R&A n. 6 Giugno 2008

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Free Service Edizioni

n°6 Giugno 2008 Anno IX

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GIUGNO

2008

Anno IX

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ciano magenta giallo nero


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In copertina: Un’immagine satellitare del ciclone Nargis (fonte: earthobservatory/nasa)

n°6 Giugno 2008 anno IX

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CAMBIAMENTI CLIMATICI

Il passaggio di Nargis ha sconvolto l’ambiente del Myanmar Riscaldamento globale e uragani A pagare sono sempre i più deboli

12 Allarme a Bougainville per la sommersione delle Isole Carteret L’inevitabile esodo dei rifugiati climatici

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MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

SOLAREXPO & GREENBUILDING Connubio di successo Conclusa con numeri record la Manifestazione alla Fiera di Verona a cura di Vinicio Ruggiero

18 Conclusa a Ferrara ACCADUEO 2008 Si conferma evento di riferimento per le teconologie di trattamento e distribuzione dell’acqua a cura di Stefano Agostinelli


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Chiusa a Firenze con 94.000 visitatori Terra Futura 2008 Ripartire dalle ALLEANZE per salvare il Pianeta Terra e per costruire un futuro equo e sostenibile a cura di Fabio Bastianelli

24 Risvegliare le coscienze e la mobilitazione collettiva Inaugurato l’anno internazionale del Pianeta Terra Il Presidente Giorgio Napolitano ha ospitato la Manifestazione ai Giardini del Quirinale di Micaela Conterio

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INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO

Emissioni grandi impianti: Rapporti confermano che si poteva fare di più I costi per tagliarle inferiori ai vantaggi economici per lo stato di salute dei cittadini Ma in Italia c’è preoccupazione per la competitività delle imprese

Allarme per i polmoni verdi del pianeta Grandi foreste in via di estinzione di Cristina Pacciani

32 Assegnati i riconoscimenti della FEE e di Legambiente Tra “Bandiere Blu” e “Vele” La Commissione UE ha presentato la Relazione sulle acque di balenazione in Europa

36 CNR - Dipartimento Terra e Ambiente “Le scienze della terra per la società” Informare su conseguenze e benefici che derivano dalle scelte politiche



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BIODIVERSITÀ E CONSERVAZIONE

Conclusa la Conferenza COP9 della Convenzione della Biodiversità Una natura - una terra - il nostro futuro Non ancora sciolti definitivamente i nodi delle risorse genetiche e dei biocarburanti

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a cura della segreteria del Coordinamento Agende 21 Locali Italiane

ENERGIE ALTERNATIVE E RINNOVABILI

Alghe: l’ultima frontiera dei biocarburanti di 2a generazione Intervista ai proff. Mario Giordano e Fabio Polonara, docenti dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona di Donatella Mancini

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€CO-FINANZIAMENTI

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I QUESITI DEL LETTORE

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AGENDA - Eventi e Fiere

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NEWSLETTER 31

AGENDA 21

Agenda 21 Locale nei Paesi baschi

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SERVIZI AMBIENTALI

Presentato il Dossier “Pesticidi nel piatto 2008” Frutta con più residui della verdura Sempre acceso il dibattito sull’uso dei fitofarmaci

Associazione Nazionale Coordinamento Agende 21 Locali Italiane a cura di Antonio Kaulard

AMBIENTE MARCHE NEWS


CAMBIAMENTI CLIMATICI

Il passaggio di Nargis ha sconvolto l’ambiente del Myanmar

RISCALDAMENTO GLOBALE E URAGANI A pagare sono sempre i più deboli Gabriel A. Vecchi del Geophysical Fluid Dynamics Laboratory dell’Agenzia statunitense sulle condizioni degli Oceani e dell’atmosfera (NOAA) di Princeton (New Jersey), ha dichiarato che “il riscaldamento vicino allo svolgimento della tempesta aumenta l’intensità potenziale degli uragani, mentre il riscaldamento globale lontano dallo svolgimento della tempesta fa diminuire l’intensità potenziale”. “Anche se questi risultati sembrano sfidare alcune opinioni correnti relative al legame tra i cambiamenti climatici e l’attività degli uragani - ha concluso l’altro autore Brian J. Soden della Rosenstiel School of Marine and Atmospheric Science dell’Università di Miami (Florida) - non contraddicono comunque il consenso scientifico sulla realtà del cambiamento climatico”. Nel maggio scorso è stato pubblicato online su Nature Geoscience un altro studio di un gruppo di scienziati della NOAA, tra cui lo stesso Vecchi, che ha condotto con modelli di simulazione la relazione tra la temperatura della superficie dell’Oceano atlantico e l’intensità degli uragani, nello spazio temporale compreso tra il 1980 e il 2006 (Thomas R. Knutson, Joseph J. Sirentis, T. Garner, Gabriel A. Vecchi & Isaac M. Held, “Simulated reduction in Atlantic hurricane frequency under twenty-first-century warming conditions”, Nature Geoscience 1, 359-364, 2008 pubished online 18 may 2008). L’indagine ha evidenziato che il crescente riscaldamento globale determinato dalle emissioni di gas ad effetto serra, avrà un effetto limitato sul numero delle tempeste tropicali e degli uragani, ma determinerà nel complesso la loro intensità. “Lo studio - ha dichiarato Knutson, meteorologo e principale autore - dà maggior sostegno al Quarto Rapporto dell’IPCC che aveva definito probabile che l’aumento delle temperature possa far diventare più intensi gli uragani” (n.d.r.: per un’analisi sintetica del Rapporto di sintesi dell’IPCC, presentato a conclusione della XXVII sessione Plenaria di Valencia, dal 12 al 17 novembre 2007, si veda “Non c’è più tempo per le esitazioni”, in Regioni&Ambiente, n. 12 dicembre 2007, pag. 8 e segg.).

Quale rapporto sussiste tra l’intensità degli uragani e il riscaldamento globale in atto? È questa una delle questioni che più interessa oceanografici e meteorologici e su cui la comunità scientifica non ha raggiunto concordia di opinioni. Tra gli studi più recenti sull’argomento, nel dicembre 2007, la prestigiosa rivista Nature ha pubblicato il contributo di due esperti di dinamhPa ica atmosferica e oceanografica, i quali attraverso un modello di proiezioni sulla base delle osservazioni del passato hanno concluso che i cambiamenti climatici naturali possono intensificare gli uragani con maggior efficacia del riscaldamento globale, relativamente all’area dell’Oceano Atlantico settentrionale, oggetto dello studio (“Effect of Remote Sea Surface Temperature Change on Tropical Cyclone Potential Intensity”, n. 450, pagg. 1066-1070, 13 dicembre 2007).

Senza voler instaurare uno stretto rapporto di causa ed effetto, non c’è dubbio che i cicloni (uragani per le Americhe, tifoni per l’Asia) degli ultimi anni stanno provocando disastri sempre più pesanti sia dal punto di vista economicosociale che ambientale, con ondate che si scaricano sulla terra invadendo territori per decine di chilometri. Di recente il CNR-ISMAR (Istituto di Scienze Marine) ha dato notizia che tramite modelli di rilevazione del moto ondoso a scala mondiale, per i quali il CNR è uno degli enti di riferimento, nel corso del tifone Krosa che si è abbattuto sulle coste di Taiwan il 6 ottobre 2007, si è registrata l’onda record di m. 32,3, quando il precedente record era di m. 27,9 (n.d.r.:

L’immagine satellitare evidenzia l’ampiezza del ciclone Nargis (fonte: earthobservatory/nasa)

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in occasione dello Tsunami del dicembre 2004 che colpì l’Asia sud-orientale provocando complessivamente 230.000 morti, vuol dire allora che i danni a cose e persone sono veramente immani. In occasione della visita del 28 maggio 2008 da parte del Segretario dell’ONU Ban Ki-Moon, le cifre ufficiali parlavano di 2,4 milioni di senza tetto e 134.000 tra morti e dispersi. La visita del Segretario ONU è avvenuta dopo un vero e proprio braccio di ferro tra la comunità internazionale e il regime birmano che impediva l’accesso agli aiuti umanitari e l’offerta di soccorso di molti altri Paesi. Nonostante le autorità locali fossero del tutto incapaci a gestire la situazione che rischiava di trasformarsi in un vero e proprio genocidio, di fronte ai morti che imputridivano nel fango, alla mancanza di acqua potabile, i militari al potere hanno continuato imperterriti a sollecitare il sì al referendum indetto sulla nuova costituzione elaborata, senza che in alcun modo sia stato possibile per l’opposizione partecipare alla sua redazione.

si rammenta che l’altezza dell’onda è data dal dislivello che si forma tra il punto più alto della cresta e il più basso del ventre); mentre in Atlantico il record è stato registrato sulle coste occidentali dell’Islanda, quando nella notte tra l’8 e il 9 dicembre 2007 una violenta tempesta ha spinto le onde fino a 18,3 m. di altezza significativa (il precedente era di 17,9 m.). Il ciclone Nargis che ha colpito il 2 maggio il Myanmar (ex Birmania), il primo della stagione 2008 nell’Oceano Indiano, è stato un evento che ha colpito enormemente per la sua forza distruttiva e per l’ampiezza (193 km/h di velocità e 240 km di circonferenza). Oltre a devastare le regioni del delta del fiume Irrawaddy è proseguito verso Est, causando gravi danni fino a Yangon (Rangoon), ex capitale e maggiore città del Paese. Se le autorità del Myanmar, dove vige una dura repressione di ogni dissenso politico da parte della dittatura militare al potere, hanno lasciato che fossero diffuse immagini e cifre della catastrofe, evento che non era accaduto neppure

Le conseguenze della devastazione causata dal ciclone Nargis, sia sotto il profilo ambientale che umano, non è ancora stimabile come mostara questa immagine colta una settimana dopo il suo passaggio (fonte: UK Department for International Development - DFID)

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Ancora più gravi sono le responsabilità del Governo locale per aver ignorato gli avvertimenti che il Dipartimento Meteorologico Indiano, Centro specializzato che fa parte della rete dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, avrebbe rilasciato, fin dal 26 aprile, tramite bollettini di allerta per un ciclone in attraversamento tra il 1° e il 7 maggio lungo la costa sud occidentale del Myanmar alla velocità di 180 km/h. Secondo quanto riportato il 2 maggio dall’Agenzia ENN (Environmental News Network), c’era stato in precedenza nel gennaio 2008, un Rapporto della FAO che metteva in guardia circa i pericoli derivanti dalla perdita delle mangrovie che costituiscono lungo la fascia costiera asiatica delle barriere naturali per ridurre la forza dei venti e limitare i danni provocati dalle tempeste e dalle onde di mare. In particolare, il Rapporto ha preso in esame la perdita delle mangrovie in Asia tra il 1980 e il 2005, valutata in 1,9 milioni di ettari all’anno, sottolineando che la regione del delta dell’Irrawaddy mostrava un degrado “eccessivo” determinato dalla politica del Governo di Myanmar di voler garantire autosufficienza alimentare, riconvertendo quei terreni in campi di riso. Se le notizie sul numero probabile di morti fossero validate dai dati ufficiali, il ciclone che ha investito il Myanmar sarebbe stato ancora più disastroso di quello che aveva colpito nell’aprile 1991 le coste del confinante Bangladesh, causando 138.000 morti. Peraltro, proprio nel Bangladesh c’è stato in novembre l’ultimo dei cicloni 2007 dell’Oceano Indiano settentrionale, con venti della velocità di 240 km/h ed onde che hanno spazzato via tutto ciò che trovavano sulla loro strada per decine di chilometri, causando un numero imprecisato di vittime (la Mezzaluna rossa ha parlato di circa 10.000 morti, ma ci sono località che a tutt’oggi non sono state ancora raggiunte da soccorsi) e di oltre 3 milioni di senza tetto che qualcuno considera “rifugiati climatici” in quanto la loro condizione sarebbe causata da eventi naturali che sarebbero enfatizzati da fenomeni innaturali indotti dal malgoverno, dalla corruzione e dall’ingiustizia sociale, oltre che dall’innalzamento del livello dei mari causato dal riscaldamento globale che rischia di sommergere queste regioni, di cui sarebbero responsabili soprattutto i Paesi sviluppati. Se poi è vero che nel Mediterraneo non possono formarsi i cicloni, ma vortici con intensità e velocità di gran lunga inferiori detti “Medicanes” (parola composta da Mediterranean hurricanes), tuttavia il 26 novembre 2006 è stato documentato il passaggio di un piccolo ciclone che ha interessato la Puglia, con velocità compresa tra i 145 km/h dall’aeroporto militare di Galatina (Lecce) e i 180 km/h delle misure amatoriali, sempre effettuate nella penisola Salentina. Tant’è che il CNR-ISAC (Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima) ha messo a punto dei modelli previsionali e di simulazione per poter indagare e valutare questi fenomeni.

Nel caso sopracitato, secondo l’Almanacco della Scienza, il quindicinale online a cura dell’Ufficio stampa del CNR (n. 5 del 14-27 maggio 2008), è stato possibile ricostruire l’intero ciclo di vita del Medicane che “formatosi sottovento nella catena dell’Atlante [nel Maghreb] due giorni prima di arrivare in Puglia, si è via via rafforzato, transitando lungo il Canale di Sicilia e successivamente sullo Jonio, con temperature superficiali attorno ai 24 °C. Il calore latente rilasciato dai processi di condensazione consente al sistema

Le 2 immagini satellitari mostrano un quartiere di Yangon (Myanmar), dopo il passaggio del ciclone Nargis e come si presentava qualche mese prima. Come si può constatare, molte aree abitate della città, dopo alcuni giorni, sono ancora occupate dall’acqua (fonte: earthobservatory/nasa)

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di autoalimentarsi: è in questa fase che esso ha iniziato a manifestare le caratteristiche tipiche dei cicloni tropicali, sebbene meno intense con un minimo di 990 hPa [l’ettopascal corrisponde ad una pressione di 1 millibar]. Nelle ore successive il sistema ha raggiunto la penisola Salentina e l’Adriatico”. Anche le coste mediterranee, secondo il Rapporto dell’IPCC, potrebbero subire l’innalzamento del livello del mare; a rischiare di più sarebbero Spagna, Grecia e Italia che non sembra troppo preoccupata se, nonostante i Rapporti dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, continua a cementificare le coste, dove peraltro è già elevato l’insediamento umano. Che senso ha dichiarare l’Anno Internazionale del Pianeta, dal tema “Scienze della Terra per la Società”, “riconoscendone il ruolo significativo nella promozione dell’utilizzo sostenibile delle risorse del Pianeta” quando i decisori politici non sono “disponibili ad utilizzare le numerose conoscenze relative al Pianeta terra”, come viceversa sono stati esortati a fare? (Dichiarazione di Parigi, 12-13 febbraio 2008, “Fa’ della terra un posto migliore per l’umanità”). Nel suo piccolo ambito di azione, Regioni&Ambiente ha deciso di cogliere questa sollecitazione, dando informa-

zioni “per aumentare il grado di consapevolezza da parte dell’opinione pubblica sulle vulnerabilità e potenzialità degli elementi costitutivi del Pianeta”, come riportato nella dichiarazione sopracitata. Proprio questo numero contiene tutte le sintesi delle relazioni che il Dipartimento Terra e Ambiente del CNR ha presentato in occasione della Conferenza “Le Scienze della terra per la società”, svoltasi a Roma il 22 e 23 maggio 2008 (n.d.r.: pag.36 e segg.). L’immagine del ciclone che abbiamo volutamente enfatizzato, proponendola per la copertina, diventa così l’“icona” delle grandi sfide che attendono l’umanità del XXI secolo e che aumentano continuamente. Il secolo si era annunciato all’insegna dei cambiamenti climatici è poi proseguito con l’allarme per il picco e il prezzo del petrolio e, a rimorchio, con la crisi alimentare, quindi, con quella che, sembrando una semplice turbolenza causata dai mutui sub-prime statunitensi si sta viceversa rivelando una tempesta, con il rischio di trasformarsi in uragano, sui mercati finanziari internazionali. A ben riflettere, si tratta di un’unica grande sfida che nessuno al momento sembra voler accettare: cambiare il modello di sviluppo!

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ALLARME A BOUGAINVILLE PER LA SOMMERSIONE DELLE ISOLE CARTERET L’inevitabile esodo dei rifugiati climatici

Crediamo che la maggior parte dei lettori associ la parola Bougainville, alle omonime piante arbustive che adornano ville e balconi delle nostre regioni centro-meridionali. Si tratta, appunto, di piante a grande sviluppo (8-10 m) dalle foglie ovate, verdi lucenti quasi persistenti, e dalle vistose brattee multicolori, che proteggono i piccoli fiori riuniti a gruppi di tre: dal bianco al viola, dal rosa al rosso, all’arancione. La pianta, originaria del Brasile, fu rinvenuta nel 1767 dal naturalista Philibert Commerson che la chiamò Bougainvillea, in onore del capitano esploratore Louis Antoine de Bougainville che guidava la spedizione che da Brest (Francia) raggiunse prima le Malouines (Malvinas o Falkland) per restituirle agli Spagnoli, proseguendo, poi, attraverso lo Stretto di Magellano verso le isole dell’Oceano Pacifico alla ricerca di terre da colonizzare. Vennero toccati dalla fregata “La Boudese” e dalla nave appoggio “Etoile”, Tahiti e molti altri arcipelaghi, tra cui quello delle Salomone, la cui isola principale porta il nome del protetto di Madame de Pompadour, Bougainville, primo occidentale a scoprirla. La circumnavigazione si concluse con il rientro in Francia, a Saint-Malo nel marzo 1769. Amareggiato per aver saputo di non aver scoperto per primo Tahiti (l’inglese Samuel Wallis vi aveva messo piede qualche mese prima), Bougainville subì anche critiche per non aver svolto rilievi di tipo scientifico e topografico come avrebbe fatto di lì a poco James Cook. A discolpa di Bougainville c’è da considerare che la sua permanenza sull’isola di soli 9 giorni fu determinata, anche, dalla necessità di salvaguardare Jeanne Daré dalle “attenzioni” degli indigeni che scoprirono le mentite spoglie sotto le quali si era celata, fino ad allora, la botanica che divenne, comunque, famosa per essere stata la prima donna a compiere una circumnavigazione. Bougainville scriverà il resoconto di questo viaggio, ricco di annotazioni personali in “Voyage autour du mon-

Bougainvillea spectabilis

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de” che desterà grande attenzione tra i filosofi illuministi del tempo, rivitalizzando il mito del “buon selvaggio” di rousseauniana memoria, tramite il “paradis perdu”, quale descritto in “Paul et Virginie” (1788) da Jacques-Henri Bernardin de Saint Pierre, e le “bon tahitien”, come verrà chiamato da Denis Diderot ne “Il supplemento al viaggio di Bougainville” (1798).

a sparare sulla popolazione. Contemporaneamente, le malattie virali portate dai navigatori e visitatori, dalle quali fino allora l’isolamento li aveva protetti, decimarono gli isolani. Cook nel 1773 stimò la popolazione di Tahiti in oltre 200.000 individui. Nel 1797 la London Missionary Society concluse che la presenza isolana era pari a 16.000 abitanti.

Immagine satellitare ripresa dal satellite NASA dell’Atollo Tulun o Isole Carteret. L’Atollo dal diametro di 16 Km, contiene 6 basse isole coralline (incluse Han, Iagain, Iesala, Iolasa e Piul) per una superficie totale di circa 0,6 Km2.

D’altra parte lo stesso Bougainville aveva denominato “nouvelle Cithère” le Samoa, riprendendo il toponimo dalla mitologia greca che aveva fatto nascere Venere dalle acque prospicienti l’isola del Peloponneso, Citera. Il mito proseguirà per tutto l’Ottocento, attirando su quelle isole scrittori, artisti e pensatori: da Pierre Loti a Robert Louis Stevenson; da Paul Gauguin a Victor Segalen. Quest’ultimo, solo tardivamente rivalutato, chiuderà il fenomeno dell’Esotismo con l’affermazione assai moderna che esso “è tutto ciò che è altro, significa aprirsi all’estraneità dell’altro e sentire se stessi, tra gli altri, rivestiti di un’estraneità inquietante” (Saggio sull’esotismo, 2001, Edizioni Scientifiche Italiane). Ma il “confronto” si rivelò presto “scontro”, poiché in tutti gli arcipelaghi scoppiarono molti incidenti tra isolani ed europei che non esitarono

Un successivo censimento missionario del 1829 ne conterà appena 8.568. Ora, alcuni di quei luoghi che hanno tanto affascinato gli europei, divenendo anche mete turistiche ricercate, stanno per trasformarsi in aree di sfollamento di rifugiati climatici sotto l’effetto del cambiamento climatico. Secondo quanto riportato da IRIN (Integrated Regional Information Network) - Agenzia dell’Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari i 1.500 abitanti delle Isole Carteret (Isole Kilinailau o Tulun), 86 km a Nord-Est di Bougainville, debbono essere evacuati a causa dell’ingressione marina. L’atollo di origine corallina ha un’altezza massima di 1,5 m sopra il livello del mare che negli ultimi 20 anni si è alzato di 10 cm, inondando le piantagioni di taro, di palme di cocco e banane, distruggendo gli orti e con-

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taminando di acqua salata le riserve di acqua dolce. “Al momento vivono con 5.000 kg di riso inviato dal Governo Autonomo di Bougainville - ha riferito a IRIN, Ursula Rakova, Amministratore Delegato di Tulele Peisa, una ONG locale che si batte per i diritti degli isolani - ma la razione non dura a lungo, perché molte famiglie hanno sei o più figli”. “I bambini stanno andando a scuola affamati - ha aggiunto l’esponente della ONG - Bambini e donne sono i più vulnerabili”. Il Governo Autonomo di Bougainville (BAG) è preoccupato della situazione, ma le opzioni non sono molte: “Stiamo facendo tutto il possibile, ma disponiamo di risorse limitate - ha dichiarato Thaeu Pais, Responsabile per gli atolli del BAG - Inoltre c’è il problema di acquisire i terreni per trasferire gli isolani”. Non è diversa la situazione delle Isole Morlock (Takuu), altro arcipelago che fa sempre parte di Bougainville e da cui dista 250 Km. Anche questo atollo di 13 isole è abitato da circa 600 persone che subiscono la stessa disavventura degli abitanti delle Carteret, ma dove la situazione è ancora più drammatica per il maggior isolamento a cui sono esposti, dal momento che l’unico mezzo di comunicazione è una nave che vi approda di tanto in tanto per i rifornimenti. Il Governo Autonomo di Bougainville non ha i mezzi economici per farvi fronte, stremato economicamente da una guerra civile sanguinosa che è iniziata con l’integrazione nel 1975 dell’arcipelago delle Salomone nella Papua-Nuova Guinea, quando questo paese divenne indipendente, e la contestuale proclamazione unilaterale della Repubblica delle Salomone Settentrionali con lo scopo di attuare la secessione da Papua-Nuova Guinea. La guerra, causata anche da problemi ambientali connessi all’intenso sfruttamento delle miniere di rame, ha provocato 20.000 morti, e solo nel 2000 è stato raggiunto un accordo che prevede la creazione di un governo autonomo a Bougainville e lo svolgimento di un referendum per l’indipendenza dell’isola dopo un periodo di autonomia. A creare difficoltà per il trasferimento degli abitanti di queste isole a Bougainville, c’è anche la caratteristica che gli isolotti fanno parte della Melanesia, ma la popolazione è polinesiana. Dopo un’epidemia che sterminò la


popolazione preesistente, gli isolotti furono acquistati nel 1896 per 4 assi e 4,5 kg di tabacco da “Queen” Emma Coe. Questa singolare figura di donna costituì un vero e proprio impero commerciale nel Pacifico, tanto che la sua vita avventurosa (era nata a Samoa da madre polinesiana e padre americano ed ebbe numerosi mariti ed amanti) ha ispirato un film “Emma: Queen of the South Seas” (1988) di John Banas e un romanzo “La reine des Boucaniers” (1989) di Christel Mouchard. Con la complicità dell’Impero tedesco che in quegli arcipelaghi aveva costituito un Protettorato, abbatté tutti gli alberi preesistenti, sostituendoli con

piantagioni di palme da cocco e importò i lavoratori dalle isole della Nuova Irlanda.

Paesi industrializzati debbono aiutare il mio popolo nel loro trasferimento sulla terra ferma”.

“Noi incoraggiamo Tulele Peisa di continuare a spingere la gente a trasferirsi altrove - ha detto ad IRIN il Responsabile sanitario delle Carteret, Juliana Samsi - perché temiamo che un’ondata più forte possa sommergerci”. “La gente vede con i propri occhi gli effetti dell’innalzamento del livello del mare - ha incalzato Ursula Rakova Gli atolli si stanno immergendo molto rapidamente”. “Gli isolani sono vittime del cambiamento climatico - ha poi aggiunto - I

Ormai la Convenzione ONU sui Rifugiati (1951), dovrà essere aggiornata per includere anche i rifugiati climatici, visto che l’Ufficio del Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) si aspetta che presto, oltre ad aiutare coloro “che a causa di un timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, è al di fuori del Paese della sua nazionalità...”, dovrà interessarsi sempre di più di quelli che

L’immagine mostra l’Isola di Han ripresa dall’Isola di Iolasa, che fanno parte dell’Atollo di Tulun. Han era un’unica isola ma ora, come si può constatare, è stata suddivisa dall’innalzamento del livello del mare. In primo piano, le palme da cocco abbattute sulla riva dimostrano l’erosione marina del tratto costiero.

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saranno costretti a muoversi a causa del riscaldamento globale e dei cambiamenti ambientali, che, secondo le previsioni delle ONG e del Gruppo scientifico dell’IPCCC, entro il 2050 potrebbero divenire 250 milioni. Oltre alle piccole isole del Pacifico (Vanuatu e Tuvalu), rischiano anche quelle dell’Oceano Indiano (Sunderbans) e del Mare dei Caraibi, tanto che 40 Paesi insulari si sono riuniti nella AOSIS (Alliance of Small Island States) per portare all’attenzione dell’ONU le loro drammatiche condizioni. Tutto questo avviene tra l’indifferenza o, nel miglior dei casi, sottovalutazione del problema da parte della comunità internazionale. In un articolo pubblicato da Repubblica, Giorgio Ruffolo ricordava che, nel corso della 1a Conferenza Mondiale sui Cambiamenti climatici (1990), dove si discuteva il 1° Rapporto dell’IPCCC, e della quale egli era Presidente, avendo l’Italia la Presidenza UE di turno, era in corso un’acceso dibattito sulla necessità

di limitare l’aumento delle temperature globali. Il Delegato dell’Arabia Saudita, per sminuire la portata delle conseguenze, dichiarò che al massimo l’innalzamento degli oceani avrebbe provocato, se e quando si fosse verificato, la sommersione di qualche isoletta del Pacifico. Un altro Delegato, intervenendo a sua volta, chiese al Presidente di comunicare all’Assemblea che una di quelle isolette era il Paese che egli stesso stava rappresentando in quella occasione. La storia sembra ripetersi: i Paesi sviluppati con le loro politiche determinano anche la storia socio-culturale delle popolazioni che non hanno alcuna responsabilità per i danni ambientali che si determinano a seguito di quelle scelte. Vengono in mente i versi del poeta e cineasta polinesiano Henri Hiro: “Se fossi venuto a casa mia avrei potuto accoglierti, ma sei venuto a casa tua... come posso accoglierti”.

Paul Gauguin, “Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?” (1897), olio su tela (cm 139x374,5), Boston, Museum of Fine Arts. L’importanza di questa opera, nel percorso artistico di Gauguin (il titolo è nella parte in alto a sinistra), era avvertita dallo stesso autore che sicuro di suicidarsi per l’aggravarsi delle malattie di cui soffriva e per l’accumulo dei debiti, volle descrivere nei minimi particolari il quadro che gli sembrava “superiore a tutte le opere precedenti, convinto che non potrò mai, non dico superarlo, ma neppure eguagliarlo”. Fonte. Bambino. La vita comune. Dietro un albero due figure sinistre, avvolte in vesti di colore triste osano meditare sul proprio destino mentre un’enorme figura, volutamente sproporzionata, leva il braccio e fissa stupita le altre due, quasi a contrapporsi con la gioia di vivere. La figura nel centro è colta nell’atto di staccare un frutto. Un idolo, le braccia alzate in un gesto ritmico e misterioso, pare additare l’aldilà. Una fanciulla distesa sembra ascoltare l’idolo. Una vecchia prossima a morire sembra accettare tutto immersa nei propri pensieri. Ai suoi piedi, uno strano uccello bianco... simboleggia l’inutilità delle parole.

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MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

SOLAREXPO & GREENBUILDING Connubio di successo Conclusa con numeri record la Manifestazione alla Fiera di Verona a cura di Vinicio Ruggiero

Si è chiusa con un notevole successo la IX edizione di “Solarexpo” e la II edizione di “Greenbuilding”, le Mostre-convegno su Energie rinnovabili e Generazione distribuita e su Efficienza energetica e Architettura sostenibile, che si sono svolte contemporaneamente alla Fiera di Verona dal 15 al 17 maggio 2008. D’altra parte, i numeri relativi a visitatori, espositori, Paesi presenti ed eventi collaterali (vedi box) non lasciano dubbi sulla riconferma della Manifestazione quale seconda Fiera europea del settore e segnalano, al contempo, come queste tecnologie stiano consolidando la loro posizione sul mercato italiano e siano pronte per un ulteriore sviluppo. Numerose, infatti, sono state le soluzioni offerte in rassegna nel padiglione di Greenbuilding: - impianti di riscaldamento radiante o a pavimento; - riduttori di flusso e rompigetto aerati; - caldaie ad alta efficienza; - infissi ad elevate prestazioni termiche. Inoltre, all’interno di Greenbuilding hanno trovato spazio: - materiali ecocompatibili; - impianti di recupero delle acque piovane e domestiche; - impianti di micro-cogenerazione. Sui mezzi di informazione e comunicazione di massa hanno avuto ampia diffusione e risonanza, anche per la qualifica dei relatori e la valenza scientifica degli esperti che sono intervenuti, i numerosi convegni, seminari, corsi di formazione, che si sono svolti durante la 3-giorni veronese. Le relazioni svolte, i report forniti, gli aspetti innovativi che sono stati analizzati e discussi, durante tali eventi, non hanno offerto solo informazioni sugli aspetti innovativi del settore, ma hanno dato spunto ad un pubblico più ampio di aprire confronti e riflessioni su uno dei settori che più contribuiscono a salvaguardare l’ambiente dalle emissioni di gas climalteranti e all’utilizzo sostenibile delle risorse del Pianeta.

Quest’anno, poi, la Manifestazione Solarexpo si è arrichita di alcune novità che meritano di essere segnalate. “PV SUPPLYCHAIN”: la nuova Esposizione tecnologica che riguarda la “parte alta” della filiera fotovoltaica (macchinari per la produzione di wafer di silicio, celle e moduli, materiali, ecc.) è il segmento meno sviluppato dell’industria nazionale, ma è quello a maggior valore aggiunto. “POLYGEN”: l’area dedicata alla cogenerazione e alla trigenerazione per conoscere le novità tecnologiche nella produzione combinata di energia elettrica e calore, oltre che di freddo. Un modello di produzione energetica è questa che sarà alla base del passaggio da una generazione centralizzata ad una distribuita. Mentre a Greenbuilding ha fatto il suo esordio “ILLUMINAZIONI”, lo Show

room dedicato a tecnologie, applicazioni e materiali innovativi per l’efficienza energetica e l’architettura sostenibile: ascensori ad alta efficienza, vetri con pellicole elettropilotate che si opacizzano a comando, pigmenti inorganici per la riflessione delle radiazioni da raggi solari infrarossi nocivi. Secondo le opinioni di molti espositori, l’edizione di quest’anno ha dimostrato, inoltre, che la gran parte dei visitatori della Fiera ha raggiunto un tale grado di conoscenza del mercato e delle tecnologie solari, delle rinnovabili e dell’efficienza energetica che non farà che accrescere la professionalità e la maturità di tutti gli operatori coinvolti nel settore e, di conseguenza, anche della prossima edizione di Solarexpo & Greenbuilding che si svolgerà, sempre alla Fiera di Verona, dal 7 al 9 Maggio 2009.

SOLAREXPO & GREENBUILDING Dati statistici dell’edizione 2008 900 aziende espositrici dirette e rappresentate (+57% su edizione 2007) 330 aziende espositrici estere e rappresentate (+155%) 37% di espositori esteri 32 nazioni europee ed extraeuropee presenti 57.000 m2 di superificie espositiva coperta (+80%) 6 padiglioni occupati (+100%) 55.500 visitatori professionali (+37%) 45 convegni, seminari, corsi, eventi collegati 360 relatori partecipanti agli eventi convegnistici 7.100 partecipanti agli eventi convegnistici

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Conclusa a Ferrara

ACCADUEO 2008

Si conferma evento di riferimento per le tecnologie di trattamento e distribuzione dell’acqua a cura di Stefano Agostinelli

ACCADUEO, la Manifestazione che coniuga le più innovative tecnologie per il trattamento e la distribuzione dell’acqua sulla gestione sostenibile della risorsa più preziosa del pianeta, ha chiuso i battenti a Ferrara il 23 maggio 2008. Questa IX edizione si è conclusa all’insegna del “tutto esaurito”, registrando un pieno successo. Ottima la performance in termini di presenze espositive e di partecipazione: - 251 le aziende presenti; - 6.747 gli operatori professionali che hanno visitato l’evento. ACCADUEO si conferma evento di riferimento per conoscere e testare le più importanti innovazioni presentate dalle aziende leader produttrici di componenti e apparecchiature dedicate al settore “acqua”, accreditandosi ulteriormente sullo scenario fieristico internazionale come Manifestazione leader. Nel corso della 3 giorni, ACCADUEO ha costituito anche la sede ideale per dibattere il tema “risorsa acqua”, in chiave scientifica, sociale ed economica: declinazione estremamente interessante per l’importanza che questa risorsa assume per il futuro del nostro pianeta. ACCADUEO 2008 non ha dunque deluso le aspettative e, al dinamismo nei contatti commerciali (sottolineato dagli espositori, che hanno evidenziato una significativa soddisfazione), ha affiancato un ottimo livello di dibattito nei 24 Seminari e Convegni che vi si sono svolti e che hanno visto la partecipazione di 250 relatori, selezionati fra i protagonisti del settore idrico a livello nazionale e internazionale. Presenti ad ACCADUEO delegazioni estere di Paesi emergenti che hanno permesso alle imprese italiane di intraprendere contatti ed accordi con quei Paesi che hanno interesse e necessità ad intraprendere importanti interventi di ammodernamento dei servizi idrici. A sostegno dell’internazionalizzazione dell’evento e per agevolare l’incontro e i contatti commerciali con l’estero, BolognaFiere ha messo a punto un importante programma di promozione della visita di missioni commerciali estere, realizzato in collaborazione con Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE) e Regione Emilia-Romagna. Inoltre, per rispondere alle esigenze di conoscenza degli scenari internazionali di maggior interesse commerciale, BolognaFiere ha realizzato, sempre in collaborazione con l’ICE e la Regione Emilia-Romagna, una Indagine sui servizi

idrici nella regione del MENA (Middle East - North Africa), risultata fra le più interessanti per la gestione della risorsa acqua, vuoi per la sua carenza (in alcune aree), vuoi per la crescente domanda di acqua da attribuire agli indici di crescita demografica e all’aumento di attività idroesigenti, vuoi per la definizione di una serie di trattati internazionali finalizzati alla definizione di politiche e approcci istituzionali per una gestione sostenibile delle risorse idriche. Presentata mercoledì 21 maggio, l’indagine ha analizzato la situazione e le prospettive di sviluppo dei servizi idrici in Algeria, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia e Turchia. Dallo studio è emerso, inoltre, che le scelte adottate per far fronte alle esigenze di miglioramento ed estensione dei servizi idrici prevedono - con sempre maggiore incidenza la privatizzazione dei servizi e, di conseguenza, importanti prospettive di business per le aziende internazionali che possono intervenire sul fronte dell’adeguamento e del completamento di reti e infrastrutture e su quello dei processi di sfruttamento delle risorse non convenzionali. L’indagine è scaricabile dal sito www.accadueo.com. CI ACCA 4 - Un salone nel salone In espansione e con un bilancio decisamente positivo anche CI ACCA 4, il Salone dedicato al trasporto e alla distribuzione di gas, che ha focalizzato l’attenzione, nella sezione convegnistica, all’esigenza di individuare e utilizzare con sempre maggiore frequenza le fonti energetiche e rinnovabili. In particolare, il Convegno organizzato da ENEA e ACS PROT-IDR - sezione di Bologna, ha approfondito il tema della digestione anaerobica per la produzione di biogas, coniugando le logiche ambientali con quelle energetiche. La prossima edizione di ACCADUEO si terrà nel 2010. Durante questi ventiquattro mesi, il team organizzativo svilupperà nuovi progetti e iniziative per il mondo della distribuzione e del trattamento dell’acqua potabile e delle acque reflue. Fondamentale nello sviluppo strategico della Manifestazione il continuo confronto con i protagonisti del settore e il know-how in campo espositivo che posiziona il Gruppo BolognaFiere fra gli organizzatori leader su scala internazionale con un portafoglio di oltre 80 manifestazioni in Italia e all’estero.

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L’Appuntamento è quindi alla X edizione di ACCADUEO Ferrara 2010.



Chiusa a Firenze con 94.000 visitatori

TERRA FUTURA 2008

Ripartire dalle ALLEANZE per salvare il Pianeta Terra e per costruire un futuro equo e sostenibile a cura di Fabio Bastianelli

Un laboratorio di progettualità ed elaborazione culturale ma anche politica, un luogo di scambio e confronto, un concentrato di idee, progetti ed esempi concreti per vivere nel rispetto dell’ambiente e degli abitanti del Pianeta: tutto questo è stata Terra Futura 2008, la Mostra-convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale, che si è svolta dal 23 al 25 maggio alla Fortezza da Basso di Firenze. I numeri dell’appuntamento dedicato a chi vuole un futuro più equo e sostenibile per tutti, ha riconfermato il trend di crescita che lo accompagna dalla sua nascita: - 94.000 i visitatori di questa V edizione; - 550 gli espositori con 5.000 realtà rappresentate; - 220 appuntamenti culturali e 850 relatori; - 160 momenti fra animazioni e laboratori di buone prassi. Ugo Biggeri, Presidente della Fondazione culturale di Banca Etica, parla di Terra Futura come di una scommessa vinta, perché ha dimostrato che l’interesse dei cittadini rispetto ai temi della sostenibilità è sempre più ampio. “Siamo sulla strada giusta - ha osservato - i temi ambientali e sociali interessano sempre di più alla gente e non sono più visti come separati tra loro”. Questioni che, per la loro trasversalità e le implicazioni reciproche, chiedono di andare oltre le “parti” e oltre i governi, come sollecitato dal lifemotive della tre giorni alla Fortezza: “Costruire alleanze per una terra futura”. “Alleanze che significano anche rispetto di differenti percorsi purché sinceri: abbiamo estremo bisogno sia delle sperimentazioni più coraggiose - ha continuato Biggeri - sia di piccoli cambiamenti nel sistema che vogliamo modificare. Terra Futura ha dimostrato che questi diversi mondi si possono incontrare e possono insieme far nascere una nuova economia responsabile”.

Caritas, Beccegato ha lanciato il messaggio di lavorare insieme a livello nazionale, europeo e internazionale contro la povertà e l’esclusione sociale: “Dobbiamo dialogare e costruire ponti anche con realtà escluse ed emarginate a causa di pregiudizi, nell’obiettivo comune di costruire la pace e tutelare i diritti umani. È facile volere la pace nel mondo in generale, ma bisogna iniziare dalla quotidianità della famiglia, dei vicini di casa, dei rom del nostro quartiere…”. Posizione che ha trovato d’accordo anche Paolo Beni, presidente nazionale di Arci: “Terra Futura si è confermata un laboratorio produttivo non solo sul piano del confronto e del dibattito culturale e politico, ma anche dell’incontro di esperienze concrete. Quella delle Alleanze è la strada giusta, e in questa direzione si deve procedere, perché di fronte alle contraddizioni di questo modello di sviluppo, è ormai diffusa la consapevolezza dell’interdipendenza dei territori e dei diritti umani”. A sottolineare il principio dell’interdipendenza e di una nuova epoca che si apre per i diritti umani è stato Wolfgang Sachs (Wuppertal Institut Germany), Presidente del Comi-

“Tanti segnali di speranza, un’atmosfera di allegria in un momento che allegro non è. Terra Futura 2008 è stata per tre giorni un’isola felice di dibattiti, riflessioni, scambi di esperienze intorno al tema delle alleanze - è stato il commento di Karl-Ludwig Schibel, Coordinatore della Fiera delle Utopie Concrete e Coordinatore del Comitato consultivo di Terra Futura - Nei prossimi mesi si tratterà di rendere queste alleanze operative, di allargare attivamente il terreno della “comunità” Terra Futura, per costruire innanzitutto un’Italia sostenibile. Dobbiamo resistere all’imbarbarimento nei rapporti umani e con la natura”. Il bilancio della Manifestazione è stato positivo anche per Paolo Beccegato, Responsabile dell’area internazionale di Caritas Italiana, proprio per lo scambio e la collaborazione fra i partner, in un processo che definisce di “agglutinazione”, cioè di unione e compenetrazione delle alleanze. E da Terra Futura, in previsione della prossima Conferenza europea di

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tato consultivo di Terra Futura: “Entriamo in un momento storico in cui per rispetto dei diritti umani non si intende solo quello dei diritti politici e del rifiuto della tortura, ma anche il diritto alla casa, al cibo, alla sicurezza… e ancora all’ospitalità, all’essere accolto in modo dignitoso…”. Diritti che per Sachs sono oggi minacciati in maniera molto diversa dal passato, in modo “teletrasportato”: “Ognuno di noi è causa, senza volerlo, di violazione dei diritti umani, di danni contro vittime anonime e che non conosciamo. Il nostro sistema di produzione e consumo avrà sempre di più un impatto enorme sui diritti”. Basti pensare ai gravi effetti sull’agricoltura prodotti dai cambiamenti climatici, che minano in particolare la sicurezza economica di tante persone e aumentando il numero dei rifugiati. “È immorale che nel nostro paese si continui a discutere di sicurezza - ha aggiunto sul tema Maurizio Gubbiotti, Segreteria nazionale di Legambiente - senza collegarli alla questione che oggi nel mondo ci sono 150 milioni di persone che rischiano di dover lasciare i loro territori perché resi

invivibili dalle conseguenze dei mutamenti climatici”. “Occorre per questo aprire una nuova stagione dei diritti umani nel mondo - ha indicato Gubbiotti - per discutere di ambiente, salute, lavoro anche dal punto di vista dei diritti e non solo dal punto di vista dei bisogni e delle tematiche”. Mutamenti climatici e necessità di mettere in discussione il modello energetico attuale, questo il focus di Legambiente durante la tre giorni: “Un modello schiavo della combustione dei fossili - ha spiegato ancora - che va superato puntando su risparmio energetico, efficienza energetica e produzione da fonti alternative rinnovabili e pulite come il sole, il vento, la geotermia e il microidroelettrico”. Di concretezza e promesse mantenute ha parlato Soana Tortora, Referente nazionale per l’Area Pace e Stili di Vita di Acli: “Le alleanze a Terra Futura si sono viste e toccate con mano. Lo stesso percorso di preparazione della mostra convegno ha richiesto uno sforzo di coesione e valorizzazione delle differenze; e così è stato anche durante la tre giorni, dove voci e realtà diverse si sono unite, senza omogeneizzar-

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“ARCHITETTURA E SOSTENIBILITÀ”2008 Assegnato a Terra Futura il Premio alla migliore tesi di laurea e di dottorato di ricerca in Bioarchitettura Durante Terra Futura, si è svolta la cerimonia di premiazione del concorso “Architettura e Sostenibilità”, il Premio per le migliori tesi di laurea e di dottorato di ricerca sui temi dell’architettura sostenibile, dell’innovazione tecnologica e della progettazione partecipata. Il riconoscimento è stato un’occasione di stimolo verso la definizione di soluzioni nuove e si pone come punto di riferimento per la diffusione e la promozione di una cultura della qualità della vita che si fondi sul rispetto dell’uomo e dell’ambiente. Oltre settanta gli elaborati iscritti a questa terza edizione dell’iniziativa promossa da Terra Futura e dall’Associazione internazionale “Cultura e Progetto Sostenibili”, segno della collaborazione sempre più ampia tra il mondo della ricerca e quello della progettazione e produzione edilizia, a dimostrazione della crescente sensibilità per i temi dell’ecosostenibilità e del risparmio energetico. Tra gli elaborati candidati, hanno ottenuto il 1° premio ex equo: - Nicola Fitti (laureato in Architettura a Pescara) con la tesi di laurea “Nuovi paesaggi infrastrutturali”, un progetto per la soddisfazione del fabbisogno energetico delle realtà locali nella zona del lago di Guardialfiera attraverso la realizzazione di un parco delle energie alternative presenti nel territorio; - Valeria Saiu (laureata in Ingegneria a Cagliari) con la tesi di dottorato di ricerca “Periferie sostenibili tra oriente e occidente. Trasformazioni contemporanee e nuove idee di città”, che presenta un’analisi della periferia contemporanea, intesa come luogo privilegiato della trasformazione urbana, basata sul confronto tra la realtà europea e quella dei paesi emergenti. Tra le tesi di laurea menzionate: - “Progetto della missione cattolica di Santa Germana e Marsassoum, Senegal” di Pier Cesare Vittadello e Gianni Ulgelmo (IUAV, Istituto Universitario di Architettura di Venezia); - “Il disagio abitativo degli immigrati - progetto di autocostruzione a Mestre (Venezia)” di Andrea Andrich (IUAV, Istituto Universitario di Architettura di Venezia); - “Progetto per una scuola di architettura” di Luca Frassanito (Facoltà di Architettura dell’Università di Roma). Al termine della cerimonia di premiazione, si è svolta la Tavola rotonda “Edilizia Sostenibile domani: mondo della ricerca, della produzione e società civile a confronto”, coordinata da Francesco Marinelli, Presidente dell’Associazione “Cultura e Progetto Sostenibili”, che ha costituito un momento di riflessione sul tema dell’edilizia sostenibile e un’opportunità di dialogo tra mondi diversi che sempre più devono disporsi allo scambio di conoscenze e competenze. Gli autori degli elaborati hanno in seguito preso parte al laboratorio di progettazione partecipata curato da“Fram_menti”, un’Associazione di giovani architetti, ingegneri e urbanisti che hanno fatto dell’architettura sostenibile e della progettazione partecipata due parole chiave della loro attività.

si, conservando la loro diversità, ma seguendo un percorso comune di pace e giustizia sociale; e dove - ha aggiunto - abbiamo sperimentato l’effetto moltiplicatore che può avere un evento come questo, a partire dal nostro progetto, Relazioni di pace, che ha visto la partecipazione di più di 300 persone. Ora dalla dimensione formativa, educativa si deve passare alla diffusione sempre più capillare delle buone pratiche affinché diventino “politica” e proposte concrete”.

del coltivare, dell’agire e del governare. “Abitare naturale”, “Azioni globali”, “Biocibo&cose”, “Ecoidea-mobility”, “Equocommercio”, “La terra dei piccoli”, “Nuovenergie”, “Rete del buon governo”, “Tutelambiente”, “Salute+Benessere”, “Comunicare la sostenibilità”, “Educazione e formazione”. Sono state 12 quest’anno le sezioni dell’ampia area espositiva, volta a far conoscere realtà ed esperienze di uno sviluppo diverso.

