Free Service srl Edizioni - Falconara M. (AN) - Supplemento n. 2 al n. 11 Novembre 2008 di Regioni&Ambiente - Poste Italiane s.p.a. - spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DGB Ancona
n. 9 D Dicembre 2008 - Anno IV
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SOMMARIO ANDAMENTO DEL ROTTAME................................5 L’AUTUNNO NERO DEL MERCATO SIDERURGICO ......7 ECOTECNICA srl EC 500 FULL: LA CESOIA CHE TAGLIA I COSTI ........ 10 L’UE A CACCIA DI ROTTAMI ............................... 13 LOGIMA srl L’AUTODEMOLIZIONE DEL FUTURO VIAGGIA COL SOLE!........................................ 18 C.A.R. NEWS LA CRISI DEI ROTTAMI FERROSI E NON ................ 20 Clima e Energia: BELLE PAROLE, MA I SOLDI VANNO DA UN’ALTRA PARTE ........................................... 23 BIODISEL: UNA BUFALA? ................................. 32 MERCATO DELLE AUTO: CONTINUA IL CALO .......... 35
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ANDAMENTO DEL ROTTAME Annus Horribilis per il rottame metallico. Caute previsioni di ripresa per il 2009 di Silvia Barchiesi
Gli operatori sono in fibrillazione e l’intero settore è in fermento. Dopo l’eccessivo tonfo delle quotazioni dello scorso settembre che ha portato l’offerta a sopraffare la domanda, è questa la fotografia attuale del mercato del rottame in Italia, che ora rialza la testa e lascia intravedere segnali di ripresa e di speranza. E il pessimismo sul versante dei prezzi lascia il posto ad un cauto ottimismo. Dopo aver toccato a maggio il suo picco massimo, con un aumento delle quotazioni di 110-120 euro la tonnellata a seconda delle categorie, il prezzo delle materie prime per il settore siderurgico ora cambia rotta e il mercato va in cerca del suo equilibro.
Fonte: www.siderweb.com Tutto ha inizio con l’infiammata dei prezzi di maggio quando, secondo i dati diffusi da Eurofer, il prezzo del rottame tocca cime mai esplorate in precedenza. E se con l’ondata rialzista, sotto il profilo produttivo, le acciaierie che nei mesi scorsi erano ricorse in maniera più massiccia al rottame, (in quanto a differenza del carbone e del minerale ferroso non aveva ancora subito un’impennata dei prezzi, fanno marcia indietro), dalla parte del commercio, aumento della raccolta, riduzione delle scorte e afflusso sul mercato di maggiori volumi di rottame, diventano inevitabili. È proprio la spirale rialzista ad aver innescato lo squilibrio del mercato (minor richiesta e maggior offerta), responsabile del crollo quotazioni di settembre. Tanto per fare un esempio, la carica media di un forno elettrico è passata nel giro di poche settimane da 450 euro la tonnellata agli attuali 200-250. E ancora. In meno di un mese il mercato dell’alluminio primario ha assistito sia al tonfo delle quotazioni (-23%) che al crollo dell’interesse da parte dei principali consumatori, complice la crisi economico-finanziaria in corso. Il risultato? Operatori sovrastoccati, assenza di ordini. Ecco allora che chi doveva infatti vendere per monetizzare ha già venduto. Il materiale in stock invece costa troppo e va mediato per poter evitare di perdere. E per di più, anche la frenata dell’economia ci mette del suo. Il
tutto avviene infatti in periodo in cui le richieste da parte dell’industria manifatturiera sono tutt’altro che pressanti. Uno scenario preoccupante, quello fin qui delineato, per gli operatori del settore, che solo ora lascia intravedere segnali positivi. L’eccesso di ribasso di settembre ha ora lasciato spazio ai rincari delle quotazioni. Una volta esaurita l’ondata di vendite a prezzi molto bassi si è ritornati a flussi scarsi e le quotazioni hanno immediatamente invertito la tendenza con aumenti generalizzati. Prezzi in aumento, scarsa disponibilità di materiale e bassa raccolta. Sono le caratteristiche che contraddistinguono un settore ora in fibrillazione e in ripresa. A “ movimentare” il mercato tricolore, per lungo periodo stagnante e caratterizzato da minime scorte di rottami e da una bassa raccolta (sia a causa del crollo della domanda da parte delle acciaierie sia a causa della difficile congiuntura economica del nostro paese) ci ha pensato però il mercato oltralpe. Da non trascurare infatti l’“effetto Turchia”. Dopo mesi di scarsa attività, i siderurgici anatolici sono tornati all’acquisto provocando un immediato rialzo delle quotazioni internazionali. Così mentre il flusso dei rottami italiani ed europei prendeva la via della Turchia, le quotazioni salivano, lasciando intravedere i primi segnali di una ripartenza del comparto. Ma non solo. L’incremento degli ordini dall’export ha portato ad una maggior necessità di rottame creando un ulteriore squilibrio tra domanda e offerta e un incremento dei prezzi, anche di 50 euro a tonnellata. Ma nonostante la momentanea ripresa del settore, commercianti e acciaierie non si lasciano travolgere dall’ottimismo e rimangono cauti. Il dubbio tra gli operatori infatti permane: l’aumento attuale delle quotazioni è solo l’inizio di una nuova fase rialzista o si tratta di un aggiustamento tecnico agli squilibri del mercato? Di sicuro, dicono gli esperti, l’andamento del rottame nel 2009 e l’eventuale inversione di tendenza del mercato sarà strettamente dipendente da ciò che succederà alla domanda dei finiti. L’aumento della loro domanda, porterà vantaggi anche al rottame. Quanto alle previsioni: “I prezzi dell’acciaio dovrebbero risalire la china nella prima parte del 2009”. Lo affermano gli analisti del MEPS (Indipendent Steel Industry Analyst) Secondo il Centro Studi inglese, nei primi mesi del nuovo anno potremmo assistere ad una fase di ripresa del mercato siderurgico. “Attualmente risulta invece difficile verificare il reale livello raggiunto dai prezzi – si legge nella nota del MEPS - in quanto vengono scambiati pochissimi ordini”. La cautela regna su tutti i versanti: da un lato, i commercianti comprano lo stretto necessario per sopperire a qualche mancanza in magazzino. Idem per gli utilizzatori finali, a causa del continuo calo
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m dei prezzi e della difficile situazione economico-finanziaria. E non solo. Oltre alla cautela nel breve periodo, tra gli operatori, prevale anche un certo pessimismo sul versante dei prezzi nel lungo periodo. Lo rivela un sondaggio di Siderweb (il portale della siderurgia) tra i suoi abbonati. Alla domanda: “Rispetto al 2008, le quotazioni medie dell’acciaio nel 2009 come si comporteranno?”, infatti, ben il 70,25% è convinto che i prezzi scenderanno, mentre solo il 6,61% si aspetta un incremento. Per il 23,14%, invece, rimarranno uguali. Quanto alle aspettative sulla ripresa del mercato, in pochi (12%) prevedono una crescita a partire dal I° trimestre 2009. Le attese paiono essere concentrate tra il II° e il III° trimestre, quando circa il 54% del campione si aspetta un miglioramento della situazione. Ancora meno probabile la ripartenza nel IV° rimestre 2009 (12,8%), nel I° trimestre 2010 (14,88%) e dopo questa data (5,78%). Ma la di là di ogni previsione pessimistica, gli esperti inglesi del MEPS si dimostrano comunque ottimisti per il prossimo futuro: “I prezzi dovrebbero quindi recuperare terreno ma - avvertono gli esperti – non ritorneranno ai picchi massimi raggiunti nel 2008”. L’equilibro tra domanda e offerta dovrebbe concretizzarsi nella prima parte del 2009.
Fonte: www.siderweb.com
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L’AUTUNNO NERO DEL MERCATO SIDERURGICO
A Milano, Assofermet ed Eurometal fanno il punto su un mercato in forte fluttuazione ma che offre, per il 2009, timidi segnali di ripresa a cura di Alberto Piastrellini
Certamente l’autunno 2008 sarà ricordato negli annali dell’economia europea (ma non solo) come il più teso e nervoso periodo di congiuntura negativa socio-economica degli ultimi dieci anni, periodo su cui hanno gravato (e continuano a gravare), vari fattori in ordine al dissesto finanziario provocato dalla “caduta dei derivati” nelle borse americane, alla fluttuazione del mercato energetico, alla crisi di certi settori chiave del mercato internazionale (automobili, soprattutto). A tutto questo, per il comparto industriale, si aggiunge la necessità di contenere i costi di produzione in ordine all’acquisto di materia prima, materia prima secondaria, e garantire quei target di emissioni climalteranti ed efficienza energetica che sempre più i Governi nazionali e sovranazionali impongono, vista l’innegabilità degli effetti sul clima derivati dall’effetto serra originato dalle attività antropiche. Ora, da vari anni siamo a conoscenza di come il riciclo ed il riutilizzo di materia lavorata, permetta, di riavviare nei cicli produttivi quegli elementi base per la produzioni di lavorati e semilavorati e, in questo senso il comparto dei metalli, è quello che più facilmente si presta a simili processi. Nel nostro Paese, storicamente povero di materie prime, già all’inizio del ‘900, quando cioè prende l’avvio l’industria moderna, già si cominciava a recuperare scarti metallici e manufatti in metallo da avviare alle fonderie. Con la politica autarchica di autosoddisfacimento dei bisogni nazionali in carico alle materie prime, tale recupero assume contorni sempre più nitidi, sino alle esagerazioni patologiche imposte dall’entrata in Guerra del Paese. Tuttavia, anche se quei tempi sono fortunatamente lontani, la filiera del recupero metallico, in Italia, ha continuato a prosperare, legando a “filo rosso” rottamatori, demolitori, frantumatori ed industrie siderurgiche e me-
tallurgiche, sino ad arrivare a picchi di eccellenza nel settore di cui le industrie del bresciano costituiscono un esempio a livello europeo. Nel volume: “Dall’economia del consumo all’economia dell’uso: il caso dei rottami metallici non ferrosi”, realizzato da Assomet (Associazione Nazionale Industrie Metalli non Ferrosi), in collaborazione con Assofermet (Associazione Nazionale dei Commercianti in Ferro e Acciai), Marco Fortis – Vicepresidente della Fondazione Edison, nonché docente di economia industriale e commercio estero presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica di Milano, fa il punto sul perseguibile sviluppo della politica dei rottami nell’ottica di un suo sviluppo ed incremento a sostegno dell’industria metalmeccanica italiana e della sua competitività nel mercato europeo. Snocciolando i dati (2006) dell’importazione nazionale di metalli grezzi raffinati e rottami, il volume si concentra sulla necessità di improntare “misure di tutela” verso quel “giacimento” di rottami nazionali, giacimento che “in un’ottica di risparmio e di efficienza”, non può essere sottovalutato. Tuttavia non mancano aspetti problematici: se l’afferenza di rottami esteri nel nostro Paese, fino a qualche anno fa, era una garanzia di sussistenza e di arricchimento del sistema industriale italiano, l’apertura verso nuovi mercati asiatici si è tradotta nel tempo in una minore disponibilità di quantitativi e in un conseguente innalzamento dei prezzi. La crisi dei mercati seguita alla debacle finanziaria di settembre non ha fatto altro che peggiorare la cosa. Nella seconda metà del mese di settembre, infatti, si è registrato un decrescente fabbisogno di rottame da parte delle acciaierie, calo probabilmente derivato dalla minor produzione di acciaio per prodotti di cui il mercato ha registrato una minore richiesta. A consumo interno più basso di ma-
teria prima è corrisposto, ovviamente un decremento nella richiesta di rottame con conseguente diminuzione delle quotazioni su tutte le categorie dello stesso. In una “Nota di Mercato dei Rottami Ferrosi”, inviata alle Aziende associate commercianti di rottami ferrosi, datata 10 novembre, Assofermet scriveva: “Nel mese di ottobre è proseguito il trend al ribasso del mercato del rottame, sia sul fronte nazionale che internazionale. Le motivazioni sono ben chiare: in primo luogo un forte calo della domanda di acciaio sul mercato globale, un rallentamento delle produzioni nei Paesi emergenti e, infine, una congiuntura economica negativa a livello globale”. Scendendo nello specifico nazionale, la Nota spiegava, inoltre: “L’eccessivo utilizzo della leva del prezzo, accompagnato da una cinica speculazione, ha portato le quotazioni del rottame ad un punto di rottura fra i costi di recupero, trattamento e trasporto e i valori di realizzo: già si sono verificate situazioni di difficoltà nel recupero e riciclo delle categorie categoricamente più basse (torniture, raccolte differenziate, carcasse di veicoli fuori uso). Va, inoltre, aggiunto che la congiuntura negativa del comparto manifatturiero sta producendo un quantitativo di cadute nuove di lavorazione inferiore al 30% rispetto al primo semestre 2008”. La previsione dell’Associazione per l’ultimo periodo dell’anno era sintetizzata nelle righe seguenti: “Per il mese in corso, si prevede un rallentamento dell’offerta di rottame sul mercato nazionale causato da quotazioni troppo basse e non più remunerative per il settore del recupero e dalla consueta ricostituzione delle scorte di magazzino per l’avvicinarsi della fine dell’esercizio 2008”. Le notizie di recessione e crescita di inflazione degli ultimi mesi hanno, insieme al crollo delle Borse, hanno causato vieppiù il crollo dei metalli sui mercati, cosa che, anche nel
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m Riportiamo, qui di seguito, una panoramica aggiornata al mese di settembre della produzione di acciaio grezzo nelle più importanti siderurgie mondiali.
