Free Service Edizioni
n°5 Maggio 2009 Anno X
Free Service Edizioni - Falconara M. (AN) - Rivista Mensile di Informazione e Aggiornamento di Cultura Ambientale - Poste Italiane s.p.a. - spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Ancona
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n°5 Maggio 2009 anno X
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CAMBIAMENTI CLIMATICI
Presentato dalla Commissione UE il Libro Bianco Adattamento ai cambiamenti climatici: verso un Quadro d’Azione Europeo
10 “Bonn Climate Change Talks” (29 marzo - 8 aprile 2009) Il ticchettìo dell’orologio di Copenhagen è sempre più incalzante
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MANIFESTAZIONI E CONVEGNI
Si è conclusa al Centro Fiera del Garda di Brescia l’edizione 2009 Metalriciclo: una brillante edizione a cura di Fabio Bastianelli
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SPECIALE ACQUE
Istanbul, 16-22 marzo 2009 World Water Forum Acqua: non ancora “diritto”, ma “bisogno”!
22 Pubblicata la Relazione dell’Agenzia Europea dell’Ambiente “L’acqua che mangiamo”
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Diffuso un nuovo Studio del NCAR di Boulder (Colorado) Hanno sete i grandi fiumi del mondo
28 Attuata la Direttiva sulle Acque sotteranee (D. Lgs. n. 30 del 16 marzo 2009) Governo dell’acqua: manca una disciplina sistematica e unitaria MATERIALE IN INSERTO D. Lgs. 16 marzo 2009, n. 30 (G.U. n. 79 del 04/04/2009) “Protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento” Attuazione della Direttiva 2006/118/CE
33 “Segnali ambientali 2009” Se il pozzo si prosciuga
36 Messo a punto dall’Università dell’Essex e dal Gruppo BMT Un pesce-robot combatterà l’inquinamento delle acque
“Due piccioni con una fava” La pianta che ripulisce le acque dai liquami e fornisce materia per i biocarburanti
40 Assegnati i riconoscimenti della FEE Bandiere Blu 2009
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SERVIZI AMBIENTALI
Diritto ambientale e tutela legale Imprese e Pubbliche Amministrazioni verso un’assistenza specializzata a cura di Stefano Agostinelli
44 COSMARI Comunicare, formare, educare di Luca Romagnoli
46 Sito di Falconara M.ma Verso un polo energetico ambientalmente avanzato
FORMAZIONE 2009 FORMULA Relazione + casi concreti più frequenti + question time
RELATORI Dott. Maurizio Santoloci - Magistrato di Cassazione
La nozione base di “rifiuto” e “non rifiuto”. Il sottoprodotto e materie prime secondarie disciplinate dal D.Lgs. n. 152/2006; confronto con le nuove definizioni di sottoprodotto e MPS poste dalla direttiva 2008/98/CE. La gestione dei rifiuti nella costruzione giuridica del D.L.gs n. 152/06; confronto con la nuova costruzione giuridica posta dalla direttiva 2008/98/CE Dott. Roberto Rossi - Sostituto Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari Fondazione Santa Chiara per lo studio del diritto e dell’economia dell’ambiente in Roma e Brussels
Aspetti penali della nuova direttiva europea in materia di rifiuti Prof. Franco S. Toni di Cigoli - Università degli Studi di Padova British Institute of International and Comparative Law (BIICL) in London Fondazione Santa Chiara per lo studio del diritto e dell’economia dell’ambiente in Roma e Brussels
Adattamento del diritto nazionale al diritto comunitario in materia di rifiuti, con riguardo alla gestione di questi e con riferimenti al sistema consortile
ORARIO ore 9:00 - 17:30
CALENDARIO Informazioni: Dott.ssa Claudia Salvestrini Consorzio PolieCo P.zza Santa Chiara, 49 - 00186 Roma Tel. 06 6896368 - info@polieco.it
Bologna, 18 giugno 2009 Varese, 9 Luglio 2009 Lucca, 17 Settembre 2009 Napoli, 15 Ottobre 2009 Alessandria, 19 Novembre 2009 Pesaro, 17 Dicembre 2009
Per motivi organizzativi Programma e Calendario potrebbero subire variazioni
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INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO
Presentato il Rapporto sulla criminalità ambientale redatto da Legambiente Ecomafia 2009
AGENDA 21
Roma, 3 aprile 2009 La Carta delle città e dei territori d’Italia per il clima a cura della Segreteria del Coordinamento Agende 21 Locali italiane di Silvia Barchiesi
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L’Agenzia di Protezione Ambientale degli Stati Uniti (EPA) dichiara L’inquinamento atmosferico è dannoso per la salute
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di Anna Rita Rossi
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€CO-FINANZIAMENTI
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I QUESITI DEL LETTORE
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AGENDA - Eventi e Fiere
QUALITÀ E AMBIENTE
L’ISPRA ha presentato il V Rapporto Qualità Ambiente Urbano Consumo suolo e qualità aria gli aspetti più preoccupanti
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Uscito il 22 aprile nelle sale cinematografiche “Earth la nostra Terra”
BIODIVERSITÀ E CONSERVAZIONE
Per il 30° anniversario della “Direttiva Uccelli” pubblicazione della Commissione UE Guida per la caccia sostenibile agli uccelli selvatici
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AMBIENTE E ARTE
A COME AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE, AMBIENTE
G8 Ministri Agricoltura L’agricoltura ritorna in primo piano nell’agenda politica internazionale
POLIECO MAGAZINE
CAMBIAMENTI CLIMATICI
Presentato dalla Commissione UE il Libro Bianco
ADATTAMENTO AI CAMBIAMENTI CLIMATICI: VERSO UN QUADRO D’AZIONE EUROPEO Ma in Italia si esprimono dubbi sull’efficacia delle misure
viene accolto favorevolmente dal Consiglio, esso sfocia per lo più in un Programma d’Azione dell’Unione nel settore di cui trattasi. In questo caso c’era stata una consultazione precedente (Green Paper COM (2007) 354, 29.06.2007) i cui risultati sono stati analizzati ed hanno costituito la base per la definizione delle azioni da intraprendere.
La Commissione Europea ha presentato il 1° Aprile un Libro Bianco dal titolo “Adattamento ai cambiamenti climatici: verso un Quadro d’Azione Europeo” (White Paper Adapting to climate change: Towards European Framework for Action), che, proponendo l’istituzione di un Quadro d’Azione Europeo per ridurre la vulnerabilità agli impatti climatici dell’Europa, intende essere complementare alle azioni intraprese dagli Stati membri attraverso un approccio integrato e concordato. I Libri Bianchi, pubblicati dalla Commissione sono documenti che contengono proposte di azioni comunitarie in campi specifici che spesso si riallacciano ai precedenti Libri Verdi, il cui obiettivo è di rilanciare un processo di consultazione a livello europeo. Quando un Libro Bianco
Il Commissario europeo per l’Ambiente, Stavros Dimas, ha commentato: “Ogni anno i cambiamenti climatici si aggravano e diventano più inquietanti. Dobbiamo lavorare alacremente per ridurre le emissioni di carbonio, ma nonostante la riduzione delle emissioni, che siamo impegnati a conseguire, i cambiamenti climatici sono in una certa misura inevitabili. È pertanto essenziale che
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si inizi subito il lavoro con i governi, le imprese e le comunità al fine di sviluppare una strategia di adattamento complessiva per l’UE e fare in modo che tale adattamento sia integrato nelle politiche fondamentali dell’Unione”. Nel Documento predisposto dall’esecutivo UE si afferma che i risultati di recenti studi indicano che gli effetti dei cambiamenti climatici saranno molto più rapidi e devastanti di quanto abbia previsto il IV Rapporto dell’IPCC dell’ONU, pubblicato a fine 2007 (ndr: vedi “Non c’è più tempo per le esitazioni” in Regioni&Ambiente, n. 12, dicembre 2007, pag. 8 e segg.). Per fronteggiare il fenomeno che nei prossimi 50 anni causerà effetti profondi su importanti settori economici, in particolare su agricoltura, energia, trasporti, turismo, sanità che determineranno perdita di ecosistemi e biodiversità, che incideranno anche su famiglie e imprese, nonché su fasce sociali, in particolare su anziani, disabili e ceti a basso reddito. La Commissione ritiene che servono due tipi di intervento: - di mitigazione (ridurre le emissioni di gas serra); - di adattamento (affrontare le inevitabili conseguenze). Considerando che mitigazione e adattamento sono due facce della stessa medaglia e che le conseguenze dei cambiamenti climatici si verificheranno indipendentemente dalle misure di mitigazione che sono intraprese, rinviando, inoltre, ad altre azioni già previste per il primo tipo, il Documento si incentra sull’adattamento con un approccio progressivo in due fasi. La I Fase (2009-2012) sarà dedicata
a porre le basi e preparare il terreno per una strategia onnicomprensiva di adattamento ai cambiamenti climatici dell’UE. La II Fase (dal 2013) sarà dedicata a porre le basi e preparare il terreno per una strategia messa a punto nella Fase I. La I Fase è basata su 4 pilastri: 1) consolidare la base delle conoscenze scientifiche sui rischi e le conseguenze dei cambiamenti climatici; 2) integrare l’impatto dei fenomeni del mutamento del clima nelle principali politiche settoriali dell’UE; 3) combinare le diverse misure politiche (finanziamenti, strumenti di mercato, linee guida, collaborazioni pubblico e privato) per ottenere il migliore effetto possibile; 4) sostenere gli sforzi internazionali di
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adattamento più ampi. Per la realizzazione di tale Quadro la Commissione propone, tra l’altro, di istituire (entro il 1° settembre 2009) un Gruppo direttivo sugli impatti e l’adattamento ai cambiamenti climatici (Impacts and Adaptation Steering Group- IASG), composto da rappresentanti degli Stati membri coinvolti nella messa a punto di programmi per l’adattamento a livello nazionale e regionale, che avrà anche il compito di avviare consultazioni con la comunità scientifica e rappresentati della società civile. Questo Gruppo, supportato da Gruppi tematici settoriali, dovrebbe fornire un contributo essenziale alla preparazione del Quadro e allo sviluppo dei 4 pilastri, predisponendo anche delle Strategie Nazionali di Adattamento. Al riguardo, nel Libro Bianco si esorta gli Stati membri a sviluppare ulteriormente le Strategie di Adattamento Nazionali o Regionali, sia in previsione della possibilità che tali strategie divengano obbligatorie a partire dal 2012, sia perché l’impatto dei cambiamenti climatici varierà a seconda delle regioni, risultando, peraltro, particolarmente venerabili le zone costiere, quelle di montagna e le pianure alluvionali. Il ruolo della Commissione UE sarà quello di sostenere gli sforzi intrapresi a livello nazionale, tramite un approccio comune per massimizzarne l’efficacia. Nella Fase iniziale l’IASG si occuperà principalmente di rafforzare le conoscenze attraverso la creazione (entro il 2011) di una piattaforma di scambio delle informazioni (Clean House Mechanism) sui rischi climatici, gli impatti dei cambiamenti climatici e le migliori
pratiche di adattamento. Nel promuovere l’azione dell’UE, anche a livello internazionale e in particolare nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), il Libro Bianco sottolinea l’importanza per l’Unione Europea di portare avanti la proposta di un Quadro d’Azione per l’Adattamento, contenuta nella Comunicazione “Towards a Comprehensive Climate Change Agreement in Copenhagen”. In questa Comunicazione adottata dalla Commissione a fine gennaio 2009 si propone che i Paesi industrializzati riducano entro il 2020 le emissioni di gas serra del 30 % rispetto ai livelli del 1990 e che i Paesi in via di sviluppo, in particolare le grandi economie emergenti, limitino, entro la stessa data, la
crescita delle loro emissioni collettive del 15-30% rispetto ai livelli che si registrerebbero se la situazione rimanesse immutata. Il Libro Bianco è corredato da uno studio sulla valutazione degli impatti e da tre documenti inerenti gli impatti dei cambiamenti climatici sui settori più esposti: - acque, coste e mari; - agricoltura; - salute. Non casualmente, alla presentazione i rispettivi Commissari dei sopracitati settori sono intervenuti, evidenziando gli aspetti più rilevanti dei documenti. Mariann Fischer Boel, Commissaria europea per l’Agricoltura, ha affermato: “L’agricoltura europea risentirà in
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pieno l’effetto dei cambiamento climatici. Desidero che gli agricoltori abbiano un’idea chiara delle sfide che dovranno affrontare e intendo lanciare un dibattito relativo alle misure specifiche volte ad aiutare i nostri agricoltori ad adattarsi. In particolare, voglio che adottiamo misure “no regret”, che produrranno vantaggi economici ed ambientali indipendentemente da come si modificherà il clima. Questi sono gli elementi fondamentali del documento su agricoltura e cambiamenti climatici che è stato approvato oggi a sostegno del Libro bianco.” La Commissaria responsabile della Salute pubblica, Androula Vassiliou, ha dichiarato: “Con il mutamento dei modelli climatici si rende necessario
dedicare particolare attenzione a rafforzare la vigilanza in materia di salute umana, animale e vegetale. Inoltre è fondamentale integrare piani d’azione sanitari per le condizioni climatiche estreme nella pianificazione dei preparativi delle autorità sanitarie. Dobbiamo anche provvedere affinché siano valutati gli effetti dei cambiamenti climatici sui gruppi sociali più vulnerabili. Nel conseguire tali obiettivi è fondamentale la cooperazione internazionale”. Joe Borg, Commissario europeo per la Pesca e gli Affari marittimi, ha osservato: “Le coste e le zone marine dell’Europa sono le più esposte ai cambiamenti climatici. Dobbiamo prepararci ad affrontare le sfide future, quali l’innalzamento del livello del mare, le inondazioni costiere, l’impatto sul turismo costiero, sui porti e sul trasporto marittimo e anche sulla pesca. L’importanza degli ecosistemi costieri per la nostra economia è innegabile: attualmente circa il 50% della popolazione europea vive nelle regioni costiere, quindi gli sforzi per adattarsi ai cambiamenti climatici sono cruciali e urgenti”. Non è sfuggito il messaggio che Stavros Dimas ha lanciato al Governo italiano, cogliendo l’occasione della presentazione del libro Bianco. “Voglio essere chiaro non solo per gli italiani, ma per tutti gli europei - ha osservato il Commissario UE per l’Ambiente - I leader UE hanno convenuto all’unanimità la riduzione del 20% delle emissioni di gas serra entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, indipendentemente da quello che faranno gli altri Paesi”. “Il target del 20% - ha poi aggiunto Dimas - è positivo anche per l’economia e sono sicuro che gli italiani lo capiranno. Non adattare queste misure non andrebbe bene per l’economia, né per l’indipendenza energetica, né per l’occupazione”.
“Del resto sono sicuro che passeremo dal 20% al 30% - ha concluso - questo sarà quello che decideremo e converremo a Copenhagen”. Il riferimento alle posizioni espresse in più occasioni dal Governo italiano di voler una revisione del “Pacchetto Clima-Energia” e, soprattutto, alla mozione che quello stesso giorno che veniva discussa ed approvata dal Senato della Repubblica, ci sembra abbastanza esplicita. Vale la pena rammentare che quell’ordine del giorno al di là delle considerazioni sulle quali non vogliamo entrare nel merito, esprime dubbi sull’efficacia del Protocollo di Kyoto e soprattutto sulla posizione dell’Unione europea in merito agli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti. Se si osserva, poi, che in quegli stessi giorni si era aperta a Bonn una sessione del Climate Change Talks, prevista dalla Road Map di Bali, e il giorno seguente a Londra sarebbe iniziato il G20 che aveva in agenda la ripresa economica per la quale in molti considerano che uno stimolo potrebbe derivare proprio dagli strumenti di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici, appare evidente la volontà dei promotori di mettere dei “paletti”. Ci permettiamo, tuttavia, di rilevare l’inopportunità della posizione assunta. Vale la pena ricordare che l’ONU sta sollecitando i Capi di Governo ad intraprendere quanto prima gli sforzi per raggiungere un accordo sul cosiddetto “post-Kyoto”, tanto che per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale il 2009 è stato dichiarato Anno del Clima, e il Presidente degli USA Barack Obama si fa promotore di una nuova stagione politica che mette in primo piano la lotta ai cambiamenti climatici, tanto da chiedere, ottenendone positivo riscontro, che nel G8 di luglio in Italia si tenga una riunione parallela in cui si parli esclusivamente di clima ed energia. In tale contesto, la mozione approvata
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rischia di isolare il nostro Paese da un contesto globale e, soprattutto di comprometterne il ruolo, quale Presidente di turno del G8. Se poi l’iniziativa voleva mettere in evidenza che ci sono scienziati che non concordano sugli effetti allarmistici dei cambiamenti climatici, né che tali supposte conseguenze sarebbero dovute a cause antropiche, come hanno fatto 114 di loro, sottoscrivendo il testo della lettera redatta dal Cato Institute di Washington e pubblicata su un’intera pagina a pagamento del New York Times, in cui si controbattono le dichiarazioni sul riscaldamento globale, rese da Obama durante la cerimonia del suo insediamento, pur nella legittimità dell’atteggiamento assunto, si deve osservare che tale posizione è largamente minoritaria all’interno della comunità scientifica internazionale. Inoltre, la rispettabilità degli studi e delle analisi del Cato Institute è alquanto offuscata dall’accusa di tendenziosità a favore dei grandi gruppi monopolistici (Kock Industries, Exxon-Mobil, Philip Morris, ecc.) che l’avrebbero sovvenzionato e che l’attuale politica ambientale statunitense, inaugurata da Obama, sta scompaginando. Né pensiamo abbia grande credibilità un’istituzione il cui Presidente e Fondatore, Edward H. Crane, inizia un articolo con “Il Presidente Barack Obama non è un socialista. Egli è un profondo statalista forse il peggiore della storia americana” (National Review online, 29 aprile 2009).
“Bonn Climate Change Talks” (29 marzo - 8 aprile 2009)
IL TICCHETTÌO DELL’OROLOGIO DI COPENHAGEN È SEMPRE PIÙ INCALZANTE Ancora molti i punti di dissenso, ma in evidenza l’attiva e convinta partecipazione degli USA Si sono conclusi l’8 aprile 2009 a Bonn i Colloqui sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (Bonn Climate Change Talks). Si è trattato della prima delle tre sessioni di negoziato, previste dalla Road Map di Bali, prima della 15a Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, fissata per dicembre a Copenhagen. In questi anni abbiamo seguito su Regioni&Ambiente l’evolversi delle discussioni e trattative che si sono svolte per verificare la possibilità di giungere ad un accordo globale per la riduzione delle emissioni di gas sera, allorché scadranno gli impegni sottoscritti con il Protocollo di Kyoto. Non potevamo sottrarci, quindi, ad informare su quanto è accaduto in questa circostanza che, seppur preliminare all’atteso vertice conclusivo in Danimarca, conteneva interessanti spunti ed analisi.
In particolare, ci sembra che debbano essere segnalati due aspetti: - si è trattato della sessione di colloqui che è intervenuta nel momento in cui gli effetti della crisi dell’economia globale si sono rivelati nella loro asprezza; - è stato il primo grande evento per contrastare il cambiamento climatico, in cui la nuova amministrazione statunitense si è presentata nella pienezza delle funzioni. Perciò i colloqui di Bonn costituivano una specie di verifica della disponibilità dei Paesi più industrializzati a mantenere gli ambiziosi progetti di riduzione delle emissioni di carbonio e di adattamento e mitigazione nei Paesi in via di sviluppo, e al contempo, si poteva misurare la reale volontà degli USA, unico Paese industrializzato a non aver ratificato il Protocollo di Kyoto, di raggiungere un nuovo Accordo internazionale entro la fine del 2009, secondo quanto ha dichiarato Barack Obama.
A Bonn erano in programma la: - 7a Sessione dl Gruppo di Lavoro sul Protocollo d Kyoto (AWG-KP); - 5a Sessione del Gruppo di Lavoro sulla Cooperazione a lungo termine (AWGLCA). Nel suo discorso di apertura dei Lavori il 29 marzo, Yvo de Boer, Segretario esecutivo UNFCCC, rivolgendosi agli oltre 2.000 partecipanti ai lavori, tra rappresentanti degli Stati, scienziati, ONG e Associazioni ambientaliste, ha dichiarato che per raggiungere l’obiettivo devono essere definiti 4 aspetti: - quali Paesi industrializzati ridurranno le emissioni di gas serra, attraverso propri obiettivi; - quali Paesi in via di sviluppo limiteranno la crescita delle loro emissioni; - il finanziamento, dal momento che i Paesi in via di sviluppo non saranno in grado di agire su questo tema senza aiuti finanziari; - la Governance, perché è indispen-
Il Segretario esecutivo UNFCCC Yvo de Boer tra il Presidente del AWG-KP, Michael Zammit Cutajar (a sinistra) e Harald Dovland Presidente del AWG-LCA (fonte: UNFCCC)
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sabile una struttura di governo che dà parità di voce ai Paesi in via di sviluppo su come sono utilizzate le risorse per le azioni di mitigazione e adattamento. Riprendendo una sua precedente espressione (clock ticking), de Boer ha sottolineato che “la vera costruzione dei negoziati è solo iniziata, in realtà abbiamo avuto solo 6 settimane per discutere faccia a faccia, mentre l’orologio di Copenhagen continua a ticchettare. La nostra attenzione deve essere sempre concentrata. Dopo questa tornata di colloqui avremo maggior consapevolezza sulla fondamenta per un accordo, anche se manca tuttora un impulso per trovare una soluzione concordata a Copenhagen”. Anche i Presidenti dei Gruppi di Lavoro dei quali si è tenuta a Bonn la Sessione di discussione sono intervenuti nella giornata inaugurale per sollecitare i delegati ad un approccio pro attivo. Il Presidente della AWG-KP, che ha predisposto il documento di base che definiva le aree di convergenza delle parti, le opzioni su cui non c’era accordo e le lacune dovrebbero essere colmate per raggiungere concordi l’appuntamento di Copenhagen ha dichiarato: “i Paesi industrializzati si sono impegnati a tracciare la strada e il resto del mondo cerca di seguirli per conseguire obiettivi ambiziosi, in linea con quel che la scienza richiede”. “Dobbiamo gettare le basi in questa sessione di Bonn - ha proseguito Harald Dovland - cercando di oliare gli ingranaggi del negoziato anche per renderli più veloci”. Anche il suo collega Michael Zammit Cutajar, Presidente del AWG-LCA, ha ribadito la necessità di imprimere maggior efficacia ai colloqui, sollecitando “I delegati di valutare con profondità la questione su cui c’è una solida condivisione, anche se manca ancora l’elaborazione di un programma ambizioso, accettato e condiviso per Copenhagen, affinché si possa prepa-
rare un testo di negoziato da presentare in giugno, alla prossima Sessione di Bonn”. Se si confrontano queste dichiarazioni con quelle rese dai Presidenti dei due Gruppi di Lavoro a conclusione dei Lavori, si ha la sensazione che quello di Bonn è risultata ancora un appuntamento interlocutorio. “Sono molto lieto che si sia raggiunto un accordo per la predisposizione dei testi. Sono stati fatti certamente dei progressi che in giugno troveranno una finalizzazione con la presentazione delle proposte di emendamento al Protocollo di Kyoto” ha dichiarato Dovland. Gli ha fatto eco il suo collega Zammit Cuntajar che ha osservato che “I colloqui sui cambiamenti climatici sono sempre stati tattici, tuttavia su una serie di questioni, tra cui la cooperazione per il trasferimento di tecnologie tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, c’è stata una positiva discussione”. “Ora i paesi avranno la possibilità fino al 24 aprile 2009 - ha concluso - di far giungere le loro osservazioni per la predisposizione del testo che sarà presentato nella sessione di giugno”. Leggendo sul web le varie notizie sull’avvenimento provenienti da tutto il mondo, si ricava l’impressione che i Paesi in via di sviluppo e le Associazioni ambientaliste siano i più delusi dei risultati dei colloqui in Germania. Tra gli altri, una corrispondenza da Berlino dell’Agenzia Cinese Xinhua titolava “I Colloqui sul clima a Bonn finiscono senza risultati concreti”. Vi si legge che mentre i Paesi in via di sviluppo hanno esortato i Paesi industrializzati di ridurre del 40% le loro emissioni entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990, l’Unione Europea si impegna a ridurre le emissioni del 20% (il 30% se altri paesi industrializzati ne seguiranno l’esempio) e l’Amministrazione statunitense è disponibile a far rientrare
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alla stessa data le proprie ai livelli del 1990. Tali impegni, secondo il Capo delegazione cinese a Bonn Su Wei “non sono corrispondenti alle loro responsabilità storiche” del loro stadio di sviluppo e delle ricerche stesse della Convenzione”. Ricordando che lo stesso Segretario esecutivo dell’UNFCCC aveva sottolineato il ruolo attivo svolto da Cina e India per ridurre le loro emissioni, Wei ha aggiunto che la “Cina è oggi il principale investitore mondiale in fonti rinnovabili di energia e si pone ambiziosi obiettivi di miglioramento della sua industria in termini di efficienza energetica, nonostante non vi sia ancora un accordo, e di sostenibilità nel dar corpo a città sostenibili”. Sul fronte ambientalista, un comunicato sul sito del Panda dal titolo “Uno stimolo finanziario per muovere lo stallo sul clima”, esprimeva la posizione del WWF secondo il quale la situazione si sbloccherà soltanto se il mondo sviluppato farà un decisivo passo per immediati aiuti finanziari di Paesi in via di sviluppo per le azioni di adeguamento, quale parte del nuovo accordo. “Purtroppo, mentre i negoziati sono sempre più vicini al fallimento - ha osservato Kim Carstensen, il leader del WWF Global Climate Inititiave il denaro necessario per finanziare un nuovo accordo globale non sembra disponibile, mentre il successo di Copenhagen sarà consentito solo dal reperimento di risorse”. Secondo i calcoli del WWF, ogni paese industrializzato dovrebbe impegnarsi per una quota che raggiunga i 145 miliardi di euro, somma totale da versare da qui fino al 2020 per un fondo di adattamento e mitigazione a favore dei Paesi in via di sviluppo: 100 miliardi di euro per la mitigazione, comprese le misure volte a ridurre le emissioni da forestazione, 40 miliardi di euro per il recupero delle aree degradate, 5 miliardi di euro, infine, per un mec-
canismo di assicurazione e rischio. “Il divario tra ciò che i Paesi ricchi ritengono politicamente fattibile - ha concluso Carstensen - e ciò di cui i Paesi poveri hanno bisogno per garantire la propria sopravvivenza è troppo ampia. Solo mettendo sul tavolo denaro contante per aiutare direttamente i Paesi più vulnerabili potrebbe far superare le differenze e ripristinare la fiducia reciproca tra le parti, in grado di imprimere nuove dinamiche ai colloqui”. Il Gruppo dei Piccoli Paesi Insulari (AOSIS) che già in dicembre a Poznan aveva fatto sentire la voce disperata la voce disperata di chi sta già verificando gli effetti del global warming, ora a Bonn ha trovato orecchie disponibili ad ascoltarlo, soprattutto Stati dell’Ame-
rica Latina e dell’Africa, tanto che il Presidente del AWG-KP Dovland ha riconosciuto che la richiesta avanzata dall’AOSIS, affinché i Paesi più ricchi taglino del 45% le loro emissioni entro il 2020, non è più isolata e sta raccogliendo sempre maggior sostegno. Anche se non appariscente, come le altre situazioni di contrasto tra i vari Paesi, il meccanismo di sostegno per ridurre le emissioni derivate da deforestazione e dal degrado delle foreste (REED), continua ad essere dirimente tra il Nord e il Sud del Mondo. Ci sono due motivi per cui è difficile trovare una soluzione all’interno delle Parti dell’UNFCCC: - il primo, deriva dal fatto che è
ancora scientificamente difficile garantire il valore delle emissioni da deforestazione, sulla base di scenari comparabili e misurabili; - il secondo, che molti Paesi non vogliono sentir parlare di inserimento delle attività di REED all’interno dei Meccanismi di Sviluppo Pulito (CDM) con conseguente riconoscimento alle popolazioni indigene di un beneficio economico. Anche il Parlamento europeo si è recentemente espresso sulla questione con una Risoluzione approvata il 23 aprile 2009, dove tra l’altro si esprime una posizione favorevole a riconoscere forme di sostegno per evitare deforestazione e degrado forestale nei Paesi in via di sviluppo:
Manifestazione di militanti di Greenpeace davanti alla sede di svolgimento dei Climate Change Talks a Bonn: “Quando il mondo viene trattato come una banca, si ha il diritto di salvarlo”
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“... 6. ritiene che ai paesi in via di sviluppo debba essere fornito un notevole sostegno finanziario per fermare la deforestazione tropicale lorda al più tardi entro il 2020 e che la dimostrazione di un impegno in tal senso sarà decisiva nei negoziati internazionali in vista di un accordo globale sul clima post 2012; 7. riconosce che la mobilitazione di congrui finanziamenti, nel quadro di un accordo globale sul clima, sarà assolutamente fondamentale per dimezzare e infine fermare la deforestazione globale; sostiene, in quest’ottica, la proposta della Commissione di creare un meccanismo mondiale per il carbonio forestale (GFCM) nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, basato su un regime di finanziamento permanente; invita gli Stati membri a sostenere il loro impegno a fermare la deforestazione e il degrado forestale globale destinando buona parte dei proventi della vendita all’asta di quote, nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra (ETS), per ridurre le emissioni provocate dalla deforestazione nei paesi in via di sviluppo e facendo sì che i negoziati si concentrino sulle fonti di finanziamento secondo le indicazioni contenute nella comunicazione della Commissione, del 28 gennaio 2009, dal titolo “Verso un accordo organico sui cambiamenti climatici a Copenaghen” (COM(2009)0039); invita inoltre gli Stati membri ad accogliere il suggerimento della Commissione di aderire alla proposta di finanziamento avanzata dalla Norvegia destinando al GFCM parte dei futuri proventi della vendita all’asta di unità di quantità assegnate; 8. sostiene che il supporto del GFCM debba basarsi sulle prestazioni ed essere fornito tenendo conto di risultati verificati in termini di riduzione della deforestazione lorda e del degrado forestale, e sottolinea che tale supporto deve altresì fornire ricadute positive in
termini di protezione della biodiversità, aumento della resistenza e migliori mezzi di sussistenza nelle aree forestali; 9. sottolinea la necessità che siano pienamente rispettati i diritti delle popolazioni locali che vivono nelle foreste, compreso quello delle popolazioni indigene di rendere disponibili foreste da loro tradizionalmente utilizzate solo previo il loro libero consenso informato; ritiene essenziale che le comunità locali e le popolazioni indigene siano effettivamente partecipi e pienamente coinvolte a tutti i livelli quando si tratta di valutare, pianificare ed attuare misure di riduzione delle emissioni derivanti dal degrado forestale e dalla deforestazione; 10. sottolinea che qualunque meccanismo previsto dal programma di collaborazione delle Nazioni unite per la riduzione delle emissioni dovute alla deforestazione e al degrado forestale nei paesi in via di sviluppo, concluso nell’ambito dell’accordo internazionale sul clima post 2012, debba in primo luogo garantire la protezione delle foreste vergini...”. Tuttavia, non sarà facile aprire un proficuo dialogo, stante le posizioni espresse in quegli stessi giorni dal “Vertice delle popolazioni indigene sul cambiamento climatico” che si è svolto ad Anchorage (Alaska) dal 22 al 24 aprile, i 400 rappresentati delle popolazioni indigene hanno sottoscritto una Dichiarazione in cui, riaffermando i loro Diritti, sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite (UNDRIP), si ribadisce che “in ogni processo decisionale ed attività che vengono intraprese sul cambiamento climatico, comprese le iniziative di riduzione delle emissioni da deforestazione e degradazione, debbono garantire i diritti dei popoli indigeni”. La Dichiarazione specificatamente respinge ogni tipo di negoziazione sul carbonio delle foreste e meccanismi di compensazione: “Noi popoli indigeni respingiamo ogni tentativo di
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soluzione al cambiamento climatico che comporti un negativo impatto sui territori, sull’aria, sugli oceani, sulle acque e sulle foreste, quali l’energia nucleare, le grandi dighe, le tecniche i geo-ingegneria, il “carbone pulito”, le piantagioni di agro-combustibili, nonché i meccanismi di mercato, come lo scambio dei diritti di emissione, il meccanismo di sviluppo pulito…”. Nel documento si invita poi l’UNFCCC a concordare obiettivi vincolanti per la riduzione delle emissioni dei Paesi sviluppati di almeno il 45% entro il 2020 e “che venga riconosciuto il debito ecologico storico dei Paesi di cui Allegato 1 della Convenzione, che hanno maggiormente contribuito alle emissioni e ai quali chiediamo di pagare”. Un ulteriore fronte di dissenso si è aperto con l’improvvisa sortita dei Paesi dell’OPEC, soprattutto quelli della Penisola Arabica, secondo i quali obiettivi troppo ambiziosi di riduzione delle emissioni a Copenhagen, con conseguente passaggio ad un’economia low-carbon, rischiano di compromettere la stabilità delle economie dei Paesi in via di sviluppo esportatori di petrolio. “Qualsiasi politica venga adottata, non farà che aggiungere altra incertezza alla domanda di petrolio - ha dichiarato il rappresentante dell’Arabia Saudita Mohammad Al Sabban - Noi condividiamo la preoccupazione per i cambiamenti climatici, ma al contempo non vogliamo esserne vittime”. Il loro intento, ovviamente, è di sollecitare gli sforzi per sostenere la ricerca e la tecnologia sulla cattura e stoccaggio di CO2, anche se non sembra che tale invito sia stato favorevolmente accolto dalla maggioranza dei Paesi convenuti a Bonn. L’uscita alla “scoperto” dell’OPEC è chiaramente dovuta alla mutata politica degli USA, la cui attiva partecipazione ai colloqui di Bonn deve essere segnalata come il risultato più positivo. Il radicale cambiamento di posizione
rispetto alla precedente amministrazione è stato subito preannunciato dal Capo delegazione Todd Stern che, infiammando la platea plaudente (in passato il Rappresentante degli USA alle conferenze sul clima veniva subissato di fischi ed urla), ha dichiarato che “gli Stati Uniti saranno al fianco dei Paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo. Vogliamo partecipare attivamente a questi cicli di negoziati climatici dell’ONU”. Stern ha confermato l’obiettivo dichiarato dal Presidente Obama di voler ritornare nel 2020 ad un livello di emissioni pari a quello del 1990, che vorrebbe dire un taglio effettivo del 16-17%. La proposta di legge presentata in quegli stessi giorni al Congresso USA “American Clean Energy and Security Act of 2009”, quand’anche si riferisca alle riduzioni di gas ad effetto serra da tagliare tramite il Cap and Trade prende come riferimento il 2005, proponendo la riduzione del 20% nel 2020, del 42% nel 2030 e dell’83% nel 2050. Tant’è che il Commissario UE per l’Ambiente Stavros Dimas, sperando che non siano quelle le proposte intermedie di riduzione generale delle emissioni degli USA, ha osservato che “il 20% di riduzione delle emissioni nel 2020, rispetto al 2005, equivale al 5-6% rispetto al 1990”, mentre l’UE ha deciso di ridurre del 20% nel 2020 le proprie emissioni, ma prendendo come riferimento il 1990. Dimas il 13 marzo 2009 sul blog Climate Thinkers, messo a disposizione dal Ministero degli Esteri della Danimarca per ospitare le riflessioni e gli spunti delle varie personalità mondiali in merito alla Conferenza che si svolgerà dal 7 al 18 dicembre a Copenhagen, aveva sottolineato “la responsabilità dei Paesi sviluppati a guidare il cammino, ma c’è bisogno anche del contributo dei Paesi in via di sviluppo - in particolare delle grandi economie emergenti - per limitare le loro emissioni in rapi-
da crescita o non avrebbero senso gli sforzi di riduzione del mondo industrializzato… Sappiamo pure che non ci saranno risultati a Copenhagen, se non si mobiliteranno finanziamenti ed investimenti che rendano efficace ed accettabile l’accordo per tutti partner. Il coinvolgimento pieno degli USA nella battaglia contro il cambiamento climatico è un segnale molto incoraggiante che un progresso in tal senso sia possibile”. Già, il vero problema è proprio qui. Fino a qual punto l’Amministrazione Obama potrà esporsi verso la green economy che presuppone scelte radicali in termini di riduzione delle emissioni a medio-lungo periodo senza incontrare ostacoli da parte del Congresso che dovrebbe poi approvare le Leggi conseguenti? La risposta di Todd Stern alle richieste di maggior riduzione delle emissioni rispetto alle proposte di Obama è significativa al riguardo “sarebbero non realistiche. Washington sarà guidata dal pragmatismo, come dalla scienza del clima”. Tuttavia l’annuncio che il Presidente USA ha invitato altri 16 leader dei Paesi più ricchi del mondo (Major Economy Forum) a partecipare ad un Summit a Washington a fine aprile e in luglio, in Italia a latere del G8, sull’energia e i cambiamenti climatici è stato accolto dai delegati a Bonn come un chiaro segnale che gli USA vogliono contribuire a generare quella leadership politica, senza della quale nessun patto internazionale per tagliare le emissioni di gas serra sarà possibile. Forse è sulla base di questi presupposti che Yvo de Boer, durante la Conferenza stampa finale, ha potuto affermare che a Bonn “sono stati compiuti solidi progressi. Tra i Paesi si sono ridotte le distanze di posizione in molti settori, tra cui come rafforzare le azioni per l’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici e per il trasferimento di tecnologie.
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In merito alle discussioni intervenute all’interno del Gruppo di Lavoro sul Protocollo di Kyoto, ha sottolineato l’importanza del mandato affidato al Presidente di redigere il testo da sottoporre alla prossima sessione, anche se ha affermato che “sono necessarie proposte più ambiziose da parte dei Paesi più industrializzati, se volgiamo ottenere una robusta risposta al cambiamento climatico”. Citando, poi, le raccomandazioni contenute nel Rapporto dell’IPCC, de Boer ha osservato che: “I numeri che sono stati discussi finora sono notevolmente lontani da quelli seri”. Ha poi dato atto che “molti Paesi in via di sviluppo sono disposti ad intraprendere azioni di mitigazione se sarà loro fornito il promesso sostegno finanziario e tecnico”, anzi, alcuni “hanno già messo in atto strategie contro il cambiamento climatico”. Vedremo se queste considerazioni costituiranno i prodromi per un vero negoziato quando, sempre a Bonn (1°-12 giugno), verranno presentate e discusse le bozze dei testi. Il ticchettìo dell’orologio di Copenhagen è sempre più incalzante.
MANIFESTAZIONI E CONVEGNI
Si è conclusa al Centro Fiera del Garda di Brescia l’edizione 2009
METALRICICLO: UNA BRILLANTE EDIZIONE a cura di Fabio Bastianelli
Per la prima volta in contemporanea con ALumotive, Mostra Internazionale della Componentistica, della Subfornitura e delle Soluzioni Innovative in Alluminio, Metalli e Materiali Tecnologici per l’Industria dei Trasporti, METALRICICLO, Salone Internazionale delle Tecnologie per il Recupero e il Riciclo dei Metalli, ha registrato complessivamente la presenza di 300 aziende, su 12.000 m2 di superficie espositiva con oltre 8.600 visitatori professionali che hanno partecipato attivamente a decine di sessioni tecniche, nel corso delle quali si sono alternati quasi 200 relatori, e a due Tavole rotonde istituzionali di altissimo livello. Mario Conserva, AD Edimet, ha commentato con soddisfazione: “Le manifestazioni sono state un netto successo; speriamo che il buon andamento registrato sia il segno di un cambiamento di rotta con un’imminente uscita dalle difficoltà di questi ultimi mesi. Il sistema industriale che rappresentiamo risponde con i fatti ed investe per il futuro, nella certezza della solidità della propria struttura tecnologica ed organizzativa”. Questa difficoltà si è avvertita anche nella Tavola rotonda “Il valore strategico della materia prima nella crisi in atto nell’industria metallurgica e siderurgica. Quadro economico internazionale per il 2009”, moderata dal noto economista del REF Fedele De Novellis e che venerdì mattina ha catalizzato l’attenzione di oltre 150 operatori.
Riuniti intorno al tavolo, i rappresentanti delle più importanti associazioni dell’industria metallurgica e siderurgica si sono vivacemente confrontati sul tema. “Stiamo vivendo uno dei momenti più difficili del comparto - ha osservato Romano Pezzotti, Presidente Divisione Rottami Assofermet, ricordando i continui ribassi registrati dal comparto nei primi tre mesi del 2009 - Operare in questo settore sta diventando sempre più difficile: pochi aiuti tangibili e pochi ammortizzatori sociali stanno deteriorando i rapporti tra fornitori e consumatori”. L’accento è stato posto pure sulle sofferenze nel recupero dei rottami (fino al 50% di gettito in meno) e sulla sottovalutazione delle dinamiche e dei costi dell’intero processo di trattamento di questi ultimi. Cesare Pasini, Presidente Nuovo Campsider, ha puntato i riflettori sul mondo dell’acciaio e sul -40% registrato nella produzione dal primo bimestre 2008 al primo bimestre 2009. Le prospettive di crescita nel consumo di acciaio per il 2009 non supereranno i 27,8 milioni di tonnellate registrando un -23.4% rispetto al 2008. Pasini si è augurato una minore volatilità del mercato grazie ad accordi programmati e duraturi, che rendano indenni da pericolose speculazioni, e una maggiore moralizzazione del mercato che favorisca atteggiamenti virtuosi.