Tra i temi importanti emersi a Terra Futura, è stata posta anche l’esigenza di una svolta etica e di regole chiare nella finanza, come il messaggio della CISL sostenuto da Giuseppe Gallo, Segretario nazionale Fiba-CISL: “È ormai irrimandabile una riforma dei meccanismi che regolano i mercati finanziari e il rapporto della finanza con lo sviluppo, con il mondo produttivo, con la compatibilità ambientale, con la vita degli uomini”. E proprio da Terra Futura ha preso il via questo percorso di definizione della proposta, che vede il Sindacato chiamare all’appello la società civile per ascoltarne e raccoglierne il contributo. Un percorso in cui si intende coinvolgere le organizzazioni (a partire da Banca Etica, Libera-Associazione contro le mafie, Caritas italiana, l’Osservatorio sulla Finanza,…) e i testimoni significativi di questo mondo. Un iter che porterà alla stesura di un testo, culminando il 18 giugno prossimo con il lancio della proposta a Roma.

Come sempre è stata articolata e importante la proposta del calendario culturale, con Convegni, Dibattiti e Seminari che hanno visto intervenire a Firenze numerosi esperti e testimoni, anche internazionali, provenienti dal mondo della politica, dell’economia e della ricerca scientifica, dal terzo settore, dalla cultura e dallo spettacolo. Non sono mancati, infine, coinvolgenti laboratori interattivi in cui i visitatori di tutte le età hanno potuto sperimentare le buone pratiche e comprendere che a tutti è chiesto di compiere scelte e gesti quotidiani verso la sostenibilità e che ognuno può dare il proprio contributo in qualsiasi ambito.

A Terra Futura 2008, in rassegna le Associazioni e Organizzazioni no-profit, Imprese eticamente orientate, Enti locali e Istituzioni, hanno testimoniato che comportarsi in modo sostenibile sia possibile in ogni ambito dell’abitare, del produrre,

Terra Futura è stata promossa e organizzata da Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus per conto del sistema Banca Etica (Banca Etica, Consorzio Etimos, Etica SGR, Rivista “Valori”), Regione Toscana e Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c., e realizzata in partnership con Acli, Arci, Caritas Italiana, CISL, Fiera delle Utopie Concrete, Legambiente, in collaborazione con Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Firenze Fiera SpA, e numerose altre realtà nazionali e internazionali.

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Risvegliare le coscienze e la mobilitazione colletiva

INAUGURATO L’ANNO INTERNAZIONALE DEL PIANETA TERRA Il Presidente Giorgio Napolitano ha ospitato la Manifestazione ai Giardini del Quirinale di Micaela Conterio foto di Paolo Moretti

C’eravamo lasciati circa un anno fa, per l’esattezza il 6 giugno scorso, con il monito, lanciato in occasione dell’avvio delle attività dell’Anno Internazionale del Pianeta Terra (IYPE), per affrontare la sfida globale dell’ambiente in maniera sinergica e coesa: “Dobbiamo ritrovare quell’energia - aveva detto il Sottosegretario di Stato, Bruno Dettori - che da ragazzi ci tratteneva fino a tardi nei laboratori e indirizzarla adeguatamente”. Ci ritroviamo, a distanza di un anno, per la precisione il 30 maggio, ai Giardini del Quirinale alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha scelto di dedicare la tradizionale Festa di Primavera all’Anno Internazionale del Pianeta Terra. In questo ristretto lasso di tempo sono stati centrati numerosi traguardi a livello internazionale. Non solo l’Italia è stata fra i 5 Paesi che hanno inaugurato ufficialmente l’Anno Internazionale nel mondo, presso la sede dell’UNESCO a Parigi lo scorso febbraio (12-13), ma si sta anche adoperando per la costituzione di un’Agenzia Europea per le Scienze della Terra, la realizzazione di nuovi Geoparchi italiani e la costituzione delle candidature italiane da sottoporre all’attenzione della Rete Europea dei Geoparchi. E ancora, è stata il primo Paese al mondo a registrare i propri dati su Onegeology, primo google geologico della storia che offrirà notizie dell’intero territorio mondiale. Il progetto, fiore all’occhiello dell’Anno Internazionale del Pianeta Terra, a cui hanno aderito oltre 80 Paesi nel mondo, vede l’Italia protagonista come coordinatrice dei lavori europei. Inoltre, sono promossi e patrocinati dalla Commissione Italiana, eventi, iniziative e manifestazioni che si svilupperanno su tutto il territorio nazionale, anche nel corso del 2009, sia a carattere scientifico sia divulgativi. Fin qui è cronistoria. Ma oggi? Oggi ci ritroviamo nella “Casa di tutti gli italiani”, come ha definito Giorgio Napolitano il Quirinale, a celebrare la cerimonia italiana di apertura dell’Anno Internazionale del Pianeta Terra. Oggi, quindi, la situazione è ulteriormente mutata: l’Italia è infatti il primo paese ad aver inaugurato l’Anno al cospetto della maggiore carica della Stato. In questo senso la presenza del Presidente Giorgio Napolitano ha avvalorato gli sforzi intrapresi e il lavoro svolto finora. “Il Presidente della Repubblica - ha dichiarato soddisfatto Giancarlo Viglione, Presidente dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici (APAT), a margine dell’evento ha voluto dedicare la Festa di Primavera all’Anno Internazionale del Pianeta Terra, onorandolo con la sua presenza e con le parole del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Stefania Prestigiacomo, e del Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini. Questa scelta rappresenta per il mondo scientifico l’opportunità di avvicinare ulteriormente le Scienze della Terra ai cittadini e alle Istituzioni”. L’“Anno”, infatti, nasce proprio con lo scopo di suscitare una vera e propria coscienza ambientale, suffragata da una vera e

propria cultura geologica, da una conoscenza profonda, cioè, del sistema Terra. “Anche in questo senso - ha concluso Viglione - la giornata di oggi, rivolta al mondo scolastico, ha centrato perfettamente il nostro scopo”. Particolarmente significativo, quindi, il fatto che le celebrazioni dell’Anno Internazionale vedano protagonisti i giovani. Già, perché la tradizionale Festa di Primavera è una giornata rivolta alle scuole: erano presenti oltre 400 studenti delle scuole elementari medie e superiori, che nel corso dell’anno scolastico hanno svolto studi e ricerche dedicati alle questioni ambientali. Gli studenti hanno potuto rivolgere al Presidente della Repubblica numerose domande su questioni di carattere ambientale, quali inquinamento, rifiuti e risorse: “abbiamo bisogno di nuove leve, abbiamo bisogno di voi” ha dichiarato Giorgio Napolitano. Presente alla Manifestazione, Stefania Presigiacomo, neo-Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha sottolineato la stretta connessione fra il comportamento umano e la salute del pianeta: “Quella ambientale è una questione che deve essere affrontata non solo a livello locale o nazionale, ma soprattutto globale. Questo implica, ovviamente, un’assunzione di responsabilità che deve essere collettiva. Oggi nell’opinione pubblica sono maturate alcune consapevolezze che dovrebbero indurre comportamenti conseguenti sia a livello individuale sia a livello di governi e comunità internazionali”. In quest’ottica per poter indurre una scelta consapevole l’informazione e la conoscenza devono essere il più complete e corrette possibili, attraverso lo strumento prodromico e imprescindibile delle Scienze della Terra. “Il grande obiettivo - ha continuato la Prestigiacomo - è quello di divulgare il più possibile l’educazione ambientale, quindi tutte le iniziative mosse in tal senso sono giuste”. Pienamente allineate a queste considerazioni sono risultate le dichiarazioni del neo-Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini, intervenuta anch’essa alla celebrazione, che ha indicato la necessità di introdurre “corsi dedicati alla tutela dell’ambiente all’interno delle lezioni di educazione civica nelle scuole. È fondamentale che gli studenti siano informati adeguatamente e correttamente ed è per questo che dobbiamo muovere questi passi importanti”. I due Ministri hanno premiato, durante la cerimonia i vincitori del concorso “Una gara per la Terra”, bandito dall’International Year of Planet Earth e coordinato, in Italia, dalla Commissione Nazionale. La competizione internazionale, rivolta ai giovani dai 18 ai 22 anni, è consistita nella creazione di un lavoro originale (in inglese o in francese) quale un saggio, una poesia, un disegno, un video o altro, ispirandosi ai dieci temi scientifici dell’Anno Internazionale del Pianeta Terra. I 5 vincitori italiani sono risultati: Elisabetta Ceci, con l’elaborato “Il testamento di Gaia”; Stefania Cortese, con il disegno “Terra e Salute”; Laura Langone, “Non bisogna far violenza sulla natura, ma amarla”; Stefano Pichierri, con la poesia “Cemento Selvaggio”; Denise Ugliano, con la poesia “Carezza degli abissi”.

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Momento clou della cerimonia è stato il collegamento in diretta con l’Everest, nonostante le difficoltà dovute alle condizioni climatiche del giorno. Già ospitata dal Capo dello Stato lo scorso 1° aprile per la consegna della bandiera italiana da collocare sul “tetto del mondo”, la spedizione italiana alpinistico-scientifica del CNR, guidata da Agostino Da Polenza, sta predisponendo un sensore di temperatura e la stazione di monitoraggio climatico più alta al mondo. “Vedere la bandiera italiana sventolare - ha commentato il Presidente - è motivo di orgoglio. Queste sono imprese che fanno onore all’Italia. Questa grande esperienza contribuirà alla salvezza del Pianeta”. Iniziativa di carattere scientifico ha già ottenuto il patrocinio dell’Anno Internazionale del Pianeta Terra e consentirà una conoscenza corretta dei cambiamenti climatici per poterli

fronteggiare, trasmettendo in diretta informazioni e dati meteorologici ai maggiori centri di ricerca internazionali in Europa e negli Stati Uniti. La cerimonia, in diretta su Rai 3 e condotta da Fabrizio Frizzi, si è aperta con l’immancabile Inno nazionale, eseguito dall’Orchestra del Conservatorio Statale di Musica “Gioachino Rossini” di Pesaro, che in chiusura della celebrazione ha eseguito la Fanfare and Theme for Planet Earth. A un anno di distanza, le parole del Presidente Napolitano costituiscono la sintesi degli obiettivi che stanno alla base delle attività previste dall’Anno Internazionale del Pianeta Terra: “Occorre un grande risveglio delle coscienze: l’informazione e l’educazione ambientale sono fondamentali per incidere sia sui comportamenti individuali sia sulle scelte collettive”.

da sinistra: Giorgio Napolitano, accanto alla consorte Clio Bittoni, Mariastella Gelmini e Stefania Prestigiacomo

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INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO

Emissioni grandi impianti: Rapporti confermano che si poteva fare di più

I COSTI PER TAGLIARLE INFERIORI AI VANTAGGI ECONOMICI PER LO STATO DI SALUTE DEI CITTADINI Ma in Italia c’è preoccupazione per la competitività delle imprese Quando a Gennaio la Commissione UE ha adottato le proposte di Direttiva Emission Trading Scheme (ETS) e quelle sulla Promozione delle rinnovabili (cfr: “Pacchetto Clima ed Energia. Per promuovere crescita ed occupazione” in Regioni&Ambiente n. 3, marzo 2008, pag. 35 e segg.), secondo quelle che erano state le decisioni prese dal Consiglio Europeo nel marzo 2007 e gli impegni assunti nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti Climatici di Bali (Indonesia) a dicembre 2007 (cfr: “Avanti con giudizio”, in Regioni&Ambiente, n. 1-2 gennaio-febbraio 2008, pag. 8 e segg.), l’allora Vicepresidente di Confindustria per l’Energia e il Coordinamento delle politiche industriali e ambientali, Emma Marcegaglia dichiarava: “Riguardo le proposte di direttive presentate oggi, occorrerà nei prossimi mesi lavorare molto per non penalizzare la competitività dei settori industriali europei ed evitare un’inaccettabile delocalizzazione con conseguenze sui livelli occupazionali. L’obiettivo di consumo di energia primaria da fonte rinnovabile assegnato all’Italia, pari al 17% entro il 2020, sarà difficilmente sostenibile per il nostro Paese sotto il profilo tecnico… Occorrerà valutare con grande attenzione anche la proposta di direttiva Emissioni Trading, che rischia di aver un pesante impatto sul settore industriale italiano”. Non ha impiegato troppo tempo il neo-Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Stefania Prestigiacomo per farsi interprete di queste istanze. Alla sua prima uscita internazionale, nel corso della Riunione dei Ministri dell’Ambiente dei G8, che si è svolta a Kobe (Giappone) a fine maggio, è intervenuta per chiedere una rivisitazione al ribasso degli obiettivi del Protocollo di Kyoto che rischia di creare un certo imbarazzo tra gli altri Paesi UE che stanno seriamente adoperandosi per promuovere politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici,

preannunciando in qualche modo quale sarà la posizione dell’Italia al tavolo negoziale UE sulle emissioni di CO2 previste nel Pacchetto Energia. “Bisogna riavviare le discussioni al più presto - ha dichiarato la Prestigiacomo - in considerazione del fatto della difficoltà di raggiungere gli obiettivi. Il Protocollo di Kyoto ci indicava una riduzione delle emissioni del 6,5% annuo fino al 2012, ma, invece di diminuirle, le stiamo aumentando del 12% annuo”. “Il Governo precedente si è impegnato a un altro taglio del 18% fino al 2020, nell’ambito del 20% complessivo dell’Unione Europea - ha osservato il Ministro dell’Ambiente - ma come è possibile far questo, considerando che c’è pure un’economia in forte difficoltà?”. Secondo Carbon Market Data, la Società che fa ricerca sul mercato delle emissioni, i grandi gruppi energetici sono quelli che eccedono nelle emissioni rispetto ai crediti assegnati. Per poter rispettare i propri impegni verso l’Emissions Trading Scheme (ETS) europeo dovranno perciò far ricorso ai meccanismi di compensazione (CDM) previsti dal Protocollo stesso. Mentre l’Unione Europea nel 2007 ha emesso 7,5 Mt di CO2 equivalente in meno rispetto ai permessi distribuiti gratuitamente, 7 Paesi hanno emesso di più rispetto ai permessi allocati. L’Italia è tra queste Nazioni che hanno ecceduto di più rispetto ai permessi assegnati, al 3° posto, dopo Gran Bretagna e Spagna. Intanto il 6 maggio la Commissione ha annunciato che una lettera di diffida verrà inviata a 9 Stati membri (tra cui l’Italia) per non aver rilasciato, entro la data limite del 30 ottobre 2007, le nuove autorizzazioni o aggiornate le autorizzazioni esistenti (Direttiva IPCC) per oltre 9.000 impianti industriali già in funzione in Europa. “Tutti gli impianti in esercizio nell’UE

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devono rispettare livelli di emissione rigorosi, che sono stati fissati per ridurre al minimo le ripercussioni negative dell’inquinamento industriale ulla salute dei cittadini e sull’ambiente”, ha dichiarato il Commissario UE all’Ambiente Stavros Dimas. Ci sembra che ancora una volta di fronte ai costi immediati peraltro del tutto sostenibili, per uscire da una brown economy si preferisca continuare a perseguire l’obiettivo della “crescita” a tutti i costi, senza alcuna intenzione a “modificare la struttura dell’economia, alfine di avviarla, verso quella a basso tenore di carbonio, per assicurare un futuro più ecologico e sostenibile”, come aveva ammonito l’OCSE nel suo ultimo Rapporto Ambientale (cfr: “Cambiamenti climatici: i costi per la mitigazione abbordabili, elevati quelli dell’inazione”, in Regioni&Ambiente, n. 4 aprile 2008, pag. 8 e segg.). A confortare l’impressione che il settore industriale europeo non sia propenso ad investire troppo per ridurre le emissioni atmosferiche che, a suo dire sarebbe inutile senza il coinvolgimento dei grandi emettitori dell’Asia (Cina e India, per intenderci), viene dalla pubblicazione nello stesso mese di maggio di due Rapporti: 1) “L’inquinamento atmosferico da emissioni di grandi impianti di combustione per la produzione di energia elettrica”, pubblicato dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA); 2) “Costi benefici per la salute dalle riduzioni delle emissioni da centrali elettriche in Europa”, pubblicata dal Segretariato della ONG svedese Pioggia Acida e dall’European Environmental Bureau, la Federazione che raggruppa 140 Organizzazioni Ambientaliste dei Paesi membri dell’UE e di quelli in via di adesione.


Lo Studio dell’Agenzia Europea dell’Ambiente è stato diffuso in anticipo in considerazione che l’argomento riveste una certa importanza visto che la Commissione Ambiente del Parlamento UE si accinge a discutere la proposta p pr opos op osta ta di di revisione revi re visi sion one e della dell de lla a Di Dire Direttiva rett ttiv iva a

sulla Prevenzione e Riduzione Integrate dell’Inquinamento (IPPC). La Relazione si basa sui dati 2004 dei 450 grandi impianti di combustione (LCP) diffusi nei 25 Paesi dell’UE (non erano ancora entrate Bulgaria e Romania). Si tra tratta tratt tta a de degl degli glii im impi impianti pian anti ti che che bru b bruciano ruci cian ano o

La Centrale elettrica a carbone di Datteln (Germania) foto di Arnold Paul

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petrolio, gas o carbone, le cui emissioni combinate rappresentano quasi i 3/4 del totale di questo settore: il 54% di biossido di zolfo (SO2) e il 18% dei biossidi di azoto (Nox). Quantunque i trasporti costituiscono il maggiore magg ma ggio iore re responsabile rres espo pons nsab abil ilee delle dell de llee emissioni emis em issi sion onii


* Comprese le emissioni complessive stimate degli impianti nel 2004, quando queste non sono state riportate nell’EPER ** Per quegli impianti dei quali sono riportate le emissioni stimate inferiori alle emissioni corrispondenti ai BREF AELs, nessun potenziale di riduzione delle emissioni è presunto

in UE le centrali-elettriche vi contribuiscono in modo rilevante. Il settore è incluso nel Registro Europeo delle Emissioni inquinanti (EPER) che contiene i dati al 2004, essendo aggiornato ogni 3 anni e che sarà sostituito dal registro E-PRTR (European Pollutant Release and Transfer Register), secondo quando previsto dal Regolamento CE 166/2006, che ne amplierà i contenuti informativi per un miglior accesso al pubblico e che avrà quale primo riferimento i dati 2007, disponibili a partire dal 2009. Come era prevedibile, la relazione si concentra sulle implicazioni di tipo ambientale, piuttosto che formulare considerazioni di ordine economico; mentre i gestori degli impianti hanno sempre sostenuto che i costi costituiscono il principale ostacolo all’abbattimento delle emissioni. La relazione presenta, infatti, una valutazione del potenziale teorico di riduzioni delle emissioni se fossero state introdotte diffusamente le migliori tecniche disponibili. Ebbene, secondo l’AEA, gli impianti in questione avrebbero potuto ridurre dal 59% all’87% le emissioni prodotte di NOX e dall’80% al 97% quelle di SO2 (vedi tabella).

L’altro Studio è stato condotto da Mark Barret dell’University College London esperto di strategie di riduzione dei costi e degli effetti delle emissioni sulla qualità dell’aria e Mike Holland dell’EMRC (Ecometrics Research and Consulting) di Londra, esperto delle ripercussioni dell’inquinamento atmosferico sulla salute. Anche questo Rapporto è stato pubblicato in maggio con lo scopo di fornire un contributo sul dibattito apertosi nell’Unione Europea sulla proposta di revisione della Direttiva IPCC, presentata dalla Commissione UE lo scorso dicembre. Lo Studio ha preso in esame 100 impianti tra i più inquinanti d’Europa ed ha concluso che se questi applicassero la Direttiva Large Combustion Plants (LPC) con l’applicazione delle BAT (Best Available Techniques) si sarebbero potute ridurre le emissioni rispetto a quelle prodotte nel 2004 di 3,4 milioni di tonnellate di SO2 pari al 40%, e di 1,1 milioni di tonnellate di NOX, pari al 10%. Secondo il Rapporto i costi annuali di riduzione delle emissioni nell’Europa a 27 rispetto ai benefici sulla salute stanno in un rapporto di 1 a 3,4 ossia: i costi per tagliare le emissioni dei grandi impianti di combustione sono signi-

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ficativamente inferiori ai vantaggi economici derivanti dal miglior stato di salute dei cittadini UE. Il taglio delle emissioni di SO2 e NOX produrrebbe molti altri benefici che non sono immediatamente quantificabili in termini monetari quali i minori danni agli ecosistemi, la riduzione delle perdite di biodiversità, la ridotta eutrofizzazione delle acque, il basso livello di ozono, la maggior durata temporale degli edifici, dei materiali e dei monumenti culturali, seguito di una minor corrosione per effetto di una limitata acidificazione. Secondo il Direttore dell’Organizzazione “Pioggia acida”, Crister Ågren: “Mettendo in atto il rigido mandato dei valori limite delle emissioni per gli attuali grandi impianti di combustione, si garantirebbe un contributo alla fermata dei più vecchi, inefficienti e inquinanti impianti che bruciano carbone: una soluzione vincente per ridurre le emissioni sia dei tradizionali inquinanti sia dei gas ad effetto serra”. Lo studio mostra pure che sussiste una significativa differenza di applicazione della tecnologia di controllo delle emissioni tra i vari impianti e i differenti Paesi, mentre l’implementazione delle BAT potrebbe dare un significa-


tivo contributo al miglioramento della qualità dell’aria in Europa. Sempre in maggio, ma la notizia è ufficialmente arrivata al momento di chiudere di questo numero in redazione, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) che ha sede in Parigi, ha messo a punto il Rapporto che gli era stato commissionato tre anni fa dagli Stati del G8 per dimezzare le emissioni di gas ad effetto serra. Il Rapporto che sarà ufficialmente presentato a Aomori (Giappone), nel corso della riunione dei Ministri dell’Energia, costituirà la base di discussione al prossimo vertice G8 di Hokkaido, il 7 luglio prossimo. In “Energy Technology Perspectives 2008”, l’AIE sviluppa le tabelle di marcia per raggiungere un uso sostenibile di energia entro il 2050. L’Agenzia stima che il costo complessivo si aggirerebbe attorno ai 45 miliardi di dollari: 100-200 miliardi di dollari nel decennio prossimo che dovrebbero salire a 1.000-2.000 miliardi dal 2030 in poi. Nel Rapporto sono contenute indicazioni sulle tecnologie da utilizzare per raggiungere l’obiettivo. L’AIE quantifica che si dovrebbe applicare il sequestro del carbonio a 25 centrali a gas e 35 a carbone all’anno e, sempre di qui al 2050, si dovrebbero installare circa 17.500 turbine eoliche e 32 centrali nucleari all’anno. “Non ci dovrebbero essere dubbi: l’obiettivo di tagliare del 50% le emissioni rappresenta un formidabile obiettivo - ha dichiarato all’Agenzia Reuters, Nobuo Tanaka, Direttore esecutivo dell’AIE - Richiederebbe l’adozione immediata di politiche per una transizione tecnologica senza precedenti per trasformare completamente il nostro modo di produrre e utilizzare energia... Dobbiamo agire ora”.

Fonte: “Energy Technology Perspectives 2008”

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Allarme per i polmoni verdi del pianeta

GRANDI FORESTE IN VIA DI ESTINZIONE di Cristina Pacciani

Il nostro Pianeta, stando ai dati della FAO, sta perdendo ogni anno circa 13 milioni di ettari di foreste, poco meno della metà del territorio nazionale; nel ventennio 1984/2004 ne ha persi addirittura 250 milioni, una superficie pari a 8 volte l’Italia. L’allarme, già lanciato nel G8 del 2005 in Gran Bretagna e ribadito lo scorso maggio nel vertice dei Ministri dell’Ambiente di Kobe, è stato nuovamente imposto all’attenzione dei soggetti e degli Enti interessati nel Workshop “Ridurre la deforestazione e la degradazione delle foreste globali: il ruolo dell’Italia e l’iniziativa FLEGT dell’Unione Europea”, tenutosi presso la sede dell’APAT lo scorso 4 giugno, cui hanno partecipato, oltre ad esperti dell’APAT, Laura Russo del Dipartimento delle Foreste della FAO, Davide Pettenella dell’Università di Padova, Massimilano Rocco di WWF International, Mario Boccucci della World Bank e Duncan Brack del Royal Institute of International Affairs. Il Convegno ha avuto come tema centrale il progetto comunitario FLEGT (Forest Law Enforcement Governance and Trade), che ha l’obiettivo di stimolare il dialogo tra gli organismi italiani interessati a contribuire all’attuazione del piano in Italia, oltre che nel resto dell’Unione Europea. Quello della deforestazione è un fenomeno devastante, che provoca perdite di biodiversità, di identità culturali, che induce conflitti sociali, con effetti irreversibili sull’ambiente globale e che investe soprattutto i Paesi tropicali, dal Brasile all’Indonesia, da Papua Nuova Guinea al Congo. Solo negli ultimi quattro mesi del 2007 sono stati distrutti 700 mila ettari di foreste in Brasile, di cui la metà nella zona del Mato Grosso.

Come opera la criminalità? Con dichiarazioni false su dimensioni, qualità e valore dei beni, falsificazione della contabilità, tagli irregolari e in aree protette. Notevoli, dunque, i danni sull’ecosistema: la deforestazione comporta un accumulo in atmosfera di circa un quarto delle emissioni globali causate dall’uomo (circa 1,6 miliardi di tonnellate di carbonio l’anno), secondo stime dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Chamge). Se riducessimo, ad esempio, del solo 20% l’attuale tasso di deforestazione e se considerassimo un prezzo sui mercati internazionali di una tonnellata di carbonio pari a 30 dollari USA, si potrebbero produrre crediti di carbonio pari a 30-40 miliardi di dollari USA l’anno, ossia la metà del valore dell’assistenza umanitaria per i paesi in via di sviluppo, secondo quanto affermato dal Nobel per l’Economia 2005, Joseph Stiglitz. “Il tema della deforestazione è entrato ormai prepontemente nell’agenda politica internazionale - ha commentato Giancarlo Viglione, Presidente dell’APAT - L’APAT, oltre a fornire supporto tecnico alle Istituzioni, attraverso iniziative come questa intende stimolare la discussione e contribuire a dare applicazione ad un indirizzo della Comunità Europea, attivando meccanismi virtuosi a beneficio delle imprese che operano nel settore delle risorse naturali”.

“In Italia il 20/25% del legname, proveniente ogni anno da 21 Paesi “critici”, è importato illegalmente - ha affermato Davide Pettenella dell’Univeristà di Padova - Gli interventi che vengono messi in campo per contrastare il fenomeno mancano di coordinamento e per questo sarebbe necessario un piano nazionale specifico”. Se pensiamo che l’Italia è il VI importatore al mondo di legname tropicale (il secondo in Europa), proveniente da Paesi che hanno immense distese di foreste, autentici polmoni verdi, ma che hanno anche una forte instabilità politica, ci rendiamo conto che il problema non è solo di chi perde il proprio patrimonio di foreste (e con loro, tutto il resto) ma anche di chi importa, poiché il taglio e il commercio illegali di materiale legnoso avvengono spesso nel mancato rispetto dei vincoli nazionali e delle norme del commercio internazionale, contravvenendo alle prescrizioni esistenti, che regolano le norme di concessione al taglio e mirano ad evitare il contrabbando di legname. Su tutto questo, cade anche la scure delle organizzazioni criminali, che producono un giro d’affari che vale 150 miliardi di dollari l’anno.

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IN ITALIA 10 MILIONI DI ETTARI DI FORESTE: NON MANDIAMOLI IN FUMO Intervista a Lorenzo Ciccarese, del Dipartimento Difesa della Natura dell’APAT di Cristina Pacciani Il Progetto Comunitario FLEGT: quali gli obiettivi e quali le azioni concrete già messe in campo? La deforestazione e la degradazione delle foreste del pianeta e le conseguenze sull’ambiente, sull’economia e sulle società dei Paesi del Terzo Mondo sono ormai diventate centrali nel dibattito internazionale relativo allo sviluppo sostenibile. Il fenomeno è molto complesso ed è guidato da una serie di cause, tra cui il taglio e il commercio illegali di legname figurano tra le principali. I Paesi importatori, tra cui l’Italia, hanno un ruolo importante in tutto questo, importando prodotti legnosi senza assicurarsi che essi siano stati ricavati legalmente. Lorenzo Ciccarese, Per contrastare il fenomeno, nel 2003 l’UE ha adottato il Piano d’azione Forest Law Dipartimento Difesa della Natura dell’APAT Enforcement, Governance and Trade (FLEGT), che abbina misure nei Paesi produttori e in quelli dei consumatori per facilitare il commercio di legno legale ed eliminare quello illegale all’interno dei confini dell’UE. Nel dicembre del 2005, il Consiglio dell’UE ha adottato un Regolamento per l’Azione FLEGT, che prevede la promozione di accordi di partenariato tra l’UE e i Paesi produttori colpiti dal problema, lo sviluppo di politiche per gli acquisti verdi da parte delle pubbliche amministrazioni, il sostegno al settore privato per attivare processi di responsabilità sociale, vigilanza sul tipo di investimenti e dei finanziamenti, l’adozione di codici di buona condotta, la certificazione di parte terza della gestione forestale sostenibile, la rintracciabilità dei prodotti o della responsabilità sociale dell’impresa, gli auditing esterni, il reporting ambientale e sociale. Il FLEGT chiede anche un uso più efficace degli strumenti legislativi esistenti, tra i quali la convenzione CITES (quale la CITES, Convention on Trade in Endangered Species), ma anche l’adozione di nuovi strumenti. La scienza e le istituzioni: quali i ruoli e doveri dell’una e delle altre? L’una ha bisogno delle altre e viceversa, pur nel rispetto dei ruoli e delle responsabilità. Anzi c’è l’esigenza di un maggiore sostegno reciproco e di un collegamento. La scienza deve mantenere il suo profilo di autonomia, ma per questo c’è bisogno che sia autorevole e credibile. Deve inoltre essere in grado di fornire risposte adeguate, solide e possibilmente rapide ai decisori politici e alle istituzioni, che si trovano spesso nella condizione di dover decidere in mancanza di un supporto tecnico-scientifico adeguato. Un esempio interessante in questo senso è rappresentato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change, di cui mi onoro di aver fatto parte. Questo organismo è stato ripetutamente chiamato in causa per fare valutazioni e fornire indicazioni e suggerimenti sul principale problema ambientale che l’umanità si trova ad affrontare: i cambiamenti climatici. E tutte le volte lo ha fatto in maniera credibile, affidabile, integrando il contributo di migliaia di scienziati ed intelligenze, valorizzando il lavoro svolto dalla comunità scientifica internazionale e raccogliendo sempre il consenso dei governi che, per altro, si servono delle valutazioni e della guida dell’IPCC per lo sviluppo delle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici. Il metodo IPCC dovrebbe essere un esempio da seguire anche in Italia, per costruire un rapporto fertile e corretto tra scienza e istituzioni. C’è poi un’altra questione che riguarda il ruolo della scienza nel sostegno delle imprese. C’è, a mio avviso, uno iato profondo tra il mondo della scienza e della ricerca e il mondo delle imprese, che dalla prima non traggono sufficienti benefici per procedere nell’innovazione e nella capacità di reggere la competizione internazionale. Questa deficenza è grave, soprattutto nel nostro Paese, dove operano decine di migliaia di imprese di piccole e medie dimensioni, che non possono permettersi la ricerca fai-da-te. Sarebbe auspicabile che queste imprese partecipino direttamente ai programmi di ricerca. Quali sono le aree del nostro Paese particolarmente a rischio deforestazione? Per fortuna, in Italia, come in altri Paesi europei, la deforestazione è un fenomeno molto limitato, valutabile in qualche migliaio di ettari l’anno (circa 30 mila negli ultimi 10 anni) per: costruire qualche laghetto collinare; aprire nuove strade; fare nuove infrastrutture. In qualche caso si verificano anche fenomeni illegali di conversione di boschi in suoli agricoli, insediamenti produttivi o residenziali. Peraltro, la deforestazione è abbondantemente compensata dalla realizzazione di nuove foreste e, soprattutto, dall’espansione naturale del bosco sui terreni agricoli marginali nei territori montani e costieri. È un processo lento, ma di dimensioni tali che è possibile identificarlo come la più grande trasformazione d’uso del suolo italiano. Alla fine degli anni Cinquanta la superficie forestale italiana non raggiungeva i 5 milioni di ettari, mentre in base ai dati recenti del secondo Inventario forestale nazionale ha superato i 10 milioni di ettari. Un terzo del territorio nazionale è coperto da boschi, una percentuale che fa dell’Italia un Paese forestale al pari di altri del Centro e Nord Europa. Questo non significa che tutto va bene per le foreste nazionali. I principali problemi sono, come è noto, legati agli incendi, soprattutto nel sud del Paese. Un fenomeno probabilmente destinato a diventare sempre più grave, con costi crescenti per la collettività sia in termini di prevenzione e controllo sia, soprattutto, di danno ambientale. Ci sono cause difficilmente modificabili, almeno nel breve-medio periodo. Una di queste è legata ai cambiamenti climatici, come la maggior frequenza di eventi eccezionali: per esempio, periodi estremamente caldi e siccitosi in estate, che si verificano anche nei mesi invernali. Ma ci sono altri fattori di disturbo: l’ozono, che causa danni sulle foreste della Lombardia e sulle pinete che si affacciano sul Tirreno; la diffusione di specie esotiche a scapito di specie native; e, manco a dirlo, i cambiamenti climatici che da qui alla fine del secolo potrebbero alterare significativamente i processi fisiologici della fotosintesi e crescita delle piante, attraverso l’aumento delle temperature medie e la riduzione delle precipitazioni. Le specie forestali dell’orizzonte montano superiore (tra cui l’abete rosso) rischiano molto, anche a causa della ridotta tolleranza degli habitat della flora montana tanto che l’attuale distribuzione delle specie potrebbe cambiare, con la scomparsa di alcune di loro quali il larice, l’abete bianco, il pino nero.

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Assegnati i riconoscimenti della FEE e di Legambiente

TRA BANDIERE BLU E VELE

La Commissione UE ha presentato la Relazione sulle acque di balenazione in Europa

Mentre puntualmente, come ogni anno, a maggio si offrono sempre più numerose ai venti delle coste italiane “Bandiere Blu” e “Vele”, il nostro Paese solo il 30 maggio 2008 ha recepito integralmente la Direttiva 2006/7/CE relativa alla Gestione delle acque di balneazione, che era stata attuata solo nella parte relativa ai parametri di ossigeno disciolto (D. Lgs. n. 94/2007) e che avrebbe dovuto essere trasposta nell’ordinamento legislativo nazionale entro il 24 marzo 2008. Anche se la sua piena attuazione è fissata al 2015 il Decreto Legislativo approvato contiene le istruzioni necessarie per il rispetto dei nuovi adempimenti previsti, alcuni dei quali scattano già nella stagione in corso, come l’individuazione annuale delle acque di balneazione e la loro sottoposizione a un calendario di monitoraggio annuale. La nuova normativa garantisce la coerenza con altre disposizioni legislative comunitarie e, in particolare, con la Direttiva quadro in materia di acque. Essa aggiorna i parametri e le misure di controllo sulla base delle conoscenze scientifiche più recenti e pone maggiormente l’accento sull’informazione del

pubblico per quanto concerne la qualità delle acque delle zone di balneazione. Per zone di balneazione si intendono le aree in cui la balneazione è espressamente autorizzata o non è vietata ed è praticata in maniera consuetudinaria da un ampio numero di bagnanti. Come prevede la stessa Direttiva, la Commissione UE ha presentato il 2 giugno l’annuale Relazione sulle acque di balneazione nell’UE, sulla base dei dati che ogni Paese membro comunica sulle zone di balneazione costiere ed interne, situate nel loro territorio. Nel 2007 sono state monitorate 21.368 zone di balneazione, un numero leggermente superiore rispetto a quello precedente, di cui 14.551 zone costiere e 6.797 zone interne. Per la verifica della qualità delle acque di balneazione vengono effettuati test sulla base di una serie di parametri fisici, chimici e microbiologici, per i quali la Direttiva fissa valori imperativi, anche se gli Stati membri possono adottare norme più severe o decidere di seguire valori guida non obbligatori. Dalla relazione emerge che nel 2007 le zone di balneazione costiere che

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soddisfano i valori UE sono il 95,2%, percentuale di circa 1 punto inferiore a quella del 2006, come pure in leggera flessione sono le località costiere che rispettano i valori guida più severi, ma non obbligatori, fissati dalla Direttiva (dall’88,4% del 2006, all’86,1% del 2007: il secondo caso del genere che si registra da vari anni). Sono invece stabili i risultati relativi alle località di balneazione interne per il tasso di osservanza dei valori imperativi; sono scesi leggermente quelli dei valori guida che sono passati dal 63,9% del 2006, al 62,7% del 2007. Questi dati sono stati così commentati dal Commissario per l’Ambiente Stavros Dimas: “Malgrado un lieve deterioramento osservato nelle zone di balneazione costiere, la qualità delle acque di balneazione nell’Unione Europea si mantiene elevato. Invito gli Stati membri a proseguire gli sforzi tesi a raggiungere la piena osservanza delle norme da parte di tutti i siti di balneazione, interni e costieri. Sono lieto di constatare una diminuzione del numero dei siti cancellati dagli elenchi sottoposti ad analisi, che sfuggono in tal modo ai controlli ufficiali”.


Dimas si riferisce al tentativo di alcuni Paesi membri, tra cui l’Italia, alla quale la Commissione nel 2006 aveva inviato, come ad altri 10 Stati, una diffida, di sopprimere alcune zone di balneazione sottoposte a controlli secondo le norme comunitarie, anziché risolvere i problemi dell’inquinamento. Nel 2007 gli Stati membri hanno cancellato un totale di 143 località di balneazione dagli elenchi nazionali, con un incoraggiante calo del 44% rispetto al precedente anno. I campionamenti vengono effettuati ogni 4 settimane, secondo un calendario prefissato per un numero minimo di 4 campioni all’anno, Le analisi riguardano due parametri: gli enterococchi intestinali e l’Escherichia coli. Quattro sono i livelli di qualità dell’acqua: scarsa, sufficiente, buona ed eccellente. Se la valutazione è risultata scarsa, l’area è sottoposta a divieto di balneazione per 5 anni. Per quanto riguarda l’Italia il 92,9% delle acque costiere rispetta i valori imperativi, in diminuzione rispetto al 2006 (93,4%). Delle aree sottoposte a controllo, 18 non si uniformavano a questi valori. Con riferimento ai fiumi e laghi l’indice di conformità è invece del 65,6%, con il 4,1% in più rispetto al 2006. Si deve tuttavia osservare che i punti di campionamento in Italia danno maggior garanzia di quelli che si svolgono in altri Paesi europei, sia per quantità (circa 1/3 di tutti quelli che vengono svolti in Europa) sia per qualità, dal momento che molti dei luoghi di campionamento sono foci di fiumi o sbocchi in mare di corsi d’acqua (in Europa non c’è tale obbligo) che, ovviamente, tendono a far aumentare il numero delle acque non balneabili. Per offrire un’ampia e corretta informazione sulle acque di balneazione in Europa, la Commissione UE e l’Agenzia Europea per l’Ambiente hanno messo a punto WISE (Water Information System for Europe), uno strumento interattivo su Internet che permette di poter avere un quadro della qualità della acque di balneazione in Europa, per Paese, Regione e Provincia, attraverso la visualizzazione cartografica e la possibilità di scaricare i dati secondo varie modalità, all’indirizzo: http://water.europa.eu/bathingwater.

(Foundation for Environmental Education) per il 2008. Distribuite sulle località balneari di 104 comuni e 56 approdi turistici, dislocati su tutto il territorio nazionale. In rapporto con gli altri Paesi del Mediterraneo, l’Italia si trova anche quest’anno al secondo posto dopo la Spagna (121 Comuni) e prima della Francia, Grecia e Turchia. La Campagna Bandiere Blu, da sempre condotta in stretta collaborazione con il COBAT (Consorzio Obbligatorio per la raccolta e il riciclo delle Batterie al piombo esauste) giunta quest’anno

Sono complessivamente 215 le Bandiere Blu assegnate all’Italia dalla FEE

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alla sua XXII edizione, premia le località marine che si sono impegnate concretamente nel miglioramento dello stato dell’ambiente, promuovendo un turismo sostenibile. Per la scelta delle località, alle quali assegnare la Bandiera Blu 2008, la FEE Italia ha operato attraverso una giuria composta da rappresentanti del COBAT, del COOU (Consorzio Obbligatorio Oli Usati), di funzionari ed esperti della Direzione del Turismo, del Ministero delle Attività Produttive, del Comando dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente, del Comando Generale


delle Capitanerie di Porto, dell’ENEA, dell’APAT, dei sindacati balneari SIBConfcommercio e FIBA-Confesercenti, dell’Associazione Nazionale Approdi Turistici (ASSONAT-Federnautica). La XXII Edizione della Manifestazione ha premiarto le Amministrazioni che maggiormente si sono impegnate a migliorare lo stato dell’ambiente, promuovendo un turismo sostenibile. Al fine della valutazione, sono stati presi in considerazione: - i dati sulle acque di balneazione; - l’esistenza ed il grado di funzionalità degli impianti di depurazione; - un regolare smaltimento dei rifiuti con particolare riguardo alle raccolte differenziate e relativo riciclaggio; - le iniziative ambientali promosse dalle amministrazioni; - la cura dell’arredo urbano e delle spiagge; - il sostegno a programmi di educazione ambientale diretti alle scuole ed ai cittadini con l’organizzazione di convegni, mostre e formazione attinenti problematiche ambientali. Il primato quest’anno è diviso a pari merito tra due regioni: Toscana e Marche con 15 bandiere. Seguono Liguria (14), Abruzzo (13), Campania (11). Per gli approdi turistici la Regione con il maggior numero di vessilli conseguiti è il Friuli-Venezia Giulia (12), seguita da Liguria (11) e Sardegna (9).

Principali criteri per assegnare questo importante riconoscimento alle spiagge: - assoluta validità delle acque di balneazione; - nessuno scarico di acque industriali e fognarie nei pressi delle spiagge; - elaborazione da parte dei Comuni di un piano per eventuale emergenza ambientale; - elaborazione da parte del Comune di un piano ambientale per lo sviluppo costiero; - acque senza vistose tracce superficiali di inquinamento (chiazze oleose, sporcizia, ecc.); - spiagge allestite con contenitori per rifiuti in numero adeguato; - spiaggia tenuta costantemente pulita; - dati delle analisi delle acque di balneazione a disposizione; - facile reperibilità delle informazioni sulla Campagna Bandiere Blu d’Europa; - iniziative ambientali che coinvolgano turisti e residenti - servizi igienici in numero adeguato nei pressi della spiaggia; - collocamento di salvagenti ed imbarcazioni di salvataggio; - assoluto divieto di accesso alle auto sulla spiaggia; - assoluto divieto di campeggio non autorizzato; - divieto di portare cani sulla spiaggia; - facile accesso alla spiaggia; - rispetto del divieto di attività che costituiscono pericolo per i bagnanti; - equilibrio tra attività balneari e rispetto della natura; - servizi di spiaggia efficienti; - accessi facilitati per disabili; - fontanelle di acqua potabile; - telefoni pubblici dislocati vicino alla spiaggia.

Principali criteri per gli approdi turistici: - le acque del porto e quelle prospicienti non sono visivamente inquinate; - fognature non sversano nel porto; - presenza di attrezzature per la raccolta di residui di olio, vernici e prodotti chimici; - salvagenti e attrezzature di pronto intervento; - informazioni ambientali fornite dalla Direzione; - informazioni relative alla Campagna Bandiere Blu fornite dalla Direzione; - possibilià di smaltire le acque di sentina e delle toilettes delle imbarcazioni; - accorgimenti per lo smaltimento dei residui di lavorazione cantieristica; - luci ed acqua potabile in banchina.

Isola del Giglio (LI), spiaggia delle Caldane

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Alle Bandiere Blu si sono succedute le Vele di Legambiente e Touring Club, in contemporanea alla presentazione della “Guida Blu 2008” avvenuta a fine maggio, che quest’anno ha recensito 286 località balneari, a cui sono state assegnate da un minimo di 1 Vela a un massimo di 5, premiando non solo la qualità del mare e l’attrattiva del paesaggio, ma anche la corretta gestione del territorio, gli interventi e le politiche rispettosi dell’ambiente e l’efficienza dei servizi offerti. È bene specificare che tutte le località prese in considerazione hanno totalizzato un punteggio superiore alla sufficienza: come dire che ognuna delle 286 località presenti nella Guida Blu merita di essere scelta come meta per una vacanza più o meno breve, per una gita durante il fine settimana o almeno per una visita. I risultati della classifica finale, dunque, possono vedere località naturalisticamente più significative delle prime 10, ma magari non offrono servizi turistici di eccellenza; viceversa altre impeccabili nell’accoglienza, hanno un territorio marino e costiero, purtroppo, più o meno seriamente compromesso. Molto opportunamente, Legambiente all’uscita della Guida, ha diramato una nota con la quale chiarisce le differenze tra le Bandiere Blu e le Vele. “Entrambi i riconoscimenti, le vele di Legambiente e le bandiere blu della FEE (Foundation for Environmental Education) sono assegnati sulla base di una serie di criteri ambientali che tengono conto, fra l’altro, della qualità delle acque di balneazione. Da tempo Legambiente denuncia che il riconoscimento delle FEE esclude puntualmente dalla sua classifica ben 2000 chilometri di litorale italiano, sui circa 6000 dedicati alla balneazione, paradossalmente proprio quelli con il mare più pulito. Per rientrare infatti nella sua classifica la FEE, pretende che i comuni costieri effettuino almeno 12 prelievi durante l’anno senza tenere conto che i comuni con le acque di balneazione più pulite possono dimezzare questo numero di prelievi, così come previsto dalla normativa italiana sulla base delle indicazioni della normativa europea. Questo fa si che vengano esclusi dalla classifica della FEE oltre duemila chilometri di costa concentrati prevalentemente in Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia e Toscana. E questo spiega perché - ad esempio - in Sardegna ne sventola solo

LE 5 VELE Località

Regione

Punteggio

1

Isola del Giglio (GR)

Toscana

81,41

2

Pollica Acciaroli e Pioppi (SA)

Campania

80,29

3

Cinque Terre (SP)

Liguria

80,07

4

Capalbio (GR)

Toscana

77,74

5

Nardò (LE)

Puglia

77,64

6

Castiglion della Pescaia (GR)

Toscana

77,22

7

Domus de Maria Chia (CA)

Sardegna

77,05

8

Isola di Salina (ME)

Sicilia

76,84

9

Baunei Ogliastra (NU)

Sardegna

76,54

10

Posada (NU)

Sardegna

76,03

una mentre regioni molto strutturate ed esperte in relazioni pubbliche come il Veneto, il Friuli Venezia Giulia, l’Emilia Romagna le Marche o l’Abruzzo pullulano di Bandiere Blu. C’è inoltre un elemento che differenzia sostanzialmente l’iniziativa di Legambiente e Touring Club. Infatti, Legambiente ha deciso da tempo di associare ai dati statistici degli organi ufficiali un controllo diretto sul posto delle situazioni delle località realizzato dalle strutture locali e regionali dell’associazione e dalle equipe di tecnici delle sue campagne (ad esempio Goletta Verde) per fornire una guida turistico/ambientale della quale si assume la piena responsabilità. Diversamente la Federazione Europea dell’Ambiente (Associazione che si occupa di attività del tempo libero con base in Danimarca) si basa, come è noto, su dati forniti dagli organi

ufficiali e sui questionari autocertificati dalle stesse autorità locali”. Anche quest’anno la classifica evidenzia il valore delle aree protette. Ben 5 su 10 classificate al top sono infatti situate all’interno di parchi nazionali o regionali, a dimostrazione che queste realtà costituiscono un sistema dinamico, tutt’altro che ingessante. La Sardegna, con 14 località costiere che ottengono i più alti riconoscimenti, (5 e 4 Vele), si conferma la migliore delle regioni italiane. Seguono poi, Toscana (11) e Sicilia (9). Tra le località ha conquistato il gradino più alto un’intera isola, l’Isola del Giglio per l’ottima sostenibilità e la tutela dell’ecosistema terrestre e costiero e per aver prestato particolare attenzione al verde pubblico, alla raccolta differenziata e alla mobilità sostenibile.