Francia
19 300
19 900
1 512
1 526
-1.0
14 573
15 056
-3.2
Germania
48 500
47 200
4 041
4 064
-0.6
36 224
36 575
-1.0
ITALIA
32 000
31 600
2 715
2 652
2.4
24 032
23 514
2.2
Spagna
19 100
18 400 r
1 815 e
1 637
10.8
15 548
14 239
9.2
Regno Unito
14 300
13 900
1 169
1 129
3.5
10 998
10 886
1.0
Turchia
25 800
23 300
2 166
2 076
4.3
21 430
19 290
11.1
Russia
72 200
70 800 r
6 098
5 701
7.0
56 955
54 022
5.4
Ucraina
42 800
40 900 r
2 482
3 511
-29.3
31 618
31 934
-1.0
Stati Uniti
97 200
98 600 r
7 860
7 960
-1.3
75 993
73 048
4.0
Brasile
33 800
30 900
3 010
2 868
5.0
26 826
25 003
7.3
6.2
Cina
489 000
422 700 r
39 614
43569
-9.1
390 953
368 051
India
53 100
49 500 r
4 630
4 417
4.8
41 108
39 160
5.0
10 076
9 929
1.5
92 333
89 326
3.4
Giappone
120 200
116 200
Corea del Sud
51 400
48 500 r
4 636
4 113
12.7
41 384
38 211
8.3
Taiwan, China
20 500
20 000 r
1 490 e
1 665
-10.5
15 489
15 384
0.7
(Fonte: IISI - Istituto Internazionale Ferro e Acciaio - i dati sono espressi in migliaia di tonnellate metriche).
e = dato stimato; r = dato revisionato; dal 1° gennaio 2007, sono entrati nell’Unione Europea la Romania e la Bulgaria, portando i Paesi UE da 25 a 27. Fonte: ASSOFERMET
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nostro Paese, ha spinto gli operatori economici ad una “pausa” che, anche per quanto riguarda il settore dei metalli non ferrosi, si è tramutata in una situazione di stalle in cui la richiesta, da parte dei consumatori, risulta praticamente ferma. Si può immaginare, quindi, come le aziende che commerciano rottami non acquistano in previsione di un ulteriore calo del prezzo, mentre, d’altra parte, anche il patrimonio costituito dalle riserve di magazzino, si deprezza giorno per giorno. In questo contesto, non solo ferro ed acciaio subiscono cali di prezzo e domanda, ma anche rame e leghe, ottone, alluminio, nichel e piombo, non se la passano poi così bene. Quale futuro dunque per il mercato dei rottami, considerando anche l’introduzione della nuova Direttiva Europea del Parlamento e del Consiglio relativa alla gestione dei rifiuti e relativi target di recupero e riciclaggio? Già a fine ottobre, prima delle kermesse nazionale di ECOMONDO, il mercato siderurgico nazionale ed estero, rappresentato da oltre 300 imprenditori del settore, riunito a Stresa (MI), in occasione dello Steel Net Forum, organizzato da Assofermet e da Eurometal (Associazione europea dei commercianti di prodotti siderurgici), aveva lanciato un grido d’allarme, considerato che all’impennata fino al +80% dei prezzi dell’acciaio nei primi sei mesi dell’anno, era seguita una debacle del -40% in media all’inizio dell’autunno. Tuttavia, un segnale di speranza era stato identificato nell’aumento del consumo globale che faceva presagire una possibilità di ripresa del mercato, ma non prima della seconda metà del 2009!. “Il 2008 – ha dichiarato nell’occasione Andrea Gabrielli, presidente Assofermet Acciai – è stato l’anno degli eccessi, perché nei primi dieci mesi dell’anno abbiamo assistito a fenomeni di crescita e di calo rapidissimi
nei prezzi, con forti differenziali tra i contratti a lungo termine e tra i diversi mercati geografici”. Molto prudente è apparso Gordon Moffat, direttore Eurofer (Associazione europea dei produttori siderurgici), il quale ha ipotizzato: “Per l’anno prossimo anche il settore dell’acciaio risentirà del rallentamento dell’edilizia e dell’automotive. Nel primo e nel secondo trimestre il consumo reale scenderà del 3,5 – 4% e la debolezza permarrà anche nel anche nel terzo trimestre”. Proseguendo nella sua previsione, Moffat ha anticipato lo stop del calo solo nell’ultimo trimestre: “ le stime prudenziali – ha infine concluso anticipano una domanda reale in calo del 2% mentre quella apparente subirà una riduzione del 6% annuo, concentrata nei primi 3 trimestri. Nel quarto si verificherà un +4%”. Nell’ipotizzare uno spiraglio d’uscita alla crisi ormai conclamata, Jacques Dham, presidente Eurometal e ArcelorMittal Distribution, ha individuato nell’efficienza dei processi e nella riduzione drastica dei costi una strada perseguibile. “Abbiamo già vissuto le crisi del ’72, del ’93 e del 2003 – ha ricordato – oggi rispetto ad allora, il comparto è solido e viene da quattro anni memorabili”. “Perciò – ha aggiunto, in seguito – bisognerà andare incontro al 2009 affilando tre armi: l’efficienza dei costi, l’attenzione ai clienti e la sicurezza”. “Necessario, poi, disinvestire nelle attività non redditizie, fare attenzione ai magazzini, congelare le spese e prestare attenzione ai rapporti con le banche”. “In pratica – ha concluso – raggiungere i livelli più bassi di costo”. Ancora più positivo Antonio Marcegaglia, AD di Marcegaglia Spa, il quale ha affermato che: “il 2009 sarà l’anno del compratore, poiché dopo un primo trimestre con una domanda fortemente ridimensionata, nel secondo e nel terzo trimestre la situazione
migliorerà e nel quarto ci sarà la ripresa”. Se è vero che i consumi, nel complesso, subiranno un calo, è anche vero che, secondo Marcegaglia: “dopo 4 anni come quelli che abbiamo appena passato,, anche un calo del 2 – 4% della domanda, non è un dramma”. L’AD di Marcegaglia ha poi sottolineato la solidità dei bilanci aziendali e la previsione di chiusura 2008 con un miglioramento dei redditi e dei volumi e ancora, per quanto riguarda la distribuzione italiana, ha affermato: “ci sono due delle quattro condizioni per internazionalizzarsi, ovvero il capitale e la capacità di affrontare i rischi. La terza è il management, per il quale si potrà ricorrere al mercato”. Per la quarta, individuata nelle dimensioni aziendali, l’AD ha dichiarato che “si potrà continuare a vivere nell’ambito locale, ma oggi le potenzialità di crescita sono soprattutto all’estero e non si può lasciar scappar via questa possibilità”. Romano Pezzotti, intervenuto come presidente di Assofermet Rottami, ha portato la voce del settore dichiarando che per rottame e ghisa: “c’è stata una volatilità straordinaria”! “L’economia sta attraversando una fase negativa – ha affermato – ma in futuro ci sarà ancora carenza di materie prime, quindi il ciclo positivo dell’acciaio non è finito”. Da ultimo è intervenuto nel dibattito Yuan Lei, console economico e commerciale delle Repubblica Popolare Cinese a Milano, il quale ha voluto rassicurare i presenti dichiarando che: “Cina ed Europa sono complementari nel mondo dell’acciaio” – e ancora – l’Europa esporta in Cina acciai di alta qualità, la Cina vende in Europa acciai base”. “Noi – ha proseguito il console – puntiamo a soddisfare i nostri fabbisogni interni, mentre non è nostro interesse sovrapporci all’industria europea… dialogo e cooperazione saranno gli strumenti per risolvere eventuali problemi commerciali”.
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ECOTECNICA s.r.l.
A ECOMONDO una panoramica delle offerte Ecotecnica La ditta ECOTECNICA s.r.l. che si è prefissata di innovare costantemente la propria gamma di prodotti per soddisfare le esigenze di un mercato in costante evoluzione, è lieta di presentare la nuova serie di cesoie “coccodrillo”che permettono ai recuperatori di risolvere la maggior parte dei problemi derivanti dal trattamento di materiali compositi. Nello specifico il TOP della gamma è rappresentato dal modello EC 500 FULL destinato soprattutto agli autodemolitori. La EC 500 FULL, dotata di un premilamiera oleodinamico, in grado di dare maggiore flessibilità nell’utilizzo della macchina, visto che la pressione esercitata dal premilamiera sul materiale trattato aumenta proporzionalmente alla forza di taglio delle lame, escludendo l’intervento diretto dell’operatore, consentendogli così di lavorare in assoluta sicurezza. Alla 500 FULL si affiancano le altre cesoie della gamma, che terminano con la “piccola” con bocca da 230 mm. Una fantastica macchina operatrice adatta alla pulizia dei metalli, alla riduzione e preparazione per il successivo riciclaggio di cavi elettrici, ecc. I prodotti ECOTECNICA si differenziano dalla concorrenza per la qualità dei componenti, per le soluzioni tecniche adottate e per tutte le parti meccaniche lavorate con macchine utensili.
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Durante Ecomondo 2008, esposizione fieristica tenutasi dal 05 al 08 Novembre, è stata presentata la nuova pressa-cesoia realizzata dalla ditta Ecotecnica Srl. Questa imponente macchina ha immediatamente catturato l’interesse e l’attenzione di tutti gli operatori impegnati nel trattamento del rottame. Gli utilizzatori presenti alla manifestazione hanno notato le innovative soluzioni tecniche adottate e allo stesso tempo l’elevato grado di finitura e di robustezza della pressa cesoia. La filosofia costruttiva della Ecotecnica S.r.l., ormai un marchio distintivo di qualità, è stata enfatizzata in questa cesoia: il design elegante che fa risaltare allo stesso tempo la robustezza, si accompagna all’impiego rilevante di materiali come l’acciaio anti usura Hardox di spessori rilevanti, componentistica di prima qualità. L’apice di questa pressa cesoia è raggiunto con l’impianto oleodinamico realizzato in stretta collaborazione con la Bosch Rex Roth, leader mondiale dell’oleodinamica che ha profuso tutto il suo know- how acquisito in decenni di esperienza nel settore. Si è ottenuto così una macchina che non avrà rivali per la velocità, l’affidabilità e la durata nel tempo. La direzione e i commerciali della ditta Ecotecnica saranno lieti di fornire tutte le delucidazioni a chiunque ne faccia richiesta.
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CARICATORE SEMOVENTE ECO 107 La società ECOTECNICA è lieta di presentare il caricatore ECO 107 che va ad aggiungersi alla già ampia gamma di macchine di sua produzione, dedicato al trattamento per riciclaggio ferrosi e metallici. L’ECO 107 pur posizionandosi tra i caricatori di piccola dimensione pesa infatti solo 10 tonnellate, è dotato di tutti i componenti presenti su macchine di categoria superiore. Tra le dotazioni spiccano: la doppia trazione 4x4, la cabina rialzabile ed ad ampia visibilità, la pala anteriore, un braccio telescopico che raggiunge i 7m con capacità di sollevamento di 1.200Kg, la torretta girevole a 360°, il cambio a 2 velocità. L’ECO 107 avrà un prezzo molto accettabile anche per i piccoli operatori che vogliono dotarsi di un macchina versatile atto a sopperire a tutte le necessità di caricamento e movimentazione.