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“Auspico una regolarizzazione dei termini di pagamento da parte dell’amministrazione pubblica - ha commentato Mario Bertoli, Presidente Assomet (Associazione Nazionale Industrie Metalli non Ferrosi) - Il mercato è radicalmente cambiato negli ultimi anni e dobbiamo assicurare un accesso alle materie prime affidabile e duraturo, che non provochi distorsioni nel mercato. L’Europa ha dato priorità all’energia, ma non alla materia prima. Il 6% di dazio sull’import ne è un esempio tangibile, incidendo sul prodotto finale fino al 3% e rendendolo meno competitivo”. Sempre in un’ottica di maggior competitività Bertoli esprime la sua preoccupazione per l’esportazione dei rottami verso la Cina: “Dobbiamo puntare sul riciclo dei metalli che produciamo, mentre la disponibilità di rottame si è erosa dal 1998 ad oggi, diventando un deficit”. Franco Zanardi, Responsabile del settore economico di Assofond (Associazione Nazionale delle Fonderie), parla di autoregolazione: “La volatilità dei prezzi mette le fonderie in una posizione di estrema debolezza, ostacolandone la competitività. Non siamo più in grado di fare scelte progettuali di lungo periodo. Reputo necessaria un’autoregolazione grazie ad accordi che vanno oltre la congiuntura economica”. Di grande interesse anche la presentazione del Protocollo di accettazione e gestione Rottami/Rifiuti, un Documento particolarmente significativo, coordinato dall’Assessorato all’Ambiente-Ecologia-Attività Estrattive ed Energia della Provincia di Brescia unitamente a: Regione Lombardia, A.R.P.A. Lombardia, Associazione Industriale Bresciana, Federacciai, Apindustria, Assofermet, Assofond, Assomet ed Associazione Italiana del Recupero Energetico. È stato l’Assessore Enrico Mattinzoli ad aprire i lavori del Convegno, che ha visto la partecipazione dei rappresentanti di alcune delle Associazioni coinvolte. “Questo Protocollo, così come gli altri che verranno, sono uno strumento per facilitare il compito delle imprese - ha dichiarato Mattinzoli - La Pubblica Amministrazione ha il dovere di stare al passo con l’imprenditoria. Quando si parla di Brescia, si parla di una realtà che coinvolge l’80% dei rottami metallici italiani. Il nostro motto è di semplificare, di agevolare il lavoro delle aziende. È fondamentale, quindi, aver raggiunto un Protocollo che coinvolge l’intera filiera”. Per l’Assessore l’obiettivo prioritario è di recuperare quanto più possibile, con un occhio di riguardo per le scorie da acciaieria che possono essere utilizzate per il sottofondo stradale. I relatori in sala hanno espresso l’auspicio che l’iniziativa, partita dalla Provincia di Brescia, diventi Legge delega a livello regionale e nazionale. A METALRICICLO si è parlato anche di ELV (Veicoli a Fine Vita), in un incontro moderato dal giornalista Dario De Andrea de Il Sole 24 Ore che ha visto un acceso dibattito tra i rappresentati dei costruttori e i demolitori che, presenti in sala in gran numero, hanno manifestato le difficoltà che il loro comparto sta vivendo, chiedendo urgenti misure di sostegno, fra le quali anche un appello a sgravi fiscali. Salvatore Di Carlo, Responsabile ELV di Fiat Group Automobiles, ha focalizzato il suo intervento sull’accordo di programma quadro ELV, che costituisce il primo esempio in Europa di intesa fra Istituzioni e Associazioni, che rappresentano oltre 3.500 singole aziende, dal gruppo FIAT a migliaia di PMI. Fra i punti di forza dell’Accordo la massima efficienza ambientale, pur rimanendo coerenti con la competitività industriale a livello nazionale e internazionale e l’ampiezza di coinvolgimento su tutto il territorio italiano, dalla grande industria al piccolo artigiano.
Michele Simonetti, Responsabile programma ELV di Ford Italia e Rappresentante di UNRAE (Unione Nazionale Rappresentanti Veicoli Esteri), ha parlato a nome dei produttori di auto relativamente all’applicazione della Direttiva in Italia per i veicoli fuori uso. Due i principali obiettivi: la tutela ambientale e la sostenibilità economica del sistema. Fra gli obblighi della Direttiva, Simonetti ha sottolineato l’impegno nella creazione di un network dei centri di raccolta. A fronte di 450 realtà distribuite su tutto il territorio nazionale, Ford ne detiene il 40%. Luca Carbonoli di Assofermet, pur esprimendo soddisfazione per la risoluzione della classificazione fluff attraverso il lavoro svolto con il tavolo tecnico al Ministero, ha tuttavia sottolineato il permanere di problemi circa i criteri di ammissibilità in discarica, ancora lontani dagli standard europei e su cui si attendono delle decisioni entro la fine di giugno. Carbonoli ha, inoltre, evidenziato come i costi fissi del processo di demolizione, così come i costi dello smaltimento in generale, siano rimasti invariati a prescindere dalle fluttuazioni del valore del rottame. Giorgio Manunta, Presidente AIRA (Associazione Italiana Riciclatori Auto), si è dichiarato soddisfatto per l’azione dell’Associazione che ha visto un parziale successo proprio nei provvedimenti normativi di fine anno. Tuttavia, sempre secondo Manunta, molto resta da fare in termini di normative sulle discariche. Alberto Garbarini, ha presentato il Progetto, economicamente, ecologicamente e industrialmente sostenibile, per lo smaltimento del car fluff, ovvero della quantità rilevante dei residui della frantumazione dei veicoli fuori uso sottoposti ad operazioni preventive di messa in sicurezza e di demolizione. Altri eventi hanno toccato la delicata questione riguardante la normativa REACH e la situazione dell’industria del riciclo degli imballaggi in alluminio.
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5.000 LATTINE PER UNA LOCOMOTIVA È stata esposta in prima assoluta a METALRICICLO 2009 l’ultima creazione ad opera del Consorzio Imballaggi Alluminio (CIAl), la riproduzione in lattine di alluminio recuperate della Bayard, la prima locomotiva a vapore usata da Ferrovie dello Stato il cui unico esemplare esistente (a sua volta una ricostruzione) è oggi conservato al Museo Pietrarsa di Napoli. L’opera, realizzata in dimensioni identiche all’originale, è lunga 10 metri, larga 2 metri e alta 4, per un peso complessivo di 950 kg. Per la sua realizzazione, eseguita a Coccaglio (BS), dal “Gruppo sportivo vita per la vita” su progetto dell’arch. Giampietro Pegoraro, sono state impiegate: 5.000 lattine, 1.300 coperchi e 200 tappi.
SPECIALE ACQUE
Istanbul, 16-22 marzo 2009 World Water Forum
ACQUA: NON ANCORA “DIRITTO”, MA “BISOGNO”! Nella Dichiarazione finale permangono le ambiguità già presenti nella risoluzione del Parlamento UE Sembra che ad impedire una conclusione unanime al V Forum mondiale dell’Acqua (World Water Forum) che si è svolto ad Istanbul dal 16 al 22 marzo 2009 sia stato il paragrafo 15 della Dichiarazione finale (Istanbul Ministerial Statement), approvata dai Ministri dell’Ambiente e dalle Delegazioni governative di altri 150 Paesi, “documento importante che farà da riferimento a livello governativo” come ha dichiarato il Ministro turco per l’Ambiente Veysel Eroglu. Il testo approvato recita: “Noi riconosciamo il dibattito all’interno del sistema delle Nazioni Unite che riguarda i diritti umani e l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici. Noi riconosciamo che l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici è un bisogno umano fondamentale”. Sulla parola “bisogno”, che 26 Paesi proponevano di sostituire con “diritto”, c’è stata la spaccatura. In verità, oltre ai Paesi dissenzienti (in Europa, Norvegia, Spagna e Svizzera) c’erano soprattutto le ONG e le Associazioni ambientaliste che si battono contro la privatizzazione dell’acqua e la sua mercificazione, che avevano
ottenuto di tenere nella città turca un Forum Alternativo e manifestazioni di protesta, alcune delle quali sfociate in scontri con le forze di polizia. Lo scenario “ambientale” in cui si è svolto il Forum non è stato ideale per raggiungere un compromesso sul documento finale. Nell’occasionie, infatti, si sono incrociate le manifestazioni contro il Forum con quelle di protesta per il Progetto GPA, che prevede la costruzione di dighe sui fiumi dell’Anatolia orientale, per lo sfruttamento idroelettrico e l’uso irriguo, che sta accendendo dibattiti e ferme opposizioni delle popolazioni locale. In particolare, la diga di Ilisu sul fiume Tigri, prima che entra in territorio iracheno, sta provocando le maggiori tensioni di carattere geopolitico perché è situata nel Kurdistan turco, dove vive la forte minoranza etnica (23% della popolazione) che si considera sotto occupazione turca e che accusa il governo di Ankara di utilizzare il progetto GAP per reprimere
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diritti umani e identità culturali. La diga comprometterebbe alcuni siti archeologici di Hasankeyf, uno degli insediamenti più antichi della Mesopotamia, con 12.000 anni di storia. “Abbiamo detto chiaramente in faccia a questi signori che il Forum è illegittimo, antidemocratico e scorretto - ha dichiarato Maude Barlow, Senior Advisor on Water Issues per l’ONU - Il Forum è gestito dalle stesse persone che hannno creato la bancarotta mondiale. È un Forum per loro stessi, per trovare una soluzione economica al problema idrico”. La Barlow era latrice di un messaggio, consegnato alla Presidenza del Forum, di Miguel D’Escoto Brockmann, Presidente della 63a Assemblea generale dell’ONU, che gli italiani ricordano per essere stato intervistato da Paolo Bonolis per il coraggio da lui dimostrato per aver portato avanti i suoi ideali di pace nonostante i tentativi di ucciderlo, nel corso della prima serata del Festival di Sanremo 2009. Brockmann si dichiarava preoccupato “per la costituzione e l’esecuzione del Forum mondiale dell’acqua… attual-
mente strutturato in modo che esclude parternership inclusive democratiche… influenzato profondamente dalle società private dell’acqua, come è evidente nelle gestioni privatistiche, a scopo di lucro dei servizi idrici”. Che il Presidente del Consiglio Mondiale dell’Acqua, Loïc Fauchon, già Presidente anche della Società dell’Acqua di Marsiglia, proprietà per metà di Suez e Veolia, le due più importanti multinazionali francesi del settore, che contribuiscono finanziariamente assieme alla Banca Mondiale all’organizzazione e svolgimento dal 1997 dei Forum mondiali dell’acqua, è risaputo. Ciò non ha impedito tuttavia che, nel corso dei vari appuntamenti del World Water Forum, la questione dell’acqua e delle sue problematiche siano state ampiamente dibattute e diffuse dai media e sempre più numerosi siano i decisori politici che l’hanno inserita nella loro agenda, anche grazie al confronto di esperienze e conoscenze che hanno attinto al Forum e, magari, hanno anche avviato in tali circostanze collaborazioni pubblico-privato, per una gestione migliore, che significa più equa e sostenibile, dei servizi idrici nazionali, regionali e locali. È pur vero che la parola diritto non è inserito nella Dichiarazione finale (anche a causa della forte opposizione di Usa e Brasile), ma il suo “concetto” ci pare che permei il Documento quando si parla di: - intensificare gli sforzi per raggiungere gli obiettivi del Millennio; - sostenere l’attuazione della gestione integrata delle risorse idriche; - migliorare la gestione della domanda, produttività ed efficienza in agricoltura; - rafforzare i rapporti tra risorse idriche e cambiamenti climatici; - prevenire l’inquinamento delle acque, applicando il principio “chi inquina paga”; - adoperarsi per migliorare la gestione
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dell’acqua rendendo disponibili tutte le informazioni; migliorare a livello nazionale la governance del settore idrico; sostenere la ricerca scientifica, l’istruzione, lo sviluppo e l’adozione delle nuove tecnologie che permettono la gestione sostenibile delle risorse idriche; dare priorità all’acqua e ai servizi igienico sanitari nei piani di sviluppo nazionali; promuovere un uso efficace delle risorse finanziarie provenienti da tutte le fonti, volte all’approvvigionamento idrico e i servizi igienico-sanitari; riconoscere la necessità di un giusto, equo e sostenibile recupero dei costi per sviluppare, per finanziare e fare manutenzione delle infrastrutture per la buona qualità delle acque, attraverso una adeguata tariffazione.
In qualche modo l’anteprima di quanto accaduto a Istanbul si era svolta a Strasburgo il 12 marzo, con la Risoluzione del Parlamento UE sulle risorse idriche in vista del V Forum Mondiale sull’Acqua (P6 0137 2009). Nell’occasione era stato il condizionale utilizzato nel punto 1 a costituire motivo di divisione tra i vari gruppi: “1. dichiara che l’acqua è un bene comune dell’umanità e che l’accesso all’acqua potabile dovrebbe costituire un diritto fondamentale e universale; chiede che siano compiuti tutti gli sforzi necessari per garantire, entro il 2015, l’accesso all’acqua potabile alle popolazioni più povere”. Anche l’espressione “non solo” che si sarebbe voluta cancellare con un emendamento dal punto 29 è stata assai dibattuta: “29. chiede alla Presidenza di turno di rappresentare l’Unione europea al Forum di Istanbul con un mandato per: - considerare l’accesso all’acqua potabile un diritto vitale, fondamentale dell’essere umano, e non solo un bene economico soggetto unicamente alle leggi di mercato;
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- sostenere gli orientamenti delineati nella presente risoluzione”. Quantunque nelle due dichiarazioni sussistano le stesse ambiguità che sembrano rivelare un arretramento rispetto a quelle di Città del Messico (2006) e dello stesso Parlamento UE in occasione del Forum messicano e, soprattutto non si faccia alcun cenno al processo di privatizzazione dell’acqua che avrebbe dovuto consentire, secondo le multinazionali del settore, un più facile accesso all’acqua per tutti e che viceversa si è rivelato un ulteriore strumento di ingiustizie, riteniamo che in entrambe vi siano molti elementi che pongono come “principio” il diritto all’acqua che non possano essere sottaciuti. Se poi c’è stato un arretramento, vuol dire che a livello mondiale non c’è ancora la consapevolezza che l’accesso all’acqua e ai servizi sanitari è un “diritto”, anche perché non c’è un adeguato grado di informazione e formazione. Questo vuol dire che la strada da compiere è ancora lunga e che questi consessi servono perché simili problematiche vengono portate alla ribalta e ampio spazio viene dato dai media anche alle manifestazioni di dissenso come è avvenuto in occasione di questo V Forum. Forse è più avanzato il secondo aggiornamento al documento “L’acqua elemento essenziale per la vita” redatto dal Pontificio Consiglio della Giustizia e Pace, presentato per il Forum di Istanbul, come aveva fatto in precedenza per il Forum di Kyoto (2003) e aggiornato per la prima volta in occasione del Forum di Città del Messico (2006). Vi si legge che “l’acqua è un bene che deve servire allo sviluppo di tutta la persona e di ciascuna persona...”. Il diritto all’acqua e quello a una sanità sicura non sono due diritti collegati, ma un unico diritto perché “entrambi sono essenziali per la salute ed entrambi hanno un drammatico impatto sullo sviluppo”. Si riconosce come diritto umano la di-
sponibilità e l’accesso all’acqua e l’importanza di andare oltre gli obiettivi di sviluppo del millennio già raggiunti, garantendo a tutti acqua potabile e condizioni igieniche sicure. Ricordando, poi, che nei documenti fondanti dei diritti dell’uomo, come nella Dichiarazione Universale del 1948, mancano esplicite menzioni della parola acqua, il Dicastero Vaticano sollecita ulteriori passi avanti nella formulazione del Diritto internazionale, poiché “l’accesso ai servizi idrici sicuri è una necessità per la salute e per la vita”. Alla vigilia del Forum è stato presentato il 12 marzo 2009 a New York e diffuso poi ad Istanbul il 3° Rapporto sulle Risorse Idriche (Water in Changing World) che ha per scopo il monitoraggio dell’obiettivo di sviluppo del millennio, con cui la comunità internazionale si era impegnata nel 2000 a dimezzare entro il 2015 il numero delle persone che non hanno accesso all’acqua potabile. Il documento di 348 pagine è il risultato del lavoro di 24 agenzie che fanno parte del Programma “ONU-Acqua” e coordinato dal Programma Mondiale per la Valutazione delle Risorse Idriche (WWAP) che ha sede presso l’UNESCO di Parigi. Da quanto si evince, la situazione idrica mondiale è preoccupante: - 1.200 milioni di individui non hanno accesso sufficiente alle fonti di acqua pulita; - 2 miliardi sono gli esseri umani che vivono senza servizi igienici. Secondo le proiezioni, nel 2030 saranno 5 miliardi le persone prive di tali servizi. Ogni anno, 3 milioni di abitanti del Pianeta muoiono a causa di malattie legate alla cattiva qualità dell’acqua. “L’aumento della domanda, legato alla crescita e alla mobilità della popolazione, all’evoluzione degli stili di consumo e agli accresciuti bisogni di
energia, nonché ai già percettibili effetti dei mutamenti climatici, provoca una pressione sempre maggiore sulle risorse idriche”. Intervenendo al Forum, il Direttore generale della FAO Jacques Diouf ha chiesto che venga prestata maggior attenzione alla gestione dell’acqua nell’agricoltura e che si aumenti il sostegno e l’aiuto ai contadini nei Paesi in via di sviluppo per affrontare i problemi connessi alla scarsità d’acqua e alla fame. “Il futuro dell’acqua è in un’agricoltura più efficiente - ha dichiarato Diouf I milioni di agricoltori che in tutto il mondo producono il cibo che noi mangiamo devono essere al centro di ogni processo di cambiamento. Hanno bisogno di essere incoraggiati e indirizzati a produrre di più con meno acqua. Ciò richiede investimenti e incentivi ben finalizzati, oltre ad un contesto politico adeguato”. Il Direttore generale ha sottolineato che il problema della fame crescente nel mondo con quasi un miliardo di esseri umani (15% della popolazione mondiale) che non è in grado di procurarsi cibo a sufficienza, potrebbe peggiorare se non venissero prese decisioni corag-
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giose ed attuate misure concrete ed urgenti. “Il Pianeta si trova ad affrontare cambiamenti globali senza precedenti, tra cui la crescita della popolazione, le migrazioni, l’urbanizzazione, il cambiamento climatico, la desertificazione, le siccità, il degrado del suolo e serie modifiche delle preferenze alimentari”. Sottolineando poi come l’agricoltura abbia una responsabilità nel soddisfare la domanda corrente futura di cibo, ma anche nel gestire l’impatto ambientale della produzione, Diouf ha osservato che “solo una buona gestione dell’acqua potrebbe soddisfare i bisogni di cibo e di energia, e allo stesso tempo salvaguardare le risorse naturali dalle quali dipende il nostro futuro”. In occasione del Forum, 52 Sindaci hanno firmato l’Istanbul Water Consensus (IWC), documento con cui gli Amministratori di Città e Regioni, sostenuti dagli organismi United Cities and Local Governments (UCLG) e Local Governments for Sustainability (ICLEI), hanno sottoscritto un Accordo non vincolante per sviluppare le migliori strategie di gestione delle acque per far fronte alle sfide globali incombenti, come i cambiamenti climatici e l’urbanizzazione. L’accordo denominato “Champion Cities” è appunto l’impegno che le autorità locali di tutto il mondo assumono per promuovere l’approccio di “Colmare le divisioni per l’acqua”, il tema del Forum di Istanbul (“Bridging Divides for Water”). “Noi non possiamo più permetterci il lusso di rimanere indifferenti di fronte al problema di fornire di acqua potabile e di adeguati servizi igienici alle nostre comunità mondiali - ha detto Kadir Topbas, Sindaco di Istanbul e co-Presidente di UCLG - Dobbiamo fare dell’acqua uno strumento di pace, anziché di conflitti. Vogliamo perciò
adottare un adeguato piano d’azione per trovare le soluzioni più efficaci e favorire la cooperazione tra città e paesi”. Tra le città europee che hanno aderito all’iniziativa: Vienna, Parigi, Strasburgo, Losanna, Salonicco, Coimbra, Barcellona. Per l’Italia hanno sottoscritto l’Accordo Roma e Piacenza. Una Champion City firmataria del documento, secondo quanto previsto, dovrà svolgere queste Azioni: - incoraggiare gli altri enti locali a firmare il Water Consensus di Istanbul; - coordinare le azioni che le autorità locali mettono in campo per fronteggiare la crisi idrica e i cambiamenti climatici; - proporsi come Ambasciatore dell’IWC durante gli eventi e le conferenze che sono legati alle questioni dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari, compresa la realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG) e le
implicazioni relative all’urbanizzazione e ai cambiamenti climatici; - condividere le esperienze, le conoscenze e gli strumenti con le altre città firmatarie dell’IWC, contribuendo al potenziamento della sostenibilità nella gestione idrica locale; - essere coinvolti nel processo di perseguimento della cooperazione nel 6° Forum sull’acqua. Al fine di realizzare obiettivi quali quelli sopraindicati, i firmatari si impegnano a sviluppare le seguenti Misure e Raccomandazioni: - adozione di misure in materia di pianificazione territoriale, al fine di prevenire e combattere gli effetti dei cambiamenti globali sul rischio di alluvioni sia a livello di bacino idrografico sia per l’innalzamento del livello dei mari; - diversificazione delle fonti di approvvigionamento idrico maggiormente flessibile, in previsione di un futuro incerto, tramite, ad esempio nuovi
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impianti per lo stoccaggio dell’acqua, l’estrazione sostenibile delle acque sotterranee, il trasferimento di risorse idriche fra i bacini, la preservazione e il riciclaggio di acqua o la desalinizzazione dell’acqua; introduzione di misure di regolamentazione per la partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia di gestione delle risorse idriche e di finanziamento a livello locale/di bacino/regionale, migliorando in tal modo la governance dell’acqua; investimenti in infrastrutture sostenibili; sviluppo di attuazione di interventi e piani industriali e non di gestione del rischio per ridurre i danni causati da catastrofi dovute all’acqua; erogazione di incentivi per il trasferimento di istruzione, formazione e tecnologia per assicurare una gestione delle acque e uno sviluppo economico sostenibili.
Pubblicata la Relazione dell’Agenzia Europea dell’Ambiente
“L’ACQUA CHE MANGIAMO” L’agricoltura deve adottare pratiche più sostenibili
In occasione del World Water Forum di Istanbul (16-22 marzo 2009) l’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) ha presentato una Relazione “Water Resources across Europeconfronting water scarcity and drought” in cui si mette in evidenza come in molti porti d’Europa l’utilizzo dell’acqua è insostenibile e si rivolgono alcune raccomandazioni relative ad un nuovo approccio nei confronti della gestione delle risorse idriche, anche in relazione al fatto che il cambiamento climatico provocherà un aumento della gravità e della frequenza della siccità in futuro, inasprendo lo stress idrico, soprattutto nei mesi estivi. La Relazione dell’AEA “Water resources across Europe confronting water scarcity and drought” (Risorse idriche in Europa - affrontare il problema della carenza idrica e della siccità) sottolinea che, mentre nel sud dell’Europa continuano a sussistere i maggiori problemi dovuti a carenza di acqua, lo stress idrico è in aumento anche in
alcune regioni del nord. Inoltre il cambiamento climatico provocherà un aumento della gravità e della frequenza delle siccità in futuro, esacerbando lo stress idrico, soprattutto nei mesi estivi. “Viviamo al di sopra delle nostre possibilità per quanto riguarda l’acqua. La soluzione a breve termine al problema della carenza d’acqua è stata di estrarre quantità sempre maggiori di acqua dalle nostre risorse di superficie e sotterranee. Lo sfruttamento eccessivo non è sostenibile con ripercussioni sulla qualità e sulla quantità dell’acqua rimanente, come pure sugli ecosistemi che da essa dipendono - ha detto la professoressa Jacqueline McGlade, Direttore esecutivo dell’AEA - Dobbiamo diminuire la domanda, ridurre al minimo la quantità di acqua che estraiamo e aumentare l’efficienza del suo uso”. Affinché a livello gestionale si passi dall’aumento dell’offerta alla riduzione al minimo della domanda, occorre avviare
Fonte: Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA)
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diverse politiche e prassi: • in tutti i settori, compresa l’agricoltura, il prezzo dell’acqua deve essere stabilito in base al volume utilizzato; • i governi devono attuare piani di gestione della siccità più ampiamente e concentrarsi sulla gestione dei rischi piuttosto che su quella delle crisi; • le colture bioenergetiche che richiedono molta acqua dovranno essere evitate in zone caratterizzate da carenza idrica; • attraverso una combinazione di selezione di colture e metodi di irrigazione, se sostenuti da programmi di assistenza per gli agricoltori, è possibile migliorare in modo considerevole l’efficienza idrica in agricoltura; i fondi nazionali ed europei, compresa la politica agricola comune dell’Unione europea, possono svolgere un ruolo importante nella promozione dell’uso efficiente e sostenibile delle risorse idriche in agricoltura; • le misure di sensibilizzazione della popolazione, quali l’etichettatura ecologica, la certificazione ecologica e i programmi di educazione nelle scuole sono essenziali per conseguire un utilizzo sostenibile dell’acqua; • devono essere affrontati i problemi relativi alle perdite nei sistemi di approvvigionamento idrico; in talune parti d’Europa, la perdita d’acqua dovuta a questa causa può superare il 40% della fornitura totale; • l’estrazione illegale di acqua, spesso per uso agricolo, è diffusa in determinate aree d’Europa; per affrontare la questione deve essere attuato un monitoraggio adeguato e deve essere introdotto un sistema di multe o sanzioni; • le autorità devono creare incentivi per un maggiore utilizzo di forniture alternative di acqua, quali le acque reflue trattate, le acque grigie e le acque piovane “raccolte”, al fine di contribuire alla riduzione dello stress idrico. In tutta Europa, il 44% dell’acqua estratta viene utilizzato per la produzione di energia, il 24% per l’agricoltura, il 21% per l’approvvigionamento idrico pubblico e l’11% per l’industria. Tuttavia questi dati mascherano notevoli differenze nell’utilizzo settoriale di acqua nell’intero continente. Nell’Europa meridionale, per esempio, l’agricoltura impiega il 60% dell’acqua estratta e in alcune zone anche l’80%. In Europa, le acque di superficie, quali laghi e fiumi, forniscono l’81% del totale delle acque dolci estratte e rappresentano la fonte idrica principale per l’industria, l’energia e l’agricoltura. Invece, l’approvvigionamento idrico pubblico dipende principalmente dalle acque sotterranee perché generalmente sono di migliore qualità. Quasi tutta l’acqua utilizzata nella produzione di energia è restituita a un corpo idrico, cosa che non avviene per la maggior parte di quella estratta per l’agricoltura. La desalinazione è ormai un’alternativa sempre più frequente alle fonti convenzionali di acqua, specialmente nelle regioni
europee che soffrono di stress idrico. Tuttavia, nel valutare l’impatto globale della desalinazione sull’ambiente occorre tenere conto del suo elevato fabbisogno energetico e del risultante accumulo di “brine” (fluido salino scarto del trattamento). Per l’AEA è l’Agricoltura ad imporre un pesante e crescente onere alle risorse idriche europee, minacciando le scorte d’acqua e danni agli ecosistemi. Affinché si consegua un uso sostenibile dell’acqua, gli agricoltori devono usufruire di prezzi incentivati equi, di informazione e assistenza. È questo l’assunto del più recente “The water we eat- irrigated agricolture’s heavy toll” (L’Acqua che mangiamo - pedaggio pesante dell’agricoltura irrigua), articolo pubblicato il 17 aprile in cui riprendendo alcuni scenari del precedente Rapporto, la AEA ribadisce la necessità che l’agricoltura adotti pratiche più sostenibili. Anche se il cibo è una necessità per il benessere dell’uomo, vi si legge, e l’agricoltura svolge un ruolo vitale nell’assicurare buon cibo per la salute e nel provare piacere nel mangiare, tuttavia la sua produzione rischia di consumare una risorsa altrettanto vitale: l’acqua. L’agricoltura consuma il 24% dell’acqua in Europa, dato che potrebbe sembrare non eccessivo, specie se confrontato con il 44% di acqua che viene utilizzata per la produzione di energia, ma il suo impatto sulle riserve è di gran lunga maggiore. Infatti, mentre quasi tutta l’acqua utilizzata per produrre energia rientra nei corpi idrici, quella dell’agricoltura è spesso pari ad un terzo. Inoltre, l’uso dell’acqua in agricoltura si distribuisce irregolarmente. In alcune regioni dell’Europa meridionale, l’agricoltura utilizza più dell’80% dell’acqua disponibile, con picchi di prelievo estivi, quando l’acqua è meno disponibile, massimizzando i negativi effetti. Lo sfruttamento eccessivo delle risorse aumenta la probabilità di una penuria di acqua durante i periodi secchi. Ma questo vuol dire anche diminuzione della qualità delle acque (perché gli inquinanti sono meno diluiti) e maggiore è il rischio di intrusione di acqua salata nelle acque sotterranee delle regioni costiere. Anche l’ecosistema fluviale e lacustre possono essere seriamente minacciati, compromettendo l’esistenza di piante e animali, quando il livello dell’acqua scende sotto una certa altezza o si azzera. I risultati sono evidenti in molte regioni del Sud Europa: - l’estrazione, per lo più da pozzi illegali, per uso irriguo del bacino del Konya in Turchia, ha ridotto notevolmente la superficie del lago Tuz, il secondo lago per estensione del Paese; - in Grecia, nella pianura dell’Argolide, la tossicità del cloro presente nell’acqua per l’intrusione di acqua salata si rivela nella caducità ed essiccazione del fogliame; molti pozzi si
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sono prosciugati o sono stati abbandonati per eccessiva salinità; - a Cipro la grave carenza idrica nel 2008 ha richiesto l’importazione di acqua, utilizzando navi cisterna, razionando le scorte nazionali e aumentando significativamente i prezzi. L’uso di acqua in agricoltura sta diventando con evidenza insostenibile in alcune parti d’Europa, afferma l’AEA, il che suggerisce che i meccanismi e le normative di formazione dei prezzi non sono riusciti a regolare la domanda. Gli agricoltori si sono orientati verso metodi di irrigazione ad alta intensità di acqua, perché aumenta la produttività e con essa crescono i guadagni. In Spagna, ad esempio, il 14% dei terreni agricoli irrigati con metodi intensivi produce oltre il 60% dei prodotti agricoli. Chiaramente, gli agricoltori irrigano solo se l’aumento della produzione ha rese superiori ai costi di istallazione dei sistemi di irrigazione e di consumo di grandi quantità di acqua. A tal proposito, le politiche nazionali ed europee si sono rivelate inefficienti, creando meccanismi di incentivazione degli sprechi. Gli agricoltori, sostiene ancora l’AEA, raramente pagano il prezzo pieno della risorsa consumata e quello ambientale dei grandi sistemi di irrigazione. Fino a più recenti riforme, le sovvenzioni dell’unione Europea hanno spesso incentivato colture ad alta intensità d’uso d’acqua. Le conseguenze sono state sorprendenti. Analizzando le modalità irrigue di quattro raccolti in Spagna nel corso del 2004, il WWF ha verificato che quasi un miliardo di m3 di acqua è stato usato proprio per produrre eccedenze rispetto alle quote UE: quantità che corrisponde al consumo domestico di 16 milioni di individui. Il cambiamento climatico peggiorerà, con ogni probabilità, la situazione, sia perché le estati più calde ed asciutte faranno aumentare la pressione sulle risorse idriche sia perché l’Unione Europa e i suoi Stati membri si sono impegnati ad utilizzare, entro il 2020, i biocarburanti nel settore dei trasporti per una quota del 10%. Qualora la crescente domanda di bioenergie dovesse essere soddisfatta da biocarburanti di prima generazione, quelli derivanti da colture, l’uso di acqua in agricoltura sarebbe destinato a crescere. L’AEA riconosce tuttavia, che l’agricoltura irrigua è determinante per l’economie nazionali e locali di varie parti d’Europa. In alcune zone, la cessazione dell’irrigazione condurrebbe all’abbandono della terra e a serie difficoltà economiche. L’uso dell’acqua in agricoltura deve risultare, quindi, più efficiente per garantire non solo acqua sufficiente per l’irrigazione, ma anche per la popolazione locale, per un ambiente salubre e per gli altri settori economici. Il prezzo dell’acqua rappresenta il “meccanismo di base” per
incentivare un consumo che bilanci le finalità economiche, sociali ed ambientali. Secondo l’AEA, il Rapporto di marzo ha dimostrato che se i prezzi riflettono i costi effettivi e contemporaneamente viene contrastata l’estrazione illegale di acqua, gli agricoltori saranno costretti a ridurre l’intensità dell’irrigazione e ad adottare misure per il risparmio idrico. I sussidi nazionali ed europei possono contribuire all’adozione di tecniche e pratiche che vadano in questa direzione. I Governi hanno un ruolo cruciale da svolgere, fornendo informazioni, consulenza e istruzione per garantire che li agricoltori siano consapevoli delle opzioni e per supportare ulteriormente la ricerca verso tecnologie e metodi di coltivazione sostenibili. Particolare attenzione dovrebbe essere riservata per garantire che l’introduzione di colture energetiche per soddisfare gli obiettivi per i biocarburanti serva a ridurre la domanda di acqua, anziché aumentarla. In seguito, dopo che gli sforzi per ridurre la domanda siano stati usati, le aziende potranno anche usufruire di opportunità per attingere a fonti alternative di approvvigionamento, come l’uso delle acque reflue trattate per irrigare le colture, come sta già avvenendo con risultati incoraggianti, per esempio, in Spagna e a Cipro. Secondo quanto espresso nella Position paper on water scarcity and drought, le Associazioni europee degli agricoltori (COPA) e delle loro cooperative agricole (COGECA) riconoscono che il settore agricolo, soprattutto in Europa meridionale, è un grande consumatore di acqua, ma sottolineano che la “tendenza al rialzo per l’uso di acqua per irrigazione, ha subito un rallentamento in diversi Paesi nel corso degli ultimi anni, mentre l’efficienza nell’uso di acqua per irrigazione migliora di anno in anno attraverso l’ammodernamento dei sistemi”. Sono più caute COPA e COGECA in merito alla tariffa dei servizi idrici che “potrebbe comportare ulteriori effetti negativi per il settore agricolo rispetto ai settori economici che possono riversare più facilmente sul consumatore finale i costi per l’uso delle risorse idriche”. C’è chi sostiene, più in generale, che la nostra economia debba essere “disidratata”. A fare questa affermazione è stato Antoine Frérot, Amministratore delegato di Veolia Water, leader mondiale nell’erogazione dei servizi idrici durante un’intervista pubblicata il 21 aprile su EurActive.com, a margine della sua partecipazione al Dibattito “L’Europa ha una visione globale per affrontare la scarsità d’acqua?”, organizzato il 2 aprile a Bruxelles da “Amici d’Europa”, Fondazione che si prefigge l’obiettivo di fornire un Forum trasparente e chiaro per il conflitto a livello comunitario su tematiche
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importanti tra responsabili politici, ONG, imprese leader, media e società civile. Nell’occasione Frérot, autore del libro “Acqua. Verso una cultura della sostenibilità”, aveva osservato che uno degli obiettivi del Millennio (MDG), quello di ridurre entro il 2015 della metà il numero delle persone che non hanno accesso all’acqua potabile e che sono prive di collegamento a sistemi di servizi igienico-sanitari, difficilmente potrà essere attuato, anche per lo scarso interesse dimostrato dai responsabili politici, più intenti in questo momento a ridurre l’impronta del carbonio che quella dell’acqua. Tenendo presente che circa “il 50% dell’acqua che utilizziamo nella vita quotidiana, nel settore industriale e nell’agricoltura, viene sprecato”, Frérot ha sottolineato che occorre acquisire maggiore consapevolezza dello stretto legame tra cambiamento climatico e risorse idriche perché “una buona causa non deve sostituirne un’altra”. (ndr: per tale aspetto si veda l’articolo “Acqua: non ancora “diritto”, ma “bisogno”!” di pag. 18 e segg. di questo stesso numero).
Nell’intervista, a proposito del messaggio che può derivare dalla discussione intervenuta, Frérot ritiene che per prima cosa si deve “de-hydrate” la nostra economia e il nostro modo di vivere mediante la lotta contro lo spreco di acqua e al ricorso a risorse alternative, come alle acque reflue come avviene nei Paesi che hanno una scarsità d’acqua, dove le industrie sono obbligate per legge a ridurre i propri consumi. Il primo passo in questa direzione, secondo Frérot, sarebbe l’attuazione piena della Direttiva 2000/CEE dove viene previsto che “il costo dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e quelli relativi all’uso delle risorse, deve essere ripartito in base ai benefici ottenuti”. Secondo Frérot, non è accettabile che 3 milioni di persone muoiono ogni anno per scarso accesso all’acqua, quando ci sarebbero soluzioni tecnologiche per ridurre il consumo: “l’inefficienza nella gestione delle acque è più immorale di ogni altra cosa”.
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tra i colori della natura
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Diffuso un nuovo Studio del NCAR di Boulder (Colorado)
HANNO SETE I GRANDI FIUMI DEL MONDO I Cambiamenti Climatici influenzano la portata d’acqua Sul numero di maggio della Rivista del Clima, una delle riviste pubblicate online dall’American Meteorological Society, è stato pubblicato uno Studio condotto da scienziati del Centro Nazionale per la Ricerca Atmosferica (NCAR) di Boulder (Colorado), che mette in risalto forti riduzioni della portata d’acqua di molti grandi fiumi del mondo (cfr: Dai Aiguo, Taotao Qian, Kevin E. Trenberth and John D. Milliman, “Changes in Continental Freshwater Discharge from 19482004”, in Journal of Climate, vol. 22, issue 10, May 2009, pp. 2773-2792). Circa 1/3 dei 200 più grandi fiumi ha mostrato un forte calo di portata tra il 1948 e il 2004, periodo che è stato analizzato e in alcuni casi la differenza di flusso è stata pari a 2,5:1. Ciò che preoccupa di più è che la quantità d’acqua si è ridotta maggiormente nei fiumi che attraversano le regioni più densamente popolate del Pianeta, come il Fiume Giallo nella Cina Settentrionale, il Gange in India, il Niger nell’Africa guineense, il Colorado nel Sud-ovest degli Stati Uniti.
Sono molti i fattori che incidono sulla portata dei fiumi, tra cui la costruzione di dighe, le deviazioni per l’agricoltura e l’industria, ma i ricercatori hanno osservato che la riduzione “sembra essere legata al cambiamento climatico globale che sta modificando i modelli di precipitazione e fa aumentare il tasso di evaporazione - ha dichiarato Aiguo Dai, Ricercatore Capo e principale autore dello studio - Anche la maggior pressione esercitata dall’aumento della popolazione vi ha influito”. Altri grandi fiumi, come lo Yangtze nella Cina meridionale e il Brahmaputra nell’Asia del sud, hanno mostrato un andamento stabile o in aumento, fenomeno che deve essere messo in relazione al progressivo scioglimento dei ghiacciai himalayani. Ma per la stessa ragione nei decenni futuri, secondo i ricercatori, potrebbero vedere una drastica riduzione di flusso. Inoltre, lo studio mette in evidenza che il ridotto apporto fluviale, influirà anche sulla circolazione delle correnti oceaniche che vengono influenzate dalle salinità delle acque e dalle temperature
e che, come ben si sa, svolgono un ruolo non secondario sul clima. “Nel complesso, lo studio ha rivelato che la quantità di acqua dolce riversata dai fiumi - ha proseguito Dai - si e ridotta del 6% nello Oceano Pacifico, (praticamente lo stesso volume d’acqua che viene trasportato dal Mississippi), del 3% nell’ Oceano Indiano e, al contrario, è aumentata del 10% nel Mar Glaciale Artico”. Dai e i suoi collaboratori hanno analizzato le portate d’acqua di 925 fiumi, combinando misurazioni effettive e utilizzando il modello comunitario di simulazione dei dati, (CLM3) per colmare le lacune. “L’acqua dolce è una risorsa vitale, le tendenze alla diminuzione rappresentano una grande preoccupazione”. Già nel 2004 in un’altra pubblicazione Aiguo Dai aveva messo in luce che la percentuale di superficie terrestre colpita da grave siccità tra il 1970 e il 2000 si era più che raddoppiata. Lo studioso è uno specialista dei rapporti che intercorrono tra l’aumento delle temperature e il ciclo dell’acqua. “Le persone stanno cominciando ora a rendersi conto che il metano, il
La mappa mostra la variazione di flusso intercorsa nei livelli di portata dei fiumi di tutto il mondo tra il 1948 e il 2004. Le colorazioni azzurre indicano aumenti di portata, mentre quelle rossastre individuano quelle in calo. Nelle zone più popolose delle fasce tropicali e delle medie latitudini, i fiumi hanno mostrato un minor apporto di acqua agli Oceani. In alcune aree degli Stati Uniti e dell’Europa, comunque, c’è un trend positivo di portata. Le aree indicate in bianco si riferiscono a bacini interni che si stanno prosciugando o a regioni per le quali i dati sono insufficienti per poter determinare le differenze di portata. (fonte: Journal of Climate)
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biossido di carbonio e gli altri gas ad effetto serra influiscono sulla dinamica dell’atmosfera, cosicché si è cominciato a parlare di riscaldamento globale - ha dichiarato in un’intervista pubblicata poco più di un anno fa sul sito UCAR (The University Corporation for Atmospheric Research) - ma non credo che sia ancora percepito quanto le attività umane la influenzino”. Le preoccupazioni di ordine climatico ed ecologico, sono tali che presuppongono un monitoraggio continuo del flusso di acqua dolce negli Oceani per indicare precocemente eventuali cambiamenti a lungo termine. “Bisogna estendere le analisi storiche del fenomeno per prevedere come aumenterà la siccità nel XXI secolo e in quali aree continentali si verificheranno gli effetti più gravi”, ha affermato Dai che, pur dando grande rilievo ai dati storici, ritiene che le osservazioni dirette abbiano maggior validità, tanto che si aspetta di avere un grande contributo dal nuovo sistema satellitare che sarà introdotto nel 2013, denominato GPM (Global Precipitation Measurement), in grado di misurare dallo spazio le precipitazioni alle basse latitudini e la caduta della neve alle alte latitudini. “Poiché i cambiamenti climatici proseguiranno inevitabilmente nei prossimi decenni, saremo soggetti a verificare un impatto maggiore su molti fiumi e sulle risorse idriche - ha sentenziato Kevin Trenberth, un altro scienziato del NCAR e co-autore della ricerca.
