questi aumentano contro ogni previsione (+ 12% dal 2000 al 2006); ancora più grave il fatto che una buona metà dei rifiuti prodotti dalla città (54% per l’esattezza) venga smaltita in discarica, o peggio, sottratta alle statistiche ufficiali per scomparire nel vuoto dei traffici illeciti (19,7 milioni di tonnellate sparite nel 2005, formerebbero una montagna dicono a Legambiente alta 1.970 metri). Senza contare che a fronte di un buon numero di comuni italiani che nel 2007 hanno superato l’obiettivo di raccolta differenziata del 40% (1.081 virtuosi), va detto che il sistema di commissariamento per quelle regioni in emergenza rifiuti (sistema che, a detta di alcuni, non è stato in grado di risolvere definitivamente il problema), ha pesato sulle tasche della cittadinanza per 1,8 miliardi di euro. Se poi si considera il meccanismo del CIP6, nato per finanziare le fonti rinnovabili e finito a foraggiare le cosiddette “assimilate” (leggi: rifiuti), si può ben vedere come da noi, il ricorso al riciclo, già poco incentivato, sia di questi tempi un’attività a rischio d’impresa e totalmente regolata dalle ferree logiche del guadagno personale, non già dell’opportunità di tutti.
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