I parametri presi in esame per stilare la classifica di Guida Blu possono essere suddivisi grosso modo in due categorie: la qualità dei servizi ricettivi e la qualità ambientale del territorio. Complessivamente gli indicatori (128), provenienti da numerose banche dati tra cui ISTAT, Ancitel, SIST, Cerved, Ministero della Salute, ENIT, Touring Club Italiano, ENEL, Istituto Ambiente Italia e naturalmente da Legambiente, sono raggruppati in macroaree secondo i requisiti chiave definiti in ambito europeo anche con il contributo della Associazione VISIT. In particolare le macroaree sono le seguenti: 1) Uso del suolo, degrado del paesaggio, biodiversità, attività turistiche. 2) Stato delle aree costiere. 3) Accessibilità alle destinazioni e mobilità locale. 4) Consumo e produzione di energia. 5) Consumi idrici e sistemi di trattamento delle acque reflue. 6) Produzione e gestione dei rifiuti. 7) Iniziativa per il miglioramento della sostenibilità. 8) Sicurezza alimentare e produzioni tipiche di qualità. 9) Opportunità e qualità della vacanza. 10) Struttura sanitaria e sociale.

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CNR - Dipartimento Terra e Ambiente

“LE SCIENZE DELLA TERRA PER LA SOCIETÀ” Informare su conseguenze e benefici che derivano dalla scelte politiche di AA.VV.

Come ricordato nell’articolo “Inaugurato l’Anno Internazionale del Pianeta Terra” a pag. 24, sono numerose le iniziative svolte e programmate per celebrare l’evento. Tra le tante vogliamo segnalare la Conferenza dal titolo “Le Scienze della Terra per la Società”, organizzata dal CNRDipartimento Terra e Ambiente (DTA) che si è svolta a Roma il 22 e 23 maggio. Il Dipartimento Terra e Ambiente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, oltre a fornire con i propri studi delle risposte ad alcuni dei problemi che quotidianamente la Società rivolge a chi è deputato a tale missione, ha anche il compito di offrire alla popolazione una informazione corretta sulle conseguenze o i benefici che derivano dalle scelte operate dai decisori politici, sia in termini di restrizioni delle proprie libertà sia per i costi che presuppongono. Oltre ad avviare una discussione sulle prospettive scientifiche, sulle conoscenze e capacità acquisite dal CNR in questa macroarea di importanza fondamentale per la corretta gestione delle risorse del Pianeta, la Conferenza è stata occasione per valorizzare gli studi compiuti dal Dipartimento. Nella prima delle 2 Giornate si sono alternate le relazioni su: - Cambiamenti globali e relativi impatti (mattino); - Qualità ambientale e gestione sostenibile delle risorse (pomeriggio). Il secondo giorno è stato dedicato a: - Sistema terra e geodinamica (mattino); - Rischi e metodologia di osservazione della Terra (mattino); - Progetti interdipartimentali (pomeriggio). Delle relazioni presentate nel corso della Conferenza, aperta e chiusa dagli interventi del Direttore DTA, Giuseppe Cavarretta, riportiamo le sintesi gentilmente concesse dal Consiglio Nazionale delle Ricerche - Dipartimento Terra e Ambiente.

Presentazione SCIENZA E RESPONSABILITÀ Giuseppe Cavarretta, Direttore DTA In passato il ricercatore lavorava principalmente per soddisfare la propria innata curiosità, così determinando grandi avanzamenti di conoscenza. Oggi la vocazione naturale di chi fa ricerca resta fondamentale per il progresso della scienza, ma sono sempre più forti le sollecitazioni, provenienti dai più alti livelli istituzionali a partire dall’ONU, dall’Unione Europea e dai Governi nazionali, a orientare i programmi verso la fornitura di soluzioni ai problemi della Società. La scienza si coniuga quindi con la responsabilità. La responsabilità di fornire ai decision maker le conoscenze più affidabili, fondate cioè su solide basi di ricerca, per le scelte che condizioneranno il futuro dell’umanità. Beninteso, la vocazione del CNR non è fare applicazioni della ricerca, per questo ci sono le Imprese a cui lo stesso CNR può partecipare per realizzare un efficace trasferimento tecnologico. Si tratta piuttosto di fare scienza per la Società, anticipando ove possibile le domande che essa pone e porrà in riguardo alle grandi problematiche riguardanti l’energia, l’ambiente, l’alimentazione, la salute dell’uomo, e altre. Il Dipartimento Terra e Ambiente, meglio identificato come l’insieme degli Istituti e ricercatori che in esso si coordinano, ha l’enorme responsabilità di fornire con i propri studi le risposte che quotidianamente i decisori, ma anche le persone comuni, pongono al sistema-ricerca di cui il CNR è parte molto rilevante e riconosciuta. Queste risposte devono risultare adatte in termini di efficacia delle soluzioni, anche in termini di costo, di durabilità, di preservazione della qualità ambientale e di mitigazione degli effetti delle attività antropiche sull’ambiente, di incremento generale della sicurezza, di beneficio per il sistema produttivo e in generale di aumento del benessere sociale. Oltre alla produzione di conoscenza e di strumenti di decisione da fornire a chi governa, il ricercatore che lavora nell’area tematica delle scienze della Terra e dell’ambiente ha anche l’enorme responsabilità di informare compiutamente le popolazioni sulla qualità e sugli effetti delle scelte che verranno adottate dai decision maker, in particolare su quelle che i cittadini dovranno sopportare in termini di limitazioni delle proprie libertà e di costi della loro attuazione. Si tratta cioè di svolgere il ruolo essenziale di “testimone” e anche di “comunicatore”, del tutto indipendente dai poteri politici ed economici, assolutamente terzo rispetto alle Parti che spesso si contrappongono nell’adozione delle scelte sull’uso del territorio, sullo sfruttamento delle risorse, sulla mitigazione dei rischi naturali, e addirittura sui modelli di organizzazione che possono modificare gli stili di vita dei cittadini. È una funzione vitale nella Società moderna, per

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alimentare il dialogo con le popolazioni e possibilmente facilitare l’ottenimento del consenso, ad esempio sulla realizzazione delle grandi opere, e se ne hanno esempi quotidiani anche sui media. Il prestigio delle istituzioni di ricerca e dei ricercatori stessi si accresce anche con la qualità ed efficacia dell’informazione/ comunicazione responsabile sui temi più sensibili. Il principio di responsabilità del ricercatore è peraltro raccomandato in modo autorevole e condiviso dalla Carta Europea dei Ricercatori, che ribadisce l’importanza della figura professionale del ricercatore e dell’immagine che la Società deve avere del suo lavoro. Il motto che ha ispirato questa Conferenza, “Le scienze della Terra per la società”, è quello adottato per l’Anno Internazionale del Pianeta Terra che è stato proclamato dall’Assemblea Generale dell’ONU e lanciato dall’Unesco il 12-13 febbraio 2008 a Parigi. Si discute di indirizzi scientifici su cui impostare i programmi di ricerca del DTA per il prossimo triennio, valorizzando le competenze degli Istituti in un sistema di networking, partenariato e internazionalizzazione della ricerca. Il programma della conferenza non è esaustivo delle problematiche e delle priorità scientifiche che sono alla base dei progetti del Dipartimento. Ulteriori approfondimenti verranno realizzati in workshop tematici di prossima organizzazione, anche in dialogo con i partner e con fruitori istituzionali e privati delle ricerche.

Cambiamenti globali e relativi impatti CAMBIAMENTI GLOBALI: LA NECESSITÀ DI UN APPROCCIO INTERDISCIPLINARE Sandro Fuzzi ISAC (Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, Bologna) Le attività dell’uomo stanno cambiando l’ambiente del pianeta in modo profondo ed in alcuni casi irreversibile. Questi cambiamenti a scala planetaria (cambiamenti globali) sono dovuti non solo all’immissione di materiale inquinante nell’ambiente, ma anche ai cambiamenti nell’uso del territorio ed alla perdita di habitat e riduzione della biodiversità. L’intervento umano sta avvenendo ad una velocità così elevata da causare profondi cambiamenti dei processi dai quali dipendono il clima e la stessa vita sulla terra. Studiare i cambiamenti globali consiste nel valutare, tramite modelli e misure sperimentali, i cambiamenti, dovuti a cause naturali ed antropiche, che influenzano il funzionamento del Sistema Terra e di prevederne gli effetti sull’ambiente, il clima e gli ecosistemi. I cambiamenti globali sono infatti molto più del solo cambiamento climatico e non riguardano solo gli aspetti biogeochimici, ma anche quelli socio-economici. Lo studio dei cambiamenti globali è tradizionalmente avvenuto “scomponendo” il Sistema Terra nelle sue parti (approccio riduzionistico). È necessario però anche un approccio sistemico per ricomporre il quadro completo ed osservare il Sistema Terra nella sua interezza. Vi è intanto un’imprescindibile necessità di monitorare i cambiamenti mediante osservazioni a lungo termine, che è però difficile attuare per costante scarsità di risorse. Un esempio per tutti è la famosa “curva di Keeling” sull’andamento della concentrazione di CO2 misurata a Mauna Loa, uno dei risultati più importanti della scienza del XX secolo. Nonostante l’evidente importanza di questa attività, il lavoro

di Keeling è stato spesso messo in discussione, come prova il gap dei dati nel 1964, per mancanza di finanziamenti. La ricerca in questo settore in Italia è troppo spesso disciplineoriented (approccio riduzionistico) e soffre di una carente interdisciplinarietà a causa dei troppo rigidi steccati disciplinari presenti nel sistema università/ricerca. Mentre si sta faticosamente realizzando l’integrazione fra discipline quali la fisica, la chimica, la biologia, la geologia e fra i diversi comparti (atmosfera, oceano, ecosistemi terrestri), molto carente è tuttora il collegamento fra le attività sperimentali e quelle modellistiche la cui integrazione è importante per fornire la necessaria sintesi dei risultati. Ancora molto lontana appare peraltro l’integrazione con le scienze sociali ed economiche, necessaria perché la ricerca possa fornire le risposte richieste dalla società. L’interdisciplinarietà della ricerca presuppone inoltre una stretta collaborazione all’interno del CNR per ottimizzare il bilancio delle competenze e per ottenere la necessaria massa critica, ma è anche indispensabile una effettiva collaborazione con altri Enti che operano nel settore (Università, ENEA, INGV, OGS, ecc.). All’interno del DTA, la ricerca sui cambiamenti globali raccoglie ad un tempo la minor quota di finanziamenti nazionali e la maggiore quota di finanziamenti internazionali, in gran parte fondi europei. È quindi importante, accanto alla doverosa opera di promozione della ricerca a livello nazionale, accrescere la competitività in campo europeo. Infatti, pur avendo i ricercatori CNR un buon risultato di accesso ai fondi europei, troppo spesso questo avviene per “aggregazione” ad iniziative di altri. Vanno creati i presupposti perché i ricercatori CNR possano essere proponenti di queste azioni, con un migliore ritorno economico ez di prestigio. È quindi di vitale importanza che ricercatori CNR siano presenti negli organismi di coordinamento della ricerca internazionale, per contribuire a determinarne l’agenda. Va infine segnalata una interessante partnership pubblico-privato nel settore della ricerca sui cambiamenti globali: l’URT Ev-K2-CNR che rende possibile la partecipazione CNR a progetti internazionali in Asia, una delle aree più soggetta ai cambiamenti indotti dall’attività antropica.

VULNERABILITÀ ED INTERAZIONI NEGLI ECOSISTEMI TERRESTRI Francesco Loreto, IBAF (Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale, Monterotondo, Roma) I più recenti risultati della ricerca sui cambiamenti globali hanno confermato che la concentrazione di gas serra nell’atmosfera va inaspettatamente crescendo a ritmi di anno in anno più elevati (per esempio, 1.9 ppm all’anno nel 2006), oltre i più pessimistici scenari dell’IPCC. D’altra parte, si sta progressivamente riducendo il contributo degli oceani come sistema di assorbimento naturale dei gas serra che pertanto si accumulano a ritmi accelerati nell’atmosfera, amplificando il loro effetto di forzanti radiativi (effetto serra). Gli ecosistemi terrestri stanno diventando sempre più l’elemento chiave nel bilancio del carbonio a livello globale e quindi un fondamentale sistema di mitigazione e regolazione climatica a livello globale. L’effetto di mitigazione delle foreste e degli altri ecosistemi terrestri è però messo in pericolo dalla loro vulnerabilità nei confronti dei cambiamenti climatici e degli eventi estremi in particolare, che si sono fatti sempre più

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frequenti negli ultimi 20 anni. Sarà quindi decisivo, per la salvaguardia della biosfera, determinare le interazioni, i complessi meccanismi di regolazione e i segnali ecologici che vengono scambiati tra ecosistemi terrestri e atmosfera per prevedere e, se possibile, ampliare le fondamentali azioni di mitigazione, adattamento e miglioramento dell’ambiente svolte dagli ecosistemi terrestri. L’aumento di CO2, inquinanti, e temperatura, e la diminuzione della disponibilità idrica, impattano in maniera combinata sul metabolismo primario e secondario delle piante. La fotosintesi risponde positivamente all’aumento di CO2 ma alte temperature, esposizioni acute o croniche ad inquinanti di aria, acqua e suolo, e ricorrenti stress idrici, possono ridurre la capacità di fissare CO2 e la produttività primaria dei principali ecosistemi, specialmente in zone ecologicamente fragili ed esposte alla desertificazione, come l’intero bacino Mediterraneo. I cambiamenti climatici modificano anche il metabolismo secondario alla base del rilascio da parte delle vegetazione di composti organici volatili (VOC). I VOC, ed in particolare gli isoprenoidi volatili, consentono alle piante di “interagire” con le altre componenti degli ecosistemi, difendendole in particolare da stress biotici ed abiotici, e favorendone i meccanismi riproduttivi per impollinazione entomofila. L’estrema reattività dei VOC biogenici rende inoltre questi composti importanti nel regolare i meccanismi di ossidazione dell’atmosfera, la conseguente formazione di ozono e particolato, e l’accumulo di gas serra. Anche i VOC sono influenzati, seppure in maniera opposta rispetto alla fotosintesi, dall’incremento di CO2 e temperatura. L’impatto combinato di questi fattori ambientali è tutt’ora sconosciuto ma i più recenti modelli indicano che, almeno per quanto riguarda l’emissione del più abbondante dei VOC, l’isoprene, i cambiamenti climatici e l’aumento di eventi estremi (ad esempio di incendi boschivi) provocheranno un considerevole aumento dell’emissione a livello europeo. Un aumento delle emissioni di isoprenoidi può incrementare le proprietà ossidative dell’atmosfera ma può anche favorire la difesa delle piante da stress ossidativi e termici, e, evolutivamente, può portare alla selezione di piante adattate all’ambiente grazie ad una maggiore espressione di questo importante tratto. Queste ricerche, largamente interdisciplinari e di impatto globale, sono finanziate dai programmi EC Environment, Marie CuriePeople Research and Training Network e Industry-Academia Partnership and Pathway, dall’European Science Foundation - Life and Environmental Sciences Committee, e costituiscono una delle principali attività di rilevanza internazionale del Dipartimento Terra e Ambiente del CNR. È auspicabile che la riconosciuta eccellenza della ricerca del CNR in questo settore venga supportata finanziariamente anche con progetti interni e di impatto territoriale a livello regionale e nazionale.

RETI OSSERVATIVE MARINE: CAMBIAMENTI GLOBALI E BIODIVERSITÀ Mariangela Ravaioli ISMAR (Istituto di Scienze Marine, Bologna) Il pianeta Terra è un sistema complesso in cui le varie componenti (atmosfera, idrosfera/criosfera, litosfera e biosfera) interagiscono attraverso il trasferimento di energia e materia a scale temporali e spaziali variabili. L’impatto antropico

si sovrappone a questa complessità e influenza numerose componenti del sistema. Gli studi che vengono effettuati nell’area mediterranea si propongono di contribuire alla comprensione del funzionamento del Sistema Terra, con riferimento sia ai cambiamenti che si sono succeduti nel passato geologico che a quelli avvenuti in tempi più recenti e su scale temporali brevi (secoli-stagioni). Gli oceani giocano un ruolo centrale nell’evoluzione del sistema climatico. Le zone costiere, in particolare, sono fondamentali per l’equilibrio della vita nell’intero pianeta, poiché i grandi quantitativi di materia organica che in esse si generano sostengono il corretto assetto della catena alimentare marina. Gli organismi marini svolgono ruoli cruciali in molti processi biogeochimici fondamentali per la biosfera. Tuttavia le conoscenze sulla biodiversità marina sono, a livello globale, estremamente più scarse rispetto a quelle relative agli ecosistemi terrestri. Ciò è principalmente imputabile alla maggiore difficoltà di studio dell’ambiente marino, che richiede metodi di osservazione decisamente più complessi e costosi rispetto agli ecosistemi terrestri. Gli studi più recenti stanno dimostrando che solo serie temporali estese sono in grado di documentare fenomeni complessi che sono il risultato dell’azione combinata di fattori fisici, chimici e biologici. Le serie temporali sono in grado di “svelare” meccanismi e processi altrimenti non evidenziabili. Permettono inoltre di collocare eventi a breve termine nel contesto della dinamica e dell’evoluzione generale del bacino. La comunità scientifica italiana ha messo in piedi una struttura osservativa (monitoraggio in tempo reale e previsione a breve termine) che costituisce un patrimonio per la Nazione, sia per le competenze umane sviluppate, sia per la strumentazione impiegata che per la quantità di dati raccolti e che ha dimostrato la sua funzionalità nell’ambito di diversi progetti europei ed internazionali. Oggi risulta quanto mai necessario che si configuri un coordinamento a livello italiano di queste attività attualmente finanziate per lo più dagli Enti interessati su progetti di ricerca o fondi istituzionali. L’obiettivo generale è la sistematica raccolta di dati multidisciplinari su scala temporale pluri-decennale al fine di identificare, comprendere e prevedere gli effetti dei cambiamenti climatici sull’ambiente marino, le ricadute sulla biodiversità e la gestione della sicurezza del mare. Progetti internazionali, nazionali, e regionali hanno sviluppato sistemi osservativi in Mediterraneo e nei mari italiani con particolare rilevanza in Adriatico, nel quale le risposte a vari forzanti (terrigeno-antropico, meteo-climatico, avvettivo) generano segnali intensi e misurabili tali da ritenere quest’area come uno dei più interessanti sensori climatici del Mediterraneo; lo Stretto di Otranto, il Canale di Sicilia ed il Canale di Corsica, le cui serie temporali attualmente in corso testimoniano l’importanza di questi siti a scala di bacino; il Mar Ligure, connesso al sistema Liguro-Provenzale, uno dei motori convettivi del Mediterraneo, sede di formazione di acque dense e di primaria importanza biologica (Santuario dei Cetacei). Gruppi nazionali sono operativi nella gestione di reti osservazionali marine: LTER (Long Term Ecological Research) inerente la biodiversità ed i cambiamenti climatici e GNOO (Gruppo Nazionale di Oceanografia operativa) che sta proponendo un’estesa progettualità sulla parte connessa con il forecast marino. Appare fondamentale la costituzione di reti di ricerca tra loro coordinate sulla biodiversità e il

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funzionamento dell’ecosistema marino per prevederne le variazioni e tradurle in termini economici e sociali.

CAMBIAMENTI GLOBALI E ACQUE INTERNE Aldo Marchetto ISE (Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, Verbania Pallanza) La risposta delle acque interne ai cambiamenti climatici globali dipende dalla tipologia dei corpi idrici interessati: nel caso dei fiumi dell’area alpina, ad esempio, l’effetto più evidente è rappresentato dal progressivo aumento della temperatura delle acque. Al contrario, i laghi profondi, che contengono più del 90% delle riserve nazionali di acqua dolce, hanno risposto ai cambiamenti climatici con un incremento della stabilità della loro stratificazione termica: il completo e regolare rimescolamento delle loro acque per moti convettivi è divenuto, a partire dagli anni ’70, un fenomeno molto improbabile. L’isolamento delle acque profonde per lunghi periodi comporta a sua volta l’accumulo di inquinanti e aumenta il rischio di anossia. In questo settore è evidente la necessità di uno sforzo di ricerca per collegare le serie temporali pluridecennali di variabili intensive (come la temperatura o la concentrazione di ossigeno disciolto) con modelli predittivi, anche attraverso l’uso di misure in continuo ad elevata risoluzione spaziale e temporale. Infine, l’aumento della temperatura superficiale dei laghi profondi ha provocato negli ultimi anni lo sviluppo di fioriture di cianobatteri, alcuni dei quali potenzialmente produttori di sostanze pericolose per la salute umana. Essi si sviluppano normalmente a causa di livelli eccessivi di nutrienti, ma si sono diffusi negli ultimi anni nei grandi laghi nell’Italia settentrionale, nonostante le loro condizioni trofiche siano accettabili. Le condizioni ambientali che favoriscono tali fioriture e le modalità per frenarle costituiscono quindi un importante tema di ricerca applicata nel futuro immediato. Lo studio dell’interazione tra la variabilità climatica e le caratteristiche delle comunità biotiche nei laghi ha anche un interesse gestionale nell’applicazione della normativa europea sulla qualità delle acque, che richiede di adottare le misure necessarie per riportare i corpi idrici in buone condizioni di qualità, paragonabili a quelle precedenti lo sviluppo industriale. La ricerca può indicare se le condizioni del secolo scorso, con temperature nettamente più basse, rappresentino un obiettivo gestionale raggiungibile nella situazione attuale. I cambiamenti climatici influiscono anche sui laghi di alta montagna, che costituiscono un’importante riserva di biodiversità grazie alla minore pressione umana che li ha interessati nei decenni scorsi. Recentemente infatti è stata messa in luce una netta differenza tra quelli che rimangono coperti dal giaccio meno o più di sei mesi. Nei primi, la produzione primaria è infatti sostenuta da alghe microscopiche (fitoplancton) e il flusso energetico procede attraverso la catena alimentare verso lo zooplancton ed eventualmente i pesci, mentre nei secondi i produttori primari comprendono prevalentemente protisti mixotrofi, e le componenti eterotrofe principali sono quelle del microbial loop, con una prevalenza di batteri e protozoi ciliati. La riduzione del periodo di copertura glaciale minaccia direttamente le comunità tipiche del secondo gruppo di laghi, e la ricerca

dovrà individuare l’entità del fenomeno e le eventuali misure di protezione da intraprendere per conservare la biodiversità di questi ambienti delicati. Infine, un importante tema di ricerca è rappresentato dall’interazione tra la quantità e la qualità delle acque dei fiumi che tendono ad assumere un carattere tipicamente mediterraneo. La risposta dei laghi alle variabili climatiche è stata usata con successo per misurare la variabilità climatica nel passato, attraverso lo studio dei loro sedimenti, che permette ricostruzioni paleoambientali con risoluzione decennale o annuale. Questi risultati possono essere usati per la calibrazione e la validazione dei modelli climatici, ma è ancora necessario uno sforzo di ricerca che permetta di rendere compatibili le ricostruzioni su grande scala dei modelli climatici con le ricostruzioni puntuali ottenute a partire dai sedimenti lacustri.

LE RICERCHE SUL PALEOCLIMA Carlo Barbante, IDPA (Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali, Venezia) Le ricerche sul paleoclima utilizzano i cambiamenti di alcuni indicatori sensibili alle variazioni climatiche per cogliere i cambiamenti del clima globale nel passato su scale di tempo che vanno da decine a milioni di anni fino agli anni più recenti. Questi dati indiretti (per es. le variazioni nei rapporti isotopici di idrogeno ed ossigeno, o il contenuto di elementi chimici nelle carote di ghiaccio) possono essere influenzati sia da variazioni della temperatura locale, sia da altri fattori come le precipitazioni; spesso sono rappresentativi di una particolare stagione piuttosto che di anni interi. Gli studi più recenti hanno aumentano di molto l’affidabilità di questo tipo di misure attraverso dati sempre più accurati che hanno mostrato un comportamento coerente di indicatori multipli in diverse parti del mondo. In ogni caso, le incertezze generalmente aumentano andando indietro nel tempo, a causa di una crescente copertura spaziale limitata ed ad una difficoltà ad avere archivi ambientali e climatici che abbiano una opportuna risoluzione temporale.

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Uno dei risultati più importanti al quale i ricercatori del CNRIDPA hanno recentemente contribuito è stata la ricostruzione paleoclimatica ed ambientale nel corso degli ultimi 800,000 anni mediante l’analisi chimica ed isotopica di una carota di ghiaccio prelevata in Antartide nell’ambito del progetto EPICA. I risultati, riportati in figura, hanno evidenziato come esistano dei meccanismi complessi che regolano le variazioni di CO2 durante i periodi glaciali ed inter-glaciali (Wolff et al., 2006) e che sono influenzati principalmente dalle variazioni nella concentrazioni di elementi bioattivi, quali il ferro, dalle variazioni di temperatura, di salinità e circolazione oceanica e dalla chimica dei carbonati. Se si vogliono ottenere delle informazioni su scale temporali più recenti e comunque più legate al nostro territorio, in modo da mettere in una giusta prospettiva i cambiamenti climatici in atto, è fondamentale sfruttare gli archivi climatici locali, allo scopo di individuare gli effetti regionali sul clima e le possibili amplificazioni degli stessi effetti. A questo proposito, le nostre Alpi offrono spunti importantissimi sia per quello che riguarda i tempi antichi sia le epoche più recenti, offrendo informazioni molto dettagliate e per periodi di tempo che coprono l’intero ultimo ciclo glaciale-interglaciale, iniziando con l’interglaciale Eemiano fino all’Olocene. Tali archivi, lacustri, glaciali e terrestri presenti nelle nostre Alpi, rappresentano quindi quanto di meglio per comprendere le variazioni climatiche in atto e per ottenere delle serie di dati attendibili per poter istruire eventuali modelli climatici. Riferimenti Bibliografici Wolff E. et al., Southern Ocean sea-ice extent, productivity and iron flux over the past eight glacial cycles. Nature (2006) 440, 491-496.

LE PROSPETTIVE DI RICERCA IN ARTICO Roberto Azzolini DTA (Dipartimento Terra e Ambiente, Roma) L’Artico è oggi al centro degli interessi internazionali. La temperatura media dell’Artico è cresciuta nell’ultimo secolo di almeno il doppio della media del pianeta. L’estensione annua del ghiaccio marino artico si è ridotta dal 1978 al ritmo di 2,7% per decade, con diminuzioni medie estive del 7% per decade. Si possono facilmente immaginare le implicazioni geopolitiche della prospettiva che in un tempo assai breve siano navigabili vie d’acqua circumpolari e che si aprano possibilità di sfruttamento di risorse su fondali che già destano il crescente interesse dei Paesi rivieraschi. In questa prospettiva, lo studio dell’Artico e delle sue modificazioni assume un valore strategico non solo per i Paesi artici. La comunità internazionale sta destinando ingenti e crescenti risorse allo svolgimento di grandi programmi internazionali ed ha sviluppato organizzazioni, prima fra tutti il Consiglio Artico, chiamate a dare indicazioni sui trend climatici, ambientali, e sociali dell’Artico ed a favorire la costituzione di networks internazionali per il monitoraggio a lungo termine del “sistema Artico”. La presenza scientifica italiana in Artico è quantitativamente modesta ma qualificata e permanente, e si realizza principalmente a Ny-Ålesund, ma anche in Groenlandia e con presenze a Barrow, Alert e su navi oceanografiche e geofisiche, anche nel quadro di progetti IPY coordinati dal CNR.

La stazione del CNR alle Svalbard (79° N), offre l’eccezionale opportunità di svolgere durante tutti i periodi dell’anno attività ed osservazioni in grado di fornire una lettura stagionale dei processi. Inoltre, il contesto internazionale di Ny-Ålesund (hanno basi Norvegia, Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Giappone, Cina e Corea) moltiplica le potenzialità di cooperazione della ricerca italiana. La presenza del CNR a Ny-Ålesund consente all’Ente di essere membro del Polar Board Europeo e dello International Arctic Science Commitee e sostiene la partecipazione Italiana al Consiglio Articoin supporto all’azione del Ministero degli Affari Esteri. Essa ha consentito di realizzare la partnership Italiana a diversi progetti infrastrutturali Europei (ARCFAC, ERICON, INFRAPOLAR) nell’ambito del FP7, sui quali è prevista una consistente allocazione di fondi per il CNR. Sotto il profilo scientifico, vanno segnalati gli importanti contributi dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima allo studio dei bilanci di energia e della struttura e dinamica degli strati più bassi dell’atmosfera (troposfera, strato limite), e quelli dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico nello studio delle proprietà e delle trasformazioni dei composti delle atmosfera artica e dei loro processi di interazione chimica e fisica con le superfici nevose. Ny-Ålesund è da tempo sede di osservatori geomagnetici di varie nazioni. Osservazioni dei fenomeni aurorali sono svolte da anni presso la stazione CNR-Dirigibile Italia nel quadro di una fitta rete di osservatori distribuiti in entrambi gli emisferi. Il crescente interesse internazionale verso ricerche sulla evoluzione e sull’adattamento delle specie marine nell’Artico ha portato a Ny-Ålesund alla realizzazione del primo Laboratorio Marino Polare sostenuto da Norvegia, Germania, Inghilterra, Giappone ed Italia. Gli studi, volti a comprendere come organismi specializzati possano reagire ai cambiamenti ambientali, sono coordinati dall’Istituto di Biochimica delle Proteine e rappresentano una delle più feconde espressioni della ricerca scientifica italiana in campo internazionale. Le prospettive di ricerca future del CNR in Artico comprendono la pianificazione delle campagne di studi batteriologici e di biologia marina, il progetto e lo science plan di una torre per misure di parametri atmosferici connessi ai cambiamenti climatici da posizionare a Ny-Alesund e lo sviluppo di progetti oceanografici. Sono inoltre in corso studi geografici ed umanistici.

Qualità ambientale e gestione sostenibile delle risorse LE PROSPETTIVE DELLA RICERCA SULL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO Nicola Pirrone IIA (Istituto sull’Inquinamento Atmosferico, Rende) Il rapido sviluppo industriale e la forte crescita dei fabbisogni energetici che hanno caratterizzato gli ultimi decenni, unitamente ad un continuo aumento della popolazione nelle aree urbane (oltre il 65% della popolazione mondiale), hanno determinato un incremento considerevole delle emissioni di inquinanti in atmosfera e della pressione antropica sugli ecosistemi. Secondo l’OMS l’inquinamento atmosferico è uno dei maggiori problemi di sanità pubblica, ed esso rappresenta il principale fattore di rischio ambientale essendo l’ottava causa di morte in Europa. Le emissioni di inquinanti primari (i.e., SO2, NOx, CO, Benzene, PM10), da sorgenti antropiche sono maggiormente legate alla produzione di

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energia, ai sistemi di trasporto, alla produzione di beni e allo smaltimento di rifiuti solidi urbani e industriali. Una volta rilasciati in atmosfera, possono essere soggetti a trasformazioni tali da produrre nuovi inquinanti (secondari) caratterizzati da una diversa reattività nei confronti di altri costituenti dell’atmosfera influenzandone i meccanismi di interazione con altri ecosistemi (i.e., di deposizione, di scambio alle interfacce aria-oceano/vegetazione/neve), la loro scala spaziale e temporale di trasporto in atmosfera e l’evolversi del clima con forcing positivi o negativi. È noto che molti degli inquinanti atmosferici (primari e secondari) oltre che a porre problemi di rischi sanitari per le popolazioni hanno un ruolo fondamentale nei cambiamenti climatici (CC) in atto. Studi recenti hanno evidenziato anche l’influenza dei CC sulla qualità dell’aria, la determinazione dei trade-off è una delle priorità future. Nel corso degli ultimi 20 anni vi è stata una intensa attività legislativa a livello europeo e internazionale mirata a ridurre le emissioni, e quindi le concentrazioni, dei maggiori inquinanti in atmosfera. Le attività condotte nel contesto di programmi e convenzioni internazionali (i.e., CLRTAP, CAFE, UNEP, IGBP) hanno tra gli obiettivi quello di comprendere al meglio il contributo relativo delle sorgenti di emissione (naturali e antropiche) e dei meccanismi che ne influenzano l’impatto sui patterns spaziali sia su scala locale che emisferica e globale (sourcereceptor relationships). A tal fine coniugare lo sviluppo di modelli in grado di predire l’evolversi delle concentrazioni di inquinanti atmosferici nel tempo e nello spazio con le attività di osservazione della Terra (monitoraggio a terra, da satellite e da piattaforme aeree) è una necessità fondamentale al fine di garantire strumenti di predizione e di analisi che oltre ad essere sempre più sofisticati siano anche in grado di garantire livelli di certezza accettabili da parte dei policy maker e stakeholder. I maggiori gap conoscitivi che necessitano di essere colmati nei prossimi anni sono raggruppati nelle seguenti categorie: - rilascio di inquinanti (i.e., aerosol, metalli pesanti) dagli incendi boschivi; - meccanismi di scambio all’interfaccia aria-oceano, ariasnow/ice pack, aria-vegetazione; - contributo derivante dalle emissioni di inquinanti dai settori del trasporto marittimo e aereo; - sviluppo di metodi analitici e modelli per il source apportionament degli aerosol primari da quelli secondari e per la discretizzazione dei contributi derivanti da sorgenti naturali e antropiche; - meccanismi di trasformazione degli inquinanti primari e secondari nel MBL e nella troposfera a diverse latitudini, incluse le aree polari, con particolare attenzione alle interazioni con gli alogeni. A tal fine è utile sottolineare che nel corso dei prossimi 3-4 anni, le tematiche che la Commissione Europea riterrà prioritarie nel contesto del 7° PQ, per le quali gli Istituti del CNR unitamente a università e ad altri Enti di ricerca, possono esercitare un ruolo di leadership, sono riportate nel seguito: - sviluppo di modelli e strumenti integrati di analisi per la messa a punto di strategie idonee per la gestione della qualità ambientale; - analisi costi-benefici e valutazione di eventuali rischi inerenti ad un incremento dell’uso di biocarburanti e del trasporto marittimo; - valutazione dell’impatto dei CC sullo stato di qualità degli

ecosistemi ambientali. - valutazione dell’impatto sulla qualità dell’aria per diversi scenari futuri nei sistemi di produzione dell’energia; - sviluppo di metodologie integrate (ambiente-salute) per la valutazione del rischio.

AMBIENTE MARINO: RICERCA E GOVERNANCE Laura Giuliano, IAMC (Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, Messina), CIESM (Monaco) La nuova politica marittima integrata è stata elaborata dalla Commissione Europea (CE) al fine di ottimizzare l’uso sostenibile degli oceani e dei mari. Essa raccomanda agli Stati membri di riformulare le proprie politiche marittime nazionali sulla base di approcci di governance olistici ed integrati che riuniscano le politiche settoriali e si basino sulla messa a punto di strumenti politici comuni e di collaborazioni con le parti interessate, in particolare le regioni costiere1. Ciò richiederà l’adozione di azioni integrate e trasversali al fine di creare i necessari collegamenti reciproci. Di conseguenza, strumenti quali: (i) la pianificazione dello spazio, (ii) un approccio integrato alla raccolta e alla diffusione dei dati (EMODNET), e (iii) il coordinamento delle attività e dei processi di sorveglianza e di controllo saranno le prime misure proposte nell’ambito del presente piano d’azione, quali progetti preparatori/pilota. (i). Anche in seguito alle raccomandazioni per la gestione integrata delle zone costiere (GIZC), la CE esaminerà le esigenze e le diverse opzioni, compresa la zonizzazione, per rendere compatibili diverse attività marittime, fra cui il mantenimento della biodiversità; (ii). la CE fornirà una sintesi dei dati principali da raccogliere e proporrà un programma per lo sviluppo di mappature dei mari multidimensionali e intercompatibili. Seguiranno ulteriori iniziative, fra cui la creazione di una banca dati socio-economica integrata; (iii). a parte le ovvie ricadute nei settori sociali e della pesca, l’intensificazione delle azioni di sorveglianza, che beneficeranno della interoperabilità dei sistemi già esistenti (compresi quelli satellitari a lungo raggio) potrebbe facilitare la libera circolazione marittima a corto raggio ed alleggerire molte campagne di ricerca oceanografica delle onerose fasi preliminari di sdoganamento. Una politica marittima integrata si deve basare su un’adeguata conoscenza del funzionamento degli oceani e dei mari e del modo di gestire al meglio questa situazione. Le nostre informazioni in merito ai fattori che incidono sulla sostenibilità dell’ambiente marino stanno aumentando, ma è ancora necessaria una ricerca scientifica intensiva. Dobbiamo essere in grado di affrontare cumulativamente gli impatti che provochiamo sugli oceani e sui mari e non continuare a trattarli separatamente. Fra le priorità CE figurano l’attuazione progressiva di un approccio ecosistemico alla gestione della pesca2 e l’elaborazione di una politica comune 1

A tal fine, la Commissione pubblicherà nel 2008 una serie di orientamenti sui principi comuni ed elaborerà una relazione sulle azioni adottate dagli Stati membri entro il 2009. 2

Regolamento (CE) n. 2371/2002 del Consiglio del 20 dicembre 2002 relativo allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell’ambito della politica comune della pesca.

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su tutti gli aspetti inerenti ai porti e alle città portuali, che tenga conto del loro ruolo multifunzionale (collegamenti con i settori della logistica, del turismo, della pesca, della cultura, della tutela dell’ambiente). L’organizzazione efficiente di tale politica dovrà prevedere la messa a punto di strumenti di formazione collettiva multisettoriale (ispirati anche alle esperienze locali) e l’attuazione di collegamenti fra le reti, pratiche indispensabili per garantire scambi di informazioni e delle buone prassi. Nonostante i progressi della CE nella governance marinomarittima, lo sviluppo rapido di nuovi settori di ricerca applicata quali la produzione di energia offshore e le biotecnologie in campo marino, fa già apparire nuove esigenze di governance, non ancora contemplate negli elaborati della CE (p.es. diritto di proprietà).

APPROCCIO ECOSISTEMICO E TECNOLOGIE PER LA PESCA SOSTENIBILE Enrico Arneri, ISMAR (Istituto di Scienze Marine, Ancona) L’ecosistema marino è soggetto a una moltitudine di attività antropiche come la pesca, la maricoltura, le attività estrattive, l’escavazione dei fondali che provocano modificazioni sostanziali nelle sue componenti, sia attraverso un prelievo differenziale di determinati organismi (come nella pesca), sia con la modifica delle comunità nectoniche, bentoniche e pelagiche, sia con la modifica del substrato. Per una gestione razionale e sostenibile dello sfruttamento dell’ecosistema marino e delle sue risorse biologiche è dunque necessario effettuare una serie di studi volti a misurare gli effetti di queste modificazioni antropiche sull’ecosistema e a fornire il necessario supporto scientifico alle decisioni gestionali. La “conservazione” degli ecosistemi marini rappresenta una sintesi di molte scienze (biogeografia, ecologia, studi ambientali, economia, etica e legislazione ambientale, biologia delle popolazioni, tassonomia, tecnologia degli attrezzi da pesca,). La sinergia fra tali discipline permette di migliorare la comprensione dei meccanismi che regolano il funzionamento degli ecosistemi individuando anche approcci innovativi per lo sviluppo sostenibile delle attività umane (per esempio, la gestione delle popolazioni marine in aree naturali, inclusi i parchi, riserve e aree protette marine). D’altro canto, le esperienze realizzate nel campo “applicativo” possono fornire spunti alle ricerca di base, generando un circolo virtuoso per una utilizzazione sostenibile degli ecosistemi. Di tutto questo si occupano i ricercatori dedicati allo studio della pesca e delle risorse marine viventi. L’Italia è l’unico tra i paesi UE a non avere un’istituzione centrale specifica di ricerca sulle problematiche della pesca e dello sfruttamento delle risorse marine viventi. Nel Regno Unito vi sono centri come CEFAS di Lowestoft e MARLAB di Aberdeen che contano centinaia di ricercatori, in Spagna esiste l’Istituto Español de Oceanografia, in Francia l’IFREMER che sono referenti nazionali per problematiche di questo tipo, e che conciliano ricerca applicata, attività di monitoraggio e consulenza, e una parte di ricerca di base. In Italia la situazione è molto più frammentata ma ISMAR (Ancona) e IAMC (Mazara del Vallo, Castellamare del Golfo, Capo Granitola e Messina), seppur piccoli in confronto a queste istituzioni straniere, costituiscono la maggior concentrazione italiana di ricercatori, competenze e infrastrutture dedicate

alla ricerca applicata alla pesca e alle risorse marine. Le aree in cui operano i centri CNR sono l’Adriatico, il Basso Tirreno, il canale di Sicilia. Queste aree contribuiscono con l’80% alla produzione nazionale della pesca marittima. Le attività di ricerca riguardano la valutazione delle risorse della pesca a strascico, delle risorse pelagiche, l’ecologia e l’oceanografia biologica legata alle popolazioni ittiche, la tecnologia per una pesca eco-compatibile, lo studio di aree marine protette e la modellistica ecologica. Si alternano problematiche che si avvicinano alla ricerca di base con attività di consulenza e di servizio alla pubblica amministrazione assolutamente indispensabili per una corretta gestione delle risorse a livello regionale, nazionale ed europeo. Il CNR è inserito in una serie di network internazionali come lo Scientific Advisory Committee della General Fisheries Commission for the Mediterranean (GFCM), la European Fisheries and Aquaculture Research Organisation (EFARO), i progetti FAO ADRIAMED e MEDSUDMED, i progetti UE FP6 SESAME e SARDONE, e molti altre attività di ricerca a livello nazionale e regionale Mediterraneo come ad esempio MEDITS (Mediterranean Trawl Surveys) e MEDIAS (Mediterranean Acoustic Survey).

QUALITÀ E SOSTENIBILITÀ DELLE RISORSE IDRICHE Maurizio Pettine, IRSA (Istituto di Ricerca sulle Acque, Roma) L’acqua è una risorsa rinnovabile, ma cambiamento climatico, sovrasfruttamento delle risorse e inquinamento determinano un inevitabile impoverimento delle disponibilità idriche. Una gestione sostenibile deve essere rispettosa dei fruitori attuali e futuri e degli aspetti ecologici e ambientali. Il problema della conservazione delle risorse idriche va visto nella sua complessità, in termini di quantità e qualità della risorsa. L’urgenza del problema è stata ripresa dalla WFD 2000/60 EC e dalla direttiva sulle acque sotterranee e aspetti specifici inerenti la sostenibilità delle risorse idriche sono oggetto di proposte scientifiche sviluppate nell’ambito del 6° e 7° PQ. Per assicurare un uso sostenibile è necessario analizzare la compatibilità degli interventi con la disponibilità delle risorse, incoraggiare il risparmio negli usi (domestico, irriguo), il riuso delle acque industriali e domestiche, lo sviluppo di processi industriali e di pratiche agricole meno idroesigenti, migliorare le infrastrutture per ridurre le perdite e aumentare la capacità di stoccaggio di acque superficiali e di precipitazioni. Nel settore della ricerca, la definizione di metodologie che consentono di ottimizzare la gestione delle risorse a diverse scale spazio- temporali e assicurare un early warning degli eventi estremi riveste carattere prioritario. È necessario sviluppare altresì strumenti scientifici per assicurare una protezione efficace delle risorse idriche superficiali e sotterranee. Occorre migliorare le conoscenze sulla risposta dei sistemi acquatici alle diverse pressioni, in particolare quando agiscono contemporaneamente, sviluppare strumenti diagnostici nuovi (quali la tossicogenomica, tossicoproteomica), impostare strategie di indagine che contemplino i potenziali inquinanti tenendo conto dei cambiamenti dei processi produttivi e tecnologici (ad es. lo sviluppo delle nanotecnologie con la possibile diffusione di nanoparticelle nell’ambiente). Inquinanti emergenti, quali prodotti farmaceutici, pesticidi di nuova generazione, polibromo-

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difenileteri e perfluorurati (prodotti ampiamente utilizzati con caratteristiche di persistenza e alta tossicità) si sono imposti all’attenzione e richiedono indagini per valutarne la pericolosità. Tra gli inquinanti inorganici, gli elementi del gruppo del platino e altri metalli (ad es. Sb, Se) sinora poco esplorati richiedono approfondimenti di ricerca per valutarne la loro diffusione e gli eventuali effetti. È necessario migliorare per molti inquinanti i metodi analitici per renderli compatibili con i limiti sempre più severi imposti, ed è auspicabile lo sviluppo di metodologie che consentano di prevedere e limitare le conseguenze a lungo termine di modifiche strutturali e funzionali a livello di popolazione, comunità, ecosistema. Occorre sviluppare le conoscenze sui processi che presiedono alla circolazione e alle trasformazioni degli inquinanti per poter sviluppare modelli di simulazione, e in questo contesto accanto ai processi chimici un ruolo importante deve essere attribuito all’ecologia microbica, disciplina apparentemente dimenticata nelle recenti direttive sulle acque superficiali e sotterranee. È necessario perseguire una maggiore integrazione tra le valutazioni dello stato ecologico e dello stato chimico e questo richiede una comprensione profonda del funzionamento del sistema e di come al suo interno gli inquinanti si muovano, si trasformino e agiscano sulle diverse componenti biologiche. L’insieme di queste informazioni può consentire lo sviluppo di modelli ecologici, strumenti preziosi per delineare scenari futuri e pianificare interventi di recupero.

LA DEPURAZIONE DELLE ACQUE Antonio Lopez, IRSA (Istituto di Ricerca Sulle Acque, Bari) La rimozione degli inquinanti dai reflui civili e/o industriali mediante trattamenti di depurazione è, ad oggi, l’opzione tecnologica prevalente per controllare l’inquinamento idrico. Evitando di trattare le differenze tra impianti di trattamento decentralizzati (operativamente più flessibili) e centralizzati (gestibili con maggiori difficoltà), di seguito si farà riferimento solo a questi ultimi considerata la loro assoluta prevalenza nei centri urbanizzati. Riferendosi ai reflui urbani, è opportuno rilevare come nel tempo l’attenzione sia stata rivolta prima alla rimozione di inquinanti naturali [es: sostanze biodegradabili (causa della riduzione del contenuto di ossigeno nei corpi idrici recettori), sostanze nutrienti (causa dei fenomeni di eutrofizzazione), microrganismi patogeni (causa di malattie infettive)] e poi a quella di inquinanti chimici. Tra questi ultimi, i microinquinanti organici (sregolatori endocrini, cataboliti di farmaci, ecc.) sono quelli la cui rimozione attualmente identifica una problematica di particolare interesse a causa della loro tossicità, scarsa biodegradabilità e bassa concentrazione. Sempre nel settore dei reflui urbani, le ricerche, in corso ed in prospettiva, sono e saranno sempre più indirizzate verso lo sviluppo di processi innovativi mirati al superamento degli inconvenienti tipici dei tradizionali impianti aerobici a fanghi attivi. Questi processi innovativi, le cui componenti microbiche dovranno essere adeguatamente caratterizzate tramite nuovi metodi biomolecolari (q-PCR, FISH, ecc.), sono e saranno mirati al conseguimento dei seguenti obiettivi principali: risparmi e/o recuperi energetici, riduzione della produzione di fanghi e di gas serra, recupero di materie prime, mag-

giore compattezza, aumento dell’efficienza di rimozione di composti xenobiotici, controllo dei cattivi odori. Tenendo conto di questi obiettivi, è prevedibile che lo studio e lo sviluppo di processi biologici: anaerobici, periodici, a biomassa granulare, nonché di processi integrati con sistemi a membrana, si confermeranno come i principali trend R&D nel settore. Riguardo i reflui industriali: elevati carichi, alte concentrazioni di inquinanti recalcitranti e spesso tossici, elevata salinità, necessità di recuperi selettivi di materie pregiate, spinte normative ed economiche verso il riciclo delle acque depurate, sono tutte caratteristiche che da sole, ma più spesso in combinazione, dettano gli indirizzi delle ricerche attuali e future mirate allo sviluppo di processi di depurazione innovativi. In questo ambito, molto interesse stanno riscuotendo: i trattamenti avanzati di ossidazione (in fase eterogenea od omogenea - catalizzati o meno da radiazioni) che sono in grado di degradare chimicamente inquinanti bio-recalcitranti, i trattamenti “membrane-based” che consentono il recupero selettivo di sostanze pregiate ed il riuso dei reflui trattati, ed i trattamenti termici la cui applicazione è però limitata a reflui molto concentrati e tossici (es. quelli contenenti PCB). La depurazione dei reflui industriali, inoltre, a causa della frequente simultanea presenza di inquinanti biodegradabili e non, è un ambito che ben si presta sia alla ricerca ed all’impiego di materiali innovativi (es. nanomateriali, nuovi catalizzatori, polimeri reattivi, materiali UV-trasparenti) che allo sviluppo di trattamenti integrati nei quali processi biologici e chimico-fisici vengono combinati sinergicamente per ottenere risultati migliori, in termini di efficienza e di costo, dei tradizionali accoppiamenti in serie. Il residuo della depurazione dei reflui, urbani e/o industriali, è in genere costituito da fanghi il cui trattamento e smaltimento costituiscono una problematica anch’essa attuale e di grande interesse. Infatti, a dispetto di nuove norme che impongono la progressiva riduzione delle quantità di fango conferibili in discarica, limiti qualitativi sempre più restrittivi ed il continuo aumento della popolazione causano un aumento della loro produzione. In quest’ambito, quindi, la tendenza è quella di conseguire avanzamenti scientifici e tecnologici che permettano di gestire in modo sostenibile questi due trend contrapposti. In definitiva, si può affermare che nell’area R&D dei trattamenti di depurazione, nei prossimi anni, l’indirizzo strategico prevalente sarà quello di rafforzare l’attuale trend che considera reflui e fanghi non più come rifiuti ma, al contrario, come risorse di energia e materie prime.