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L’UE A CACCIA DI ROTTAMI
La fame di metallo di risulta dalla demolizione e l’esigenza di un elevato rispetto dell’ambiente, spinge la Commissione UE ad una strategia per lo smantellamento delle vecchie carrette del mare a cura di Alberto Piastrellini
Le riserve minerarie, si sa, non sono infinite, ma infinito è il bisogno della comunità umana di nuovi manufatti e servizi, per realizzare i quali, la catena che va dal recupero della materia prima al prodotto finito, non si ferma mai. Tuttavia, ogni prodotto, per senescenza o per accidenti di percorso, giunge al termine della sua vita e allora ecco che, in una sorta di metamorfosi virtuosa, dalla sua “spoglia” può rinascere sotto altre forme. È il “miracolo” del recupero e del riciclo, due fattori enormemente importanti per la soddisfazione dei bisogni umani ed in contenimento dei costi di produzione e di energia. Non solo, dal riciclo, anche l’ambiente trae giovamento, in quanto il patrimonio naturale non viene depauperato di ulteriori risorse, troppo spesso sacrificate sull’altare di una sconsiderata idea di sviluppo. Orbene, nel settore merceologico dei metalli, stante le tante difficoltà di reperimento e la preoccupante fluttuazione dei costi, sempre più dipendenti da fattori esterni al comparto, il recupero/riciclo dei rottami ferrosi e non, da diverso tempo è oggetto di riflessioni ed iniziative normative da parte della Comunità Europea, iniziative, che, ad esempio, hanno portato, tra l’altro, alla adozione di una apposita Direttiva Comunitaria - 2000/53/CE – dedicata ai veicoli fuori uso e al loro trattamento al fine di un minor smaltimento
in discarica e di una alta percentuale di recupero (99%). Ma, accanto alle auto, che costituiscono pur sempre il più diffuso comparto di utilizzo di metalli ferrosi, c’è un altro settore della cantieristica e del trasporto che, in tempi di crisi, può far gola al mercato dei metalli ed è quello navale. “Ogni anno, nel mondo, vengono smantellate tra le 200 e le 600 navi mercantili di grossa portata per recuperarne i rottami – spiega la Commissione UE, purtroppo, prosegue – molte navi in disuso in Europa sono demolite nei cantieri prossimali le spiagge dell’Asia meridionale, dove la mancanza di tutela nei confronti dell’ambiente, e l’assenza di misure di sicurezza si traducono in un’elevata frequenza di infortuni, in rischi per la salute umana e nell’inquinamento di ampi tratti di costa”. Da un paio di decenni, infatti, l’Europa ha delocalizzato in Asia (soprattutto Pakistan, India e Bangladesh) quegli impianti di demolizione navale che costituivano una fonte di imbarazzo per le amministrazioni locali preoccupate dell’inquinamento derivante. Il risultato è che le diverse operazioni di smontaggio (senza alcuna attenzione per la bonifica e la messa in sicurezza delle parti pericolose), sono state trasferite in Paesi poveri e più accomodanti dal punto di vista delle regole a tutela dell’ambiente e della sicurezza dei lavoratori, senza conta-
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re i costi più vantaggiosi derivanti dall’utilizzo di manodopera poco salvaguardata. Ma il rischio, anzi la sicurezza dell’inquinamento da metalli pesanti, bifenili policlorurati (Pcb), Polivinilcloruro (PVC), tributilstagno (TBT), amianto, morchie, vernici e idrocarburi esausti è stata solo spostata altrove, sfruttando la “fame” dei derelitti del Terzo Mondo. La rottamazione delle navi, infatti, è una importante fonte di materie “prime” per l’Asia: solo il Bangladesh ricava fino al 90% dell’acciaio che utilizza dalle navi rottamate, pagando per le stesse 400 USD (United States Dollars) per ldt (light displacement ton – unità di peso della nave), una cifra che già nel 2006 era molto più elevata rispetto a quella pagata in altri Paesi. Ma il prezzo per l’accesso a tale “miniera” è molto più alto di quanto si possa pensare, infatti, nel più grande sito di demolizione navale indiano (Alang), un lavoratore su 6 soffre di asbestosi (intossicazione da amianto che può degenerare in forme tumorali incurabili a carico del mesotelio), inoltre il tasso di incidenti mortali è 6 volte più alto a quello dell’industria mineraria. Di fatto, nessuno dei siti asiatici deputati allo smantellamento delle navi giunte al termine della loro vita, è dotato di sistemi di contenimento per impedire lo sversamento
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e la dispersione di sostanze inquinanti nel suolo e nelle acque. Pochissimi sono dotati di strutture idonee al conferimento dei rifiuti e, qualora esistesse una tipologia di trattamento degli stessi, questa, molto raramente risulta conforme a norme ambientali minime. E il futuro potrebbe riservare ulteriori sorprese in termini peggiorativi, infatti, l’adozione di normative comunitarie ed internazionali finalizzate alla messa al bando e alla conseguente graduale eliminazione delle petroliere a scafo unico (dinamica che dovrebbe raggiungere il suo picco intorno al 2010) non farà altro che aumentare il rischio di inquinamento e contaminazione di ambiente e persone (circa 5,5 milioni di tonnellate di materiali pericolosi), qualora non si adottino misure precise e protocolli condivisi e accettati per la demolizione delle navi. Si consideri, poi, che il problema della demolizione delle navi riguarda molto da vicino l’Europa, dal momento che nel 2006 non meno del 36% della stazza mondiale era detenuto da imprese con sede nell’UE e, nei prossimi anni si prevede che saranno smantellate circa 100 navi da guerra e altre navi di Stato battenti bandiera di un Paese UE (soprattutto francesi e britanniche) e, proprio questi scafi, costruiti a cavallo tra gli anni ’60 e ’80, contengono quantitativi relativamente elevati di amianto e altre sostanze pericolose.
Secondo il Commissario all’ambiente europeo Stavros Dimas: “Negli ultimi anni c’è stato indubbiamente un miglioramento delle pratiche messe in atto dall’industria del settore, ma la demolizione delle navi continua ad essere un problema serio. I lavoratori dell’Asia meridionale sono sfruttati e rischiano la vita perché lavorano in condizioni deplorevoli, mentre le zone costiere sono inquinate e gli ecosistemi minacciati. La soluzione migliore per risolvere questa crisi è la collaborazione a livello UE e in ambito internazionale”. Purtroppo, attualmente (ndr: i dati presentati in questo articolo si riferiscono al “Libro Verde: per una migliore demolizione delle navi” della Commissione delle Comunità Europee, Bruxelles, 22 maggio 2007) la capacità di riciclare scafi a fine vita in maniera sostenibile e corretta da un punto di vista ecologico, ogni anno si attesta alla cifra massima di 2 milioni ldt/anno in tutto il mondo; una cifra che solo apparentemente sembra alta, in realtà rappresenta solo il 30% della domanda totale di demolizione in annualità standard. Ovviamente gli impianti titolati ad una demolizione rispettosa e corretta sono pochi e ubicati in alcuni Stati UE (Belgio, Italia e Olanda) e in Cina. Purtroppo, quest’ultimi non possono offrire gli stessi prezzi per il rottame e devono sostenere la concorrenza degli impianti “fai da te” del subcontinente indiano. Già nel 2000, la Commissione Europea, analizzando gli aspetti economici connessi alla demolizione delle navi, concludeva che: “alle condizioni attuali sarebbe estremamente difficile garantire che il riciclaggio delle navi risponda contemporaneamente a criteri di redditività economica e a criteri ambientali”. I motivi di questa situazione, la Commissione, li elencava nel seguente modo: • Il numero delle navi da destinare alla demolizione dipende dalle condizioni del mercato merci: se una nave può ancora garantire dei buoni guadagni il proprietario non deciderà di farla demolire. Negli ultimi due anni i volumi destinati alla rottamazione sono stati molto bassi perché il mercato del trasporto merci ha registrato un boom ed era molto redditizio. La stragrande maggioranza delle navi destinate alla demolizione proverrà forzatamente dalla flotta mercantile d’alto mare e sarà rappresentata principalmente da petroliere e porta rinfuse (che rappresentano i segmenti di “volume”). Altri segmenti di mercato, come le navi da guerra, le imbarcazioni per la navigazione interna e le strutture offshore, hanno dimensioni limitate e rappresentano una scarsa offerta di demolizione e dunque difficilmente possono fornire un flusso costante di materiale da riciclare su vasta scala. L’operatore di un moderno impianto di riciclaggio avrà pertanto difficoltà a crea-
re un modello commerciale in grado di coprire tutti i costi di ammortamento. Per questo motivo gli operatori ancora esistenti in Europa hanno potuto sopravvivere solo rivolgendosi a mercati di nicchia, in particolare le strutture offshore, le navi da pesca e le imbarcazioni destinate alla navigazione interna. • Le navi sono costruzioni individuali con un lungo ciclo di vita, che nei 20-30 anni di funzionamento subiscono molte riparazioni e interventi di manutenzione. Solo poche di queste attività sono però adeguatamente documentate. L’impianto di riciclaggio non sa, pertanto, che cosa gli viene consegnato e che operazioni di riciclaggio saranno richieste. Queste considerazioni valgono soprattutto per le navi passeggeri, che contengono materiali molto diversi tra loro, compresi dei composti molto difficili da separare e riciclare. Le navi attualmente destinate alla demolizione sono state costruite negli anni ‘70 con materiali che oggi non vengono più usati (come l’amianto) e per questo l’entità di lavoro manuale necessario è notevole e verosimilmente rimarrà un fattore importante nella determinazione dei costi. Per questo tipo di imbarcazioni il ricorso a macchinari pesanti sarà limitato. • Alcuni materiali presenti a bordo possono essere riciclati e generare guadagni, mentre altri richiedono un trattamento costoso e difficilmente quantificabile a priori. • In Asia la fonte principale di guadagno per i cantieri di demolizione è rappresentata dall’acciaio, che viene utilizzato nella costruzione, e dal mercato dell’usato delle attrezzature delle navi. Nei paesi industrializzati queste due fonti di reddito non esistono a causa della legislazione in vigore. La Commissione indicava inoltre, tra le cause di una poco responsabile delocalizzazione in Asia della demolizione delle navi, il fatto che nei cantieri del Bangladesh e in quelli indiani, i lavoratori guadagnano 1-2 USD al giorno a fronte di spese irrisorie per la sicurezza e la salute nel luogo di lavoro, mentre in Europa, i costi giornalieri di un solo operaio si possono stimare in 250 USD/giorno. Da parecchi anni, ormai, la discussione focalizzata sul problema del corretto smaltimento delle navi a fine vita viaggia a livello internazionale e comunitario, coinvolgendo non solo la Commissione Europea, ma anche apposite Organizzazioni come l’IMO (Organizzazione Marittima Internazionale), l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) e l’Organo da cui deriva direttamente la Convenzione di Basilea (Accordo internazionale sulla movimentazione transfrontaliera dei rifiuti pericolosi), ovverosia, l’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente). Il confronto fra questi tre enti ha prodotto un elaborato che
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rappresenta delle Linee Guida, solo per ora, non vincolanti per il riciclaggio delle navi; Linee che dovrebbero sfociare in una Convenzione Internazionale, questa sì, vincolante, siglata dall’UE (la cui ratifica è attesa nel primo semestre del prossimo anno). Il progetto comprende una ridefinizione delle norme riguardanti i requisiti cui devono rispondere le navi (ad esempio elementi quali la progettazione, la costruzione, il funzionamento e la manutenzione) e gli impianti di riciclaggio e alcuni obblighi in materia di comunicazione delle informazioni. Il progetto propone, inoltre, un sistema di controllo e applicazione delle normative secondo il principio: “dalla culla alla tomba” per il riciclaggio delle navi, al fine di evitare la presenza di materiali pericolosi nelle navi nuove e di eliminarli da quelle esistenti quando queste sono ancora in esercizio. Anche la certificazione e le necessarie procedure autorizzative per gli impianti di smaltimento e di riciclaggio, saranno aspetti codificati nella convenzione, la cui applicazione ed entrata in vigore si attende, verosimilmente, per il 2015. La strategia che la UE sta perseguendo, prevede misure per migliorare rapidamente le condizioni di demolizione delle navi nel periodo transitorio l’entrata in vigore della Convenzione IMO e prevede, altresì, all’indomani dell’adozione della strategia internazionale, dei preparativi per definire,
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da subito, gli interventi sugli aspetti principali della Convenzione: controlli; certificazione; catalogazione dei materiali pericolosi presenti a bordo e nello scafo; meccanismi di incentivazione volti all’adozione volontaria di best practices da parte dell’industria alla quale saranno riconosciute le attività esemplari di riciclaggio ecologico; assistenza e supporto tecnico ai Paesi in via di sviluppo in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e di utilizzo di infrastrutture e tecnologie atte a garantire la tutela della salute e dell’ambiente; migliore controllo della normativa internazionale in materia di spedizioni transfrontaliere di rifiuti pericolosi; creazione di un elenco delle navi da avviare alla demolizione. Ovviamente tali obiettivi non saranno raggiungibili senza un adeguato sistema internazionale di finanziamento obbligatorio per la demolizione ecologica delle navi, sistema che l’UE intende valutare per incentivare tale processo di recupero/riciclo. A questo punto non resta che augurarci che, di fronte ad un problema globale, i vari Governi e le varie lobbies di potere economico e commerciale non si trincerino dietro i rispettivi singoli interessi, drizzando paletti che, di fatto, renderebbero vana ogni convenzione, perpetuando il problema e favorendo il mantenimento di flussi poco chiari di rifiuti e materiali preziosi.
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L’AUTODEMOLIZIONE DEL FUTURO VIAGGIA COL SOLE!
Per i centri di raccolta e trattamento ELV nascono i nuovi cantilever a copertura fotovoltaica a cura di Alberto Piastrellini
Quella del risparmio e dell’efficienza energetica, con un occhio all’ambiente e l’altro alla competitività dell’esercizio d’impresa, è una strategia che si sta dimostrando sempre più vincente, soprattutto nel campo dell’industria automobilistica, dove, mercè una rinnovata attenzione verso le problematiche ambientali, sono mutati i gusti e le attenzioni della clientela, sempre più pronta a richiedere performance migliori riguardo consumi e emissioni. Anche all’indotto e ai comparti collaterali è richiesta una maggiore attenzione per quanto riguarda nuove soluzioni tecnologiche e best practices per conseguire un risparmio energetico senza per questo intaccare la capacità dei processi produttivi. Anche le imprese di autodemolizione, le quali in virtù del fermento normativo nazionale ed internazionale in campo ambientale, devono adeguare i loro impianti in funzione della minor produzione di rifiuti ed apporti inquinanti, hanno oggi la possibilità di sperimentare ed investire nel progresso tecnologico, magari avendone un congruo tornaconto. È il caso, ad esempio, di una maggior attenzione alla logistica del magazzino e allo stoccaggio dei veicoli da bonificare e bonificati. Terminata, infatti, l’epoca della sovrapposizione selvaggia dei veicoli a fine vita (con conseguente depauperamento
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del patrimonio rappresentato dai pezzi in buon stato da avviare al mercato della ricambistica usata e con l’aumento dei rischi per i lavoratori), oggi vi sono alternative economicamente valide che consentono “l’archiviazione” precisa dei veicoli da bonificare, accanto ad elevati standard di sicurezza per gli operatori e alla possibilità di intervento sul mezzo grazie ad un semplice muletto. Stiamo parlando, ovviamente dei Cantilever, apposite “scaffalature” proposte nella versione mono o bifronte dalla LogiMa Srl di Porto d’Ascoli, pensate per i centri di autodemolizione che vogliono migliorare i propri servizi e il proprio operato, rispondendo sempre più puntualmente alle esigenze nazionali e comunitarie di gestione, recupero e avvio al riciclo delle varie componenti degli automezzi da rottamare. Più volte, su queste pagine, abbiamo potuto constatare come la soluzione offerta dai cantilever mono e/o bifronte, sia stata un’intuizione azzeccata e prontamente adottata da quanti, professionisti del settore dell’autodemolizione, hanno a cuore il core business della propria azienda e l’insieme delle infrastrutture dedicate all’esercizio. Oggi, quando anche i Governi europei si interrogano sulla possibilità di intervenire strutturalmente sulle politiche energetiche dei rispettivi Paesi, anche gli imprenditori professionisti dell’autodemolizione, possono dare il proprio
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a cura di xxxxxxxxxxxxx
contributo all’efficienza energetica grazie ad accorgimenti mirati alla produzione di energia elettrica a partire dalla fonte rinnovabile più disponibile sul nostro territorio, quella del sole! La soluzione è semplice: montare pannelli fotovoltaici proprio sui cantilever. La “quadratura del cerchio”, ottenuta da LogiMa, in collaborazione con MDM Solar è stata presentata in anteprima alla 12a edizione della Fiera Internazionale del Recupero di Rifiuti, Materia ed Energia e dello Sviluppo Sostenibile, ECOMONDO di Rimini e rappresenta una notevole opportunità per le imprese di autodemolizione che vogliono presentarsi sul mercato con una marcia in più. Il nuovo Cantilever con copertura fotovoltaica porta la firma della LogiMa Srl e di MDM Solar, azienda bresciana di progettazione e installazione d’impianti fotovoltaici e consente la produzione di energia pulita, destinata al fabbisogno dell’impresa che lo installa. La copertura consta di 12 pannelli Mitshubishi Heavy Industries con tecnologia film sottile Tandem (nuovo nato
della casa leader giapponese), per una potenza complessiva di 1,56 kW, in grado di produrre energia da 1.973 kWh (Nord Italia) a 2.574 kWh (Sud Italia), consentendo un equivalente risparmio di emissioni di anidride carbonica, calcolate in 1.748 Kg/anno (al Nord) e 2.281 Kg/anno (al Sud). Ovviamente, oltre al congruo risparmio in bolletta derivante dall’autoconsumo dell’energia prodotta, grazie alle norme contenute nel Decreto Ministeriale del 19/11/2007 (il cosiddetto “Conto Energia”), l’impresa che opterà per questo tipo di installazione riceverà dal Gestore dei Servizi Elettrici un contributo per ogni kWh prodotto. Il Cantilever con copertura fotovoltaica nasce dalla volontà delle Aziende partner di offrire soluzioni sempre più all’avanguardia in grado di soddisfare le esigenze del mercato, in particolare per quelle aziende che iniziano a volgere una particolare attenzione al rispetto ambientale e sono desiderose di cogliere l’opportunità offerta dallo Stato tramite gli incentivi legati all’implementazione delle fonti rinnovabili.