Due dei principali fiumi che hanno evidenziato riduzione di portata d’acqua: Colorado (in alto) e Gange
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Attuata la Direttiva sulle Acque sotteranee (D. Lgs. n. 30 del 16 marzo 2009)
GOVERNO DELL’ACQUA: MANCA UNA DISCIPLINA SISTEMATICA E UNITARIA Mentre in tutto il mondo e nell’UE si accende il dibattito sull’uso dell’acqua, in Italia il confronto latita “Le acque sotterranee sono una preziosa risorsa naturale poiché costituiscono un serbatoio da cui prelevare acqua di buona qualità, potabile o per uso industriale o agricolo [...] Le acque sotterranee sono anche importanti sul piano ambientale perché servono a mantenere le aree umide e il flusso dei corsi d’acqua, funzionando come riserva di equilibro nei periodi di siccità [...] Poiché le acque sotterranee si muovono lentamente attraverso il terreno, l’impatto delle attività umane può durare molto a lungo [...] Inoltre, le acque sotterranee possono essere difficilmente risanate, anche dopo aver rimosso la fonte dell’inquinamento, donde la necessità di concentrare gli sforzi a livello della prevenzione [...] Le acque sotterranee costituiscono il flusso di base per i sistemi acquatici di superficie e di conseguenza la loro qualità può incidere sulla qualità delle acque superficiali [...] In altri termini, gli effetti delle attività umane sulla qualità delle acque sotterranee possono ripercuotersi sulla qualità degli ecosistemi acquatici associati e su tutti i sistemi terrestri che ne dipendono direttamente [...]”. Quelle che abbiamo riportato sono alcune delle considerazioni per le quali l’Unione Europea ha adottato la Direttiva
2006/118/CE relativa alla Protezione delle Acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento. Il Governo italiano ha attuato tale Direttiva con il Decreto Legislativo n. 30 del 16 marzo 2009 (G.U. del 4 aprile 2009), che è entrato in vigore il 20 aprile. La Direttiva 2006 discende dalla Direttiva quadro 2000/60/ CE che si propone, nell’ambito della politica della Comunità di salvaguardare, tutelare e migliorare la qualità ambientale, una graduale riduzione delle emissioni di sostanze pericolose nell’acqua ed un’accorta e razionale gestione delle risorse idriche. Pertanto, la Direttiva 2006 integra le disposizioni sulle acque sotterranee contenute nella Direttiva madre, al fine di proteggere dall’inquinamento e dal deterioramento i corpi idrici sotterranei, le cui gravi conseguenze sono spesso sottovalutate. L’Italia non ha ancora completamente attuato la Direttiva quadro, tant’è che sussiste tuttora un contenzioso con la Commissione UE che si trascina da anni, tra “condanne”, “pareri motivati” e “messe in mora”. D’altra parte l’Italia non è riuscita a rispettare nemmeno la scadenza del 31/12/2000 che, in base alla Direttiva 91/271/
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CEE sul trattamento delle acque reflue urbane che prevedeva a quella data che tutti i Paesi membri avessero sistemi adeguati per la raccolta e il trattamento delle acque nei centri urbani con oltre 15 mila abitanti. Tant’è che dopo la “costituzione in mora” del 2004, la Commissione UE ha inviato all’Italia, il 19 febbraio 2009, un “parere motivato” (seconda fase del procedimento di infrazione prima del deferimento alla Corte europea di Giustizia). Non sfugge come anche gli scarichi urbani, se non correttamente gestiti, finiscono per provocare nel sottosuolo inquinamenti delle falde acquifere come quelli agricoli ed industriali. Il fatto è che se non vengono risolti alcuni nodi strutturali difficilmente potrà essere ottemperata la disposizione che prevede la pubblicazione dei Piani di Gestione entro 9 anni dall’entrata in vigore della Direttiva quadro. Peraltro, non ha certamente apportato chiarimenti il D. L. 208/2008, recante Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente, così come convertito dalla Legge 13/2009, che non è intervenuta sulla delimitazione dei Distretti idrografici, quale effettuata dal D. Lgs. 152/2006 (il cosiddetto “Testo Unico Ambientale”) e che tante polemiche ha sollevato per essere stata effettuata senza l’accordo con le Regioni interessate e che costituisce un nodo nel passaggio dall’Autorità di bacino di Distretti idrografici. Eppure il D. Lgs. 30/2009 è intervenuto di fatto sul D. Lgs. n. 152/2006, estrapolando e regolamentando la materia delle acque sotterranee della Parte III e modificando, in tal modo, l’unitarietà del testo ambientale stesso. Abbiamo riportato in Inserto l’intero testo coordinato del D. Lgs. n. 30/2009 dove si evidenza l’intenso lavoro compiuto dall’Amministrazione competente a coordinare i testi legislativi con le note che ne facilitino la lettura, rinviando o modificando disposizioni precedenti. È testimonianza che il Decreto si cala in un preesistente ordinamento legislativo, con l’obiettivo di “assommare in un unico corpus normativo buona parte della disciplina inerente l’obiettivo ambientale per le acque sotterranee (buono stato chimico e buono stato quantitativo)...”. Dalla lettura del testo, tuttavia, non ci pare che si evidenzi una disciplina organica, limitandosi ad una pedissequa riproposizione della Direttiva 2006 come se nell’ordinamento nazionale non sussistessero norme di disciplina delle acque sotterranee (oltre al citato D. Lgs. 152/2006, si ricordano i Piani di Tutela delle acque sotterranee realizzati da Regioni, ATO, Province, Enti Pubblici, i Piani di Risanamento delle acque previste dalla L. n. 319/1976, con disposizioni specifiche sulle acque sotterranee, per risalire addirittura ai decreti attuativi dei vincoli delle acque sotterranee previsti dal Regio Decreto Testo Unico 1775/1993 su “Acque ed Impianti elettrici”. La stessa nozione di “deterioramento” avrebbe meritato
una maggior puntualizzazione nell’ambito delle Definizioni, anche se la Direttiva 2006 non ne chiarisce la fattispecie, lasciando presumibilmente il compito ai singoli Stati membri, anche per la rilevanza sanzionatoria che ne deriva. Gli Allegati che corredano il D. Lgs. 30/2009 sono più numerosi ed ampi di quelli della Direttiva 2006 che ne contiene 4, mentre il Decreto ne inserisce 6 (in origine erano addirittura 7, ma su quello relativo alle Modalità di rappresentazione su apposite mappe dei corpi idrici sotterranei e del loro stato quali-quantitativo attraverso determinati schemi cromatici è stato stralciato dopo che la Conferenza Stato-Regioni aveva posto il suo divieto, condizionando il parere positivo): C’è la sensazione, comunque, che la necessità di rimediare al cronico ritardo con cui l’Italia adegua la propria legislazione alle norme europee, determini la produzione di testi di leggi che si sovrappongono perdendo la caratteristica di organicità che deve prevalere e che di fatto né pregiudica l’effettiva applicazione. Riteniamo che a questa limitazione concorra la Legge Comunitaria, strumento introdotto per consentire il monitoraggio dello stato di attuazione delle direttive UE con le indicazioni delle infrazioni in corso da parte della Commissione e delle sentenze della Corte di Giustizia europea, che di fatto con la delega assegnata al Governo, anche per la ristrettezza dei tempi (viene previsto che il termine per l’esercizio della delega coincida con il termine di recepimento della Direttiva), impedisce ogni confronto parlamentare tra maggioranza e opposizione. C’è anche il rischio che il decreto legislativo si traduca in un vero e proprio smantellamento del preesistente ordinamento ad ogni cambio di Governo, senza soffermarsi sull’invarianza dei costi (presupposto di ogni decreto legislativo) limiti la fase progettuale ed operativa della norma stessa. La Legge Comunitaria 2009, per esempio, contiene ben 10 direttive che debbono essere recepite e la relazione illustrativa che l’accompagna elenca le direttive pubblicate nel corso del 2008 da attuare (23) e quelle già attuate (27) per via amministrativa. Sono pure indicate le procedure di infrazione ufficialmente aperte nei confronti dell’Italia (159 alla data del 31 dicembre 2008). Ne consegue una corsa contro il tempo che, come si accennava, preclude il confronto tra i vari stakeholders che, nel caso specifico di recepimento della Direttiva acque sotterranee sarebbe stato auspicabile, anche al fine di contemperare i diversi interessi in gioco, poiché si tratta non solo di una normativa ambientale, ma anche di tipo economico, dal momento che agli acquiferi attingono le industrie delle acque minerali e quelle termali, nonché le attività irrigue per la produzione di energia e per gli usi industriali più in generale. Nella relazione di follow-up sulla Comunicazione “Affron-
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tare il problema della carenza idrica e della siccità nell’Unione Europea”, presentata dalla Commissione UE al Consiglio e Parlamento Europeo il 19 dicembre 2008, si osservava che la piena attuazione della Direttiva Quadro sulle acque (2000/60/CE) di cui la Direttiva 2006 è figlia integrandone le disposizioni, è condizione imprescindibile per risolvere i problemi di carenza idrica, che debbono essere considerati nel più ampio contesto delle iniziative della Commissione UE sull’adattamento ai cambiamenti climatici, che confluiranno con maggior coerenza nelle azioni adottate a livello comunitario e nazionale. Al fine di evitare ripercussioni negative sulle risorse idriche da parte dei progetti di gestione è altrettanto importante che tutti gli Stati membri applichino efficacemente la Direttiva sulla Valutazione di Impatto Ambientale di determinati progetti pubblici e privati (Direttiva 85/337/CEE) e la Direttiva sulla Valutazione Ambientale Strategica (Direttiva 2001/42/CE). Il 2 e 3 aprile 2009 si è svolta a Bruxelles la Conferenza europea per l’acqua intesa ad incoraggiare la partecipazione attiva dei cittadini e delle parti interessate affinché prestino la massima attenzione alla predisposizione dei Piani di Gestione dei Bacini Idrografici, la cui scadenza è fissata al dicembre 2009. La Campagna di sensibilizzazione dei cittadini europei, intrapresa dall’Unione europea, a cui “spetta un ruolo fondamentale nell’attuazione della Direttiva quadro in materia di acque”, prevede un loro coinvolgimento attivo (Active Involvement) per influenzare il risultato dei Piani e, quindi, dei lavori procedurali, come previsto dalla Convenzione di Aarhus, si intitola “La tua acqua, la tua vita. Tuffati nel dibattito” (Your water, your life. Plunge into the Debate). Consultando il sito web dedicato, per l’Italia vi si legge che “ha 8 distretti idrografici [...] non esiste ancora un sito internet centrale che fornisca informazioni al pubblico sull’implementazione della Direttiva quadro sulle acque. Inoltre, mancano i siti dei distretti idrografici [...] L’Italia effettua la consultazione pubblica su due livelli. Prima effettua le consultazioni pubbliche per i Piani regionali di
Tutela delle Acque, poi quelle per i Piani di Gestione di ogni Distretto Idrografico. Su alcuni Piani regionali di Tutela delle Acque è in corso una pubblica consultazione o è già stata conclusa. Sulla scadenza delle consultazioni pubbliche sui Piani di Gestione mancano ancora i dati” (ndr: il grassetto non è nostro). Con il D. L. 208/2008, come convertito dalla L. n. 13/2009, i Piani di Gestione saranno adottati dall’Autorità di Bacino non dai Distretti Idrografici, come prevede la Direttiva Acque, “sulla base degli atti e dei pareri disponibili entro e non oltre il 22 dicembre 2009”. Osservando la locandina dell’iniziativa, vien da dire che rimarremo a lungo sospesi nell’aria prima di poterci tuffare... forse temono che affoghiamo!
Analisi e commento al testo del Decreto Legislativo di recepimento della Direttiva Acque sotterranee Art. 1 - Campo di applicazione e finalità Individua nei corpi idrici sotterranei il campo di applicazione, integrando le disposizioni del Decreto 152/206 che si era limitato a fornire solo una definizione e i criteri tecnici sulla base dei quali identificare e caratterizzare detti corpi idrici, secondo l’Allegato I. Art. 2 - Definizioni Rinviando anche alle pertinenti definizioni del D. Lgs. 152/2006 si introducono le definizioni della Direttiva 2006: - standard di qualità delle acque sotterranee; - valore-soglia; - buono stato quantitativo; - tendenza significativa e duratura all’aumento dell’inquinamento; - scarico delle acque sotterranee; - immissione indiretta delle acque sotterranee; - concentrazione di fondo; - livello di base;
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- corpi idrici sotterranei a rischio; - acquifero. Art. 3 - Criteri per valutare lo stato chimico delle acque sotterranee Vengono definiti i criteri per la valutazione dello stato chimico di un corpo idrico o di un gruppo di corpi idrici sotterranei, prevedendo che le Regioni effettuino tale valutazione sulla base sia degli standard di qualità ambientale stabiliti dalla Direttiva per determinare sia sostanze (nitrati e pesticidi), che specifici valori-soglia definiti a livello nazionale per ulteriori sostanze, quali metalli, inquinanti organici, composti organici cromatici, policiclici aromatici, furani, particolarmente diffusi sul territorio nazionale (Allegato III, Parte A, tabelle 2 e 3). Al fine, poi, di razionalizzare l’utilizzo delle risorse umane e finanziarie destinate al monitoraggio “intelligente”, è previsto che l’attività di controllo non venga effettuata dalle Regioni per tutte le sostanze riportate nella tabella 3 del succitato Allegato, ma sia indirizzato esclusivamente verso quelle sostanze che, a seguito di un’analisi conoscitiva delle pressioni e degli impatti che insistono sui rispettivi territori, possono essere o sono presenti nelle acque sotterranee. Si stabilisce, infine, che per le sostanze non ricomprese nelle citate tabelle, qualora presenti in specifiche aree territoriali, le Regioni possano richiedere al Ministro dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare la fissazione del relativo valore di soglia. Qualora il corpo idrico sia designato per l’estrazione di acqua al consumo umano rimangono valide le disposizioni di cui al D. Lgs. 152/2006. Art. 4 - Procedure di valutazione dello stato chimico delle acque sotterranee Stabilisce, come norma di principio, che lo standard di qualità ambientale e i valori soglia identifichino il buono stato chimico delle acque sotterranee. In linea con la Direttiva è tuttavia previsto eccezionalmente che un corpo idrico sotterraneo possa essere classificato buono anche quando il valore soglia e lo standard di qualità siano superati, purché il superamento interessi solo il 20% del volume o dell’area totale del corpo idrico e sussistano determinate condizioni (esclusione di un rischio ambientale significativo ed adozione, per corpi idrici destinati all’estrazione di acqua potabile, di misure di protezione tali da impedire un peggioramento della loro qualità). Inoltre, ai fini della classificazione, e quindi, della conoscenza dello stato chimico delle acque sotterranee, i corpi idrici previsti dalla Direttiva siano assoggettati ad un monitoraggio da eseguire secondo le specifiche stabilite nell’Allegato IV. Art 5 - Individuazione di tendenze significative e durature all’aumento delle concentrazioni di inquinanti e
determinazione dei punti di partenza per le inversioni di tendenza Vengono riprodotte le disposizioni più innovative della Direttiva, introducendo norme volte alla tutela preventiva dei corpi idrici, per la realizzazione della quale è indispensabile conoscere, oltre al loro stato di qualità, anche l’evoluzione temporale della concentrazione di un inquinante, di un gruppo di inquinanti o di un indicatore di inquinamento, così da individuare tempestivamente qualsiasi aumento significativo da un punto di vista ambientale e statistico di detti parametri. È previsto, pertanto, l’obbligo per le Autorità competenti di individuare le tendenze significative e durature all’aumento delle concentrazioni inquinanti, di gruppi di inquinanti e di indicatori di inquinamento, rilevate nei corpi idrici a seguito delle attività di monitoraggio di cui all’Allegato VI Parte A, nonché di determinare i punti di partenza pe le inversioni di tale tendenza (Allegato VI, Parte B). Tali norme obbligheranno, se necessario, a porre in essere azioni volte a prevenire il deterioramento delle acque sotterranee e ad invertire le tendenze che presentano un rischio significativo di danno per la qualità degli ecosistemi acquatici, quali l’individuazione delle priorità di intervento o misure più restrittive di quelle già previste dal D. Lgs. 152/2006, per i corpi idrici superficiali e sotterranei. Art. 6 - Stato quantitativo delle acque sotterranee L’articolo riproduce le disposizioni relative allo stato quantitativo dei corpi idrici sotterranei previste nel D. Lgs. 152/2006, secondo l’intento di assommare in unico corpus normativo la disciplina delle acque sotterranee. Per i corpi idrici sotterranei tra l’Italia e uno o più Stati membri dell’Unione Europea è previsto un coordinamento. Il monitoraggio verrà effettuato secondo i criteri dell’Allegato IV. Art. 7 - Misure per prevenire o limitare le immissioni di inquinanti nelle acque sotterranee L’articolo disciplina le modalità sulla base delle quali le Regioni devono realizzare i programmi di misure da mettere in campo al fine di contrastare l’inquinamento delle acque sotterranee. In particolare, si prevede che tali programmi siano volti ad eliminare le immissioni e gli scarichi nelle acque sotterranee delle sostanze pericolose individuate ai punti da 1 a 9 dell’Allegato 8 alla Terza Parte del D. Lgs. 152/2006 e a limitare le immissioni e gli scarichi di inquinanti nelle acque sotterranee di altre sostanze considerate non pericolose, individuate dallo stesso Allegato 8. Inoltre, al comma 3 vengono definite le deroghe. Infatti, la Direttiva, pur obbligando a misure più restrittive, prevede pure la possibilità di attuare misure meno rigorose, da applicarsi a condizione che gli inquinanti siano in quantità ed
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in concentrazioni così piccole da non costituire pericolo di deterioramento delle acque sotterranee, siano presenti in conseguenza di incidenti o di circostanze naturali che non potevano essere ragionevolmente previsti e attenuati, ovvero l’inquinamento sia considerato, dalle Autorità competenti, impossibile tecnicamente da prevenire o da limitare senza ricorrere a misure che potrebbero aumentare i rischi per la salute umana o a misure sproporzionate sulla base di analisi costi- benefici. Art. 8 - Modifica degli Allegati Vengono definite le modalità con cui si potrà provvedere a modificare gli Allegati tecnici del presente decreto per adeguarli alle norme comunitarie o a nuove acquisizioni scientifiche e tecnologiche. Art. 9 - Modifiche della Parte Terza del D.Lgs 152/2006 e successive modificazioni Vengono previste le abrogazioni delle definizioni e delle norme contenute nella Parte Terza del D. Lgs. 152/2006 secondo le nuove definizioni ed Allegati del Decreto stesso. Art. 10 - Disposizioni transitorie e finali In linea con la Direttiva, si introduce una norma transitoria in base alla quale, per il periodo compreso tra il 16 gennaio 2009 e il 22 dicembre 2013, le nuove autorizzazioni o i rinnovi delle autorizzazioni per attività previste dagli articoli 103 e 14 del D. Lgs. 152/2006 dovranno prevedere le disposizioni degli articoli 3, 4 e 5 del Decreto stesso. Art. 11 - Disposizioni finanziarie Dall’attuazione del Decreto stesso non debbono derivare maggiori oneri o minori entrate a carico della finanza pubblica. Allegato I - Identificazione e caratterizzazione dei corpi idrici sotterranei Ai fini di fornire alle Autorità competenti elementi puntuali per una corretta attività conoscitiva del territorio e dello stato qualitativo delle acque sotterranee, vengono definite le specifiche linee guida adottate a livello comunitario, i criteri tecnici sulla base dei quali identificare e delimitare i corpi idrici sotterranei e i principi per la caratterizzazione e la definizione delle due categorie (“rischio” e non “rischio”) da cui dipenderà il contenuto dei programmi di monitoraggio e delle misure da attuare. Per il ritardo documentato nell’adempimento dell’obbligo, previsto dalla Direttiva quadro 2000, di determinare per i singoli corpi idrici la categoria di rischio, l’Allegato offre alle Regioni criteri per una cautelativa definizione dell’elenco dei corpi idrici “a richio”. Viene abrogato, quindi, il punto 2 dell’Allegato 3 al D. Lgs. 152/2006, con cui erano state definite le modalità per la loro caratterizzazione delle acque sotterranee.
Allegato II - Elenco indicativo delle sostanze pericolose Fornisce alle Autorità competenti, seppure a titolo indicativo, un elenco minimo di sostanze pericolose, considerando che l’Allegato 8 della Parte Terza del D. Lgs. 152/2006, richiamato dall’articolo 7 con riferimento alle misure da adottare per prevenire o limitare le immissioni inquinanti nelle acque sotterranee, contiene un elenco delle sostanze chimiche aggregate per famiglia. Allegato III - Buono stato delle acque sotterranee Introduce sia gli standard di qualità ambientale definiti a livello comunitario (Tabella 2) che i valori soglia nazionali per gli altri inquinanti (Tabella 3) definendoli, secondo quanto stabilita dall’Allegato II della Direttiva 2006, sulla base di criteri di tossicità, di persistenza e di bioaccumulabilità delle sostanze e tenendo conto anche delle eventuali interazioni con i corpi idrici superficiali e con gli ecosistemi acquatici e terrestri. L’Allegato assomma le norme sulla tutela quali-quantitativa, riproducendo le disposizioni relative al buono stato chimico e al buono stato quantitativo previste all’Allegato 1 alla Parte Terza del D. Lgs. 152/2006, che, conseguentemente, sono abrogate. Allegato IV - Monitoraggio dei corpi idrici sotterranei Definisce, mutuandoli dall’Allegato I alla Parte Terza del D. Lgs. 152/2006, i criteri generali sulla base dei quali devono essere svolte le attività d monitoraggio ed introduce ulteriori specifiche sulle modalità di esenzione dello stesso monitoraggio desumendole dalle Linee guida emanate in materia in sede comunitaria, al fine di fornire alle amministrazioni regionali indicazioni tecniche di maggior dettaglio. In particolare, è previsto un monitoraggio di sorveglianza od operativo, in relazione all’analisi di rischio, ai fini della classificazione dello stato chimico e della verifica delle tendenze; per la classificazione dello stato quantitativo, invece, è previsto un monitoraggio ad hoc. Per ognuno dei predetti monitoraggi è stabilito che vengano riportate le frequenze, la selezione dei siti di monitoraggio e dei parametri da contrastare. Allegato V - Valutazione dello stato chimico delle acque sotterranee Vengono definiti i criteri tecnici di cui all’Art. 4, relativi alla valutazione dello stato chimico delle acque sotterranee in conformità a quanto stabilito nell’Allegato III della Direttiva 2006 che viene recepito. Allegato VI - Identificazione e inversione di tendenze significative e durature di aumento Si fissano i principi di cui all’Art. 5, in base ai quali, le Regioni dovranno individuare le tendenze significative e durature all’aumento della concentrazione di inquinanti nelle acque sotterranee e determinare i punti di partenza per l’inversione di tale tendenza.
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Attuazione della Direttiva 2006/118/CE (ndr. Si avverte che il testo del Decreto Legislativo inserito nelle pagine di questo Inserto non riveste carattere di ufficialità e non sostitutivo in alcun modo della pubblicazione ufficiale cartacea).
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione; Vista la legge 25 febbraio 2008, n. 34, e in particolare l’Allegato B; Vista la direttiva 2006/118/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, sulla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento; Vista la direttiva 2008/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa a standard di qualità ambientali nel settore della politica delle acque, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive del Consiglio 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/ CEE, 84/491/CEE, 86/280/CEE, nonché modifica della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio; Visto il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, recante norme in materia ambientale; Visto il decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 dicembre 2008; Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, espresso nella seduta del 22 gennaio 2009; Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 13 marzo 2009; Sulla proposta del Ministro per le politiche europee e del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, del lavoro, della salute e delle politiche sociali, delle politiche agricole alimentari e forestali, degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e per i rapporti con le regioni; Avvertenza: Il testo delle note qui pubblicato è stato redatto dall’amministrazione competente per materia ai sensi dell’art. 10, commi 2 e 3 del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985,
n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge modificate o alle quali è operato il rinvio. Restano invariati il valore e l’efficacia degli atti legislativi qui trascritti. Per le direttive CEE vengono forniti gli estremi di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee (GUCE) Note alle premesse: - L’art. 76 della Costituzione stabilisce che l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. - L’art. 87 della Costituzione conferisce, tra l’altro, al Presidente della Repubblica il potere di promulgare le leggi e di emanare i decreti aventi valore di legge ed i regolamenti. - Si riporta il testo dell’allegato B, della legge 25 febbraio 2008, n. 34, recante: «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. (Legge comunitaria 2007). Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 6 marzo 2008, n. 56, S.O.». «Allegato B 2006/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, sulle norme minime per l’applicazione dei regolamenti n. 3820/85/CEE e n. 3821/85/ CEE del Consiglio relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e che abroga la direttiva 88/599/ CEE del Consiglio. 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio e abroga la direttiva 84/253/CEE del Consiglio. 2006/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, che modifica le direttive del Consiglio 78/660/CEE, relativa ai conti annuali di taluni tipi di società, 83/349/CEE, relativa ai conti consolidati, 86/635/CEE, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, e 91/674/CEE, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle imprese di assicurazione. 2006/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e che abroga la direttiva 91/157/CEE. 2006/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, che modifica la direttiva 77/91/CEE del Consiglio relativamente alla costituzione delle società per azioni nonché alla salvaguardia e alle modificazioni del loro capitale sociale. 2006/69/ CE del Consiglio, del 24 luglio 2006, che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda talune misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta sul valore aggiunto e di contribuire a contrastare la frode o l’evasione fiscale e che abroga talune decisioni che autorizzano misure derogatorie. 2006/86/CE della Commissione, del 24 ottobre 2006, che attua la direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità, la notifica di reazioni ed eventi avversi gravi e determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani. 2006/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna e che abroga la direttiva 82/714/ CEE del Consiglio. 2006/88/CE del Consiglio, del 24 ottobre 2006, relativa alle condizioni di polizia sanitaria applicabili alle specie animali d’acquacoltura e ai relativi prodotti, nonché
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Regioni&Ambiente n° 5 Maggio 2009
“PROTEZIONE DELLE ACQUE SOTTERRANEE DALL’INQUINAMENTO E DAL DETERIORAMENTO”
INSERTO
D. Lgs. 16 marzo 2009, n. 30 (G.U. n. 79 del 04/04/2009)
alla prevenzione di talune malattie degli animali acquatici e alle misure di lotta contro tali malattie. 2006/88/CE del Consiglio, del 24 ottobre 2006, relativa alle condizioni di polizia sanitaria applicabili alle specie animali d’acquacoltura e ai relativi prodotti, nonché alla prevenzione di talune malattie degli animali acquatici e alle misure di lotta contro tali malattie. 2006/93/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, sulla disciplina dell’utilizzazione degli aerei di cui all’allegato 16 della convenzione sull’aviazione civile internazionale, volume 1, parte II, capitolo 3, seconda edizione (1988) (versione codificata). 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto. 2006/117/EURATOM del Consiglio, del 20 novembre 2006, relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito. 2006/118/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, sulla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento. 2006/121/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, che modifica la direttiva 67/548/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose per adattarla al regolamento (CE) n. 1907/2006 concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) e istituisce un’Agenzia europea per le sostanze chimiche. 2007/16/ CE della Commissione, del 19 marzo 2007, recante modalità di esecuzione della direttiva 85/611/CEE del Consiglio concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) per quanto riguarda il chiarimento di talune definizioni.». - La direttiva 2006/118/CE è pubblicata nella G.U.C.E. 27 dicembre 2006, n. L 372. - La direttiva 2008/105 è pubblicata nella G.U.C.E. 24 dicembre 2008, n. L 348. - La direttiva 82/176/CEE è pubblicata nella G.U.C.E. 27 marzo 1982, n. 81. - La direttiva 83/513/CEE è pubblicata nella G.U.C.E. 24 ottobre 1983 , n. L 29. - La direttiva 84/156 è pubblicata nella G.U.C.E. 17 marzo 1984, n. L 74. - La direttiva 84/491/CEE è pubblicata nella G.U.C.E. 17 ottobre 1984, n. L 274. - La direttiva 86/280/CEE è pubblicata nella G.U.C.E. 4 luglio 1986, n. L 181. - La direttiva 2000/60/CE è pubblicata nella G.U.C.E. 22 dicembre 2000, n. L 327. - Il decreto legislativo, 3 aprile 2006, n. 152, è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 14 aprile 2006, n. 88, S.O. - Il decreto-legge 30 dicembre 2008, n.208, è pubblicato nella 31 dicembre 2008, n. 304.
Emana il seguente decreto legislativo: Art. 1. Campo di applicazione e finalità 1. Il presente decreto si applica ai corpi idrici sotterranei identificati sulla base dei criteri tecnici riportati all’Allegato 1. 2. Ai fini del raggiungimento degli obiettivi di cui agli articoli 76 e 77 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, di seguito denominato: «decreto legislativo n. 152 del 2006», e successive modificazioni, il presente decreto, ad integrazione delle disposizioni di cui alla Parte terza del medesimo decreto legislativo n.152 del 2006, definisce misure specifiche per prevenire e controllare l’inquinamento ed il depauperamento delle acque sot-
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terranee, quali: a) criteri per l’identificazione e la caratterizzazione dei corpi idrici sotterranei; b) standard di qualità per alcuni parametri e valori soglia per altri parametri necessari alla valutazione del buono stato chimico delle acque sotterranee; c) criteri per individuare e per invertire le tendenze significative e durature all’aumento dell’inquinamento e per determinare i punti di partenza per dette inversioni di tendenza; d) criteri per la classificazione dello stato quantitativo; e) modalità per la definizione dei programmi di monitoraggio quali-quantitativo. Nota all’art. 1: - Gli articoli 76 e 77, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, citato nelle premesse, così recitano: «Art. 76 (Disposizioni generali). - 1. Al fine della tutela e del risanamento delle acque superficiali e sotterranee, la parte terza del presente decreto individua gli obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi idrici significativi e gli obiettivi di qualità per specifica destinazione per i corpi idrici di cui all’art. 78, da garantirsi su tutto il territorio nazionale. 2. L’obiettivo di qualità ambientale è definito in funzione della capacità dei corpi idrici di mantenere i processi naturali di autodepurazione e di supportare comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate. 3. L’obiettivo di qualità per specifica destinazione individua lo stato dei corpi idrici idoneo ad una particolare utilizzazione da parte dell’uomo, alla vita dei pesci e dei molluschi. 4. In attuazione della parte terza del presente decreto sono adottate, mediante il Piano di tutela delle acque di cui all’art. 121, misure atte a conseguire gli obiettivi seguenti entro il 22 dicembre 2015: a) sia mantenuto o raggiunto per i corpi idrici significativi superficiali e sotterranei l’obiettivo di qualità ambientale corrispondente allo stato di “buono”; b) sia mantenuto, ove già esistente, lo stato di qualità ambientale “elevato” come definito nell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto; c) siano mantenuti o raggiunti altresì per i corpi idrici a specifica destinazione di cui all’art. 79 gli obiettivi di qualità per specifica destinazione di cui all’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto, salvi i termini di adempimento previsti dalla normativa previgente. 5. Qualora per un corpo idrico siano designati obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione che prevedono per gli stessi parametri valori limite diversi, devono essere rispettati quelli più cautelativi quando essi si riferiscono al conseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale; l’obbligo di rispetto di tali valori limite decorre dal 22 dicembre 2015. 6. Il Piano di tutela provvede al coordinamento degli obiettivi di qualità ambientale con i diversi obiettivi di qualità per specifica destinazione. 7. Le regioni possono definire obiettivi di qualità ambientale più elevati, nonché individuare ulteriori destinazioni dei corpi idrici e relativi obiettivi di qualità.». «Art. 77 (Individuazione e perseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale). - 1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, sulla base dei dati già acquisiti e dei risultati del primo rilevamento effettuato ai sensi degli articoli 118 e 120, le regioni che non vi abbiano provveduto identificano per ciascun corpo idrico significativo, o parte di esso, la classe di qualità corrispondente ad una di quelle indicate nell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto. 2. In relazione alla classificazione di cui al comma 1 , le regioni
stabiliscono e adottano le misure necessarie al raggiungimento o al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale di cui all’art. 76, comma 4, lettere a) e b), tenendo conto del carico massimo ammissibile, ove fissato sulla base delle indicazioni delle Autorità di bacino, e assicurando in ogni caso per tutti i corpi idrici l’adozione di misure atte ad impedire un ulteriore degrado. 3. Al fine di assicurare entro il 22 dicembre 2015 il raggiungimento dell’obiettivo di qualità ambientale corrispondente allo stato di “buono”, entro il 31 dicembre 2008 ogni corpo idrico superficiale classificato o tratto di esso deve conseguire almeno i requisiti dello stato di “sufficiente” di cui all’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto. 4. Le acque ricadenti nelle aree protette devono essere conformi agli obiettivi e agli standard di qualità fissati nell’Allegato i alla parte terza del presente decreto, secondo le scadenze temporali ivi stabilite, salvo diversa disposizione della normativa di settore a norma della quale le singole aree sono state istituite. 5. La designazione di un corpo idrico artificiale o fortemente modificato e la relativa motivazione sono esplicitamente menzionate nei piani di bacino e sono riesaminate ogni sei anni. Le regioni possono definire un corpo idrico artificiale o fortemente modificato quando: a) le modifiche delle caratteristiche idromorfologiche di tale corpo, necessarie al raggiungimento di un buono stato ecologico, abbiano conseguenze negative rilevanti: 1) sull’ambiente in senso ampio; 2) sulla navigazione, comprese le infrastrutture portuali, o sul diporto; 3) sulle attività per le quali l’acqua è accumulata, quali la fornitura di acqua potabile, la produzione di energia o l’irrigazione; 4) sulla regolazione delle acque, la protezione dalle inondazioni o il drenaggio agricolo; 5) su altre attività sostenibili di sviluppo umano ugualmente importanti; b) i vantaggi cui sono finalizzate le caratteristiche artificiali o modificate del corpo idrico non possono, per motivi di fattibilità tecnica o a causa dei costi sproporzionati, essere raggiunti con altri mezzi che rappresentino un’opzione significativamente migliore sul piano ambientale. 6. Le regioni possono motivatamente prorogare il termine del 23 dicembre 2015 per poter conseguire gradualmente gli obiettivi dei corpi idrici purché non si verifichi un ulteriore deterioramento dello stato dei corpi idrici e sussistano tutte le seguenti condizioni: a) i miglioramenti necessari per il raggiungimento del buono stato di qualità ambientale non possono essere raggiunti entro i termini stabiliti almeno per uno dei seguenti motivi: 1) i miglioramenti dello stato dei corpi idrici possono essere conseguiti per motivi tecnici solo in fasi successive al 23 dicembre 2015; 2) il completamento dei miglioramenti entro i termini fissati sarebbe sproporzionalmente costoso; 3) le condizioni naturali non consentono il miglioramento del corpo idrico nei tempi richiesti; b) la proroga dei termini e le relative motivazioni sono espressamente indicate nei piani di cui agli articoli 117 e 121; c) le proroghe non possono superare il periodo corrispondente a due ulteriori aggiornamenti dei piani di cui alla lettera b), fatta eccezione per i casi in cui le condizioni naturali non consentano di conseguire gli obiettivi entro detto periodo; d) l’elenco delle misure, la necessità delle stesse per il miglioramento progressivo entro il termine previsto, la giustificazione di ogni eventuale significativo ritardo nella attuazione delle misure, nonché il relativo calendario di attuazione delle misure devono essere riportati nei piani di cui alla lettera b).
Le informazioni devono essere aggiornate nel riesame dei piani. 7. Le regioni, per alcuni corpi idrici, possono stabilire di conseguire obiettivi ambientali meno rigorosi rispetto a quelli di cui al comma 4, qualora, a causa delle ripercussioni dell’impatto antropico rilevato ai sensi dell’art. 118 o delle loro condizioni naturali, non sia possibile o sia esageratamente oneroso il loro raggiungimento. Devono, in ogni caso, ricorrere le seguenti condizioni: a) la situazione ambientale e socioeconomica non consente di prevedere altre opzioni significativamente migliori sul piano ambientale ed economico; b) la garanzia che: 1) per le acque superficiali venga conseguito il migliore stato ecologico e chimico possibile, tenuto conto degli impatti che non potevano ragionevolmente essere evitati per la natura dell’attività umana o dell’inquinamento; 2) per le acque sotterranee siano apportate modifiche minime al loro stato di qualità, tenuto conto degli impatti che non potevano ragionevolmente essere evitati per la natura dell’attività umana o dell’inquinamento; c) per lo stato del corpo idrico non si verifichi alcun ulteriore deterioramento; d) gli obiettivi ambientali meno rigorosi e le relative motivazioni figurano espressamente nel piano di gestione del bacino idrografico e del piano di tutela di cui agli articoli 117 e 121 e tali obiettivi sono rivisti ogni sei anni nell’ambito della revisione di detti piani. 8. Quando ricorrono le condizioni di cui al comma 7, la definizione di obiettivi meno rigorosi econsentita purché essi non comportino l’ulteriore deterioramento dello stato del corpo idrico e, fatto salvo il caso di cui alla lettera b) del medesimo comma 7, purché non sia pregiudicato il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla parte terza del presente decreto in altri corpi idrici compresi nello stesso bacino idrografico. 9. Nei casi previsti dai commi 6 e 7, i Piani di tutela devono comprendere le misure volte alla tutela del corpo idrico, ivi compresi i provvedimenti integrativi o restrittivi della disciplina degli scarichi ovvero degli usi delle acque. I tempi e gli obiettivi, nonché le relative misure, sono rivisti almeno ogni sei anni ed ogni eventuale modifica deve essere inserita come aggiornamento del piano. 10. Il deterioramento temporaneo dello stato del corpo idrico dovuto a circostanze naturali o di forza maggiore eccezionali e ragionevolmente imprevedibili, come alluvioni violente e siccità prolungate, o conseguente a incidenti ragionevolmente imprevedibili, non dà luogo a una violazione delle prescrizioni della parte terza del presente decreto, purché ricorrano tutte le seguenti condizioni: a) che siano adottate tutte le misure volte ad impedire l’ulteriore deterioramento dello stato di qualità dei corpi idrici e la compromissione del raggiungimento degli obiettivi di cui all’art. 76 ed al presente articolo in altri corpi idrici non interessati alla circostanza; b) che il Piano di tutela preveda espressamente le situazioni in cui detti eventi possono essere dichiarati ragionevolmente imprevedibili o eccezionali, anche adottando gli indicatori appropriati; c) che siano previste ed adottate misure idonee a non compromettere il ripristino della qualità del corpo idrico una volta conclusisi gli eventi in questione; d) che gli effetti degli eventi eccezionali o imprevedibili siano sottoposti a un riesame annuale e, con riserva dei motivi di cui all’art. 76, comma 4, lettera a), venga fatto tutto il possibile er ripristinare nel corpo idrico, non appena ciò sia ragionevolmente fattibile, lo stato precedente tali eventi; e) che una sintesi degli effetti degli eventi e delle misure adottate o da adottare sia inserita nel successivo aggiornamento del Piano di tutela. 10-bis. Le regioni non violano le disposizioni del presente decreto nei casi in cui:
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a) il mancato raggiungimento del buon stato delle acque sotterranee, del buono stato ecologico delle acque superficiali o, ove pertinente, del buon potenziale ecologico ovvero l’incapacità di impedire il deterioramento del corpo idrico superficiale e sotterraneo sono dovuti a nuove modifiche delle caratteristiche fisiche di un corpo idrico superficiale o ad alterazioni idrogeologiche dei corpi idrici sotterranei; b) l’incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale sia dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano purché sussistano le seguenti condizioni: 1) siano state avviate le misure possibili per mitigare l’impatto negativo sullo stato del corpo idrico; 2) siano indicate puntualmente ed illustrate nei piani di cui agli articoli 11 7 e 121 le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni e gli obiettivi siano rivisti ogni sei anni; 3) le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni di cui alla lettera b) siano di prioritario interesse pubblico ed i vantaggi per l’ambiente e la società, risultanti dal conseguimento degli obiettivi di cui al comma i , siano inferiori rispetto ai vantaggi derivanti dalle modifiche o dalle alterazioni per la salute umana, per il mantenimento della sicurezza umana o per lo sviluppo sostenibile; 4) per motivi di fattibilità tecnica o di costi sproporzionati, i vantaggi derivanti dalle modifiche o dalle alterazioni del corpo idrico non possano essere conseguiti con altri mezzi che garantiscono soluzioni ambientali migliori.».