LE PROSPETTIVE DELLA RICERCA SUI RIFIUTI Giuseppe Mininni, IRSA (Istituto di Ricerca Sulle Acque, Roma) La crisi della gestione dei rifiuti nella regione Campania, per molti versi incomprensibile sotto il profilo tecnico e scientifico, è da attribuire ai ritardi accumulati nella realizzazione degli impianti di trattamento dovuti, tra gli altri, alla persistente opposizione esercitata dagli abitanti per il timore degli effetti indotti da questi impianti sulla salute. La disciplina sui rifiuti deriva da quella europea, applicata con successo in tutti i paesi più maturi e sviluppati del nostro. Essa è impostata secondo il principio di precauzio-

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ne, che prescrive l’utilizzazione delle migliori tecnologie disponibili per minimizzare le emissioni in tutti i comparti ambientali. Lo stesso principio non vale in altri settori, quali ad esempio la depurazione delle acque ed il trattamento degli effluenti gassosi derivanti dalle attività produttive. Basti confrontare i limiti di emissione degli inquinanti per la disciplina sull’incenerimento dei rifiuti o sulle emissioni in atmosfera delle industrie per comprendere la grande differenza, per alcuni inquinanti, di ordini di grandezza. Come può allora la ricerca aiutare il Paese e fornire le risposte utili per garantirne il progresso e restituirne la rispettabilità internazionale? Essa deve in primo luogo migliorare l’attuazione della disciplina aiutando il mondo delle imprese, dei consorzi obbligatori e dei gestori di impianti, insieme alle Autorità territoriali e di controllo, all’attuazione della pianificazione della gestione dei rifiuti, nell’ottica concreta di garantire la massima tutela della salute e dell’ambiente oltre che l’efficacia e l’efficienza dei sistemi gestionali. Le linee programmatiche del Dipartimento Terra e Ambiente per il prossimo triennio sono di sviluppare ed incentivare le linee di ricerca con l’obiettivo di: a) sviluppare sistemi e tecnologie per il recupero di materie prime secondarie dalle frazioni oggetto di raccolta differenziata, dai rifiuti degli apparecchi elettrici ed elettronici e dai veicoli a fine vita ma senza trascurare la possibilità di recuperare risorse da altri flussi di rifiuti di specifica provenienza; b) sviluppare processi termici innovativi per la conversione efficiente dell’energia termica contenuta nei rifiuti in energia elettrica, in modo da ridurne progressivamente il costo di generazione, per giungere nel 2020 a valori inferiori a 0,04 €/kWh. Tali ricerche dovranno essere accompagnate dall’adeguato sviluppo di tecnologie per la depurazione dei fumi; c) sviluppare un ciclo virtuoso di trattamento di tutti i rifiuti biodegradabili (frazione organica dei rifiuti urbani, fanghi di depurazione, rifiuti mercatali, dell’industria agro-alimentare, della ristorazione, del verde) rivolto alla massimizzazione della produzione di biogas da convertire in energia elettrica ed alla produzione di una materia prima secondaria per un recupero agronomico. Devono essere anche sviluppati metodologie e sistemi per la valutazione della stabilità biologica dei rifiuti, ed affrontato e risolto il problema della presenza dei nutrienti nelle correnti liquide separate a valle della digestione anaerobica; d) promuovere lo studio del ciclo di vita (LCA) e dei costi (LCC) dei diversi sistemi di trattamento dei rifiuti urbani onde individuare le possibili soglie di convenienza anche in funzione delle diverse realtà territoriali con l’obiettivo prevalente di ridurre lo smaltimento in discarica; e) sviluppare le indagini e gli studi relativi alla valutazione dell’impatto del ciclo di gestione dei rifiuti sulla salute; f) promuovere l’elaborazione di criteri per la corretta localizzazione e realizzazione delle discariche, che rappresentano l’inevitabile compimento di tutti i cicli di gestione dei rifiuti (smaltimento dei residui dei cicli di trattamento) e che rappresentano nel nostro Paese l’unico sistema cui ricorrere nelle situazioni emergenziali; g) definire i criteri per la messa in sicurezza permanente delle discariche abusive che rappresentano una ferita costante sul territorio.

LA BONIFICA DI SITI CONTAMINATI Mauro Majone, Università degli Studi “la Sapienza” di Roma La bonifica dei siti contaminati in Italia è tema di grande rilevanza ambientale e forte impatto economico. In Italia appaiono ancora prevalenti interventi basati su tecnologie ex situ; principalmente scavo e smaltimento per i suoli e Pump and Treat (P&T) per le acque. Sono approcci talvolta inevitabili ma non ottimali per la sostenibilità ambientale dell’intervento, in cui la risorsa contaminata non viene restituita al suo uso originario o potenziale. Pur con progressi incoraggianti, l’uso di tecnologie in situ rimane minoritario, anche per tecnologie largamente utilizzate in altri paesi, quali barriere permeabili reattive, biorisanamento aerobico e anaerobico, ossidazione chimica in situ. Tra le cause del ritardo, alcune difficoltà normative ed una mancanza di confidenza da parte sia della Pubblica Amministrazione che dei soggetti privati verso tecnologie meno consolidate, che richiedono una progettazione più dettagliata e “sito-specifica” (più lunga e onerosa). D’altra parte, è crescente l’attenzione alla necessità di coniugare la bonifica sia con la protezione delle risorse naturali (Direttiva 118/2006/CE e futura Soil Framework Directive) che con la riqualificazione economica dei siti contaminati (D. Lgs. 152/2006 e s.m.i., con procedure speciali per le bonifiche in “siti di preminente interesse pubblico per la riqualificazione produttiva”). Anche sulla base dell’esperienza finora acquisita, occorre ed appare oggi possibile procedere verso la valorizzazione e la corretta implementazione sul territorio di tecnologie avanzate, ambientalmente ed economicamente sostenibili, che consentano: - la conservazione, qualitativa e quantitativa, degli usi potenziali della risorsa ambientale; - la minimizzazione della produzione di rifiuti e dell’estrazione di acqua di falda; - la piena compatibilità con le attività in essere sulle aree e con i programmi di sviluppo. Per realizzare questi obiettivi, è auspicabile che l’approccio alla problematica delle bonifiche: a) passi dalla prevalenza di scavo/smaltimento e P&T (waste and energy - intensive) allo sviluppo di tecnologie in situ (knowledge- intensive), sostenute da una caratterizzazione del sito accurata e finalizzata, da una conoscenza approfondita dei fenomeni naturali ed indotti dall’interazione tra tecnologia e condizioni ambientali, da procedure di qualità per progettazione, gestione e monitoraggio degli interventi; b) diventi “source-oriented”, con interventi concentrati nello spazio, per l’individuazione, eliminazione o riduzione delle sorgenti secondarie (contaminanti adsorbiti o in fase liquida separata), ancora basati sull’accurata conoscenza delle condizioni sito-specifiche. Occorre inoltre concentrare l’attenzione verso le applicazioni ai casi di contaminazione complessa con più tipologie di contaminanti (tecnologie multipurpose, treni di tecnologie); c) sia sostenuto da metodi avanzati di caratterizzazione: uso combinato di tecniche differenti (chimiche, fisiche e geofisiche, botaniche, microbiologiche e di biologia molecolare), metodi di individuazione delle sorgenti secondarie (LNAPL e DNAPL), modellazione avanzata (idrodinamica e idrochimica); d) sia sostenuto da metodi di valutazione e minimizzazione

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dei possibili impatti secondari: valutazione delle modifiche indotte dalle tecnologie sulle matrici ambientali (tessitura, componente organica dei suoli, attività biologica) e degli impatti potenziali tossicologici ed ecotossicologici (sviluppo e validazione di test di valutazione integrale), monitoraggio (ad es. migrazione di componenti biologiche), sviluppo di tecnologie intrinsecamente sicure (elevata selettività verso i contaminanti). Dall’esame svolto, emerge evidentemente come un forte impegno di ricerca ed un elevato coordinamento delle attività, dai livelli di base a quelli applicativi (ivi incluso l’uso sistematico di test su campo), sia fondamentale per fornire tutte le conoscenze e le procedure volte a sviluppare ulteriormente le tecnologie avanzate, in primis quelle in situ, verso un approccio sostenibile alla bonifica dei siti contaminati.

Sistema terra e geodinamica LE PROSPETTIVE DELLA GEOTERMIA Adele Manzella, IGG (Istituto di Geoscienze e Georisorse, Pisa) La geotermia sta tornando recentemente alla ribalta tra le energie alterative grazie alle enormi potenzialità che offre in una visione di diffusione dell’utilizzo di energie a basso impatto ambientale. Il progresso di tecnologie per produzione di energia elettrica a medie temperature (cicli binari) e in sistemi idrotermali a bassa permeabilità mediante stimolazione e reiniezione (Enhanced Geothermal Systems EGS) ha fatto aumentare enormemente le stime di potenza elettrica producibili con la geotermia. In una prospettiva di lungo periodo l’utilizzo energetico dei sistemi EGS e di impianti a ciclo binario potrebbe svilupparsi enormemente, anche in aree del territorio nazionale che ad oggi sono situate al di fuori delle aree geotermiche tradizionali. È stato stimato che in Italia l’utilizzo di queste tecniche potrebbe portare nel 2020 la potenza geotermoelettrica complessiva installata dagli attuali 700 MWe a circa 1500 MWe, con un risparmio in combustibili fossili di 1,2 milioni di TEP. Per abbassare i costi unitari di produzione di elettricità dagli EGS è auspicabile affiancare a questi sistemi il recupero dei cascami di calore con la connessione a reti di teleriscaldamento. L’utilizzo del calore geotermico per il condizionamento di ambienti, sia in forma di teleriscaldamento che con pompe di calore geotermiche, potrebbe contribuire efficacemente al fabbisogno annuo di calore, portando la potenza termica installata dagli attuali 650 MWt a 6000 MWt. Questo valore rappresenta il 5.3% del consumo annuo di calore attuale in Italia, superiore all’attuale 4.7% di tutte le fonti rinnovabili (in questo momento il contributo geotermico è dello 0.1%) con un risparmio di 1,8 milioni di TEP. Il progresso delle tecniche di utilizzo delle risorse geotermiche richiede l’applicazione di metodologie non convenzionali per l’esplorazione, lo sviluppo e lo sfruttamento della risorsa geotermica, soprattutto per la produzione di energia elettrica. In questo ambito è possibile definire diverse aree di ricerca di interesse per il Dipartimento Terra e Ambiente. Esplorazione: l’individuazione e la definizione di potenziali serbatoi geotermici in profondità. Nei sistemi idrotermali

classici come negli EGS, la definizione dei possibili target e la probabilità di successo dei futuri progetti di esplorazione potrebbero essere implementati e migliorati sia dall’ottimizzazione di tecniche specifiche che dall’utilizzo di una piattaforma di modellazione 3D capace di combinare ed analizzare le soluzioni provenienti dal modeling geologico, geochimico e geofisico. Pozzi geotermici: miglioramento delle tecnologie di perforazione e di completamento dell’opera. Dal momento che le nuove frontiere di sviluppo richiedono il raggiungimento e l’esplorazione di serbatoi sempre più profondi, al fine di ridurre i costi le operazioni di perforazione dovranno essere eseguite più velocemente ma senza perdere in affidabilità, e dovranno essere previsti nuovi sistemi di monitoraggio in pozzo. Un contributo fondamentale potrebbe essere dato da studi di meccanica delle rocce per l’ottimizzazione delle tecniche di perforazione, e sistemi di monitoraggio di tipo ambientale da adattare alle condizioni in foro. Ingegneria di serbatoio: stimolazione del flusso di fluidi sotterraneo. Per caratterizzare il serbatoio e migliorare la produzione attraverso tecniche di stimolazione, garantendo nel contempo la sostenibilità della risorsa e la riduzione del rischio di sismicità indotta, sarà necessario migliorare le tecniche di individuazione di fluidi sotterranei e di definizione delle condizioni di stress. Lo studio e la ricerca potranno venire finanziati sia da risorse nazionali quali programmi POR e fondi regionali, che internazionali. La EU nel 7 PQ ha già in programma chiamate relative alla geotermia (uno è appena stato attivato sotto ENERGY2008-TREN). Prospettive di finanziamento possono venire offerte anche dalla partecipazione a ICDP e a progetti USA ed australiani già attivi.

LE PROSPETTIVE DELLA GEODINAMICA Carlo Doglioni, IGAG (Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria), Univ. “la Sapienza” Roma L’organizzazione sociale applicata alla ricerca presenta caratteristiche precise in cui per rendere efficace il sistema può essere preferibile una competizione tra gli attori, oppure una maggiore collaborazione tra essi. Tuttavia, se la competizione tra singoli può essere di stimolo alla produttività, vi sono invece obiettivi generali in cui la frammentazione organizzativa tra gli Enti ostacola il raggiungimento di risultati apprezzabili. Le scienze della Terra italiane al momento sono in una fase di crisi dovuta a due cause principali: 1) la mancanza di una regia organizzativa di ampio respiro; 2) la scarsità di fondi. Mentre per il secondo punto si è cercato di sopperire nelle forme più varie, in cui la necessità di sopravvivenza ha costretto molti studiosi o gruppi di ricerca ad abbandonare i temi scientifici di base per ottenere finanziamenti finalizzati a progetti su commissione, di fatto condizionando almeno in parte la libertà di ricerca, sul primo punto possiamo constatare l’assenza di una progettualità comune e di un coordinamento nazionale che ha di fatto impedito il raggiungimento di masse critiche in grado di ottenere risultati che singoli ricercatori non possono realizzare. La geodinamica è considerabile, almeno in parte, la sin-

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tesi delle scienze della Terra. Proprio per questo, tutte le discipline geologiche contribuiscono ad una migliore conoscenza della dinamica del pianeta. Nonostante una serie di fondamentali avanzamenti siano stati raggiunti negli ultimi decenni, mancano ancora dei tasselli indispensabili per la comprensione della dinamica delle placche e del loro rapporto col mantello sottostante. Per esempio non sappiamo ancora con certezza quale sia la fonte di energia che muove le placche, la mineralogia del mantello che ne controlla la cinematica e la dinamica interna, i rapporti tra geodinamica ed evoluzione del clima e della vita, solo per citare alcuni esempi. Gli Enti statali preposti alla ricerca nelle Scienze della Terra in Italia, oltre al CNR, sono come noto principalmente l’Università, l’INGV, e, in forme varie, anche il Servizio Geologico d’Italia, l’OGS, l’ENEA e il Servizio Sismico. Alla geologia italiana serve una strategia di rilancio, un coordinamento tra gli Enti e i ricercatori per delle finalità comuni. La competizione tra gli enti finora ha portato più ad un dispendio di forze piuttosto che alla sinergia per il superamento della massa critica. Il CNR, con la sua consolidata tradizione nelle scienze della Terra, le sue strumentazioni scientifiche di prim’ordine, deve cogliere questa occasione e ruolo di responsabilità per fare da volano ad un coordinamento propositivo. Serve un progetto nuovo, stimolante, aggregante, che abbia come prima finalità quella di capire come funziona la Terra, in cui l’Italia o qualsiasi altra parte del pianeta siano gli esempi per studiare i meccanismi della natura. Manca oramai da troppi anni una strategia coraggiosa e lungimirante di ricerca, come furono in passato i progetti Geodinamica e CROP. Una europeizzazione del sistema dovrebbe oltretutto prevedere una maggiore interazione anche con gli Enti affini di altre nazioni, in cui investimenti comuni possano diventare un’opportunità per risultati migliori, dove la soglia tra trend lineare e non lineare positivo sia appunto il superamento di un numero adeguato di ricercatori, strumenti e finanziamenti in grado di innescare un processo di crescita maggiore, di cui alla fine beneficeranno tutti, con possibili, forse anche inaspettate, ricadute applicative. Come comunità geologica abbiamo anche il dovere di contribuire alla soluzione del problema energetico. La proposta qui presentata, a nome di vari ricercatori, è di iniziare un nuovo progetto, un contenitore ad ampio spettro, di durata decennale, coordinato dal CNR, ma possibilmente condiviso dagli altri Enti di ricerca geologica in Italia, in cui le finalità primarie siano lo studio dei meccanismi fondamentali del pianeta, dalla comprensione della sua evoluzione passata, alla struttura attuale, per prevederne il futuro.

LE NUOVE OPPORTUNITÀ DI IODP E ICDP Marco Sacchi IAMC (Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, Napoli) L’Integrated Ocean Drilling Program (IODP) e l’International Continental Drilling Program (ICDP) sono due grandi programmi di ricerca internazionali (tra i maggiori nel campo delle scienze della Terra e dell’ambiente) che si prefiggono di ricostruire la storia geologica del nostro pianeta, di comprendere la dinamica dei processi esogeni ed endogeni, e

la complessità delle interazioni litosfera - oceani - acque interne - atmosfera attraverso la perforazione di sedimenti e rocce in ambiente marino e continentale, ed il monitoraggio dei parametri chimico fisici associati. L’attuale IODP, iniziato nell’ottobre 2003, è finanziato dagli USA e dal Giappone, con un contributo significativo Europeo (ECORD), dalla Repubblica Popolare di Cina e da un consorzio di Paesi asiatici rappresentato dalla Corea. Attraverso l’IODP si è giunti a traguardi scientifici e tecnologici fino a pochi decenni fa inimmaginabili, come perforare in Oceano Artico (Lomonosov Ridge) o programmare la perforazione di una zona di subduzione al di sotto di un prisma di accrezione (Nankai Through). L’attuale IODP rappresenta la naturale evoluzione di due precedenti programmi: il Deep Sea Drilling Project (DSDP, 1968-1983) e l’Ocean Drilling Programme (ODP, 1983-2003) che hanno di fatto rivoluzionato le nostre conoscenze sulla storia della terra e dei processi globali che sono registrati in sedimenti e rocce nei fondali marini. Per i 20 anni di vita di ODP, dal 1983 al 2003, la partecipazione italiana è stata assicurata dal CNR con un contributo annuo al progetto dell’ordine del 20% di una quota di partecipazione ODP (circa 600.000 USD nel 2003). Da quando però il CNR non ricopre più il ruolo di agenzia nazionale di finanziamento, ed in concreto al momento di ratificare l’adesione italiana ad ECORD nella primavera 2004, la comunità scientifica italiana si è trovata in assenza di un interlocutore nazionale unico e la partecipazione italiana ad IODP è stata possibile solamente grazie ad un autofinanziamento degli singoli Enti interessati (CNR, OGS, CONISMA, INGV), i quali versano, separatamente, una parte della quota nazionale che oggi però non raggiunge i 400.000 USD (circa il 6% di una quota di partecipazione IODP). Nonostante gli esigui contributi finanziari (oggi ai minimi storici) i ricercatori italiani hanno tuttavia saputo distinguersi (in ambito ODP prima ed in IODP poi) per l’elevato livello di contributo scientifico e di pubblicazioni. L’International Continental Drilling Program, fondato nel 1996, è formato da 17 membri, tra cui 15 Paesi, l’UNESCO e la Schlumberger Services Inc. Nel primo decennio di attività l’ICDP si è rivelato un programma strategicamente complementare all’IODP. I risultati ottenuti e le prospettive di ricerca più interessanti dei progetti ICDP riguardano in particolare la perforazione di aree vulcaniche e di interesse geotermico, lo studio degli archivi climatici lacustri, dei crateri da impatto, delle faglie attive, delle aree di convergenza continentale. L’Italia partecipa al programma soltanto dall’anno scorso ed, anche in questo caso, attraverso le iniziative singole degli Enti interessati (attualmente INGV, AMRA). IODP e ICDP sono due programmi di ricerca strategici per la ricerca internazionale che opera nel campo delle scienze della Terra e dell’ambiente perché affrontano temi di interesse globale, attraverso la realizzazione di perforazioni profonde e l’utilizzo di tecnologie (drilling, well-logging) costantemente all’avanguardia, che sarebbero di fatto insostenibili per qualsiasi singolo paese. È pertanto fondamentale che, nei decenni a venire, l’Italia si sforzi di partecipare al nuovo corso di IODP e ICDP, con un finanziamento governativo finalmente paragonabile a quello degli altri grandi paesi europei (Germania, Francia, UK) e, soprattutto, con un coordinamento scientifico nazionale che negli ultimi anni è del tutto mancato.

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Tuttavia, la sfida più grande per il nostro paese (e per il CNR in particolare), non sarà unicamente quella di essere presente nel contesto scientifico internazionale, bensì quella di far crescere la capacità progettuale e la competitività della ricerca italiana in ambito IODP ed ICDP, soprattutto attraverso grandi progetti di coordinamento nazionale e la disponibilità di grandi infrastrutture.

LA GEOLOGIA OCEANICA Marco Ligi, ISMAR (Istituto di Scienze Marine, Bologna) Le dorsali medio oceaniche, lunghe e strette catene sottomarine che si ergono per diversi chilometri sotto la superficie degli oceani, sono regioni di intensa attività geologica. È qui che il magma eruttato raffredda a formare nuova crosta oceanica, che ricopre per almeno due terzi la superficie del nostro pianeta. Il processo di continuo rinnovamento della crosta oceanica ad opera dell’attività vulcanica ed idrotermale, determina la morfologia dei bacini oceanici influenzando la circolazione e la composizione dei nostri oceani e dunque indirettamente le variazioni climatiche. Lo studio di queste aree remote fa parte della storia moderna della conoscenza del funzionamento del pianeta Terra. Nel settembre del 1963, due geofisici dell’Università di Cambridge, Fred Vine e Drummond Matthews, formularono l’ipotesi che nuova crosta fosse creata continuamente lungo le dorsali medio oceaniche, poiché questa era magnetizzata in modo simmetrico rispetto l’asse delle dorsali seguendo i periodi a polarità normale e riversa del campo magnetico terrestre. Nei pochi anni successivi altri ricercatori, tra cui Dan McKenzie, Robert Parker, Bryan Isacks e Lynn Sykes, contribuirono alla trasformazione della “Teoria dell’espansione oceanica” nella “Teoria della tettonica delle placche”. La parte più esterna del nostro pianeta è suddivisa in placche rigide che includono terre emerse ed oceani. Il loro continuo movimento relativo varia da pochi millimetri ad alcuni centimetri all’anno e fa si che le placche si accrescano in corrispondenza delle dorsali oceaniche, scivolino l’una a fianco all’altra in corrispondenza delle faglie trasformi, o si consumino sprofondando all’ interno del mantello terrestre nelle zone di subduzione. I progetti attuali sullo studio dei bacini oceanici si fondano su quanto acquisito in circa 40 anni di ricerche effettuate a partire da quella grande rivoluzione portata nelle scienze della Terra dalla “Teoria della tettonica delle placche”, che proprio nella conoscenza della geologia degli oceani trova i suoi fondamenti. Il contributo del nostro Paese in questo settore può considerarsi assente fino agli anni ’90, quando grazie alla genialità e all’entusiasmo di Enrico Bonatti e alla disponibilità del CNR e del Programma Nazionale Ricerche in Antartide (PNRA) a sostenere progetti strategici di lunga durata e di grande impegno finanziario, è stato possibile istituire un gruppo di lavoro multidisciplinare (formato principalmente da ricercatori del CNR) ed iniziare attività di ricerca lungo le dorsali medio oceaniche dell’oceano Atlantico ed Indiano. In questi anni l’attività di questo gruppo ha prodotto risultati importanti, portando contributi sulla morfologia e segmentazione delle dorsali medio oceaniche, sulla geologia e sulla dinamica delle giunzioni triple e dei margini trasformi, sulla dinamica e composizione del mantello e su come il magma, prodotto per fusione parziale del

mantello in risalita adiabatica, viene trasportato e consegnato in superficie per formare nuova crosta oceanica. Le questioni ancora irrisolte sono molte e molte sono le iniziative in ambito internazionale per proseguire lo studio dei processi che avvengono in corrispondenza delle dorsali medio oceaniche fondamentali per il funzionamento del pianeta. Proposte future in ambito CNR includono lo studio della transizione da un rift continentale ad uno oceanico e quello degli scambi chimici tra il mantello terrestre e il sistema oceano/atmosfera importanti per i cicli globali di H2O e Carbonio e loro influenza sul clima. Infatti l’idratazione delle rocce del mantello sub-oceanico può rappresentare un processo significativo in cui vengono rilasciati all’oceano anidride carbonica, metano ed altri composti. Le difficoltà a reperire risorse dal mercato in questo settore delle scienze della Terra richiedono che il CNR continui, come in passato, la sua opera di finanziamento e coordinamento di grandi progetti strategici per alimentare ed arricchire la conoscenza di base in questo Paese.

Rischi e metodologie di osservazione della Terra PERICOLOSITÀ E RISCHIO DA FRANE Fausto Guzzetti, IRPI (Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, Perugia) L’Italia, per la configurazione geologica e la posizione geografica, è soggetta a diversi rischi naturali: geofisici, climatici, meteorologici, o geomorfologici. Nel loro complesso, i fenomeni naturali con potenziali conseguenze avverse - alla popolazione, ai beni ed all’ambiente - pongono problemi difficili, di rilevanza scientifica e sociale. I danni prodotti da un solo evento naturale catastrofico che coinvolga porzioni anche limitate del territorio possono essere pari ad una percentuale significativa del PIL, ed avere conseguenze ambientali, economiche e sociali rilevanti, di breve e di lungo periodo. A livello globale, emerge chiaramente la necessità di un cambio di paradigma nello studio dei rischi naturali. La soluzione del problema passa per un approccio integrato (sistemico, non riduzionista) che punti ad aumentare le conoscenze e le capacità predittive e a fornire ai decisori informazioni, competenze, strumenti e strategie utili alla mitigazione dei rischi. In questo contesto, la divisione della ricerca in classi (di base, teorica, libera, applicata, commissionata, ecc.) ha poco significato quando applicata ai rischi naturali. Nel settore dei rischi naturali, il CNR ha una lunga tradizione di ricerca. Gli Istituti ed i ricercatori del CNR hanno competenze rilevanti - in alcuni casi uniche - sviluppate nell’ambito di progetti nazionali, europei ed internazionali. In seno al DTA, il progetto “Rischi Naturali e Antropici” si pone nel solco di questa tradizione, con l’obiettivo di migliorare le conoscenze sui fenomeni naturali e le attività umane che posso costituire un rischio per la popolazione, i beni, le reti infrastrutturali, l’economia e l’ambiente. Uno dei rischi naturali studiati nell’ambito del progetto è quello da frana. In Italia, le frane sono fra gli eventi naturali più distruttivi. I dati contenuti nel Sistema Informativo sulle Catastrofi Idrogeologiche (SICI, http://sici.irpi.cnr.it) - un archivio di informazioni su eventi storici di frana e di inondazione gestito dal CNR IRPI - indicano come, nel 20° secolo, in Italia si siano verificati almeno 2114 eventi di frana con conse-

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guenze dirette per la popolazione, con almeno 5199 morti, 85 dispersi e 2241 feriti. Nel periodo compreso fra il 1985 ed il 2003, la mortalità per frana è stata superiore a quella di ogni altro fenomeno naturale, inclusi i terremoti. Le cifre quantificano la rilevanza sociale del rischio da frana in Italia. La definizione del rischio da frana è difficile sia per la complessità e la variabilità fenomenologica dei fenomeni franosi, sia per il fatto che i fenomeni di dissesto sono influenzati o controllati - nel tempo e nello spazio - da una grande quantità di fattori (geologi, morfologici, climatici, ambientali, antropici) fra loro competitivi. In questo senso, la previsione della pericolosità, della vulnerabilità e del rischio da frana è un problema multi-dimensionale (multi-variato, multi-temporale, multi-scala) con fenomeni di retroazione solo in parte noti. La valutazione del rischio richiede conoscenze sulla pericolosità e sulla vulnerabilità da frana. La ricerca ha fatto passi avanti nella previsione geografica dei dissesti: nel valutare “dove” si verificheranno le frane. Solo di recente si sono cominciate ad investigare le problematiche connesse alla previsione di “quando”, “quanto intensi” e “quanto distruttivi” saranno gli eventi di frana. Ciò ha aperto nuovi scenari di ricerca. Si deve capire come, quanto, e quando i cambiamenti climatici possano influenzare il tipo, la frequenza, e l’intensità delle frane. Si devono separare le componenti naturali dei segnali climatici e meteorologici da quelle antropiche, e si devono comprendere le relazioni fra gli effetti naturali (il cambio nel regime delle precipitazioni) e quelli antropici (la trasformazione dell’uso del suolo a seguito di mutate pratiche agricole, a loro volta condizionate da politiche comunitarie), sulla frequenza e sull’intensità dei fenomeni franosi, e sulle loro conseguenze. Il problema, oltre ad avere rilievo scientifico (ad esempio, nello studio dell’evoluzione del paesaggio) ha una valenza sociale. Può infatti fornire le basi per una moderna ed informata politica di protezione civile e di pianificazione ambientale. Fondamentali saranno anche gli sviluppi tecnologici applicati al monitoraggio dei dissesti, ed in particolare a quelli legati a tecnologie di osservazione della Terra. Si pensi ad esempio alle opportunità fornite dalla nuova costellazione di satelliti SAR Cosmo-SkyMed, dell’Agenzia Spaziale Italiana. Nel panorama nazionale di ricerca sul rischio da frana, e più in generale sul rischio geo-idrologico, è oggi indispensabile ed improrogabile il lancio di nuove iniziative di ricerca di respiro nazionale e di valenza internazionale. Il CNR ha l’autorevolezza, le capacità, le conoscenze e gli strumenti necessari per disegnare tali iniziative, che si candida a guidare.

EVENTI PRECIPITATIVI ESTREMI Vincenzo Levizzani ISAC (Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, Bologna) Le Nazioni Unite hanno recentemente identificato il ciclo dell’acqua come l’anello più vulnerabile del sistema Terra in rapporto non soltanto ai cambiamenti globali, ma anche alle condizioni economiche ed alle dimensioni in rapida crescita della popolazione mondiale. Inondazioni e siccità da una parte e crescente bisogno di acqua potabile per l’agricoltura e l’industria dall’altra saranno i problemi di più

difficile soluzione dei prossimi decenni. La ricerca scientifica è impegnata nel a) migliorare le capacità osservative dell’intensità delle precipitazioni, b) affinare le capacità modellistiche sia regionali che globali e c) assicurare la disponibilità a tutti di banche dati continuamente aggiornate. Le nostre attuali capacità osservative dell’intensità di precipitazione a tutte le scale spazio-temporali stanno registrando notevoli passi in avanti. La ricerca si concentra soprattutto sul monitoraggio globale da satellite del ciclo dell’acqua mediante la progettazione di nuove missioni e costellazioni di satelliti. Nel prossimo futuro è prevista una copertura globale delle osservazioni con cadenza tri-oraria mediante il lancio, previsto nello scorcio del primo decennio del secolo, della Global Precipitation Measurement (GPM) mission, che rappresenta il collante delle attuali ricerche e della generazione di prodotti operativi. Inoltre, la costruzione di sensori sempre più precisi sia passivi (radiometri) che attivi (cloud e precipitation radar) viene incontro alle limitazioni più evidenti che riguardano la possibilità di misurare la precipitazione sulle terre emerse ed a latitudini medio-alte. I nuovi sensori attivi e passivi a terra (radar, disdrometri ottici e nelle microonde, radiometri) per la misura delle precipitazioni sui piccoli e grandi bacini fluviali e la calibrazione dei metodi radar e satellitari completano un quadro in rapidissima evoluzione. I modelli di previsione numerica del tempo sono soggetti anch’essi a notevolissimi progressi a tutte le scale anche sotto la spinta della disponibilità di dati per l’assimilazione che migliorano sensibilmente le condizioni iniziali di integrazione. Allo stesso momento i dati vengono assimilati nei modelli idrologici e di bacino ed è ora possibile l’accoppiamento dei modelli meteorologici ed idrologici per monitorare e prevedere lo stato dei bacini con dettagli e precisioni fino ad ora sconosciuti. I dati e le ri-analisi dei modelli sono poi organizzati in banche dati globali e regionali di elevata accuratezza e qualità con evidenti implicazioni per la gestione degli eventi estremi ed il monitoraggio del clima e dei suoi cambiamenti. Il CNR svolge un ruolo importante in questo quadro internazionale. L’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima ed altri Istituti che si occupano di meteorologia, clima, risorse idriche e assetto idrogeologico sono inseriti e, in molti casi, svolgono un ruolo guida in progetti ed organismi internazionali. A titolo di esempio, il CNR ha contribuito alla fondazione dell’International Precipitation Working Group (IPWG) che ora indirizza in larga misura le attività di misura della precipitazione dallo spazio. L’ISAC lavora alla definizione di sistemi di nowcasting per il Dipartimento della Protezione Civile per la previsione a breve e brevissimo termine delle precipitazioni. Infine l’Istituto ha la responsabilità della definizione degli algoritmi di stima delle precipitazioni per la Satellite Application Facility on Support to Operational Hydrology and Water Management di EUMETSAT. Le precipitazioni, sia estreme che di bassa intensità, ma di lunga durata, sono l’obiettivo principale degli sforzi di ricerca. Occorrono, infine, risposte più precise sulla tendenza delle precipitazioni a livello globale per capire se andiamo incontro o meno ad un mondo di estremi: il ciclo dell’acqua sta accelerando oppure no? Il CNR può e deve contribuire a risolvere gli interrogativi su quali implicazioni dobbiamo

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attenderci in futuro per la gestione degli eventi estremi, migliorando le nostre capacità di risposta nei confronti delle popolazioni e delle strutture.

NUOVI STRUMENTI DI OSSERVAZIONE DELLA TERRA Bruno Carli IFAC (Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara”, Firenze) Nell’ultimo decennio con la messa in orbita del satellite Envisat e con l’avvio del “Living Planet Programme” le osservazioni della Terra hanno avuto in Europa un importante sviluppo. Envisat è la naturale continuazione e completamento delle misure iniziate negli anni novanta con i satelliti ERS1 ed ERS2. Sulla base del successo delle sue missioni di osservazioni della Terra, ESA ha stabilito con il “Living Planet Programme” il principio di una attività continuativa e coordinata di osservazioni dallo spazio in alternativa ad occasionali missioni individualmente approvate. Questo ha consentito di affiancare ad un programma scientifico di esplorazione ed approfondimento (Earth Explorer) un programma applicativo e di monitoraggio (Earth Watch) che negli ultimi anni si è concretizzato nel programma europeo GMES (Global Monitoring for the Environment and Security). Alcuni risultati ottenuti con gli strumenti esistenti ed i progetti in corso per gli strumenti futuri sono brevemente ricordati. Dal punto di vista strumentale le missioni spaziali europee sono state un grande successo: merita per esempio ricordare che la missione Envisat, che doveva durare 5 anni, ha dopo sei anni tutti i suoi 10 strumenti perfettamente funzionanti e potrà operare ancora per 3 o 4 anni. Non altrettanto si può dire a proposito della utilizzazione dei dati che non hanno usufruito di adeguati finanziamenti da parte delle agenzie nazionali e che sono stati penalizzati da una distribuzione spesso lenta e frammentaria. Per questo ESA sta valutando di intervenire anche nel settore della utilizzazione dei dati promuovendo un programma di ri-analisi (anche con progetti multi-strumento e multi missione) di tutte le misure del passato. L’importanza delle nuove tecniche di analisi capaci di migliorare i prodotti e produrre lunghe serie storiche è ben rappresentata dalle misure dei movimenti di subsidenza in Campania negli ultimi quindici anni ottenute con gli strumenti SAR. Altro nuovo prodotto ottenuto grazie ai più potenti metodi di analisi è quello del progetto KLIMA- IASI, dove si analizzano le misure dello strumento IASI, lanciato nel 2006 da Eumetsat sul satellite MetOp, per ricavare informazioni, inizialmente non ritenute possibili, sulle sorgenti ed i pozzi di CO2. Questi risultati consentiranno all’Europa di contribuire all’analisi sulle sorgenti ed i pozzi che gli americani ed i giapponesi faranno con le loro future missioni dedicate (rispettivamente OCO e GOSAT). A livello nazionale è di grande rilevanza la capacità osservativa, unica al mondo, che l’Italia ha recentemente ottenuto con il lancio del secondo satellite della serie COSMO. Sempre a livello nazionale sono in fase di avanzamento gli studi per alcuni piccoli satelliti quali, tra gli altri, MIOsat e PRISMA. Le osservazioni dallo spazio sono particolarmente ricche di applicazioni per la loro capacità di fornire informazioni globali, ma non meno importanti sono le osservazioni da terra o bassa quota per il loro valore di verità e per la ca-

pacità di fornire informazioni con alta risoluzione spaziale e temporale. Anche nel campo degli strumenti operanti da terra esistono sviluppi importanti sia dal punto di vista strumentale che da quello concernente i metodi per la generazione dei prodotti. Saranno fatti alcuni esempi di risultati ottenuti in ambito CNR.

INTEGRAZIONE DI TECNOLOGIE OSSERVATIVE PER L’ANALISI DELLE DEFORMAZIONI SUPERFICIALI Gianfranco Fornaro, IREA (Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente, Napoli) La tecnologa EO (Earth Observation) che utilizza i sensori Radar ad Apertura Sintetica (SAR) ha determinato una trasformazione radicale nella misurazione delle deformazioni superficiali. Questi “occhi” a microonde, montati su satelliti, acquisiscono dati su aree vaste, di giorno e di notte, ed in qualsiasi condizione metereologica. La tecnica basata sull’Interferometria Differenziale SAR (DInSAR) rappresenta, infatti, uno strumento potente, in grado di monitorare aree vaste, di fornire prodotti accurati e, se confrontato con le tecniche tradizionali geodetiche e con il GPS, con costi notevolmente più bassi. Sono numerosi gli esempi che dimostrano come questa tecnologia abbia consentito di rivelare fenomeni deformativi sconosciuti, in aree in cui non esisteva alcun dato quantitativo. Le applicazioni del DInSAR riguardano il monitoraggio di aree vulcaniche e sismogenetiche, le subsidenze dovute ad emungimenti in falda o più in generale ad estrazioni o scavi nel sottosuolo, le frane, il controllo di edifici e di infrastrutture quali: oleodotti, strade, ponti, viadotti e linee ferroviarie. Ciò nonostante, la tecnologia radar da satellite presenta due principali limitazioni associate alla frequenza di misurazione ed alla traccia orbitale. Con riferimento al primo punto, la cadenza di acquisizione dei sensori attualmente in orbita è all’incirca mensile. Inoltre, sebbene siano in corso di pianificazione o di realizzazione programmi spaziali che mirano alla messa in orbita di costellazioni di satelliti (es. COSMO/SKYMED) difficilmente, si raggiungerà una frequenza di misura giornaliera. Per quanto concerne il secondo punto, a causa della piccola inclinazione dell’orbita dei satelliti, la tecnica DINSAR consente al più di misurare le componenti verticali ed Est-Ovest della deformazione: nei casi di osservazione di superfici con pendenze elevate, spesso si dispone di una sola componente della deformazione. Queste limitazioni, assieme ai problemi derivanti dalla presenza di disturbi mitigabili solo acquisendo un numero sufficiente di misure, possono rivelarsi eccessive, soprattutto in casi di emergenze. In effetti, la tecnologia radar satellitare richiede spesso l’integrazione di misure realizzate in modo indipendente al fine di validare, calibrare e complementare il dato satellitare. Molte delle limitazioni menzionate possono essere superate ricorrendo all’utilizzo di piattaforme aeree. In tal caso, la realizzazione dei sorvoli per l’acquisizione dei dati è, in sostanza, priva di vincoli; parimenti la scelta delle direzioni e degli angoli di osservazione. Un ulteriore punto riguarda la possibilità di installare a bordo sensori operati a diverse

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frequenze, e quindi in grado di penetrare la vegetazione ed primi strati superficiali per meglio adattarsi alla scena ed alla dinamica della deformazione. La piattaforma aerea rappresenta quindi uno strumento flessibile che fornisce un buon compromesso, in termini di copertura e di frequenza di osservazione, tra lo strumento satellitare e le misurazioni in situ (GPS o radar di terra). La tecnologia DInSAR da aereo, che presenta problematiche di elaborazione peculiari (es. la misurazione e compensazione degli errori di moto) è attualmente sviluppata soprattutto dal DLR Germania. Un esperimento a scopo dimostrativo è stato anche condotto in Italia attraverso una collaborazione che ha coinvolto l’IREA, l’IRPI e la società Brasiliana ORBISAT. E’ ragionevole ritenere che nei prossimi anni la tecnica DInSAR da piattaforma aerea affiancherà quella satellitare per fornire tecnologia completa, in grado di rispondere ad esigenze diverse. Anche se è bene sottolineare che, solo grazie all’integrazione di osservazioni satellitari, aeree ed in situ è spesso possibile interpretare correttamente i fenomeni fisici che causano le deformazioni e valutarne l’effettivo grado di pericolosità e la vulnerabilità dei territori e delle strutture interessate.

SISTEMI DI RILEVAZIONE INCENDI Nicola Pergola, IMAA (Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale, Tito Scalo-PZ) Gli incendi rappresentano un problema ambientale, economico e sociale che colpisce ogni anno decine di migliaia di ettari di territorio con perdite significative da parte dell’ecosistema e con conseguente accrescimento della fragilità idrogeologica dei versanti. Essi, inoltre, oltre ad essere una delle cause di emissioni di gas serra, sono una minaccia per l’incolumità delle popolazioni e gli esempi italiani dell’estate 2007 ne sono purtroppo una drammatica testimonianza. In un territorio quale quello italiano, la gestione dell’emergenza incendi richiede particolari sforzi a causa della peculiare conformazione orografica del territorio, della elevata densità abitativa e delle condizioni meteo-climatiche. Per tutte queste ragioni, una migliore gestione dell’emergenza passa necessariamente attraverso la qualità e la quantità delle osservazioni disponibili, a supporto dei decisori, nei momenti di crisi. I satelliti per l’osservazione della Terra possono rappresentare una valida alternativa alle osservazioni tradizionali, ovvero un utile complemento, a patto che abbiano caratteristiche (orbitali e strumentali) adeguate, che rispondano cioè a determinate esigenze quali soprattutto: i) tempestività dell’osservazione; ii) rapidità nella messa a disposizione del dato; iii) affidabilità delle tecniche di detection; iv) elevata frequenza di osservazione; v) adeguato range dinamico; vi) sensibilità a segnali più deboli (per rivelare i principi di incendio). Tali requisiti, per un territorio quale quello italiano, devono necessariamente essere molto spinti. I fenomeni, in Italia, sono infatti caratterizzati da dinamiche evolutive molto rapide, da estensioni dei fronti di fiamma relativamente contenute ma estremamente pericolose a causa delle numerose “interfacce” (centri abitati, infrastrutture, ecc.) che possono potenzialmente essere interessate dal fuoco. L’attuale panorama spaziale offre, oltre alle piattaforme polari che hanno però tempi di rivisita non compatibili con le applicazioni legate all’avvistamento precoce, il sensore

SEVIRI a bordo di MSG che, con una frequenza di osservazione di 15 minuti, rappresenta certamente la tecnologia più promettente. Il CNR da anni lavora allo sviluppo di algoritmi originali di elaborazione dei dati (RST - Robust Satellite Techniques) che mirano alla ottimizzazione delle performance delle tecniche di avvistamento tempestivo in termini di sensibilità ed affidabilità. Alcuni studi promettenti sono stati condotti (e saranno perfezionati nel futuro) che hanno confermato le potenzialità di tali metodologie anche nel supporto al sistema degli end-user. Ancora tanto deve però essere fatto sia in termini di qualità che di quantità delle osservazioni. Il prossimo futuro offrirà al sistema della ricerca alcune opportunità importanti quali ad esempio la nuova generazione dei satelliti geostazionari rappresentata da Meteosat Third Generation. Le caratteristiche tecnologiche estremamente migliorative di MTG consentiranno di fare notevoli passi avanti in termini di prestazioni degli algoritmi e, conseguentemente, di ampliamento dei campi applicativi. Infine, il CNR è tra i promotori di una proposta progettuale innovativa, attualmente in una fase di pre-studio di fattibilità che, mettendo insieme mondo della ricerca e partner industriali, mira alla progettazione e realizzazione di un sistema spaziale unico, costituito da una costellazione di satelliti a basso costo, con sensori IR innovativi in grado di offrire elevatissime prestazioni (grande ris. spaziale e radiometrica ed elevato range dinamico) che, insieme a tecniche avanzate di analisi dati, garantirebbero di colmare l’attuale gap osservativo. In particolare, il sistema garantirebbe la possibilità di fornire informazioni spazialmente dettagliate e continuamente aggiornate sulla evoluzione dell’incendio per dare supporto alle decisioni nella fase di dispiegamento delle forze di contrasto e per valutare i loro effetti.