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newsletter aperiodica di informazione per i soci
NEWS
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LA CRISI DEI ROTTAMI FERROSI E NON I riflessi sulla categoria degli Autodemolitori in una intervista al Presidente C.A.R., Alfonso Gifuni di Alberto Piastrellini
Tornate dalla kermesse di ECOMONDO di Rimini, le aziende associate alla Confederazione Autodemolitori Riuniti –C.A.R., ma, per estensione, tutto il comparto dei professionisti della demolizione, si sono ritrovate a dover riaffrontare una preoccupante crisi senza precedenti nei confronti dei prezzo dei pacchi di rottame. Tale situazione, ironia della sorte, si è presentata dopo un lungo periodo di innalzamento dei prezzi, periodo che ha favorito investimenti nelle migliorie dei proprio impianti e nei necessari adeguamenti strutturali, così come previsto dalle normative vigenti. Risultato, magazzini deprezzati e prospettive poco entusiasmanti per un futuro che si intravede alquanto offuscato da scenari di crisi e recessione economica, così come giornalmente indicato dagli organi di informazione che riportano le allarmate dichiarazioni di economisti e tecnici della finanza. Già nel mese di settembre, a seguito delle numerose comunicazioni pervenute presso le Sedi C.A.R. e CNA alla ripresa delle attività dopo le ferie estive, allorquando molti titolari di imprese di autodemolizione avevano segnalato un calo (oltre il 50% rispetto al mese di luglio) del prezzo dei pacchi e del rottame in genere (ferroso e non), nonché del cosiddetto “rottame leggero”; le due Organizzazioni avevano fatto richiesta formale al Garante della Concorrenza e del Mercato, affinché lo stesso accertasse la sussistenza dei motivi di un tale decremento del prezzo delle materie prime, nonché, ove se ne verificassero i presupposti, un eventuale abuso di posizione dominante da parte delle imprese acquirenti dei predetti materiali. A tre mesi da quell’episodio vogliamo approfondire l’argomento con il Presidente C.A.R.. Alfonso Gifuni, al quale abbiamo chiesto una disamina dello stato dell’arte e le prospettive della Confederazione per il nuovo anno.
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Presidente, in occasione del Convegno C.A.R. a Rimini è stato ribadito come il recente crollo del prezzo del rottame abbia creato inquietudine nella categoria degli Autodemolitori. Può farci un quadro dell’evoluzione del fenomeno, dal picco negativo di settembre, all’ultimo periodo? Il prezzo del rottame segue una curva fluttuante; per ciò che riguarda il prossimo futuro, riteniamo che, qualora si dovesse verificare un ulteriore picco negativo, come accaduto all’inizio di questo autunno, non sarà più possibile autosostenere una corretta filiera del recupero/riciclo degli autoveicoli a fine vita. È evidente che se il prezzo del rottame scende oltre il livello minimo che garantisce l’autostostentamento economico della filiera, occorre porsi il problema di chi dovrà integrare la parte mancante. Non possiamo pensare che, come avvenuto in passato, il prezzo del rottame possa tornare in tempi brevi a prezzi golosi, sappiamo bene che la fluttuazione del mercato, oltrettutto mai così incerta come in
questa fase congiunturale, è assolutamente incostante. Tuttavia, vogliamo che sia chiaro, così come indicato nella norma di riferimento, che se lo status quo del prezzo, dovesse permanere, chi ha la responsabilità economica del fine vita del veicolo, dovrebbe cominciare a stare in allerta. D’altra parte, siccome talvolta è apparso un po’ ingiustificato, non tanto il calo del prezzo in sé, bensì la sua dimensione, ci siamo domandati, con l’iniziativa di settembre mirata a chiamare in causa l’Antitrust e gli organi di controllo competenti, se tutta la dimensione del calo fosse giustificata o meno da ragioni cogenti. Non è mai accaduto, nel settore automotive, che la nostra categoria specifica fosse così coesa e organizzata da poter sostenere una tesi del genere al punto di giungere a chiedere una verifica ufficiale di questo tipo e, quindi, al di là del risultato raggiunto, ritengo che tale dinamica sia stata un importante banco di prova ed un esame della capacità rappresentativa sindacale raggiunta da C.A.R. nel panorama nazionale.
La novità macroscopica emersa a seguito del deprezzamento del rottame è che il settore dell’autodemolizione si è dimostrato pronto a difendersi, nel caso fossero emerse dinamiche esterne alla legittimità della fluttuazione di mercato e, soprattutto, nell’eventualità che il calo fosse giustificato e prevalente, si è posto il problema di coinvolgere i Produttori, richiamandoli alle loro responsabilità nell’integrare il sostegno economico alla filiera. Quali altri strategie si intendono perseguire, all’interno della Confederazione, per ovviare ai mancati introiti della vendita dei pacchi di rottame? La strategia che opponiamo a questa situazione, certamente non nasce solo per far fronte a questa emergenza congiunturale. Una boccata d’ossigeno per le nostre aziende è rappresentata certamente dallo sbocco dei materiali di demolizione degli autoveicoli, questo va ottimizzato, vanno cercati nuovi mercati, vanno cercate formule di sbocco per quei materiali che attualmente sono difficili da collocare sul mercato e ugualmente difficili da recuperare.
Per questo ci stiamo attrezzando già con il recupero delle materie plastiche e, nel contempo, alcune nostre aziende si stanno attrezzando con piccoli impianti di frantumazione per poter offrire un ulteriore servizio e meglio collocare sul mercato un prodotto di qualità, il tutto nell’ambito di un aumento della professionalità delle nostre aziende rispetto al recupero delle diverse tipologie di materiali di risulta dalla demolizione. Comunque va ottimizzato il recupero di ogni parte, nel modo più economicamente ed ambientalmente sostenibile. É evidente che anche l’opportunità di riconversione dei ricambi fuori uso che possono essere revisionati va migliorata per aumentare la percentuale di recupero. Insomma per tutte quelle parti del veicolo che riusciamo a recuperare oggi e che presumibilmente andremo a recuperare domani, stiamo cercando di ottimizzarne l’immissione sul mercato. Nel periodo di crisi in cui ci troviamo e nella prospettiva di una insostenibilità della filiera, tenteremo di recupe-
rare al massimo quanto più possibile sul piano economico dal veicolo, coniugando, ovviamente le nostre azioni con le varie necessità in ordine all’ambiente. Oltretutto quanto più materiale di risulta torna nel circolo produttivo come materia prima, in uno Stato carente delle stesse, tanto più si riesce ad essere sincroni con le necessità di ordine ambientale ed economico. L’impressione avuta nel corso degli eventi di Rimini è che C.A.R. abbia confermato la volontà di creare punti di contatto, collaborazioni e dinamiche sinergiche con altri soggetti afferenti al settore, penso, per quanto riguarda la ricambistica, alla apposita associazione in seno alla CNA o, con altri soggetti privati, sempre per l’implementazione di software gestionali, oppure, con lo stesso Consorzio PolieCo per il conferimento ed il riciclaggio delle parti in plastica degli autoveicoli. C.A.R. intende proseguire su questa linea anche per il futuro? All’atto della nostra costituzione abbiamo voluto sancire due principi fondamentali del nostro agire: • evitare qualsiasi scontro con qualsiasi soggetto della filiera o partner che dir si voglia; • privilegiare il confronto in assoluto. La collaborazione piena, poi, qualora si dovesse realizzare sarebbe una dinamica ottimale, in questo senso. Nel proseguire su questo sentiero, in prima battuta, già all’indomani della nostra nascita abbiamo incrociato il PolieCo, successivamente la vicinanza con CNA e con tutte le tipologie di imprese del settore che sono ivi rappresentate, ci ha permesso di sincronizzarci meglio con le esigenze del Paese. In seguito abbiamo firmato: l’Accordo di programma con i Produttori e l’Accordo di programma con il Ministero insieme a tutti gli stakeholders della filiera. Abbiamo realizzato il Progetto Phas-
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C .A.R. CONFEDERAZIONE AUTODEMOLITORI RIUNITI
CNA, in collaborazione con Quattroruote, per quanto riguarda la ricambistica e, sempre su questo fronte, stiamo completando un accordo nazionale fra C.A.R. e CNA-Autoriparatori che sarà mirato all’ottimizzazione dei rapporti tra i nostri assistiti e le officine in generale in Italia: Autoriparatori, Meccanici, Carrozzieri, Elettrauto. A questo patrimonio di imprese cerchiamo di offrire la nostra esperienza e la nostra professionalità per ciò che concerne la vendita dei ricambi usati, ma anche la possibilità di andare a ritirare noi, integrando le nostre autorizzazioni, quelle parti di veicolo che per loro sono materiale di risulta e che in capo ai meccanici, ad esempio, costituiscono una responsabilità ed un onere notevole. Se l’onere, per questi soggetti è costituito dal fatto che sono obbligati a conferire a consorzi obbligatori, d’altro canto, noi convenzionalmente potremmo ritirare tali parti attraverso l’omologazione dei nostri impianti, integrando i codici in entrata e in uscita dei rifiuti e organizzandoci per effettuare le raccolte presso le officine. Questo consentirebbe un notevole risparmio economico e una maggiore funzionalità del sistema. Il principio generale che ci muove, ripeto, è quello di non avere alcuna pregiudiziale di sorta verso alcun soggetto della filiera; tuttavia quando questo accade, come è avvenuto negli ultimi anni, quando si è manifestato un tentativo di invasione di campo nel ruolo dei demolitori da parte dei Frantumatori, Concessionari e Produttori, vogliamo essere pronti a difenderci in tutti i modi. Quali saranno le nuvole sfide per il 2009? Intanto, durante l’anno che sta volgendo al termine, e che, ricordo, è il primo della nostra esistenza come Confederazione, abbiamo messo in atto una notevole serie di iniziative volte al rilancio del settore e al riconoscimento della nostra dignità d’impre-
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sa, iniziative che più volte ho avuto modo di ricordare anche sulle pagine del Notiziario. Ebbene, alcune di queste hanno già prodotto dei risultati, altri sono tutt’ora in itinere e quindi, il primo obiettivo che ci poniamo per il 2009 è l’accelerazione verso la soluzione di queste pratiche. Ad esempio, sulla questione del “deposito temporaneo”, da noi impugnato in sede di Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha provocato una attenta discussione in questi tre mesi dalla data di presentazione dell’interpellanza. In questi giorni è stata formulata una ipotesi di soluzione che attualmente, è in fase di formalizzazione. Devo dire che, visti i tempi solitamente lunghi con i quali si affrontano queste questioni, aver raggiunto un apprezzabile risultato in appena tre mesi, è già un ottimo traguardo e noi siamo seriamente intenzionati a proseguire su questo fronte. Anche per quanto riguarda l’impugnativa delle Convenzioni ANCMA e ANIA, che presuppongono l’iscrizione a questo o quel sindacato per ritirare autoveicoli, cicli e motocicli
da avviare alla demolizione, il lavoro sta procedendo nella direzione di una soluzione d’intesa con i Ministeri competenti. Sul fronte interno, cercheremo di spingere affinché le nostre aziende possano accedere a finanziamenti agevolati per poter procedere con gli adeguamenti strutturali previsti dalla normativa di settore. Anche l’organizzazione della nostra struttura, per adeguarla alla crescente dimensione di C.A.R., sarà oggetto di verifica ed eventuali integrazioni, per le quali ci stiamo ancora confrontando.