Art. 2. Definizioni 1. Ai fini del presente decreto, si applicano, oltre alle definizioni di cui agli articoli 54 e 74 del decreto legislativo n. 152 del 2006, le seguenti definizioni: a) standard di qualità delle acque sotterranee: uno standard di qualità ambientale, definito a livello comunitario, come la concentrazione di un determinato inquinante, di un gruppo di inquinanti o un indicatore di inquinamento nelle acque sotterranee che non dovrebbe essere superato al fine di proteggere la salute umana e l’ambiente; b) valore soglia: lo standard di qualità ambientale delle acque sotterranee stabilito a livello nazionale conformemente alle disposizioni dell’articolo 3, comma 3; valori soglia possono essere definiti dalle regioni limitatamente alle sostanze di origine naturale sulla base del valore di fondo; c) buono stato chimico: lo stato chimico di un corpo idrico sotterraneo che risponde alle condizioni di cui agli articoli 3 e 4 ed all’Allegato 3, Parte A; d) buono stato quantitativo: stato definito all’Allegato 3, Parte B; e) tendenza significativa e duratura all’aumento dell’inquinamento: qualsiasi aumento significativo, dal punto di vista ambientale e statistico, della concentrazione di un inquinante, di un gruppo di inquinanti o di un indicatore di inquinamento delle acque sotterranee per il quale è individuata come necessaria l’inversione di tendenza in conformità all’articolo 5; f) scarico nelle acque sotterranee: lo scarico definito all’articolo 74, comma 1, lettera ff), del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato dall’articolo 2, comma 5, del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4; g) imissione indiretta nelle acque sotterranee: l’immissione, risultante dall’attività umana, di inquinanti nelle acque sotterranee attraverso il suolo o il sottosuolo;
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h) concentrazione di fondo: la concentrazione di una sostanza o il valore di un indicatore in un corpo idrico sotterraneo corrispondente all’assenza di alterazioni antropogeniche o alla presenza di alterazioni estremamente limitate rispetto a condizioni inalterate; i) livello di base: il valore medio misurato almeno durante gli anni di riferimento 2007 e 2008 sulla base di programmi di monitoraggio attuati ai sensi del punto B.4 dell’Allegato 1, della Parte Terza del decreto legislativo n. 152 del 2006 o, in caso di sostanze individuate dopo tali anni di riferimento, durante un periodo rappresentativo di due anni di monitoraggio effettuato in conformità all’Allegato 4; l) corpi idrici sotterranei a rischio: sono i corpi idrici le cui condizioni qualitative e/o quantitative possono pregiudicare il raggiungimento ovvero il mantenimento degli obiettivi ambientali di cui agli articoli 76 e 77 del decreto legislativo n. 152 del 2006; m) acquifero: uno o più strati sotterranei di roccia o altri strati geologici di permeabilità sufficiente da consentire un flusso significativo di acque sotterranee o l’estrazione di quantità significative di acque sotterranee. Nota all’art. 2: - L’art. 54 del decreto legislativo n. 152, citato nelle premesse, così recita: «Art. 54 (Definizioni). - 1. Ai fini della presente sezione si intende per: a) suolo: il territorio, il suolo, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali; b) acque: le acque meteoriche e le acque superficiali e sotterranee come di seguito specificate; c) acque superficiali: le acque interne, ad eccezione delle sole acque sotterranee, le acque di transizione e le acque costiere, tranne per quanto riguarda lo stato chimico, in relazione al quale sono incluse anche le acque territoriali; d) acque sotterranee: tutte le acque che si trovano sotto la superficie del suolo nella zona di saturazione e a contatto diretto con il suolo o il sottosuolo; e) acque interne: tutte le acque superficiali correnti o stagnanti e tutte le acque sotterranee all’interno della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali; f) fiume: un corpo idrico interno che scorre prevalentemente in superficie, ma che può essere parzialmente sotterraneo; g) lago: un corpo idrico superficiale interno fermo; h) acque di transizione: i corpi idrici superficiali in prossimità della foce di un fiume, che sono parzialmente di natura salma a causa della loro vicinanza alle acque costiere, ma sostanzialmente influenzati dai flussi di acqua dolce; i) acque costiere: le acque superficiali situate all’interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali, e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione; l) corpo idrico superficiale: un elemento distinto e significativo di acque superficiali, quale un lago, un bacino artificiale, un torrente, un fiume o canale, parte di un torrente, fiume o canale, nonché di acque di transizione o un tratto di acque costiere; m) corpo idrico artificiale: un corpo idrico superficiale creato da un’attività umana; n) corpo idrico fortemente modificato: un corpo idrico superficiale la cui natura, a seguito di alterazioni fisiche dovute a un’attività umana, è sostanzialmente modificata; o) corpo idrico sotterraneo: un volume distinto di acque sotterranee contenute da una o più falde acquifere;
p) falda acquifera: uno o più strati sotterranei di roccia o altri strati geologici di porosità e permeabilità sufficiente da consentire un flusso significativo di acque sotterranee o l’estrazione di quantità significative di acque sotterranee; q) reticolo idrografico: l’insieme degli elementi che costituiscono il sistema drenante alveato del bacino idrografico; r) bacino idrografico: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare al mare in un’unica foce, a estuario o delta; s) sottobacino o sub-bacino: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare in un punto specifico di un corso d’acqua, di solito un lago o la confluenza di un fiume; t) distretto idrografico: area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere che costituisce la principale unità per la gestione dei bacini idrografici; u) difesa del suolo: il complesso delle azioni ed attività riferibili alla tutela e salvaguardia del territorio, dei fiumi, dei canali e collettori, degli specchi lacuali, delle lagune, della fascia costiera, delle acque sotterranee, nonché del territorio a questi connessi, aventi le finalità di ridurre il rischio idraulico, stabilizzare i fenomeni di dissesto geologico, ottimizzare l’uso e la gestione del patrimonio idrico, valorizzare le caratteristiche ambientali e paesaggistiche collegate; v) dissesto idrogeologico: la condizione che caratterizza aree ove processi naturali o antropici, relativi alla dinamica dei corpi idrici, del suolo o dei versanti, determinano condizioni di rischio sul territorio; z) opera idraulica: l’insieme degli elementi che costituiscono il sistema drenante alveato del bacino idrografico.». - Il testo vigente dell’art. 74, del decreto legislativo n. 152, del 2006, citato nelle premesse, così come modificato dal presente decreto (v. art. 9), così recita: «Art. 74 (Definizioni). - 1. Ai fini della presente sezione si intende per: a) abitante equivalente: il carico organico biodegradabile avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) pari a 60 grammi di ossigeno al giorno; b) acque ciprinicole: le acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti ai ciprinidi (Cyprinidae) o a specie come i lucci, i pesci persici e le anguille; c) acque costiere: le acque superficiali situate all’interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione; d) acque salmonicole: le acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti a specie come le trote, i temoli e i coregoni; e) estuario: l’area di transizione tra le acque dolci e le acque costiere alla foce di un fiume, i cui limiti esterni verso il mare sono definiti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio; in via transitoria tali limiti sono fissati a cinquecento metri dalla linea di costa; f) acque dolci: le acque che si presentano in natura con una concentrazione di sali tale da essere considerate appropriate per l’estrazione e il trattamento al fine di produrre acqua potabile; g) acque reflue domestiche: acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche; h) “acque reflue industriali”: qualsiasi tipo di acque
reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento; i) acquifero: uno o più strati sotterranei di roccia o altri strati geologici di permeabilità sufficiente da consentire un flusso significativo di acque sotterranee o l’estrazione di quantità significative di acque sotterranee”; l) acque sotterranee: tutte le acque che si trovano al di sotto della superficie del suolo, nella zona di saturazione e in diretto contatto con il suolo e il sottosuolo; m) acque termali: le acque minerali naturali di cui all’art. 2, comma 1, lettera a), della legge 24 ottobre 2000, n. 323, utilizzate per le finalità consentite dalla stessa legge; n) agglomerato: l’area in cui la popolazione, ovvero le attività produttive, sono concentrate in misura tale da rendere ammissibile, sia tecnicamente che economicamente in rapporto anche ai benefici ambientali conseguibili, la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un sistema di trattamento o verso un punto di recapito finale; o) applicazione al terreno: l’apporto di materiale al terreno mediante spandimento e/o mescolamento con gli strati superficiali, iniezione, interramento; p) utilizzazione agronomica: la gestione di effluenti di allevamento, acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive, acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agro-alimentari, dalla loro produzione fino all’applicazione al terreno ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo, finalizzati all’utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti nei medesimi contenute; q) autorità d’ambito: la forma di cooperazione tra comuni e province per l’organizzazione del servizio idrico integrato; r) gestore del servizio idrico integrato: il soggetto che gestisce il servizio idrico integrato in un ambito territoriale ottimale ovvero il gestore esistente del servizio pubblico soltanto fino alla piena operatività del servizio idrico integrato; s) bestiame: tutti gli animali allevati per uso o profitto; t) composto azotato: qualsiasi sostanza contenente azoto, escluso quello allo stato molecolare gassoso; u) concimi chimici: qualsiasi fertilizzante prodotto mediante procedimento industriale; v) effluente di allevamento: le deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione di bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato, ivi compresi i reflui provenienti da attività di piscicoltura; z) eutrofizzazione: arricchimento delle acque di nutrienti, in particolare modo di composti dell’azoto e/o del fosforo, che provoca una abnorme proliferazione di alghe e/o di forme superiori di vita vegetale, producendo la perturbazione dell’equilibrio degli organismi presenti nell’acqua e della qualità delle acque interessate; aa) fertilizzante: fermo restando quanto disposto dalla legge 19 ottobre 1984, n. 748, le sostanze contenenti uno o più composti azotati, compresi gli effluenti di allevamento, i residui degli allevamenti ittici e i fanghi, sparse sul terreno per stimolare la crescita della vegetazione; bb) fanghi: i fanghi residui, trattati o non trattati, provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane; cc) inquinamento: l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze o di calore
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nell’aria, nell’acqua o nel terreno che possono nuocere alla salute umana o alla qualità degli ecosistemi acquatici o degli ecosistemi terrestri che dipendono direttamente da ecosistemi acquatici, perturbando, deturpando o deteriorando i valori ricreativi o altri legittimi usi dell’ambiente; “rete fognaria”: un sistema di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane; fognatura separata: la rete fognaria costituita da due canalizzazioni, la prima delle quali adibita alla raccolta ed al convogliamento delle sole acque meteoriche di dilavamento, e dotata o meno di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia, e la seconda adibita alla raccolta ed al convogliamento delle acque reflue urbane unitamente alle eventuali acque di prima pioggia; scarico: qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’art. 114; acque di scarico: tutte le acque reflue provenienti da uno scarico; scarichi esistenti: gli scarichi di acque reflue urbane che alla data del 13 giugno 1999 erano in esercizio e conformi al regime autorizzativo previgente e gli scarichi di impianti di trattamento di acque reflue urbane per i quali alla stessa data erano già state completate tutte le procedure relative alle gare di appalto e all’affidamento dei lavori, nonché gli scarichi di acque reflue domestiche che alla data del 13 giugno 1999 erano in esercizio e conformi al previgente regime autorizzativo e gli scarichi di acque reflue industriali che alla data del 13 giugno 1999 erano in esercizio e già autorizzati; trattamento appropriato: il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo ovvero un sistema di smaltimento che, dopo lo scarico, garantisca la conformità dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità ovvero sia conforme alle disposizioni della parte terza del presente decreto; trattamento primario: il trattamento delle acque reflue che comporti la sedimentazione dei solidi sospesi mediante processi fisici e/o chimico-fisici e/o altri, a seguito dei quali prima dello scarico il BOD5 delle acque in trattamento sia ridotto almeno del 20 per cento ed i solidi sospesi totali almeno del 50 per cento; mm) trattamento secondario: il trattamento delle acque reflue mediante un processo che in genere comporta il trattamento biologico con sedimentazione secondaria, o mediante altro processo in cui vengano comunque rispettati i requisiti di cui alla tabella 1 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto; stabilimento industriale, stabilimento: tutta l’area sottoposta al controllo di un unico gestore, nella quale si svolgono attività commerciali o industriali che comportano la produzione, la trasformazione e/o l’utilizzazione delle sostanze di cui all’Allegato 8 alla parte terza del presente decreto, ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico; valore limite di emissione: limite di accettabilità di una sostanza inquinante con tenuta in uno scarico, misurata in concentrazione, oppure in massa per unità di prodotto o di materia prima lavorata, o in massa per unità di tempo; i valori limite di emissione possono essere fissati anche per determinati grup-
pi, famiglie o categorie di sostanze. I valori limite di emissione delle sostanze si applicano di norma nel punto di fuoriuscita delle emissioni dall’impianto, senza tener conto dell’eventuale diluizione; l’effetto di una stazione di depurazione di acque reflue può essere preso in considerazione nella determinazione dei valori limite di emissione dell’impianto, a condizione di garantire un livello equivalente di protezione dell’ambiente nel suo insieme e di non portare carichi inquinanti maggiori nell’ambiente; pp) zone vulnerabili: zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati di origine agricola o zootecnica in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali tipi di scarichi. 2. Ai fini della presente sezione si intende inoltre per: a) acque superficiali: le acque interne ad eccezione di quelle sotterranee, le acque di transizione e le acque costiere, tranne per quanto riguarda lo stato chimico, in relazione al quale sono incluse anche le acque territoriali; b) acque interne: tutte le acque superficiali correnti o stagnanti, e tutte le acque sotterranee all’interno della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali; c) fiume: un corpo idrico interno che scorre prevalentemente in superficie ma che può essere parzialmente sotterraneo; d) lago: un corpo idrico superficiale interno fermo; e) acque di transizione: i corpi idrici superficiali in prossimità della foce di un fiume, che sono parzialmente di natura salma a causa della loro vicinanza alle acque costiere, ma sostanzialmente influenzate dai flussi di acqua dolce; f) corpo idrico artificiale: un corpo idrico superficiale creato da un’attività umana; g) corpo idrico fortemente modificato: un corpo idrico superficiale la cui natura, a seguito di alterazioni fisiche dovute a un’attività umana, è sostanzialmente modificata, come risulta dalla designazione fattane dall’autorità competente in base alle disposizioni degli articoli 118 e 120; h) corpo idrico superficiale: un elemento distinto e significativo di acque superficiali, quale un lago, un bacino artificiale, un torrente, fiume o canale, parte di un torrente, fiume o canale, acque di transizione o un tratto di acque costiere; i) falda acquifera: uno o più strati sotterranei di roccia o altri strati geologici di porosità e permeabilità sufficiente da consentire un flusso significativo di acque sotterranee o l’estrazione di quantità significative di acque sotterranee; l) corpo idrico sotterraneo: un volume distinto di acque sotterranee contenute da una o più falde acquifere; m) bacino idrografico: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare al mare in un’unica foce, a estuario o delta; n) sotto-bacino idrografico: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi e laghi per sfociare in un punto specifico di un corso d’acqua, di solito un lago o la confluenza di un fiume; o) distretto idrografico: l’area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere che costituisce la principale unità per la gestione dei bacini idrografici; p) stato delle acque superficiali: l’espressione complessiva dello stato di un corpo idrico superficiale, determinato
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dal valore più basso del suo stato ecologico e chimico; buono stato delle acque superficiali: lo stato raggiunto da un corpo idrico superficiale qualora il suo stato, tanto sotto il profilo ecologico quanto sotto quello chimico, possa essere definito almeno “buono”; stato delle acque sotterranee: l’espressione complessiva dello stato di un corpo idrico sotterraneo, determinato dal valore più basso del suo stato quantitativo e chimico; buono stato delle acque sotterranee: lo stato raggiunto da un corpo idrico sotterraneo qualora il suo stato, tanto sotto il profilo quantitativo quanto sotto quello chimico, possa essere definito almeno “buono”; stato ecologico: l’espressione della qualità della struttura e del funzionamento degli ecosistemi acquatici associati alle acque superficiali, classificato a norma dell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto; buono stato ecologico: lo stato di un corpo idrico superficiale classificato in base all’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto; buon potenziale ecologico: lo stato di un corpo idrico artificiale o fortemente modificato, così classificato in base alle disposizioni pertinenti dell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto; buono stato chimico delle acque superficiali: lo stato chimico richiesto per conseguire gli obiettivi ambientali per le acque superficiali o fissati dal presento, ossia lo stallo raggiunto da un corpo idrico superficiale nel quale la concentrazione degli inquinanti noti supera gli standard di qualità ambientali fissati dall’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto, Tabella 1/A ed ai sensi della parte terza del presente decreto; buono stato chimico delle acque sotterranee: lo stato chimico di un corpo idrico sotterraneo che risponde a tutte le condizioni di cui alla tabella B.3.2 dell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto; stato quantitativo: l’espressione del grado in cui un corpo idrico sotterraneo è modificato da estrazioni dirette e indirette; risorse idriche sotterranee disponibili: il risultato della velocità annua media di ravvenamento globale a lungo termine del corpo idrico sotterraneo meno la velocità annua media a lungo termine del flusso necessario per raggiungere gli obiettivi di qualità ecologica per le acque superficiali connesse, di cui all’art. 76, al fine di evitare un impoverimento significativo dello stato ecologico di tali acque, nonché danni rilevanti agli ecosistemi terrestri connessi; buono stato quantitativo: stato definito nella tabella B.1.2 dell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto; sostanze pericolose: le sostanze o gruppi di sostanze tossiche, persistenti e bio-accumulabili e altre sostanze o gruppi di sostanze che danno adito a preoccupazioni analoghe; sostanze prioritarie e sostanze pericolose prioritarie: le sostanze individuate con disposizioni comunitarie ai sensi dell’art. 16 della direttiva 2000/60/CE; inquinante: qualsiasi sostanza che possa inquinare, in particolare quelle elencate nell’Allegato 8 alla parte terza del presente decreto; immissione diretta nelle acque sotterranee: l’immissione di inquinanti nelle acque sotterranee senza infiltrazione attraverso il suolo o il sottosuolo; obiettivi ambientali: gli obiettivi fissati dal titolo II della parte terza del presente decreto; standard di qualità ambientale: la concentrazione di un particolare inquinante o gruppo di inquinanti nelle acque, nei sedimenti e nel biota che non deve
essere superata per tutelare la salute umana e l’ambiente; mm) approccio combinato: l’insieme dei controlli, da istituire o realizzare, salvo diversa indicazione delle normative di seguito citate, entro il 22 dicembre 2012, riguardanti tutti gli scarichi nelle acque superficiali, comprendenti i controlli sulle emissioni basati sulle migliori tecniche disponibili, quelli sui pertinenti valori limite di emissione e, in caso di impatti diffusi, quelli comprendenti, eventualmente, le migliori prassi ambientali; tali controlli sono quelli stabiliti: 1) nel decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento; 2) nella parte terza del presente decreto in materia di acque reflue urbane, nitrati provenienti da fonti agricole, sostanze che presentano rischi significativi per l’ambiente acquatico o attraverso l’ambiente acquatico, inclusi i rischi per le acque destinate alla produzione di acqua potabile e di scarichi di Hg, Cd, HCH, DDT, PCP, aldrin, dieldrin, endrin, HCB, HCBD, cloroformio, tetracloruro di carbonio, EDC, tricloroetilene, TCB e percloroetilene; nn) acque destinate al consumo umano: le acque disciplinate dal decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31; oo) servizi idrici: tutti i servizi che forniscono alle famiglie, agli enti pubblici o a qualsiasi attività economica: 1) estrazione, arginamento, stoccaggio, trattamento e distribuzione di acque superficiali o sotterranee; 2) strutture per la raccolta e il trattamento delle acque reflue, che successivamente scaricano nelle acque superficiali; pp) utilizzo delle acque: i servizi idrici unitamente agli altri usi risultanti dall’attività conoscitiva di cui all’art. 118 che incidono in modo significativo sullo stato delle acque. Tale nozione si applica ai fini dell’analisi economica di cui all’Allegato 10 alla parte terza del presente decreto; qq) [valori limite di emissione: la massa espressa in rapporto a determinati parametri specifici, la concentrazione e/o il livello di un’emissione che non devono essere superati in uno o più periodi di tempo. I valori limite di emissione possono essere fissati anche per determinati gruppi, famiglie o categorie di sostanze. I valori limite di emissione delle sostanze si applicano di norma nel punto di fuoriuscita delle emissioni dall’impianto, senza tener conto dell’eventuale diluizione; per gli scarichi indiretti nell’acqua, l’effetto di una stazione di depurazione di acque reflue può essere preso in considerazione nella determinazione dei valori limite di emissione dell’impianto, a condizione di garantire un livello equivalente di protezione dell’ambiente nel suo insieme e di non portare a carichi inquinanti maggiori nell’ambiente]. Lettera abrogata dall’art. 2, comma 7, decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4; rr) controlli delle emissioni: i controlli che comportano una limitazione specifica delle emissioni, ad esempio un valore limite delle emissioni, oppure che definiscono altrimenti limiti o condizioni in merito agli effetti, alla natura o ad altre caratteristiche di un’emissione o condizioni operative che influiscono sulle emissioni; ss) costi ambientali: i costi legati ai danni che l’utilizzo stesso delle risorse idriche causa all’ambiente, agli ecosistemi e a coloro che usano l’ambiente; tt) costi della risorsa: i costi delle mancate opportunità imposte ad altri utenti in conseguenza dello sfruttamento intensivo delle risorse al di là del loro livello di ripristino e ricambio naturale; uu) impianto: l’unità tecnica permanente in cui sono
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svolte una o più attività di cui all’Allegato I del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, e qualsiasi altra attività accessoria, che siano tecnicamente connesse con le attività svolte in uno stabilimento e possono influire sulle emissioni e sull’inquinamento; nel caso di attività non rientranti nel campo di applicazione del decreto legislativo i 8 febbraio 2005, n. 59, l’impianto si identifica nello stabilimento. Nel caso di attività di cui all’Allegato I del predetto decreto, l’impianto si identifica con il complesso assoggettato alla disciplina della prevenzione e controllo integrati dell’inquinamento. - L’art. 2, comma 5, del decreto legislativo l6 gennaio 2008, n. 4, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 29 gennaio 2008, n. 24, S.O., così recita: «Art. 2 (Modifiche alle Parti terza e quarta del decreto legis1ativo 3 aprile 2006, n. 152). - Omissis. 5. All’art. 74, comma 1, lettera ff), le parole: “qualsiasi immissione di acque reflue in” sono sostituite dalle seguenti: “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore”. Omissis». - L’allegato 1, Parte Terza B.4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, citato nella premesse, reca: «Parte Terza Allegato 1 Monitoraggio e classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale. B.4. Monitoraggio dello stato chimico delle acque sotterranee». - Per gli articoli 76 e 77, del decreto legislativo n. 152 del 2006, vedi note all’art. 1.
Art. 3. Criteri per valutare lo stato chimico delle acque sotterranee 1. Ai fini della valutazione dello stato chimico di un corpo o di un gruppo di corpi idrici sotterranei, le regioni adottano gli standard di qualità ambientale ed i valori soglia indicati rispettivamente dalle tabelle 2 e 3 della Parte A dell’Allegato 3. 2. I valori soglia e gli standard di qualità di cui al comma 1 si applicano limitatamente alle sostanze, ai gruppi di sostanze ed agli indicatori di inquinamento che, a seguito dell’attività di caratterizzazione effettuata ai sensi dell’Allegato 1, Parte B, risultino determinare il rischio di non raggiungimento degli obiettivi ambientali di cui agli articoli 76 e 77 del decreto legislativo n. 152 del 2006. 3. I valori soglia di cui all’Allegato 3, Parte A, Tabella 3, sono definiti a livello nazionale secondo i criteri riportati allo stesso Allegato 3, Parte A.2. La fissazione di detti valori, necessaria all’identificazione del buono stato chimico per alcune sostanze, tiene conto della protezione del corpo idrico sotterraneo in relazione all’impatto e al rapporto tra acque sotterranee e acque superficiali, acque sotterranee ed ecosistemi terrestri ed acquatici ad esse connessi e delle conoscenze tossicologiche ed ecotossicologiche. 4. Qualora un corpo idrico sotterraneo sia designato per l’estrazione di acqua destinata al consumo umano, restano valide le disposizioni di cui all’articolo 82, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006. 5. Per i corpi idrici sotterranei condivisi tra l’Italia e uno o più Stati membri della Unione europea ovvero uno o più Paesi non appartenenti all’Unione europea, la fissazione dei valori soglia è soggetta a un coordinamento tra il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, le Regioni interessate e gli Stati confinanti. 6. Le autorità competenti ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 riportano nei piani di gestione di bacino
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idrografico e nei piani di tutela di cui agli articoli 117 e 121 del decreto legislativo n. 152 del 2006 gli standard di qualità ed i valori soglia di cui all’Allegato 3 come obiettivo da raggiungere entro il 22 dicembre 2015, nonché l’elenco delle sostanze rilevate nei corpi idrici sotterranei ricadenti nel territorio di competenza. 7. Le regioni, per le sostanze presenti nelle acque sotterranee ricadenti nel territorio di propria competenza non ricomprese nell’Allegato 3, richiedono la fissazione dei relativi valori soglia al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che li definisce sulla base delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili, avvalendosi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), dell’Istituto superiore di sanità (ISS) e del Consiglio nazionale delle ricercheIstituto di ricerca sulle acque (CNR-IRSA). Nota all’art. 3: - Per gli articoli 76 e 77, del decreto legislativo n. 152 del 2006, vedi note all’art. 1. - L’art. 82, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, citato nelle premesse, così recita: «Art. 82 (Acque utilizzate per l’estrazione di acqua potabile). - Omissis. 3. Per i corpi idrici di cui al comma i deve essere conseguito l’obiettivo ambientale di cui agli articoli 76 e seguenti.». - Gli articoli 117 e 121 , del decreto legislativo n. 152 del 2006, così recitano: «Art. 117 (Piani di gestione e registro delle aree protette). - 1. Per ciascun distretto idrografico è adottato un Piano di gestione, che rappresenta articolazione interna del Piano di bacino distrettuale di cui all’art. 65. Il Piano di gestione costituisce pertanto piano stralcio del Piano di bacino e viene adottato e approvato secondo le procedure stabilite per quest’ultimo dall’art. 66. Le Autorità di bacino, ai fini della predisposizione dei Piani di gestione, devono garantire la partecipazione di tutti i soggetti istituzionali competenti nello specifico settore. 2. Il Piano di gestione è composto dagli elementi indicati nella parte A dell’Allegato 4 alla parte terza del presente decreto. 3. L’Autorità di bacino, sentite le Autorità d’ambito del servizio idrico integrato, istituisce entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente norma, sulla base delle informazioni trasmesse dalle regioni, un registro delle aree protette di cui all’Allegato 9 alla parte terza del presente decreto, designate dalle autorità competenti ai sensi della normativa vigente.». «Art. 121 (Piani di tutela della acque). - 1. Il Piano di tutela delle acque costituisce uno specifico piano di settore ed è articolato secondo i contenuti elencati nel presente articolo, nonché secondo le specifiche indicate nella parte B dell’Allegato 4 alla parte terza del presente decreto. 2. Entro il 31 dicembre 2006 le Autorità di bacino, nel contesto delle attività di pianificazione o mediante appositi atti di indirizzo e coordinamento, sentite le province e le Autorità d’ambito, definiscono gli obiettivi su scala di distretto cui devono attenersi i piani di tutela delle acque, nonché le priorità degli interventi. Entro il 31 dicembre 2007, le regioni, sentite le province e previa adozione delle eventuali misure di salvaguardia, adottano il Piano di tutela delle acquee lo trasmettono al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio nonché alle competenti Autorità di bacino, per le verifiche di competenza. 3. Il Piano di tutela contiene, oltre agli interventi volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di cui alla parte terza del presente decreto, le misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico. 4. Per le finalità di cui al comma 1 il Piano di tutela contiene in particolare: a) i risultati dell’attività conoscitiva;
b)
l’individuazione degli obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione; c) l’elenco dei corpi idrici a specifica destinazione e delle aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall’inquinamento e di risanamento; d) le misure di tutela qualitative e quantitative tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico; e) l’indicazione della cadenza temporale degli interventi e delle relative priorità; f) il programma di verifica dell’efficacia degli interventi previsti; g) gli interventi di bonifica dei corpi idrici; g-bis) i dati in possesso delle autorità e agenzie competenti rispetto al monitoraggio delle acque di falda delle aree interessate e delle acque potabili dei comuni interessati, rilevati e periodicamente aggiornati presso la rete di monitoraggio esistente, da pubblicare in modo da renderli disponibili per i cittadini; h) l’analisi economica di cui all’Allegato 10 alla parte terza del presente decreto e le misure previste al fine di dare attuazione alle disposizioni di cui all’art. 119 concernenti il recupero dei costi dei servizi idrici; i) le risorse finanziarie previste a legislazione vigente. 5. Entro centoventi giorni dalla trasmissione del Piano di tutela le Autorità di bacino verificano la conformità del piano agli atti di pianificazione o agli atti di indirizzo e coordinamento di cui al comma 2, esprimendo parere vincolante. Il Piano di tutela è approvato dalle regioni entro i successivi sei mesi e comunque non oltre il 31 dicembre 2008. Le successive revisioni e gli aggiornamenti devono essere effettuati ogni sei anni.».
Art. 4. Procedura di valutazione dello stato chimico delle acque sotterranee 1. Le regioni, ai fini della valutazione dello stato chimico delle acque sotterranee, adottano la procedura di cui al comma 2 e possono prevedere, nell’ambito delle attività di monitoraggio, il raggruppamento dei corpi idrici sotterranei secondo le modalità riportate all’Allegato 4, punto 4.1. 2. Un corpo o un gruppo di corpi idrici sotterranei sono considerati in buono stato chimico quando ricorra una delle seguenti condizioni : a) sono rispettate le condizioni riportate all’Allegato 3, Parte A, tabella 1; b) sono rispettati, per ciascuna sostanza controllata, gli standard di qualità ed i valori soglia di cui all’Allegato 3, Parte A, tabelle 2 e 3, in ognuno dei siti individuati per il monitoraggio del corpo idrico sotterraneo o dei gruppi di corpi idrici sotterranei; c) lo standard di qualità delle acque sotterranee o il valore soglia è superato in uno o più siti di monitoraggio, che comunque rappresentino non oltre il 20 per cento dell’area totale o del volume del corpo idrico, per una o più sostanze ed un’appropriata indagine svolta in conformità all’Allegato 5 conferma che: 1) sulla scorta della valutazione di cui all’Allegato 5, punto 3, non si ritiene che le concentrazioni di inquinanti che superano gli standard di qualità o i valori soglia delle acque sotterranee definiti rappresentino un rischio ambientale significativo, tenendo conto dell’estensione del corpo idrico sotterraneo interessato; 2) le altre condizioni per la valutazione del buono stato chimico delle acque sotterranee riportate all’Allegato 3, Parte A, Tabella 1, sono soddisfatte in conformità al punto 4 dell’Allegato 5;
3) i corpi idrici sotterranei utilizzati o che saranno utilizzati per l’estrazione di acque destinate al consumo umano, che forniscono in media oltre 10 m3/giorno o servono più di 50 persone, sono assoggettati ad una protezione tale che impedisca il peggioramento della loro qualità o un aumento del livello di trattamento per la potabilizzazione necessaria a garantire i requisiti di qualità di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31; 4) la capacità del corpo idrico sotterraneo o di ogni singolo corpo del gruppo di corpi idrici sotterranei di sostenere gli usi umani non è stata danneggiata in maniera significativa dall’inquinamento. 3. I corpi idrici sotterranei sono assoggettati al monitoraggio da effettuare secondo i criteri riportati all’Allegato 4, al fine di acquisire i dati di monitoraggio rappresentativi per una conoscenza corretta e complessiva dello stato chimico delle acque sotterranee. 4. Le autorità competenti ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 riportano nei piani di gestione di bacino idrografico e nei piani di tutela, la classificazione dei corpi idrici sotterranei effettuata secondo la procedura di cui al comma 2, nonché, qualora ricorrano le condizioni di cui alla lettera c) del medesimo comma 2, la sintesi della valutazione dello stato chimico contenente anche una descrizione del metodo seguito nella valutazione finale, in considerazione dei superamenti degli standard di qualità o dei valori soglia per le acque sotterranee nei singoli siti di monitoraggio. 5. Qualora un corpo idrico sotterraneo sia classificato in buono stato chimico in conformità al comma 2, lettera c), al fine di proteggere gli ecosistemi acquatici, terrestri e gli usi legittimi delle acque sotterranee dipendenti dalla parte del corpo idrico sotterraneo rappresentata dal sito o dai siti di monitoraggio in cui è stato superato lo standard di qualità o il valore soglia, le regioni attuano programmi di misure contenenti almeno quelle indicate alla Parte Terza del decreto legislativo n.152 del 2006, nonché altre misure derivanti da specifiche normative che possono essere messe in relazione alla tutela delle acque sotterranee. Nota all’art. 4: - Il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, reca: «Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 3 marzo 2001, n. 52, S.O.». - Per il decreto legislativo n. 152 del 2006, Parte Terza, vedi note all’art. 2.
Art. 5. Individuazione di tendenze significative e durature all’aumento delle concentrazioni di inquinanti e determinazione dei punti di partenza per le inversioni di tendenza 1. Le autorità di Bacino, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base dei dati derivati dalle attività di monitoraggio, individuano, conformemente all’Allegato 6, Parte A, le tendenze significative e durature all’aumento delle concentrazioni di inquinanti, di gruppi di inquinanti e di indicatori di inquinamento rilevate nei corpi o nei gruppi di corpi idrici sotterranei che sono stati identificati a rischio e determinano: a) i punti di partenza per le inversioni di tendenza come una percentuale del livello degli standard di qualità e
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dei valori soglia delle acque sotterranee indicati all’Allegato 3, in base alla tendenza individuata e al rischio ambientale ad essa associato, conformemente all’Allegato 6, Parte B, punto 1; b) le priorità di intervento. 2. Sulla base degli atti emanati in attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, le regioni, al fine di ridurre progressivamente l’inquinamento, di prevenire il deterioramento delle acque sotterranee e di invertire le tendenze che presentano un rischio significativo di danno per la qualità degli ecosistemi acquatici o degli ecosistemi terrestri, per la salute umana o per gli usi legittimi, reali o potenziali, dell’ambiente acquatico, individuano ed applicano, ove necessario, misure più restrittive di quelle indicate alla Parte Terza del decreto legislativo n.152 del 2006. 3. Le autorità competenti ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 riportano nei piani di gestione di bacino idrografico e nei piani di tutela, nell’ambito della revisione periodica degli stessi, le misure adottate, indicando altresì una sintesi in cui si evidenziano: a) la metodologia utilizzata per la valutazione di tendenza nei singoli siti di monitoraggio di un corpo idrico o di un gruppo di corpi idrici sotterranei sulla base della quale gli stessi corpi idrici sono soggetti ad una tendenza significativa e duratura all’aumento della concentrazione di un inquinante o ad un’inversione di tale tendenza; b) i criteri su cui si è basata la determinazione dei punti di partenza di cui al comma 1. 4. Le regioni, qualora necessario per determinare l’impatto dei pennacchi di inquinamento riscontrati nei corpi idrici sotterranei che possono compromettere il conseguimento degli obiettivi di qualità di cui agli articoli 76 e 77 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, in particolare, i pennacchi risultanti da fonti puntuali e da aree contaminate, svolgono controlli supplementari di valutazioni di tendenza per gli inquinanti individuati, al fine di verificare che i pennacchi non si espandano, non provochino un deterioramento dello stato chimico del corpo o del gruppo di corpi idrici sotterranei e non rappresentino un rischio per la salute umana e per l’ambiente. I risultati di tali valutazioni sono sintetizzati nei piani di gestione dei bacini idrografici e nei piani di tutela. Nota all’art. 5: - Per il decreto legislativo n. 152 del 2006, Parte Terza, vedi note all’art. 2. - Per gli articoli 76 e 77 del decreto legislativo n. 152 del 2006, vedi note all’art. 1.
Art. 6. Stato quantitativo delle acque sotterranee 1. Ai fini della valutazione del buono stato quantitativo di un corpo idrico sotterraneo o di un gruppo di corpi idrici sotterranei, le regioni si attengono ai criteri di cui all’Allegato 3, Parte B, tabella 4. 2. Per i corpi idrici sotterranei condivisi tra l’Italia e uno o più Stati membri dell’Unione europea ovvero uno o più Paesi non appartenenti all’Unione europea, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni interessate avviano un coordinamento con gli Stati confinanti ai fini della valutazione dello stato quantitativo dei corpi idrici sotterranei e dell’individuazione delle misure necessarie alla tutela quantitativa
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degli stessi. 3. I corpi idrici sotterranei sono assoggettati al monitoraggio da effettuare secondo i criteri riportati all’Allegato 4, punto 4.3, al fine di acquisire i dati di monitoraggio rappresentativi per una conoscenza corretta e complessiva dello stato quantitativo delle acque sotterranee. 4. Le autorità competenti ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 riportano nei piani di gestione di bacino idrografico e nei piani di tutela, la classe di qualità dello stato quantitativo nonché le misure individuate ai fini del raggiungimento o del mantenimento del buono stato quantitativo per i corpi idrici sotterranei ricadenti nel territorio di competenza. Nota all’art. 6: - Per il decreto legislativo n. 152 del 2006, vedi note alle premesse.
Art. 7. Misure per prevenire o limitare le immissioni di inquinanti nelle acque sotterranee 1. Ferme restando le disposizioni di cui agli articoli 103 e 104 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al fine di prevenire o di limitare le immissioni di inquinanti nelle acque sotterranee e di perseguire gli obiettivi di cui agli articoli 76 e 77 del decreto legislativo n.152 del 2006, le regioni assicurano che il programma di misure stabilito conformemente all’articolo 116 del medesimo decreto legislativo comprenda: a) tutte le misure necessarie a prevenire scarichi ed immissioni indirette nelle acque sotterranee di sostanze pericolose di cui articolo 74, comma 2, lettera ee), del decreto legislativo n. 152 del 2006. Le regioni individuano le sostanze pericolose tenendo conto, in particolare, di quelle appartenenti alle famiglie o ai gruppi di inquinanti tra quelle dell’Allegato 8, alla Parte Terza, punti da 1 a 9, del decreto legislativo n. 152 del 2006; b) tutte le misure necessarie per limitare gli scarichi e le immissioni indirette nelle acque sotterranee di sostanze non considerate pericolose di cui al citato Allegato 8 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e di altri inquinanti non pericolosi, al fine di evitare un deterioramento ed una significativa e duratura tendenza all’aumento della concentrazione di inquinanti nelle acque sotterranee. Nell’individuazione delle misure si tiene conto delle migliori pratiche ambientali e delle migliori tecniche disponibili. 2. Ai fini dell’attuazione delle disposizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1, è riportato all’Allegato 2 del presente decreto un elenco indicativo minimo di sostanze pericolose. 3. Fatti salvi eventuali requisiti più rigorosi fissati dalla normativa nazionale o regionale di settore, le regioni possono escludere dalle misure di cui al comma 1 gli scarichi e le immissioni indirette di inquinanti che sono: a) considerate essere in quantità e concentrazioni così piccole da precludere qualsiasi attuale o futuro pericolo di deterioramento della qualità delle acque sotterranee riceventi; b) le conseguenze di incidenti o di circostanze naturali eccezionali che non possano ragionevolmente essere previsti, evitati o attenuati; c) considerate come tecnicamente impossibili da
prevenire o limitare senza ricorrere a misure che aumenterebbero i rischi per la salute umana o la qualità dell’ambiente nel suo complesso o a misure sproporzionatamente onerose per rimuovere quantità di inquinanti da terreni o sottosuoli contaminati o altrimenti controllare la loro percolazione negli stessi; d) il risultato degli interventi nelle acque superficiali intesi, tra l’altro, a mitigare gli effetti di inondazioni e siccità e ai fini della gestione delle acque e delle vie navigabili, anche a livello internazionale; tali attività, che comprendono ad esempio, le escavazioni, il dragaggio, il trasferimento ed il deposito di sedimenti in acqua superficiale, sono condotte in conformità alla normativa vigente, purché dette immissioni non compromettano il raggiungimento degli obiettivi ambientali di cui agli articoli 76 e 77 del decreto legislativo n. 152 del 2006. 4. Le regioni possono ricorrere alle esenzioni di cui alle lettere a), b) e c) del comma 3 solo se è in atto un efficiente monitoraggio delle acque sotterranee ai sensi dell’Allegato 4. 5. Le regioni, qualora ricorrano alle esenzioni di cui al comma 3, informano tempestivamente il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. 6. Il comma 3 dell’articolo 104 del decreto legislativo n. 152 del 2006 è sostituito dal seguente: «3. In deroga a quanto previsto al comma 1, per i giacimenti a mare, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministero dello sviluppo economico e, per i giacimenti a terra, ferme restando le competenze del Ministero dello sviluppo economico in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, le regioni possono autorizzare lo scarico di acque risultanti dall’estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti ovvero in unità dotate delle stesse caratteristiche che contengano, o abbiano contenuto, idrocarburi, indicando le modalità dello scarico. Lo scarico non deve contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle derivanti dalla separazione degli idrocarburi. Le relative autorizzazioni sono rilasciate con la prescrizione delle precauzioni tecniche necessarie a garantire che le acque di scarico non possano raggiungere altri sistemi idrici o nuocere ad altri ecosistemi.». Nota all’art. 7: - L’art. 103 del decreto legislativo n. 152 del 2006, citato nelle premesse, così recita: «Art. 103 (Scarichi sul suolo). - 1 . È vietato lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo, fatta eccezione: a) per i casi previsti dall’art. 100, comma 3; b) per gli scaricatori di piena a servizio delle reti fognarie; c) per gli scarichi di acque reflue urbane e industriali per i quali sia accertata l’impossibilità tecnica o l’eccessiva onerosità, a fronte dei benefici ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali, purchè gli stessi siano conformi ai criteri ed ai valori-limite di emissione fissati a tal fine dalle regioni ai sensi dell’art. 101, comma 2. Sino all’emanazione di nuove norme regionali si applicano i valori limite di emissione della Tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto; d) per gli scarichi di acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali, purché i relativi fanghi siano costituiti
esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde acquifere o instabilità dei suoli; e) per gli scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate; f) per le acque derivanti dallo sfioro dei serbatoi idrici, dalle operazioni di manutenzione delle reti idropotabili e dalla manutenzione dei pozzi di acquedotto. 2. Al di fuori delle ipotesi previste al comma 1, gli scarichi sul suolo esistenti devono essere convogliati in corpi idrici superficiali, in reti fognarie ovvero destinati al riutilizzo in conformità alle prescrizioni fissate con il decreto di cui all’art. 99, comma 1. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l’autorizzazione allo scarico si considera a tutti gli effetti revocata. 3. Gli scarichi di cui alla lettera c) del comma 1 devono essere conformi ai limiti della Tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto. Resta comunque fermo il divieto di scarico sul suolo delle sostanze indicate al punto 2.1 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.». - Il testo vigente dell’art. 104 del decreto legislativo n. 152 del 2006, citato nelle premesse, così come modificato dal presente decreto, così recita: «Art. 104 (Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee). - 1. È vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo. 2. In deroga a quanto previsto al comma 1, l’autorità competente, dopo indagine preventiva, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile, ivi comprese quelle degli impianti di scambio termico. “3. In deroga a quanto previsto al comma 1, per i giacimenti a mare, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministero dello sviluppo economico e per i giacimenti a terra, ferme restando le competenze del Ministero dello sviluppo economico in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, le Regioni possono autorizzare lo scarico di acque risultanti dall’estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti ovvero in unità dotate delle stesse caratteristiche che contengano o abbiano contenuto idrocarburi, indicando le modalità dello scarico. Lo scarico non deve contenere altre acque di scarico o altre sostanzepericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle derivanti dalla separazione degli idrocarburi. Le relative autorizzazioni sono rilasciate con la prescrizione delle precauzioni tecniche necessarie a garantire che le acque di scarico non possono raggiungere altri sistemi idrici o nuocere ad altri ecosistemi”. 4. In deroga a quanto previsto al comma 1, l’autorità competente, dopo indagine preventiva anche finalizzata alla verifica dell’assenza di sostanze estranee, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed inerti naturali ed il loro scarico non comporti danneggiamento alla falda acquifera. A tal fine, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) competente per territorio, a spese del soggetto richiedente l’autorizzazione, accerta le caratteristiche quantitative e qualitative dei fanghi e l’assenza di possibili danni per la falda, esprimendosi con parere vincolante sulla richiesta di autorizzazione allo scarico. 5. Per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi in mare, lo scarico delle acque diretto in mare avviene secondo le modalità previste dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, purché la concentrazione di olii minerali sia inferiore a 40 mg/l. Lo scarico diretto a mare è progressivamente sostituito dalla iniezione o reiniezione in unità geologiche profonde, non appena disponibili pozzi non più produttivi ed idonei all’iniezione o reiniezione, e deve avvenire comunque nel rispetto di quanto previsto dai commi 2 e 3.