Progetti Interdipartimentali AMBIENTE E SALUTE Fabrizio Bianchi, IFC (Istituto di Fisiologia Clinica, Pisa) Il Progetto Interdipartimentale Ambiente e Salute (PIAS) si propone di affrontare in modo multidisciplinare il ciclo ambiente-salute: dalle emissioni e ricadute di inquinanti, alla formazione dei fattori di stress, al trasporto e trasformazione nell’ambiente, alla migrazione nel biota, all’esposizione umana, alla dose assorbita, ai possibili effetti biologici precoci, o alterazione di strutture e funzioni, fino alla malattia. Il PIAS è articolato in cinque aree di lavoro: 1. studi su destini ecologici, meccanismi di perturbazione biologica e salute; 2. strumenti analitici e metodologici per affrontare le nuove sfide su ambiente e salute; 3. Indagini sul campo; 4. sviluppo tecnologico e industriale; 5. informazione, comunicazione e formazione. Il PIAS, oltre allo sviluppo di conoscenze teoriche, si propone la definizione di metodi e strumenti di indagine, il trasferimento per lo sviluppo tecnologico, la messa a punto e sperimentazione di indicazioni per la governance a livello locale, regionale e nazionale, la preparazione di pacchetti per la comunicazione e la formazione. Il gruppo di coordinamento, formato da ricercatori dei Dipartimenti Terra e Ambiente e di Medicina, ha avviato all’interno del CNR la

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raccolta di idee- progetto e sulla base di quelle pervenute (127) ha realizzato una prima banca dati tematica, secondo diverse chiavi di classificazione (argomenti, matrici ambientali, esiti sanitari, altro). Sulla base dell’istruttoria realizzata sono state identificate macro aree di forte utilità per l’implementazione delle attività progettuali. Nella fase di avvio sono state realizzate alcune attività a supporto di istituzioni dello stato, quali la Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera, la Commissione Bicamerale sul ciclo dei rifiuti i ministeri dell’ambiente e della salute. Il PIAS è stato presentato in diversi eventi scientifici nazionali. Il PIAS è entrato a far parte del nuovo progetto Europeo ERA-ENVHEALTH. Sono state consolidate azioni collaborative con altri Enti di ricerca e Università, con particolare riferimento all’Istituto Superiore di Sanità. Il PIAS prevede un’articolazione in cinque gruppi di lavoro: GL1. destino degli inquinanti, mirato allo studio delle modalità di inquinamento di suolo e acque; GL2. sistemi di monitoraggio per suoli e acque, mirato al tema del monitoraggio ambientale degli inquinanti, specifici di suolo e acque con interesse sanitario; GL3. inquinamento dell’aria outdoor/indoor e salute, con specifico riferimento a relazioni tra inquinamento indoor e outdoor, meccanismi a livello molecolare, campi promettenti dal punto di vista dello sviluppo di tecnologie, quali la modellistica previsionale ed i bio- sensori; GL4. biomonitoraggio umano, mirato all’approfondimento dei biomarcatori di esposizione, modificazioni fisiologiche e danno precoce e allo studio delle relazioni tra indagini epidemiologiche, ricerca tossicologica, sperimentazioni in vitro e in vivo; GL5. sistema di sorveglianza su ambiente e salute, teso a sviluppare un protocollo per la sperimentazione in aree a diverso rischio ambientale. Inoltre, in considerazione delle priorità suggerite dall’OMS e dalla UE su ambiente e salute e con l’obiettivo di elaborare progetti di ricerca e rafforzare la struttura interna CNR e le collaborazioni con l’esterno, è prevista l’attivazione di studi di fattibilità o pilota su alcuni temi emergenti, quali gli interferenti endocrini, riscaldamento globale e salute, particolato ultrafine e salute, con particolare riferimento ai bambini. Infine, nel corso del primo anno di attività è prevista la realizzazione di uno spazio web dedicato, di seminari, workshop e una conferenza di profilo internazionale. Le attività preparatorie, quelle di studio nei settori più maturi e quelle esplorative sui temi più nuovi dovranno essere necessariamente interrelate con azioni di promozione tese alla ricerca di finanziamenti sul tema generale e su settori specifici.

GESTIONE INTEGRATA E INTEROPERATIVA DEI DATI AMBIENTALI Stefano Nativi, IMAA (Istituto di Analisi per le Metodologie Ambientali, Tito Scalo-PZ) L’obiettivo principale del progetto inter- dipartimentale Gestione Integrata e Interoperativa dei Dati Ambientali del CNR (GIIDA) è la realizzazione di una infrastruttura digitale

(e- infrastructure per l’Europa e cyber-infrastructure per gli USA). GIIDA definirà un rilevante insieme di tecnologie, politiche e atti istituzionali che facilitino la disponibilità e l’accesso ai dati geospaziali del Dipartimento. L’infrastruttura definita da GIIDA fornirà la base per l’individuazione dei dati geospaziali, la loro valutazione ed il loro uso da parte di utenti e fornitori sia nel settore scientifico che nei diversi livelli di governo che caratterizzano la Società dell’Informazione. Infatti, l’informazione geospaziale gioca un ruolo fondamentale per supportare il processo decisionale e la gestione di una vasta tipologia di problemi, da quelli ambientali a quelli dei trasporti, della logistica, della sicurezza sociale e sanitaria, dello sviluppo economico, della preservazione degli ecosistemi, della biodiversità, etc. L’infrastruttura digitale che svilupperà GIIDA è di fondamentale importanza per sostenere la ricerca delle discipline relative alle scienze della Terra. Infatti, consente agli scienziati di integrare tra loro le conoscenze derivanti dalle diverse discipline che studiano le parti costituenti del complesso sistema Terra (Earth system) al fine di comprenderne le proprietà come un unico insieme. Le infrastrutture digitali avanzate come quella di GIIDA sosterranno la formazione e l’operatività della Comunità Scientifica del Sistema Terra (Earth System Science Community), basata sull’integrazione delle conoscenze multi- disciplinari. L’approccio tecnologico e l’architettura di riferimento di GIIDA sono brevemente presentate e discusse. Le infrastrutture digitali avanzate come GIIDA giocano e giocheranno un ruolo chiave in numerose iniziative e programmi a livello europeo ed internazionale che riguardino il monitoraggio ambientale, la gestione dei rischi, la sicurezza e lo sviluppo sostenibile. Per questi programmi è già in fase di sviluppo un contesto di ricerca multidisciplinare. Di sicuro interesse per il CNR ed il Paese sono: l’iniziativa congiunta della CE della UE per la realizzazione di una Spatial Data Infrastructure europea (INSPIRE: Infrastructure for Spatial Information in Europe); il programma congiunto della CE e di ESA per il monitoraggio globale dell’ambiente e la sicurezza (GMES: Global Monitoring of Environment and Security insieme a IEOS: Integrated Earth Observing System e GOOS: Global Ocean Observing System); l’iniziativa internazionale del gruppo per l’osservazione della Terra (GEO) per un’infrastruttura di dati geospaziali (GEOSS: Global Earth Observation System of Systems); l’iniziativa di GEO per una rete virtuale di osservatori per la biodiversità (BON: Biodiversity Obervation Network); l’iniziativa della CE per migliorare la raccolta, l’analisi e la presentazione dei dati ambientali (SEIS: Shared Environmental Information System). Per tutte queste iniziative l’interoperabilità e quindi la standardizzazione nel settore della geoinfomazione giocano un ruolo fondamentale. Altre iniziative rilevanti saranno lanciate per utilizzare i servizi basati sulle locazioni (Location Based Services) che offrirà il sistema europeo di navigazione GALILEO. Naturalmente anche GIIDA si baserà su tali standard e sarà quindi presente nei principali gruppi di lavoro nazionali e internazionali che definiscono e sperimentano questi standard (es. Open Geospatial Consortium, ISO TC 211, CEN TC 287, DGIWG, IEEE ICEO, GEOSS SIF, CNIPA - Comitato Dati Territoriali, etc.). Infine saranno presentati alcuni significativi prototipi infrastrutturali già sviluppati per comunità disciplinari diverse.

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BIODIVERSITÀ E CONSERVAZIONE

Conclusa la Conferenza COP9 della Convenzione della Biodiversità

UNA NATURA · UNA TERRA · IL NOSTRO FUTURO Non ancora sciolti definitivamente i nodi delle risorse genetiche e dei biocarburanti

livello mondiale, contribuendo alla riduzione della povertà a beneficio di tutte le forme di vita sulla terra.

Come avevamo preannunciato nel numero precedente, diamo un resoconto dei risultati della riunione della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Biodiversità (COP9). La riunione si è svolta in un momento decisamente cruciale per la comunità internazionale alle prese con una grave crisi alimentare e un continuo aumento dei prodotti agricoli. Non casualmente, il tema centrale è stato il rapporto tra “Biodiversità ed Agricoltura”. “L’agricoltura è considerata come un eccellente esempio del modo in cui le attività umane hanno un effetto profondo sul sistema ecologico del pianeta - ha dichiarato il Segretario esecutivo della Convenzione Ahmed Djoghlaf - Nel corso degli ultimi 50 anni, gli esseri umani hanno modificato gli ecosistemi più rapidamente e più profondamente che nel corso dei due secoli precedenti”. La Conferenza che si è svolta a Bonn (19-30 maggio 2008) a cavallo della Giornata Mondiale della Biodiversità (22 maggio) è stata aperta dal Ministro Federale dell’Ambiente della Germania Sigmar Gabriel che contestualmente ha assunto la Presidenza della Convenzione delle Parti fino alla prossima Conferenza nel 2010 a Nagoya (Giappone). Dopo aver sottolineato il legame tra la perdita della biodiversità biologica e il cambiamento climatico che a suo dire, sono le due sfide più allarmanti all’ordine del giorno della comunità internazionale, Gabriel ha osservato che “La conservazione della natura è proteggere il clima e la protezione del clima è conservare la natura”. Invitando i circa 7.000 partecipanti in rappresentanza di 190 Paesi (USA assenti) a lavorare costruttivamente insieme, ha sottolineato la necessità di “dimostrare che prendiamo sul serio il nostro comune obiettivo concordato di compiere significativi progressi nella conservazione biologica entro il 2010”. Il riferimento al 2010 richiama il “Countdown 2010”, anno in cui scadono gli obiettivi per la Biodiversità che 110 Capi di Stato si erano dati nel 2002 per ridurre in maniera significativa il ritmo elevato di impoverimento della biodiversità a

A ribadire lo stretto rapporto tra biodiversità e agricoltura, sempre nel primo giorno è intervenuto il Vicedirettore e Responsabile della Gestione delle risorse naturali dell’ambiente della FAO, Alexander Müller che ha messo in evidenza come siano scomparsi nel XX secolo circa i 3/4 della biodiversità delle varietà di piante coltivate e molte centinaia di animali censiti sono a rischio di estinzione: solo 12 specie vegetali e 14 animali soddisfano per larghissima parte le esigenze alimentari dell’umanità. “L’erosione della biodiversità per l’agricoltura e l’alimentazione mette gravemente in pericolo la sicurezza alimentare mondiale - ha dichiarato Müller - dobbiamo raddoppiare gli sforzi per proteggere e gestire con oculatezza la biodiversità al servizio della sicurezza alimentare. Il suo uso sostenibile è determinante per garantire un sistema di approvvigionamento alimentare sicuro e sostenibile. Esortiamo la comunità internazionale ad intensificare il suo impegno e la sua azione per l’integrazione delle problematiche connesse alla sicurezza alimentare e biodiversità”. Non è risultato in sintonia con l’impostazione data dal rappresentante della FAO, il Consulente senior dell’Associazione Europea dell’Industria cementiera (ESA), Bernard Le Buanec che nel corso del Workshop “Land breeding and biodiversity” ha svolto una relazione incentrata essenzialmente sulla difesa del miglioramento genetico che creerebbe biodiversità, permettendo, agli agricoltori oggi di avere a disposizione più varietà che nel passato, tanto da concludere che “non è vero che negli ultimi 50 anni la biodiversità agricola è diminuita”. Abbiamo volutamente messo a confronto le posizioni delle personalità sopra citate per evidenziare come strategie commerciali, politiche agricole, interessi nazionali, sfruttamenti commerciali abbiano avuto nel corso della Conferenza il loro peso. Non solo, quindi, gli argomenti scientifici hanno attirato l’attenzione, ma anche gli aspetti economici e sociali hanno avuto un loro impatto nel corso delle due settimane di svolgimento del Summit. Anche nei giorni seguenti il punto di vista dei sementieri ha avuto la possibilità di essere chiaramente espressa: le nuove metodologie permetteranno di velocizzare il miglioramento genetico dei semi nel futuro per resistere ai cambiamenti climatici in atto, alle malattie e alle siccità. Le multinazionali del settore, secondo loro, stanno dando un grosso contributo ad aiutare le comunità rurali e proteggere l’ambiente. Insomma, non si deve consentire agli agricoltori di vendere le proprie sementi o passarsele tra comunità contigue: non

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devono produrre semi, ma acquistarli. (ndr: sulla questione della proprietà dei semi, Regioni&Ambiente era intervenuta nell’articolo “Inaugurata la banca dei semi. L’Arca della biodiversità. Purché dopo l’Apocalisse ci sia chi sappia coltivarli”, n. 3 marzo 2008, pag. 28 e segg.). Non la pensa in questo modo La Via Campesina (la Rete Mondiale dei Movimenti Contadini), che considera la biodiversità agricola mantenuta dalle piccole comunità rurali, come elemento determinante per affrontare i cambiamenti climatici e la sicurezza alimentare. Dopo aver organizzato varie forme di protesta fuori e dentro la Conferenza, l’organizzazione ha distribuito ai delegati un documento in cui si riassumeva la posizione dei movimenti sul tema della biodiversità agricola (vedi box). Siamo di fronte all’annosa questione: è equo e sostenibile che l’agricoltura sia una vera e propria impresa e come tale risponda alle richieste del momento o, per meglio dire, offra al consumatore prodotti standardizzati, o c’è ancora spazio affinché i contadini siano liberi di scegliere cosa coltivare e come farlo? Nel corso della Conferenza la centralità degli agricoltori è sembrata avere un ruolo marginale. In particolare, la questione dei biocarburanti è stata un po’ la cartina di tornasole delle difficoltà a trovare soluzioni unanimi. Il rappresentante del Brasile, Paese che come sappiamo ha la leadership mondiale in questo settore e che ha fatto accordi con molti Paesi europei per la produzione di eta-

nolo da canna da zucchero, ha difeso la produzione dei biocarburanti, negando una relazione tra biocarburanti e aumento dei prezzi agricoli. Che la produzione di etanolo dalla canna da zucchero sia quella che ha la maggior resa, non c’è alcun dubbio. Che sia sostenibile e che non sottragga territori alla foresta amazzonica è tutto da verificare, poiché ci sono state prese di posizione da parte di associazioni ambientaliste brasiliane contrarie all’intensificazione di questa coltura nelle regioni della foresta pluviale (cfr. “Dal caucciù all’etanolo”, in Regioni e ambiente, n. 9 settembre 2007, pag. 23 e segg.). Le recenti dimissioni da Ministro dell’Ambiente di Marina Silva, icona della salvaguardia dell’Amazzonia, a seguito dello scontro con il Ministro dell’Agricoltura che vuole incrementare le piantagioni di canna da zucchero nel “polmone verde del pianeta”, lasciano intravedere che i biocarburanti non trovano unanimi sostenitori neppure in Brasile, anche se lo stesso Presidente Luis Inacio Silva, detto “Lula” andrà, come annunciato dallo stesso rappresentante del Governo brasiliano, a Roma alla Conferenza della FAO (3-5 Giugno) per difendere il ruolo dei biocarburanti nello sconfiggere la povertà. La questione Biofuels è stata una delle più travagliate in quanto non si riusciva a trovare una mediazione tra le 3 opzioni sul tappeto: - riconoscere gli impatti positivi per l’ambiente dei biocarburanti, cercando di ridurre gli eventuali aspetti negativi; - sviluppare standard di certificazione adeguati per minimizzare gli impatti negativi;

LA VIA CAMPESINA Documento distribuito nella riunione plenaria del 22 maggio 2008 Storicamente, noi piccoli agricoltori, abbiamo sviluppato e conservato la biodiversità agricola riproducendo i nostri semi, scambiandoceli e adeguandoli al cambiamento climatico. Ciò ha garantito la continuità del settore agricolo, alimentare locale e la sovranità alimentare. Di fronte ad una drammatica crisi alimentare globale, gli interessi delle multinazionali spingono verso una nuova ìRivoluzione Verdeî in Africa quale strategia per aumentare la produttività. Anche se esse usano concetti come ìsostenibilitàî, ìpartecipazioneî e ìgestione della biodiversitàî, il modello di produzione è lo stesso di quello che ha creato líattuale crisi e la crescente perdita di biodiversità. La Rivoluzione Verde è stata attuata in America Latina e in Asia negli ultimi 50 anni, generando una grave dipendenza da fattori produttivi chimici derivati dal petrolio. È stata responsabile del degrado di biodiversità, suoli e acqua, della concentrazione di imprese agricole e dell’espulsione dei contadini, dei popoli indigeni e dei piccoli agricoltori. Il processo di industrializzazione dell’agricoltura ha intensificato l’uso di combustibili fossili, sia nella produzione che nel trasporto delle derrate alimentari. Il suo fallimento mostra che non saranno trovate risposte alle fame nel mondo, continuando ad attuare il modello della ìRivoluzione Verdeî, sia nel breve che nel lungo termine. Al contrario, noi piccoli agricoltori, abbiamo la capacità di nutrire il mondo. Líagricoltura contadina promuove la diversità alimentare, sostiene le culture tradizionali e non crea pressioni sull’ambiente. Inoltre, a piccola scala, la produzione locale ecologica costituisce un efficace e immediato modo per ridurre le emissioni di carbonio e raffreddare il pianeta. Quindi, una vera alternativa per l’Africa, come pure uníefficace risposta a livello mondiale non è una nuova ìRivoluzione Verdeî, ma l’implementazione della Sovranità Alimentare. La Sovranità Alimentare definisce il diritto dei popoli a determinare le proprie politiche per la produzione e la distribuzione di cibo, utilizzando tecnologie locali in modo culturalmente e ambientalmente adeguato. Essa pone i piccoli agricoltori, i pescatori artigianali e i pastori al centro dei sistemi alimentari. Per queste ragioni, riteniamo che i delegati della COP9 abbiano il dovere di sviluppare una strategia per la conservazione della biodiversità agricola che riconosca il ruolo dei piccoli agricoltori e la loro centralità nella lotta contro la fame e il cambiamento climatico. Alla vigilia del ìVertice sulla Crisi Alimentareî, organizzato dalla FAO a Roma, è venuto il momento di riconoscere l’importanza delle piccole comunità agricole e di garantire la loro piena partecipazione alle discussioni sulle crisi alimentari e ambientali.

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- riconoscere che recenti studi hanno messo in luce aspetti socio-ambientali negativi dei biocarburanti, tali da adottare il principio di precauzione.

un Piano per i negoziati di qui al 2010, ma fornisce anche un breve elenco di opzioni con elementi giuridicamente vincolanti e altre facoltative.

Le negoziazioni sui due punti più controversi sono continuate per giorni in riunioni a livello di gruppi di lavoro, intervallate dalla presentazione di vari rapporti. Tra gli altri, uno in particolare ha goduto di grande risonanza: “L’economia degli ecosistemi e delle biodiversità” che è stato presentato nella Sessione ad alto livello, nel corso della quale 87 Ministri ed alcuni Capi di Stato, tra cui la Cancelliera tedesca Angela Merkel, il Primo Ministro canadese Stephen Harper e il Presidente della Commissione UE José Manuel Barroso, si sono confrontati ed hanno assunto impegni (vedi box alla pagina accanto).

Biocarburanti. Si è stabilito, nonostante il tentativo di Brasile, Cina e Canada di opporsi, che la produzione dei biocarburanti potrebbe offrire molti contributi a livello di riduzione delle emissioni climalteranti, il suo impiego dipenderà dai metodi di produzione, dalle materie prime utilizzate e dalle pratiche agricole coinvolte. Anche in questo caso gli strumenti per valutare la loro sostenibilità sarà oggetto di altre discussioni fino alla prossima Conferenza.

Alla fine delle varie sessioni, i delegati hanno convenuto su una serie di misure di sostegno per la conservazione della biodiversità, in modo da garantirne il suo uso sostenibile e una serie di misure specifiche per i singoli aspetti che erano all’ordine del giorno: Risorse Genetiche. Si è concordato di avviare un processo verso l’istituzione di norme internazionali in materia di accesso alle risorse genetiche e la ripartizione equa dei benefici derivanti dal loro uso. La tabella di marcia prevede

Aree protette. Si è deciso di espandere la rete globale di aree in grado di garantire la conservazione della biodiversità in modo da rappresentare la maggior parte possibile degli ecosistemi del mondo. La Germania ha annunciato lo stanziamento entro il 2012 di 500 milioni di Euro per il finanziamento di progetti per la protezione delle foreste in tutto il mondo. Merita una menzione, il risultato raggiunto per quanto attiene le aree marine per le quali attraverso criteri scientifici di identificazione, con particolare riguardo agli impatti ambientali delle attività svolte in alto mare, mentre si è decisa una moratoria per la cosiddetta “fecondazione” degli Oceani (tentativo di staccare il carbonio attraverso il fitoplancton che fiorirebbe abbondante dopo aver aggiunto i fertilizzanti come il ferro e l’azoto).

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Biodiversità e cambiamenti climatici. Si è concordato che venga tenuta in maggior considerazione la diversità delle specie nelle future normative che riguardano il clima,in modo che sia salvaguardata nell’ambito dei progetti di rimboschimento, volti a fornire l’immagazzinamento della maggiore quantità possibile di CO2. Sempre per quanto riguarda boschi e foreste, Brasile e Cina hanno auspicato una maggior diffusione di piante OGM che

crescono più rapidamente,assorbono più CO2 e producono più cellulosa. Il compromesso raggiunto poggia sul “principio di prevenzione”. Si raccomanda i singoli Paesi di autorizzare tali alberi solo se la loro innocuità è stata provata da un’apposita analisi dei rischi. Gli Stati partner riconoscono, inoltre, il diritto di vietare l’utilizzo di questi alberi nel quadro delle relative legislazioni nazionali.

THE ECONOMICS OF ECOSYSTEMS & BIODIVERSITY Il Rapporto stilato dall’economista indiano Pavan Sukhdev, Direttore a Londra della sezione Mercati globali della Deutsche Bank, k e commissionato, dopo la Conferenza di Potsdam 8 marzo 2007) dal Ministro dell’ambiente della Germania, Gabriel Sigmarr e dal Commissario UE all’Ambiente Stavros Dimas, costituisce la prima parte di un progetto più vasto che si concluderà nel 2009, tendente a valutare i costi della perdita di biodiversità e la relativa diminuzione dei servizi ecosistemici in tutto il mondo e confrontarli con i costi di un’efficace conservazione e un uso sostenibile. La natura fornisce la società umana con una serie di vantaggi, come il cibo, il legno, l’acqua, le medicine, i suoli, ecc. Anche se il nostro benessere è totalmente dipendente da questi servizi ecosistemici, che sono prevalentemente pubblici e non hanno mercato e sono ignorati dai convenzionali sistemi di contabilità, nonostante si riconosca che stanno subendo gravi conseguenze a seguito di pressioni antropiche quali la crescita della popolazione, il cambiamento di modelli alimentari, l’urbanizzazione, il cambiamento climatico. Il Rapporto di Sukhdev dimostra che se non si adotteranno adeguate politiche, l’attuale diminuzione di biodiversità e la relativa perdita di servizi ecosistemici proseguirà e si accelererà, tanto che già oggi alcuni ecosistemi rischiano di essere danneggiati in modo irreparabile. Secondo lo scenario di riferimento attuale “business as usual”, entro il 2050 saremo di fronte a gravi conseguenze: • l’11% delle aree naturali presenti nel 2000 potrebbe andare perduto, a seguito della conversione agricola dei suoli, l’espansione delle infrastrutture e il cambiamento climatico; • quasi il 40% dei terreni che subiscono un basso impatto oggi da alcune forme di utilizzo agricolo potrebbe essere riconvertita da alcune forme di utilizzo agricolo intensivo, con ulteriore perdite di biodiversità; • il 60% delle barriere coralline potrebbe andar perduto anche entro il 2030 a causa di pesca, inquinamento, malattie, specie esotiche invasive e del cosiddetto “sbiancamento del corallo” per effetto dei cambiamenti climatici. Il Rapporto contiene anche un’analisi preliminare dei costi della perdita di biodiversità e dei servizi offerti dagli ecosistemi. Nei primi anni del periodo dal 2000 al 2050 è pari a 28 milioni di euro l’anno che aumenterà fino al valore stimato tra 1,35 milioni e 3,1 trilioni di euro, a seconda che si prenda come riferimento un tasso di sconto rispettivamente del 4% e dell’1%. È interessante osservare che il rapporto sottolinea come siano indissolubilmente legate povertà e perdita di biodiversità: “sono soprattutto i poveri, i veri beneficiari di molti dei servizi degli ecosistemi, ad esserne colpiti, poiché basano la propria sussistenza su forme semplici di agricoltura, allevamento, pesca e silvicoltura”. Per lo più le perdite annue di biodiversità e ecosistemi sono stimati, in termini umani sulla base del principio di equità, allora l’argomento della riduzione di tali perdite diventa un considerevole guadagno. “Le scelte etiche sono così profondamente intrise nel modo su cui costruiamo i modelli economici che non ne abbiamo più conoscenza. Comunque se si prende in considerazione l’esempio del tasso di sconto del 4% (per lo più è tra il 3 ed il 5%), il valore dei servizi offerti per i nostri nipoti (di qui a 50 anni) sarebbe pari ad 1/7 dei vantaggi di cui noi usufruiamo, da un punto di vista etico darebbe difficile da difendere”. Il requisito fondamentale da sviluppare nel criterio economico che sia più efficace del PIL per valutare una performance economica. Occorre che i sistemi di contabilità nazionali misurino i significativi vantaggi che biodiversità ed ecosistemi offrono. Qualora venissero conteggiati sarebbe più facile adottare misure legislative e di progettazione per meccanismi di finanziamento per la loro conservazione. Purtroppo,come dimostra il Report “stiamo cercando di navigare senza bussola in acque tempestose - ha dichiarato Sukhdev - con un vecchio ed antieconomico compasso e ciò ha influenzato la nostra abilità di dar vita ad una economia sostenibile in armonia con la natura”.

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Biodiversità e risorse finanziarie. 34 imprese di livello internazionale hanno preso l’impegno volontario per rendere la conservazione della biodiversità una componente importante del loro futuro aziendale e delle loro politiche gestionali. Il campo applicativo delle società aderenti spazia dal turismo alla lavorazione del legname, dall’alimentazione ai servizi finanziari. “La riunione di Bonn sarà ricordata per aver avviato una nuova era in esecuzione della Convenzione sulla Biodiversità - ha dichiarato Ahmed Djoghlaf, segretario esecutivo della CBD, nel suo discorso di chiusura dei lavori - le soluzioni per risolvere la crisi delle biodiversità richiedono strategie a lungo termine. È nata un’alleanza globale di tutti i soggetti interessati per lottare contro la perdita di biodiversità, aggravata dal cambiamento climatico”. Anche il Commissario UE all’Ambiente Stavros Dimas si è dichiarato soddisfatto per le conclusioni della Conferenza e per il ruolo che l’Unione Europea ha svolto per raggiungere un accordo: “Abbiamo raggiunto una pietra miliare nella protezione delle biodiversità, traducendo i nostri impegni in azioni concrete. In seguito a questo accordo i Governi

saranno in grado di adottare un’azione concreta nei confronti della perdita di biodiversità”. A noi sembra che siano stati fatti pochi passi in avanti rispetto alla gravità della situazione e il commento finale del Ministro dell’Ambiente della Germania, Sigmar Gabriel ha meglio fotografato la situazione: “Naturalmente si è ottenuto meno di quel che la dimensione dei problemi avrebbe comportato, ma è difficile raggiungere l’unanimità tra 91 Stati membri”. Da sottolineare infine che l’evento è stato registrato EMAS, ad indicare che una manifestazione che ha per tema la sostenibilità ambientale deve essere in grado di mostrare che è possibile svolgere azioni coerenti per mitigare il riscaldamento globale e tutelare le risorse del Pianeta. Trasporti, ristorazione e rifiuti degli oltre 7.000 partecipanti sono stati così sottoposti ad operazioni Carbon Neutral, mentre, quando non è stato possibile ridurne l’impatto, sono state calcolate minuziosamente le emissioni causate che saranno compensate con un progetto per fornire di energia elettrica, prodotta da biomasse, le zone rurali del Burkina Faso. Speriamo che l’esempio della Germania sia imitato da altre Nazioni che ospiteranno grandi eventi similari.

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AGENDA 21

AGENDA 21 LOCALE NEI PAESI BASCHI a cura della segreteria del Coordinamento Agende 21 Locali Italiane traduzione e sistemazione testo spagnolo a cura di Francesco Silvestri, eco&eco srl

Il 6 e 7 di giugno si è svolta a Rimini la IX Assemblea delle Agende 21 Locali Italiane. L’evento ha visto una notevole partecipazione di amministratori e funzionari di enti locali ma anche di esperti e tecnici da dipartimenti universitari, agenzie, ordini professionali, società di consulenza e associazioni. Più di 250 presenze nei Gruppi di Lavoro di venerdì 6 mattina, a testimonianza di una associazione vivace e in costante crescita. Il tutto nella suggestiva cornice felliniana del Grand Hotel, che proprio quest’anno festeggia il centenario dalla costruzione. Negli incontri dei Gruppi di Lavoro sono state illustrate le soluzioni più innovative introdotte fino ad ora dagli enti locali per quanto concerne la prevenzione dei conflitti tra istituzioni e cittadini, l’efficienza energetica, il turismo sostenibile, la mobilità, la gestione dei rifiuti, la tutela della biodiversità, l’efficienza dei sistemi di gestione ambientale. Tra le iniziative più interessanti la presentazione di un sistema di calcolo delle emissioni di CO2 prodotte dagli enti locali, elaborato dal Gruppo di Lavoro Agende 21 per Kyoto. Ogni città e territorio potrà verificare il proprio contributo al riscaldamento globale e utilizzare questi dati per intraprendere le azioni necessarie a ridurre la produzione di gas serra. Agenda 21, il Piano d’Azione dell’ONU per lo Sviluppo Sostenibile, nato durante la Conferenza sull’Ambiente e lo Sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992, continua a essere in Italia uno strumento attuale e innovativo, capace di coinvolgere e di promuovere azioni per uno sviluppo più sostenibile, integrando aspetti economici, sociali ed ambientali. Ma anche in altre regioni europee si registrano realtà molto dinamiche. Una interessante testimonianza è stata portata ai partecipanti dell’Assemblea a Rimini da Agate Goyarrola Ugalde, coordinatrice dell’Area Sostenibilità Locale di Udalsarea 21, la rete delle Agende 21 Locali dei Paesi Baschi.

Sviluppo sostenibile nei Paesi Baschi Nell’ambito della Strategia Ambientale di Sviluppo Sostenibile 2002-2020, il Governo Basco ha approvato il 5 giugno 2007 il II Programma Quadro Ambientale 2007-2010, documento che prevede 44 impegni - dalla lotta contro il cambiamento climatico alla preservazione della biodiversità, dal miglioramento della qualità ambienta-

le dei nuclei urbani alla diffusione di modelli sostenibili di consumo e produzione - finalizzati a consegnare alla generazione del 2020 un Paese Basco in cui i principali problemi ambientali sono in via di soluzione. Di fronte a questa grande sfida, il Dipartimento dell’Ambiente e Pianificazione del Territorio del Governo Basco considera fondamentale il ruolo dei Comuni. Attra-

Il Paese Basco è una regione situata nel nord della Spagna. Ha una popolazione di 2.082.587 abitanti, una superficie di 7.234,8 km2 e un reddito pro-capite appena superiore alla media dell’Unione Europea. 251 sono i comuni nelle sue tre province di cui solo il 3% ha una popolazione superiore ai 50.000 abitanti, mentre il 60% ne conta meno di 2.000.

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verso l’attuazione dei processi di Agenda 21 Locale, questi ultimi hanno contribuito in maniera importante al miglioramento ambientale sperimentato, come illustrato dal primo “Rapporto sulla sostenibilità locale della Comunità Autonoma del Paese Basco 2007”. Obiettivo prioritario del Dipartimento per i prossimi anni è, pertanto, contribuire al radicamento effettivo dei processi di Agenda 21 Locale, anche grazie ad una sempre più incisiva azione di valutazione e reindirizzo dei Piani di Azione Locale. La Rete Basca dei Comuni verso la Sostenibilità, Udalsarea 21, nasce nel 2002 per dare impulso alla attivazione dei Piani di Azione Locale dei Comuni. Nata con 16 membri, oggi sono già 180 i Comuni che vi partecipano. Udalsarea 21 ha già prodotto due Piani strategici in cui sono state raccolte una serie di analisi e di riflessioni sulle attività della rete. Nel suo secondo Piano Strategico 2006-2009, Udalsarea 21 rimarca la necessità di migliorare la qualità dei processi e degli impegni richiesti ai propri membri; a tale scopo, sono attivati un servizio di assistenza per la gestione dei processi di Agenda 21 Locale, che comprende la messa a punto di una batteria di indicatori di sostenibilità e di valutazione, programmazione e revisione dei Piani d’Azione, ed un Osservatorio permanente sulla Sostenibilità Locale della Comunità Autonoma del Paese Basco (CAPV), piattaforma che permette il calcolo e l’aggiornamento annuale degli indicatori e la valutazione dei Piani d’Azione. Nell’intento di uniformare e migliorare l’efficacia dei Piani di Azione Locale dei

membri della rete, Udalsarea 21 ha definito un modello strutturato su un ciclo di gestione che si ripete annualmente, comprensivo delle seguenti attività: - calcolo degli indicatori di sostenibilità; - valutazione dello stato di avanzamento del Piano; - programmazione di azioni future.

dell’insieme dei Comuni, informando sull’avanzamento globale nell’attuazione dei Piani di Azione e permettendo di individuare i fabbisogni specifici dei singoli membri della rete. Tali risultati rappresentano infine la base informativa per la elaborazione del Rapporto sulla Sostenibilità Locale della CAPV.

L’intero Piano d’Azione è poi sottoposto a revisione ogni cinque anni. Oltre a fornire una metodologia unica, Udalsarea 21 ha dotato ogni Comune di un applicativo informatico (MUGI 21) capace di raccogliere i dati in modo uniforme e di integrare i risultati in un modulo gestito dall’Osservatorio per la Sostenibilità Locale della CAPV. I risultati ottenuti da questo processo di valutazione sono utilizzabili sia a livello locale – dove permettono di conoscere il grado di realizzazione degli obiettivi stabiliti e la posizione di ogni municipio in relazione agli altri membri della rete - che a livello sovra-comunale, delineando le tendenze di sostenibilità

Nel 2006, è stato avviato il primo programma di valutazione ed assistenza alle Agende 21 Locali nella CAPV, con la partecipazione di 36 Comuni, una cifra quasi raddoppiata (70 Comuni) nel secondo programma, iniziato nell’autunno del 2007. Il programma ha dato vita nel 2007 al primo Rapporto sulla Sostenibilità Locale della CAPV. Il Rapporto, da riproporre ogni anno, intende aiutare sia i Comuni sia le entità sovra-comunali a indirizzare ed adattare le politiche pubbliche di sostenibilità verso la soluzione dei principali problemi e le principali necessità individuate. Grazie ad esso e ai Rapporti che seguiranno nei prossimi anni, sarà valutato il perseguimento degli obiettivi di sostenibilità della rete Udalsarea 21, l’individuazione dei successi e degli ambiti di miglioramento dei processi di A21L, così da facilitare il percorso verso la sostenibilità. Autovalutare il proprio operato all’interno della cornice di lavoro disegnato da Udalsarea 21 costituisce uno sforzo innegabile per i Comuni coinvolti nel programma, ma implica anche l’opportunità di partecipare e conoscere i risultati delle azioni: un deciso avanzamento verso una migliore qualità della vita. Per maggiori informazioni: www.udalsarea21.net

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ENERGIE ALTERNATIVE E RINNOVABILI

ALGHE: L’ULTIMA FRONTIERA DEI BIOCARBURANTI DI 2A GENERAZIONE Intervista ai proff. Mario Giordano e Fabio Polonara, docenti dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona

di Donatella Mancini

Le opinioni sui biocarburanti sono contrastanti. Secondo alcuni, come il Presidente del Venezuela Ugo Chavez, i biocarburanti entrando in competizione con le coltivazioni da cibo, sottraggono terreno all’agricoltura tradizionale e, quindi, contribuiscono sia ad affamare le popolazioni più povere, sia ad innalzare il prezzo degli alimenti. Secondo altri, come il Presidente del Brasile Luis Inacio da Silva, detto Lula, questi sono falsi problemi, in realtà “quelli che mettono sotto accusa il bioetanolo per il rincaro dei prezzi degli alimenti sono gli stessi che da anni portano avanti politiche protezionistiche dell’agricoltura nei Paesi industrializzati, danneggiando gli agricoltori ed i consumatori dei Paesi più poveri, oltre a coloro i quali hanno tutto l’interesse a mantenere la supremazia del petrolio”. Esiste però una terza via, indicata anche dal Presidente francese Nicolas Sarkozy: quella dei biocarburanti di 2a generazione, cioè ottenuti da piante non commestibili e coltivabili anche in terreni poco fertili, altrimenti non utilizzabili. Ma la novità, in questo campo, è costituita dalla possibilità di ricavare biodiesel dalle alghe. Negli Stati Uniti la ricerca a tal proposito sta facendo passi da gigante, ma anche in Italia c’è chi sta percorrendo questa strada, precisamente due docenti dell’Università Politecnica delle Marche, coadiuvati dai loro rispettivi staff: il prof. Mario Giordano del Dipartimento Scienze del Mare Laboratorio di Fisiologia delle Alghe della Facoltà di Scienze ed il prof. Fabio Polonara del Dipartimento Energetica della Facoltà di Ingegneria. Siamo andati ad incontrare entrambi per raccogliere informazioni circa questo interessante progetto.

Prof. Giordano, i biocarburanti sono stati messi sott’accusa, anche durante la recente Conferenza della FAO a Roma, perché considerati da alcuni “rei” di sottrarre spazio ai terreni coltivabili a scopo alimentare. Inoltre viene attribuita ai biocarburanti la colpa dell’aumento dei prezzi dei beni alimentari. I pareri, però, sono discordi, lei cosa pensa in proposito? Non conosco i dati in proposito, però penso sia inevitabile che, se si utilizzano come fonti di biocarburanti piante che crescono su terreni di valore agricolo, nasca una competizione con le colture che servono per nutrire la gente. Quindi la coltivazione di piante superiori (mais, colza, ecc.) per la produzione di carburante, soprattutto su larga scala, potrebbe diventare un problema che, invece, non sussiste nel caso della coltivazione delle alghe. Come avviene la coltivazione delle alghe? Innanzitutto, il nostro progetto prevede la coltivazione di microalghe, quindi di organismi unicellulari, molto diversa da quella delle macroalghe che presenta problemi analoghi a quelli delle piante superiori, perché richiede estensioni di superficie in mare o in terra che entrano in competizione con attività di altro tipo come la balneazione, la pesca o l’utilizzo di terreni. Quindi noi ci occupiamo di organismi talmente piccoli da essere visibili solo al microscopio,

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se non in casi particolari come per le fioriture di alghe tossiche e non. La coltivazione avviene in sospensione, cioè le alghe non sono attaccate ad un substrato, ma nuotano in una soluzione. Questo permette di lavorare su 3 dimensioni, piuttosto che su 2, in modo che gli organismi possono sovrapporsi l’uno all’altro: in un volume definito, quindi, sono presenti più microrganismi e con un tasso di produzione molto più alto di biomassa rispetto a quello delle macroalghe. Ciò non sarebbe possibile nel caso di una coltivazione di piante o di alghe pluricellulari. Quali sono le proprietà delle alghe? Sono molte. Innanzitutto le alghe, per unità di tempo e per unità di superficie, producono quantità di biomassa ricca di oli che è di alcuni ordini di grandezza maggiore di quella prodotta dalle piante superiori: su un ettaro le microalghe possono produrre oli in quantità superiore di 10/20/100 volte di quanto si potrebbe ottenere dalle piante superiori. Questo è il primo evidente vantaggio: per unità di superficie la produttività è molto più alta. L’altro vantaggio è che questi organismi avendo un ciclo vitale molto più breve rispondono in maniera molto più accentuata a variazioni ambientali. Esiste, quindi, la possibilità di incrementare la produzione di oli in organismi che già di per sé sono abbastanza oliogenici, alterando, anche in maniera non eccessiva, le condizioni ambientali, migliorando, dunque, la produzione, senza dover intervenire a livello genetico. Nel momento in cui si dovesse passare alla produzione su larga scala sarebbe pressoché inevitabile la fuga di alcune cellule dal sistema, anche se si lavora in sistemi chiusi che sono più costosi, ma più sicuri. Quindi, evitando la manipolazione genetica si riduce il rischio di fuga nell’ambiente di organismi modificati che potrebbero poi competere e soppiantare gli organismi


naturalmente presenti. Inoltre, mentre nelle piante superiori sono presenti molte parti fibrose e cellulosiche che per essere utilizzate richiedono applicazioni biotecnologiche piuttosto sofisticate, nelle alghe non ci sono componenti strutturali che occupano una quota significativa della biomassa, quindi la parte utilizzabile è maggiore di quella che si ottiene dalle piante superiori. Le microalghe sono notoriamente fonte di tutta una serie di prodotti di valore commerciale, quindi come prodotti collaterali è possibile ipotizzare una grossa varietà di composti. Per fare un esempio, da qualche tempo si utilizza un’alga verde, la Dunaliella, per produrre il betacarotene che viene impiegato come antiossidante e additivo nutrizionale per le persone. Si tratta di un’alga fortemente oleogenica per cui nulla vieta che si associno le due produzioni. Molte microalghe, oltre ad essere ricche di oli sono ricche di proteine, da utilizzare per l’alimentazione animale o umana. Sono veramente molte le possibilità applicative della biomassa in eccesso rispetto a quella degli oli che evidentemente porta ad un incremento della produttività, anche in termini energetici: si può digerire la biomassa algale e ricavarne energia per altre fonti. Sicuramente sono gli organismi notevolmente più produttivi, in senso lato, rispetto alle piante superiori ed inoltre, essendo la produzione per ettaro superiore a quella delle piante superiori, la competizione con le colture di valore agronomico è molto più ridotta. Fra l’altro, per le coltivazioni algali si possono impiegare terreni non idonei all’agricoltura, desertici o comunque di scarso pregio, perché le alghe non richiedono terreni fertili. Nel mondo, in particolare negli USA, sono in corso sperimentazioni sulle alghe per ricavarne biodiesel. Ci può illustrare lo studio portato avanti dall’Università Politecnica delle Marche in questo campo. Da diversi anni, il Laboratorio di fisio-

logia delle alghe del Dipartimento di scienze del mare si occupa di fisiologia algale, cioè, detto in parole povere, del modo in cui le alghe decidono dove mettere la CO2 che fissano con la fotosintesi, se nelle proteine o nei carboidrati, quindi, stiamo studiando quei processi fisiologici che determinano la locazione del carbonio. Chi si occupa di biodiesel, di solito, ha scarsissime competenze fisiologiche, quindi dà per scontato che ciò che vede in un istante sia tutto ciò che le alghe possono fare. In realtà, le alghe possiedono molteplici capacità che però vanno stimolate, quindi la conoscenza dei percorsi biochimici e metabolici che portano alla produzione di lipidi e, quindi, di oli può determinare un miglioramento delle condizioni colturali che portano alla stimolazione di oliogenesi e quindi alla produttività dei processi. Per prima cosa abbiamo, cercato di capire, osservando un alto numero di organismi, qual è il percorso che porta dalla CO2 agli oli utilizzabili

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per il biodiesel. Nella maggior parte dei casi, per attività produttive di questo tipo, bodiesel o analoghi, si utilizzano quegli organismi che tradizionalmente sono utilizzati nella biotecnologia algale, facendo pochi sforzi mirati alla scoperta di nuovi organismi. Questo accade per delle ragioni pratiche, perché andare a studiare produzione di oli in un ampio numero di organismi significa spendere tanti soldi in ricerca e soprattutto richiede tempo. Allora, abbiamo adottato dei metodi che ci consentono di fare uno screening ad ampio spettro su un grande numero di ceppi algali, in tempi brevi e a costi contenuti. Ormai da anni abbiamo messo a punto quelle tecniche da spettroscopia infrarosso che consentono di lavorare su cellule intere, senza dover fare estrazioni, in maniera molto rapida ed economica. Attraverso questo metodo si può valutare la quantità di oli, almeno in termini relativi rispetto agli altri composti carboniosi che sono presenti nelle cellule e, anche se ancora non in maniera raffinatissima, la qualità di questi oli per capire: - quale quota di acidi grassi saturi ed insaturi sono nelle cellule e quanto è lunga la catena degli acidi grassi; - se gli oli che vengono prodotti da un certo organismo in certe condizioni siano adatti o non all’utilizzo a fini energetici. In tempi più recenti, abbiamo collaborato con lo staff di ingegneri coordinati dal prof. Fabio Polonara del Dipartimento di Energetica della Facoltà di Ingegneria, che si occupano delle questioni che sono a valle della produzione delle alghe, cioè: come ottimizzare, ad esempio, i metodi di raccolta ed estrazione degli oli e come utilizzare i metodi di trasformazione degli oli in biocarburanti. Abbiamo fatto uno screening di diverse decine di specie di organismi di acqua marina ed acqua dolce, tra i quali abbiamo individuato alcune alghe che sono particolarmente


promettenti. Abbiamo caratterizzato la composizione lipidica di questi organismi e ottimizzato la loro coltivazione in modo da indurre la massima ologenesi. In questo momento stiamo cercando di passare da una scala di laboratorio

ad una scala più ampia, in modo da verificare l’applicabilità delle nostre cognizioni, ma mancano i fondi. La ricerca è estremamente costosa, anche su piccola scala, se poi si deve passare su vasta scala i costi si moltiplicano.

Il Ricercatore Ganti Murthy accanto al fotobioreattore progettuale per la produzione di biocarburanti dalle alghe messo a punto nel Laboratorio di Tecnologie sostenibili dell’ Oregon State University - USA (foto di G. Murty)

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Mettere in piedi un impianto da un ettaro di alghe necessita di fondi che non sono forniti dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Qualche sponsor all’orizzonte? L’interesse è stato mostrato da diverse compagnie petrolifere che ci hanno contattato, però al momento siamo in attesa della concretizzazione delle proposte. Attualmente, sono in corso altre sperimentazioni sulle alghe in Italia? Sì, ci sono, ma non è la quantità, ma la qualità della ricerca che conta. Mettere in coltura le alghe, per esempio ottimizzare un bioreattore, è una procedura abbastanza semplice, ma il punto è quello di individuare gli organismi migliori per indurli a produrre gli oli e per fare questo sono necessarie le competenze fisiologiche. La fisiologia delle alghe in questo Paese è un argomento poco trattato. Chi si occupa di alghe in Italia lo fa da un punto di vista tassonomico, per catalogarle. Poi c’è un terzo gruppo di studiosi, recentemente avvicinatesi alla tipologia delle alghe, che vengono dalla fisiologia delle piante superiori. Il problema è che le alghe e le piante superiori sono imparentate più o meno come un paramecio ad un elefante. Insomma, non hanno niente in comune se non il fatto di essere organismi fotosintetici. Quindi, pensare che la fisiologia delle piante superiori possa essere direttamente applicata alle alghe porta di solito a degli errori grossolani. Non si può dire che la ricerca in Italia non ci sia, ma non è sempre fondata su un background di conoscenze che consente di ottenere degli effettivi avanzamenti in termini pratici. Quello che manca, in questi staff di ricerca, è un vero fisiologo algale che studi le modalità meno invasive e più economiche della produzione di oli. Non vorrei vantarmi troppo, ma in Italia non ci sono altri Laboratori di fisiologia algale che studino la fun-


zione del metabolismo, la biochimica dei processi di allocazione di risorse nelle alghe. Il prezzo del biodiesel da microalghe potrà essere competitivo sul mercato dei carburanti? Questo non è il mio settore, dovrebbe chiederlo ad un economista. So, comunque, che studi condotti negli USA per valutare i potenziali costi del carburante prodotto da alghe sono molto incoraggianti. Da qui a pensare che il biodiesel da alghe debba soppiantare interamente la richiesta di carburanti mi sembra eccessivo, però in piccola scala, la piccola industria o la piccola azienda agricola che voglia produrre la propria energia può indirizzarsi su questa strada. Dal punto di vista biologico ci sono tutte le ragioni per ritenere che le alghe siano migliori delle piante superiori che al momento sono utilizzate per il biodiesel.