Via Barberini, 11 - IV piano int. 15 00187 Roma Tel. 06 42016523 - Fax 06 42000767 Cell. 335 7491160 info@carautodemolitori.it www.carautodemolitori.it
Clima e Energia
BELLE PAROLE, MA I SOLDI VANNO DA UN’ALTRA PARTE! Un Dossier di Legambiente evidenzia i flussi finanziari che, a dispetto di tanti proclami, sostengono l’utilizzo delle fonti fossili… ma a pagare, due volte, in molti casi sono i contribuenti. di Alberto Piastrellini
Che strano Paese, l’Italia. Da un lato sottoscrive, nei consessi internazionali, patti e dichiarazioni che sollecitano risparmio, efficienza energetica e diffusione delle fonti rinnovabili per uscire dalla crisi economica, dall’altro si impunta a livello europeo affinché certi settori strategici siano inclusi nell’elenco dei favoriti all’accesso gratuito ai permessi di emissione di CO2, e, per comprovare tesi già di per sé discutibili, adduce stime di costi (afferenti al settore industriale), quasi doppi rispetto a quelli valutati dalla Commissione Europea. Che strano Paese, l’Italia. Prima promulga una serie di regole che dovrebbero incentivare l’implementazione di tecnologia a partire da fonti rinnovabili e, con questo ingolosisce privati cittadini ed imprese che da anni non chiedevano di meglio per investire in tali processi migliorativi, poi, sull’onda di valutazioni pessimistiche (mentre si continua a sbandierare l’ottimismo nei consumi), ritratta tutto con una mossa imprevista all’interno del Decreto anticrisi. Ovviamente si rivoltano tutti dalle Associazioni di consumatori, ai semplici cittadini, fino alle Associazioni ambientaliste, per la prima volta spalleggiate da Confindustria, ed ecco che una nuova capriola, “corregge” la sbandata revisionista di pochi giorni prima.
Che strano Paese, l’Italia. Dove, per spedire all’estero i rifiuti si paga e poi le aziende di riciclo nostrane, se li ricomprano sotto forma di materia prima seconda e, però, di fronte ad emergenze da prima pagina (mentre altrove su tali soluzioni si aprono fascicoli in sede di tribunale), si ripiega su discariche di fortuna ed inceneritori… Che strano Paese, l’Italia… Ma è così solo da noi, oppure sono in tanti ad avere qualche scheletruccio nell’armadio? Secondo la nota Associazione ambientalista, Legambiente, a fronte di conclamate velleità di contrastare i cambiamenti climatici e di ridurre considerevolmente quelle emissioni di gas-serra (i cui effetti sono ormai evidenti sul clima del pianeta), le fonti energetiche di derivazione fossile (carbone e petrolio) più il nucleare, continuano ad essere le fonti più beneficiate dai sussidi pubblici dei Governi di tutto il mondo. Un po’ come a dire che il grosso della “torta finanziaria” se la spartiscono petrolieri ed industrie di raffinazione ed estrazione mineraria, mentre solo le briciole arrivano alle industrie dell’eolico, fotovoltaico, solare termico, biomasse e geotermia. La fotografia dello stato dell’arte, invero poco lusinghiera,
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m arriva come “strenna natalizia” nel Dossier: “I sussidi che fanno male al Pianeta – sette esempi per capire perché i finanziamenti pubblici a fossili e nucleari danneggiano il clima e condannano il Sud del mondo”, pubblicato nei primi giorni di dicembre e tutt’ora disponibile sul sito di Legambiente nazionale. Orbene, stante la volontà di ridurre le emissioni climalteranti con la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto nel 2002, stante la determinazione di intraprendere, in Europa, un percorso comune (già da marzo 2007), volto alla definizione di strategie energetiche sostenibili (Pacchetto ClimaEnergia), stante, infine, le tante sollecitazioni di titolati gruppi di ricerca internazionali che, a vario titolo consigliano di rivedere le strategie energetiche globali, nel 2007 un rapporto dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change) ha stimato che ogni anno carbone, gas e petrolio, ottengono sussidi pubblici per un totale di 200 miliardi di dollari, una cifra pari al 64% della spesa pubblica globale destinata all’energia. Alle rinnovabili, viceversa, toccano solo gli “spiccioli”, stimati in circa 10 miliardi di dollari, pari al 3,2% “Spesso caratterizzate da una scarsa trasparenza – cita il Dossier di Legambiente – le misure che favoriscono l’estrazione, la produzione, e il consumo di combustibili fossili e
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nucleare sono di gran lunga superiori a quanto valutato dall’ONU e questo accade soprattutto nei Paesi industrializzati. Presititi ultra agevolati per costruire nuovi reattori, somme per finanziare oleodotti, aiuti di stato al carbone, esenzione delle tasse per le compagnie aeree, copertura assicurativa in caso di incidente nucleare, ecc… Questi sono solo alcuni degli strumenti utilizzti a sostegno di un’economia altamente inquinante e distruttiva del Pianeta”. Quello dei sussidi, ricorda lo studio di Legambiente, costituisce un meccanismo perverso che costituisce uno dei principali ostacoli all’implementazione delle rinnovabili, dal momento che assicura alle fonti tradizionali una convenienza economica che attualmente non avrebbero. Infatti, da un lato, promuove un modello di sviluppo tradizionale che costa in termini di danni ambientali e depauperamento del territorio, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dall’altro, contribuisce a stoppare lo sviluppo delle rinnovabili, in primis, e, di conseguenza, tutte quelle dinamiche politiche volte alla programmazione sostenibile del territorio, alle misure per la mobilità, alle politiche per l’efficienza energetica. Se andiamo a leggere tra le righe del Bel Paese, ci accorgiamo che, l’Italia, ogni anno, spende vari miliardi di euro per la produzione di energia da fonti non rinnovabili e
che, con il meccanismo del CIP 6, ha realizzato la modalità di sussidio pubblico più ambigua che si riesca a pensare. Si pensi che, nel solo 2006, attraverso questa modalità di finanziamento, ben oltre 4 miliardi di euro sono stati prelevati dalle “bollette” per finanziare la produzione di elettricità a partire da fonti non rinnovabili. Stante il mantenimento dello status quo, nei prossimi 20 anni, sempre dalle bollette, verranno prelevati altri 3 miliardi di euro che saranno utilizzati per bonificare i siti nucleari dismessi dopo il referendum dell’87 (considerando che all’uopo sono già stati pagati circa 600 milioni di euro). Sempre spigolando fra le anomalie del sistema Italia, non si possono non prendere in considerazione altre due importanti forme di sussidio allo “sviluppo insostenibile”: si pensi, ad esempio, alle agevolazioni di cui gode il trasporto su gomma rispetto a quello su rotaia (la stessa rete ferroviaria italiana risulta piuttosto vecchiotta e poco affidabile), oppure quelle per le industrie ad elevati consumi di gas e di elettricità che “dal 2000 godono di una riduzione in bolletta per un totale di oltre 7 miliardi di euro”. Lo spostamento di queste ingenti cifre verso processi più virtuosi, consentirebbe, quindi, quel rinnovamento tecnologico ed industriale auspicato da più voci e quella riduzione di emissioni climalteranti in atmosfera che, comunque, ci ritroviamo a pagare sotto forma di danni ambientali che si riflettono sulle produzioni agricole, sui fenomeni metereologici estremi e sulla salute dei cittadini. Stante il perdurare di una situazione economica instabile caratterizzata da una congiuntura negativa, si teme, per il futuro il “picco” della “trimurti energetica” (petrolio, carbone, gas) cui si assommerà ovviamente quello dell’uranio, per le quali, sarà sempre più strategico il controllo e lo sfruttamento di nuovi e vecchi giacimenti. In questo scenario, in cui solo la sicurezza energetica dei Paesi industrializzati sembra degna di essere conservata,
saranno sicuramente i Paesi in via di sviluppo quelli che ne pagheranno le conseguenze più vistose e, infatti, ecco moltiplicarsi da diversi anni, investimenti e linee di credito privilegiate che dal Nord del Mondo, viaggiano verso il Sud e si incanalano in direzione di “controversi progetti nei Paesi in via di sviluppo”. Non è un caso, ci ricorda il Dossier che, “a inizio 2008, le multinazionali del petrolio hanno dichiarato i profitti più alti nella storia del settore… Sono proprio le grandi società ad accaparrarsi una fetta consistente di prestiti e sostegni assicurati dai governi donatori attraverso le istituzioni multilaterali, peraltro contabilizzati dagli stessi come aiuti allo sviluppo, nonostante i danni spesso irreversibili causati alle popolazioni e all’ambiente locali… Investimenti che, oltre a contribuire al cambiamento climatico caricano i Paesi più poveri di un enorme debito estero che il più delle volte va a discapito di altri investimenti nelle infrastrutture di base e mette a rischio il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite”. A questo punto, non è velleitario immaginare come, attraverso una ridefinizione dei sussidi pubblici e privati al mercato delle fonti fossili, sia una potente iniziativa verso la soluzione delle emissioni di gas serra, considerando poi, che, la stessa Agenzia Internazionale dell’Energia, ipotizza, al 2030, un aumento del 45% dei gas serra in atmosfera che innalzerà la temperatura media globale di 6° se gli stati continueranno sulla strada finora percorsa. Ma vediamo, insieme, di scorrere una sintesi del Dossier, attraverso l’analisi di 7 casi specifici che diventano paradigmatici dei sussidi garantiti allo “sviluppo insostenibile” dai Paesi industrializzati, fra cui l’Italia. Idrocarburi Secondo l’UNFCCC i Governi di tutto il mondo spendono ogni anno fino a 130 miliardi di dollari per il petrolio e fino a 90 miliardi di dollari per l’estrazione di gas naturale.
Finanziamenti del governo italiano al settore degli idrocarburi 2000-2008 (www.priceofoil.org) Dati espressi in milioni di dollari
Forma di finanziamento
Settore
Paese destinatario Impresa beneficiaria
Data del progetto
Ammontare
Donazione
Petrolio
Angola
2004
OECD
34.509
Garanzia
Gas
Russia
Gazprom
2005
Sace
1.200.000.000
Garanzia
Petrolio
Arabia Saudita
Polo petrolchimico
2007
Sace
324.015.000
Prestito
Gas
Peru
Peru LNG
2007
Sace
250.000.000
Fonte: Dossier Legambiente
25
m Oltre alle forme di sussidio diretto all’industria degli idrocarburi, le grandi multinazionali del settore godono di forme di tutela indirette sotto forma di garanzie e prestiti agevolati, al punto che anche durante il periodo in cui il prezzo del greggio al barile ha raggiunto i 140 dollari, dette multinazionali hanno continuato a godere di privilegi e finanziamenti. Malgrado non esistano cifre ufficiali che attestino l’entità dei sussidi pubblici al settore degli idrocarburi, l’Oil Change International, nel 2007 ha stimato che nel periodo 2000-2007 le società hanno beneficiato di oltre 61 miliardi di dollari di sussidi.
Mondo: CO2 delle centrali a carbone esistenti e pianificate nel futuro
2006: i sussidi statali al carbone nell’Unione europea (in milioni di euro) Fonte: elaborazione Legambiente da State aid scoreboard 2007, Commissione Europea Germania
2518
Spagna
1097,9
Polonia
294,1
Ungheria
36,5
Slovenia
17,5
Repubblica Ceca
14,72
Slovacchia
6,6
Bulgaria
4,9
Totale
3990,22
Fonte: Carma.org
Le centrali esistenti e quelle pianificate Asia
America del Nord Europa
Africa
Oceania
America Latina Totale mondo
Aumento CO2 progetti futuri % +73,9
2000
3.290,0
2008
5.750,0
Progetti futuri
10.000,0
2000
2.950,0
2008
3.090,0
Progetti futuri
3.860,0
2000
1.710,0
2008
1.880,0
Progetti futuri
2.690,0
2000
269,0
2008
335,0
Progetti futuri
537,0
2000
198,0
2008
235,0
Progetti futuri
286,0
2000
111,0
2008
139,0
Progetti futuri
262,0
2000
8.528,0
2008
11.429,0
Progetti futuri
17.635,0
Fonte: Dossier Legambiente
26
CO2 in Milioni di tonnellate
+24,9
+43,1
+60,3
+21,7
+88,5
+54,3
Fonte: Dossier Legambiente Il Paese che ha speso di più è risultato essere gli Stati Uniti d’America (15,5 miliardi di dollari), seguito dall’Unione Europea (16,5 miliardi di dollari). L’Italia, ufficialmente non ha forme di incentivo statale per le compagnie petrolifere, tuttavia il supporto alle stesse è garantito attraverso un sistema di prestiti e garanzie. Carbone È la fonte energetica più inquinante, infatti per ogni kW/h generato, anche in presenza di avanzate tecnologie per il contenimento delle emissioni, quest’utltime si attestano in una cifra che supera i 700 grammi; oltre il doppio delle emissioni di una moderna ed efficiente centrale a gas. Responsabili di circa 11,4 miliardi di tonnellate emesse annualmente, le centrali a carbone (situate per la maggior parte in Asia), potrebbero aumentare le loro emissioni di oltre il 50% nei prossimi 10 anni, qualora i progetti per realizzarne di nuove venissero effettivamente realizzati. In Italia, grazie al meccanismo di finanziamento del CIP 6, le cosiddette fonti assimilate (gas di scarico delle industrie, residui delle raffinerie, rifiuti non altrimenti utilizzabili), hanno beneficiato di congrui finanziamenti: 4 miliardi di euro contro gli 1,2 miliardi andati alle rinnovabili, nel 2006. Inoltre, dal 2005 gli impianti industriali che usano le fonti assimilate non devono pagare le quote e le multe sull’emissione di CO2, previste dall’Unione Europea. Aboliti nel 2007, i contributi del CIP 6, continueranno ad essere prelevati dalle bollette dei cittadini, fino al 2020; inoltre, grazie ad una apposita norma contenuta nel recente decreto sull’emergenza rifiuti in Campania, il governo ha, di fatto, concesso una proroga al meccanismo di finanziamento.