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6. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, in sede di autorizzazione allo scarico in unità geologiche profonde di cui al comma 3, autorizza anche lo scarico diretto a mare, secondo le modalità previste dai commi 5 e 7, per i seguenti casi: a) per la frazione di acqua eccedente, qualora la capacità del pozzo iniettore o reiniettore non sia sufficiente a garantire la ricezione di tutta l’acqua risultante dall’estrazione di idrocarburi; b) per il tempo necessario allo svolgimento della manutenzione, ordinaria e straordinaria, volta a garantire la corretta funzionalità e sicurezza del sistema costituito dal pozzo e dall’impianto di iniezione o di reiniezione. 7. Lo scarico diretto in mare delle acque di cui ai commi 5 e 6 è autorizzato previa presentazione di un piano di monitoraggio volto a verificare l’assenza di pericoli per le acquee per gli ecosistemi acquatici. 8. Al di fuori delle ipotesi previste dai commi 2, 3, 5 e 7, gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, esistenti e debitamente autorizzati, devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all’utilizzazione agronomica. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l’autorizzazione allo scarico è revocata.». - Per gli articoli 76 e 77, del decreto legislativo n. 152, vedi note all’art. 1. - L’art. 116 del decreto legislativo n. 152 del 2006, citato nelle premesse, così recita:«Art. 116 (Programmi di misure). - 1. Le regioni, nell’ambito delle risorse disponibili, integrano i Piani di tutela di cui all’art. 121 con i programmi di misure costituiti dalle misure di base di cui all’Allegato 11 alla parte terza del presente decreto e, ove necessarie, dalle misure supplementari di cui al medesimo Allegato; tali programmi di misure sono sottoposti per l’approvazione all’Autorità di bacino. Qualora le misure non risultino sufficienti a garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti, l’Autorità di bacino ne individua le cause e indica alle regioni le modalità per il riesame dei programmi, invitandole ad apportare le necessarie modifiche, fermo restando il limite costituito dalle risorse disponibili. Le misure di base e supplementari devono essere comunque tali da evitare qualsiasi aumento di inquinamento delle acque marine e di quelle superficiali. I programmi sono approvati entro il 2009 ed attuati dalle regioni entro il 2012; il successivo riesame deve avvenire entro il 2015 e dev’essere aggiornato ogni sei anni.». - Per l’art. 74, comma 2, lettera ee), del decreto legislativo n. 152 del 2006, vedi note all’art. 2. - L’Allegato 8, punti da 1 a 9, del decreto legislativo n. 152 del 2006, citato nelle premesse, così recitano: «Allegato 8 Elenco indicativo dei principali inquinanti: 1. Composti organoalogenati e sostanze che possano dare origine a tali composti nell’ambiente acquatico 2. Composti organofosforici 3 . Composti organostannici 4. Sostanze e preparati, o i relativi prodotti di decomposizione, di cui è dimostrata la cancerogenicità o mutagenicità e che possono avere ripercussioni sulle funzioni steroidea, tiroidea, riproduttiva o su altre funzioni endocrine connesse nell’ambiente acquatico o attraverso di esso 5. Idrocarburi persistenti e sostanze organiche tossiche persistenti e bioaccumulabili 6. Cianuri 7. Metalli e relativi composti 8. Arsenico e relativi composti 9. Biocidi e prodotti fitosanitari Omissis.».
Art. 8. Modifica degli Allegati 1. Con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti il Ministero dello sviluppo economico ed il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, si provvede alla modifica degli Al-
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legati tecnici di cui al presente decreto al fine di recepire modifiche relative a modalità esecutive e a caratteristiche di ordine tecnico intervenute a livello comunitario. 2. Con uno o più regolamenti, adottati ai sensi dell’articolo 75, comma 3, del decreto legislativo n.152 del 2006, si provvede alla modifica degli Allegati tecnici di cui al presente decreto, al fine di adeguarli a sopravvenute esigenze o a nuove acquisizioni scientifiche e tecnologiche. Con i medesimi regolamenti si provvede, sentiti il Ministero dello sviluppo economico ed il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, almeno con cadenza biennale, alla revisione della tabella 3 dell’Allegato 3 per adempiere alle finalità di cui al comma 7 dell’articolo 3 ovvero per stralciare sostanze individuate nella medesima tabella nel caso in cui le stesse non costituiscono più un rischio per i corpi idrici sotterranei. 3. Le modifiche degli Allegati tecnici di cui al comma 2 sono recepite dalle autorità competenti ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 nei piani di gestione dei bacini idrografici e nei piani di tutela attraverso la revisione periodica degli stessi. Nota all’art. 8: - L’art. 75, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, citato nelle premesse, così recita: «Art. 75(Competenze). - Omissis. 3 . Le prescrizioni tecniche necessarie all’attuazione della parte terza del presente decreto sono stabilite negli Allegati al decreto stesso e con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio previa intesa con la Conferenza Stato-regioni; attraverso i medesimi regolamenti possono altresì essere modificati gli Allegati alla parte terza del presente decreto per adeguarli a sopravvenute esigenze o a nuove acquisizioni scientifiche o tecnologiche.Omissis.».
Art. 9. Modifiche alla Parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni 1. Alla Parte Terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a) le lettere i), aa) e dd) del comma 2 dell’articolo 74 sono rispettivamente sostituite dalle lettere m), c) e d) dell’articolo 2 del presente decreto; b) il punto 1.2 dell’Allegato 1 è sostituito dall’Allegato 1, Parte A, al presente decreto; c) la lettera B del punto 2 dell’Allegato 1 è sostituita dagli Allegati 3 e 4 al presente decreto; d) i punti 2.1 e 2.3 del punto 2 dell’Allegato 3 sono sostituiti dall’Allegato 1, Parte B al presente decreto. Nota all’art. 9: - Per il punto 1 dell’art. 74, del decreto legislativo n. 152 del 2006, vedi note all’art. 2.
Art. 10. Disposizioni transitorie e finali 1. Nei casi di deroga di cui agli articoli 103 e 104 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e nell’esercizio di attività che possono comportare immissioni indirette nelle acque sotterranee di inquinanti, il rilascio ed il rinnovo delle autorizzazioni allo scarico sul suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 22 dicembre 2013, tengono conto delle disposizioni degli
articoli 3, 4 e 5. 2. Le regioni trasmettono le informazioni relative all’attuazione del presente decreto e, in particolare, l’elenco delle sostanze di cui al comma 6 dell’articolo 3, secondo tempi e modalità individuati dalla specifica normativa vigente. 3. Per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, ferme restando per queste ultime le disposizioni di cui all’articolo 176, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, si applicano le norme dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione. Nota all’art. 10:
- Per gli articoli 103 e 104, del decreto legislativo n. 152 del 2006, vedi note all’art. 7. - L’ art. 176, comma 3 , del decreto legislativo n. 152 del 2006, citato nelle premesse, così recita: «Art. 176 (Norma finale). Omissis. 3 . Per le acque appartenenti al demanio idrico delle province autonome di Trento e di Bolzano restano ferme le competenze in materia di utilizzazione delle acque pubbliche ed in materia di opere idrauliche previste dallo statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige e dalle relative norme di attuazione.
Art. 11. Disposizioni finanziarie 1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri, né minori entrate, a carico della finanza pubblica.
Allegato I
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
Allegato II
Allegato III
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XXI
XXII
XXIII
XXIV
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Allegato IV
XXVI
XXVII
XXVIII
XXIX
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XXXIV
XXXV
XXXVI
XXXVII
Allegato V
XXXVIII
Allegato VI
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“Segnali ambientali 2009”
SE IL POZZO SI PROSCIUGA L’adattamento ai cambiamenti climatici e le risorse idriche Proseguendo nella pubblicazione delle storie inserite in “Segnali Ambientali 2009”, in questo numero proponiamo “Se il pozzo si prosciuga” che l’Agenzia Europea dell’Ambiente ha pubblicato il 14 aprile 2009 e che costituisce in qualche modo corredo al Rapporto che la stessa Agenzia aveva presentato al Forum dell’Acqua di Istanbul i cui punti più salienti abbiamo illustrato nell’articolo di pag. 18. La traduzione è del Centro di Traduzione degli organismi dell’Unione europea (CdT).
“Ci chiudono l’acqua una o due volte al mese, talvolta anche più spesso” racconta Bariş Tekin dal suo appartamento a Beşiktaş, un quartiere storico di Istanbul, dove vive insieme a sua moglie e sua figlia. “A casa teniamo circa 50 litri di acqua in bottiglia per lavare e pulire, non si sa mai. Se ci tolgono l’acqua per molto tempo, andiamo da mio padre o dai parenti di mia moglie” spiega Bariş, un professore di economia all’Università di Marmara. Il vecchio appartamento non ha una propria cisterna d’acqua, quindi i Tekin sono collegati direttamente alla rete idrica cittadina. A causa della siccità che si è abbattuta sulla Turchia occidentale negli ultimi due anni, l’amministrazione cittadina interrompe regolarmente la fornitura d’acqua per periodi che possono arrivare fino a 36 ore. La mancanza d’acqua non è una novità, Bariş ricorda che accadeva già quand’era bambino. Sebbene le migliorie apportate all’infrastruttura abbiano permesso di ridurre gli sprechi, l’attuale siccità è particolarmente grave e il “razionamento dell’acqua” durante i mesi estivi è ordinaria amministrazione per i 12 milioni di abitanti della città. Impatti sui cambiamenti climatici Condizioni estreme di calore e siccità, pioggia e alluvioni stanno interessando molte parti d’Europa. La scorsa estate, mentre il quotidiano
spagnolo El Pais mostrava immagini di letti di fiumi asciutti, il Guardian in Gran Bretagna riportava notizie allarmanti sulle alluvioni. Mentre le autorità locali a Barcellona progettavano di importare l’acqua via nave, il governo britannico passava al vaglio le sue difese contro le alluvioni. Le cause sono molteplici, ma si ritiene che i cambiamenti climatici determineranno un aumento sia della frequenza sia della gravità di questi eventi. Anche se riusciremo a ridurre le emissioni, l’accumulo storico di gas a effetto serra determinerà un certo livello di cambiamenti climatici, che produrrà a sua volta una serie di conseguenze. Dovremo quindi adattarci, ovvero valutare la nostra vulnerabilità e agire per ridurre i rischi. Questa analisi dell’adattamento ai cambiamenti climatici si concentra sui problemi legati alle risorse idriche, in particolare la siccità. Scarsità d’acqua e siccità Con l’aumentare delle temperature, le riserve idriche dell’Europa meridionale caleranno. Al contempo, l’agricoltura e il turismo avranno bisogno di più acqua, in particolare nelle regioni più calde e aride. L’aumento nella temperatura delle acque e le portate minori dei fiumi al sud costituiranno ulteriori fattori d’incidenza sulla qualità dell’acqua. La maggiore frequenza di precipitazioni estreme e alluvioni lampo aumenterà il rischio di inquinamento proveniente dagli sfioratori di piena e dagli scarichi di emergenza degli impianti di trattamento delle acque reflue. Nella primavera del 2008, i livelli dell’acqua nei bacini idrici che alimentano Barcellona erano così bassi da indurre le autorità a fare piani per importare acqua via nave. A un costo stimato di 22 milioni di euro si dovevano far arrivare sei carichi, ciascuno contenente abbastanza acqua dolce da riempire dieci piscine olimpioniche. L’acqua dolce sarebbe arrivata da Tarragona nel sud della Catalogna, da
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Marsiglia e da Almeria, una delle zone più aride della Spagna meridionale. Fortunatamente, maggio è stato un mese piovoso, i bacini idrici si sono riempiti in misura sufficiente e i piani sono stati accantonati. Continuano però le discussioni sull’opportunità di deviare l’acqua da fiumi come l’Ebro e persino il Rodano in Francia1. Cipro sta attraversando un tragico periodo di siccità. La richiesta d’acqua è aumentata negli ultimi 17 anni, superando i 100 milioni di metri cubi (m3) d’acqua dolce l’anno. Negli ultimi tre anni la disponibilità di acqua è stata pari solo a 24, 39 e 19 milioni di m3 rispettivamente. Per alleviare la crisi idrica, la scorsa estate è stata fatta arrivare dell’acqua via nave dalla Grecia. Nel settembre 2008 le navi arrivate dalla Grecia sono state 29. La scarsità d’acqua in Grecia ha però rallentato le spedizioni. Il governo cipriota è stato quindi costretto ad adottare provvedimenti d’emergenza, tra cui una riduzione del 30% nella fornitura d’acqua. La scorsa estate i livelli dell’acqua in Turchia sono calati costantemente, come riferito dall’autorità di Stato per gli acquedotti. I bacini che forniscono acqua potabile a Istanbul erano al 28% della loro capacità. Quelli che riforniscono Ankara, dove vivono quattro milioni di persone, erano solo all’1% della loro capacità di acqua potabile. Una relazione dell’Ufficio delle acque di Creta ha dipinto un quadro allarmante delle risorse di acque sotterranee sull’isola. Le falde acquifere, vale a dire i bacini idrici sotterranei, sono scese di 15 metri dal 2005 a causa di un pompaggio eccessivo, mentre l’acqua marina ha di fatto iniziato a penetrare, inquinando le riserve residue. Controllare la crisi non significa adattarsi Le attuali siccità e crisi idriche devono essere affrontate a breve termine per garantire la fornitura d’acqua ai cittadini. Occorre però anche sviluppare strategie di adattamento a lungo termine. Avendo
ATTENUAZIONE E ADATTAMENTO I gas a effetto serra stanno facendo cambiare il nostro clima. Si prevede che l’Europa meridionale diventerà più calda e arida, mentre il nord e il nordovest del continente diverranno con tutta probabilità più miti e piovosi. Le temperature globali generali continueranno a salire. Gli Stati membri dell’UE convengono che, per scongiurare drastici cambiamenti del nostro clima, gli aumenti di temperatura a livello globale devono essere limitati a 2 °C sopra i livelli preindustriali. Questo è l’obiettivo principale dello sforzo di “attenuazione” dell’UE. Gli sforzi di attenuazione si concentrano sul taglio delle emissioni di gas “a effetto serra”. Limitare gli aumenti di temperatura a 2 °C significa ridurre del 50% le emissioni di gas globali entro il 2050. Tuttavia, anche se si potesse porre fine oggi alle emissioni, i cambiamenti climatici continueranno a manifestarsi a lungo per effetto dell’accumulo storico di gas a effetto serra nell’atmosfera. Gli impatti sono già evidenti, per esempio, nella regione artica. Dobbiamo cominciare ad adattarci. Adattamento significa valutare e affrontare la vulnerabilità dei sistemi umani e naturali. Attenuare i cambiamenti climatici e, nel contempo, adattarsi ad essi sono due reazioni strettamente intercorrelate. Quanto più successo avranno gli sforzi di attenuazione nell’abbattere le emissioni, tanto minore sarà il nostro bisogno di adattamento.
un disperato bisogno di incrementare la fornitura d’acqua, le autorità locali e nazionali stanno investendo in progetti come bacini di stoccaggio dell’acqua, trasferimento dell’acqua e impianti di desalinazione che trasformano l’acqua marina in acqua potabile. I paesi del Mediterraneo si affidano sempre più alla desalinazione per la fornitura di acqua dolce. La Spagna ha attualmente 700 impianti di desalinazione che forniscono acqua a sufficienza per 8 milioni di persone ogni giorno. Si prevede che la desalinazione in Spagna raddoppierà nei prossimi 50 anni. La scarsità d’acqua non è limitata all’Europa meridionale. Il Regno Unito sta costruendo il suo primo impianto di desalinazione a East London. A un costo di 200 milioni di sterline, più di 250 milioni di euro, la struttura potrebbe fornire 140 milioni di litri d’acqua al giorno, abbastanza per alimentare 400 000 abitazioni. Per ironia della sorte, l’autorità locale responsabile della gestione delle risorse idriche che ha ordinato la costruzione dell’impianto lascia che ogni giorno vadano sprecati molti milioni di litri di acqua potabile pulita a causa di perdite dalle tubature e di infrastrutture carenti.
La desalinazione potrà svolgere un ruolo legittimo nella gestione idrica a lungo termine, ma il processo di trasformazione dell’acqua salata in acqua potabile è notoriamente dispendioso in termini di energia. Alcuni impianti adesso utilizzano l’energia solare, e questo è senz’altro un passo avanti. La desalinazione è però ancora costosa. Inoltre, la salamoia, un sottoprodotto del processo, è difficile da smaltire e può essere nociva per l’ambiente. Gestire le nostre risorse idriche “Qui si superano spesso i 40°C d’estate e l’umidità può essere molto elevata”, racconta Bariş da Istanbul. Le autorità locali adesso ci avvisano molto meglio e in genere sanno dirci per quanto tempo resteremo senz’acqua, così possiamo organizzarci. Però non sembra che stiano facendo molto per risolvere la scarsità d’acqua di per sé. Credo che sia perché non possono far piovere di più”, aggiunge. Le autorità regionali e nazionali in Turchia e in tutta Europa potrebbero “gestire” meglio le risorse idriche. Ciò significa intraprendere azioni per ridurre e gestire la domanda, anziché semplicemente cercare di aumentare
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la fornitura d’acqua. La direttiva quadro in materia di acque (DQA), l’atto legislativo determinante in materia di acque in Europa, impone agli Stati membri di utilizzare la determinazione dei prezzi (l’addebito di denaro) per i servizi associati all’acqua come strumento efficace per promuovere la conservazione delle acque. I prezzi dell’acqua sono infatti uno dei metodi più efficaci per influenzare i relativi modelli di consumo. Una gestione idrica efficace deve però anche includere gli sforzi per la riduzione delle perdite d’acqua e le informazioni sull’efficienza idrica. Guardando avanti Un’imminente relazione dell’AEA si occupa delle Alpi, spesso descritte come il “serbatoio d’acqua d’Europa” perché il 40% dell’acqua dolce del continente proviene da questa catena montuosa. La regione alpina ha registrato aumenti di temperatura di 1,48°C nell’ultimo secolo, il doppio rispetto alla media globale. Nella relazione si legge che i ghiacciai si stanno sciogliendo, il limite delle nevi perenni si sta alzando e la catena montuosa sta gradualmente cambiando il suo modo di accumulare
INFORMAZIONI MIGLIORI CI AIUTERANNO AD ADATTARCI L’indice di stress idrico (WEI) è un buon esempio del tipo di informazioni necessarie per fornire una panoramica della portata e dell’ubicazione dei problemi che ci troviamo ad affrontare. In parole semplici, l’indice mostra le risorse idriche disponibili in un paese o regione rispetto alla quantità di acqua utilizzata. Un indice superiore al 20% indica solitamente scarsità d’acqua. Dal grafico risulta che nove paesi sono considerati in condizioni di “stress idrico”: Belgio, Bulgaria, Cipro, Germania, Italia, Malta, ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Spagna e Regno Unito (Inghilterra e Galles). I dati del WEI sono disponibili per l’Inghilterra e mostrano particolari condizioni di stress nel sudest e a Londra. Questo livello di informazioni è fondamentale in termini di adattamento efficace ai cambiamenti climatici. Comprendendo quanta acqua è disponibile in una regione, da dove viene e chi la utilizza, saremo in grado di elaborare strategie locali efficaci per adattarci ai cambiamenti climatici.
e immagazzinare acqua in inverno e di distribuirla nuovamente nei mesi estivi più caldi. Le Alpi sono fondamentali in termini di approvvigionamento idrico, non solo per gli otto paesi alpini, ma anche per una parte consistente dell’Europa continentale, in quanto alimentano molti dei maggiori corsi d’acqua. In quanto tali, esse fungono da simbolo iconico della portata della minaccia e del tipo di risposta richiesta. Le strategie e le politiche di adattamento devono includere elementi locali, transfrontalieri ed estesi a tutta l’Unione europea. Attività apparentemente indipendenti le une dalle altre, come l’agricoltura e il turismo, la produzione di energia e la sanità pubblica, devono essere considerate nel loro insieme. In definitiva, adattamento significa ri-
considerare dove e come viviamo oggi e nel futuro. Da dove verrà la nostra acqua? Come faremo a proteggerci dalle calamità? Gli studi dell’AEA dedicati alla copertura del suolo mostrano che le zone costiere sono spesso quelle più soggette allo sviluppo edilizio. La relazione dell’AEA, “The changing faces of Europe’s coastal areas” (Il volto mutevole delle aree costiere d’Europa), fa riferimento al “muro del Mediterraneo” e mostra che il 50% dei litorali del Mediterraneo sono edificati. La scarsità d’acqua e la siccità costituiscono già un problema in molte di queste regioni. Più appartamenti, più turisti e più campi da golf significano una maggiore richiesta d’acqua. Anche le zone costiere nell’Europa settentrionale e occidentale, dove si prevede un in-
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cremento delle alluvioni, sono soggette a un rapido sviluppo edilizio. L’integrazione dell’adattamento nelle strategie chiave dell’Unione europea è stata limitata. La Commissione europea dovrebbe però pubblicare un Libro bianco sull’adattamento nel 2009. Una recente relazione dell’AEA sottolinea che finora solo sette dei 32 paesi dell’AEA hanno effettivamente adottato strategie nazionali di adattamento ai cambiamenti climatici. Tutti gli Stati membri dell’UE sono tuttavia impegnati a preparare, elaborare e attuare provvedimenti nazionali basati sulla situazione osservata in ogni paese. Il pensiero condiviso necessario per garantire un adattamento efficace è ancora in una fase embrionale, ma il processo è stato avviato.
Messo a punto dall’Università dell’Essex e dal Gruppo BMT
UN PESCE-ROBOT COMBATTERÀ L’INQUINAMENTO DELLE ACQUE Grazie ad un finanziamento europeo Un gruppo di ricercatori della Scuola di Informatica e Ingegneria elettronica dell’Università dell’Essex (Gran Bretagna) ha messo a punto un robot a forma di pesce per rilevare l’inquinamento delle acque di mari, fiumi e laghi. La notizia si è rapidamente diffusa dopo un articolo pubblicato il 20 marzo dal quotidiano spagnolo El País che riprendeva una corrispondenza londinese della Reuters, secondo cui le acque dell’Oceano Altantico prospicienti il porto di Gijon nelle Asturie presto saranno monitorate da pesci-robot. Anche il TG1 ha dedicato un servizio sull’argomento, mandando in onda un video realizzato dalla BBC, qualche tempo fa. La notizia del progetto, finanziato
dall’Unione Europea con 2, 5 milioni di euro, in realtà non è nuova poiché nel 2005 un prototipo degli attuali aveva destato grande curiosità tra i visitatori dell’Aquarium di Londra, soprattutto dei bambini che avevano pure partecipato ad un concorso per trovargli un nome. Per dar vita all’esemplare londinese erano occorsi tre anni di studi. Pur essendo stati approntati in passato altri modelli di micro underwater vehicles (MUVs), questo si differenzia per essere autonomo Autonomus Underwater Vehicles (AUVs). “Abbiamo incorporato sensori a bordo in modo che a differenza dei precedenti modelli che sono controllati a distanza, questo è completamente autonomo, basandosi sull’intelligenza artificiale -
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dichiarò allora sul sito della BBC News Huosheng Hu, Professore di Robotica e capo dell’équipe di scienziati e ricercatori - come fa un vero pesce che è alla ricerca del cibo”. Per poter costruire il cyber-fish più efficiente, tre ricercatori hanno trascorso due anni a studiare la morfologia e i movimenti dei pesci presso l’acquario. “La costruzione dei pesci-robot - ha dichiarato Rory Doyle, Ricercatore capo presso la Società di Ingegneria e Consulenza di gestione del rischio BMT Group che ha sviluppato il progetto assieme all’Università dell’Essex - è avvenuto su design creato dall’evoluzione della specie in centinaia di milioni di anni, che ha prodotto una macchina incredibilmente efficiente da un punto di vista energe-
tico. Non c’è sommergibile che possa confrontarsi con il nostro pesce”. Il loro scheletro è fatto di chip, poi ci sono i sensori, le antenne Wi-Fi e i moduli GPS, che permettono ai pesci di nuotare in perfetto stile ittico ed effettuare in completa autonomia il monitoraggio della porzione di mare, fiume, lago, cui sono stati assegnati. Una volta in acqua in banchi da 5 unità i pesci-robot attraverso i loro sofisticatissimi sensori sono in grado di percepire tracce di sostanze inquinanti e di comunicarlo al resto del gruppo per monitorare la zona. Un’immagine tridimensionale inviata in tempo reale dai cyber-pesci permetterà ai ricercatori di costruire mappe sulle aree inquinate. Dal prototipo londinese a forma di carpa, il modello che verrà utilizzato si è evoluto, aumentando di dimensioni (dai 50 centimetri si è passati a 1,5 metri di
lunghezza) e nel numero delle informazioni che può trasmettere ad un centro di controllo posto sulla fascia costiera. I sensori di cui è dotato gli permetteranno di evitare gli ostacoli, siano essi rocce od imbarcazioni in movimento, mentre si dirigerà (4 Km/h) verso una predisposta stazione di ricarica, quando le batterie (8 ore di capacità) saranno prossime ad esaurirsi. Ricordando la vivacità di colorazione blu-argentea del modello londinese, il Prof. Hu ha osservato che “l’aspetto non sarà una priorità, bensì verrà privilegiata la sua solidità”, dal momento che la pressione dell’acqua dell’Atlantico è ben superiore a quella che si registra in una vasca. Il Prof. Hu spera di utilizzare questi pescirobot, dal costo ognuno di circa 22.000 euro, entro i prossimi 18 mesi, augurandosi che la possibilità di individuare i
primi segnali di inquinamento dovuti a una piccola perdita da una nave possono avvisare le autorità competenti al fine di scongiurare il verificarsi di un successivo e diffuso disastro ambientale. Le prossime tappe della ricerca comprendono la miniaturizzazione dei sensori chimici in modo che il pesce possa analizzare le sostanze come un laboratorio autonomo e la modellazione idrodinamica possa permettere al robot di contrastare la forza delle maree nelle varie località adiacenti le strutture portuali. Una volta testata la sua validità, questa strumentazione, potrà essere impiegata, oltre che per valutare lo stato di qualità delle acque e la presenza di eventuali inquinanti, anche per altri scopi, quali l’archeologia marina, l’individuazione di perdite degli oleodotti e la loro manutenzione, gli stock di pesca.
STRUTTURA DEL PESCE-ROBOT
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“Due piccioni con una fava”
LA PIANTA CHE RIPULISCE LE ACQUE DAI LIQUAMI E FORNISCE MATERIA PER I BIOCARBURANTI
Uno Studio rivela le opportunità offerte dalla Lenticchia d’acqua Molte e vivaci polemiche si sono sollevate sia per evitare che i liquami degli allevamenti industriali finiscano col confluire nei bacini idrografici sia per produrre biocarburanti da colture agricole. Il dibattito è ancora più acceso negli Stati Uniti, dove le acque reflue degli allevamenti sono stati individuati, assieme all’uso indiscriminato di fertilizzanti chimici, come responsabili dell’anossia (assenza di ossigeno) che si verifica in molte aree costiere. Il fenomeno sarebbe collegabile ai liquami degli allevamenti che, non correttamente gestite, anche per i costi che comportano, finiscono per raggiungere il bacino idrografico e, quindi, il braccio di mare dove sfociano le acque della rete. L’acqua immessa, ricca di nutrienti, farebbe proliferare in maniera eccessiva le alghe e da altri organismi vegetali che assorbirebbero una quantità tale di ossigeno da provocare morie di pesci, crostacei e molluschi, con grave nocumento della pesca che in queste aree, denominate appunto “dead zone”, non è più in grado di garantire una produzione. Ancora più forti sono le polemiche sull’uso di prodotti agri-
coli alimentari per la produzione di biocarburanti. Gli Stati Uniti hanno intensificato la produzione di mais, da cui ricavare l’etanolo, al fine di ridurre la dipendenza dal petrolio del quale sono grandi importatori. L’accento posto sulla produzione maicola, avrebbe dato un contributo all’aumento dei prodotti agricoli alimentari, sia per la maggior richiesta a fronte di una minor produzione, essendo gran parte dei terreni coltivati a mais, per la quale coltura gli agricoltori ricevono delle sovvenzioni statali. Ora, uno Studio condotto dall’Università di Stato del Nord Carolina - Dipartimento di Ingegneria Agraria e Biologica (BAE) e presentato il 21 marzo in occasione della 14a Conferenza di Ingegneria Biologica, annuncia che è stata trovata una soluzione ambientalmente ed economicamente sostenibile, che permette di “prendere due piccioni con una fava”, come affermato metaforicamente dal Prof. Jay Cheng che da dieci anni conduce una ricerca, finanziata dal Centro Biocarburanti del Nord Carolina. La “fava” sarebbe costituita da una minuta pianta acquatica, la lenticchia d’acqua (Spirodela polyrrhiza) che nasce
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Il Prof. Jay Cheng con la sua assistente Prof.ssa Anne-Marie Stomp presso l’impianto pilota sperimentale
spontaneamente in stagni poco profondi. I due piccioni, nella fattispecie, dovrebbero essere: - la depurazione delle acque reflue degli allevamenti per il loro riutilizzo; - la produzione di etanolo per i biocarburanti. “Abbiamo bisogno di sviluppare fonti di combustibili che siano più rinnovabili e non distogliere la nostra attenzione verso le risorse alimentari”, ha dichiarato il Prof. Cheng che propone di occupare, con le acque stagnanti dei liquami degli allevamenti, terreni non adatti alle colture tradizionali. Su tali lagune verrebbe introdotta la lenticchia d’acqua che divoratrice di nutrienti organici si moltiplicherebbe velocemente. Durante la fase di accrescimento, la pianta sottrarrebbe gli elementi organici dell’acqua, prevenendo il loro rilascio nell’ambiente. La biomassa costituita dalla pianta è ricca di amido (45,8% del peso a secco) che, fatto fermentare con enzimi e lieviti appositamente studiati nei laboratori del Dipartimento di Chimica ed Ingegneria Biomolecolare, della stessa Università, darebbe un rendimento di etanolo, pari al 25,8% della biomassa secca. La piccola pianta acquatica che crea una schiuma sulla superficie degli stagni, raddoppiando la sua massa in pochi giorni, può essere raccolta frequentemente.
“Si può produrre su un acro di terra, quattro volte la quantità di etanolo che deriverebbe dai cereali coltivati sulla stessa superficie - ha osservato Anne-Marie Stomp, Professore associato presso il BAE e stretta collaboratrice del Prof. Cheng - Visto che tutte le colture sono state ormai scoperte, la lenticchia d’acqua potrebbe essere la nuova coltura del XXI secolo, perché oltre a depurare le acque e produrre combustibile, può dar vita a nuovi posti di lavoro nelle zone rurali del Nord Carolina”. Il Prof. Cheng coadiuvato dalla Prof.ssa Stomp ha trasferito la ricerca dal laboratorio ad un test-pilota su 600 metri quadrati di superficie di acqua reflue, accanto ad un’azienda che alleva suini, al fine di valutare i fattori di crescita della lenticchia d’acqua, il grado di depurazione delle acque reflue, le modalità di raccolta e di essiccazione della pianta e l’analisi economica del ciclo. “Finora avevamo fatto test su piccola scala in laboratorio sulla conversione della lenticchia d’acqua in etanolo usando le stesse tecnologie si usano per il mais - ha aggiunto il Prof. Cheng - dimostrando che la conversione è possibile”. “È vero che la produzione di amido è maggiore di quella del mais - ha concluso Cheng - ma per applicare commercialmente il metodo dobbiamo verificarne la fattibilità”.
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Assegnati i riconoscimenti della FEE
BANDIERE BLU 2009 Non sono mancate le polemiche Sono complessivamente 227 (12 in più rispetto allo scorso anno) le Bandiere Blu assegnate all’Italia dalla FEE (Foundation for Environmental Education) per il 2009. Istituita nel 1987, l’Anno europeo per l’Ambiente, la Campagna è curata in tutti gli Stati europei dagli organi nazionali della FEE Internazionale che ha sede in Danimarca ed è presente in 59 Paesi. Attraverso Comitati nazionali di giuria, le FEE nazionali effettuano visite di controllo alle varie località candidate per poi proporre alla FEE Internazionale le candidature delle singole Nazioni. “È con soddisfazione che annunciamo un incremento di bandiere blu - ha detto Claudio Mazza, Segretario generale della FEE Italia - Siamo certi che investire sulla qualità ambientale sia il modo migliore per sviluppare un’economia locale sana e duratura incentrata sul turismo”. Tuttavia, in rapporto con gli altri Paesi del Mediterraneo, l’Italia si trova quest’anno al 5° posto (l’anno scorso era in 2a posizione) dopo Spagna, Grecia, Turchia e Francia. Distribuite sulle località balneari di 113 comuni (+9 rispetto all’anno precedente) e 60 approdi turistici (+4), dislocati su tutto il territorio nazionale, le bandiere blu della 23a edizione hanno premiato le località marine (solo 2 lacustri) che si sono impegnate concretamente nel miglioramento dello stato dell’ambiente, promuovendo un turismo sostenibile. Il primato quest’anno è diviso a pari merito tra tre regioni: Toscana, Marche e Liguria con 16 bandiere ciascuna. Seguono Abruzzo (stabile a 13) e Campania (con 12, una in più). Non sono mancate polemiche da parte di alcune Regioni che si sono lamentate per la ridotta presenza delle loro, pur note e apprezzate località, o per esserne state escluse altre che si erano candidate, ma i criteri per ottenere il vessillo non si basano solo sulla bellezza paesaggistica e il colore del mare.
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Al fine della valutazione, sono stati presi in considerazione: - i dati sulle acque di balneazione; - l’esistenza ed il grado di funzionalità degli impianti di depurazione; - un regolare smaltimento dei rifiuti con particolare riguardo alle raccolte differenziate e relativo riciclaggio; - le iniziative ambientali promosse dalle amministrazioni; - la cura dell’arredo urbano e delle spiagge; - il sostegno a programmi di educazione ambientale diretti alle scuole ed ai cittadini con l’organizzazione di convegni, mostre e formazione attinenti problematiche ambientali. Per la scelta delle località, alle quali assegnare la Bandiera Blu 2009, la FEE Italia ha operato attraverso una giuria composta da Rappresentanti del COBAT (Consorzio Nazionale Batterie Esauste), del COOU (Consorzio Nazionale Oli Usati), di Funzionari ed Esperti della Direzione del Turismo, del Ministero delle Attività Produttive, del Comando dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente, del Comando Generale delle Capitanerie di Porto, dell’ENEA, dell’APAT, dei Sindacati balneari SIBConfcommercio e FIBA-Confesercenti, dell’Associazione Nazionale Approdi Turistici (ASSONAT-Federnautica). “Il COBAT seppur mutato oggi nelle sue funzioni sulla gestione dei rifiuti di pile ed accumulatori - ha detto Giancarlo Morandi, Presidente del COBAT - continua a portare avanti il proprio ventennale impegno per la tutela dell’ambiente dai rischi derivanti dalla dispersione delle batterie al piom-
bo esauste. Il mare, sotto questo aspetto è senza dubbio l’ecosistema più fragile per la sua intrinseca facilità alla diffusione delle sostanze inquinanti, motivo per il quale, da sempre, il COBAT collabora e sostiene la FEE, affinché insieme si possa fornire un reale contributo alla salvaguardia dei nostri mari”. La FEE continua la collaborazione con la Direzione generale della Pesca presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e il Progetto “Bandiera Blu - Pesca Ambiente” che mira a sensibilizzare il mondo della pesca alle tematiche ambientali e nel contempo valorizzare le tradizioni locali ad esso legate, in tutte le località ban-
diere blu in cui siano presenti flotte pescherecce. “Le Bandiere Blu italiane rappresentano il 10% di quelle assegnate a livello internazionale - ha dichiarato Tullio Galli, Direttore della Federazione Nazionale Imprese Balneari e membro della Commissione giudicatrice - una parte del merito va anche agli operatori turistici, segnatamente agli imprenditori della balneazione, che si sono dimostrati particolarmente attenti alla salvaguardia dell’ambiente, riducendo le fonti di inquinamento, mantenendo pulite le spiagge, utilizzando la raccolta differenziata dei rifiuti”.
Principali criteri per assegnare questo importante riconoscimento alle spiagge: - assoluta validità delle acque di balneazione; - nessuno scarico di acque industriali e fognarie nei pressi delle spiagge; - elaborazione da parte dei Comuni di un piano per eventuale emergenza ambientale; - elaborazione da parte del Comune di un piano ambientale per lo sviluppo costiero; - acque senza vistose tracce superficiali di inquinamento (chiazze oleose, sporcizia, ecc.); - spiagge allestite con contenitori per rifiuti in numero adeguato; - spiaggia tenuta costantemente pulita; - dati delle analisi delle acque di balneazione a disposizione; - facile reperibilità delle informazioni sulla Campagna Bandiere Blu d’Europa; - iniziative ambientali che coinvolgano turisti e residenti - servizi igienici in numero adeguato nei pressi della spiaggia; - collocamento di salvagenti ed imbarcazioni di salvataggio; - assoluto divieto di accesso alle auto sulla spiaggia; - assoluto divieto di campeggio non autorizzato; - divieto di portare cani sulla spiaggia; - facile accesso alla spiaggia; - rispetto del divieto di attività che costituiscono pericolo per i bagnanti; - equilibrio tra attività balneari e rispetto della natura; - servizi di spiaggia efficienti; - accessi facilitati per disabili; - fontanelle di acqua potabile; - telefoni pubblici dislocati vicino alla spiaggia.
Sirolo (AN), una delle località sempre presente nell’elenco delle Bandiere Blu
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Per gli approdi turistici la Regione con il maggior numero di vessilli conseguiti è la Liguria con 13 (+2 rispetto all’anno precedente), seguita da Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, stabili rispettivamente con 11 e 9.