Prof. Polonara, la produzione di biocarburanti potrebbe diventare un’opportunità per i Paesi in via di sviluppo? Sì, se si faranno delle scelte oculate. Penso che l’aumento dei prezzi agricoli e del petrolio sia soprattutto causato dalla speculazione, ma indubbiamente il fatto che in America grosse quantità di grano e di mais vengano poi utilizzate per produrre bioetanolo o biodiesel, non è un aspetto da sottovalutare. L’orientamento della ricerca, prima, ma anche della politica e dell’economia, in un successivo momento, deve mirare all’utilizzo ai fini energetici, non dei

terreni fertili ma dei terreni marginali, degradati, desertici, cioè di quelli non utilizzabili dall’agricoltura tradizionale per la produzione di alimenti. Ad esempio, c’è la iatropa, una pianta che però non produce cibo, cresce in terreni aridi con pochissima acqua e può essere, quindi, utilizzata a scopi energetici. Questo è un approccio più utile ed in prospettiva più interessante per le biomasse, in genere, e in particolare per i biocarburanti. Poi c’è questa idea delle alghe che è molto suggestiva, ma ancora c’è molto lavoro da fare. Alcune proiezioni dicono che con un ettaro utilizzato ad alghe si può superare di 20-30 volte la produzione di biodiesel, ottenuto dalla colza o dal girasole. Ci sono altre proiezioni che parlano di una capacità riproduttiva delle alghe così alta tale da riuscire a soddisfare il fabbisogno mondiale di carburante, utilizzando per la coltivazione una piccola superficie pari ad una volta e mezzo l’Italia. Probabilmente queste valutazioni peccano di ottimismo, ma anche se si arrivasse alla metà dei pronostici, vale la pena di tentare. Il concetto di fondo è che non esiste un’unica soluzione definitiva. Per produrre energia bisogna sfruttare tutto dal solare fotovoltaico, termico, termodinamico, all’eolico, alle biomasse, per quello che possono dare, perché non si può pensare che da sole potranno risolvere tutti i problemi. Come avete coordinato i lavori tra il Dipartimento di Energetica e il Dipartimento di fisiologia delle alghe? La filiera di produzione di biodiesel si compone di due anelli principali. Le alghe crescono e si riproducono dentro i fotobioreattori, piuttosto che negli stagni. Una volta estratte le microalghe dall’acqua, inizia un processo ingegnieristico, fisico-chimico che porta alla produzione di biodiesel. Rimane, inoltre, della sostanza essiccata che può essere utilizzata per produrre energia elettrica con un cogeneratore. Il lato

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positivo è che l’anidride carbonica prodotta dal cogeneratore non viene immessa in atmosfera, ma viene usata per far crescere le alghe. Quindi, c’è la possibilità di creare una filiera completa nella quale confluiscono competenze interdisciplinari. I microbiologi, i fisiologi del gruppo del professor Giordano si occupano della scelta dell’alga più adatta, poi intervengono gli ingegneri chimici che devono passare dalle microalghe al biodiesel, attraverso dei processi che siano il meno impattanti possibile sull’ambiente. Lasciando il contenuto energetico alla fase finale si cerca di inquinare il meno possibile durante il processo, anzi di evitare l’inquinamento. Infatti, tale processo potrebbe utilizzare le acque degli impianti di depurazione che hanno un grosso contenuto di azoto, quindi di nutrienti per le alghe. L’impianto, ad esempio, potrebbe essere collocato vicino ad un impianto di depurazione, la cui l’acqua potrebbe essere utilizzata come nutriente ed anche assorbire CO2 e gas serra prodotti dalle centrali elettriche. Le microalghe vengono già utilizzate per applicazioni nella cosmesi e nell’alimentazione, però in piccole quantità. La differenza sostanziale è che nel nostro caso dobbiamo arrivare a produzioni molto cospicue perché il fabbisogno di biocarburanti è molto elevato. In prospettiva la cosa è molto interessante per cui siamo molto motivati ad andare avanti. Stiamo intensificando la ricerca di finanziamenti, muovendoci su diversi versanti. Dobbiamo investire soldi su queste iniziative piuttosto che sul nucleare che sposta soltanto la nostra dipendenza energetica da alcuni Paesi verso altri. Possiamo produrre da soli l’energia rinnovabile, eliminando qualsiasi dipendenza dall’esterno. Questo è un aspetto da non sottovalutare: per l’energia si sono fatte e si continueranno a fare le guerre, se ogni Paese riuscisse a produrla sarebbero evitati anche molti conflitti.


SERVIZI AMBIENTALI

Presentato il Dossier “Pesticidi nel piatto 2008”

Sempre acceso il dibattito sull’uso dei fitofarmaci

Quando fa caldo, cosa c’è di più gustoso della frutta fresca di stagione? Proprio per comprendere il rapporto tra i consumatori e la frutta, CNR-Ibimet (Istituto di Biometeorologia) ha condotto recentemente un’indagine da cui risulta che i consumatori, partecipanti alla consultazione on-line, ritengono che la sicurezza del prodotto, la salubrità e genuinità, nonché la gustosità, siano le caratteristiche a cui associano la “qualità della frutta”. Secondo l’annuale Rapporto “Pesticidi nel piatto 2008” che Legambiente ha presentato a Firenze nel corso di “Terra Futura”, solo il 53,7% della frutta è immune da contaminazioni, mentre la verdura presenta livelli di residui inferiori (15,4%), anche se non mancano dei “primati” quali quello dei pomodorini a grappolo di produzione siciliana che possono presentare ben 8 residui contemporaneamente. Tra la frutta, la mela è il frutto più contaminato da fitofarmaci solo il 38,8% delle mele è esente da pesticidi, mentre il 26% dei campioni analizzati presenta un principio attivo, il 34,1% contiene più di un residuo e l’1,1% risulta irregolare. È salita la percentuale di prodotti ortofrutticoli che presentano più residui, passando dal 27,2% (2007) al 28%; viceversa è in calo la percentuale di campioni fuori legge, per il superamento dei limiti di concentrazione di residuo chimico o per uso di pesticidi non autorizzati, pari all’1% (nel 2007 era dell’1,3%). “Il costante, anche se lento, miglioramento dei dati - ha di-

chiarato Rossella Muroni, Direttore generale di Legambiente - conferma la validità delle battaglie a favore di un’agricoltura di qualità, il più possibile sana, stagionale e legata al territorio”. Anche quest’anno Legambiente solleva la questione del multiresiduo, vale a dire la presenza contemporanea, entro i limiti di legge di più principi attivi su uno stesso prodotto. “Pur aumentando le evidenze scientifiche della gravità dei pesticidi sulla salute umana e ambientale - ha osservato la Muroni - non si è provveduto ancora a cambiare una legislazione ferma da trent’anni che non prevede ancora un limite alla somma di più residui nello stesso alimento”. Di qui, si continuano a registrare “campioni da record”, prodotti in regola, ma che presentano concentrazioni di più fitofarmaci i cui effetti sulla salute dovrebbero essere adeguatamente valutati. Ad aggiudicarsi questo “poco invidiabile” record, quest’anno è stato un campione di uva bianca proveniente dalla Sicilia, contenente ben 9 residui di pesticidi. Altri frutti poco “naturali”, secondo quanto riportato da Legambiente, risultano essere gli agrumi: su 746 campioni analizzati 14 sono risultati irregolari (1,9%), 386 regolari senza residui (51,7%), 219 regolari con un residuo (29,4%) e ben 127 (pari al 17%) contaminati da più di un residuo. Il Rapporto segnala anche la preoccupazione per un aumento significativo, correlato ad un aumento del numero dei

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controlli di contaminazione nei prodotti derivati, soprattutto nei campioni di vino e olio. Pur non essendo possibile, stante l’attuale normativa, risalire alla provenienza dei prodotti di origine, c’è da osservare che i prodotti chimici utilizzati in agricoltura contaminano, oltre il frutto anche il prodotto derivato. A tener alta l’attenzione sui prodotti chimici usati in agricoltura e sulla necessità di usare metodi produttivi meno impattanti, ha pensato Francesco Panella, Presidente UNAAPI (Unione Nazionale Associazioni di Apicoltori) che dopo aver rammentato che quest’anno si sono verificati spostamenti degli alveari e morie in numero superiore al passato, in concomitanza alla dispersione di neonicotinoidi nei campi, ha osservato che “la Francia da molti anni ha sospeso l’uso di queste molecole su tutte le colture visitate dalle api e dagli latri insetti impollinatori. Qualche giorno fa è stata la volta della Germania. In Italia, invece, nonostante i ripetuti allarmi e le denunce di apicoltori e ambientalisti rischiamo che con la prossima semina si riproponga lo stesso disastro. Bisogna sospendere d’urgenza sulla base del principio di precauzione, le autorizzazioni all’uso di preparati a base di clothianidin, thiamethoxam, fipronil e imidacloprid e rivedere le procedure per una seria, trasparente valutazione pubblica dell’impatto ambientale dei prodotti chimici usati in agricoltura”. In Francia la sospensione cautelativa di alcuni di tali prodotti era intervenuta già nel 1999 ed è divenuta moratoria nel 2004, dopo la pubblicazione del rapporto sulla moria di api da parte del Comité Scientifique et Technique (CST) che evidenziava un legame tra lo spopolamento degli alveari e l’uso di semi di mais trattati con un principio attivo contro i parassiti, para pa rass ssit itii, che che per p permette erme mett ttee di con ccontinuare onti tinu nuar aree a co colt coltivare ltiv ivar aree sullo sull su llo o stesso stes st esso so campo camp po la stessa coltura. In Germania, Germ Ge rman rm ma an nia a, l’Agenzia l’lAg gen enzia ziia federale fede fed fe deerra rale le p per er la er la Tutela Tu ute tela la d dei ei Consumaei Con onssu onsu uma ma-

tori e per la Sicurezza alimentare (BVL), nonostante il peso economico e politico dell’industria chimica Bayer AG, con un’Ordinanza del 15 maggio 2008 ha sospeso l’autorizzazione all’uso di 8 concianti per sementi, dopo aver appurato che durante la semina effettuata con semi concianti con antiparassitari, le api sono risultate esposte in modo ben più rilevante di quanto considerato nei dossier d’omologazione, mettendo in evidenza anche la necessità di approfondire lo stato di sicurezza dei lavoratori che effettuano tali operazioni. Ultimamente, secondo quanto riportato da Il Velino.it del 30 Maggio, anche la Slovenia si sarebbe aggiunta alla lista dei Paesi che hanno sospeso cautelativamente alcuni pesticidi. Da anni ormai l’Agenzia statunitense per la Protezione Ambientale (EPA) ha classificato 70 sostanze utilizzate nei pesticidi che sono sicuramente o probabilmente cancerogene. In Italia non è stata presa alcuna decisione in merito, nonostante le nuove e potentissime molecole tossiche persistenti nell’ambiente necessitino di aggiornamenti continui delle procedure autorizzative. Peraltro, il primo Consiglio dei Ministri che si è tenuto a Napoli il 21 Maggio avrebbe proposto di tagliare i 2 milioni di Euro stanziati dal Decreto “Milleproroghe” effetto della L. 313/2004 che fissa una detrazione per l’apicoltura, in quanto considerato un “intervento non serio a favore di chi ne ha deciso l’istituzione per finalità politiche”, nonostante che il 29 Gennaio 2008 l’Agenzia per la Protezione Ambientale e per i servizi Tecnici (APAT) avesse promosso un Workshop che metteva in luce come la scomparsa delle api, oltre ad una grave perdita per la biodiversità, costituisce anche un danno economico per la mancata impollinazione delle piante ortofrutticole che è stato quantificato in 250 milioni di euro. Non condivide i toni allarmistici che possono p ssono inge po ingenerarsi g nerarsi dal da al D Do Dossier ossssie ier di di LLeg Legambiente, eg gambi mbi bien e tee, l’ll’Agrofarma Agro Ag ofa farm farm rma (Associazione (As Assso Asso occiiaz aziio o on nee nan naa-

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zionale delle imprese che producono Agrofarmaci), dopo aver ribadito che frutta e verdura italiane sono sicure, e precisato che sia i risultati di Legambientre che quelli delle analisi effettuate dall’Osservatorio nazionale residui (Onr), mostrano un miglioramento rispetto al 2007 e comunque, tenendo conto delle modalità con cui l’UE ha stabilito le soglie di legge “è da escludere un pericolo per la salute dell’uomo anche se, per ipotesi, la totalità del campione presentasse tracce di agrofarmaci”. Resta comunque il dato che l’Italia su una superficie agricola utilizzata inferiore al 10% del totale di quella europea, distribuisce nelle sue campagne ben il 33% della quantità totale di insetticidi utilizzati nell’intero territorio comunitario (Eurostat 2007). C’è da osservare, poi, che le quantità massime di residui di alcuni parassiti (Direttiva 2004/115/CE) sugli alimenti vengono calcolati su adulti e non sui bambini che corrono rischi molto più alti per la salute.

Il Gruppo di esperti scientifici sui prodotti fitosanitari e i loro residui (PPR), richiesto dall’EFSA (European Food Safety Authority), ha espresso in data 15 Aprile 2008 il parere in merito “all’adeguatezza delle metodologie esistenti e se necessario l’individuazione di nuovi approcci per stimare i rischi cumulativi e sinergici per la salute umana derivanti dagli antiparassitari, allo scopo di fissare i livelli massimi di residui per questi antiparassitari nell’ambito del regolamento (CE) 396/2005”. Nella sintesi del parere tra le Raccomandazioni specifiche si può leggere: “… i gestori del rischio dovranno stabilire quale livello di rischio cumulativo potrà essere considerato “accettabile”. In particolar modo, per la valutazione del rischio cumulativo è necessario un dialogo continuo tra tossicologi e valutatori dell’esposizione e tra questi e i gestori del rischio, allo scopo di individuare i problemi pertinenti e di utilizzare al meglio le risorse disponibili… Se vi è una plausibilità

CODEX ALIMENTARIUS È una raccolta di regole e normative internazionali adottate dalla commissione del Codex Alimentarius, istituita nel 1962 da due Organizzazioni delle nazioni Unite. FAO (Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura) e OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Compito della commissione, costituita da 173 Paesi (il 99% della popolazione mondiale) più la Comunità Europea, è quello di elaborare un corpo di normative ad una disciplina uniforme, nei diversi Stati sulla produzione e il commercio dei prodotti alimentari al fine di: • facilitare gli scambi commerciali degli alimenti; • garantire ai consumatori un prodotto sano ed igienico, non adulterato oltre che correttamente presentato ed etichettato. La Commissione si riunisce una volta all’anno (la 31a Sessione avrà luogo a Ginevra dal 30 Giugno al 4 Luglio 2008) per revisionare ed aggiornare il Codex Alimentarius Procedural Manual, decidendo una nuova regolamentazione del commercio dei prodotti alimentari, le procedure di produzione, i livelli di sostanze inquinanti “ammesse”, gli addittivi tollerati, l’etichettatura, il trasporto e la sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti. Il lavoro della Commissione, che viene assistita da un Segretariato che ha sede presso la FAO, viene realizzato attraverso la partecipazione di esperti di diverse discipline scientifiche dell’alimentazione, suddivisi in 21 Comitati specializzati come il Comitato per i pesticidi nei cibi,i che è ospitato nei Paesi Bassi. Esistono poi i Comitati regionali di coordinamento che si occupano di definire i problemi e i bisogni specifici delle diverse aree mondiali. L’adozione di una nuova norma o l’aggiornamento di una norma esistente da parte della Commissione del Codex Alimentarius è il risultato di un processo che si articola in 8 tappe: • 1a tappa: la Commissione, ricevuta una proposta motivata di aggiornare o introdurre una norma, designa il comitato incaricato di intraprendere i lavori. • 2a tappa. Il Segretariato, direttamente o attraverso un Paese membro o un altro organismo incaricato, predispone un progetto preliminare di norma. • 3a tappa: il testo viene fatto circolare per raccogliere le osservazioni dei Paesi membri e delle Organizzazioni internazionali che partecipano ai lavori del Codex, che possono riferirsi a tutti gli aspetti della norma e, in particolare, agli effetti che essa potrebbe avere sugli interessi economici di ogni parte interessata. • 4a tappa: le osservazioni sono comunicate al comitato o ad altro organo sussidiario incaricato di esaminare e modificare il progetto preliminare di norma. • 5a tappa: il progetto così modificato è sottoposto all’esame della Commissione o del comitato esecutivo perché venga adottato come progetto di norma. • 6a tappa: il nuovo testo viene distribuito ai Paesi membri e alle organizzazioni per raccogliere le osservazioni. • 7a tappa: le osservazioni ricevute sono trasmesse al comitato o ad un altro organo sussidiario, che esamina e modifica il progetto a norma. • 8a tappa: la norma viene, infine, trasmessa alla commissione per la sua adozione, corredata di tutte le proposte di emendamento dei Paesi e delle Organizzazioni interessate. Il passaggio in Commissione costituisce, nell’iter di formazione della norma Codex il momento di maggior valenza politica. Nel caso di eccezionale urgenza, la Commissione può optare per una procedura accelerata che consente la soppressione delle tappe 6 e 7. L’Organizzazione Mondiale per il Commercio o (WTO) fa riferimento al Codexx per decidere se un determinato prodotto può circolare liberamente a livello internazionale. Anche se statutariamente abbia lo scopo di garantire pratiche di commercio legale e la protezione della salute dei consumatori, il Codex è fatto oggetto di critiche, in particolare a quelle che si riferiscono ad essere uno strumento al servizio delle multinazionali.

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biologica di un’interazione tra antiparassitari a dosi basse non efficaci, si dovrebbe adottare un approccio caso per caso per valutarne gli effetti combinati… (fonte: The EFSA Journal; 2008 - 704, 1-85). Anche la 40a Sessione, svoltasi in Cina (Haugzhou 14-19 Aprile), del Comitato CODEX sui residui di antiparassitari che fornisce alla Commissione CODEX Alimentarius le raccomandazioni circa i limiti massimi di residui di pesticidi per alimenti o gruppi di alimenti accettabili e sicuri per il consumo umano, aveva all’ordine del giorno il progetto di revisione del Codex LMSS (Codice dei limiti massimi di residui di antiparassitari) per adeguarlo agli usi in inferiori e colture specializzate. Più recentemente (19-20 maggio) il Comitato Permanente sulla Catena Alimentare e la Salute Animale (SCFAAH - Sezione legislativa sui pesticidi), presso la Direzione Generale Tutela della Salute e dei Consumatori della Commissione UE ha revocato ben 16 sostanze attive contenute in erbicidi, fumiganti, fungicidi, acaricidi, insetticidi. Passerà, tuttavia, qualche settimana per la pubblicazione, a seguito della quale, dopo 6 mesi scatterà la revoca nazionale e ulteriori 12 mesi saranno concessi per lo smaltimento delle scorte, come prevede il Regolamento. Alcuni scienziati europei, invece, si sono dichiarati allarmati per una riduzione ulteriore della gamma dei pesticidi a disposizione (nell’Unione Europea la gamma dei pesticidi disponibili si è ridotta negli ultimi 10 anni di oltre il 55%), se venisse approvata la proposta legislativa del Parlamento europeo per la riduzione progressiva nei prossimi anni dei pesticidi utilizzati nell’agricoltura. A loro avviso, questa eventualità potrebbe comportare una significativa riduzione

dei raccolti a seguito di una maggior resistenza dei parassiti e, quindi, a un aumento dei prezzi dei generi alimentari e dei mangimi. In merito, si è espresso con avvedutezza Stefano Masini, Responsabile Ambiente di Coldiretti, che in una intervista rilasciata a greenreport.it (24 aprile 2008) osservava che “La questione riguarda più in generale il programma agricolo comunitario [PAC] che prevede una riclassificazione dei presidi chimici in maniera temporale che si concluderà nel 2008. Alcuni tra quelli utilizzati che non risultano coerenti con parametri di compatibilità ambientale e con i dati ecotossicologici verranno quindi non più autorizzati. Ed è vero che l’industria chimica preferisce brevettare presidi destinati a coltivazioni importanti, quali il mais, e lascia in disparte quelli destinati a colture minori, come sono gran parte di quelle mediterranee. Quindi, il rischio di veder ridurre la disponibilità di principi attivi per queste colture è reale. Mentre non credo sia plausibile la preoccupazione che riguarda la resistenza degli insetti in caso di un basso numero di principi attivi ammessi”. “Il punto è che la revisione delle sostanze chimiche periodiche è fondamentale - ha sottolineato Masini - Ma è chiaro che occorre intervenire con regole in grado di presidiare anche il sistema delle diversità colturali e, quindi, prevedere un obbligo di estensione della ricerca sui nuovi presidi anche a coltivazioni minori, che sono inveve dimenticate dall’industria chimica che è un sistema oligopolistico”. “Bisognerebbe rivedere l’intero sistema dei brevetti - ha concluso il Rappresentante di Coldiretti - che permette di fare profitti a pochi che li detengono e che mi chiedo se abbia un senso”.

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La rubrica €CO-FINANZIAMENTI questo mese segnala due misure di promozione degli investimenti in campo ambientale: una di carattere europea e una nazionale. Con la prima si dà informazione circa la possibilità di accedere ai finanziamenti previsti dal Programma europeo “Eco-Innovazione” con il quale la Commissione europea punta alla riduzione dell’impatto ambientale attraverso la diffusione dell’innovazione. Con il bando emanato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, si intende promuovere il risparmio energetico, le fonti rinnovabili e la mobilità sostenibile nelle aree naturali protette.

COMMISSIONE EUROPEA - DG Ambiente Programma comunitario Eco-Innovazione Avviso di selezione delle proposte 2008

Obiettivi e descrizione della misura Il Programma Eco-Innovation è una delle azioni previste dal nuovo programma pluriennale comunitario per la competitività e l’innovazione delle imprese (2007-2013), noto anche come CIP (Competitiveness and Innovation framework Programme). Eco-Innovation contribuisce inoltre all’attuazione del Piano di azione per le tecnologie ambientali che ha lo scopo di sfruttare il potenziale delle tecnologie ambientali per proteggere l’ambiente contribuendo allo stesso tempo alla competitività e alla crescita, così come previsto dalla Strategia di Lisbona. L’obiettivo generale è supportare la diffusione in Europa di tecnologie, modalità di gestione, processi, prodotti, servizi, innovativi che contribuiscano a ridurre l’impatto ambientale e ad ottimizzare l’uso delle risorse. Tipologia degli interventi Il programma promuove quei progetti volti alla prima applicazione o alla diffusione di tecniche, prodotti, pratiche e processi eco-innovativi, tecnicamente fattibili, ma che, a causa del rischio di mercato elevato, necessitano di incentivi per poter affermarsi. I progetti devono essere volti alla prevenzione e alla riduzione dell’impatto ambientale o devono contribuire al miglior utilizzo delle risorse, secondo l’approccio che considera l’intero ciclo di vita (life-cycle). Vengono finanziati i progetti relativi a: - processi di produzione a minor impatto ambientale, con particolare riferimento a quei settori che hanno un impatto maggiore, come l’edilizia, l’alimentare e il riciclaggio dei rifiuti;

- prodotti e servizi a minor impatto ambientale, compreso l’eco-design o l’etichettatura ecologica; - nuovi sistemi di gestione ambientale. Il programma individua poi delle aree di intervento che vengono privilegiate: - il riciclaggio dei materiali; - l’edilizia; - l’alimentare; - EMAS/Ecolabel/GPP. Per informazioni più specifiche relativamente agli interventi finanziabili, ai criteri di selezione e alle spese ammissibili, si rimanda al bando. Tipologia del contributo Le risorse disponibili ammontano a 28 milioni di Euro. Il contributo massimo erogabile è pari al: - 40% nel caso di grande impresa; - 50% nel caso di media impresa; - 60% nel caso di piccola impresa; - 50% per tutti gli altri beneficiari. Beneficiari e localizzazione geografica Possono presentare domanda le persone giuridiche, sia pubbliche che private, con sede nel territorio degli Stati membri dell’Unione europea, nei paesi EFTA (Islanda, Liechtenstein, Norvegia), in Croazia, Turchia, Balcani occidentali, Israele. Presentazione domande e scadenza Le domande vanno presentate utilizzando esclusivamente il sistema on-line entro le ore 17 dell’11 settembre 2008. È possibile reperire informazioni generali sul programma sul sito internet http://ec.europa.eu/environment/etap/ ecoinnovation/index_en.htm. Nel sito è possibile consultare anche il calendario delle giornate informative destinate ai potenziali beneficiari. Allo stesso indirizzo vanno presentate le domande.

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gli strumenti urbanistici territoriali. Relativamente ai criteri di selezione si rimanda al bando.

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Bando “Fonti rinnovabili, risparmio energetico e mobilità sostenibile nelle aree naturali protette” Comunicato pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 68 del 20 marzo 2008

Obiettivi e descrizione della misura Il bando è volto alla promozione di progetti volti all’impiego di fonti di energia rinnovabile, al risparmio energetico e alla mobilità sostenibile nelle aree naturali protette. Tipologia degli interventi Per gli interventi relativi alla diffusione di tecnologie da fonte rinnovabili e di efficienza energetica sono ammissibili: a) impianti solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria, riscaldamento dell’acqua delle piscine, riscaldamento e raffrescamento degli ambienti; b) impianti fotovoltaici; c) impianti eolici con potenza nominale non superiore ai 20 kWp; d) impianti a biomasse per usi termici con particolare riferimento a quelle afferenti alle filiere per lo sfruttamento delle biomasse agro-forestali: materiale vegetale prodotto da interventi selvicolturali, da manutenzione forestale e da potatura; e) interventi inerenti la formazione, la comunicazione e l’educazione ambientale, con riferimento alle fonti energetiche rinnovabili e all’efficienza energetica; f) interventi di bioedilizia da effettuarsi sulle strutture in dotazione all’Ente gestore, che comportino un risparmio energetico negli edifici. Per gli interventi relativi alla mobilità sostenibile sono ammessi: a) introduzione di veicoli a minimo impatto ambientale (es. veicoli elettrici, ibridi, a gpl o metano, quali autobus, autoveicoli e motoveicoli) e di colonnine di ricarica di mezzi elettrici, anche alimentate da fonti rinnovabili; b) progettazione e realizzazione di servizi flessibili di trasporto collettivo; c) progettazione e realizzazione di centri servizi per la manutenzione dei veicoli a trazione collettiva; d) progettazione e realizzazione di servizi di noleggio bici, sia classiche che a pedalata assistita. Nella scelta dei veicoli a basso impatto ambientale dovranno contemplarsi anche soluzioni dedicate al trasporto di persone disabili. Il programma degli interventi dovrà essere coerente con il Piano del Parco, approvato o in fase di elaborazione o con

Sono ammissibili le seguenti voci di spesa: - studi di fattibilità (max 5% del valore dell’intervento); - progettazione dell’intervento; - direzione dei lavori; - fornitura dei beni, materiali e componenti necessari alla realizzazione dell’intervento; - installazione e posa in opera degli impianti di produzione di energia elettrica e/o termica da fonte rinnovabile e delle colonnine di ricarica dei mazzi elettrici; - eventuali opere edili strettamente necessarie alla realizzazione dell’intervento; - sistemi di acquisizione dati e analisi delle prestazioni; - costi per materiale relativo ad attività di comunicazione, formazione ed educazione ambientale (max 10% del valore dell’intervento); - monitoraggio (max 5% e per i primi tre anni dalla realizzazione dell’intervento). Tipologia del contributo Le risorse disponibili ammontano a quasi 2 milioni di Euro. Il contributo ammonta al 50% dell’investimento ammissibile, non inclusivo dell’IVA. Beneficiari Possono presentare domanda gli Enti gestori dei parchi nazionali, dei parchi regionali e delle aree marine protette, così come classificati dalla Legge 394/91 e inserite nel 5° aggiornamento dell’Elenco ufficiale delle aree naturali protette. Localizzazione geografica Aree naturali protette d’Italia. Presentazione domande e scadenza La domanda va redatta conformemente al modulo di cui all’allegato A del bando e spedita per raccomandata con ricevuta di ritorno all’indirizzo: Direzione generale per la salvaguardia ambientale - Divisione IX – EN - Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - Via Cristoforo Colombo, 44 - 00147 Roma. La domanda va spedita entro il 16 settembre 2008. Il bando è scaricabile dal sito internet del Ministero dell’Ambiente www.minambiente.it nella sezione Bandi.

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i quesiti dei lettori: L’ESPERTO RISPONDE Può una legge regionale dettare disposizioni sul procedimento di bonifica incompatibili con la disciplina contenuta nella Parte Quarta del D. Lgs. 152/2006? No. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 214 del 18 giugno 2008, accogliendo una questione sollevata in via incidentale dal T.A.R. Emilia Romagna, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 5 della Legge Regionale dell’Emilia Romagna 1° giugno 2006, n. 5 (così come modificato dall’art. 25 della L.R. 28 luglio 2006, n. 13), il quale stabiliva che i procedimenti di bonifica dei siti contaminati già avviati alla data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 152/2006 si sarebbero conclusi sulla base della legislazione vigente alla data del loro avvio. Secondo la Corte Costituzionale, la norma censurata, impedendo la rimodulazione degli interventi già autorizzati, si poneva in evidente contrasto con quanto statuito dal legislatore statale all’art. 265, comma 4 del D. Lgs. n. 152/2006 e, conseguentemente, violava l’art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione, che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. In materia urbanistica, secondo quale procedura amministrativa è possibile riedificare un fabbricato demolito da molti anni? Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, recentemente ribadito anche dal T.A.R. Veneto con sentenza n. 1667 del 5 giugno 2008, in tanto può attuarsi un intervento di ristrutturazione edilizia (di demolizione e ricostruzione) in quanto esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione (Consiglio di Stato, sent. 10.2.2004 n. 475). Non è, invece, ravvisabile siffatto intervento nei confronti di ruderi o edifici da tempo demoliti, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni

agenda

In quali casi singoli cittadini o associazioni possono impugnare gli atti di localizzazione di una discarica? Per quanto riguarda le singole persone fisiche, la semplice vicinanza della propria abitazione al luogo in cui verrà realizzata la discarica non è di per sé sufficiente ad attribuire loro legittimazione processuale; esse infatti devono dare la prova del danno che riceveranno nella loro sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione dell’impianto riduce il valore economico di un fondo situato nelle vicinanze della discarica, o perché le prescrizioni dettate dall’autorità competente in ordine alle modalità di gestione della stessa sono inidonee a salvaguardare la salute di chi vive in prossimità dell’impianto. Per quanto riguarda le associazioni, occorre distinguere tra associazioni ambientaliste riconosciute con decreto ministeriale ai sensi dell’art. 13 della Legge n. 349/1986 e associazioni non riconosciute. Le prime, ai sensi dell’art. 18, comma 5 della stessa Legge 349/1986, possono ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi, a condizione che il provvedimento impugnato sia immediatamente lesivo dell’interesse ambientale azionato e che il vizio dedotto, se accolto, consenta all’associazione ricorrente un’utilità direttamente rapportata alla sua posizione legittimante; le seconde, invece, godono di legittimazione attiva nei limiti in cui perseguano statutariamente e in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale, abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità e presentino un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume pregiudicato (solo in presenza di tutte queste condizioni, infatti, le associazioni ed i comitati assumono la veste di enti esponenziali in via continuativa di interessi diffusi radicati nel territorio).

Eventi e Fiere

Feltre (BL), 10-11 luglio 2008 PARCHI PER UNA SOLA TERRA Conferenza internazionale sulle esperienze di gestione di aree protette nel mondo, in Europa, in Italia Sede: Auditorium Suore Canossiane Organizzazione: Ente Parco Nazionale delle Dolomiti bellunesi Piaz.le Zancanaro, 1 - 32032 Feltre - Tel. 0439 3328 - Fax 0439 332999 info@dolomitipark.it - www.parks.it Ferrara, 24-26 settembre 2008 REMTECH Expo - Remediation Technologies Salone sulle bonifiche dei siti contaminati

e le caratteristiche dell’edificio da recuperare (Consiglio di Stato, sent. 15.9.2006 n. 5375). In questa evenienza, invero, si configura un intervento di nuova costruzione, assoggettato ai limiti stabiliti dalla vigente disciplina urbanistica (T.A.R. Catanzaro, sent. 4.12.2007 n. 1934; T.A.R. Veneto, sent. 29.6.2006 n. 1944).

Sede: Quartiere fieristico di Ferrara Informazioni: Organizzazione Ferrara Fiere Congressi via della Fiera, 11 - 44100 Ferrara Tel. 0532 909495 - 0532 900713 - Fax 0532 976997 info@remtechexpo.com - www.remtechexpo.com Castiglioncello di Rosignano Marittimo (LI), 3-5 ottobre 2008 EnergethicaMente - Buone pratiche della sostenibilità Sede: Castello Pasquini Organizzazione: Emtrad srl via Duccio Galimberti, 7 - 12051 Alba (CN) Tel. e Fax 0173 280093 - eventienergetica.it - www.emtrad.it

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stampato su carta riciclata

Giugno 2008

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Giugno 2008. N°31 - Free Service srl Editore - Via del Consorzio, 34 - 60015 Falconara M.ma/AN - tel. 071/9161916 - fax 071/9162289 Supplemento n. 31 al n.6 Giugno 2008 di Regioni&Ambiente Poste Italiane s.p.a. - spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003, art.1, comma 1 (conv. in L.27/02/2004 n.46) - DCB Ancona

Editoriale Negli ultimi tempi si parla sempre più spesso di cambiamenti climatici e la tendenza non cambierà almeno fino al dicembre 2009, quando a Copenhagen è convocata la COP 15, la Conference of the Parties dove con ogni probabilità verrà approvato il nuovo protocollo globale sul clima che dovrà sostituire quello di Kyoto, in scadenza nel 2012. Le aspettative per il nuovo trattato sono molto alte, anche perché nel frattempo sarà cambiato il governo degli Stati Uniti (che non ha mai sottoscritto il protocollo di Kyoto) e ambedue i candidati alla presidenza americana hanno dichiarato la loro volontà di intervenire con misure efficaci contro i cambiamenti climatici. La roadmap verso Copenhagen è piena di appuntamenti intermedi, che non coinvolgono solo i governi nazionali. Le città e gli enti locali intendono arrivare a Copenhagen con una posizione unitaria e delle proposte molto concrete, chiedendo con autorevolezza di essere inseriti a pieno titolo nel nuovo trattato (Kyoto non prevede un ruolo per le città, la partita si gioca tutta a livello di governi centrali). La questione non è certo formale, come sappiamo. Essere inseriti nei meccanismi finanziari del protocollo di Kyoto permetterebbe alle città e ai territori di poter destinare risorse importanti per la riduzione delle emissioni e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Utilizzare i crediti energetici localmente rappresenterebbe anche un fondamentale volano per lo sviluppo economico. Questi argomenti non sono una novità per i nostri soci, particolarmente per chi partecipa al nostro gruppo Agende 21 Locali per Kyoto. Il nuovo governo ha annunciato un ritorno del paese all’energia nucleare, ma non ha chiarito le azioni che intende mettere in campo per mantenere gli obiettivi che l’Italia ha sottoscritto in sede europea (-20% di emissioni, +20% di efficienza, più 17% di fonti rinnovabili entro il 2020). Il ministro dell’ambiente Prestigiacomo ha parlato di una rivisitazione degli accordi presi in sede internazionale, ma francamente non ho capito se si riferisse a Kyoto, al 20-20-20 europeo o ad ambedue. Il ministro Scajola ha parlato di un “mix energetico” composto da 25% di nucleare, 25% di rinnovabili e il resto da gas, idrocarburi e carbone cosiddetto pulito. Anche condividendo la scelta nuclearista i tempi di questa proposta sembrano lontani almeno venti anni.

Nel frattempo le città e i territori si stanno attrezzando. Il prossimo autunno le Agende 21 Italiane organizzeranno assieme all’Istituto Italiano di Urbanistica il convegno “Il clima delle città”, dove analizzeremo il ruolo centrale dei governi locali nelle politiche di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici. La Commissione Europea ha lanciato il Patto dei Sindaci, un documento proposto dalla DG Energia che impegna chi lo sottoscrive a raggiungere obiettivi concreti e ambiziosi, ovvero superiori a quello concordati in sede europea. Dopo una fase di discussione la versione finale del patto è stata pubblicata lo scorso giugno e la sottoscrizione del primo gruppo di città è prevista nel gennaio 2009 a Bruxelles. La nostra associazione sostiene il valore del Patto dei Sindaci e ne promuoverà l’adesione. Il governo danese, che ospiterà la COP 15 nel 2009, ha sempre considerato con attenzione il ruolo delle città e ha deciso di organizzare nel giugno del prossimo anno una conferenza sul clima dedicata esclusivamente agli enti locali. in questo incontro dovrà essere approvato un documento che costituirà la linea politica delle città e dei territori e che sarà presentato a dicembre ai governi riuniti sotto l’egida dell’ONU nella COP 15. Gli esiti della COP 15 e il nuovo protocollo di Copenhagen saranno al centro dei lavori della sesta Conferenza delle Città Sostenibili d’Europa, che si svolgerà nel giugno 2010 a conclusione dell’anno in cui il Coordinamento Agende 21 Locali Italiane coordinerà la Campagna Europea Città Sostenibili, che avremo in carico dalla primavera 2009. Questi appuntamenti sono estremamente importanti perché rappresentano la sintesi e la potenzialità delle reti e il ruolo centrale delle associazioni come le Agende 21 Locali Italiane. Resta il lavoro oscuro, quello che tutti i nostri soci, siano impegnati in enti, associazioni o aziende, svolgono quotidianamente nella loro attività. Ognuno di noi può contribuire in modo fondamentale ai cambiamenti che dovremo affrontare nei prossimi anni. Il nostro compito, come associazione, sarà quello di fornire strumenti di lavoro, permettere il confronto delle esperienze, rappresentare al meglio le esigenze e il valore di ognuno. Con l’entusiasmo e la passione di sempre.

Emilio D’Alessio Presidente della Associazione Nazionale Coordinamento Agende 21 Locali Italiane

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Assemblea 2008 Coordinamento Agende 21 Locali Italiane

Il 6 e 7 di giugno si è svolta a Rimini la nona assemblea delle Agende 21 Locali Italiane. L’evento ha visto una notevole partecipazione di amministratori e funzionari di enti locali ma anche di esperti e tecnici da dipartimenti universitari, agenzie, ordini professionali, società di consulenza e associazioni. Il tutto nella suggestiva cornice felliniana del Grand Hotel, che proprio quest’anno festeggia il centenario dalla costruzione. Più di 250 presenze nei Gruppi di Lavoro di venerdì 6 mattina, a testimonianza di un’associazione vivace e che ha voglia di confrontarsi. Negli incontri dei Gruppi di Lavoro sono state illustrate le soluzioni più innovative introdotte fino ad ora dagli enti locali per quanto concerne la prevenzione dei conflitti tra istituzioni e cittadini, l’efficienza energetica, il turismo sostenibile, la mobilità, la gestione dei rifiuti, la tutela della biodiversità, l’efficienza dei sistemi di gestione ambientale. Tra le iniziative più interessanti la presentazione di un sistema di calcolo delle emissioni di CO2 prodotte dagli enti locali, elaborato dal Gruppo di Lavoro Agende 21 per Kyoto. Ogni città e territorio potrà verificare il proprio contributo al riscaldamento globale e utilizzare questi dati per intraprendere le azioni necessarie a ridurre la produzione di gas serra. Molti i partecipanti anche alla Riunione assembleare del venerdì pomeriggio i cui lavori sono stati introdotti dall’appassionato intervento del Presidente della Provincia di Rimini, Ferdinando Fabbri, e da quello, altrettanto interessante, dell’Assessore alle politiche ambientali ed energetiche del Comune di Rimini, Andrea Zanzini. E’ stata poi la volta delle “testimonianze” degli ospiti dell’Assemblea.Tito Masi, Segretario di Stato all’Industria della Repubblica di San Marino, ha illustrato i primi interventi del suo governo per uno sviluppo più sostenibile, rimarcando nel contempo la necessità di un maggiore impegno delle istituzioni a fronte di una accresciuta sensibilità e voglia di partecipare manifestata in più occasioni dalle associazioni della società civile. Grande attenzione per l’intervento presentato da Giuseppe Di Pasquale, Presidente Federazione Italiana di Cardiologia, che ha rimarcato lo stretto legame tra politiche per la sostenibilità urbana e per la salute dei cittadini. Più di uno spunto di riflessione nell’intervento di Agate Goyarrola Ugalde, coordinatrice dell’Area Sostenibilità Locale di Udalsarea 21, la rete delle Agende 21 Locali dei Paesi Baschi con più di 180 comuni associati, dall’illustrazione della strategia adottata per un radicamento effettivo dei processi di Agenda 21 Locale, anche grazie ad una sempre più incisiva azione di valutazione e reindirizzo dei Piani di Azione Locale. Molto diversa la situazione in un’altra regione europea, la Serbia, dove l’Agenda 21 Locale sta muovendo ora i primi passi: esplicito l’invito di Milica Risojevic, a nome della Conferenza permanente delle città serbe, associazione nazionale di enti locali, ad approfondire i contatti e proporre iniziative di collaborazione sui temi della sostenibilità tra enti locali serbi ed italiani. Il 7 mattina, presso EuroPA, salone delle autonomie locali, si è tenuto il convegno “La Partecipazione per l’efficacia delle politiche di sostenibilità” che ha rimarcato l’importanza del coinvolgimento degli stakeholder e dei cittadini come valore strutturale, strategico nei processi sia di pianificazione che di attuazione e gestione fattiva, dando voce a diverse tematiche (partecipazione e urbanistica/turismo/biodiversità) e modalità operative per “fare” partecipazione. Le presentazioni e altri materiali dell’Assemblea 2008 sono disponibili sul sito www.a21italy.it

Nasce il GdL “Ambiente, Salute e Agenda 21” L’Assemblea di Rimini è stata anche l’occasione per il primo incontro del Gruppo di Lavoro Ambiente, Salute e Agenda 21. Tra gli obiettivi del GdL sollecitare l’attenzione sugli effetti sanitari in relazione ai diversi fattori di rischio ambientale, al fine di promuovere una migliore integrazione tra conoscenze, istituzioni e professioni ambientali e sanitarie. Concretamente si vuole favorire la diffusione di buone pratiche in tema di integrazione ambiente-salute, promuovendo ed esplicitando un migliore approccio metodologico, conoscitivo, orientato all’azione. Il Gruppo di Lavoro è quindi la sede per un confronto dove costruire proposte per azioni concrete ed incisive. Nell’incontro di Rimini particolarmente significative le testimonianze da realtà dove, a fronte di rilevanti situazioni di crisi ambientale (Priolo-Augusta, Manfredonia), si è manifestata la richiesta di partecipazione e coinvolgimento nella fase di bonifica dei siti da parte degli stessi cittadini. Sono stati aperti cinque tavoli di discussione: 1. clima nelle città: valutazione degli effetti ed interventi di mitigazione e adattamento; 2. integrazione tra Agenda 21 Locale, Piani per la salute, Città sane; 3. comunicazione e partecipazione nella gestione del rischio ambientale: rapporti tra istituzioni, conoscenza e cittadini; 4. valutazione di impatto sanitario: proposte per la sua applicazione nell’ambito delle procedure di Valutazione ambientale laddove il richiamo alla salute non rimanga un semplice enunciato di principio; 5. realizzazione di un repertorio nazionale degli studi di epidemiologia ambientale rivolto ad operatori e a cittadini che consenta di accedere ad esperienze che, per diverse ragioni, non sono state pubblicate sulle riviste scientifiche di più larga diffusione. Il GdL ha come coordinatore la Provincia di Modena, assessore Alberto Caldana, e si avvale del supporto tecnico e organizzativo dalla Struttura tematica di Epidemiologia Ambientale, prossimo Centro Tematico Regionale (CTR) Ambiente e Salute, di ARPA Emilia-Romagna. Tutti gli interessati possono contribuire ai tavoli di discussione contattando i rispettivi coordinatori: www.a21italy.it/a21italy/gdl.php

Compraverde-Buygreen Forum Internazionale degli Acquisti Verdi, Fiera di Cremona, 9-10 ottobre 2008 Diffondere gli acquisti verdi ed accompagnare le istituzioni e le imprese in questa riforma ecologica: servono sì le leggi - ed il Piano d’Azione Nazionale approvato l’11 aprile 2008 va proprio in questa direzione - ma non sono sufficienti; serve anche un apprendimento organizzativo, un cambiamento culturale, un luogo di scambio delle migliori esperienze di green public procurement (GPP) su scala nazionale ed internazionale. Da qui l’idea di dare vita al “Forum Compraverde-Buygreen”, la manifestazione che si propone di diventare il punto di riferimento e d’incontro degli attori istituzionali, dei soggetti economici, delle strutture associative coinvolte nel processo di diffusione e di attuazione degli acquisti verdi. Il Forum, quest’anno alla sua seconda edizione, si articola in: - un programma culturale, con seminari, convegni istituzionali, workshop tematici e formativi dove interverranno esperti a livello nazionale e internazionale; - un’area espositiva, organizzata in maniera coerente con le indicazioni del Piano d’Azione Nazionale per il GPP, dove saranno presenti istituzioni, agenzie di sviluppo, organizzazioni ed enti locali, nazionali e comunitari, imprese, consorzi e associazioni di imprese, municipalizzate, istituti di ricerca, enti certificatori, associazioni della società civile. Maggiori informazioni su www.forumcompraverde.it Per aggiornamenti sull’attività del Gruppo di Lavoro GPPnet Acquisti verdi: www.a21italy.it/a21italy/gdl.php

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Covenant of Mayors

PREMIO COMUNI A CINQUE STELLE

L’impegno dei sindaci per la riduzione delle emissioni locali di gas serra

Ottimo successo dell’iniziativa dell’Associazione dei Comuni Virtuosi

Della rilevanza del contributo delle città per raggiungere gli obiettivi fissati per l’intera Unione Europea (entro il 2020 -20% gas serra, +20% efficienza energetica +20% quota di energie rinnovabili nel consumo energetico), è convinta la Commissione Europea che attraverso la DG TREN (Energia&Trasporti) ha promosso il Covenant of Mayors, ovvero il Patto dei Sindaci proposto alle città europee, che il Coordinamento Agende 21 Locali Italiane si impegna a diffondere e promuovere tra i suoi oltre 400 soci. I sindaci che sottoscrivono il patto si impegnano a ridurre di oltre il 20% le emissioni nelle loro città attraverso Piani di azione per l’energia sostenibile che definiscano, attraverso un bilancio di CO2, le emissioni attuali nel territorio comunale come anche i campi d’attività e percorsi operativi per realizzare gli obiettivi di riduzione. Il Patto dei Sindaci segue la struttura degli Impegni di Aalborg: revisione periodica degli obiettivi, trasparenza e comunicazione, lavoro in rete. Per il successo del Piano d’azione sono richiesti impegni formali come la mobilitazione di stakeholder e cittadini attraverso campagne e conferenze su temi energetici, impegni nel campo della pianificazione urbana per promuovere la mobilità sostenibile, l’efficienza energetica e l’uso delle energie rinnovabili e naturalmente lo scambio di esperienze e soluzioni tra le città. Il Patto richiede esplicitamente che città ed enti locali mettano a disposizione delle iniziative per la salvaguardia del clima fondi e personale come anche l’obbligo di redigere annualmente un rapporto sull’avanzamento delle proprie attività, prevedendo l’esclusione delle città che non risponderanno alle regole stabilite. Il Gruppo di Lavoro “Agende 21 Locali per Kyoto” si propone come riferimento per i soci del Coordinamento che decidono di impegnarsi in questa nuova avventura: www.a21italy.it/a21italy/gdl.php

Sono trentotto, il doppio della prima edizione, i soggetti istituzionali che quest’anno hanno presentato almeno un progetto per una delle cinque categorie previste: gestione del territorio, impronta ecologica, mobilità, rifiuti, nuovi stili di vita. Oltre ai comuni, sparsi in tutta Italia e con dimensioni e caratteristiche molto diverse tra loro, quest’anno hanno aderito anche due amministrazioni provinciali e due consorzi per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, a dimostrazione che i comuni possono trovare negli enti locali superiori e nelle aziende di servizi degli importanti compagni di viaggio per ampliare l’efficacia delle proprie buone prassi. Obiettivo del premio è far conoscere e valorizzare le tante interessanti sperimentazioni intraprese nei nostri Comuni, molte delle quali meriterebbero di essere diffuse capillarmente in tutto il territorio nazionale. Si va dal primo piano urbanistico a crescita zero alla raccolta dei rifiuti con gli asini, dall’efficienza energetica applicata su tutti gli edifici pubblici di un territorio all’illuminazione pubblica interamente a led; dalla distribuzione dei prodotti sfusi a cominciare dall’acqua del sindaco a gruppi di acquisto comunali per l’autoproduzione di energia pulita; dalle mense disimballate e autogestite ai campeggi comunali sostenibili. La graduatoria finale verrà pubblicata entro il mese di agosto, mentre tutti i progetti presentati saranno a breve on-line sul portale dell’Associazione: www.comunivirtuosi.org. L’ente locale vincitore riceverà una ricognizione energetica gratuita su un edificio istituzionale a sua scelta. La cerimonia di premiazione è prevista per sabato 6 settembre presso il Municipio di Capannori (LU), all’interno del primo “Festival dei baci e dei salamelecchi”, promosso in collaborazione con l’Associazione Fazz Club di Modena. Per info: www.comunivirtuosi.org

Stato di attuazione degli Aalborg Commitments

Numerosi sono gli enti italiani che ad oggi hanno sottoscritto gli Impegni di Aalborg (ben 136); pochi invece quelli che hanno avviato concretamente il processo, peraltro relativamente semplice, che prevede due stadi di attuazione: - 1. predisporre un’analisi integrata dello stato di fatto rispetto agli Aalborg Commitments (sono solo 8 le baseline review pubblicate) e - 2. fissare degli obiettivi di miglioramento e le azioni necessarie per conseguirli. Da qui la proposta molto operativa di Walter Sancassiani, Focus-Lab, socio sostenitore del Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, avanzata nell’ambito dalla Conferenza Programmatica dell’associazione che si è tenuta ad inizio anno: “Un Aalborg Commitment nel Piano Esecutivo di Gestione di ogni ente socio”. Si tratta di individuare almeno un’azione tra le 50 in cui si articolano gli Aalborg Committments da inserire nel Piano di Gestione che gli enti locali predisporranno in autunno e che costituisce lo strumento operativo fondamentale di gestione dell’ente. L’adesione di tutti i soci del Coordinamento a questa proposta produrrebbe effetti davvero significativi. Da che parte cominciare? Sul sito www.a21italy.it le istruzioni pratiche su come procedere per l’attuazione degli Aalborg Committments e alcuni esempi concreti di azioni realizzate.