Tra l’altro, proprio un finanziamento CIP 6 dovrebbe permettere la realizzazione di una centrale termoelettrica a carbone in Sardegna, un progetto che ha sollevato non poche polemiche dal momento del suo inserimento in Finanziaria 2006 e “congelato” dopo il parere negativo espresso dalla Commissione UE in base alle regole che normano la concorrenza e gli aiuti di Stato. Nucleare Secondo il Dossier, la produzione di energia elettrica da fissione nucleare è il comparto energetico che beneficia dei maggiori finanziamenti. Questi, sono prelevati dalle tasche dei cittadini sotto forma di contributi pubblici per la ricerca: l’Agenzia Internazionale per l’Energia stima che dal 1974 al 2006, studi, progetti e ricerche nel settore hanno macinato il 48,4% delle spese di ricerca per l’energia dei Paesi industrializzati. I soldi pubblici vanno spesi, anche, per la costruzione delle centrali, per lo smaltimento (deposito) delle scorie, per la bonifica dei siti dismessi, senza contare i vari prestiti agevolati e le assicurazioni in caso di incidente.
I costi nascosti del nucleare: alcuni esempi Ricerca
Giappone
Dei 3,6 miliardi di dollari versati nel 2006 dal governo alla ricerca nel settore energia, 2,2 sono stati destinati al nucleare. Negli ultimi 20 anni in Giappone il nucleare ha assorbito oltre il 60 per cento della ricerca energetica.
Costruzione
Francia
Attraverso la COFACE, lo Stato copre i rischi di impresa per la costruzione di centrali all'estero. I circa 2,5 miliardi di euro che la società francese Areva dovrà pagare per i ritardi e gli extra costi nella costruzione del reattore di Olkiluoto in Finlandia, saranno versati dai contribuenti francesi.
Produzione
Stati Uniti
Lo Us Energy Policy Act, approvato nel 2005, assicura alle nuove centrali un sussidio di 1,8 centesimi di dollaro per ogni kW/h prodotto.
Assicurazione degli impianti
Stati Uniti
La copertura assicurativa di ogni impianto non deve superare i 300 milioni di dollari. In caso di incidenti più gravi lo Stato si fa carico dei danni. Per i primi due anni di attività l'assicurazione è completamente pagata dallo stato. Friends of the Earth stima che in caso di grave incidente i danni economici possono essere 1000 volte maggiori della copertura assicurata.
Smaltimento delle scorie
Italia
I fondi per lo smaltimento delle scorie delle ex centrali sono prelevati in bolletta. Tra il 1987 e il 2006 la spesa pubblica è stata di 2,5 miliardi di euro. Nei prossimi 20 anni si stima saranno necessari altri 3,5 miliardi.
Smantellamento delle centrali
Gran Bretagna
100 miliardi di euro è l'ultima stima di spesa per lo smantellamento degli impianti britannici. Esborso in gran parte coperto dal governo.
Fonte: Dossier Legambiente
27
m Sostegno della Banca Mondiale a combustibili fossili, in milioni di dollari (Luglio 2005 - Giugno 2007) Bank Information Center, www.bicusa.org
Anno fiscale 2005
Anno fiscale 2006
Anno fiscale 2007
Banca Mondiale (IBRD e IDA)
102
674
597
International Finance Corporation (IFC)
274
455
824
Multilateral International Guarantee Agency 75 (MIGA)
0
ND
Gruppo Banca Mondiale (esclusa la MIGA)
1129
1421
376
Fonte: Dossier Legambiente Banca Mondiale e Banca Europea per gli Investimenti Nata per realizzare e perseguire lo sviluppo economico dei Paesi più poveri e, per ciò, punto di riferimento degli investitori e delle Banche regionali di sviluppo locale, la Banca Mondiale è attore principale di diversi progetti di sviluppo di grandi infrastrutture per l’estrazione e l’esportazione di idrocarburi e carbon fossile da Paesi del Sud del Mondo,
28
verso i colossi dell’Occidente industrializzato. “Secondo i dati forniti dalle ONG: Oil Change International, Friends of Earth, CRBM and SEEN/IPS, nell’ottobre di quest’anno – cita il Dossier – tra il 2007 e il 2008 i finanziamenti della Banca Mondiale per il carbone sono aumentati del 256%. Nello stesso periodo, gli investimenti della Banca Mondiale in petrolio, gas e carbone, sono aumentati del 94%, raggiungendo i 3 miliardi di dollari.
Si consideri, poi, che nell’ultimo decennio, più dell’80% dei profitti derivanti da investimenti della Banca Mondiale per l’estrazione di fonti fossili nei Paesi poveri è ritornato ai Paesi occidentali che importano e consumano i precursori energetici e che ospitano le immense società petrolifere che beneficiano dei fondi erogati dalla Banca stessa. Anche la Banca Europea degli Investimenti calca la scena da co-protagonista del dramma; infatti: “un’analisi degli investimenti nel settore energetico del quinquennio 20022006 ha mostrato che su 23,7 miliardi di euro, 11,3 sono andati a sostenere i combustibili fossili e solo 3/3,6 miliardi (a seconda che si consideri o meno l’energia idroelettrica), sono andati alle rinnovabili”.
miliardi di euro! “L’esenzione del pagamento dell’accisa sul consumo di elettricità, adottata con la Finanziaria 2001 – dice il Dossier – è tutt’ora in vigore. Anche la riduzione sul gas, anch’essa prevista nella Finanziaria 200, ma inizialmente pensata come misura temporanea, è valida ancora oggi grazie alle proroghe approvate periodicamente”. Trasporti Vera e propria “spina nel fianco” del sistema europeo, i trasporti sono responsabili del 27% delle emissioni in atmosfera, di cui il 72% è direttamente imputabile al trasporto su gomma. Il 73% delle merci che viaggiano in Europa, si sposta su gomma, contro il 17% che privilegia la rotaia. È paradossale che si sia firmato il Protocollo di Kyoto nel 2002, per poi aver tagliato i fondi destinati a forme più efficienti di trasporto e aver garantito un sostegno economico alle Case automobilistiche europee che, di fatto sono le maggiori beneficiarie dei finanziamenti della BEI. Tra il 1996 e il 2005, il 31% dei fondi all’industria versati dalla Banca Europea per gli Investimenti è andato al settore automobilistico, con evidenti ricadute occupazionali, certo, ma anche effetti negativi per la mancata implementazione di forme alternative di mobilità sostenibile.
Consumi Attraverso una ambigua giustificazione di sostegno alle famiglie con reddito basso, in Europa, si perdono, ogni anno circa 9 miliardi euro in misure a sostegno dei consumi residenziali di gas ed energia elettrica. A parte il mancato sostegno economico alla promozione dell’efficienza energetica, in Italia, una serie di norme ad hoc, finisce per premiare gli organismi più energivori. Infatti, a partire dal 2000 è stata introdotta una legislazione speciale che ha ridotto dell’85,2% il carico fiscale dovuto dalle imprese con consumi di elettricità superiori a 1.200.000 KW/h al mese. Sempre nel 2000 è stato previsto uno “sconto” del 40% dell’imposta sul gas per le imprese che consumano oltre 1.200.000 m3 all’anno. È Confartigianato a stimare che tale “regalo”, nel quadriennio 2000-2004 è costato al Fisco un ammanco di 7,4
Ricerca e Sviluppo È il nucleare, con il 40% delle sovvenzioni pubbliche, il settore che si accaparra i più ingenti finanziamenti destinati alla ricerca e allo sviluppo di tecnologie per energie alter-
Italia: ricerca e sviluppo sull’energia - investimenti pubblici dal 1979 al 2006 (in milioni di dollari) 1979
1984
1989
1994
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
E f f i c i e n z a 33,0 energetica
77,0
54,3
72,1
34,1
35,8
34,6
31,6
28,8
30,7
77,5
15,3
Fonti fossili
1,6
15,6
0,7
0,0
0,0
0,0
18,7
18,2
17,6
17,3
54,0
10,7
Rinnovabili
23,5
144,1
60,0
43,7
32,9
54,2
72,0
68,1
66,4
63,3
67,8
13,4
111,7
102,4
125,5
24,8
..
..
..
0,0
0,0
25,1
5,0
102,2
84,5
130,5
25,8
45,7
32,0
25,1
5,0
372,5
330,2
505,4
100,0
Nucleare
768,6 1435,1 324,4
171,4
Idrogeno
..
..
..
..
Stoccaggio
4,6
17,5
143,2
28,1
Altro
6,0
42,6
429,6
84,0
TOTALE
837,3 1732,0 1012,2
399,3
153,3 133,6 ..
112,0 108,3 47,4
50,1
48,5
405,4 415,8
47,1
2006 %
Fonte IEA statistics 2006 Fonte: Dossier Legambiente
29
19%
Efficienza energetica
12%
Fonti fossili 11%
1%
Rinnovabili 9%
Nucleare Idrogeno
48%
Altro
1974-2006: finanziamenti pubblici nei Paesi IEA Fonte IEA 2006 statistics
Fonte: Dossier Legambiente native; seguono carbone e petrolio, progetti per l’efficienza energetica ed, infine, le fonti rinnovabili, che si aggiudicano un misero 10,8% dei fondi destinati alla ricerca. L’Italia non fa eccezione in questo scenario con un crollo delle sovvenzioni pubbliche alla ricerca sulle fonti pulite,
Smontagomme: pressa separatrice per ruote d’auto
passate dai 144 milioni di dollari spesi nel 1984 ai 67 milioni di dollari previsti nel 2006. Contemporaneamente le sovvenzioni per la ricerca sulle fonti fossili è balzata dai 15 milioni di dollari del 1984 ai 53 del 2006. È chiaro che il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto (attualmente piuttosto difficili da realizzare) e i nuovi traguardi di efficienza e minori emissioni promossi e richiesti dall’Europa e da altri Paesi, sono ancora molto distanti dall’avverarsi. È indubbio che il settore industriale e produttivo avanzi a due velocità: in testa le grandi multinazionali che godono di privilegi, garanzie, esenzioni e regalìe da parte dei Governi, posti sotto il ricatto di crisi sociali derivanti da eventuali tracolli finanziari; in coda, le piccole e medie imprese, spesso artigiane, che magari vorrebbero rinnovare il proprio know how ed affacciarsi a più sostenibili processi produttivi e, malgrado buon intenzioni, si vedono sottrarre opportunità ed investimenti da parte delle prime. In mezzo, i cittadini del mondo che pagano per tutti, non solo in termini economici, ai quali si richiedono da un lato sacrifici e scelte consapevoli, dall’altro “ottimismo” e continui consumi. Ma fino a quando?
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BIODIESEL: UNA BUFALA?