Principali criteri per gli approdi turistici: - le acque del porto e quelle prospicienti non sono visivamente inquinate; - fognature non sversano nel porto; - presenza di attrezzature per la raccolta di residui di olio, vernici e prodotti chimici; - salvagenti e attrezzature di pronto intervento; - informazioni ambientali fornite dalla Direzione; - informazioni relative alla Campagna Bandiere Blu fornite dalla Direzione; - possibiliĂ di smaltire le acque di sentina e delle toilettes delle imbarcazioni; - accorgimenti per lo smaltimento dei residui di lavorazione cantieristica; - luci ed acqua potabile in banchina.
Marina di Varazze (SV), una new entry delle Bandiere Blu Approdi turistici
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SERVIZI AMBIENTALI
DIRITTO AMBIENTALE E TUTELA LEGALE Imprese e Pubbliche Amministrazioni verso un’assistenza specializzata a cura di Stefano Agostinelli
Il diritto ambientale è una materia nuova e complessa, che viene continuamente sottoposta ad aggiornamenti per le molteplici normative del settore, che sono emanate, soprattutto, dall’Unione europea. Questa situazione spiega perché nel nostro Paese siano ancora molto pochi gli avvocati specializzati in questo ramo del diritto. Uno di questi è l’avvocato Leonardo Filippucci, che dirige a Macerata lo studio legale associato “4lex” (four lex n.d.r.), a cui ci siamo rivolti per rispondere ai molti quesiti, al riguardo, dei lettori di Regioni&Ambiente.
Avvocato Filippucci, come ha maturato la decisione di specializzarsi in diritto ambientale? Nel 2001 il Settore Ambiente della Provincia di Macerata era in cerca di un collaboratore che potesse assistere l’Amministrazione in un gran numero di procedimenti sanzionatori previsti dalla normativa sui rifiuti del 1997. Fu bandita una selezione pubblica riservata ad avvocati, dalla quale sono risultato vincitore. La collaborazione con l’Amministrazione Provinciale mi ha consentito, così, di conoscere la materia ambientale “dall’interno”, di toccare con mano le difficoltà che può comportare la quotidiana applicazione di una normativa tecnica che, sotto l’impulso del legislatore comunitario, è soggetta a costanti mutamenti. A questa esperienza sul campo si è poi affiancata una costante ed indispensabile attività di formazione ed aggiornamento professionale, fatta anzitutto di studio personale nonché di partecipazione a corsi qualificati. In particolare nel 2003 ho partecipato ad un master di diritto ambientale presso l’Università di Venezia, probabilmente la prima università in Italia ad istituire un corso di questo genere. L’impegno profuso è stato in qualche modo ripagato? I riconoscimenti professionali e lavorativi ovviamente non mancano, non ultimo l’ammissione al comitato scientifico di coordinamento dell’autorevole portale internet “reteambiente”. Ma la principale soddisfazione viene dalla passione con la quale ogni giorno si affronta lo studio e l’applicazione di
una materia bella e complessa. Il diritto ambientale, infatti, oltre ad essere in continua evoluzione, abbraccia trasversalmente tutte le classiche branche del diritto (diritto penale, diritto civile, diritto amministrativo, diritto comunitario, diritto internazionale). Occorre pertanto coniugare una solida preparazione di base con un’assidua esercitazione specialistica. Chi sono i clienti di uno studio legale specializzato in diritto ambientale? Prevalentemente Imprese e Pubbliche Amministrazioni. Entrambe, infatti, si trovano quotidianamente a fare applicazione del diritto ambientale e, non di rado, devono affrontare complesse questioni interpretative senza l’ausilio di circolari o di consolidati orientamenti giurisprudenziali. Per le imprese una consulenza legale specialistica è utile ad arginare la grave incertezza normativa che affligge la materia. Paradossalmente, infatti, lo stratificarsi di numerose leggi statali e regionali - che nelle intenzioni del legislatore dovrebbero garantire la tutela ambientale - spesso genera invece perplessità applicative, le quali, in un mercato concorrenziale, rischiano a volte di scoraggiare l’adozione delle migliori pratiche ambientali. Ed è per questo che oggigiorno, nella materia ambientale così come in altre materie, sempre più imprese ricercano avvocati specializzati, abbandonando la logica del legale unico che assiste l’azienda in tutte le disparate questioni che si presentano. In ciò, gli operatori economici sono evidentemente facilitati dalle nuove forme di comunicazione che, azzerando di fatto le distanze, permettono di reperire prestazioni professionali qualificate in tutto il territorio nazionale e oltre. Anche le Amministrazioni Pubbliche, sollecitate dalla normativa europea sulla concorrenza e sulla trasparenza, sono oggi tenute a rivolgersi al mercato per reperire servizi professionali specializzati, anche in campo legale. Ci può fare qualche esempio di cause in materia ambientale? Non posso fare riferimento a casi specifici, ma, in generale, esistono tematiche sulle quali è quasi inevitabile che si instauri un contenzioso, quali, ad esempio, la realizzazione di discariche o di impianti industriali ad elevato impatto ambientale, lo sfruttamento delle cave, la pianificazione in campo elettromagnetico, la bonifica di siti contaminati, ecc. Ma, al di là di questi temi “sensibili”, la gran parte del lavoro dell’avvocato riguarda l’applicazione di sanzioni, sia a livello penale che a livello amministrativo. In particolare, la materia della gestione dei rifiuti è spesso oggetto di procedimenti penali o di opposizione a sanzioni amministrative.
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COSMARI
COMUNICARE, FORMARE, EDUCARE Le iniziative attuate contribuiscono ai successi del Consorzio di Luca Romagnoli
Il COSMARI (Consorzio Obbligatorio Smaltimento Rifiuti) si occupa della raccolta differenziata e dei servizi connessi, per oltre 260 mila cittadini maceratesi, su 310 mila totali, e del recupero e smaltimento dei rifiuti per l’intero ambito provinciale. Oltre 180 mila abitanti sono coinvolti nella raccolta differenziata della frazione umida e circa 150 mila sono interessati dalla raccolta domiciliare “Porta a Porta”. La raccolta differenziata nel territorio di pertinenza è in costante crescita annuale tanto che, dopo aver raggiunto il 20% nel 2002 e il 23,95% nel 2003, nel 2004 ha superato il 25%, nel 2007 si è attestata su valori pari al 30%, nel 2008 è cresciuta sino al 46,88% e nel mese di febbraio 2009 ha raggiunto il 50,09%, con alcuni Comuni che, ogni mese, raggiungono o superano l’80%. In virtù di questi risultati, la Provincia di Macerata è al primo posto per la raccolta differenziata nelle Marche. Inoltre, grazie al grado di eccellenza dei servizi e al trend positivo di crescita degli impianti, sempre più tecnologicamente avanzati, ed al costante aumento del riuso e del riciclo dei rifiuti, i maceratesi “si sono aggiudicati il terzo posto in una classifica nazionale sugli abitanti più virtuosi nella cura dell’ambiente”, come testimonia la classifica stilata dal quotidiano “Il Sole24 Ore”. Tutto questo dimostra, in modo pratico, che una adeguata sensibilizzazione sul “sistema ambiente” ed una visione complessiva dei problemi, consente la diffusione di quelle “buone pratiche” che, se adottate da tutti i cittadini, permettono una corretta gestione dei rifiuti, favorendo un giusto riutilizzo, un equo impiego dei consumi e quindi uno sviluppo sostenibile, rispettoso dell’individuo e della natura. Il COSMARI, da anni, è impegnato con la propria Direzione aziendale e con l’Ufficio Comunicazione nella promozione costante di azioni informative rivolte ai cittadini, soprattutto agli alunni delle scuole maceratesi. È convinzione del Consorzio che oggi lo sviluppo socio-economico e tecnolo-
gico è strettamente legato al concetto di sostenibilità etica ed ambientale, il quale deve essere fatto proprio dalle “giovani generazioni”: non si può più produrre senza preservare le risorse naturali e senza rispettare i fondamentali valori etici. Adottare tecnologie “più pulite” nei processi produttivi, sviluppare prodotti eco-compatibili, favorire la riduzione dei rifiuti e degli imballaggi, conseguire certificazioni ambientali ed etiche, costruire nuovi insediamenti produttivi: sono azioni che oggi devono essere comunicate ad un pubblico eterogeneo nel modo più trasparente, chiaro e incisivo possibile, in particolare, devono essere spiegate agli studenti di tutte le età, a quelli che saranno i “cittadini di domani”, ma che già oggi sono in grado di influenzare in maniera molto forte i comportamenti degli adulti. La comunicazione ambientale, che studia, progetta e realizza le attività di divulgazione legate alle tematiche dell’ambiente e del territorio, lavora sulla visibilità dell’impresa, ma, soprattutto, agisce per cambiare il comportamento nei confronti dell’ambiente. Interagisce contemporaneamente con
soggetti direttamente e indirettamente coinvolti, con cui deve sforzarsi di stabilire delle relazioni di coinvolgimento, fiducia e affidabilità. Per questi motivi, il COSMARI ha aderito a diversi progetti tra cui quello del Consorzio Nazionale Acciaio (CNA)che con “Acciaio Amico” ha consentito di formare molti insegnanti sul tema del riciclo dell’acciaio, la Campagna promozionale per la raccolta del Tetra Pak, il Progetto predisposto dall’Istituto d’Istruzione Superiore “Enrico Mattei” di Recanati, che prevede la raccolta ed il riciclo dell’alluminio in tutte le scuole del territorio comunale, finalizzato alla realizzazione di una bicicletta, il cui design e progettazione sono stati elaborati dagli stessi studenti, mentre la produzione è stata curata dalla fabbrica di biciclette di Francesco Moser, grande campione del ciclismo internazionale e testimonial dell’iniziativa. Il COSMARI, mediante i propri esperti, in ogni occasione affronta tutti gli aspetti della comunicazione legati a tematiche ambientali, territoriali e di sostenibilità, utilizzando strumenti innovativi e di forte valenza formativa. Mediante incontri frontali, infatti, il Consorzio provvede
Visita di impianti di selezione del COSMARI nell’ambito del Progetto “Acciaio Amico” promosso dal CNA
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alla preparazione degli insegnanti e del personale non docente incaricato alla raccolta dei rifiuti prodotti nelle scuole. Parallelamente tiene lezioni nelle scuole, sia inferiori che superiori, presentando le attività consortili, illustrando dettagliatamente i servizi erogati ai cittadini-utenti e, soprattutto, insegnando agli alunni le “buone pratiche” della raccolta differenziata. Tutte le lezioni hanno la durata di circa 50 minuti e vengono svolte con l’ausilio di immagini, materiali ed esperti, favorendo l’interazione con gli studenti, che vengono coinvolti direttamente. In diversi Istituti vengono utilizzate anche le animatrici della Ludoteca provinciale del Riuso “RIÙ” che allestiscono, in stretta sinergia con le insegnati, diversi laboratori per favorire la “cultura del riciclo”, riutilizzando per la realizzazione di simpatici piccoli manufatti, con materiale proveniente dalla raccolta differenziata. Tali materiali hanno conseguito sia un alto grado di gradimento da parte dei docenti che degli alunni. Abitualmente vengono programmate anche delle visite guidate presso gli impianti consortili del COSMARI, in località Piane di Chienti a Tolentino. Questa specifica iniziativa rappresenta un’utile occasione per far conoscere dal vivo le attività aziendali, legate al trattamento ed al recupero dei rifiuti. Infine, in alcune classi, su richiesta degli insegnanti referenti dell’offerta formativa connessa ai temi ambientali, si è svolto un lavoro molto approfondito per preparare gli alunni a tenere una “mini-lezione” ai propri genitori sull’importanza della raccolta differenziata e del “Porta a Porta”. Crediamo che, grazie a questi progetti, il COSMARI sia riuscito a definire ed applicare programmi per sviluppare la protezione ambientale con obiettivi “educativi” in grado di evidenziare il ruolo attivo del Consorzio sulle tematiche ambientali all’interno della comunità. La collaborazione con tutte le Scuole della provincia di Macerata hanno consentito il raggiungimento di importanti risultati sfociati, tra l’altro, in un discreto aumento della percentuale della raccolta differenziata, nei Comuni in cui si sono attivati specifici progetti e iniziative mirate nelle varie classi delle scuole del luogo. In conclusione, si può affermare che grazie a questo Progetto, collaborando tutti insieme, istituzioni, scuole, insegnanti, studenti, esperti del settore si è riusciti a: - creare sinergie tra istituzioni, citta-
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dini e scuola affinché si modifichi il modo di considerare i rifiuti, in rapporto alla qualità della vita; creare occasioni di formazione per le varie fasce di età dei cittadini e per le varie categorie; acquisire nuove informazioni e competenze nel governo dei rifiuti; rafforzare le competenze di progettazione di attività formative; far percepire la presenza inevitabile dei rifiuti nella vita quotidiana, per comprendere l’importanza di trasformarli in risorse; far capire e condividere l’importanza del riutilizzo/riciclo dei rifiuti in rapporto al risparmio di risorse ed energie naturali e per la salvaguardia dell’ambiente;
- dare la dovuta importanza al risparmio e alla consapevolezza della necessità di evitare qualsiasi sperpero; - far capire come le piccole positive azioni quotidiane diventano “benessere collettivo”; - individuare modalità comunicative più efficaci per facilitare l’applicazione delle strategie individuate; - ricercare e identificare i fattori che permettono di migliorare la qualità della vita; - costruire nuovi positivi ed intelligenti atteggiamenti rispetto all’ambiente e alla sua gestione - riconoscere e distinguere i comportamenti corretti e non corretti; - praticare comportamenti finalizzati.
Campagna promozionale per la raccolta di Tetra Pak
Visita agli impianti COSMARI da parte di alcune scolaresche
Consorzio Obbligatorio Smaltimento Rifiuti Sede legale e operativa Loc. Piane di Chienti - 62029 Tolentino (MC) Tel. 0733 203504 - fax 0733 204014 cosmari@cosmari.sinp.net - www.cosmari.sinp.net
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Sito di Falconara M.ma
VERSO UN POLO ENERGETICO AMBIENTALMENTE AVANZATO Il Gruppo api consolida l’impegno economico ed organizzativo Oggi, in maniera ancora più radicale che nel recente passato, la corretta gestione delle problematiche ambientali diventa un fattore strategico di fondamentale importanza per la crescita economica e di valore non solo dell’azienda api, ma dell’intero territorio di cui si è parte. È in quest’ottica che vanno considerati gli investimenti, per oltre 11 milioni di euro, che api raffineria e api energia hanno destinato al rispetto della normativa ambientale, nel corso del 2007, per il polo produttivo di Falconara. La cifra, nettamente superiore alla media di spesa per prodotto lavorato di qualunque altro sito del nostro paese, attesta l’impegno del Gruppo api per la sostenibilità ambientale. Parlano chiaro i dati del Rapporto di sito nel quale vengono illustrati i miglioramenti con-
seguiti nel corso del 2007 in campo ambientale, economico e sociale e il costante impegno di api nel soddisfare il fabbisogno regionale di energia. In sintonia con quanto previsto dal Protocollo d’intesa siglato con la Regione Marche, con la Provincia di Ancona e con il Comune di Falconara, il Gruppo api continua a perseguire un percorso finalizzato allo sviluppo responsabile e condiviso per consolidare l’evoluzione del sito di Falconara in “polo energetico ambientalmente avanzato”. Considerevoli le azioni, intraprese nel 2007, finalizzate alla riduzione delle emissioni di ossido di zolfo in atmosfera, alla diminuzione degli infortuni ed alla sicurezza sul luogo di lavoro, nonché al continuo miglioramento delle performance ambientali. In questa direzione il maggiore im-
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pegno economico del sito nell’ultimo periodo è stato, senza dubbio, il processo di decontaminazione del suolo e della falda acquifera. La barriera idraulica progettata e integrata negli ultimi anni, insieme alla realizzazione dell’Impianto TAF, garantiscono la riduzione dello stato di contaminazione delle matrici ambientali, consentendo il recupero del prodotto idrocarburico prelevato. È stato realizzato un impianto di recupero della CO2 proveniente dagli impianti di raffinazione e completato il progetto per la produzione di gasolio 10 ppm in linea con la Direttiva Auto/Oil. In sintesi, le performance ambientali sono tutte in continuo miglioramento: la realizzazione di nuovi investimenti ed una corretta gestione operativa (in-
terventi su colonne di lavaggio del gas combustibile, utilizzo di combustibili a basso/nullo contenuto di zolfo, rendimento elevato del sistema DENOX) hanno consentito di ridurre le emissioni di ossidi di zolfo. Cinque le azioni di rilievo che in questo senso vanno evidenziate: • Tecnologie di impianto e di processo avanzate; • Completamento del progetto per la produzione gasolio 10 ppm (secondo Direttiva Auto/Oil); • Costruzione dell’impianto di recupero della CO2 proveniente da impianti di raffinazione (partnership con SOL): • Prosecuzione della fase di test del progetto di co-gassificazione con biofuel su impianto IGCC; • Prosecuzione degli interventi previsti dall’ultimo Rapporto di Sicurezza (eliminazione progressiva tubature interrate, sistema rapido di intercettazione fludi). Infine, un ultimo, ma non per questo meno ambizioso obiettivo, le azioni di razionalizzazione nell’uso delle risorse naturali che hanno portato a consumi idrici sempre più attenti e contenuti. Sono stati annullati i prelievi dal fiume Esino e ridotti drasticamente i prelievi
da acquedotto e acqua di mare sostituiti dall’utilizzo delle acque emunte e poi recuperate dall’Impianto di Trattamento Acque di Falda (TAF). Per rinforzare il sito industriale, gli azionisti continuano ad investire con tecnologie d’avanguardia, senza au-
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mento di impatto ambientale e con beneficio economico per la nostra regione, puntando alla realizzazione di due ambiziosi progetti: - una centrale a metano per un totale di 580 Mw; - un rigassificatore del gas naturale.
INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO
Presentato il Rapporto sulla criminalità ambientale redatto da Legambiente
ECOMAFIA 2009 Dalla gestione dei rifiuti, all’edilizia, fino al racket degli animali,
all’agromafia e all’archimafia: storie e numeri dell’illegalità in campo ambientale di Silvia Barchiesi
Nell’anno più nero per l’economia mondiale, c’è un business che non ha risentito di alcuna crisi e che, anzi, proprio nel 2008 ha raggiunto livelli record. Si tratta del business dell’ecomafia, che con il suo giro di affari di 20 miliardi e mezzo di euro, alla faccia della crisi economica e, soprattutto, dell’ambiente, ha incassato un miliardo e mezzo in più rispetto al 2007. A farne le spese in primis l’ambiente, devastato e saccheggiato dai tentacoli dell’Ecomafia spa e dalle sue attività criminali. Dal ciclo illegale dei rifiuti, alel attività di cementificazione, al racket degli animali, all’agromafia, il malaffare in campo ambientale non conosce confini, nemmeno geografici. Sebbene, infatti, il 48% dei reati accertati si concentri nelle 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa, (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia), nessuna regione italiana può dirsi esente dall’ecomafia poiché la criminalità ambientale contagia l’intero Paese., tanto che nel 2008 ha ammesso 25.776 ecoreati accertati, per un totale di 221 arresti, 9.676 sequestri e 21.336 persone denunciate. Sono i numeri neri che, nel Rapporto Ecomafia 2009 di Legambiente, dipingono un’Italia in balìa dell’illegalità ambientale. Ciclo illegale dei rifiuti È alta più o meno come l’Etna la montagna di rifiuti speciali spariti nel nulla, ovvero di cui sarebbe certa la produzione, ma ignota la destinazione: 3.100 metri con una base di 3 ettari, dal peso di 31 milioni di tonnellate, in grado di far fruttare 7 miliardi di euro. Numeri da record, come anno da record è stato il 2008 a causa delle inchieste contro i trafficanti di rifiuti pericolosi: ben 25. Da nord a sud la prassi criminale è sempre la stessa: si bara sui documenti di identificazione dei rifiuti, sulle autorizzazioni, sulla quantità, sulle analisi di laboratorio e via dicendo. La maglia nera in materia di reati riguardanti rifiuti va alla
Campania, con 573 infrazioni (il 14,7 % del totale nazionale). Il secondo posto spetta invece alla Puglia e il terzo alla Calabria con rispettivamente 355 e 293 infrazioni. La Campania si conferma così la regione dei record nel traffico illegale dei rifiuti: 2.551 siti da bonificare tra discariche, zone di abbandono incontrollato di rifiuti, sversamenti di residui industriali. A manovrare il traffico illecito qui è la camorra sotto la cui regia agiscono imprenditori, titolari di ditte di trasporto e persino funzionari pubblici. Secondo la relazione annuale della Direzione nazionale antimafia (2008), “La camorra non svolge semplicemente un’attività vessatoria e parassitaria sull’economia e l’economia legale. Le organizzazioni criminali sono soprattutto enti deputati all’erogazione di servizi: dal trasporto e smaltimento dei rifiuti, alla fornitura di inerti, dalla fatturazione di operazioni inesistenti alla ‘semplificazione’ delle procedure amministrative”. Ciclo illegale del cemento La Campania conferma il suo primato anche nella classifica delle regioni coinvolte nell’abusivismo edilizio. Speculazione edilizia, lottizzazione e sfregio del territorio sono fenomeni che coinvolgono interi quartieri. Colate di cemento inondano le città: ecco allora che case, palazzi villette spuntano come funghi, ma abusive; i capannoni diventano unità residenziali, le baracche si trasformano in palazzine, le residenze agricole acquistano la parvenza di palazzi. Tutto nel disprezzo della legge e delle regole edilizie. Sono più di 28 mila le nuove case illegali censite in Italia nel 2008. Il cemento fa gola alla criminalità organizzata che fa dell’abusivismo edilizio una delle sue principali entrate. La conferma della pervasività delle organizzazioni mafiose nel ciclo del cemento arriva proprio dal numero degli arresti effettuati nelle 4 regioni a maggior concentrazione
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mafiosa: zero arresti in Campania, Sicilia e Puglia, uno solo in Calabria. Non solo. Basti pensare, infatti, che il 67% dei comuni campani sciolti per infiltrazione mafiosa, dal 1991 a oggi, lo sono stati proprio per abusivismo edilizio. Insomma, la Campania è la regina del cemento illegale. È quello che verrebbe da dire dando un’occhiata all’area dell’Agro sarnese-nocerino che negli ultimi 4 anni ha subito la cementificazione illegale di ben 300 mila metri quadrati, per cui sono state iscritte nel registro degli indagati della Procura di Nocera oltre seimila persone (tra cui anche 35 funzionari comunali e amministratori pubblici), responsabili di un vero e proprio scempio edilizio. Ma il ciclo illegale del cemento non risparmia nemmeno località considerate dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità. La valanga del cemento illegale investe anche la costa amalfitana con 159 mila metri quadrati di superficie sequestrata per un valore intorno ai 150 milioni di euro. Stessa sorte per Ischia, l’isola leader della cementificazione selvaggia o per l’area dei templi di Paestum. In Calabria, al secondo posto nella classifica nazionale del cemento illegale (900 infrazioni, 923 persone denunciate e 319 sequestri), il calcestruzzo “mafioso” si diffonde soprattutto nelle opere pubbliche: la Salerno-Reggio Calabria e la SS 106 jonica. Il tutto, in attesa dell’affare più grosso: il Ponte sullo Stretto. Il copione? Gare d’appalto truccate, denaro pubblico che finisce nelle tasche dei clan, cantieri perennemente aperti e mai ultimati. Ma le inchieste sul cemento illegale non riguardano solo il
Sud. Tra le regioni interessate dall’infiltrazione mafiosa in campo edilizio e immobiliare non ci sono solo quelle del sud, ma anche quelle del centro e nord Italia: Lazio, Toscana, Liguria e Lombardia. A terzo posto della classifica nazionale per abusivismo edilizio si colloca il Lazio: secondo i dati ufficiali, ammontano a 6.0554 gli abusi edilizi perpetrati nei 378 comuni della regione, solo nel 2007. Per la cementificazione selvaggia Roma è invece la città in testa con il 68% degli abusi edilizi, seguita da Latina (15%), Frosinone (10%), Viterbo (4%) e Rieti (3%). Contro le 875 persone denunciate nel 2007, sarebbero 1.327 le persone denunciate nel 2008, quasi il doppio. Accanto alle diffuse pratiche illegali di criminalità organizzata nel settore edilizio, non sono da trascurare le, seppur rare, iniziative virtuose di legalità organizzata. Ne è un esempio quella realizzata in Provincia di Trapani dove la Calcestruzzi Ericina, un’azienda sottratta al boss Vincenzo Virga, oggi ridenominata Calcestruzzi Ericina Libera, è stata affidata a una cooperativa di lavoratori, nata grazie al sostegno di Libera, l’associazione antimafia presieduta da don Luigi Ciotti. Reati contro fauna e flora Come si accennava all’inizio, non solo rifiuti e cemento, ma anche animali, perché il business mafioso non risparmia nemmeno la fauna. Anche il racket degli animali ha conosciuto negli ultimi anni un’evoluzione. Il business relativo ai cani, infatti, registra un calo dei
Fonte: Legambiente Rieti
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combattimenti tra Pitbull a favore della tratta dei cuccioli clandestini provenienti dall’Est, un affare quantificato dalla LAV in circa 300 milioni di euro l’anno. Ungheria, Romania, Slovacchia e Repubblica Ceca sono spesso i paesi di provenienza dei cuccioli, costretti a viaggiare su TIR in pessime condizioni e poi venduti al di sotto del valore di mercato. Se al borsino del racket degli animali scendono le quotazioni dei combattimenti tra cani, restano invece stabili quelle delle corse clandestine dei cavalli: nel corso del 2008 in 14 ippodromi si è verificata la presenza di scommesse truccate e infiltrazioni della mafia organizzata, come risulta dalle indagini a tappeto e i sequestri di immobili avvenuti in Sicilia, Campania, Calabria, nella Marsica abruzzese, in Puglia e in Lombardia. Ma, la minaccia maggiore per la fauna continua ad essere il bracconaggio che, secondo Legambiente, avrebbe trovato il suo miglior alleato proprio nel Parlamento con la nuova legge sulla caccia. “Questa riforma- si legge nel Rapporto Ecomafia- se verrà approvata, potrebbe trasformare i bracconieri di oggi nei cittadini-cacciatori autorizzati di domani”.
Nel mirino dell’associazione ambientalista è soprattutto la caccia in deroga, cioè alle specie vietate, addirittura nelle aree protette, la caccia senza restrizioni lungo le rotte di migrazione e la totale liberalizzazione dei richiami vivi. “Quello che invece continua a mancare - si legge nel Report - è un Parlamento che si impegni ad approvare leggi che contrastino i fenomeni illegali legati all’attività venatoria e che tutelino il patrimonio faunistico, anziché provare ad aprire nuovi varchi normativi ad attvità che producono danni ingenti a tutto favore della lobbby dei cacciatori fuorilegge”. Anche l’azione di contrasto alla caccia illegale non ha registrato risultati incoraggianti nel corso del 2008: tra fine aprile e inizio giugno sono state arrestate solo 15 persone, mentre sono stati recuperati numerosi rapaci feriti o uccisi e sequestrate ingenti quantità di trappole e reti illegali. Ma l’ecomafia si inoltra anche in mare, dove si consuma l’ennesima rapina ambientale e l’ennesimo saccheggio del patrimonio naturale. Nel 2008 sono state infatti 991 le infrazioni legate alla pesca di frodo, altrettanti gli arresti, mentre sono stati 884 i
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sequestri, per un totale di 5.119.874 chilogrammi di pesce confiscato dalle Capitanerie. E il bottino delle reti killer è allarmante: più di 300mila gli esemplari di specie viventi rimasti impigliati (testuggini, delfini, capodogli e altri cetacei), per un giro di affari di oltre 2 miliardi di euro l’anno. Anche qui la mafia ha le sue infiltrazioni. A decidere cosa si vende, quando e a quale prezzo sono i clan: il clan Muto in Calabria, la cosca mafiosa Mazzei a Catania e Porto Palo (RG); il clan La Torre di Caserta gestisce invece l’importexport per e dalla Gran Bretagna. Tra le attività illegali segnalate nel Rapporto Ecomafia c’è anche il mercato internazionale delle specie protette, che grazie al traffico di esemplari in via d’estinzioni o comunque tutelati dalla legge, sia animali che vegetali, è in grado di alimentare un commercio di oltre 25 miliardi di euro all’anno. Il racket di fauna e flora protetta riguarda ogni anno 350 milioni di esemplari, tra cui 5 milioni di uccelli, 37 mila di scimmie, decine di migliaia di rettili, 12 milioni di orchidee e 11 milioni di cactus. In questo business internazionale, anche l’Italia fa la sua parte: nelle case italiane vivono accanto ai più tradizionali animali domestici tra le 30 mila e 50 mila iguane, 20 mila pappagalli, 10 mila serpenti e altri 500 mila animali tra i più disparati. Reati contro il patrimonio culturale Ingenti sono stati nel 2008 anche i danni al patrimonio culturale, oltre che ambientale, del nostro Paese. L’ archeomafia in Italia vanta numeri da record: 1.031 furti d’opere d’arte, 15.837 oggetti trafugati, 1.645 persone indagate e 119 arresti. La regione Lazio è la più colpita dal fenomeno, seguita da Lombardia, Toscana, Piemonte e Campania. Crescono pure i furti nei musei (21 nel 2008 a fronte dei 13 nel 2007), aumentano del 15% gli scavi clandestini, così come le falsificazioni (più 36%). Reati agroalimentari Un capitolo a parte, del Rapporto, invece, è riservato all’agromafia. Macellazioni clandestine, percezioni inde-
bite di finanziamenti a danno della Comunità Europea, furti agricoli, aggressioni, racket, imposizione del pizzo, usura e danneggiamento alle colture o al bestiame: insomma, la mafia prospera anche nella campagna, lì dove affonda le sue radici. La mafia, infine, non opera solo sul versante della produzione, ma sull’intera filiera, dal trasporto alla distribuzione, fino ad arrivare sulle nostre tavole. È quanto sostiene il Rapporto “Sicurezza e legalità in agricoltura nell’era della globalizzazione”, stilato dalla Fondazione Cloe (Associazione per il rilancio competitivo dell’agricoltura). Un esempio? Una delle qualità d’uva più diffuse oggi in Puglia e Sicilia è stata importata dall’Est Europa dalla mafia, a seguito di accordi con imprenditori locali. Incendi Ultimo capitolo, ma non di minore importanza, è il capitolo che Ecomafia 2009 dedica all’“Italia in fumo”, ovvero ai danni al patrimonio boschivo del nostro Paese, causati dai 6.497 roghi che hanno mandato in fumo, nel 2008, oltre 66.145 ettari, di cui 30.232 boscati e 35.913 non boscati. Dati incoraggianti, se paragonati a quelli del 2007 che evidenziano un calo del 50% della superficie totale incendiata. E sulle cause si potrebbe aprire un altro capitolo: dalla negligenza al profitto. Insomma i tentacoli dell’Ecomafia non hanno limiti: dalla gestione dei rifiuti, all’edilizia, fino al racket degli animali, all’agro e all’archimafia. “La criminalità organizzata ha esteso i propri tentacoli in tutto il paese e ha avviato redditizie attività in molte aree del Nord Italia - ha dichiarato il Presidente nazionale di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza- Le mafie si infiltrano quindi in tutti i settori economicamente vantaggiosi ed è per questo che abbiamo voluto istituire l’Osservatorio Ambiente e Legalità in Abruzzo, per vigilare affinché la ricostruzione post terremoto non diventi l’ennesima occasione per fare vantaggiosi affari sporchi e pericolosi ai danni dei cittadini e dell’ambiente”.
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L’Agenzia di Protezione Ambientale degli Stati Uniti (EPA) dichiara
L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO È DANNOSO PER LA SALUTE La Direttrice Lisa Jackson intraprende una sfida ambiziosa Con l’insediamento del nuovo Presidente degli Stati Uniti, si è subito evidenziato un mutamento del ruolo fino allora svolto dall’organismo statunitense EPA (Environment Protection Agency) l’Agenzia di Protezione Ambientale. In particolare, la sostituzione della direzione con Lisa Jackson ha già permesso la revisione della posizione di bloccare la legge della California sulle severe limitazioni delle emissioni di gas serra dei veicoli, imposta da Bush, dando il via libera ai singoli Stati di adottare iniziative in proprio. Ancora più importante l’Atto da lei firmato (Pre-publication copy 04/17/09), la settimana prima di partecipare al G8 Ambiente di Siracusa, in cui si dichiara che i gas ad effetto serra contribuiscono all’inquinamento atmosferico che può mettere in pericolo la salute e il benessere dell’uomo (Proposed Endargement and cause or Contribute Findings for Greenhouse Gases under Section 202 (a) of the Clean Air Act).
Il 2 aprile 2007 la Suprema Corte Federale aveva incaricato l’EPA di stabilire se le emissioni di gas ad effetto serra derivanti dai veicoli a motore “possano ragionevolmente determinare pericoli per la salute pubblica e per l’ecosistema ovvero se la scienza non sia ancora in grado di giungere ad una conclusione motivata”. Tale richiesta interveniva a seguito della causa intentata dallo Stato del Massachussets contro l’EPA a cui veniva contestata la mancata regolamentazione delle emissioni di biossido di carbonio dei veicoli a motore, nell’ambito della Legge Federale Clean Air Act (emanata dal Congresso nel 1960-1963 e modificata successivamente nel 1977 e, in modo più corposo, nel 1990), che ha l’obiettivo primario di tutelare la salute pubblica degli americani, assicurando loro che l’aria che respirano è sicura e l’ambiente privo di danni provocati dall’inquinamento atmosferico. Il Clean Air Act, inoltre, affida all’EPA il compito di fissare standard di qualità dell’aria per la protezione da inquinanti e di definire norme per le nuove forme di inquinamento tra
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cui automobili, camion e gli impianti di produzione di energia elettrica. Sulla base di questi presupposti, l’EPA ha condotto una dettagliata ricerca e analisi sulla pericolosità per la salute umana dei gas serra. Il Technical Support Document, che accompagna la proposta, ne ha individuati, in particolare, sei, le cui concentrazioni in aumento, pur non determinando direttamente pericoli diretti sulla salute umana, rappresenterebbero una potenziale minaccia per il loro contributo al cambiamento climatico: - Anidride carbonica (CO2); - metano (CH4); - Protossido di Azoto (N2O); - Idrofluorocarburi (HFC5); - Perfluorocarburi (PFC5 ); - Esafluoro di Zolfo (SF6); Il documento conferma, tra l’altro, la molteplicità di tali impatti: - aumento delle concentrazioni di ozono a terra; - incremento della siccità; - più frequenti ondate di calore ed incendi; - maggiore innalzamento del livello del mare; - più tempeste estreme; - danni alle risorse idriche, all’agricoltura, alla fauna e agli ecosistemi. “Questa ricerca conferma che l’inquinamento è un problema serio per le generazioni future - ha dichiarato la Jackson Fortunatamente c’è la volontà espressa dal presidente Obama per un’economia a bassa emissione di carbonio e una forte maggioranza al Congresso favorevole ad una legislazione sulle energie pulite e sulla mitigazione dei cambiamenti climatici”. L’EPA precisa che la regolamentazione delle emissioni non deriverà automaticamente dalle risultanze dell’indagine. Dopo la sua pubblicazione sul Registro Federale decorreranno 60 giorni entro il cui periodo i portatori di interesse potranno formulare le proprie osservazioni. Ci saranno anche delle pubbliche audizioni, ad Arlington (VA) il 18 maggio e a Seattle (WA) il 21 maggio 2009, nel corso delle quali sarà possibile offrire i proprio contributi. Ovviamente questo documento costituirà un valido strumento di appoggio per la politica del nuovo Presidente USA che ha posto la questione ambientale tra le priorità delle sue attività di governo. Infatti, vi si afferma che “l’inquinamento atmosferico non soltanto è dannoso per la salute, ma questi alti livelli di concentrazione sono certamente il risultato delle attività umane e dei cambiamenti climatici”. In più, riprendendo un Rapporto sulla sicurezza americana, stilato nel 2007 da 11 generali e ammiragli in pensione dove si afferma che i cambiamenti climatici “presentano notevoli sfide per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, a seguito della destabilizzazione di molte regioni, indotta e fomentata da una crescente scarsità di risorse, compresa l’acqua e di possibili ondate migratorie di massa verso regioni del mondo più stabilizzate”. “Dopo 8 anni di inazione, vogliamo che i cittadini sappiano che stiamo lavorando per loro” ha dichiarato la Jackson annunciando anche la distribuzione di 190 milioni di dollari tra i vari Stati per bonificare i serbatoi di stoccaggio sotterraneo (LUST), affinché le eventuali perdite di petrolio e
derivati non si infiltrino nel suolo contaminando le acque sotterranee, da cui dipendono gli approvvigionamenti di acqua potabile per circa metà della popolazione statunitense. “Stiamo offrendo opportunità di crescita per l’intera comunità nazionale, al contempo la proteggiamo a lungo termine da pericolosi inquinamenti del suolo e delle risorse idriche - ha osservato la Jackson - Il problema dell’inquinamento contiene in sé anche la soluzione, allorché si creeranno milioni di lavori verdi e la fine della nostra dipendenza energetica dal petrolio straniero”. Ribadendo il suo impegno ad amministrare l’Agenzia, “avendo come guida la scienza”, la Jackson ha dichiarato tuttavia che le leggi “debbono essere materia dei responsabili politici che fanno politica tramite le leggi. È chiara la sintonia con Obama in questo passaggio, che ha ripetutamente espresso, la sua preferenza per una legislazione omnicomprensiva su questo argomento che includa una legge quadro per un’economia energetica pulita. Si tratta di un passaggio politico-istituzionale tra i più delicati che avrà ripercussioni a livello globale per le conseguenze economiche che determinerà nei settori dei trasporti, delle centrali elettriche, delle raffinerie di petrolio, dei cementifici e delle industrie pesanti in generale, tanto che il New York Times ha indicato nell’attività intrapresa dall’EPA “una delle sfide più ambiziose di regolamentazione della storia”. Che Lisa sia una “tosta”, lo avevamo già indicato (cfr: “Sto lavorando ad un sogno, anche se è molto lontano... Più di quanto si immagini!”, in Regioni&Ambiente n. 1/2, gennaio-febbraio 2009, pag. 36 e segg.), ma dopo questo atto dovrà premunirsi perché su di lei e sull’EPA si concentrerà il fuoco di sbarramento dell’industria più inquinante (acciaierie e impianti energetici, soprattutto) che, attraverso i Senatori Repubblicani sta facendo una “pesante” attività di lobbying per impedire che venga approvata una Legge per un sistema di Cap & Trade. C’è da osservare, tuttavia, che il Partito Repubblicano americano per queste posizioni di diniego dei cambiamenti climatici, sta conoscendo un forte calo di popolarità, come testimonia il recente passaggio ai Democratici del Senatore della Pennsylvania, Arlen Specter che ha accusato il suo ex partito di grave conservatorismo, mentre un altro, James Inhofe dell’Oklahoma, ha presentato a sorpresa un disegno di legge per il controllo dei pericoli per la salute e l’ambiente delle emissioni del “carbonio nero”, le particelle inquinanti atmosferiche che derivano dalla combustione di biomassa organica (per 3/4) e dai combustibili fossili (1/4), che danno luogo al fenomeno conosciuto come Atmospheric Brown Clouds (ABC) che è considerato la seconda causa di riscaldamento globale dopo il biossido di carbonio (ndr: per un’analisi dettagliata del fenomeno confronta “Le emissioni continuano a crescere”, in Regioni&Ambiente n. 11, novembre 2008, pag. 12 e segg.). Nonostante Inhofe abbia tenuto a precisare che la sua proposta tende a salvaguardare la salute delle popolazioni più povere dell’Asia e dell’Africa, rimanendo contrario alle ipotesi di cause antropiche del riscaldamento globale e alle limitazioni delle emissioni attraverso un sistema di Cap & Trade, la sua iniziativa è stata subito ben accolta dai Democratici, ma sopportata con malumori dai Repubblicani.