Gruppo di Lavoro “Contratti di Fiume”

In questa newsletter trova uno spazio dedicato anche il neonato GdL “Contratti di Fiume” che a Rimini si è incontrato per la seconda volta. Gli obiettivi del GdL sono: • individuare pratiche positive di partecipazione dei cittadini, delle associazioni e dei movimenti rispetto alla gestione dell’acqua a livello locale, secondo i principi della democrazia partecipativa; • studiare e raccogliere esperienze per promuovere accordi volontari, la governance e le politiche settoriali in campo ambientale e territoriale per la valorizzazione dei bacini fluviali. Nella gestione dell’acqua è essenziale un coinvolgimento attivo e propositivo di tutti gli attori sociali al fine di promuovere soluzioni collettive ed evitare l’insorgere di conflitti. Da qui l’idea di collegare i Contratti di Fiume all’Agenda 21 Locale, strumento di partecipazione nelle questioni ambientali che in molti casi si è dimostrato efficace anche nell’affrontare i conflitti locali. Fin dal 2° Forum Mondiale dell’Acqua (marzo 2000) sono stati introdotti in tutta Europa i “Contratti di Fiume” per favorire “l’adozione di un sistema di regole in cui i criteri di utilità pubblica, rendimento economico, valore sociale, sostenibilità ambientale intervengono in modo paritario nella ricerca di soluzioni efficaci per la riqualificazione di un bacino fluviale”. La stessa Unione Europea nella sua Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE) prevede, oltre all’individuazione delle acque europee e delle loro caratteristiche, classificate per bacino e per distretto idrografico di appartenenza, l’adozione di piani di gestione e di programmi di misure adeguati per ciascun corpo idrico, caratterizzati dalla collaborazione e partecipazione di tutti gli stakeholder, e introduce i Contratti di fiume o di lago quali strumenti di programmazione negoziata. Prima iniziativa del GdL è stata l’istituzione di un Tavolo Nazionale, insediatosi ad Umbertide (PU) il 4 aprile 2008, occasione di confronto e di dialogo diretto per condividere indicazioni per una gestione sostenibile dei fiumi. Tra gli obiettivi: diffondere pratiche partecipative nella gestione dei fiumi e avviare Contratti di Fiume anche nei territori del sud Italia che a tutt’oggi, ad eccezione di un tentativo condotto in Basilicata, non hanno ancora trovato attuazione. È stato inoltre avviato il sito www.a21fiumi.eu con il proposito di mettere a disposizione delle Amministrazioni e comunità che intendono portare avanti questi processi nei loro territori un database delle esperienze realizzate in Italia. Per iscriversi al GdL o per ulteriori informazioni: m.bastiani@ecoazioni.it Dal sito www.a21italy.it/a21italy/gdl.php è scaricabile la scheda di presentazione del GdL.

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On line il nuovo sito del GdL Rifiuti 21 network Si è “accasato” presso il server del Coordinamento il sito del GdL Rifiuti 21 network: www.a21italy.it/a21italy/rifiuti21network/ Si tratta di una sperimentazione che, gradualmente e previa verifica della disponibilità dei necessari requisiti tecnici e di competenze, potrà essere allargata agli altri Gruppi di Lavoro interessati. L’obiettivo è di dare maggiore autonomia redazionale alle Segreterie dei GdL che, attraverso il Web Content Management, potranno aggiornare direttamente i contenuti delle pagine pubblicate, migliorando le prestazioni di questo potente strumento di comunicazione. Siete tutti invitati a visitare il sito e a comunicarci i vostri commenti e suggerimenti: coordinamento.agenda21@provincia.modena.it

Brevi Modenabio 2008. Dal 16 al 20 giugno si sono svolti a Modena gli “stati generali” dell’agricoltura biologica, ovvero il congresso triennale IFOAM, a cui hanno partecipato più di 1.500 delegati da 108 Paesi. 31 milioni gli ettari di terreni certificati e 720.000 le aziende nel mondo, per un mercato da 26 miliardi di euro. L’Italia ricopre un ruolo chiave, prima in Europa per ettari certificati (1 milione circa, quinta al mondo) nonché per numero di aziende, 51.000 (seconda al mondo). Il tallone d’Achille è il consumo: ben il 60% del prodotto è diretto all’esportazione. www.modenabio2008.org Si è tenuto il 22 e 23 giugno a Marsiglia il primo Forum delle Autorità Locali e Regionali del Mediterraneo organizzato da Città Unite e Governi Locali, la rete mondiale degli enti locali. Per scaricare la Dichiarazione degli Enti Locali e delle Regioni per il Mediterraneo: www.commed-cglu.org Concorso nazionale “Energia sostenibile nelle città” promosso da Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e dall’Istituto Nazionale di Urbanistica: la scadenza per la presentazione della domanda è il 15 settembre 2008. Il bando è scaricabile da www.inu.it Prolungata al 15 settembre la scadenza per presentare il dossier di candidatura al “Premio Nazionale per percorsi di partecipazione alle politiche per il paesaggio e la biodiversità”. Scopo dell’iniziativa è di contribuire attraverso la selezione, diffusione e promozione di esperienze concrete alla creazione di una maggiore sensibilità nei confronti dei valori della partecipazione e, allo stesso tempo, del paesaggio e della biodiversità. Per scaricare il bando www.a21italy.it Dal 16 al 22 settembre le città europee avranno l’opportunità di partecipare al più diffuso evento sulla mobilità sostenibile: la Settimana Europea della Mobilità. L’iniziativa sembra piacere soprattutto alle città della Mitteleuropa: Austria, Ungheria e Rep. Ceca insieme contano ad oggi per più di 2/3 delle adesioni alla settima edizione della manifestazione. Ma c’è ancora tempo per iscriversi! www.mobilityweek.eu Si insedia il 26 e 27 settembre l’Osservatorio Europeo sul Paesaggio, promosso dalla Provincia di Salerno, che avrà sede nella splendida Certosa di San Lorenzo di Padula e presso la Grancia certosina di Sala Consilina. Tra le iniziative previste l’istituzione di un laboratorio dedicato a Robert Mallet sullo studio degli eventi sismici e sulla prevenzione dei relativi danni economici, sociali e ambientali, e di un laboratorio sull’urbanistica sostenibile e sulla pianificazione territoriale. EUSEW 2009 Settimana dell’Energia Sostenibile. Si svolgerà a Bruxelles dal 9 al 13 febbraio 2009 ma, come nella precedente edizione, saranno

organizzati eventi sia nella capitale belga che nei diversi Stati membri dell’UE. Il coordinamento della campagna SEE in Italia ha predisposto un format attraverso il quale segnalare gli eventi proposti sul territorio italiano, da inviare entro settembre. La Commissione Europea ha anche lanciato la nuova edizione dei Premi “Awards SEE 2009” che saranno assegnati il 10 febbraio 2009. Per maggiori info: www.campagnaseeitalia.it/see-eu Il primo di ottobre è la scadenza per candidare la propria città a “Capitale Verde d’Europa 2010 e 2011”. Si tratta di una iniziativa promossa dalla Commissione Europea per valorizzare l’impegno delle amministrazioni cittadine a favore della sostenibilità urbana. Per maggiori informazioni e scaricare il form di candidatura http://ec.europa.eu/environment/europeangreencapital/index_en.htm A Cremona il 10 11 ottobre, a margine di Compraverde-Buygreen, si terrà il Forum del Coordinamento Agende 21 Locali Italiane: sarà l’occasione per i referenti dei Coordinamenti regionali e dei Gruppi di Lavoro del Coordinamento per condividere con il Direttivo dell’associazione risultati raggiunti, obiettivi e azioni per attuare con maggiore incisività l’Agenda 21 e le politiche locali per la sostenibilità. www.a21italy.it Si terrà a Padova dal 23 al 25 ottobre la VI Conferenza Internazionale di Etica e Politiche Ambientali, organizzata dalla Fondazione Lanza; il tema di quest’anno è “Etica e cambiamento climatico. Scenari di giustizia e sostenibilità”. Per informazioni www.webethics.net

Alcuni numeri su cui riflettere 6.679.468.039 la popolazione mondiale alle ore 12:42 del 2 luglio 2008 5.707.702 gli ettari di foresta andati perduti dall’inizio dell’anno 11.224.000.000 le tonnellate di CO2 emesse dall’inizio dell’anno 4.200.000.000 le tonnellate equivalenti carbone (TEC) di petrolio che verranno consumate nel 2008 26.128.200 le auto prodotte nel mondo dall’inizio dell’anno ☺ L’incremento annuo delle auto prodotte nel mondo è passato da +6,45% nel 2006 a +4,2% nel 2007 mentre per il 2008 è previsto un misero +0,96% (con un decremento in USA, Giappone e Europa). Questo sì è un numero sostenibile! Nei circa 30 secondi che avete impiegato per leggere queste poche righe la popolazione mondiale è cresciuta di altre 72 unità, abbiamo perso altri 11 ettari di foresta, le emissioni di CO2 sono aumentate di circa 22.000 tonnellate, abbiamo consumato circa 4.300 TEC di petrolio e sono state prodotte altre 50 automobili … Questi ed altri dati da “mal di mare” sul sito www.worldometers.info/it/

Supplemento al n.6 giugno 2008 di

A21 Italy Newsletter Giugno 2008 - N° 31 Coordinamento Agende 21 Locali Italiane

Stampa: Bieffe srl, Zona Ind.le P.I.P. 62019 Recanati / MC

Direttore responsabile: Andrea Massaro

Per collaborazioni alla newsletter: Gli articoli inviati alla Newsletter devono essere al massimo di 1.500 battute (spazi vuoti inclusi). I contributi devono essere inviati a: kaulard.a@provincia.modena.it

a cura di: Antonio Kaulard Progetto grafico, redazione e impaginazione: Free Service srl, Via del Consorzio, 34 - 60015 Falconara M. / AN tel. 071 916 1 916 - fax 071 916 2 289 www.onon.it - info@regionieambiente.it - grafica@regionieambiente.it Aut.Trib. di Ancona n. 1/2000 del 4/1/2000

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La scadenza per l’invio dei contributi per la prossima newsletter è il 25 agosto. La Newsletter è al vostro servizio. Informateci delle vostre attività verso lo sviluppo sostenibile.


N째

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GIUGNO 2008



INDICE Regione Marche “A misura di Regione” Siglato un Protocollo di intesa per la raccolta delle batterie esauste di Donatella Mancini

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Il diritto all’informazione ambientale Esperienze della Regione Marche di Alberto Piastrellini

Il percorso del nuovo Piano Regionale di Gestione integrata dei Rifiuti a cura del Servizio Ambiente e Paesaggio

Un laboratorio ambientale in autostrada Terza corsia A14 e buone pratiche ambientali di Lorenzo Antonelli

La geografia delle pressioni ambientali nelle Marche e la programmazione strategica ambientale a cura di Antonio Minetti, Katiuscia Grassi e Alessandro Zepponi p.

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SO.GE.NU.S. spa Inaugurata la nuova centrale bioelettrica A Maiolati Spontini (AN) dall’impianto di smaltimento rifiuti gestito dalla Società le famiglie avranno la copertura del loro fabbisogno di energia elettrica e il surplus sarà ceduto all’ENEL a cura di Fabio Bastianelli

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di Gisberto Paoloni

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Convegni e Manifestazioni Un master plan paesaggistico e due progetti d’area per l’inserimento delle infrastrutture nei paesaggi protetti

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ARPA Marche Le acque potabili pubbliche nelle Marche

La legislazione ambientale della Regione Marche L’argomento è stato trattato durante un Convegno organizzato da CERTIQUALITY di Valentina Bellucci

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REGIONE MARCHE

“A MISURA DI REGIONE” Siglato un Protocollo di intesa per la raccolta delle batterie esauste di Donatella Mancini

Regione Marche, COBAT, Legambiente Marche, ANCI Marche ed UPI Marche hanno siglato un Protocollo d’Intesa per favorire la raccolta delle batterie al piombo esauste. L’accordo è stato firmato in occasione della Conferenza stampa, svoltasi il 14 Maggio u.s. presso la sede della Regione Marche, durante la quale è stata presentata l’iniziativa. La Regione Marche, infatti, è una delle tre, insieme ad Umbria e Lombardia, coinvolte nella campagna “A misura di Regione”, promossa da COBAT (Consorzio Obbligatorio Batterie Esauste) e Legambiente che prevede, appunto, l’attivazione di Convenzioni con i Comuni per avviare un servizio di raccolta, totalmente gratuito, delle batterie al piombo esauste provenienti dal privato cittadino, allo scopo di contrastare il fenomeno dell’abbandono in ambiente di questo tipo di rifiuto altamente pericoloso. Le batterie esauste saranno conferite in contenitori speciali, collocati presso le isole ecologiche, al cui svuotamento e raccolta provvederanno gli incaricati dal COBAT. La campagna prevede, inoltre, la realizzazione di attività di informazione e sensibilizzazione per i cittadini, in collaborazione con gli enti locali. Nell’edizione Marche di Comuni Ricicloni 2008 particolare rilievo sarà dato al lavoro svolto dai Comuni in particolare nella raccolta delle batterie esauste, con l’assegnazione di un premio speciale COBAT per il miglior risultato. La Conferenza è stata aperta da Isarema Cioni, Dirigente PF Salvaguardia, Sostenibilità e Cooperazione internazionale della Regione Marche. “Questa iniziativa - ha detto - si inserisce in una serie di altre iniziative promosse dalla Regione Marche in tutti i settori dei rifiuti per facilitare una gestione integrata ed

efficace degli stessi. L’accordo siglato oggi amplia il campo delle tipologie di rifiuti per le quali le Marche hanno sviluppato apposite azioni, come quelle per il recupero dei rifiuti agricoli, degli inerti e degli oli esausti. Oltre a valorizzare ciò che si sta facendo, è importante porci dei nuovi obiettivi, come la raccolta di altre peculiarità di batterie, ad esempio quelle dei telefoni cellulari”. A seguire è intervenuto Claudio De Persio, Direttore operativo COBAT che si è compiaciuto per i tempi brevi con i quali è stato realizzato questo accordo. “Il Protocollo - ha asserito - nato dalla volontà del COBAT e di Legambiente, è rivolto, soprattutto alla sensibilizzazione dei cittadini su questo problema. Le aziende, infatti, hanno già l’obbligo del recupero dei rifiuti pericolosi, ma il COBAT intende colmare anche le più piccole sacche di dispersione, circa il 2%, nell’ambiente delle batterie esauste, convincendo il cittadino all’adeguato conferimento. I Comuni convenzionati, che nelle Marche sono oltre 120, dal prossimo Settembre avranno accesso alla banca dati e sistema di monitoraggio, creato e gestito dal COBAT (SpyCob), che permette la completa tracciabilità del rifiuto, dalla sua produzione all’esito finale all’impianto di riciclo. Si tratta di un importante sistema di controllo per prevenire ed individuare pratiche illecite o poco chiare, che si interseca con il lavoro svolto dalle Forze dell’Ordine, a fronte del fatto che si sta sviluppando un pericoloso commercio illegale delle batterie esauste dalle quali si può ricavare il piombo”. Era presente all’incontro, Palmiro Ucchielli, Presidente UPI (Unione Province Italiane) che ha sottolineato l’importanza di educare e formare il cittadino. “Ogni istituzione - ha sostenuto - deve contribuire con-

Da sinistra: Palmiro Ucchielli, Roberto Stecconi, Marco Amagliani, Isarema Cioni, Claudio De Persio, Stefano Ciafani e Luigino Quarchioni

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LE AZIONI DI PREVENZIONE E RECUPERO RIFIUTI NELLE MARCHE L’accordo siglato con il COBAT rientra nella strategia più generale della Regione Marche in materia di gestione integrata dei rifiuti tesa a privilegiare la prevenzione, la separazione e il recupero dei rifiuti. Autocompostaggio domestico Grazie ai fondi disponibili con il Docup ob. 2 (2000-2006) sono stati finanziati progetti per autorecupero domestico della frazione umida dei rifiuti domestici, mediante la pratica dell’autocompostaggio. Eliminazione dell’usa e getta - Ecofeste Nel 2001 è stato finanziato il progetto “Dalla tavola nasce un fiore” volto all’eliminazione dell’usa e getta nelle sagre paesane. Le feste, una per provincia, sono state individuate grazie alla collaborazione con l’agenzia del turismo APTR, sulla base di un’analisi dell’afflusso medio di persone. I risultati positivi ottenuti (riduzione e separazione dei rifiuti, maggiore sensibilizzazione) hanno portato all’introduzione di una apposita misura nel Docup ob. 2 volta proprio all’eliminazione dell’usa e getta ed alla separazione dei flussi nella ristorazione collettiva, come mense, sagre e feste locali. Raccolta porta a porta Nel 2006 e nel 2007 sono stati emanati due bandi per il supporto economico (670 mila Euro in totale) ai Comuni e ai loro Consorzi per il passaggio dalla raccolta tradizionale stradale a quella porta a porta, l’unica che permette di raggiungere gli obiettivi fissati dalla legge e, non meno importante, di favorire il passaggio dalla TARSU alla tariffa, al fine di consentire al cittadino di pagare in base alla quantità di rifiuto indifferenziato realmente prodotto. Accordi Negli anni sono stati conclusi accordi volti al recupero di particolari tipologie di rifiuto: - nel 1999 è stata raggiunta un’intesa di programma tra Regione, Enti, Associazioni di categoria e soggetti privati per la gestione dei rifiuti prodotti dal settore agricolo; - nel 2001 (1° febbraio) è stato firmato un accordo di programma Regione Marche, Enti, Associazioni di categoria e soggetti privati per la gestione dei rifiuti inerti provenienti dal settore edile; - nel 2008 è stato firmato un protocollo d’intesa tra Regione, COBAT, UPI Marche, ANCI Marche e Legambiente Marche per la raccolta e il riciclo delle batterie al piombo usate. GPP Sono state svolte azioni di sensibilizzazione in tema di Acquisti Verdi rivolte agli Enti pubblici, in particolare con attività di formazione e di supporto finanziario all’apertura di sportelli provinciali. Al proprio interno si è cercato poi di orientare gli acquisti verso beni e servizi a minore impatto ambientale (arredamenti, pc, stampanti, pubblicazioni, ecc.). Una goccia verso la sostenibilità Nei palazzi regionali sono stati installati 7 erogatori di acqua alla spina collegati direttamente alla rete pubblica. Ciò ha permesso di ridurre l’acquisto di acqua in bottiglia e quindi la produzione di rifiuti. Per massimizzare i benefici di questa iniziativa sono stati invitati tutti i dipendenti (1.150 in totale) a dotarsi di una propria bottiglia da riempire a piacere, così da non utilizzare i bicchieri di plastica, ulteriore fonte di rifiuti. Azioni di sensibilizzazione Tra le tante si segnala l’iniziativa che si ripete ogni anno “Premio Comuni Ricicloni”, organizzata con Legambiente Marche e ARPA Marche, che assegna un riconoscimento a quei Comuni che si sono distinti in iniziative di prevenzione nella produzione dei rifiuti nella Regione Marche. A partire dall’edizione del 2007 è stato introdotto anche un Premio di tipo economico che il Comune vincitore deve impiegare per potenziare ulteriormente la raccolta differenziata. Rifiuti sanitari Grazie alla collaborazione con l’Agenzia per la Sanità (ARS), sono state individuate le realtà ospedaliere che presentavano una spesa per lo smaltimento dei rifiuti fuori controllo. Rispetto a queste realtà, nel corso degli anni 2001-2002, è stata affidata all’Agenzia 5R la realizzazione di un progetto sperimentale per la prevenzione e la separazione dei rifiuti sanitari in ambito ospedaliero. Grazie ai risultati positivi ottenuti, è stato possibile introdurre una apposita misura del Docup ob. 2 volta alla riduzione della produzione dei rifiuti sanitari a rischio chimico. In particolare è stata finanziata la digitalizzazione delle immagini radiologiche permettendo una riduzione della produzione dei liquidi di sviluppo e fissaggio delle lastre radiografiche. Sul tema della corretta gestione dei rifiuti sanitari, tenuto conto degli ottimi risultati ottenuti dalla sperimentazione del 2001-2002, sono state inoltre prodotte apposite linee guida regionali. Imballaggi È in corso di definizione un accordo di programma triennale tra Regione, Provincia di Ancona, Legambiente Marche e la Grande Distribuzione (GDO) volto alla riduzione della produzione di rifiuti da imballaggi, ad esempio mediante l’installazione di distributori dei prodotti alla spina.

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cretamente alla corretta gestione dei rifiuti sul territorio, soprattutto, informando la cittadinanza, riducendo al massimo l’invio in discarica di materiali ed intensificando l’educazione ambientale nelle scuole”. In rappresentanza dell’ANCI Marche, c’era Roberto Stecconi, Assessore alle Politiche Economiche, Finanziarie e di Bilancio del Comune di Ancona che si sta avviando a realizzare una sperimentazione di Raccolta Porta a Porta. “Non tutti i mali vengono per nuocere: la drammatica situazione campana sul versante rifiuti - ha commentato - ha almeno avuto il pregio di risvegliare le coscienze su un tema troppo spesso sottovalutato. In realtà è uno dei problemi più gravi che i Comuni si trovano ad affrontare, anche da un punto di vista economico, perciò vanno sostenuti dalle altre istituzioni. La discarica non rappresenta una soluzione”. Di seguito ha preso la parola Marco Amagliani, Assessore all’Ambiente della Regione Marche. “Negli ultimi 10 anni la Regione ha svolto - ha detto - un buon lavoro nella gestione della RD, passando dal 3% di fine anni ’90 al 25% attuale, con punte di eccellenza che arrivano al 70% in alcune località. I consorzi COSMARI e CIR33 funzionano, ma non possiamo abbassare la guardia perché dal 2009 i rifiuti non potranno essere conferiti in discarica senza prima aver subito un particolare trattamento, altrimenti si incorrerà in sanzioni europee. La Regione,

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dunque, dovrà dotarsi di impianti di trattamento rifiuti per un importo pari a 40 milioni di Euro. Nella situazione di emergenza in cui versa la Campania, ed in particolare Napoli, i termovalorizzatori sono ineludibili, ma nelle Marche non sono necessari. Esiste già un termovalorizzatore del COSMARI a Macerata che potrebbe essere ampliato e adattato anche per i rifiuti pericolosi”. Stefano Ciafani, Responsabile Scientifico di Legambiente, presente alla Conferenza, ha ricordato che se in alcune aree italiane si vive una drammatica emergenza rifiuti, in altre si registrano delle eccellenze. “L’Italia - ha ricordato - va a 3 velocità anche nel settore della gestione dei rifiuti. Nelle Marche si segnalano delle esperienze virtuose nella RD, come testimoniano le ultime edizioni locali di Comuni Ricicloni”. Prima della firma del Protocollo d’intesa, ha concluso la Conferenza Luigino Quarchioni, Presidente Legambiente Marche. “Sottrarre batterie all’abbandono - ha dichiarato - è un dovere per Legambiente. Abbiamo intenzione di partire subito con attività concrete, coinvolgendo direttamente le amministrazioni locali e i cittadini. Se il comune di Serra de’ Conti ad Aprile è arrivato al 78% di RD significa che i buoni risultati non sono impossibili da raggiungere”.



IL DIRITTO ALL’INFORMAZIONE AMBIENTALE Esperienze della Regione Marche

a cura del Servizio Ambiente e Paesaggio

Il 31 marzo scorso si è svolto ad Ancona presso la Sala Raffaello della Regione Marche il seminario “Il diritto all’informazione ambientale e la responsabilità della Pubblica Amministrazione”, organizzato dall’ARPA Marche in collaborazione con la Regione Marche. Dopo l’illustrazione del quadro generale della normativa vigente, in particolare del D. Lgs. 195/2005 che ha recepito la Direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale, si è discusso del ruolo e delle esperienze delle pubbliche amministrazioni. È bene sottolineare che l’accesso all’informazione ambientale è solo uno dei 3 pilastri indicati dalla Convenzione di Aarhus del 1998 per raggiungere l’obiettivo di un maggior coinvolgimento e sensibilizzazione dei cittadini nei confronti dei problemi ambientali al fine di garantire una maggiore protezione dell’ambiente. Gli altri due sono: - coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali che hanno effetti ambientali; - accesso alla giustizia in materia ambientale. Anche se esistono altri atti normativi europei e nazionali che recepiscono, parzialmente, gli altri due pilastri della convenzione, sono ancora molte le criticità da superare per assicurare una sua effettiva applicazione. Durante il seminario, la Regione ha illustrato la sua esperienza in tema di accesso all’informazione ambientale.

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L’accesso viene garantito principalmente attraverso due canali: - rispondendo alle richieste che provengono da cittadini, comitati, associazioni, imprese e dall’interno stesso dell’amministrazione regionale; - raccogliendo e divulgando l’informazione ambientale.

In questi anni l’attività del Servizio Ambiente e Paesaggio, su indicazioni dell’Assessore all’Ambiente, ha cercato di raggiungere tre obiettivi principali: - produrre e divulgare informazioni sullo stato dell’ambiente e del territorio regionale;

- garantire la partecipazione del pubblico nei procedimenti di VIA, VAS e AIA; - garantire la massima trasparenza relativamente alle spese ambientali. In merito al primo obiettivo, sono state prodotte e divulgate alcune pubblicazioni tra le quali si segnalano il “Secondo rapporto sullo stato dell’ambiente (2006)” e il suo approfondimento “Geografia delle pressioni ambientali (2007)”. Con questi due documenti, ricchi di dati e informazioni relativi sia alle componenti ambientali (acqua, aria, suolo, biodiversità, ecc.) che ai fattori di pressione (attività industriali, mobilità, turismo, ecc.), la Regione Marche ha confermato nell’attività di reporting ambientale lo strumento prioritario di conoscenza, di informazione, di orientamento operativo e di valutazione delle politiche di sviluppo economicoterritoriale. Altre pubblicazioni hanno riguardato il Piano Energetico Ambientale Regionale, il Piano di risanamento dell’AERCA e le Linee guida sulle aree produttive ecologicamente attrezzate. Molteplici sono poi i depliant e le pubblicazioni divulgative in tema di: educazione ambientale, aree protette, gestione dei rifiuti, efficienza energetica e fonti rinnovabili. Relativamente ai temi di maggiore attualità o ai quali occorre dedicare un maggior approfondimento, sono stati organizzati momenti specifici di confronto attraverso Convegni e Seminari. Tra questi, si indicano:


Buone pratiche ambientali nei lavori di ampliamento dell’Autostrada A14 (8 Maggio 2008); Certificati energetici (17 Marzo 2008); Cambiamenti climatici e innovazione (13 Ottobre 2007); Rete INFEA Marche (12 Ottobre 2007); Controlli ambientali (12 Ottobre 2007); Strategia regionale di azione ambientale per la sostenibilità (13 Dicembre 2006). Per quanto riguarda poi il secondo obiettivo, si segnala l’attività della Regione al fine di garantire la partecipazione del pubblico ai processi di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) di piani e programmi. Nell’effettuare la valutazione ambientale dei piani e dei programmi che possono avere effetti significativi sull’ambiente occorre: - elaborare un rapporto sull’impatto ambientale del piano o programma; - svolgere le consultazioni sul rapporto ambientale con le autorità con competenze ambientali; - valutare il rapporto ambientale e i risultati delle consultazioni nell’iter decisionale; - mettere a disposizione le informazioni sulla decisione. I processi finora attivati hanno riguardano la VAS del Piano operativo regionale Competitività e Occupazione POR-FESR 2007-2013, del Piano di Sviluppo Rurale, del Piano di Tutela delle Acque, del Piano per la Qualità dell’Aria, del Piano Forestale Regionale, del Piano Paesistico, del Piano di Sviluppo della Rete Elettrica di Trasmissione Nazionale.

Per ciò che concerne i procedimenti amministrativi autorizzatori e le valutazioni ambientali (IPPC, VIA, Valutazione d’incidenza, Cave, Vincoli paesaggistici, Aree tutelate) si evidenzia che è possibile reperire informazioni ambientali, oltre che nei modi di legge (L. 241/90), anche dai dati disponibili

recentemente con l’ISTAT che ha permesso alla Regione Marche di dotarsi, per prima in Italia, di una Contabilità ambientale relativamente al Rendiconto finanziario 2007. L’obiettivo, oltre a garantire informazione e trasparenza nei confronti dei cittadini, è di avere le informazioni necessarie per effettuare confronti della spesa ambientale nel tempo e con le altre regioni, meglio se a livello europeo. Per lo svolgimento delle attività necessarie al raggiungimento di questi obiettivi è stata utilizzata una molteplicità di strumenti al fine di informare il pubblico più vasto possibile, nei limiti delle risorse disponibili, privilegiando in ogni caso lo strumento con il miglior rapporto utenti raggiungibili-costo, cioè il Sito internet www. ambiente.marche.it. Il sito è organizzato in aree tematiche attraverso le quali l’utente può accedere agevolmente a banche dati e informazioni ambientali. Tramite il sito è anche possibile richiedere l’iscrizione alla newsletter che periodicamente viene inviata tramite posta elettronica per segnalare le ultime novità.

sul sito internet www.norme.marche. it (dove è possibile scaricare decreti, delibere, e leggi regionali) e sul sito del Servizio Ambiente e Paesaggio www. ambiente.marche.it. Infine, sul terzo obiettivo si mette in evidenza la collaborazione attivata

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UN LABORATORIO AMBIENTALE IN AUTOSTRADA Terza corsia A14 e buone pratiche ambientali

di Lorenzo Antonelli Servizio Ambiente e Paesaggio - P.F. Valutazione ed Autorizzazioni Ambientali

Notevole interesse e numerosi partecipanti al Seminario “Terza corsia, buone pratiche ambientali… in corso” tenutosi l’8 Maggio scorso in Regione e organizzato dal Servizio Ambiente con la collaborazione della Società Autostrade per l’Italia. Tra i presenti numerosi amministratori e tecnici degli enti locali interessati, rappresentanti di imprenditori e professionisti, docenti universitari, tecnici regionali. Il Servizio Ambiente della Regione Marche, nell’ambito del procedimento di Valutazione dell’Impatto Ambientale della infrastruttura ha individuato, oltre alle ordinarie prescrizioni, strumenti innovativi utili a ridurre l’impatto ambientale: un sistema di monitoraggio continuo delle matrici ambientali, l’impiego di malte fotocataliche per la riduzione degli agenti inquinanti in atmosfera, il riutilizzo dei materiali demoliti e di scavo per la nuova pavimentazione, il rimboschimento e la creazione di veri e propri boschi urbani. Si tratta, quindi, di un vero e proprio “laboratorio” nel quale sperimentare buone pratiche ambientali e, in presenza di risultati positivi, estendere ad altri progetti infrastrutturali le tecniche individuate. “L’azione - ha spiegato l’Assessore Regionale all’Ambiente, Marco Amagliani - è stata quella di individuare, insieme con Società Autostrade, Univer-

sità Politecnica delle Marche, ARPAM, strumenti dinamici di controllo degli effetti sull’ambiente e di utilizzare tecniche innovative, anche se ancora a livello sperimentale, per ridurre l’impatto”. “Un’azione anticipatrice a livello nazionale - ha proseguito l’Assessore - messa in campo nella prima regione che si è dotata di un Piano Energetico Ambientale e che va, in sostanza, nella stessa direzione: la riduzione delle emissioni in atmosfera, in linea con il protocollo di Kyoto. Una visione di insieme, dunque, che offre un modello di intervento realistico e non teorico a dimostrazione del continuo interesse della Regione a colmare le carenze infrastrutturali non prescindendo dalla tutela dell’ambiente.” Di modello dal punto di vista amministrativo ha parlato anche l’Assessore Regionale alle Infrastrutture, Loredana Pistelli: “L’ampliamento alla terza corsia fortemente voluto dalla Regione, significherà non solo miglioramento dei collegamenti e sviluppo dei nostri territori, ma si configura anche come una modalità nuova di lavoro sia tra Assessorati regionali, sia in termini di partecipazione attiva degli enti locali che hanno trovato la disponibilità della Società Autostrade ad accogliere le diverse esigenze”. Ha introdotto i lavori del seminario il dirigente del Servizio Ambiente Antonio Minetti, che ha parlato dell’amplia-

Da sinistra: Duilio Bucci, Gisberto Paoloni, Antonio Minetti, Marco Amagliani e Lorenzo Antonelli

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mento della A14 come di un progetto che declina perfettamente le tre parole d’ordine cui punta la programmazione della Regione Marche: Infrastrutture, Innovazione e Ambiente-Paesaggio. In sostanza, ha aggiunto Minetti, “il progetto dell’ampliamento della terza corsia applica uno standard di prestazioni di alto livello qualitativo. La stessa interazione e collaborazione tra soggetti istituzionali così diversi ci dà la cifra di quanta innovazione si produrrà con questo progetto, soprattutto a livello di buone pratiche, sia amministrative che ambientali prima, durante e dopo i cantieri”. Gli aspetti generali del progetto della terza corsia e gli interventi ambientali, sono stati illustrati, con il supporto di un interessante filmato, da Franco Tolentino, di Autostrade per l’Italia Spa, Project Manager del progetto di ampliamento dell’A14, che ha anche sottolineato l’attenzione in fase progettuale per il miglioramento delle condizioni di sicurezza. È di circa 2 miliardi di euro il costo dell’intero intervento; da marzo 2007 sono già stati realizzati 37 km da Ancona Sud a Porto Sant’ Elpidio e verranno costruite o ampliate complessivamente 10 gallerie con tecniche di costruzione innovative, senza bloccare o deviare il traffico. È previsto un grande utilizzo di barriere antirumore, di pavimentazione drenante e fonoassorbente per


un miglior confort di viaggio e l’abbattimento dell’inquinamento acustico, l’utilizzo di malte fotocatalitiche per ridurre gli inquinanti atmosferici, vasti rimboschimenti, 31 mila piantumazioni, ovvero il triplo degli alberi che saranno abbattuti per l’ampliamento del corpo stradale. Durante i lavori verrà inoltre riutilizzato il materiale da demolizione dell’attuale pavimentazione nonché il materiale proveniente dagli scavi, con un evidente risparmio di nuove materie prime da cava e minore produzione di rifiuti. Con l’intervento del direttore dell’ARPAM Gisberto Paoloni, che ha illustrato l’attività dell’Agenzia e lo specifico contributo nell’ambito della terza corsia, si è conclusa la parte introduttiva e generale del seminario, con l’inizio alla trattazione da parte dei tecnici delle specifiche pratiche ambientali. Il sistema di monitoraggio, messo a punto col contributo importante dell’ARPAM, è stato illustrato da Duilio Bucci dell’ARPAM stessa, che ha definito il piano “uno strumento dinamico di controllo degli effetti sulle matrici ambientali”, esteso nel tempo anche dopo la realizzazione dell’ampliamento. Delle malte foto-catalitiche ha parlato Lorenzo Antonelli del Servizio Ambiente della Regione. L’utilizzo di questi materiali era già suggerito dal Ministero dell’Ambiente nelle Linee Guida del 2004, ma nessuna Regione aveva ancora raccolto l’indicazione con forza prescrittiva. Attraverso la fotocatalisi si sfruttano in pratica le capacità antinqui-

namento e antibatteriche del biossido di titanio. Antonelli ha illustrato alcune sperimentazioni fatte in Italia e ha inoltre annunciato che è stata già avviata la prima fase della sperimentazione nel tratto Ancona Nord - Senigallia, dove sono state già posizionate, da quattro mesi, apparecchiature di rilevamento degli inquinanti. Sull’argomento da registrare l’intervento di Gabriele Fava dell’Università Politecnica delle Marche, che ha illustrato i risultati di alcuni studi effettuati e di Water Vignaroli dell’ARPAM che ha approfondito aspetti tecnici della sperimentazione. Francesco Canestrari dell’Università Politecnica delle Marche, ha descritto in generale l’attività del Dipartimento

la tecnica che consentirà di riciclare, proprio nel tratto Ancona Sud - Civitanova, circa 100mila metri cubi di conglomerato bituminoso della vecchia pavimentazione. Sull’argomento ha affrontato aspetti normativi Stefano Orilisi dell’ARPAM. Antonio Minetti ha, infine, sottolineato che la realizzazione dei boschi urbani rappresenta un’occasione storica, grazie all’impegno della Società Autostrade, per migliorare l’ambiente e il paesaggio della fascia costiera marchigiana. Minetti ha spiegato che la riforestazione con piante autoctone è stata pensata in aggiunta alle prescrizioni già previste dalla legge forestale. Sarà certamente consistente il contri-

Impiego delle terre di risulta dagli scavi

Uno dei dispositivi di rilevamento degli agenti inquinanti già installati nel tratto Ancona Nord - Senigallia

di Costruzioni Stradali e del Consorzio Interuniversitario di Ricerca Stradale, all’avanguardia nel settore della sperimentazione e della ricerca in campo stradale. Nello specifico del riciclaggio dei materiali è poi entrato Maurizio Bocci, della medesima Università, che ha evidenziato gli aspetti significativi sia in termini ambientali, quali il risparmio di nuovo materiale, minori emissioni in atmosfera, minore incidenza del trasporto, sia in termini di risparmio economico. Con riferimento al cantiere terza corsia già avviato, ha illustrato la tecnica della stabilizzazione a calce che dovrebbe consentire l’allargamento del corpo stradale utilizzando esclusivamente il materiale proveniente dagli scavi. Per quanto riguarda la pavimentazione ha ampiamente descritto

buto per la riduzione dell’impatto del rumore e dell’impatto paesaggistico. Ancora più importante il contributo in termini di assorbimento di CO2, quindi in linea con gli adempimenti del Protocollo di Kyoto. Alla conclusione del seminario sono stati registrati commenti di apprezzamento per l’attività del Servizio Ambiente sul progetto di ampliamento alla terza corsia, con l’auspicio di altri momenti di approfondimento per confrontare esperienze e produrre contributi per mettere a punto… buone pratiche ambientali.

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LA GEOGRAFIA DELLE PRESSIONI AMBIENTALI NELLE MARCHE E LA PROGRAMMAZIONE STRATEGICA AMBIENTALE a cura di Antonio Minetti - Dirigente Servizio Ambiente e Paesaggio Katiuscia Grassi - Servizio Ambiente e Paesaggio Alessandro Zepponi - Servizio Ambiente e Paesaggio

Lo scenario internazionale ed europeo in materia di sostenibilità ambientale e di cambiamenti climatici ha posto la Regione Marche di fronte a sfide ambientali complesse, che richiederebbero di riacquisire pienamente e in modo diffuso la cultura della programmazione strategica e del governo del territorio in chiave di sostenibilità. L’individuazione di obiettivi ambientali strategici di lungo periodo, sui quali impostare politiche integrate, sia a livello settoriale che territoriale, non può prescindere da una attenta analisi dello stato di salute delle risorse e dall’individuazione dei fattori di pressione ambientale. Con la pubblicazione del “Secondo Rapporto sullo Stato dell’Ambiente (2006)” e del suo approfondimento “Geografia delle pressioni ambientali (2007)”, la Regione Marche ha confermato nell’attività di reporting ambientale lo strumento prioritario di conoscenza, di informazione, di orientamento operativo e di valutazione delle politiche di sviluppo economico-territoriale. Geografia delle pressioni ambientali La Geografia delle pressioni ambientali ha consentito di individuare, sulla base di un sistema ristretto di indicatori di stato e di pressione ambientali, la localizzazione territoriale delle criticità. Per criticità ambientale si è intesa quella situazione o condizione che rende precario lo stato dell’ambiente complessivamente inteso, da una parte per i caratteri di fragilità, vulnerabilità e sensibilità intrinseca di un sistema o ambito territoriale, prevalentemente determinati dalla caratteristiche quantitative e qualitative delle componenti ambientali, e dall’altra per la presenza e le specificità dei fattori perturbativi, che sono prevalentemente riconducibili alle attività umane, da cui discendono gli “impatti”. In particolare, lo studio citato ha permesso di differenziare le aree della regione Marche secondo il diverso livello di pressione ambientale. Sono stati presi in considerazione 8 aspetti attinenti a: - 4 componenti ambientali (aria, acqua, suolo, natura); - 4 attività antropiche (insediamenti, industria, turismo, rifiuti). Complessivamente sono stati calcolati 23 indicatori specifici, poi integrati in un unico valore, in base ad un sistema di pesatura. Il livello di dettaglio dei dati è quello possibile relativamente ai dati disponibili a scala comunale. Tuttavia lo studio raccomanda di non concentrare l’attenzione sul livello di pressione ambientale del singolo Comune, bensì sugli ambiti territoriali identificabili dall’aggregazione dei territori dei Comuni contigui appartenenti alle classi di alta pressione ambientale. I risultati sono rappresentati graficamente con due carte (a 5 e a 3 classi) che restituiscono le aree del territorio regionale in base alla diversa pressione ambientale. Di seguito

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si riporta quella a tre classi.

Geografia delle pressioni ambientali nella regione Marche (suddivisione a tre classi) I risultati dello studio mettono in evidenza che: - le aree interessate da una pressione ambientale alta e media sono localizzate lungo la fascia costiera, nella bassa parte delle principali aste vallive e in corrispondenza di alcuni importanti poli produttivi (26% del territorio); - la maggior parte (74%) del territorio regionale è caratterizzato da una pressione ambientale bassa; - quasi metà della popolazione vive nelle aree ad alta pressione (che coprono il 13,5% del territorio); 2/3 vive in aree ad alta-media pressione; solo 1/3 vive in aree a bassa pressione ambientale. Lo studio ha fornito utilissime indicazioni per orientare le scelte di sviluppo della Regione Marche, che dovrebbero tenere conto di due principali necessità: - invertire la tendenza all’aumento dei fattori di pressione sulle aree caratterizzate da alta pressione ambientale; - preservare le aree caratterizzate da bassa pressione ambientale, valorizzando il paesaggio e la connettività ecologica, per evitare che vengano interessate nel tempo dagli stessi fattori di pressione delle altre. Aree urbane funzionali (FUAs) Il governo del territorio dovrebbe inoltre prendere atto dei processi in corso sulla distribuzione della popolazione e delle attività economiche che negli ultimi anni hanno dato vita ad un forte incremento e concentrazione delle relazioni


funzionali (e quindi degli effetti di tali relazioni) in aree ben circoscritte di comuni contigui. Le loro relazioni sono aumentate fino a raggiungere un grado di interdipendenza così elevato da identificare un unico sistema socio-territoriale (area urbana funzionale - FUAs). Nell’ambito del progetto Interreg IIIB Cadses “Planet Cense”, sono state individuate 11 FUAs nella Regione Marche, che hanno tra i 54 mila e i 200 mila abitanti, identificando le “nuove città” delle Marche. In queste vive il 70% della popolazione e lavora il 74% degli addetti. Questi nuovi sistemi urbani non sono riconosciuti, perché non corrispondenti a unità politico-amministrative. Ciò ha condotto a una mancata percezione o a una sottovalutazione dei rilevanti disequilibri economici, ambientali e sociali ad esse riferibili. Un’evidenza dei disequilibri è riscontrabile dalla coincidenza fra le FUAs e le aree a maggiore pressione ambientale individuate nello studio citato precedentemente. Oggi il principale ambito di regolazione dell’organizzazione territoriale di queste aree è il livello comunale. Sono ancora pochi i tentativi di istituire un livello di governo intercomunale alla scala delle FUAs. Gli strumenti di governo del territorio dovrebbero tener conto di questa dimensione territoriale con riferimento, ad esempio, alla riduzione degli spostamenti mediante un piano della mobilità alla scala dell’area urbana funzionale. L’analisi dettagliata di una di queste, precisamente quella di Fermo e dei comuni contigui, è stata condotta nell’ambito del progetto Interreg IIIB “Polydev”, che ha raggiunto l’obiettivo di delineare una strategia comune di sviluppo policentrico negli stati membri dell’area Cadses, in linea con i principi delineati dalla Strategia europea ESDP (European Spatial Development Perspective).

La strategia individua per il periodo 2006-2010 gli obiettivi, le azioni e gli strumenti che i futuri piani e programmi di settore dovrebbero far proprio al fine di garantire l’integrazione delle tematiche ambientali nelle politiche economiche territoriali, fin dalle prime fasi di elaborazione. La Strategia afferma, quindi, un approccio trasversale alla formulazione e all’attuazione delle politiche settoriali, ponendosi l’ambizioso obiettivo di governare in modo efficace la molteplicità dei soggetti coinvolti nella loro attuazione: uffici regionali, enti locali, privati, imprese, cittadini. Per un’istituzione, con sempre maggiori responsabilità di governo come la Regione, questo significa fornire un quadro di riferimento normativo e programmatico chiaro, condiviso e responsabile. In linea con le priorità sancite dal Sesto programma comunitario in materia di ambiente 2002-2012, la struttura si articola in cinque parti: Parte I - Clima e atmosfera Parte II - Natura e Biodiversità Parte III - Ambiente e Salute Parte IV - Uso e gestione sostenibile delle risorse naturali e dei rifiuti Parte V - Azioni trasversali Le aree di intervento della STRAS e i macrobiettivi CLIMA E ATMOSFERA Dopo l’approvazione del protocollo di Kyoto (1997) uno dei principali obiettivi della politica energetica italiana, accanto alla sicurezza degli approvvigionamenti è la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra (abbattimento entro 2010-2012 delle emissioni di CO2 a livelli inferiori del 6,5% rispetto a quelle del 1990). Inoltre la politica europea per l’energia e il clima (2007) ha fissato di riduzione delle emissioni al 2020 del 20%. A livello regionale la riduzione delle emissioni viene perseguita con l’attuazione del Piano Energetico Ambientale Regionale (PEAR) - DACR 175/05 - agendo sul risparmio energetico, l’eco-efficienza energetica, la diffusione e l’impiego delle energie rinnovabili. • Ridurre le emissioni di gas climalteranti NATURA E BIODIVERSITÀ Il mantenimento della funzionalità degli ecosistemi è fondamentale per garantire un ambiente adatto alla vita. Da qui la necessità di sviluppare un approccio integrato tra politiche apparentemente settoriali come la conservazione degli ambienti naturali e delle specie, lo sviluppo rurale, la gestione faunisticovenatoria, la tutela del paesaggio, la protezione del suolo. Ciò può essere perseguito attraverso un forte coordinamento degli strumenti normativi e pianificatori, per consentire il raggiungimento degli obiettivi europei in tema di biodiversità e di tutela delle risorse e sviluppo spaziale sostenibile. • Conservare gli ecosistemi • Ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura e conservazione dello spazio rurale • Mantenere il giusto equilibrio fra attività venatoria e risorse faunistiche • Garantire una sviluppo territoriale integrato

Le 11 aree urbane funzionali (FUAS) della regione Marche

• Proteggere il territorio dai rischi idrogeologici, idraulici e sismici

Strategia regionale per la sostenibilità Sulla base dell’analisi delle criticità individuate è stato elaborato il principale documento di riferimento della sostenibilità ambientale delle politiche regionali: la Strategia di azione ambientale per lo sostenibilità STRAS 2006-2010, approvata nel 2007 dal Consiglio regionale (DACR n. 44/2007 - BUR n.12 del 15/02/2007).