I biocarburanti sembravano la soluzione al problema dell’impennata del costo dei carburanti e dell’impatto ambientale, ma non è andato tutto liscio come l’olio (di colza). di Caterina Saracino
La colza, dall’olandese Koolzad, ossia “seme di cavolo”, è una pianticina discreta dai fiori gialli, che fino a pochi anni fa cresceva nelle terre dell’Asia, del Canada e dell’Europa nord-orientale ignorata da tutti meno che dalle industrie alimentari; da essa, infatti, si ricava un olio a basso costo e di ancor più bassa qualità, usato per friggere patatine e preparare certi snack oggetto delle crociate dei salutisti. Da qualche tempo però l’olio di colza è sotto gli occhi di tutti, nella forma di biocarburante. A dire il vero questa rivelazione è stata, a posteriori, etichettata come “segreto di Arlecchino” considerato che Rudolf Diesel, nella prima decina del 1900, condusse i primi esperimenti sul motore a cui avrebbe dato il suo cognome utilizzando olio di arachidi puro e sostenendo che la forza della sua invenzione fosse proprio quella di poter fare a meno del petrolio o di prodotti derivati dal carbone, accrescendo lo sviluppo dell’agricoltura. Da dieci anni, ormai, negli U.S.A. come in altri stati, utilizzare tali miscele contenenti vegoils (oli vegetali) è già una consuetudine che fa risparmiare sul costo dei carburanti anche grazie agli sgravi fiscali, in nome della maggior “ecologicità” di questa benzina speciale. Non è una favola che alcune persone, munite di taniche, vadano a farsi un giretto nei ristoranti cinesi e nei fast food (dove
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si frigge di più in assoluto) per raccogliere litri di olio esausto, con buona pace dei ristoratori, che evitano in tal modo di sborsare dei soldi per le imprese addette al ritiro e allo smaltimento di questi “preziosissimi” scarti. Va da sé che pretendere di passare al supermercato, acquistare lattine di olio colza o semi vari e versarli in purezza nei serbatoi delle proprie automobili è quasi un’utopia. Stando a un test effettuato nell’estate del 2005 dalla nota rivista automobilistica “Quattroruote”, immettere nel serbatoio miscele composte di soli oli vegetali comporta al motore diversi danni quali otturazione dei condotti del turbocompressore, incrostazioni in quelli dei lubrificatori e così via. Il test in questione ricevette forti critiche perché chi sosteneva di preparare questo tipo di carburante in casa affermava che, a meno di modifiche ad hoc sul motore, non si fosse mai parlato di oli puri al 100%, ma sempre miscelati con una pari quantità di gasolio e un’aggiunta di solventi come acetone o kerosene per diminuirne la viscosità. Per essere usati con una certa sicurezza tali oli necessitano di alcuni trattamenti che vanno ben oltre il filtraggio dai residui delle cotolette impanate. Per assumere lo status di Biodiesel, il nome con cui è conosciuta questa tipologia di carburante, gli oli e/o i grassi animali devono passare attraverso il processo di esterificazione con alcol
metilico che rimuove gli acidi grassi liberi in essi contenuti, li convertono nell’estere desiderato e solo da questo momento essi acquisteranno proprietà di combustione simili a quelle del gasolio. Fatta questa doverosa distinzione tra combustibile di soli vegoils e Biodiesel, va detto che l’uso del primo è illegale, in territorio italiano, perché si evaderebbe l’accisa sui carburanti. Il decreto legislativo n. 504 del 26 ottobre 1995 recita infatti: “E’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa dal doppio al decuplo dell’imposta evasa (…) chiunque destina ad usi soggetti ad imposta od a maggiore imposta prodotti esenti o ammessi ad aliquote agevolate.” Quindi: comprare olio di colza per friggere è lecito; destinarlo ad usi “alternativi” è punito dalla legge. C’è anche da dire però che il carburante composto di oli vegetali in purezza potrebbe essere immesso nel serbatoio senza grossi problemi soltanto dopo aver posto in atto numerosi accorgimenti al motore, tra cui la sostituzione delle candelette di preriscaldamento, degli iniettori, del filtro dell’olio di lubrificazione oppure l’acquisto diretto di kit completi, come il kit Elsbett, diffusissimo sul mercato tedesco. Fin dagli inizi della sua apparizione, il Biodiesel è sempre stato al centro di grosse polemiche, anche se i detrattori erano certamente la minoranza. E come non citare le migliaia di persone, che dopo un servizio giornalistico mandato in onda dalla Rai nel 2005, presero d’assalto le scorte di bottiglie di olio di colza degli hard discount all’idea di fabbricarselo nella propria cantina? Questo biocarburante si era creato attorno a sé un certo alone “salvifico”, ma da un po’ di tempo la corrente di pensiero si sta spostando in direzioni diametralmente opposte. Qualcuno è arrivato a sostenere che esso sia ora il problema e non la soluzione che si sperava che fosse. Innanzitutto la questione ambientalistica. Fino a poco fa si pensava che le emissioni fossero di gran lunga meno nocive per l’atmosfera, perché si andavano a dimezzare le polveri sottili rispetto al diesel petrolifero, a ridurre le emissioni nette di ossido e biossido di carbonio e di zolfo e via discorrendo. Ecco come parlava Jacopo Fo, uno dei sostenitori più accaniti del Biodiesel: “Se ci fossero la coscienza e la volontà politica si potrebbero prendere da subito misure in grado di modificare sostanzialmente il tasso di inquinamento derivante da auto e riscaldamenti,
abolendo immediatamente l’uso di carburanti derivati dal petrolio. Tutte le auto a gasolio circolanti oggi in Italia potrebbero essere convertite con un costo irrisorio a olio di colza o un altro tipo di biodiesel”. Pare che invece gli studi recenti rechino risultati non così confortanti a tal proposito. Un interessante dottorato di ricerca condotto da Daniela Russi, presso l’Università di Barcellona, conclude che il risparmio effettivo delle emissioni di gas serra, dato dalla sostituzione del 5,75% dei carburanti fossili con biocarburanti, non sia in grado di raggiungere neppure l’1%. Inoltre il Biodiesel ridurrebbe la dipendenza energetica dell’Italia di un misero 0,3%. Questo rapporto trova corrispondenza anche negli studi portati a termine dagli scienziati dell’Università di Stanford e nella pubblicazione di un articolo di Eric Johnson e Russell Heinen, dal titolo “Petroleum Diesel vs Biodisel”, che fanno chiarezza sull’effettivo risparmio di gas serra che sarebbe compreso tra il 25 e lo 0% e non intorno al 60%, come voleva la previsione ottimistica degli albori. Ma l’autentica bomba la lancia “Archives of Toxicology”, sostenendo che i fumi di scappamento di questo carburante siano fino a sessanta volte più cancerogeni di quelli del gasolio ordinario. La tesi del minor impatto ambientale è stata dunque ridimensionata a suon di percentuali, facendo accendere i riflettori poi su altre questioni di non secondaria importanza, come quella dei terreni coltivabili. Sembra che il parere degli economisti sia molto omogeneo nell’attribuire all’incremento produttivo dei biocarburanti la colpa dell’aumento dei prezzi degli alimentari. Se il Biodiesel non avesse ricevuto le accuse che ad oggi gli si rivolgono, molte aziende avrebbero voluto trarre profitto dalla sua produzione e in caso di crescita incontrollata del settore si sarebbe incorso nel rischio che moltissimi terreni, oggi coltivati a piante destinate ad uso alimentare (per le persone e per gli animali), sarebbero stati coltivati a colza, mais e girasoli, materie prime per la realizzazione del biocarburante in questione. Le conseguenze che sarebbero derivate da questa scelta sarebbero state l’ulteriore maggiorazione dei prezzi del cibo e una minore disponibilità di risorse alimentari. Basti pensare che la quantità di mais necessaria al riempimento del serbatoio di un’automobile potrebbe sfamare una persona per un anno
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m intero. In Italia, se volessimo produrre tutto il Biodiesel necessario a far muovere ogni automobilista dovremmo giocoforza importare le materie prime per continuare a coltivare i nostri campi e mangiarne i loro frutti, a meno che non decidessimo di nutrirci solo di pesce crudo! E se poi facessimo tutto questo per il sopracitato 0,3% in meno di dipendenza energetica dall’estero, va da sé che il gioco non varrebbe mezza candela. Stando ad oggi (anche il Biodiesel aveva suscitato entusiasmi esagerati prima che gli studi in proposito ne svelassero le magagne), un’ipotesi di soluzione potrebbe essere il SunDiesel. In Sassonia, nella Germania orientale, è stato infatti inaugurato un impianto di raffinazione in grado di ricavare combustibile liquido dalla lavorazione del legno e della paglia e da altre biomasse non alimentari mediante un processo messo a punto dai chimici tedeschi Franz Fischer e Hans Tropsch. Processo, questo, che consentirebbe di ricavare combustibile fino a tre volte in più rispetto ai metodi finora utilizzati per carburanti “bio” (si calcolano 4000 litri di diesel per ettaro). Si risolverebbe così il problema dei terreni sfruttati per usi diversi da
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quello alimentare, sollevando in special modo i paesi in via di sviluppo del Terzo e del Quarto mondo da tutti i rischi connessi ad una disponibilità inferiore di cibo ed evitando anche un impatto negativo sulla biodiversità connessa alla diffusione di tali monocolture. Restano da appurare la questione dell’inquinamento e della nocività per la salute umana, ma per quello bisognerà aspettare un po’ per saperne di più, prima che altri impianti come questo abbiano larga diffusione. Sembra quindi che quella dei vegoils e del Biodiesel sia una favola troppo bella per poterci credere davvero; ma gli interessi intorno al mercato del petrolio, si sa, sono alti e non sarebbe così illecito sospettare che qualche studio sia pilotato o veritiero solo in parte. Sono infatti in molti quelli che faticano a credere alla tesi della maggior pericolosità per la salute delle emissioni di un carburante in buona parte “naturale” rispetto al gasolio. Comunque stiano le cose, la speranza è che la ricerca continui (e l’Italia, volendo rimanere in tema, in questo settore fa la parte della “Bella Addormentata”) e che si possa trovare una soluzione che scongiuri disequilibri di sorta.
MERCATO DELLE AUTO: CONTINUA IL CALO Sul settore gravano i venti della crisi economica globale e pesano le decisioni del Senato americano di non conceder aiuti ai colossi d’oltreoceano. di Alberto Piastrellini
La notizia è nell’aria da tempo; il mercato automobilistico globale soffre di una crisi evidente della domanda, le cui ragioni sono molteplici e spesso esterne al settore. Da un lato, la preoccupazione dei consumatori circa l’oscillazione continua del prezzo dei carburanti alla pompa, dall’altro l’ancor più incontrollabile oscillazione del prezzo delle materie prime (metalli ferrosi e non) e, su tutto, una crisi di liquidità che ha investito i maggiori gruppi bancari e ha “congelato” gli investimenti a lungo termine, creando una sorta di allucinata sospensione della domanda e dell’offerta. Ciliegina sulla torta: le continue iniziative che i vari Governi dell’Occidente tentano di mettere in campo per ricondurre il problema mobilità ad una dimensione più sostenibile con il mantenimento dei servizi e la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. Ma il problema fondamentale continua ad essere uno solo: pochi soldi in tasca e la prospettiva di un finanziamento, anche a breve, per il cambio dell’auto non sembra molto allettante per i consumatori finali. Dalle pagine del quotidiano “La Repubblica”, Gianni Filipponi, presidente UNRAE (l’Associazione che rappresenta le Case Produttrici estere in Italia), afferma sconsolato che: “la tendenza del mercato ha iniziato ad essere fortemente negativa da giugno – e proseguendo – da gennaio a maggio, le vendite potevano far prevedere una chiusura dell’anno intorno alle 2.250.000 auto vendute. Da luglio in poi il tendenziale delle vendite è sceso a 2 milioni. Questo significa che probabilmente il 2008 si concluderà con poco meno di 2,2 milioni di auto vendute, perché i primi sei mesi dell’anno pesano in genere per il 60% sul totale dei 12 mesi”. “Se l’attuale livello di vendite proseguirà anche dopo dicembre – conclude Filipponi – il 2009 potrebbe chiudersi intorno ai 2 milioni di auto”. Andando a guardare il trend del mercato degli ultimi anni, ci si accorge di un percorso al ribasso; dai 2 milioni e mezzo del 2007, ai 2,2 di quest’anno, sino alle 500.000 unità in meno previste per un 2009 che si apre sotto i peggiori auspici. E se “Sparta piange, Atene non ride” di sicuro. Già in un Comunicato Stampa di novembre che faceva riferimento ai dati di ottobre, l’ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica) esprimeva la sua preoccupazione circa il proseguire del calo del mercato automobilistico europeo. “I dati diffusi oggi (ndr: 14 novembre) da ACEA, mostrano, per l’Europa Occidentale (EU15 + EFTA) una flessione del 15,5% rispetto a ottobre 2007, per un totale di poco meno di 1.035.000 unità. Nell’area allargata (25 EU + 3 EFTA), la variazione negativa registrata è del 14,5% nel mese, con circa 1.134.000 unità immatricolate”.
La debolezza della domanda di autovetture, secondo l’Associazione delle Case Produttrici italiane è da ricercarsi nel più ampio contesto di un forte rallentamento nella domanda di beni durevoli, in buona parte dovuto: “ad una maggiore selettività nella concessione del credito al consumo, elemento chiave per il mercato dell’auto… A ciò si accompagna un livello di fiducia dei consumatori che, a causa della crisi abbattutasi sull’economia reale, rimane decisamente basso”. E con il procedere dell’anno la situazione non è andata certo migliorando, al punto che, sempre l’ANFIA, ha ritenuto comunicare, il 1° dicembre, che: “continuano a farsi sentire sulla domande le conseguenze negative della crisi economica in atto. Con poco più di 138.000 immatricolazioni, il mercato italiano dell’auto riporta, in novembre, una pesante flessione: 29,5% in meno rispetto allo scorso anno. I volumi realizzati da inizio anno ammontano a quasi 2.018.600 unità con una contrazione del 13,4% sul risultato dei primi 11 mesi del 2007”. Piccola consolazione, nel mare di lacrime, il fatto che le marche italiane, con poco più di 43.500 immatricolazioni nel mese di novembre, migliorano leggermente la loro quota di mercato, conquistando 0,5 punti percentuali rispetto allo stesso mese del 2007. Poca cosa, forse, ma niente non è. Tanto più che, l’importanza del buon andamento del mercato automobilistico, quale indice importante dello sviluppo economico di un Paese, ha spinto, negli ultimi mesi, vari Governi europei ad annunciare sospirati provvedimenti a favore del rilancio del mercato. Si va dalla sospensione della tassa automobilistica per due anni per chi acquista un’auto ecologica Euro 5 o Euro 6, in Germania, alla riduzione dell’IVA sull’auto, ipotizzata in Gran Bretagna e in Francia. In quest’ultimo Paese sono previsti ulteriori interventi a sostegno dell’indotto. Peccato che, proprio in Italia, si registri un approccio diverso: dopo anni di incentivazione alla rottamazione, dei cui effetti abbiamo più volte trattato sulle pagine del Notiziario, quest’anno il Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, abbia gelato gli animi dichiarando che: “Il Governo non sta lavorando ad alcun provvedimento per prorogare gli incentivi alla rottamazione, non c’è una proposta autonoma del Governo italiano e gli interventi per il settore saranno valutati nel quadro europeo”. Vero è che sino alla fine dell’anno è tutto possibile e che se da un lato i Governi europei dovranno preoccuparsi di un settore industriale che dà lavoro a centinaia di migliaia di individui, dall’altra, potrebbero sfruttare l’occasione per incentivare quelle forme di sostegno che privilegino scelte sostenibili da parte delle Case produttrici. Infatti, già il Parlamento Europeo ha approvato una direttiva che impone ad Enti pubblici e privati di tener conto dei
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m ITALIA - IMMATRICOLAZIONI AUTOVETTURE
IMMATRICOLAZIONI AUTOVETTURE ITALIA 2008 Dati provvisori NOVEMBRE MARCA/MAKE FIAT ALFA ROMEO LANCIA FERRARI MASERATI LAMBORGHINI ALTRE NAZIONALI TOT. MARCHE NAZ. AUDI BMW CHEVROLET CHRYSLER/JEEP/DODGE CITROEN DAIHATSU FORD HONDA HYUNDAI KIA LAND ROVER MAZDA MERCEDES MINI MITSUBISHI NISSAN OPEL PEUGEOT RENAULT SEAT SKODA SMART SUZUKI TOYOTA/LEXUS VOLKSWAGEN VOLVO ALTRE TOT.MARCHE EST.