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BIODIVERSITÀ E CONSERVAZIONE
Per il 30° anniversario della “Direttiva Uccelli” pubblicazione della Commissione UE
GUIDA PER LA CACCIA SOSTENIBILE AGLI UCCELLI SELVATICI
Ma in Italia imperversano le polemiche sulla proposta di modifica della Legge n. 157/92 (Legge sulla Caccia)
Mentre in Italia stanno imperversando le polemiche sulla proposta di Legge che il Parlamento sia appresta a discutere e, quindi ad approvare, che apporterebbe modifiche sostanziali alla Legge n. 157/92 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma per il prelievo venatorio”, meglio conosciuta come “Legge sulla Caccia”, che recepiva la Direttiva 79/409/CEE sulla Conservazione degli uccelli selvatici, la Commissione UE ha presentato la Guida per la caccia sostenibile agli uccelli selvatici, con lo scopo di chiarire le disposizioni in merito della Direttiva stessa che il 2 aprile u.s. ha celebrato il 30° anniversario. In tale occasione il Commissario UE all’Ambiente Stavros Dimas ha osservato che: “La Direttiva Uccelli è uno dei grandi successi della politica ambientale dell’UE. È la traduzione in pratica del nostro impegno per la conservazione globale della biodiversità. Gli uccelli non solo sono belli di per sé e sono parte inestimabile del nostro patrimonio naturale, ma sono inoltre indicatori fondamentali della salute dell’ambiente. Gli uccelli selvatici dell’Europa hanno ampiamente
beneficiato delle severe norme di protezione previste dalla direttiva. Ma restano grandi sfide da affrontare al fine di garantire che le popolazioni di uccelli siano in buona salute a lungo termine. La direttiva Uccelli è d’attualità oggi come lo era 30 anni fa ed avrà un ruolo fondamentale nella realizzazione della nostra politica in materia di biodiversità per molti anni ancora”. La Direttiva “Uccelli selvatici”, primo atto legislativo adottato dall’UE in materia di patrimonio naturale e uno dei più importanti, istituisce un sistema di protezione globale di tutte le specie di uccelli selvatici naturalmente presenti nell’Unione europea. Essa ha costituito la risposta alle crescenti preoccupazioni per il calo delle popolazioni di uccelli selvatici in Europa, dovuto all’inquinamento e alla perdita di habitat nonché ad attività non sostenibili. Con tale Direttiva è stato inoltre riconosciuto il fatto che gli uccelli selvatici, molti dei quali sono migratori, costituiscono un patrimonio comune degli Stati membri e che la loro tutela richiede una cooperazione internazionale. Grazie all’azione mirata dell’UE, dei Governi nazionali, degli
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ambientalisti e dei volontari al fine di attuare la Direttiva nella pratica, per molte specie di uccelli è ora previsto un futuro molto più roseo. Tali specie comprendono la spatola bianca (Platalea leucorodia), l’aquila di mare (Haliaeetus albicilla)e l’aquila imperiale spagnola (Aquila adalberti). Uno studio pubblicato nella rivista Science ha confermato che la Direttiva ha notevolmente contribuito ad arrestare la diminuzione di alcune popolazioni di uccelli fra le più minacciate d’Europa. Il miglioramento della situazione di talune popolazioni, fra cui il petrello di Madeira (Pterodroma madeira), il pellicano riccio (Pelecanus crispus, foto in basso a sinistra) e il marangone minore (Phalacrocorax pygmaeus) è dovuto in gran parte alla designazione di circa 5.000 Zone di Protezione Speciale (ZPS) che coprono più del 10% della superficie dell’Europa, come pure una buona parte delle zone marine costiere. Quando è stata approvata, nel 1979, l’UE era composta soltanto da 9 Stati membri. Attualmente la cooperazione si estende a tutta l’UE allargata, con ZPS in tutti i 27 paesi. Le stesse norme sulla protezione degli uccelli si applicano in tutta l’UE e la Commissione è esigente quanto alla loro applicazione e, se necessario, adisce i tribunali nei confronti degli Stati membri. Nonostante i progressi descritti, la diversità ricca di oltre 500 specie di uccelli selvatici dell’UE è ancora sottoposta a pesanti minacce. Secondo i più recenti studi scientifici, il 43% delle popolazioni di uccelli dell’Europa è minacciato o sta subendo una grave diminuzione, cosa che rappresenta una sfida importante per il completamento della rete Natura 2000, ivi compresa la componente marina.
È altresì necessaria una maggior tutela degli uccelli comuni che dipendono ampiamente dalle zone rurali. I cambiamenti delle politiche agricole hanno comportato una diminuzione preoccupante dell’avifauna in habitat agricolo. Le popolazioni sono diminuite di circa il 50% dal 1980. Sebbene si stiano attualmente stabilizzando, occorre adoperarsi maggiormente per integrare meglio le esigenze in materia di tutela degli uccelli nelle politiche agricole e nelle altre politiche, al fine di ripristinare le popolazioni di specie importanti come la gallina prataiola (Tetrax tetrax) e il re di quaglie (Crex crex, foto in basso). Lo stato di salute degli uccelli selvatici è sintomatico di pressioni più ampie che si esercitano sulla biodiversità, quali i cambiamenti climatici. Esistono già le prove di una variazione nella ripartizione di talune popolazioni di uccelli. Garantire alla natura lo spazio adeguato e adattare la protezione degli uccelli ai mutamenti del clima è una sfida cruciale per il futuro. La direttiva Uccelli inoltre contribuisce a mantenere gli impegni internazionali dell’UE riguardanti gli uccelli migratori. Poiché molte specie trascorrono parte della vita fuori dall’Europa, è essenziale cooperare con i paesi situati lungo le rotte di migrazione al fine di garantire la protezione necessaria alla buona salute di tali popolazioni di uccelli. La Guida sulla caccia sostenibile è stata presentata nel corso di una cerimonia ufficiale a Parigi organizzata da Jean-Louis Borloo, Ministro francese per l’Ambiente, e da Karl Falkenberg, Direttore generale della Direzione generale Ambiente della Commissione.
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La Commissione europea, si legge nel comunicato, appoggia la caccia sostenibile e riconosce che la caccia stagionale degli uccelli selvatici può avere effetti positivi sulla tutela degli habitat. La caccia è una delle numerose attività che possono essere svolte nei siti Natura 2000 - la rete ecologica di zone naturali protette che interessa all’incirca un quinto del territorio e delle acque continentali dell’Unione europea. Essa può contribuire alle iniziative comuni per la gestione di habitat importanti, come le zone umide, le brughiere e i terreni agricoli. Si tratta di un fattore essenziale per ripristinare e tutelare la biodiversità in Europa, che sta diminuendo a un tasso allarmante: un esempio di questa preoccupante tendenza è costituito dal calo delle popolazioni di uccelli comuni come i passeri, le rondini e le starne. La Commissione ha avviato nel 2001 un’iniziativa per la caccia sostenibile con la collaborazione degli Stati membri, dell’organizzazione per la conservazione degli uccelli BirdLife International e della Federazione delle Associazioni di Caccia e Conservazione dell’UE (Federation of Associations for Hunting and Conservation - FACE). Nel 2004 BirdLife International e FACE hanno sottoscritto un accordo internazionale sulla caccia nell’ambito della Direttiva “Uccelli”. Nonostante il divieto generale di uccisione degli uccelli selvatici, come previsto dalla Direttiva “Uccelli”, la caccia di alcune specie è permessa al di fuori dei periodi di riproduzione e di migrazione che precedono l’accoppiamento (o di primavera). Questi periodi di chiusura della caccia sono decisivi e consentono agli uccelli selvatici di riprodursi. La Direttiva elenca 82 specie che possono essere cacciate negli Stati membri dell’UE. I periodi di caccia, fissati a livello nazionale sulla base di principi e dati scientifici, variano in funzione delle specie e della situazione geografica. I paesi dell’Unione hanno la facoltà di consentire o vietare la caccia delle specie elencate nella Direttiva. In via eccezionale, gli Stati membri possono permettere la cattura e l’uccisione
di specie di uccelli previste dalla Direttiva al di fuori della normale stagione di caccia per un numero limitato di motivi e soltanto qualora non vi siano soluzioni alternative. La Guida, pertanto, è il risultato di iniziative congiunte intese a illustrare le migliori pratiche per il conseguimento di questo obiettivo. Pur avendo lo scopo di tutelare gli uccelli in generale, la Guida esamina in particolare le stagioni della caccia ricreativa, le modalità per ridurre al minimo il rischio di disturbare gli uccelli e i loro habitat nonché le condizioni per la concessione di permessi di caccia in circostanze eccezionali. L’obiettivo è delucidare i punti che si prestano a fraintendimenti e chiarire i requisiti minimi della Direttiva. Ciò permetterà ai cacciatori di svolgere la loro attività in modo sostenibile. La Guida si attiene fedelmente al testo della Direttiva e ai principi generali della normativa comunitaria in materia ambientale; va tuttavia precisato che essa non ha carattere legislativo, ossia non stabilisce nuove regole, ma si limita a fornire indicazioni sull’applicazione delle regole vigenti. Come tale, la Guida riflette unicamente il punto di vista dei servizi della Commissione e non ha natura vincolante. Occorre sottolineare che l’interpretazione definitiva delle direttive spetta unicamente alla Corte di giustizia delle Comunità europee. Ciò significa che la Guida dovrà essere riveduta in futuro alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza in materia. La Guida intende rispettare pienamente la giurisprudenza della Corte sul tema della caccia, che è già molto vasta. Questa intenzione influisce su alcuni aspetti del documento, soprattutto nei casi in cui la Corte ha già assunto una posizione chiara. La Guida si propone altresì di illustrare i principi ecologici su cui si basa la gestione della caccia nel quadro della direttiva e a tal fine ricorre ai migliori dati scientifici disponibili,
Fonte: Commissione UE, “Guida per la caccia sostenibile agli uccelli selvatici”
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anche se si riconosce che la mancanza di dati scientifici di buona qualità limita la possibilità di gestire correttamente e accuratamente le popolazioni aviarie. Infine, la Guida riconosce che la gestione dell’attività venatoria è di competenza degli Stati membri, ai quali spetta il compito di determinare i periodi di caccia nell’ambito del territorio nazionale in ottemperanza al disposto della Direttiva. La Guida è incentrata essenzialmente sulla disciplina temporale della caccia a fini ricreativi, ma all’occorrenza tratta anche altri aspetti riguardanti l’attività venatoria. Dal punto di vista giuridico l’interesse è concentrato sulle specie cacciabili elencate nell’Allegato II della Direttiva e sulle disposizioni degli articoli 7 e 9, ma ove necessario sono presi in esame anche gli altri articoli. Un’attenzione particoFonte: Commissione UE, “Guida per la caccia sostenibile agli uccelli selvatici” lare è rivolta all’analisi dei criteri cui è subordinato l’esercizio delle deroghe, soprattutto nel quadro dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera c). La Guida non si limita ad esaminare le disposizioni giuridiche ma si sofferma anche sugli aspetti tecnici e scientifici della direttiva che rivestono particolare importanza per la conservazione degli uccelli selvatici. La Guida è composta da tre capitoli principali. Il primo capitolo fornisce una visione d’insieme della disciplina della caccia nel quadro della direttiva,mediante l’esame dei considerando e degli articoli che risultano pertinenti a tal fine. Il secondo capitolo analizza in maniera più dettagliata gli aspetti tecnici e giuridici dell’articolo 7, comprese le condizioni specifiche relative alla fissazione dei periodi di caccia nel quadro della direttiva. Il terzo capitolo esamina infine la possibilità di autorizzare la caccia nel quadro del regime derogatorio previsto dall’articolo 9 della Direttiva. Alcune parti del documento sono integrate da figure, che forniscono utili informazioni aggiuntive.
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QUALITÀ E AMBIENTE
LʼISPRA ha presentato il V Rapporto Qualità Ambiente Urbano
CONSUMO SUOLO E QUALITÀ ARIA GLI ASPETTI PIÙ PREOCCUPANTI Segnali positivi per consumo d’acqua e raccolta differenziata
In occasione della XI Conferenza Nazionale delle Agenzie Ambientali che si è tenuta a Roma (1-2 aprile 2009), in coincidenza con Ecopolis, l’incontro internazionale sull’ambiente urbano sostenibile, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ex APAT) ha presentato il V Rapporto sulla Qualità dell’Ambiente Urbano. Il Rapporto che descrive lo stato di salute di 33 città capoluogo di Provincia, mostra come la situazione rimanga ancora critica, pur in presenza di alcuni segnali positivi che riguardano la riduzione del consumo di acqua e l’aumento delle percentuali di raccolta differenziata. Preoccupa soprattutto la qualità dell’aria che costituisce uno degli elementi più importanti per definire lo stato dell’ambiente, nonché una delle emergenze che più preoccupa, proprio nelle aree urbane dove la percentuale di popolazione esposta è più elevata. Solo 4 città (Bolzano, Pescara, Campobasso e Potenza) sono riuscite a contenere il numero dei superamenti giornalieri dei livelli massimi consentiti di PM10 nei 35 giorni previsti dalla Legge. L’altro aspetto preoccupante che, a nostro avviso, emerge con evidenza dal Rapporto ISPRA è il consumo di suolo. Nel decennio 1990-2000 l’espansione urbana, con il progressivo, confuso e sregolato allargamento dei limiti delle nostre città ha consumato il 5,8% del territorio provinciale , con picchi del 13, 7% delle province lombarde, a scapito dei territori agricoli o, nelle migliori delle situazioni, boschivi (vogliamo qui ricordare che lo scorso anno le Associazioni e Confederazioni Agricole della Lombardia hanno denunciato che di questo passo tra urbanizzazione e creazione di infrastrutture non ci sarà più suolo sufficiente per garantire la sicurezza alimentare). C’è inoltre da segnalare che si tratta di una delle problematiche più attuali e stringenti per il nostro Paese anche in relazione al possibile incremento di beni esposti
ai rischi idrogeologici. Considerando l’importanza che questo rapporto riveste per tutti coloro che seguono queste tematiche, abbiamo ritenuto di proporre i messaggi-chiave in esso contenuti.
FATTORI DEMOGRAFICI • Nei 33 comuni capoluoghi di provincia oggetto di analisi risiede il 20,4% della popolazione totale del Paese (oltre 12 milioni di persone), coprendo il 2,2% della superficie italiana. La densità media della popolazione di questi comuni, nel 2007, è pari a circa 1.845 abitanti per km2 con situazioni fortemente differenziate; in particolare, il valore massimo si registra a Napoli con 8.249 abitanti per km2, mentre il valore minimo si riscontra a Foggia con 302 abitanti per km2. SUOLO • La conoscenza del livello di urbanizzazione rappresenta uno strumento di supporto all’analisi e alla valutazione dei processi insediativi e di trasformazione di uso del suolo nel contesto territoriale delle aree urbane Italiane. Dati eterogenei sono elaborati sulla base di un criterio uniforme in considerazione di una unità territoriale minima: in questo caso l’area censuaria. L’analisi si è basata sui dati di popolazione, strade e numero di edifici, limitandosi alle superfici amministrative dei 33 comuni. Si desume quindi, che il 68% di superficie totale - corrispondente a 449.228 ha - presenta un basso grado di urbanizzazione, 19,8% di superficie totale - pari a 130.977 ha - presenta un alto grado di urbanizzazione e il 12,2% di superficie totale - pari a 80.538 ha - presenta un grado intermedio di urbanizzazione. Le percentuali relative ad un’alta urbanizzazione variano città per città e devono essere lette sempre insieme ai valori assoluti, espressi in ettari (ha). Nel caso di Roma ad esempio circa il 27% di territorio presenta alta urbaniz-
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zazione (corrispondente a circa 27.000 ha, su un territorio complessivo di circa 128.000 ha). Al contrario, i quasi 2.000 ha di superficie altamente urbanizzata di Pescara rappresentano più della metà del territorio comunale (pari a quasi 3.500 ha). • I dati di consumo di suolo, elaborati sul territorio provinciale per il periodo 1990-2000, evidenziano una crescita media nazionale pari al 5,8% con picchi anche superiori al 10% nelle province di Torino, Parma, Bologna, Pescara e Cagliari. Nella maggioranza dei casi, sono andate perdute superfici agricole utilizzate, mentre meno del 3% del territorio consumato era rappresentato da aree boschive. L’urbanizzazione è stata essenzialmente di tipo residenziale discontinua e irregolare e per tale motivo a costi più elevati in termini di territorio consumato. L’espansione continua e compatta dei tradizionali centri urbani rappresenta invece un fenomeno piuttosto infrequente. In 8 province, invece, l’urbanizzazione di tipo industriale/ commerciale è risultata prevalente sull’urbanizzazione residenziale. • Come ausilio alla pianificazione del territorio e all’analisi dei processi di urbanizzazione è stata realizzata una rappresentazione cartografica del grado di impermeabilizzazione del suolo derivato da un processo di classificazione semiautomatica di immagini telerilevate. È stato suddiviso il grado di impermeabilizzazione in tre classi: basso grado (<10%), medio grado (1070%) e alto grado (70-100%). I risultati del lavoro si traducono in tavole, restituite a scala 1:125.000, limitatamente alle superfici comunali delle 33 aree urbane italiane. La cartografia utilizzata per la restituzione degli elaborati è scaricabile presso il sito web www.mais.sinanet.apat.it. • I siti contaminati di interesse nazionale - SIN (che a novembre 2008 sono 57, di cui 33 distribuiti in 22 aree urbane) sono definiti in relazione alle
caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell’impatto sull’ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali e ambientali. In molti casi queste aree sono caratterizzate anche da una grande estensione, da un’alta densità di popolazione e da una molteplicità di soggetti proprietari. Con riferimento alle 33 città considerate nel Rapporto, 11 città non hanno alcun SIN, 17 città hanno un solo SIN, 3 città ne hanno 2 e casi particolari sono quelli di Milano con 5 SIN e Napoli con 6. • Alla presenza nel territorio di uno stabilimento a Rischio di Incidente Rilevante (stabilimento RIR) è associato un potenziale rischio, per l’uomo e per
l’ambiente, di essere interessati da un incidente, con conseguenze sulla loro integrità. Gli effetti di un incidente possono essere tanto più gravi quanto più è prossimo lo stabilimento a un’area urbana densamente abitata. Tra le 33 aree urbane prese in considerazione, quella nel cui territorio comunale si trova il maggior numero di stabilimenti RIR è Venezia (Porto Marghera), mentre, allargando la prospettiva, la provincia con il maggior numero di stabilimenti RIR risulta essere Milano. RIFIUTI • Le città oggetto dell’indagine rappresentano, nel 2006, circa il 23% della produzione totale di rifiuti urbani dell’intero territorio nazionale.
L’espansione irregolare delle zone periferiche di Roma inglobata dal Grande Raccordo Anulare, come appare da un’immagine costruita con il sistema ASTER a bordo del satellite NASA Terra
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Le 33 città si caratterizzano per valori di produzione pro capite, generalmente, superiori rispetto alla media nazionale ed alle medie dei rispettivi contesti territoriali di appartenenza. La produzione di rifiuti nei diversi centri urbani ed, in particolar modo, nelle cosiddette città d’arte, è, inevitabilmente, influenzata dagli afflussi turistici; in generale, inoltre, nelle aree urbane tendono ad accentrarsi molte attività lavorative, in particolar modo quelle del settore terziario. I maggiori livelli di raccolta differenziata si rilevano, nell’anno 2006, per la città di Trento, che si attesta ad una percentuale superiore al 47% e per quella di Padova con quasi il 39%, mentre ad un valore pari a circa il 37% quella della città di Torino e Aosta. Per
quest’ultima, si osserva una crescita della percentuale di raccolta di quasi 12 punti tra il 2004 ed il 2006. Particolarmente problematica, soprattutto nei centri urbani di maggiori dimensioni, risulta l’attivazione dei sistemi di intercettazione delle frazioni putrescibili (organico e verde) che richiedono specifiche modalità e frequenze di raccolta. Più diffusamente sviluppate appaiono, invece, le raccolte della frazione cellulosica, del vetro e della plastica che comportano una più semplice organizzazione logistica. • Sulla base dei dati pubblicati nel recente Rapporto Rifiuti ISPRA del 2008, per quanto riguarda la produzione di rifiuti urbani relativamente alle città con popolazione superiore ai 150.000 abitanti, negli anni 2003-2007 si rileva una crescita della produzione superiore al 12% per la città di Perugia e incrementi compresi tra il 10 e il 12% per Padova, Roma, Torino e Prato. Un calo complessivo superiore al 4% si riscontra, invece, per la città di Foggia e di poco inferiore a tale percentuale per quella di Brescia, mentre riduzioni comprese tra l’1,5% ed il 3% si registrano per i comuni di Taranto, Palermo, Trieste e Catania. Complessivamente stabile, nello stesso periodo, risulta il dato di produzione dei comuni di Parma e Genova. Il tasso di raccolta differenziata del comune di Padova si colloca intorno al 39,4%, mentre ad un valore pari al 38,7% quello della città di Torino. Per quest’ultima, si osserva una crescita della percentuale di raccolta di circa 12 punti tra il 2003 ed il 2007. Ad un valore superiore al 38% si attestano anche le città di Parma (38,5%) e Brescia (38,4%). Una percentuale di raccolta differenziata superiore al 35% si riscontra per la città di Prato, mentre tassi compresi tra il 30 ed il 35% per i comuni di Verona, Modena, Livorno, Milano e Firenze. Si hanno, poi, due città, Perugia e Venezia, con un tasso superiore al 25% ed una, Bologna, con
una percentuale prossima a tale valore. Palermo, Taranto e Messina fanno registrare i livelli più bassi di raccolta, con percentuali rispettivamente pari al 6,2%, 4,5% e 2,3%. NATURA E BIODIVERSITÀ • L’informazione statistica relativa agli indicatori sul verde urbano soffre di una carenza di omogeneità nei sistemi di rilevazione e di interpretazione dei dati. I dati riportati - di fonte ISTAT - si riferiscono al solo verde pubblico (escluso quello privato), gestito dal Comune stesso o da altri enti pubblici. Al 2007, la percentuale di verde urbano pubblico sulla superficie comunale nelle 33 città indagate registra valori compresi tra un minimo di 0,05% (Taranto) e un massimo di 55,2% (Cagliari), superando il 10 % in solo 8 città. Anche la disponibilità pro capite di verde pubblico mostra grande variabilità di dati, col valore massimo registrato per Ancona (342 m2/ab), seguita da Cagliari (297,9 m2/ab), Roma (132,4 m2/ab) e Trento (110,1 m2/ab). Le aree verdi qui computate non presentano tutte gli stessi livelli di fruibilità: si va dalle aree a verde attrezzate a fini ludico-ricreativi e facilmente fruibili, fino ai parchi peri-urbani, meno accessibili ma egualmente importanti per le loro funzioni ecologiche ed ambientali. I dati qui pubblicati restituiscono una lettura essenzialmente quantitativa del verde urbano, che può non coincidere con la percezione dei cittadini circa la sua qualità (pulizia, sicurezza, accessibilità, etc.). • La biodiversità animale viene analizzata verificando la presenza di specifici studi su uccelli e su anfibi e rettili, sia a livello comunale sia provinciale, con dati aggiornati al 2008. L’analisi dei dati mostra che solo 7 città non dispongono di studi né a livello provinciale né a livello comunale. Gli atlanti sono gli studi più diffusi (51%), soprattutto in riferimento agli
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uccelli, mentre per quanto riguarda anfibi e rettili prevalgono studi diversi dagli atlanti. Per quanto riguarda l’avifauna, a livello provinciale esistono gli atlanti ornitologici per 11 province e altri studi preliminari per 3 città. A livello comunale sono disponibili gli atlanti ornitologici per 9 città, progetti per 3 aree urbane e per 9 città si segnalano altri lavori. A livello comunale la maggior parte degli studi (17 su 26) è stata pubblicata a partire dal 2000, mentre a livello provinciale molti lavori sono precedenti a questa data (12 su 19). Per quanto riguarda gli anfibi e rettili, esistono gli atlanti per 7 province, lavori preliminari per 10 province e un progetto a livello provinciale per la città di Bolzano. A livello comunale sono invece disponibili pochi studi su anfibi e rettili: un solo atlante (per Roma) e per altre 5 città si segnalano altri tipi di studi. La maggior parte degli studi è stata pubblicata a partire dal 2000, sia a livello provinciale (12 su 20) che comunale (4 su 7). L’analisi effettuata testimonia la crescente importanza assunta dagli atlanti, e dagli altri lavori, sia come strumento conoscitivo, sia quale supporto alla gestione e alla pianificazione urbana. Inoltre i dati raccolti possono costituire la base per analisi scientifiche inerenti alla biodiversità nelle città, anche quale mezzo per valutare lo stato ambientale generale (già la semplice presenza/assenza di una specie può infatti fornire utili indicazioni sulla qualità dell’ambiente). Le città ospitano comunità animali ricche e complesse, la cui conoscenza è importante sia in termini conservazionistici sia in termini di sensibilizzazione dell’opinione pubblica verso i temi ecologici. Anche le città infatti possono assolvere un ruolo importante per la conservazione e la tutela delle specie animali, che nelle aree urbane possono incontrare condizioni idonee alla loro sopravvivenza.
ACQUE • I consumi di acqua per uso domestico nelle città sono caratterizzati da una sostenuta richiesta di acqua legata essenzialmente agli usi civili, artigianali e ricreativi della stessa. L’indagine rivela che a livello nazionale, il consumo pro-capite di acqua per uso domestico nel 2007 è diminuito rispetto al 2006 dell’1,7%, raggiungendo il valore di 69,9 m3 per abitante. Nelle 33 città la media nel 2007 è risultata di 65,5 m3 pro capite, mentre nel 2006 è di 67,04 m3 pro capite con una diminuzione del 2,24%. Le città che hanno superato gli 80 m3 pro capite sono Torino, Milano, Brescia, Roma, Pescara e Catania; di queste tutte hanno comunque diminuito i loro consumi, tranne Catania che li ha aumentati da 78,6 a 81,7 m3 pro capite. • Le perdite di rete, nell’ambito delle 33 città considerate, sono stimate intorno al 30% e vanno da un minimo della provincia di Genova (16%) ad un massimo
della provincia di Taranto (54%); le città che presentano perdite superiori al 40% appartengono maggiormente al Sud e alle isole e sono Bari, Taranto, Palermo, Cagliari, Prato e Pescara. A seguire Catania con perdite di poco sotto il 40% e Aosta, Venezia, Udine, Firenze, Roma, Campobasso, Napoli, Potenza e Catania con perdite poco sopra il 30%. Questi dati indicano la necessità di un migliore controllo delle perdite involontarie, usi impropri ed abusi che provocano sprechi idrici significativi. È importante sottolineare che i dati riportati per le perdite di rete, e pubblicati dall’ISTAT nel 2006, si riferiscono al 1999. Allo stato attuale questi dati rappresentano la migliore informazione ufficiale disponibile che consente la piena confrontabilità tra tutte e 33 le città oggetto di analisi. • Al fine di rappresentare in sintesi il grado di adeguamento delle infrastrutture fognarie e depurative delle aree
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urbane esaminate ai requisiti previsti dalla normativa, è stata calcolata la percentuale di carico organico convogliata in reti fognarie e la percentuale sottoposta a trattamento depurativo. I dati sono aggiornati al 31 dicembre 2005, in quanto relativi all’ultimo invio fatto alla Commissione Europea da parte dell’Italia. La percentuale di carico organico convogliato al sistema di raccolta degli agglomerati è risultata quasi sempre elevata e, comunque, non inferiore all’80%. In particolare, in 35 agglomerati su 45 esaminati (corrispondenti a 33 città), il grado di copertura del sistema fognario ha superato il 90%, mentre in 4 agglomerati è risultato compreso tra l’80% e il 90%. In un solo caso la percentuale è risultata inferiore all’80%. In relazione al grado di copertura del sistema depurativo, la percentuale di carico organico depurata è risultata maggiore del 90% in 32 agglomerati e compresa tra l’80% e il 90% in 6 agglomerati. La percentuale di
carico organico depurata è risultata inferiore all’80% solo in due agglomerati. Si è ritenuto utile, altresì, valutare la conformità degli scarichi alle norme di emissione stabilite dalla normativa che, nel 2005 veniva conseguita da 27 agglomerati su 45 esaminati. • Dall’analisi dei dati relativi al Monitoraggio delle Acque di Balneazione (2007), pubblicati dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, emerge che la qualità delle acque destinate alla balneazione si mantiene buona nella maggior parte delle province analizzate. Il sistema di controllo prevede criteri più restrittivi di quelli limite della direttiva europea e ciò rende le coste balenabili italiane le più controllate d’Europa pertanto le più sicure per il turismo nazionale ed internazionale. EMISSIONI E QUALITÀ DELL’ARIA • Le principali sorgenti di emissioni atmosferiche in ambito urbano risultano essere i “Trasporti su strada” nel caso di inquinanti come PM10, ossidi di azoto, monossido di carbonio e benzene, l’uso di solventi (contenuto nel macrosettore aggregato “Altro”) nel caso dei composti organici volatili non metanici, l’“Industria” per gli ossidi di zolfo e l’”Agricoltura e foreste” (che include anche gli allevamenti) per l’ammoniaca. Inoltre la presenza sul territorio di alcune realtà industriali e/o portuali può influire anche sensibilmente sulle emissioni. Per quanto riguarda l’andamento nel tempo, le emissioni complessive delle città per tutti gli inquinanti risultano quasi sempre in calo. • La qualità dell’aria è uno degli elementi più importanti per definire lo stato dell’ambiente ed è una delle emergenze che più preoccupa proprio nelle aree urbane dove i livelli di inquinanti spesso superano i livelli consentiti e dove la percentuale di popolazione esposta è più elevata. Le informazioni riportate descrivono lo stato della qualità dell’aria per i principali inquinanti (PM10, ozono, biossido di azoto, biossido di zolfo e benzene) nelle 33 città.
La situazione risulta piuttosto preoccupante per l’inquinamento atmosferico da PM10 con numerosi superamenti sia del valore limite annuo sia del valore limite giornaliero: nel 2007 solo in 4 città il numero di superamenti giornalieri è stato contenuto nel limite dei 35 giorni previsti dalla normativa. Per l’ozono sono stati registrati superamenti dell’obiettivo a lungo termine in quasi tutte le città sia per l’anno 2007 che per il semestre aprile-settembre 2008: il numero più alto di giorni di superamento dell’obiettivo a lungo termine è stato osservato generalmente nelle città del nord Italia. Anche la soglia di informazione è più spesso superata nelle città del nord Italia. Per il biossido di azoto solo in 8 città il valore limite annuo al 2007 non è stato superato. Per gli inquinanti biossido di zolfo e benzene nell’anno 2007 nelle aree considerate non si sono registrati superamenti dei valori limite. CONTENIMENTO ENERGETICO IN EDILIZIA In merito al contenimento energetico negli edifici sono stati valutati alcuni indicatori proxy: i consumi di gas metano per uso domestico e per riscaldamento hanno subito una diminuzione nell’anno 2007 invertendo la tendenza degli anni precedenti. I consumi del 2007 sono inferiori a quelli del 2006 e anche del 2000 dove si registrava un totale dei consumi delle 33 città di 13.379,5 m³ per abitante contro i 13.090,9 m³ per abitante del 2007. Per quanto riguarda invece i consumi di energia elettrica per uso domestico, nel 2007 c’è stato un rialzo dei consumi (con un totale sulle 33 città di 39.195 kWh per abitante) che ha raggiunto quasi i consumi di picco del 2004 (con un totale sulle 33 città di 40.070 kWh per abitante). La variabilità climatica interannuale incide in modo proporzionale sull’andamento dei consumi energetici e di gas metano. Al 31 dicembre 2008 più di 1000 impianti fotovoltaici sono entrati in
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esercizio ai sensi del DM del 19/02/07: la città con il maggior numero di impianti installati è Roma mentre quella con il numero minore è Aosta. Attraverso l’applicazione dello strumento della certificazione energetica e ambientale degli edifici è possibile avere una informazione oggettiva sui consumi energetici dell’immobile e sulla qualità ecocompatibile del manufatto a tutela dell’utenza finale anche se al momento questo dato è limitato solo ad alcune realtà urbane. MOBILITÀ E TRASPORTI • I dati sul traffico nelle 12 aree portuali delle città monitorate, relativi agli ultimi dieci anni, mostrano un sensibile incremento sia per quanto riguarda le merci, sia per i passeggeri. All’aumento di traffico corrisponde, un aumento relativo delle emissioni di ossidi di zolfo provenienti dal traffico marittimo internazionale, nonostante il trend decrescente delle emissioni totali di questo inquinante. • L’analisi degli indicatori relativi al parco veicolare privato conferma per l’anno 2007 le tendenze già emerse nelle precedenti edizioni del Rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano. Dal momento che il parco autovetture nel breve periodo mostra una sostanziale staticità è possibile valutare positivamente il miglioramento del parco dal punto di vista della rispondenza agli standard emissivi più recenti (le autovetture Euro 4 crescono significativamente in tutte le città). Una parte importante del mercato vede i cittadini orientarsi prevalentemente verso veicoli di grossa cilindrata e alimentati a gasolio. Le vetture alimentate a metano crescono sensibilmente pur continuando a rappresentare in valore assoluto una quota piccola del parco totale. Il parco veicolare nel settore dei motocicli registra una crescita significativa anche nel breve periodo, sottolineando la tendenza a privilegiare forme di mobilità alternative all’autovettura privata, che sono essenzialmente preferite al mezzo
pubblico e alla mobilità ciclopedonale. Infine occorre sottolineare come il parco dei veicoli commerciali leggeri sia profondamente mutato nel corso degli ultimi otto anni (con riduzione dei veicoli commerciali Euro zero fra il 51% e l’83%): questo ha una rilevanza particolare per quanto riguarda la qualità dell’aria, ricordando che nel 2003 questa sola categoria veicolare contribuiva per oltre il 10% alle emissioni complessive di PM10 da trasporti stradali in Italia. • Gli indicatori di mobilità urbana sostenibile registrano mediamente un miglioramento nella maggior parte delle 33 città analizzate. Si riscontra tuttavia ancora una certa disomogeneità territoriale; tale situazione risulta particolarmente evidente per la densità delle piste ciclabili, l’estensione delle aree pedonali, l’utilizzo del trasporto pubblico e il numero di stalli di sosta in parcheggi di corrispondenza. La situazione appare più omogenea per gli indicatori relativi all’estensione delle zone a traffico
limitato e al numero degli stalli di sosta a pagamento su strada. • Per quanto concerne il flusso dei pendolari, l’informazione proveniente dal Censimento della popolazione effettuato nel 2001 da ISTAT, indica che la popolazione residente nei 33 comuni oggetto di analisi che si sposta giornalmente per motivi di studio e lavoro, è pari al 47%, di cui il 90% si sposta all’interno del proprio comune di residenza. ESPOSIZIONE AGLI AGENTI FISICI • Il continuo sviluppo dei sistemi di radiotelecomunicazione e l’intensificazione della rete di trasmissione elettrica, conseguente all’aumento della richiesta di energia elettrica, comportano sicuramente un miglioramento della qualità della vita, ma spesso vi sono associati fenomeni di impatto ambientale e questioni di carattere sociale dovute ai conflitti che si generano tra cittadini, operatori e istituzioni. I dati analizzati relativi ai superamenti
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dei limiti di legge per gli elettrodotti e per gli impianti radiotelevisivi e le stazioni radio base dimostrano che in circa 10 anni si sono verificati pochissimi episodi di superamenti dei limiti imposti a livello nazionale dalla normativa e le azioni di risanamento sono state generalmente avviate e, per la maggior parte, concluse. Ad oggi, nonostante i grandi passi in avanti fatti in campo legislativo e tecnico-scientifico per tutelare la salute dei cittadini e nonostante i risultati dei controlli effettuati dalle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente dimostrino che i casi di superamento sono in numero davvero limitato, continuano a verificarsi conflitti sociali molto forti tra cittadini e associazioni di consumatori da una parte, gestori di impianti dall’altra e, in mezzo, gli amministratori locali e, spesso, anche gli enti di controllo, che hanno dovuto svolgere un ruolo di mediazione e di supporto alla cittadinanza,
nel rispetto, comunque, dei diritti dei titolari degli impianti. • L’inquinamento acustico è tuttora un fattore di pressione e di impatto con notevole incidenza sugli ecosistemi urbani, che richiede soluzioni e impegno da parte delle amministrazioni e coinvolgimento e partecipazione da parte della popolazione. L’analisi ribadisce le criticità evidenziate in passato e sottolinea la stasi che contraddistingue le risposte messe in atto e l’assenza di una pianificazione strategica e sinergica degli strumenti vigenti. Carenti risultano le attività di risanamento programmate e attuate nei territori comunali. Sempre più evidenti sono le differenze di risposta ed attuazione degli strumenti di pianificazione per il risanamento dall’inquinamento acustico da parte delle Amministrazioni, nelle diverse realtà territoriali. TURISMO • Nei 33 comuni capoluoghi di provincia, le strutture ricettive rappresentano, nel 2007, l’8% del totale delle infrastrutture turistiche nazionali; tale incidenza cresce fino ad arrivare al 10,2% se si considerano solo gli esercizi alberghieri. In linea con l’aumento registrato a livello nazionale, l’analisi dei flussi turistici tra il 2002 e il 2007, nel totale delle 33 province considerate, evidenzia un aumento del 10,7% per le presenze e del 17,8% per gli arrivi. La permanenza media è di poco inferiore al valore medio nazionale per circa due terzi delle province in esame, a conferma della predilezione, riscontrata negli ultimi anni, per soggiorni più brevi e più frequenti. • L’Italia è il primo paese in Europa per la concessione del marchio di qualità ecologica Ecolabel europeo. I trend sono in continua crescita: l’incremento medio delle licenze per l’uso del marchio Ecolabel è stato negli ultimi due anni del 78%. L’Italia detiene quasi la metà (il 48%) delle licenze concesse a livello europeo per i servizi di ricettività turistica e di campeggio.
SOSTENIBILITÀ LOCALE • Sempre più è riconosciuta la validità della diffusione e dello scambio delle buone pratiche tra Amministrazioni Locali. Si riscontra infatti la crescente volontà di mettere in condivisione attività e progetti e creare gruppi di lavoro sui temi rilevanti della sostenibilità. In riferimento ai principali settori di intervento delle politiche di sostenibilità si riscontra che le buone pratiche rilevate da ISPRA riguardano per il 26% Agenda 21 locale, per il 18% Mobilità, per il 17% Territorio e Paesaggio, per il 16% Energia, per l’11% Edilizia e Urbanistica, per il 5% Rifiuti, per il 3% Turismo, per il 2% Agricoltura come pure per l’Industria. Negli ultimi anni è aumentato molto l’impegno delle Amministrazioni nell’attuazione di progetti e programmi relativi al risparmio energetico e all’utilizzo di fonti rinnovabili. Inoltre il 79% delle città inserite nel Rapporto ha aderito ad accordi internazionali tra Amministrazioni Locali, mentre tutte hanno adottato strumenti di sostenibilità volontari a supporto degli strumenti di programmazione e pianificazione e controllo previsti dalla legge. • I processi di pianificazione locale e l’Agenda 21, ovvero i piani di azioni locali con responsabilità globali, hanno segnato l’inizio per un nuovo governo del territorio, con azioni di concertazione e partecipazione finalizzate ad una pianificazione meglio orientata. Gli Aalborg’s Commitments, sottoscritti nel 2004 da quasi 50 Paesi europei, come compendio delle istanze provenienti dagli operatori sul campo e selezione delle priorità d’intervento, rappresentano per le città sostenibili lo spartiacque tra la fase programmatica e quella pragmatica. Lo strumento di Agenda 21 locale per la sua diffusione e configurazione si conferma, pur nei limiti riscontrati nelle città più grandi, dove la flessibilità tipica di questo processo è stata spesso causa di frammentazione delle azioni, percorso ancora capace di interpretare le diverse realtà. Infatti tutte e 33 le città oggetto del V Rapporto hanno attivato l’Agenda
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21 Locale, con una percentuale del 79% di processi attivati a livello comunale ed un 21% di programmi a scala provinciale. Le tematiche ispirate ad Aalborg più frequentemente riscontrabili sono riconducibili a Risorse naturali comuni (26%), Governance (17%), Migliore mobilità meno traffico (15%), Consumi responsabili e stili di vita (12%). I processi di informazione ambientale e partecipazione dei cittadini attraverso le nuove tecnologie attuati dalla Pubblica Amministrazione si confermano di forte attualità anche sulle questioni ambientali e ben il 61% delle 33 città ha attivato processi di e-democracy. COMUNICAZIONE ED INFORMAZIONE • Nel biennio 2007-2008 si manifesta un trend che esprime un miglioramento generale a livello nazionale rispetto all’adozione di strumenti web di comunicazione e informazione ambientale da parte delle amministrazioni locali italiane, sia a livello comunale, sia a livello provinciale, dato che può ragionevolmente ritenersi indice di una crescente attenzione riservata dalle stesse amministrazioni ai temi ambientali. I siti comunali confermano in generale una maggiore dinamicità rispetto a quelli provinciali. Per quanto riguarda gli strumenti innovativi, questi occupano ancora le ultime posizioni sia a livello comunale che a livello provinciale. Dal punto di vista territoriale si evidenzia una situazione disomogenea, a vantaggio delle amministrazioni del nord, i cui siti hanno introdotto mediamente, sia a livello comunale che a livello provinciale, più strumenti di informazione e comunicazione ambientale rispetto ai comuni e alle province del centro-sud. La situazione dei siti delle amministrazioni del centro sud sembra tuttavia in corso di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda i siti dei comuni. Anche per quanto riguarda il livello di innovazione, i siti dei comuni e delle province del nord sembrano essere in vantaggio.