• Favorire un corretto uso delle risorse minerarie • Prevenire la desertificazione • Ridurre l’inquinamento del suolo e del sottosuolo • Garantire la gestione integrata della fascia costiera

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AMBIENTE E SALUTE Esiste una stretta correlazione tra la qualità dell’ambiente, la qualità di vita e lo stato di salute della nostra popolazione. Considerando che sull’ambiente urbano si concentrano le principali pressioni e i principali impatti ambientali e che sulle malattie ricadono i maggiori costi sociali ed economici di un territorio, la strategia messa in campo intende garantire un’elevata qualità di vita e uno stato buono di salute, si incentra sulla promozione di politiche urbane sostenibili, sul miglioramento della qualità dell’aria, sulla riduzione dell’inquinamento acustico, elettromagnetico, sulla riduzione del grado di rischio, la frequenza e la grandezza degli incidenti rilevanti, sull’ottimizzare dei processi industriali per una riduzione integrata dell’inquinamento e sulla maggiore efficacia ed efficienza dei controlli ambientali. • Promuovere uno sviluppo urbano sostenibile e una migliore qualità di vita • Prevenire e ridurre l’inquinamento industriale e il rischio d’incidenti rilevanti • Promuovere un sistema integrato per le politiche di sicurezza ambientale USO E GESTIONE SOSTENIBILE DELLE RISORSE NATURALI E DEI RIFIUTI L’attuale sistema economico si caratterizza per un uso non razionale delle risorse non rinnovabili, un basso utilizzo delle risorse rinnovabili e la restituzione all’ambiente delle risorse utilizzate in forma degradata in quantità e qualità tali da superare la capacità di carico dell’ambiente stesso. Occorre quindi orientarsi verso nuovi modelli di produzione e consumo sostenibili basati sul minor prelievo di risorse, sulla conservazione del capitale naturale e sulla minor produzione di rifiuti. • Ridurre il prelievo delle risorse naturali nei cicli e nelle attività di produzione e consumo • Perseguire una gestione sostenibile della risorsa idrica • Conservare, ripristinare e migliorare la qualità della risorsa idrica • Ridurre la produzione dei rifiuti e la loro pericolosità; recuperare la materia

Il documento indica nella sua parte finale le azioni trasversali da intraprendere: • Sviluppare processi di educazione ambientale per lo sviluppo sostenibile • Integrare le tematiche ambientali nella programmazione, pianificazione e gestione del territorio • Garantire efficienza ed efficacia della normativa ambientale • Garantire la comunicazione e la partecipazione • Adottare un modello di governance ambientale multilivello • Potenziare il Sistema Informativo Regionale Ambientale Prospettive Il terzo correttivo del D.lgs 152/06 (D. Lgs n. 4 del 16 gennaio 2008) attribuisce alle Strategie Regionali un ruolo chiave nella programmazione e nella valutazione di piani e progetti. Ai sensi dell’art. 34 del D. Lgs. n. 4/2008, le Strategie determinano i requisiti per una piena integrazione della dimensione ambientale nella definizione e nella valutazione di politiche, piani, programmi e progetti e costituiscono il quadro di riferimento per le valutazioni ambientali. Lo stesso Decreto Legislativo attribuisce alle Regioni le seguenti funzioni: - adottare la Strategia regionale d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile; - garantire unitarietà alle attività di pianificazione attraverso l’attuazione della Strategia regionale; - promuovere l’attività delle Amministrazioni Locali che,

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anche attraverso i processi di Agenda 21 locale, si dotano di strumenti strategici coerenti e capaci di portare un contributo alla realizzazione degli obiettivi della Strategia regionale; - costituire apposite unità operative e individuare le risorse atte a garantire le funzioni di orientamento, valutazione sorveglianza e controllo nei processi decisionali della Pubblica Amministrazione, di scambio di esperienze e contenuti tecnico-scientifici in materia di valutazione ambientale, di promozione e diffusione della cultura della sostenibilità e dell’integrazione ambientale. Con il D.lgs n. 4/2008, lo Stato italiano, dà piena attuazione al principio della responsabilità comune nel perseguimento delle politiche di sviluppo sostenibile: principio, affermato da tempo a livello internazionale (Dichiarazione di Gauteng - Summit di Johannesburg del 2002), secondo il quale il livello di governo ottimale in termini di prossimità, efficienza e dimensione spaziale per l’elaborazione e l’attuazione delle politiche per lo sviluppo sostenibile è quello regionale. La Regione Marche con la Delibera Amministrativa del Consiglio Regionale n. 44/2007 si è impegnata a dare attuazione alla Strategia regionale (STRAS 2006-2010) e con DGR 865/2007 ha individuato nei cambiamenti climatici la tematica prioritaria d’attuazione. In linea con il contesto internazionale ed europeo in materia, la Regione Marche non poteva rimanere inerte di fronte alla presa di coscienza che il fenomeno dei cambiamenti climatici esiste, e che ai suoi effetti si associano elevati costi economico sociali per il territorio. Inoltre, il Protocollo di Kyoto e la Strategia messa in atto dall’Europa per la riduzione delle emissioni dei gas climalteranti chiede ai Governi un impegno ambizioso da perseguire entro il 2020 (-20% emissioni di CO2, +20% fonti rinnovabili, +20% risparmio energetico, +10% biocombustibili). Lo schema di piano regionale per il clima, approvato con DGR n. 865 del 1/08/2007, si pone l’obiettivo di rendere più incisive le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici fin qui adottate, nell’ottica della piena complementarietà con la programmazione dei fondi strutturali e dei vari piani di settore e di sostenere una politica efficace e condivisa tra le istituzioni (Regione, Enti locali, Università e Centri di ricerca) e la società civile (cittadini, imprese). Il pacchetto di misure, che si articola in cinque assi (Efficienza energetica, Fonti rinnovabili, Mobilità sostenibile e Sviluppo urbano, Uso efficiente delle risorse, Misure trasversali) intende ridurre le emissioni di CO2 agendo sui settori maggiormente responsabili, anche con specifico riferimento al decisivo ambito di governo della cosa pubblica, che è la trasformazione sostenibile delle strutture insediative. Lo schema confluirà poi in un documento generale, il Piano per il Clima della Regione Marche, che individuerà anche gli interventi relativi alla politica di adattamento ai cambiamenti climatici.


SO.GE.NU.S. SPA

SO.GE.NU.S. spa

INAUGURATA LA NUOVA CENTRALE BIOELETTRICA A Maiolati Spontini (AN) dall’impianto di smaltimento rifiuti gestito dalla Società le famiglie avranno la copertura del loro fabbisogno di energia elettrica e il surplus sarà ceduto all’ENEL a cura di Fabio Bastianelli

Un nuovo impianto per la messa in sicurezza delle discariche con il recupero energetico del biogas è stato completato nel territorio del Comune di Maiolati Spontini (AN) gestito da SO.GE.NU.S. Spa ed è stato inaugurato il giorno 10 giugno 2008 dal Presidente SO.GE.NU.S. Paolo Perticaroli, Sindaco Giancarlo Garbini, Prefetto di Ancona Giovanni D’Onofrio e Presidente del Consiglio Regionale delle Marche Raffaele Bucciarelli (in ordine da sinistra nella foto), alla presenza di tante altre autorità e numerosi cittadini. La collaborazione tra SO.GE.NU.S. Spa e Marcopolo Engineering S.p.A aveva permesso di inaugurare nel dicembre 2006 un impianto identico che oggi viene duplicato. Anche questo impianto di cogenerazione capta ed utilizza, una volta depurato, il metano derivato dalla decomposizione

- il miglioramento ambientale derivante dalla captazione di ca. 40.000 metri cubi al giorno di un inquinante come il biogas da discarica, composto da ca. il 55% di metano (CH4), 35% di anidride carbonica (CO2), 6% di azoto (N2) e saturo di sostanze chimiche inquinanti; - diminuzione in dieci anni di ca. 200 milioni kWh elettrici, che non saranno più importati dall’estero; - risparmio di ca. 8 milioni di m3 di metano all’anno che rappresentano una risposta pienamente positiva agli accordi ed impegni italiani sottoscritti con l’adesione al trattato di Kyoto. In considerazione del fatto che il metano è un inquinante che incide 21 volte di più sull’aumento dell’effetto serra di quanto faccia l’anidride carbonica, i circa 8 milioni di m3 annui di metano non immessi in atmosfera, equivalgono ad

dei rifiuti organici presenti nella discarica per bruciarlo e produrre energia elettrica. Le tecnologie usate in tutte le fasi, dalla captazione alla cogenerazione sono tra le più avanzate e certificate ISO 2002, garantendo la migliore tutela ambientale. L’installazione dei due impianti che ha comportato un cospicuo investimento, genererà una potenza installata pari a 4.300 kW, equivalenti al consumo medio di circa 4.000 famiglie. Quindi, oltre a permettere di raggiungere importanti risultati nella tutela ambientale, la produzione di energia elettrica, superiore al fabbisogno delle circa 2.200 famiglie residenti, darà luogo ad un surplus energetico che potrà essere immesso nella rete dietro un congruo pagamento. Non bisogna, inoltre, dimenticare: - i nuovi posti di lavoro creati;

una riduzione di emissione di anidride carbonica di circa 168 milioni di m3 annui: un traguardo veramente importante, tale da costituire un esempio di oculata e corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti.

Sede legale ed operativa: via Cornacchia, 12 - 60030 Moie di Maiolati Spontini (Ancona) Tel. 0731 703418 - 703008 - Fax 0731 703419 Sede amministrativa: via Petrarca, 5-7-9 - 60030 Moie di Maiolati Spontini (Ancona) Tel. 0731 705088 - Fax 0731 705111 info@sogenus.com - www.sogenus.com

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ARPA MARCHE

LE ACQUE POTABILI PUBBLICHE NELLE MARCHE di Gisberto Paoloni Direttore generale ARPAM

quello di Pesaro 4.399. Le notevoli differenze nel numero di prestazioni derivano nel caso di Macerata dal numero di acquedotti molto maggiore che nelle altre province e nel caso di Pesaro dal fatto che in quella provincia si fa largo uso di acque superficiali, che vanno sottoposte a controlli molto frequenti, per approvvigionare gli acquedotti. In totale il lavoro dell’ARPAM sulle acque potabili ammonta a 9.881 prestazioni nel 2007, con un lieve incremento (+100) rispetto al 2006.

Secondo il Sistema delle indagini sulle acque realizzato dall’Istat, solo le Marche centrano l’obiettivo indicato dall’Accordo Quadro nazionale che fissa al 75% la percentuale di acqua potabile immessa nella rete idrica effettivamente erogata agli utenti finali. Nelle Marche, in altre parole, si perde lungo gli acquedotti solo il 24,3% dell’acqua immessa anche se, dal 2000 al 2005 la situazione è andata peggiorando e in questo periodo le perdite sono aumentate del 3,8%. Meno comunque delle perdite di Umbria, aumentate del 5,4% o della Toscana, aumentate del 5,3%. Se poi si esamina il dato dell’altra regione del Centro Italia, l’Emilia Romagna, si verifica un aumento delle perdite del 3,8%, a testimonianza di un peggioramento generalizzato, negli ultimi anni, dello stato delle reti idriche causato dall’assottigliarsi degli investimenti per la manutenzione da parte degli enti locali. Sarebbe un vero peccato se le Marche perdessero il primato virtuoso della quantità di acqua erogata rispetto a quella immessa nelle reti (ora siamo al 75,7%), perché nella nostra regione la qualità delle acque potabili a disposizione dei cittadini è mediamente buona con punte di vera e propria eccellenza, e dunque quello che si perde lungo il percorso degli acquedotti è un prodotto prezioso. Gli acquedotti sono per l’appunto uno dei punti deboli del sistema; nella nostra regione sono ben 97, nella maggior parte dei casi di dimensione piccola o piccolissima. Ce ne sono 22 in provincia di Pesaro Urbino, 20 in provincia di Ancona, 37 in provincia di Macerata, 8 in provincia di Fermo e 10 in provincia di Ascoli. La governance di questo sistema è affidata a cinque ATO, ambiti territoriali corrispondenti alle cinque province, ma l’estrema parcellizzazione delle reti rende onerosissimi gli interventi di manutenzione. Nonostante questi problemi, le acque potabili che escono dai rubinetti dei marchigiani sono di buona/ottima qualità come attestano le analisi dell’ARPAM, che nei laboratori dei dipartimenti provinciali svolgono una mole notevolissima di prestazioni in questo settore. Il dipartimento di Ancona ha effettuato nel 2007 1.541 analisi sulle acque potabili, quello di Ascoli Piceno 1.323, il laboratorio di Macerata 2.618 e

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La qualità delle acque potabili in provincia di Ascoli Piceno Il dipartimento provinciale ARPAM di Ascoli Piceno svolge la propria attività su tutto il territorio piceno, non essendo ancora formalizzata la separazione del fermano; dunque i dati di seguito riportati si riferiscono alla situazione idro potabile di tutta la attuale provincia. L’acqua erogata in territorio piceno proveniente da un ambiente esclusivamente montano, possiede caratteristiche di composizione chimica e di purezza microbiologica tali da poter essere considerata di ottima qualità . Paragonabile alle migliori acque minerali esistenti, presenta un residuo fisso di 149 mg/l, una durezza totale di 14°F e meritevole di attenzione,un tenore di Magnesio di 12 mg/l,che la caratterizza e differenzia sotto il profilo qualitativo. La rete idrica costituita dall’Acquedotto Monti Sibillini con sorgente “Foce” e dall’Acquedotto Pescara con le sorgenti “Pescara “ e “Capodacqua”, si sviluppa all’interno del territorio per poi proseguire verso la costa, servendo una gran parte della Provincia di Ascoli Piceno, inclusi i centri maggiori di Ascoli Piceno e S. Benedetto del Tronto. L’area che ricade totalmente nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini è morfologicamente caratterizzata dalla presenza di versanti piuttosto acclivi,che confluiscono nella morbida

PARAMETRO Conduttività 20 °C

U.M.

SORGENTE Foce di Monte Monaco

SORGENTE Pescara

µS/cm

240

260

Residuo fisso a 180 °C

mg/l

149

180

Bicarbonati

mg/l

134

160

Cloruri

mg/l

1

3

Solfati

mg/l

22

3

Sodio

mg/l

1

2

Potassio

mg/l

0,4

0,5

Calcio

mg/l

36

50

Magnesio

mg/l

12

4

°F

14

13

Nitrati

mg/l

0,7

1

CO2 libera

mg/l

3

5

Durezza totale


valle di Piano della Gardosa,che si estende in direzione Nord-Sud. L’ubicazione dei centri abitati a quote più basse della sorgente consente di servire tali centri per caduta dell’acqua, cioè senza necessità di ricorrere a impianti di sollevamento, possibili punti di inquinamento. L’acqua dei Sibillini ha sicuramente contribuito a migliorare in modo tangibile la qualità della vita della popolazione servita e può vantare di essere tra le migliori acque in distribuzione in tutto il territorio nazionale. La sua composizione chimica viene riportata nella tabella della pagina accanto. L’ARPAM, esegue continui controlli analitici in rete e alle sorgenti, quale supporto tecnico alle competenti ASUR provinciali che, come previsto dalla vigente normativa, il D.Lgs 31/01,sulla base dei risultati analitici forniti da ARPA, esprime il giudizio di idoneità all’uso. Nell’anno 2007 i campioni analizzati sono stati 1.323 di cui 22 alle sorgenti principali e alle sorgenti locali. Le irregolarità sono state 32, con una percentuale del 2,4 sul totale dei campioni. La gran parte delle non conformità si riscontra per lo più nelle piccole reti delle zone di montagna aventi sistemi di distribuzione vetusti (costituiti prevalentemente di materiale ferroso) e nei comuni in cui nei mesi estivi per maggiore richiesta idrica, l’acqua proveniente dai grandi acquedotti viene integrata con l’impianto acquedottistico di soccorso che attinge l’acqua dal subalveo del fiume Tenna, nel comune di S. Elpidio a Mare. Sulla base di quanto appena esposto possiamo definire le acque destinate al consumo umano nella provincia di Ascoli Piceno come acque oligominerali senz’altro accettabili sul piano della sicurezza e della qualità. Sicurezza perché acquedotti gestiti senza eccessive manipolazioni quindi soggetti a minor rischio, senza stazioni di sollevamento e con condotte di adduzione in continuo miglioramento. Qualità perché caratterizzate da una composizione minerale buona e con presenza di specie chimiche essenziali, quali Calcio, Magnesio e Bicarbonati. La qualità delle acque potabili in provincia di Macerata Le fonti d’approvvigionamento idrico possono essere fondamentalmente suddivise in tre gruppi: Sorgenti: le acque sono d’origine meteorica raccolte in un bacino imbrifero che sgorga naturalmente in superficie. Falda sotterranea: acqua d’origine meteorica che dopo un percorso più o meno breve penetra nel sottosuolo (pianure alluvionali e fondo delle valli) nella cosiddetta zona di ricarica della falda, è prelevata come acqua di pozzo. Corpi idrici superficiali: torrenti, fiumi, laghi diventano per necessità una fonte di approvvigionamento. Nella Provincia di Macerata L’approvvigionamento idrico, rispetto al numero di abitanti serviti, viene effettuato da campi pozzi per il 58%, da sorgenti per il 36% e da acque superficiali solo per il 6%. Nella zona montana ritroviamo per lo più acque provenienti da sorgenti, con valori di conducibilità Elettrica compresi fra 200 e 400 µS/cm a 20°C e durezza compresa fra 10 e 20 gradi F. Si tratta di acque con una contaminazione chimica praticamente inesistente ed un contenuto di nitrati sempre inferiore a 5 mg/l di NO3, che le renderebbe idonee anche ad essere imbottigliate. Sono rilevabili invece lievi contaminazioni di tipo batteriologico soprattutto a livello delle piccole sorgenti che sono spesso captate con approssimazione. Il fattore determinante delle non conformità è dovuto alla presenza di batteri legati alla scarsa manutenzione delle condotte, alla assenza di adeguate zone di rispetto e di tutela ambientale delle sorgenti ed ai

trattamenti di disinfezione effettuati in qualche caso solo saltuariamente. Nella zona collinare ugualmente la maggior parte delle acque proviene da sorgenti o da drenaggi, con valori di conducibilità elettrica compresi fra 400 e 800 µS/ cm a 20°C e durezza compresa fra 20 e 40 gradi F. I nitrati sono compresi fra 5 e 40 mg/l di NO3 e la contaminazione chimica risulta più evidente per la maggiore attività agricola, comportando anche il superamento del limite di 50 mg/l NO3 previsto per le acque potabili con una situazione batteriologica analoga a quella montana. Le zone vallive forniscono acqua prelevata da pozzi scavati nel materasso alluvionale dei principali fiumi, con acque di origine freatica che presentano valori di conducibilità elettrica compresi fra 700 e 1300 µS/cm a 20°C e concentrazione di nitrati che spesso superano i 50 mg/l NO3 e, in zone ad elevata antropizzazione e ad intensa attività agricola, risultano avere un contenuto maggiore di 100 mg/l, ma una contaminazione batteriologica assai meno frequente. La zona costiera fornisce acqua prelevata da pozzi scavati nei detriti alluvionali con caratteristiche chimiche simili a quella attinta nelle vallate. In alcuni casi, però, la vicinanza dei pozzi al mare e un loro eccessivo sfruttamento ha prodotto fenomeni di ingressione salina ma una bassa concentrazione di nitrati e contaminazione batteriologica poco frequente. Al di la della loro origine, che in ogni caso è determinante nella definizione del gusto di un’acqua, dobbiamo dire che i vari gestori adottano tecniche diverse atte a correggere alcune caratteristiche chimico fisiche e riportarle nel range di normalità. Questo si verifica di norma nei pozzi dislocati in zona collinare e di pianura ove ad esempio il valore dello ione nitrato è relativamente basso, ma vista la possibilità di superamento dei limiti di legge, alcune centrali di sollevamento sono dotate di unità di trattamento accessorio basate su principi quali osmosi inversa ed elettrodialisi che riducono le quantità dell’inquinante. In alcuni casi le acque dei pozzi sono miscelate con acque sorgive in modo da ottenere sia concentrazioni nei range previsti che un miglioramento delle caratteristiche organolettiche. I laboratori ARPAM sono quelli a cui compete, ai sensi della L 31/01, l’esecuzione delle analisi di controllo esterno in aggiunta al controllo interno effettuato dai gestori degli acquedotti. Dalle migliaia di analisi eseguite ogni anno con le modalità previste dalla vigente normativa, solo pochi controlli risultano non conformi, cioè con alcuni valori dei parametri analizzati che superano i limiti di legge. (D.L. 31/01). Possiamo sicuramente affermare che la qualità delle

ACQUE ZONA PEDEMONTANA ACQUE ZONA MONTANA

Zona Medio Collinare

Zona Pianeggiante

Valore tipico

Dopo mescolamento

321

574

278

783

442

1500 µS/cm 20°C

Durezza totale °F

18,15

26

14

35,3

21,7

50 °F

Cloruri mg/L Cl

8,19

29,8

5,23

50,3

8

250 mg/L Cl

Solfati mg/L SO4

5,38

35

4,6

51

10

250 mg/L SO4

Azoto nitrico mg/L NO3

2,57

23

2,61

30,3

6,5

50 mg/L NO3

Conducibilità µS/cm 20°C

Valore Dopo tipico mescolamento

D.Lgs. 31/2001

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acque potabili erogate dai Comuni o dai gestori del servizio idrico presenti sul territorio della Provincia di Macerata sono costantemente di buona qualità dal punto di vista igienico sanitario con variazioni delle caratteristiche organolettiche dipendenti dalla origine delle acque stesse. Nella tabella sottostante sono riportati i valori medi per ogni parametro nelle rispettive zone in cui la provincia è suddivisa . Da notare che i valori sono tutti ben al di sotto dei limiti fissati dal D.Lgs 31/2001. Nelle zone medio collinare e zona pianeggiante al valore tipico per queste zone è stato affiancato quello dopo eventuale mescolamento che i gestori a volte attuano, in proporzioni variabili per migliorare le caratteristiche chimiche ed organolettiche delle acque. La qualità delle acque potabili in provincia di Ancona Il tipo di approvvigionamento idrico della Provincia è in prevalenza sostenuto da acque sotterranee (sorgenti e pozzi), solo un ristretto numero di comuni è servito da acque superficiali (invaso di Castreccioni sito in Provincia di Macerata). La qualità delle acque potabili viene controllata: dagli Enti gestori attraverso controlli interni; dalle Aziende Sanitarie locali mediante campionamenti di acque nei punti di approvvigionamento, trattamento, accumulo e distribuzione e giudizio di idoneità all’uso idropotabile dell’acqua ai sensi del D.Lgs.31/01; dall’Agenzia Regionale della Protezione dell’Ambiente con controlli analitici chimici e microbiologici dei campioni forniti dalle ASUR. Nel 2007 sono stati analizzati 1.541 campioni di acque potabili, di queste solo il 2% sono risultati non conformi al D.Lgs.31/01. Le cause della non conformità microbiologica sono dovute generalmente alla fragilità dei sistemi di disinfezione; le non conformità ZONA MONTANA

ZONA COLLINARE

ZONA VALLIVA

Formazioni calcaree (Calcare Massiccio, Maiolica)

Formazioni calcareo-marmose (Scaglia rossa e Scaglia bianca)

Formazioni marmosoarenacee

Formazioni ghiaioso sabbiose e argillose

Cond es µS/cm a 20°C

200-600

300-700

450-1300

700-1500

Azoto nitrico (NO3) (mg/l)

1-10

5-50

5-50

25-50 (in alcuni casi>50)

Solfati (SO4) (mg/l)

<100

>100

50-100

>100

Cloruri (Cl) (mg/l)

10-30

>30

>100

>100

PARAMETRI

D. Lgs. 31/01 1500 50 250 250

chimiche derivano sia dalle elevate concentrazioni di nitrati nelle acque dei pozzi locali di subalveo che dalla concentrazione del ferro dovuta alla corrosione delle reti idriche e ad improvvise variazioni di portata delle condutture. La zona montana in cui insistono i vasti territori del comprensorio di Fabriano con i comuni di Sassoferrato, Genga, Serra San Quirico, Cerreto D’Esi, è alimentata da acque di sorgenti e pozzi locali di buona qualità chimica, con bassa conducibilità e a facies bicarbonato-calcica. Le sorgenti della zona montana alimentano piccoli acquedotti che servono a volte pochissimi utenti costituendo il punto debole di questa distribuzione idrica. Essa è infatti soggetta a sporadici fenomeni di inquinamento batteriologico in corrispondenza di eventi meteorici imprevisti e di cambiamenti di portata. Dai controlli effettuati le acque potabili di sorgente degli acquiferi della Scaglia hanno valori di conducibilità elettrica compresi fra 300 e 700 µS/cm a 20°C. Le acque potabili di

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sorgente degli acquiferi della Maiolica e del Calcare Massiccio presentano un basso contenuto salino ad eccezione di alcune, come le sorgenti di Gorgovivo che sono caratterizzate da un elevato contenuto in solfati (80mg/l < SO4= < 130 mg/l) e fluoruri (Fl- < 0,5 mg/l) dovuto alla presenza della Formazione delle Anidridi di Burano. Tale sorgente è rappresentativa dell’acquifero qualitativamente e quantitativamente più importate della provincia di Ancona; essa fornisce acqua di ottima qualità chimica e batteriologica a gran parte del territorio della provincia, alla città di Ancona, a comuni vicini come Falconara, Senigallia e a vari comuni della valle dell’Esino e del Misa. L’area collinare è alimentata prevalentemente da acque di pozzi e in minima parte da acque di sorgente a regime fortemente variabile. La facies idrochimica è bicarbonatico-calcica con arricchimento in Cl, Na, Mg, e SO4. Dalle verifiche eseguite la conducibilità dell’acqua potabile è più elevata rispetto alla zona montana con valori compresi tra 450 e 1300 µS/cm a 20°C; i cloruri variano da 30 a 100 mg/l e i solfati da 40 a 180 mg/l. Una caratteristica di tale zona è l’elevata concentrazione di nitrati con valori compresi fra 50 a 120 mg/l (superiori al limite di legge). Il problema dei nitrati è connesso all’attività antropica dovuta all’eccessivo utilizzo dei fertilizzanti in agricoltura. L’area valliva e costiera è costituita prevalentemente da acquiferi dei materassi alluvionali dei principali fiumi della provincia. Le acque provenienti dagli acquiferi di subalveo dell’Esino, del Misa e del Cesano vengono ancora utilizzate da alcuni acquedotti a scopo idropotabile o ad integrazione delle acque di altri acquiferi. Da un punto di vista chimico le acque sotterranee di tali acquiferi derivano dal mescolamento di tre principali tipi di acque: bicarbonatico-calcica di origine appenninica, cloruro-sodica di origine pliocenica e solfato-calcico di origine messiniana. L’alimentazione delle falde di subalveo avviene sia superficialmente mediante l’infiltrazione delle acque fluviali bicarbonatico-calciche e meteoriche sia in profondità attraverso la risalita delle acque salate plioceniche e messiniane lungo le linee di frattura. La conducibilità di tali acque varia da 700 e 1500 µS/cm a 20°C. Alcune acque del territorio provinciale, per la composizione chimica sono state riconosciute come minerali dal Ministero della Sanità; parte di queste ricadenti nella zona montana sono state imbottigliate, altre sono state utilizzate negli stabilimenti termali, come le acque sulfuree di S Vittore del Comune di Genga e le salso-bromo-iodiche dell’Aspio nel Comune di Camerano. La qualità delle acque potabili in provincia di Pesaro Urbino La qualità dell’acqua potabile viene monitorata attraverso controlli compiuti sulle fonti di approvvigionamento, sugli impianti di trattamento, sui depositi e lungo la rete acquedottistica. I parametri ricercati sono quelli definiti a norma di legge e riguardano le caratteristiche chimiche e chimicofisiche dell’acqua, la ricerca di eventuali inquinanti chimici e la qualità microbiologica. Nel 2007, su un totale di 4.399 campioni analizzati dal Dipartimento Provinciale di Pesaro, si è avuta non conformità nel 5,3% dei casi. Il fabbisogno idrico - potabile dei 67 comuni della Provincia è soddisfatto dagli acquedotti pubblici alimentati da acque sotterranee e da acque superficiali potabilizzate. Zona montana, caratterizzata da acque provenienti in massima parte da sorgenti. Se ubicate in formazioni calcaree quali, ad esempio, il massiccio


ACQUE ZONA MONTANA FORMAZIONI CALCAREE

ACQUE ZONA MONTANA FORMAZIONI MARNOSE – ARENARIE

ACQUE ZONA DI COLLINA FORMAZIONI MARNOSE – ARENARIE

200-400

400-600

500-1000

Residuo salino %millequivalenti totali

Bicarbonato di calcio > 80%

Bicarbonato di calcio > 70%, ioni solfato, magnesio, cloro e sodio

Bicarbonato di calcio > 50%-60%, solfati, cloruri alcalini e alcalino terrosi

Bicarbonato di calcio > 50%-60%, solfati, cloruri alcalini e alcalino terrosi

Azoto nitrico mg/l NO3

<5

<5

5-50

in molti casi > 50

PARAMETRI Conducibilità µS/Cm 20°C

del Catria e del Nerone, i monti delle Cesane, del Furlo e di Montiego e, più a nord, alcune zone fra i monti Carpegna e Senatello, le acque erogate presentano valori di conducibilità elettrica compresi fra 200 e 400 µS/cm a 20°C. Il residuo salino è costituito essenzialmente da bicarbonato di calcio presente in quantità superiore all’80% dei milliequivalenti totali. Se provenienti invece da formazioni marnose o da arenarie che caratterizzano le zone dell’Alpe della Luna, le Serre di Burano e l’alta Valmarecchia, le acque presentano valori di conducibilità elettrica più elevati, compresi fra 400 e 600 µS/cm a 20°C. Il contenuto di nitrati, salvo pochissime eccezioni, risulta infatti sempre inferiore a 5 mg/l. Da rilevare nella zona di Piobbico la presenza di acque ad elevata concentrazione di ione fluoro compresa fra 1.0 e 1.5 mg/l F provenienti da sorgenti che scaturiscono sul versante N del massiccio del Nerone e, nella gola del Burano, la presenza di una importante falda in pressione rinvenuta negli anni ’60 in occasione di perforazioni effettuate per ricerche petrolifere, la cui potenzialità deve tuttora essere determinata. E’attualmente in esercizio un pozzo che fornisce acqua avente conducibilità elettrica intorno a 530 µS/cm a 20°C utilizzato per l’acquedotto di Cagli. Il contenuto di solfati compreso fra 170 e 180 mg/l SO4 è indicativo dell’avvenuto contatto dell’acqua con le anidridi del Burano. Zone di collina, sono le aree comprese fra le vallate dei principali fiumi della provincia. Presentano valori di conducibilità elettrica generalmente compresi fra 500 e 1000 µS/cm a 20°C. In tali zone a vocazione agricola, le concentrazioni di nitrati sono più elevate rispetto a quelle osservate nella fascia montana e generalmente risultano comprese fra 5 e 50 mg/l NO3 con occasionali superamenti del valore limite di 50 mg/l fissato dal D.Lgs.31/01. Se provenienti da formazioni gessose, data la discreta solubilità di questo sale, il valore della conducibilità elettrica può aumentare in alcuni casi fino a 1400 µS/ cm a 20°C e il contenuto di solfati può superare il limite di 250 mg/l SO4 del D.Lgs.31/01. Zone vallive, forniscono acqua prelevata da pozzi scavati nel materasso alluvionale e di subalveo. Nella media e bassa vallata del Foglia trattasi per lo più di falde artesiane che erogano acque aventi valori di conducibilità elettrica compresi fra 800 e 1500 µS/cm a 20°C, contenuto di bicarbonato di calcio superiore al 50-60% dei milliequivalenti totali, solfati e cloruri alcalini e alcalino terrosi e bassa concentrazione di nitrati. Per il loro utilizzo a fini potabili necessitano di trattamenti ossidativi volti ad eliminare ioni responsabili di odori e sapori sgradevoli, di intorbidamento e formazione di precipitati ossidati di Fe e Mn dalla tipica colorazione bruna. I pozzi ubicati nella media e bassa vallata del Metauro e del Cesano attingono acqua da falde freatiche parzialmente o totalmente prive di consi-

ACQUE ZONA VALLIVA 800-1500

D. Lgs. 31/01 2500

50

stenti ricoperture argillose. I valori di conducibilità elettrica sono compresi anche in questo caso fra 800 e 1500 µS/cm a 20°C, il contenuto di bicarbonato di calcio supera il 50% dei milliequivalenti totali mentre la restante parte è costituita da nitrati, solfati e cloruri alcalini e alcalino terrosi. Zona costiera, fornisce acqua prelevata da pozzi scavati nei detriti alluvionali simile a quella attinta più a monte dalle stesse falde. Oltre ad acque ad elevata salinità imputabile ad ingressione marina causata da emungimenti superiori alle potenzialità della falda, acque saline si trovano anche a Carignano di Fano e nella vallata del Tavollo. Il quadro sopra descritto illustra la situazione presente nel sottosuolo ma non quella attualmente esistente all’erogazione. Il progressivo peggioramento della qualità delle acque sotterranee e una legislazione sempre più restrittiva in fatto di concentrazioni limite hanno portato, a partire dai primi anni ’80, al rapido abbandono delle fonti di approvvigionamento di peggiore qualità e all’uso sempre maggiore di acque superficiali potabilizzate. Attualmente nella provincia di Pesaro sono in esercizio 10 potabilizzatori che producono complessivamente circa 800 l/sec. Il fabbisogno idrico viene coperto miscelando l’acqua di questi impianti con acque sotterranee in proporzioni tali da rispettare i limiti di legge per tutti i parametri. Il 70% della popolazione della provincia utilizza acque così prodotte, classificabili come bicarbonato calciche, che presentano valori di conducibilità compresi fra 500 e 800 µS/cm a 20°C, durezza totale fra 25 e 40 °F, nitrati fra 5 e 25 mg/l NO3, solfati fra 50 e 100 mg/l SO4, cloruri fra 20 e 40 mg/l Cl e sodio fra 10 e 30 mg/l Na.

ARPA Marche Via Caduti del Lavoro, 40 int. 6 60131 Ancona Tel. 071 2132720 - fax 071 2132740 arpa.direzionegenerale@ambiente.marche.it www.arpa.marche.it

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CONVEGNI E MANIFESTAZIONI

UN MASTER PLAN PAESAGGISTICO E DUE PROGETTI D’AREA PER L’INSERIMENTO DELLE INFRASTRUTTURE NEI PAESAGGI PROTETTI Un Master Plan Paesaggistico e due Progetti d’area (uno su Genga, l’altro su Serra San Quirico) per l’inserimento delle infrastrutture nei paesaggi protetti: tecnici e addetti ai lavori ne hanno discusso il 23 maggio a Serra San Quirico, in occasione del Seminario pubblico per la presentazione delle proposte progettuali del Laboratorio dell’Ambiente e del Paesaggio. All’incontro, dal titolo “Inserimento delle nuove infrastrutture per la mobilità nei paesaggi del Parco” hanno preso parte Amministratori regionali, provinciali e locali, oltre naturalmente a un ricco stuolo di relatori tra cui: Alberto Clementi (Preside Facoltà di Architettura di Pescara - Responsabile scientifico Unità di Ricerca); Massimo Angrilli (Università di Chieti-Pescara - Coordinamento operativo Unità di Ricerca); Aldo Casciana (Università di ChietiPescara); Marco Morante (Università di ChietiPescara),Filippo Priori (Università di Chieti-Pescara); Silvia Catalino (Dirigente Aree Protette Regione Marche); Patrizia Casagrande (Presidente della Provincia di Ancona); Riccardo Maderloni (Presidente GAL Colli Esini); Vito Giuseppucci- (Vicepresidente della Comunità Montana dell’Esino Frasassi con delega al parco); Raniero Nepi (Sindaco di Genga); Sebastiano Venneri (Vice Presidente di Legambiente),Jacopo Angelini - (Vice Presidente WWF Marche). Coordinatore per l’occasione Fabrizio Giuliani - Presidente Comunità Montana dell’Esino-Frasassi. Il Laboratorio dell’Ambiente e del Paesaggio è un Laboratorio sperimentale di progettazione e ricerca, promosso e finanziato al 70% con finanziamenti europei Leader+ dai 5 GAL (Gruppi di Azione Locale) della regione (tra cui il GAL Colli Esini-San Vicino, come capofila) che lo hanno Parco naturale della Gola della Rossa e di Frasassi

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riconosciuto progetto strategico di cooperazione interterritoriale. Il Laboratorio è attuato di concerto dai Parchi e le Aree Protette marchigiane dell’entroterra, che co-finanziano il restante 30%, con il coordinamento della Comunità Montana Esino-Frasassi Ente gestore del Parco Naturale Gola della Rossa-Frasassi - e la partecipazione di Legambiente Marche. Questo progetto è ispirato ad APEAppenino Parco d’Europa, un disegno strategico nato per tutelare, valorizzare e al tempo stesso favorire uno sviluppo sostenibile dell’ambiente appenninico, compreso quello non interessato da aree protette, per dare più forza all’entroterra montano. Il Laboratorio ruota intorno all’importanza del paesaggio come elemento imprescindibile nella programmazione, gestione e controllo delle azioni di trasformazione del territorio e ha come obiettivi: - coniugare la biodiversità con lo sviluppo delle attività agro-silvopastorali; - promuovere forme innovative di

integrazione tra la pianificazione paesaggistica e la pianificazione delle aree protette; - avviare un nuovo modo di progettare le opere infrastrutturali sensibile al paesaggio; - puntare al recupero dei paesaggi già compromessi o a forte rischio di degrado. Il modulo progettuale curato dal Parco della Gola della Rossa-Frasassi mira ad agire sulle modalità con le quali si producono le opere infrastrutturali (con specifico riferimento ai programmi di potenziamento della infrastrutturazione viaria e ferroviaria della Vallesina), introducendo i valori paesaggistici nel processo di progettazione delle opere, conferendogli la medesima dignità nella determinazione delle scelte, oggi riconosciuta alle logiche della economicità, funzionalità e sicurezza. In questi mesi il Laboratorio nel Parco Gola della Rossa-Frasassi ha prodotto molteplici risultati: - una selezione di buone pratiche a li-

vello nazionale ed internazionale di corretto inserimento di infrastrutture nel paesaggio; - una interpretazione avanzata dei paesaggi della Gola della Rossa, anche con l’utilizzo di tecniche innovative di tipo video-multimediale; - la redazione di uno Schema Direttore Paesaggistico, contenente strategie di intervento e criteri progettuali per l’inserimento delle infrastrutture nel Parco della Gola della Rossa-Frasassi; - l’elaborazione di approfondimenti progettuali d’area, esemplificativi dei criteri progettuali enunciati. Poiché si tratta di studi e valutazioni progettuali su interventi che modificheranno sostanzialmente i territori attraversati, appare più che mai opportuno un coinvolgimento collegiale delle amministrazioni locali interessate, sia per perseguire una maggiore condivisione delle scelte progettuali a livello locale, sia per evitare che le scelte operate vengano assunte solo a valle dell’iter progettuale.

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LA LEGISLAZIONE AMBIENTALE DELLA REGIONE MARCHE L’argomento è stato trattato durante un Convegno organizzato da CERTIQUALITY di Valentina Bellucci

Il Convegno “La legislazione ambientale della Regione Marche”, svoltosi il 26 maggio a Castelfidardo e organizzato dall’Istituto di Certificazione, CERTIQUALITY, in collaborazione con la Regione Marche e con il patrocinio di ARPAM (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale delle Marche) ha fornito utili informazioni alle Imprese circa la corretta applicazione delle delibere e dei regolamenti ambientali deliberati dalla Regione Marche. All’incontro hanno partecipato rappresentanti della Regione Marche e delle Istituzioni. CERTIQUALITY, fondato nel 1989, con sede a Milano, ma presente su tutto il territorio nazionale, è un Istituto al servizio delle imprese, specializzato nella Certificazione dei Sistemi di Gestione Aziendale per la Qualità, l’Ambiente e la Sicurezza, nella Certificazione del prodotto e nella Formazione, che occupa una posizione di assoluto rilievo nel settore della Certificazione avendo rilasciato più di 10.000. I servizi CERTIQUALITY, nei settori relativi all’ambiente e alla sicurezza, comprendono: la pre-valutazione del grado di preparazione dell’organizzazione in relazione ai requisiti della norma di riferimento e dell’avanzamento e completezza dei Sistemi di Gestione per l’Ambiente (ISO 14001, EMAS) e la Sicurezza (OHSAS 18001,UNI 10617); la Certificazione dei Sistemi di Gestione per l’ambiente, la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro(OHSAS 18001), la sicurezza degli impianti di processo a rischio di incidente rilevante (UNI 10617); la verifica del rispetto dei parametri del Protocollo di Kyoto; la validazione dei Rapporti Ambientali; la Certificazione della gestione forestale e della chain-of-custody FSC. Il Convegno che è stato moderato da Gisberto Paoloni, Direttore generale dell’ ARPAM ha affrontato come primo tema la Disciplina delle Acque, trat-

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tato dall’ing. Guido Muzzi del Servizio Ambiente e Paesaggio P.F.Tutela delle Risorse ambientali ed attività estrattive Regione Marche che ha analizzato il Piano di Tutela e Risanamento delle Acque della Regione. Suddiviso in quattro punti cardine (stato di fatto; individuazione degli squilibri e misure di piano; analisi economica; norme tecniche di attuazione) il progetto prevede uno studio accurato dei bacini della Regione, a seconda che siano climatologici (formati dalle piogge) o idrogeoligici (acque sotterranee). Inoltre, analizza con grande cura la questione degli scarichi, che rappresenta un grosso problema per la qualità delle acque. Nelle Marche, infatti, ci sono ben 95 agglomerati, ma soltanto 40 sono conformi alla legge e per il rispetto delle norme europee dovrebbero essere tutti in regola entro il 2015. La vita dei pesci, la balneazione, le sorgenti pure ed impure sono altri argomenti affrontati dal Piano. Nonostante si possa affermare che oggi, rispetto al passato, le industrie inquinino di meno, grazie a maggiori e più approfonditi controlli, tuttavia le attività antropiche ed, in particolare, l’agricoltura sono ritenute le maggiori responsabili dell’inquinamento delle acque, oltre a consumarne enormi quantità. “Il Piano Acque della nostra regione ha affermato l’ing. Muzzi - si prefigge di migliorare la qualità delle acque e di aumentare la quantità delle stesse puntando sulla tutela, la disciplina, il risanamento e la disinfezione e, soprattutto, sulla coscienza e il rispetto della popolazione marchigiana per il nostro splendido territorio”. Di seguito, Luigi Bolognini del Servizio Ambiente e Paesaggio P.O. Tutela e risanamento delle acque Regione Marche ha approfondito il tema della Disciplina degli scarichi. Analizzando alcune parti del D.Lgs del 3 Aprile 2006 n. 152, il relatore si è soffermato sulle reti fognarie, analizzando le acque reflue domestiche ed industriali.

I criteri generali della disciplina degli scarichi sono vari, tra i più importanti ricordiamo: i valori limite devono essere rispettosi degli obiettivi di qualità; gli scarichi sul suolo sono vietati; gli scarichi di sostanze pericolose vanno assolutamente evitati. La parola è passata, quindi, a Paolo Prosperi, Amministratore unico della PROGEOS S.r.l., società che svolge attività di consulenza nei settori ecologico ambientale e sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro, che ha parlato della Disciplina dei rifiuti illustrando una sintesi sugli adempimenti per le imprese. Ferdinando De Rosa, Direttore tecnico scientifico dell’ARPAM, a sua volta, ha discusso sull’Attività di monitoraggio, vigilanza e controllo dell’ARPAM, sottolineando la validità di queste attività che permettono di raccogliere dati preziosi per la sicurezza e per la tutela dell’ambiente. A coronamento di quanto già detto da De Rosa, Roberto Nardi, Responsabile del Nucleo Investigativo del Corpo Forestale dello Stato, ha parlato del controllo e della vigilanza sul territorio. All’epoca della nascita del Corpo Forestale (venne istituito nel 1822 dal re Carlo Felice), gli ettari di superficie boscata erano 100mila, oggi sono circa 256mila. Le funzioni del Corpo Forestale sono: vigilanza per violazioni compiute in danno dell’ambiente; controllo del territorio; conoscenza approfondita del territorio stesso; capacità di intervenire sistematicamente. A fronte di 8526 ettari di bosco nelle Marche, circa i 3/4 della superficie forestale sfugge a qualsiasi forma di impiego, quindi i boschi marchigiani assumono molta più anidride carbonica di quella che rilasciano. Il Corpo Forestale si occupa delle at-


tività di trasporto dei rifiuti, tentando di reprimere o prevenire illeciti, svolgendo attività di controllo sistematica e aumentando la conoscenza del settore della gestione dei rifiuti. Le modalità operative dei forestali sono diverse: controlli periodici su strada, analisi dei dati archiviati e archiviazione dei dati a livello regionale. Il trasporto dei rifiuti nelle Marche è di carattere interprovinciale e interregionale (ovvero diretto verso impianti presenti nelle Marche), i rifiuti sono in gran parte di tipo non pericoloso, il tasso di illegalità è del 34% e i rifiuti sono sempre destinati ad operazioni

di smaltimento. Il controllo delle risorse idriche, come illustra Roberto Nardi, è una delle prerogative del Corpo Forestale che svolge un’attenta attività di misurazione della portata d’acqua dei bacini idrici, attraverso l’utilizzo di un mulinello idrometrico. Matteo Locati di CERTIQUALITY e Christian Crosta, Responsabile Sistema Gestione Ambientale ELETTROGALVANICA “SETTIMI”, hanno poi preso la parola addentrandosi nelle problematiche delle Aziende. Locati ha approfondito il tema del controllo degli adempimenti attraver-

so i Sistemi di Gestione; mentre Crosta ha trattato un case history su come le aziende affrontano gli adempimenti e la gestione inoltrandosi, poi, nella gestione dei rifiuti e dei relativi adempimenti nell’ambito del Sistema di Gestione Ambientale. Antonio Minetti, Dirigente Servizio Ambiente e Paesaggio Regione Marche, ha chiuso i lavori del convegno che può essere riassunto nelle parole pronunciate da uno degli interlocutori presenti: “L’importante è che le cose di cui si è parlato non rimangano in un cassetto dove nessuno riesca e vederle…”.

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n°6 Giugno 2008 Anno IX

Free Service Edizioni - Falconara M. (AN) - Rivista Mensile di Informazione e Aggiornamento di Cultura Ambientale - Poste Italiane s.p.a. - spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Ancona

6

GIUGNO

2008

Anno IX

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