2008 33.893 3.632 5.752 37 37 10 211 43.572 4.957 4.322 2.991 914 8.501 1.135 11.939 1.045 933 1.486 599 1.091 4.754 1.062 721 3.559 9.624 4.044 5.344 1.490 877 2.383 2.145 6.271 8.918 1.061 2.614 94.780
TOT.MERCATO
138.352
NOVEMBER % 2007 24,50 47.643 2,63 5.286 4,16 7.670 0,03 41 0,03 69 0,01 10 0,15 -31,5 60.719 3,58 4.259 3,12 7.155 2,16 4.065 0,66 1.470 6,14 9.846 0,82 1.258 8,63 15.479 0,76 1.902 0,67 2.758 1,07 1.958 0,43 1.027 0,79 1.547 3,44 6.361 0,77 1.792 0,52 1.022 2,57 4.028 6,96 12.986 2,92 8.183 3,86 10.400 1,08 2.692 0,63 1.372 1,72 3.193 1,55 2.830 4,53 11.777 6,45 12.020 0,77 1.771 1,89 2.255 68,51 135.406 100,00
196.125
VAR. %
GENNAIO/NOVEMBRE
VAR. %
31,0 2,17 3,65 2,07 0,75 5,02 0,64 7,89 0,97 1,41 1,00 0,52 0,79 3,24 0,91 0,52 2,05 6,62 4,17 5,30 1,37 0,70 1,63 1,44 6,00 6,13 0,90 1,15 69,04
% CHG. 08/07 -28,86 -31,29 -25,01 -9,76 -46,38 0,00 -28,24 16,39 -39,59 -26,42 -37,82 -13,66 -9,78 -22,87 -45,06 -66,17 -24,11 -41,67 -29,48 -25,26 -40,74 -29,45 -11,64 -25,89 -50,58 -48,62 -44,65 -36,08 -25,37 -24,20 -46,75 -25,81 -40,09 15,92 -30,00
2008 507.633 49.445 87.418 627 772 200 1.849 647.944 57.394 63.317 42.644 17.186 108.933 14.439 159.187 17.795 19.565 19.154 11.336 17.264 67.119 17.204 10.062 45.586 130.399 87.127 90.668 23.851 16.887 31.824 30.928 98.788 128.142 15.571 28.273 1.370.643
JANUARY/NOVEMBER % 2007 25,15 562.507 2,45 68.683 4,33 98.350 0,03 600 0,04 608 0,01 185 0,09 12 32,10 730.945 2,84 57.534 3,14 73.377 2,11 42.130 0,85 19.828 5,40 124.702 0,72 15.407 7,89 189.287 0,88 24.939 0,97 30.257 0,95 28.550 0,56 13.773 0,86 15.370 3,33 79.372 0,85 19.220 0,50 12.602 2,26 39.110 6,46 167.876 4,32 108.236 4,49 112.466 1,18 28.640 0,84 15.539 1,58 28.800 1,53 34.615 4,89 128.240 6,35 144.037 0,77 18.917 1,40 27.114 67,90 1.599.938
% 24,13 2,95 4,22 0,03 0,03 0,01 0,00 31,36 2,47 3,15 1,81 0,85 5,35 0,66 8,12 1,07 1,30 1,22 0,59 0,66 3,41 0,82 0,54 1,68 7,20 4,64 4,83 1,23 0,67 1,24 1,49 5,50 6,18 0,81 1,16 68,64
% CHG. 08/07 -9,76 -28,01 -11,12 4,50 26,97 8,11 -11,36 -0,24 -13,71 1,22 -13,32 -12,65 -6,28 -15,90 -28,65 -35,34 -32,91 -17,69 12,32 -15,44 -10,49 -20,16 16,56 -22,32 -19,50 -19,38 -16,72 8,67 10,50 -10,65 -22,97 -11,04 -17,69 4,27 -14,33
100,00
-29,46
2.018.587
100,00
-13,40
% 24,29 2,70 3,91 0,02 0,04 0,01
100,00
2.330.883
Elaborazioni ANFIA su dati del Ministero dei Trasporti/Prepared by Anfia from the data of Ministry of Transports I dati rappresentano le risultanze dell'archivio nazionale dei veicoli al 30/11/08
criteri ambientali nell’aggiudicazione degli appalti per i Si consideri, infatti, che ogni anno, gli enti Pubblici dell’EU mezzi usati per il trasporto su strada. acquistano, tramite apposite gare d’appalto, 110.000 L’iniziativa parlamentare rientra nel contesto del Green autovetture, 110.000 veicoli utilitari leggeri, 35.000 camion Pubblic Procurement (GPP) e dovrebbe favorire e 17.000 autobus. l’introduzione di veicoli a basso consumo e a contenuto Qualora, con le nuove norme, dovessero essere privilegiati impatto ambientale, incoraggiando, nel contempo, l’industria acquisti di veicoli più ecologici, non solo l’industria Associazione Nazionale Filiera gli Industria Automobilistica del settore ad investire e a sviluppare ulteriormente mezzi produttrice ne beneficerà, ma anche l’ambiente nel suo di trasporto che rispondano a queste caratteristiche. insieme.
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E ancora, si legge in una notizia riportata sul portale “Ambiente.it” in data 3 novembre ammonterebbe a 40 miliardi di Euro a tasso agevolato, stanziati dalla Banca Europea per gli Investimenti, il fondo proposto dal Commissario Europeo per le Imprese, Güenter Verheugen e dal Presidente ACEA, Christian Streiff durante la conferenza stampa finale della riunione del Cars 21 (Competitive Automotive Regulatory System for the 21st Century), l’organizzazione creata dalla Commissione Europea per favorire processi di gestione ambientale nel comparto automobilistico, pur nell’ottica della necessaria competitività delle imprese. E oltre Oceano cosa succede?
La crisi del settore automobilistico, in America, già da diversi mesi aveva assunto proporzioni senza precedenti, al punto che, contro la diffusa opinione repubblicana, il candidato dei democratici alla Casa Bianca, successivamente eletto, 44° Presidente degli Stati uniti d’America, Barak Obama, già in campagna elettorale, scandalizzando parte del Congresso, aveva annunciato, qualora la sua elezione fosse arrivata a buon fine, una serie di provvedimenti a favore dei colossi General Motors, Chrysler, e Ford. Ebbene, a poche settimane dall’avvenuta elezione, ecco la stampa internazionale sbandierare il successo di un Piano di salvataggio del settore: 15 miliardi di dollari (da restituire a tempo debito) contro l’impegno ad una ristrutturazione
ITALIA - IMMATRICOLAZIONI AUTOVETTURE - Top ten
IMMATRICOLAZIONI AUTOVETTURE ITALIA 2008 - Top Ten Dati provvisori BENZINA+DIESEL - PETROL+DIESEL N. MARCA 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
MODELLO
NOVEMBRE 2008
Make
Model
NOVEMBER 2008
FIAT FIAT FORD FIAT CITROEN VOLKSWAGEN OPEL TOYOTA LANCIA NISSAN
PANDA PUNTO FIESTA 500 C3 GOLF CORSA YARIS YPSILON QASHQAI
N. MARCA
10.982 10.195 6.339 5.194 3.912 3.670 3.333 2.920 2.881 2.717
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
MODELLO
Make
Model
FIAT FIAT FIAT FORD LANCIA TOYOTA OPEL VOLKSWAGEN CITROEN FIAT
PUNTO PANDA 500 FIESTA YPSILON YARIS CORSA GOLF C3 BRAVO
GENNAIO/NOVEMBRE 2008
JANUARY/NOVEMBER 2008 147.324 137.367 88.924 74.675 51.716 49.946 47.427 44.932 44.616 40.952
DIESEL N. MARCA 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
MODELLO
Make
Model
FIAT FORD VOLKSWAGEN AUDI NISSAN OPEL FIAT FORD OPEL FIAT
PUNTO FIESTA GOLF A4 QASHQAI CORSA PANDA FOCUS ASTRA BRAVO
NOVEMBRE 2008
NOVEMBER 2008
3.499 3.056 2.041 2.029 1.889 1.837 1.803 1.740 1.446 1.395
N. MARCA 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
MODELLO
Make
Model
FIAT FORD FIAT FORD VOLKSWAGEN FIAT OPEL OPEL PEUGEOT AUDI
PUNTO FIESTA BRAVO FOCUS GOLF 500 CORSA ASTRA 207 A4
GENNAIO/NOVEMBRE 2008
JANUARY/NOVEMBER 2008
63.896 42.912 34.137 33.344 26.664 24.141 22.345 21.292 20.722 20.627
Elaborazioni ANFIA/Unrae su dati del Ministero dei Trasporti presenti in archivio al 30/11//2008 (Aut. Min. D07161/H4)
Prepared by ANFIA/Unrae from the databases of Ministry of Transports as of November 30, 2008
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Dati statistici relativi alle consegne di autoveicoli commerciali fino a 3,5 t. di PTT, a clienti in Italia; periodo novembre e primi 11 mesi 2008.
NOVEMBRE MARCA/MAKE FIAT LCV IVECO PIAGGIO ALTRE TOT. MARCHE NAZ. CITROEN DAIHATSU FORD HYUNDAI ISUZU KIA LAND ROVER MAHINDRA MAZDA MERCEDES MITSUBISHI NISSAN OPEL PEUGEOT RENAULT RENAULT TRUCKS SKODA SSANGYONG TATA TOYOTA VOLKSWAGEN TOT. MARCHE IMP. TOTALE MERCATO
2008 7.354 1.348 451 9.153 1.088 17 1.047 25 161 0 52 44 24 763 180 704 602 907 811 100 13 3 99 126 738 7.504 16.657
NOVEMBER % 2007 44,1 10.585 8,1 2.313 2,7 395 32 54,9 13.325 6,5 1.223 0,1 27 6,3 2.297 0,2 32 1,0 262 0,0 3 0,3 63 0,3 42 0,1 46 4,6 1.077 1,1 336 4,2 979 3,6 895 5,4 1.224 4,9 1.437 0,6 113 0,1 0 0,0 24 0,6 109 0,8 180 4,4 746 45,1 11.115 100,0 24.440
% 43,3 9,5 1,6 0,1 54,5 5,0 0,1 9,4 0,1 1,1 0,0 0,3 0,2 0,2 4,4 1,4 4,0 3,7 5,0 5,9 0,5 0,0 0,1 0,4 0,7 3,1 45,5 100,0
VAR.%
GENNAIO/NOVEMBRE
VAR.%
% CHG. 08/07 -30,5 -41,7 14,2 -31,3 -11,0 -37,0 -54,4 -21,9 -38,5 -17,5 4,8 -47,8 -29,2 -46,4 -28,1 -32,7 -25,9 -43,6 -11,5 -87,5 -9,2 -30,0 -1,1 -32,5 -31,8
JANUARY/NOVEMBER % 2007 43,3 96.424 8,3 20.608 2,2 4.119 342 53,8 121.493 5,7 10.858 0,1 192 8,0 20.815 0,2 392 0,9 2.866 0,0 47 0,2 334 0,3 481 0,2 417 4,6 11.230 1,4 4.563 3,6 9.065 3,8 8.388 5,0 9.760 5,6 14.030 1,2 2.339 0,1 17 0,1 230 0,6 973 0,6 1.569 4,1 7.254 46,2 105.820 100,0 227.313
% CHG. 08/07 -5,1 -14,7 13,0 -6,4 10,3 -21,9 -18,4 22,7 -34,9 12,9 39,7 -19,4 -12,6 -37,2 -15,5 -3,4 7,7 -15,0 7,7 -53,0 19,8 -17,1 18,4 -7,8 -7,0
2008 91.522 17.584 4.654 113.760 11.972 150 16.984 481 1.866 0 377 672 336 9.814 2.865 7.663 8.100 10.511 11.931 2.518 132 108 1.166 1.301 8.592 97.539 211.299
% 42,4 9,1 1,8 0,2 53,4 4,8 0,1 9,2 0,2 1,3 0,0 0,1 0,2 0,2 4,9 2,0 4,0 3,7 4,3 6,2 1,0 0,0 0,1 0,4 0,7 3,2 46,6 100,0
Fonte: ANFIA IL PRESENTE COMUNICATO E' LEGGIBILE AL SEGUENTE INDIRIZZO INTERNET: WWW.ANFIA.IT
aziendale che non ha eguali nella storia dell’impresa (tra l’altro, la ristrutturazione avrebbe dovuto essere garantita da un super-Commissario di nomina governativa e, fra la condizioni sine qua non per accedere agli incentivi, le Case si erano prese l’impegno di rinunciare a sporgere denuncia contro eventuali leggi statali a contenimento delle emissioni in atmosfera). Tuttavia l’imperfetto è d’obbligo, dal momento che, l’euforia per l’ok dato dalla Camera, già il giorno successivo è stata smorzata dal “niet” del Senato, rimasto ostaggio di un gruppo di irriducibili repubblicani contrari all’idea degli “aiuti di Stato”. Il dibattito è tutt’ora in corso, ma come ha ammesso Harry Reid, leader della maggioranza democratica nel presentare
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le possibilità di soluzione del problema: “potremmo passare tutta la notte, venerdì sabato e domenica e non ci riusciremmo”. Intanto le conseguenze della debacle al Senato americano non hanno atteso a produrre effetti negativi sulle Borse del mondo e sulle quotazioni dei titoli azionari delle principali Case automobilistiche. Sull’orlo del baratro General Motors, ad un passo dall’avvio della procedura di amministrazione controllata, mentre legali ed esperti ipotizzano lo spettro della bancarotta. A questo punto non resta che osservare attentamente quello che sta accadendo, sperando che una sferzata di fiducia nei consumatori sia stimolata con l’avvio del nuovo anno.
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