A COME AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE, AMBIENTE
G8 Ministri Agricoltura
L’AGRICOLTURA RITORNA IN PRIMO PIANO NELL’AGENDA POLITICA INTERNAZIONALE Nessuna produzione identitaria e sostenibile senza il coinvolgimento degli agricoltori Cison di Val Marino, località sconosciuta ai più, è stata al centro dell’attenzione dei media di tutto il mondo con ben 452 giornalisti accreditati, per aver ospitato il primo G8 agricolo mondiale dal 18 al 20 aprile 2009. Il Summit si è svolto, infatti, nella splendida cornice del Castello Brandolini che domina da un costone sulla vallata che va da Vittorio Veneto a Follina, lunga 15 Km. nella “giojosa” Marca Trevigiana. Il nome del castello deriva dal capitano di ventura Brandolino Brandolini, che ne divenne primo conte dopo averlo riscattato dal più famoso collega “Gattamelata” che l’aveva ottenuto in feudo per meriti d’arme dai Veneziani. Il luogo è stato scelto anch’esso, come l’isola de La Maddalena che avrebbe dovuto ospitare il G8 dei Capi di Stato e di Governo in luglio, per motivi di sicurezza, non essendo facilmente
raggiungibile o, quanto meno è facile controllarne l’accesso. La struttura scelta per il G8 agricolo ha avuto il merito di non aver sostenuto le spese per i lavori previsti per La Maddalena (220 milioni di euro), essendo stata restaurata dai suoi acquirenti (Quaternario Investimenti spa) che l’hanno riportata agli antichi splendori, rinominando l’intero complesso, Castelbrando, ma soprattutto non c’è stato alcun pericolo di incorrere nei procedimenti di infrazione avviati dalla Commissione UE, come è avvenuto per La Maddalena, per violazioni delle norme comunitarie che impogono di eseguire la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) per determinati progetti (Direttiva 85/337/CE). Una prima lettera di “costituzione in mora” era stata inviata nel giugno 2008, perché l’Ordinanza n. 3629 del 20/11/2007 del Presidente del Consi-
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glio Romano Prodi “Disposizioni per lo svolgimento del grande evento relativo alla Presidenza italiana del G8” aveva previsto un regime semplificato per le opere de La Maddalena, che prevede la possibilità dare inizio ai lavori prima delle procedure di VIA. Un successivo “parere motivato”, ultimo avvertimento scritto prima del deferimento alla Corte europea di Giustizia, è stato formulato nel marzo u.s., per l’assenza di risposta alla precedente. Ovviamente, lo spostamento della sede a L’Aquila ha by-passato questi ostacoli il cui mancato superamento avrebbe comportato pesanti multe al nostro Paese. Il vertice, presieduto dal Ministro italiano delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Luca Zaia, si è concluso con la sottoscrizione di una Dichiarazione finale in cui, i rappresentanti
tema al centro dell’attenzione dei media e lavoreremo perché sia anche il cuore dell’agenda politica del futuro”.
Il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali, Luca Zaia
di Governo degli Stati delle economie più avanzate, quelli degli Stati dalle economie emergenti (Brasile, Cina, India, Messico, Sudafrica) e quello di 3 Paesi che hanno un importante ruolo nel commercio mondiale delle derrate alimentari (Argentina, Australia ed Egitto), si impegnano “ad utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per ridurre gli effetti negativi dell’attuale crisi finanziaria sulla povertà e la fame, a rafforzare e incoraggiare una produzione alimentare sostenibile, ad aumentare gli investimenti in agricoltura e nella ricerca” (vedi box). Al vertice hanno preso parte anche importanti organismi internazionali, come FAO, Banca Mondiale, IFAD, OCSE, PAM, Unione Africana, Task Force sulla Sicurezza alimentare delle Nazioni Unite, a sottolineare che l’agricoltura è un settore chiave dell’economia mondiale e che la crisi alimentare dello scorso anno ha messo in evidenza che occorre una visione strategica condivisa e che debbono essere rivisti i ruoli degli organismi che se ne occupano e ri-
formulati gli accordi su cui si basa la produzione e il commercio delle derrate alimentari. “Con questo primo vertice dei Ministri dell’Agricoltura - ha affermato Luca Zaia - abbiamo assolto al mandato conferitoci in occasione del summit di Tokyo lo scorso anno e aperto un nuovo corso, all’insegna della massima condivisione delle strategie per combattere la fame e per difendere e promuovere la sicurezza alimentare”. “Abbiamo messo nero su bianco il mondo che vogliamo - ha proseguito il Ministro delle Politiche Agricole - un mondo in cui la fame non sia più una piaga per 140 milioni di bambini; un mondo in cui l’accesso al cibo e ad alimenti salubri sufficienti e nutrienti sia, in una sola parola, un “fatto normale”. “Sono molto soddisfatto - ha aggiunto il Ministro - che gli occhi del mondo siano stati puntati per tre giorni su un settore determinante per il nostro futuro, un settore troppo ignorato o non considerato come un’attività nobile e importante. Abbiamo voluto, uniti, rimettere questo
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C’era molta attesa per la conclusione del vertice, soprattutto per il fatto che per la prima volta l’agricoltura entrava nell’agenda politica dei Paesi industrializzati, quasi a riconoscerne l’accresciuto ruolo e rivedere le scelte economiche che l’avevano relegata ai margini con tutte le conseguenze negative che ne sono derivate (spreco e inquinamento), mentre è in grado di fornire le risposte alle questioni più urgenti, quali ambiente e clima. Intervenendo, il Segretario esecutivo della FAO, Jacques Diouf ha sottolineato che l’obiettivo di ridurre entro il 2015 il numero delle persone che soffrono la fame, uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG) sottoscritti nel 2000, è ancora lontano dall’essere raggiunto. Alla vigilia del G8 agricolo, il Direttore generale della FAO, Jacques Diouf osservava che “La crisi alimentare verificatasi nel 2007, ha portato il problema della sicurezza alimentare in primo piano nell’agenda internazionale e il G8 agricolo dovrebbe essere appunto un’opportunità per avviare un processo politico globale e puntare il tiro su questa sfida vitale”. “Dal G8 agricoltura - aggiungeva Diouf - i Ministri competenti dovrebbero definire proposte concrete per l’agricoltura e la sicurezza alimentare, perché la crisi rimarrà con noi, a meno che non sia affrontata in maniera adeguata, invece di reagire solo quando si è presentata l’emergenza”. La conferma che l’obiettivo della riduzione della fame è lontano dall’essere risolto, oltre che da rapporti dell’ONU, viene dall’Indice Globale della Fame 2008 (Global Hunger Index), uno strumento sviluppato dall’International Food Policy Research Institute (IFPRI) di Washington, per seguire con regolarità lo stato della fame e della malnutrizione nel mondo, combinando
I TREDICI PUNTI DELLA DICHIARAZIONE FIRMATA DAI MINISTRI DEL G8 1. L’agricoltura e la sicurezza alimentare sono al centro dell’agenda internazionale. 2. Garantire l’accesso a una quantità adeguata di acqua e cibo è essenziale per lo sviluppo sostenibile e quindi per il nostro futuro. È necessario concentrare l’attenzione su tutte le strategie da attuare e condividere per ridurre la povertà e aumentare la produzione mondiale e per conseguire la sicurezza alimentare, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Dovremmo creare un ambiente capace di incrementare la coerenza delle politiche che riconoscono i legami tra l’agricoltura e le altre politiche come quella per lo sviluppo, la salute, quella economica, finanziaria, monetaria, per il commercio, per l’ambiente, le foreste, la pesca, l’istruzione, il lavoro e le politiche sociali. 3. Sottolineiamo l’importanza di aumentare gli investimenti pubblici e privati nell’agricoltura sostenibile, nello sviluppo rurale e nella protezione ambientale, in cooperazione con le organizzazioni internazionali. È essenziale affrontare l’impatto dei cambiamenti climatici e assicurare la gestione sostenibile dell’acqua, delle foreste e delle altre risorse naturali, tenendo conto della crescita demografica. 4. Sottolineiamo l’importanza di solide politiche agricole e strategie concrete per sostenere gli investimenti a livello nazionale, regionale e globale. Le politiche e le strategie, devono essere sviluppate in maniera inclusiva, coinvolgendo tutti i principali attori del settore, comprese le organizzazioni degli agricoltori e basarsi su statistiche affidabili. In Africa, il Programma Globale di Sviluppo Agricolo dell’Africa (CAADP) abbraccia questi principi e merita il nostro appoggio. 5. Chiediamo un maggiore sostegno, che comprenda gli investimenti, nell’ambito della scienza e ricerca, tecnologia, istruzione, divulgazione e innovazione in agricoltura. Ci impegniamo anche per una sempre maggiore condivisione con gli altri Paesi di tecnologie, processi e idee per aumentare le capacità delle istituzioni nazionali e regionali e dei governi e per promuovere la sicurezza alimentare. Questi sforzi sono fondamentali per aumentare la produttività agricola sostenibile e lo sviluppo rurale in ciascun Paese, secondo le differenti realtà agricole, nel rispetto della biodiversità e migliorando l’accesso al cibo, lo sviluppo socio-economico e la prosperità. Noi continueremo a sostenere la capacity building nei paesi in via di sviluppo, rivolta agli standard sanitari e fitosanitari, al fine di facilitare l’accesso al mercato e soddisfare le richieste del consumatore. 6. Gli agricoltori devono essere i protagonisti del settore agricolo. L’agricoltura deve rispondere ai bisogni dei cittadini in materia di sicurezza e salubrità alimentare, producendo cibi salubri e nutrienti che soddisfino la domanda del consumatore e non deve essere soggetta agli effetti negativi delle distorsioni commerciali. Occorre monitorare ed effettuare ulteriori analisi sui fattori che, potenzialmente, possono determinare la volatilità dei prezzi delle materie prime agricole, incluso la speculazione. Va incoraggiata una strategia coordinata a livello internazionale finalizzata a m migliorare l’efficienza delle filiere agroalimentari. Dobbiamo intraprendere azioni volte a ridurre le perdite lungo le filiere nei paesi in via di sviluppo, in particolare quelle che avvengono dopo la raccolta, al fine di diminuire le quantità di materie prime che sono richieste dalle catene alimentari e per migliorarne l’igiene, la salubrità e il potere nutrizionale. Occorre sostenere analoghi sforzi per ridurre gli sprechi nei paesi industrializzati. Dobbiamo sostenere gli effetti benefici della globalizzazione e dell’apertura dei mercati, evidenziando l’importanza di un sistema di commercio internazionale dei prodotti agricoli basato su regole certe. Ci impegniamo per il raggiungimento di una conclusione equilibrata, globale e ambiziosa del Doha Round. 7. Desideriamo sostener il ruolo di mercati ben funzionanti come mezzo per migliorare la sicurezza alimentare. Continueremo a esplorare varie opzioni in merito a un approccio coordinato per la gestione degli stock. Rimandiamo alle maggiori istituzioni internazionali il compito di esaminare se questo sistema di gestione degli stock può essere efficace nell’affrontare le emergenze umanitarie o come strumento per limitare la volatilità dei prezzi. Questi organismi dovrebbero in particolare esaminare la fattibilità e le modalità amministrative di questo sistema. Alla luce dei risultati, verranno esaminate le nuove iniziative da prendere e valutata la necessità di stabilire un ampio processo di consultazione. 8. Dobbiamo porre l’agricoltura e lo sviluppo rurale al centro della crescita economica sostenibile insieme alle altre politiche, rafforzando il ruolo delle famiglie agricole e dei piccoli agricoltori facilitando il loro accesso alla terra, rafforzando il ruolo delle donne, l’uguaglianza di genere e il ricambio generazionale. La sicurezza alimentare richiede anche politiche mirate per garantire l’effettiva gestione e l’uso sostenibile delle risorse naturali, coinvolgendo le comunità locali nel rispetto delle loro identità. Questo modello di crescita risponde anche ai requisiti delle aree rurali meno sviluppate dove bisogna aumentare la produzione locale sostenibile. Bisogna prestare attenzione alle operazioni di leasing e vendita di terreni agricoli per assicurare che siano rispettate le condizioni locali e tradizionali di uso della terra. 9. La produzione di energia rinnovabile da biomasse, deve essere aumentata in modo sostenibile attraverso una combinazione bilanciata delle necessità delle politiche energetiche con la produzione agricola, in modo da fornire una risposta ai nostri fabbisogni energetici, economici, ambientali, agricoli e, allo stesso tempo, non compromettere la sicurezza alimentare. Le politiche dovrebbero incoraggiare una produzione e un consumo di bio-carburante sostenibile per l’ambiente, promuovendone i benefici e riducendo qualunque potenziale rischio, con una forte attenzione per lo sviluppo e la commercializzazione di bio-carburanti di seconda generazione, secondo gli orientamenti della Dichiarazione della Conferenza di Alto Livello sulla Sicurezza Alimentare Mondiale di giugno 2008. 10. Gli agricoltori necessitano di meccanismi adeguati per la gestione dei rischi e delle crisi di mercato. I sistemi nazionali e internazionali di previsione e gestione delle statistiche agricole e i meccanismi di pre-allerta, devono essere potenziati e meglio coordinati per anticipare ed evitare crisi future. Dobbiamo garantire che le istituzioni e le organizzazioni internazionali competenti siano in grado di affrontare le nuove sfide. 11. Ci impegniamo per la piena realizzazione della riforma in atto del sistema internazionale per la sicurezza alimentare -inclusa la FAO e gli altri organismi internazionali competenti come il CGIAR. Sollecitiamo gli altri Stati membri e tutte le componenti del sistema ONU, a sostenere questo sforzo. Aumentare la centralità della FAO e l’efficacia della sua attività è molto importante alla luce delle sfide che ci troviamo ad affrontare nel rafforzare la sicurezza alimentare. Confermiamo nuovamente il nostro appoggio alla riforma e al rilancio del Comitato sulla Sicurezza Alimentare in ambito ONU nel 2009. 12. Analogamente, sottolineiamo il nostro appoggio al processo consultivo e di rapida costituzione della “Global Partnership”, secondo gli orientamenti forniti dalla Dichiarazione finale del Vertice G8 di Toyako. Questa Partnership avrà un approccio coerente impegnando tutte le parti e rafforzando le strutture e le istituzioni esistenti. Inoltre, esso dovrebbe essere dotato di una dimensione politica mondiale volta a un migliore coordinamento e a una maggiore coesione per le strategie e le politiche internazionali che hanno un impatto sulla Sicurezza Alimentare Mondiale. Una rete globale di esperti di alto livello sull’agricoltura e l’alimentazione, dovranno provvedere, all’interno della partnership, ad effettuare analisi scientifiche e a evidenziare i fabbisogno e i rischi futuri. Guardiamo al Vertice de La Maddalena come un ulteriore importante passo avanti per affrontare i problemi dell’agricoltura e della sicurezza alimentare mondiale e per avanzare nella Global Partnership. 13. Riconfermiamo il nostro sostegno al coordinamento svolto dalla Task Force di Alto Livello sulla Sicurezza Alimentare delle Nazioni Unite presieduta dal Segretario Generale dell’ONU e dal Comprehensive Framework for Action (CFA), che comprende le misure d’emergenza e le iniziative per assicurare capacità di ripresa e sostenibilità. - Ci impegniamo ad utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione per ridurre gli effetti negativi dell’attuale crisi finanziaria sulla povertà e la fame, a rafforzare e incoraggiare una produzione alimentare sostenibile, aumentare gli investimenti in agricoltura e nella ricerca, a evitare la concorrenza sleale, evitare le distorsioni del mercato agricolo -incluse le misure restrittive all’export, come concordato in ambito G20- e rimuovere gli ostacoli all’utilizzo sostenibile dei fattori della produzione agricoli. La rinnovata centralità dell’agricoltura può avere impatti significativi su altre politiche, specialmente quelle relative alla salute, attraverso la lotta alla fame e alla malnutrizione e le politiche ambientali. - Ribadiamo la nostra determinazione a sconfiggere la fame e garantire alle generazioni presenti e future l’accesso ad alimenti salubri, sufficienti e nutrienti.
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tre diversi indicatori: - percentuale dei bambini malnutriti; - tasso di mortalità infantile; - percentuale di popolazione che non ha accesso ad una quantità adeguata di calorie. Link 2007, Rete di ONG italiane che si dedicano alla promozione delle politiche di sviluppo sostenibile e della definizione delle strategie di cooperazione allo sviluppo, ritenendo il 2009 anno decisivo per fare un vero e proprio salto di qualità nelle politiche agricole e di lotta alla fame, ha proposto per la prima volta in italiano il Rapporto “The Challenge of Hunger 2008 - Global Hunger Index”, in cui si sottolinea che non ci può essere un solo approccio che possa risolvere il problema della fame. Prendendo in esame i dati fino al 2006 i più recenti globali disponibili - senza quindi il monitoraggio del 2007 e 2008 che sono stati i due anni in cui la cre-
scita dei prezzi dei prodotti alimentari è stata più forte, non di meno il livello dell’Indice Globale della Fame nel mondo rimane grave. Se alcune regioni (Asia meridionale e Sudest asiatico, Medio Oriente e Nord Africa, America Latina e Caraibi) hanno fatto passi significativi nel campo della sicurezza alimentare, anche se l’Indice è ancora elevato, nell’Africa Sub-sahariana e nell’Africa Centro-meridionale dal 1990, anno di riferimento per gli Obiettivi del millennio, ad oggi è rimasto pressoché immutato o i progressi sono risultati marginali: Repubblica Democratica del Congo ed Eritrea hanno le percentuali più alte a livello globale di popolazione denutrita (rispettivamente, 75% e 74%); mentre Sierra Leone e Angola hanno registrato i più alti tassi di mortalità di popolazione sotto i 5 anni di età (rispettivamente, 27% e 26%). Se è vero che l’agricoltura rischia di
Fonte: Indice Globale della Fame - La Sfida della Fame 2008
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subire pesanti conseguenze, dovute ai cambiamenti climatici, è altrettanto certo che essa può giocare un ruolo chiave nelle azioni di mitigazione e adattamento. L’agricoltura, infatti, concorre con il 14% al totale delle emissioni annue di gas climalteranti, dovute alle attività umane. In particolare, contribuisce al 50% delle emissioni di metano (zootecnia e risaie) e ad oltre il 75% del protossido di azoto (fertilizzanti), ma impiegando varietà colturali più produttive, gestendo oculatamente le risorse naturali, catturando il biogas proveniente dal letame animale, rigenerando il terreno mediante il controllo dei pascoli, praticando azioni conservative, gestendo biologicamente il terreno, il settore agricolo può offrire un contributo fondamentale alle azioni di contrasto al global warming. Non è causale che, intervenendo al Climate Change Talks di Bonn (ndr: si veda per il dibattito che ne è scaturito
l’articolo “Il ticchettìo dell’orologio di Copenhagen è sempre più incalzante”, pag. 10 di questo stesso numero), il Vicedirettore della FAO, Alexander Müller ha esortato i politici ad includere l’agricoltura nei negoziati per un nuovo trattato che dovrebbe sostituire il Protocollo di Kyoto. “Occorrono massicci investimenti nel settore agricolo per modificare i metodi di produzione che si sono rivelati insostenibili - ha dichiarato Müller - per formare gli agricoltori nella mitigazione dei cambiamenti climatici, per migliorare la sicurezza alimentare e la produzione della povertà”. “La comunità internazionale potrà vincere la battaglia contro il cambiamento climatico - ha osservato il Vicedirettore FAO - solo se riusciremo a mobilitare gli agricoltori che hanno la potenzialità di ridurre le emissioni di gas serra e di sequestrare il carbonio nel suolo e nelle piante”. Come sarà possibile una simile riconversione nei Paesi industrializzati dove le nuove generazioni coltivano vaste aree, per lo più monocolturali, producendo molto e a bassi costi? Solo se fosse anche economicamente vantaggioso. Uno studio condotto dal Dipartimento Agricoltura dell’Università del Wisconsin (USA), confrontando dal 1993 al 2006, due siti dove venivano applicati i sistemi agricoli e di allevamento diversi, si è riscontrata maggior redditività in quelli dove veniva praticata l’agricoltura biologica, rispetto a quella convenzionale e gli allevamenti condotto su pascoli a rotazione, anziché alimentati con mais e soia hanno dato migliori risultati da un punto di vista economico. “Questo Studio indica - ha sostenuto Josuha Posner, uno dei ricercatori - che la politica governativa che supporta i sistemi monocolturali è superata e il sostegno dovrebbe essere spostato a programmi che promuovano la rotazione delle colture e delle pratiche di agricoltura biologica”. (JP. Chavas, J.L. Posner, J.L. Hedteke: “Organic and Conventional Production
Systems in the Integrated Cropping Systems Trial. Economic and Risk Analysis 1993-2006” in Agronomy Journal - vol. 101, issue 2 - 2009, pp. 288-295). Si sono dichiarate soddisfatte dell’accordo sottoscritto le varie associazioni di categoria e organizzazioni del settore, in particolare Coldiretti, Confagricoltura e CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) che in relazione al G8 avevano organizzato incontri e forum per elaborare raccomandazioni e risoluzioni da sottoporre ai Ministri convenuti. “Siamo soddisfatti del fatto che sono state accolte le nostre proposte - ha sottolineato Sergio Marini, Presidente della Coldiretti che aveva organizzato un G8 Farmer’s Union Meeting - sulla necessità di combattere le speculazioni finanziarie e le distorsioni dei prezzi dal campo alla tavola, migliorando l’efficienza della filiera agroalimentare, a difesa dei redditi delle imprese, e del potere di acquisto dei cittadini nei paesi ricchi e in quelli poveri”. Il Presidente di Confagricoltura Federico Vecchioni, che in marzo aveva organizzato a Taormina il Forum “Futuro fertile: + agricoltura = - recessione”, ha così commentato la conclusione del G8: “Un risultato importante che metta al centro dell’agenda internazionale l’agricoltura e gli agricoltori, che conferma le nostre aspettative e giustifica adeguate azioni per il settore”. Sulla stessa lunghezza d’onda sono state le dichiarazioni della CIA che aveva dato vita assieme alla FIPA (Federazione Internazionale dei Produttori Agricolo) al G14 degli Agricoltori. “Il risultato del G8 è positivo - ha dichiarato Giuseppe Politi, Presidente CIA - Le raccomandazioni scaturite dalla riunione FIPA - CIA, in cui si sottolineava la necessità di investimenti per le infrastrutture rurali e per la ricerca, sono state recepite. Ora l’augurio è che il documento finale possa trovare l’attenzione degli 8 grandi”. In effetti, la Dichiarazione finale è un
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testo di indirizzo che verrà sottoposto prima all’attenzione dei Ministri G8 Sviluppo che avrà luogo a Pescara fine maggio, e poi, al vertice G8 dei Capi di Stato e di Governo, in luglio, che riconoscendone la validità dovrà tradurlo in azioni concrete. Gli “intenti” del Documento non possono che essere condivisi, stante l’accoglimento di istanze provenienti dalle varie parti in causa. Tuttavia, proprio questa sostanziale “concordia” ha attirato sul testo le critiche di “genericità e contradditorietà” formulate da chi ha dissentito, soprattutto dal movimento “Via Campesina”. a cui in Italia aderiscono AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) e l’Associazione Rurale, secondo cui il testo finale “mentre riconosce il ruolo dei produttori di cibo e la crisi che colpisce le aree rurali, fallisce nel definire una strategia per alleviare questa crisi”. In effetti, il Documento pur di arrivare al più alto punto di mediazione possibile, non assume su certi aspetti una posizione netta, al fine di raggiungere una sintesi condivisa su certi aspetti. L’obiettivo, peraltro, è stato raggiunto all’interno del G8, ma i G5 non hanno sottoscritto il Documento, come pure si sono defilati gli altri 3 Paesi invitati, riproponendo di fatto la stessa spaccatura che si era evidenziata alla riunione del WTO e che non lascia tranquilli circa la possibilità di trovare una soluzione condivisa al prossimo Doha Round. Ad esempio, non viene mai citato il tema delle biotecnologie, ma si sottolinea l’importanza di rilanciare gli investimenti in ricerca e sviluppo. Viene da chiedersi: la produzione e la diffusione degli OGM rientrano tra le strategie per aumentare la produttività? Conosciamo bene la posizione del Ministro Zaia in merito: “Gli OGM risolvono il problema della fame nel mondo? È una delle tante bugie sugli OGM”, ma si è affrettato poi a dire che “la mia posizione personale è di netta contrarietà, ma riconosco che non è la posizione del Governo”.
Un altro aspetto che ci sembra poco chiaro è il ruolo che si intende far svolgere alle Agenzie delle Nazioni Unite (FAO, IFAD, WFP): se si riconosce la loro centralità, perché non affidar loro il compito di gestire gli stock alimentari per le emergenze e la sicurezza, nonché per calmierare i prezzi, visto che l’esperienza ha insegnato che delegare al mercato questo compito non ha ben funzionato? Inoltre, là dove si parla di gestione sostenibile delle risorse e della necessità di incrementare la produzione, sarebbe stato opportuno indicare di limitare il consumo di suolo provocato da eccessiva urbanizzazione e creazione di infrastrutture, che si mangiano ogni anno enormi aree agricole a maggior ricchezza di biodiversità con un degrado irreversibile dei terreni. Come è possibile incrementare le rese dei terreni coltivabili se questi diminuiscono o sono degradati?
Un recente studio pubblicato sulla rivista “Utilizzo e gestione del suolo”, effettuato sulla base di un nuovo metodo che utilizza le immagini telerilevate GIMMS (Global Inventory Modeling and Mapping Studies) e condotto dalla ISRIC - World Soil Information, una fondazione indipendente istituita dal Governo olandese, ha denunciato che il 24% dei suoli del Pianeta sono degradati, più ampiamente di quanto finora si ritenesse (15%). “Lo Studio sottolinea che l’estensione e la gravità del degrado misurate in termini di perdita di produttività primaria netta, dalle cui aree dipende direttamente un quarto della popolazione mondiale, sono indotte principalmente dalla cattiva gestione del territorio, da fenomeni legati al cambiamento climatico e a catastrofi naturali”. (Z.G. Bai, D.L. Dent, L. Olson, M.E. Schaepman: “Proxy Global Assessment of Land Degradation”, in Soil use and management, 2008, vol. 24, issue 3, pp. 223-234).
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Un cenno particolare merita l’attenzione posta “alle operazioni di leasing e vendita dei terreni agricoli per assicurare che siano rispettate le condizioni locali e tradizionali di uso della terra”. Un punto che era stato fermamente sollecitato dalla Coldiretti che nel corso del “G8 Farmer’s Union Meeting” di Roma aveva lanciato l’allarme su quel che può essere considerato una forma di neo-colonialismo agricolo. In questi ultimi anni, infatti, si è assistito ad un vero e proprio boom di acquisti e affitti di terreni agricoli da parte di imprese e di investitori di Nazioni ricche nei Paesi poveri. Si tratta formalmente di accordi di cooperazione agricola, che in realtà nascondono “scambi ineguali” tra Paesi grandi importatori di prodotti alimentari ed energetici e Paesi in via di sviluppo in preda a gravi crisi economiche. Il fenomeno aveva avuto un momento di attenzione da parte dei media nel
novembre scorso, allorché si diffuse la notizia che la coreana Daewoo Logistics Corporation aveva concluso con il Governo del Madagascar (uno dei Paesi più poveri del mondo) un accordo in base al quale avrebbe avuto in affitto per 99 anni 1,3 milioni di ettari di terreno “incontaminato” (circa la metà del territorio malgascio), per la coltivazione di granturco ed olio di palma, in cambio dell’impegno di utilizzare manodopera locale. Questo “contratto” ha avuto un ruolo notevole nel conflitto politico in corso nel Paese che ha portato al rovesciamento nel marzo u.s. del Governo locale e posto la popolazione sull’orlo di una guerra civile. Anche la Cina svolge un’intensa penetrazione nel continente africano, mentre i Paesi petroliferi del Golfo sembrano privilegiare l’Africa orientale e il Sudest asiatico. Secondo un Policy Paper dell’IFPRI (International Food Policy Research Institute), pubblicato in aprile, sono ormai interessate dal fenomeno di “accaparramento di terra” (Land grabbing,
qual è il titolo del brief) vaste porzioni di territorio pari a 15-20 milioni di ettari, all’incirca la superficie coltivata della Germania. Joachim von Braun, co-autore della nota, mette in guardia sulle clausole dei contratti stipulati che non sono ben chiari e per i quali raccomanda che debbono essere praticati in modo che nessuno venga danneggiato (toward win-win). Gli elementi chiave per gli accordi dovrebbero essere, secondo von Braun: - trasparenza nelle negoziazioni; - rispetto dei diritti fondiari esistenti, compresi i tradizionali diritti di proprietà comune; - condivisione dei benefici; - sostenibilità ambientale; - rispetto delle politiche commerciali nazionali, compreso il divieto di esportazione in occasione di crisi alimentare nazionale. Che la questione abbia risvolti politici seri viene confermato dall’attenzione posta dall’Unione Africana che, secondo quanto riferito dalla Reuters del 28 aprile 2009, ha posto all’ordine del giorno la reciprocità dei benefici tra
investitori stranieri e Paesi africani. “Il ritmo di questa tendenza è stato molto veloce e non si prevedono benefici attualmente per le comunità locali - ha dichiarato il Commissario UA all’Agricoltura Rhoda Pace Tumuslime - La maggior parte delle popolazioni africane sono povere e avvertono di essere sfruttate dagli stranieri, senza che abbiano potuto esprimere la loro opinione”. Commentando poi la notizia sulla stima di un milione di cinesi che potrebbero lavorare la terra africana già il prossimo anno, Tumusline ha osservato che un simile evento “sarebbe catastrofico e potrebbe causare disordini e instabilità politica”. Inoltre, al fine di giungere a soluzioni eque, il 5 maggio 2009 si svolgerà al Woodrow Wilson Center di Washington (DC) la Conferenza, sponsorizzata anche dall’Asia Program: “Land Grab: the Race for the World’s Farmland” che esaminerà i modelli e le motivazioni di tali investimenti considerando le implicazioni per gli investitori, i Paesi ospitanti e la sicurezza alimentare.
PAESI CHE UTILIZZANO TERRENI ALL’ESTERO PER SOSTENERE E ASSICURARSI LA PROPRIA PRODUZIONE ALIMENTARE
Fonte: Grain, 2008 - Mongabay
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AGENDA 21
Roma, 3 aprile 2009
LA CARTA DELLE CITTÀ E DEI TERRITORI DʼITALIA PER IL CLIMA Presentata la posizione comune degli enti locali e delle regioni italiane per affrontare attivamente i cambiamenti climatici a cura della Segreteria del Coordinamento Agende 21 Locali italiane
Il Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, in collaborazione con ANCI e UPI e con il contributo di tutti i suoi soci e partner, ha promosso un percorso per condividere una posizione comune delle città e dei territori italiani sulle politiche locali a favore del clima. L’obiettivo è quello di vedere riconosciuto a Comuni, Province e Regioni il ruolo di protagonisti nell’attuazione di iniziative e interventi sistematici per l’efficienza e il risparmio energetico, la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’assorbimento delle emissioni di CO2. Riconoscimento di un ruolo ovvero attribuzione sia di responsabilità (in termini di obiettivi da raggiungere) ma anche di strumenti per essere messi nelle condizioni di poter agire. Non si chiedono trasferimenti di risorse ma la possibilità per gli enti locali e territoriali di investire per l’eco-efficienza, superando la rigidità miope del patto di stabilità, e di accedere ai meccanismi dell’Emission Trading e al mercato dei Titoli di Efficienza Energetica. La conferenza del 3 aprile a Roma è stata l’occasione per Agende 21 Italia, ANCI e UPI per presentare e consegnare al governo, rappresentato da Antonio Giuliani, Segretario Genera-
le del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Mare, la Carta delle città e dei territori d’Italia per il clima. Il documento è stato già sottoscritto da numerose città da ogni parte della penisola, da Milano e Roma a Collegno (TO) e Casarano (LE), in rappresentanza di oltre 10 milioni di cittadini italiani (quasi il 18% della popolazione). “Di fondamentale importanza - sottolinea nel suo intervento Fabio De Lillo, assessore all’ambiente del Comune di Roma - sono la collaborazione tra gli enti locali e il nostro comune impegno contro l’inquinamento e per affrontare i cambiamenti climatici. A prescindere da quello che viene fatto o non fatto a livello governativo.” “La Carta delle città e dei territori d’Italia per il clima - aggiunge Emilio D’Alessio, presidente del Coordinamento Agende 21 Locali - sarà presentata nell’ambito dei numerosi eventi e sui diversi tavoli di confronto internazionali già in calendario per preparare l’importante appuntamento fissato per il prossimo dicembre quando a Copenhagen, nella Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite (COP15), verrà definito il nuovo Protocollo di Kyoto.”
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La Carta si inserisce quindi nella roadmap dei governi locali di tutto il mondo per il clima: il processo partito nel 2007 nell’ambito della conferenza di Bali con l’obiettivo di condividere un forte e univoco messaggio per sottolineare il ruolo fondamentale delle comunità nella protezione del clima e l’importante contributo degli enti locali per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di riduzione della CO2 in carico ai governi nazionali. “La Carta delle città e dei territori per il clima - ha messo in rilievo in chiusura della conferenza Pedro Ballesteros Torres, responsabile del Patto dei Sindaci lanciato dalla Commissione Europea - dimostra che l’Italia degli enti locali è pronta a rispettare gli impegni presi dal Governo e dall’Europa sul fronte dei cambiamenti climatici. Bruxelles conta molto sulle amministrazioni e sui sindaci italiani che stanno evidenziando una sensibilità notevole rispondendo alle preoccupazioni e alle esigenze dei cittadini con iniziative e progetti concreti. Ormai è evidente, la prospettiva verso la quale è necessario orientare i nostri sforzi va senza dubbio nella direzione di un cambiamento della società e del sistema economico”.
CARTA DELLE CITTÀ E DEI TERRITORI D’ITALIA PER IL CLIMA Premesso che: - A dicembre 2009 si terrà a Copenhagen, sotto l’egida delle Nazioni Unite, la quindicesima Conferenza delle Parti (COP15), nell’ambito della quale verrà presentato il nuovo protocollo globale sul clima che dovrà sostituire quello di Kyoto, in scadenza nel 2012. - Il Protocollo di Kyoto prevede l’obbligo in capo ai Paesi industrializzati di operare nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012 una riduzione delle emissioni di gas climalteranti in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990. - In base alle valutazioni scientifiche del Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC) dell’ONU è stato comprovato che i cambiamenti climatici sono un dato di fatto inequivocabile e che solo per stabilizzare le concentrazioni di CO2 siano necessari programmi e interventi decisamente superiori a quelli ipotizzati e adottati fino ad oggi. - Il Pacchetto Clima 20+20+20, sottoscritto nel dicembre 2008 dai 27 capi di governo dell’Unione Europea, prevede per gli Stati membri l’obbligo di conseguire, entro il 2020 e rispetto ai dati del 2005, una riduzione del 20% delle emissioni di gas climalteranti ed un incremento del 20% dell’efficienza energetica e dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. - Il Patto dei Sindaci promosso dalla Commissione Europea prevede per i firmatari l’impegno di ridurre le emissioni di CO2 nelle rispettive città di oltre il 20% attraverso l’attuazione di un Piano di Azione Locale sull’Energia Sostenibile. - La Roadmap dei governi locali per il clima verso Copenhagen, approvata nell’ambito della quattordicesima Conferenza delle Parti (COP 14), invita i Governi nazionali a mettere le amministrazioni locali nelle condizioni di disporre delle competenze, le capacità e le risorse necessarie per fronteggiare i cambiamenti climatici. - Gli Impegni di Aalborg del 2004 individuano gli obiettivi, le azioni e le procedure per attuare lo sviluppo sostenibile locale. - L’Agenda 21, la Dichiarazione su Ambiente e Sviluppo delle Nazioni Unite approvata nell’ambito del World Summit di Rio de Janeiro nel 1992, attribuisce alle città e ai territori un ruolo determinante per l’attuazione di misure per uno sviluppo sostenibile. Considerato che: - Dal 1970 le emissioni globali di gas ad effetto serra sono cresciute del 70% e che le concentrazioni globali in atmosfera di anidride carbonica, metano e biossido di azoto, così come le temperature medie globali, sono in aumento principalmente in conseguenza delle attività umane. - Quasi il 75% della popolazione italiana vive in aree urbane (il 30% nei soli capoluoghi di provincia) dove oggi si consuma più del 75% di tutta l’energia. - Dalle città deriva l’80% delle emissioni antropiche, dirette e indirette, di gas serra. - Il settore civile assorbe circa il 40% dell’energia totale, principalmente per la gestione energetica degli edifici. - Il 70% del patrimonio edilizio nelle regioni del nord Italia presenta consumi di energia primaria più che doppi rispetto alla classe minima di efficienza energetica. - Il traffico urbano è responsabile del 35% delle emissioni di CO2 da mobilità veicolare e il 95% dei consumi energetici per mobilità è prodotto da moto, auto e veicoli commerciali privati. - La temperatura media in Italia è aumentata negli ultimi 50 anni di 1,4 gradi. Nelle città la temperatura media supera di 1-2 gradi quella delle aree rurali circostanti, con punte tra i 3 e i 5 gradi. I Comuni, le Province e le Regioni d’Italia si impegnano ad adottare politiche e azioni integrate di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici che consentano di ridurre di oltre il 20% le emissioni di gas serra ed aumentare l’equilibrio sociale, ambientale ed economico del territorio. Le città e i territori d’Italia chiedono al Governo italiano di prevedere l’accesso delle amministrazioni delle Città e dei Territori ai meccanismi dell’Emission Trading e al mercato dei Titoli di Efficienza Energetica e propongono di escludere dal patto di stabilità gli investimenti locali in progetti finalizzati alla mitigazione e adattamento al cambiamento climatico (efficienza energetica, mobilità sostenibile, diffusione delle energie rinnovabili). Le città e i territori chiedono al Governo italiano di promuovere, in collaborazione con il sistema bancario, la predisposizione di strumenti finanziari dedicati agli interventi di riqualificazione energetica e di favorire il coinvolgimento delle ESCO e di altri soggetti specializzati al fianco delle amministrazioni locali e territoriali. Le città e i territori d’Italia sollecitano il Governo italiano a sostenere in sede internazionale la necessità di includere nel nuovo protocollo globale sul clima in vigore dal 2012 un capitolo dedicato al ruolo delle città e dei territori, chiedendo inoltre che rappresentanti degli enti locali facciano parte delle delegazioni governative alle Conference of the Parties a partire dalla COP-15 di Copenhagen 2009. Le politiche e le azioni locali contribuiranno al raggiungimento degli obiettivi sottoscritti dal Governo in sede europea e potranno svolgere un ruolo importante nel rilancio dell’economia, promuovendo l’innovazione, sostenendo il mercato interno e migliorando la competitività del sistema Italia nel panorama internazionale.
La Carta delle Città e dei Territori d’Italia è una iniziativa promossa da Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, Associazione Nazionale Comuni Italiani, Unione Provincie Italiane. Per aderire alla Carta inviare una mail a adesionecarta@a21italy.eu o contattare la Segreteria del Cooridnamento: coordinamento. agenda21@provincia.modena.it. Per maggiori info: www.a21italy.it
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AMBIENTE E ARTE
Uscito il 22 aprile nelle sale cinematografiche
“EARTH LA NOSTRA TERRA” Un meraviglioso viaggio attraverso il nostro Pianeta di Anna Rita Rossi
Il 22 aprile, in coincidenza con la Giornata Mondiale della Terra, è uscito nelle sale cinematografiche il filmdocumentario Earth la nostra Terra, prodotto dalla BBC Worldwide e Greenlight Media, distribuito dalla Disney. Earth fa parte di una serie di film che usciranno con il brand “Disney Nature”, nuovo prestigioso marchio lanciato dalla Walt Disney Studios. Questa nuova etichetta si propone di offrire intrattenimenti spettacolari aventi come soggetto il mondo in cui viviamo. La Walt Disney Company coinvolgerà in questa iniziativa tutto il mondo attraverso le sue molteplici attività: pubblicazioni, prodotti in licenza, parchi. In edicola, ad esempio, proprio in occasione dell’Earth Day è uscito un numero speciale del magazine Topolino, un’edizione “green”: il giornalino, per risarcire il pianeta delle emissioni dovute alla sua produzione ha compensato con progetti di parchi e foreste per 23 mila m2 in Lombardia, Costarica e Madagascar. Inoltre, il numero del 22 aprile ha in copertina Paperinik che avvolge la Terra con il suo mantello per proteggerla, mentre all’interno viene lanciata una nuova rubrica “Topogreen” che tratterà
ogni volta un tema ambientale diverso e tante altre iniziative, sempre all’insegna dell’ecologia. Earth la nostra Terra, condensa in 90 minuti gli undici capitoli della miniserie Planet Earth, trasmessa nel 2006 da BBC Discovery. Ovviamente, le puntate televisive avevano un commento più scientifico rispetto all’impostazione del film che, avendo il marchio Disney, privilegia le caratteristiche tipiche dello stile per famiglie, utilizzando un’informazione più sintetica ed evitando le scene più cruente. Il film racconta la storia di tre famiglie, di tre specie diverse e con tre vicende differenti. La prima scena ha come protagonista una famiglia di orsi polari e si svolge al rifugio Kong Karls Land, Arcipelago delle Svalbard (Norvegia). Erano 25 anni che nessuno poteva riprendere questa area protetta, dato che il Governo norvegese ne vietava l’ingresso. Mamma orsa e i suoi due cuccioli appena nati, vengono ripresi subito dopo il risveglio dal letargo invernale, mentre si accingono ad affrontare il viaggio fino alla costa dove cacceranno le foche per
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potersi nutrire. Per raggiungere la seconda famiglia ci si sposta da Nord a Sud: un’elefantessa e il suo piccolo sono in marcia attraverso il deserto del Kalahari (Botswana) diretti al lontano delta del fiume Okavango (in realtà non si tratta di un vero e proprio delta, bensì di un’area paludosa che si trova ai limiti del Kalahari) in cerca d’acqua per dissetarsi. Infine, per vedere l’ultima famiglia ci si immerge nelle acque prospicenti Tonga (Oceano Pacifico), dove una megattera e il suo neonato si spostano dai tropici fino all’Antartico per procurarsi il krill (specie diverse di creature marine invertebrate), cibo preferito da questi mammiferi marini. La figura materna sembra essere un’immagine ricorrente in Earth, quasi a simboleggiare il nutrimento e la protezione che la Madre Terra offre ai propri nati, siano essi esseri viventi o ecosistemi, che rendono il nostro Pianeta unico nel sistema solare. Quale sfondo a questi tre episodi principali si collocano altrettante stupefacenti scene che incantano il pubblico: la migrazione di un gruppo di caribù (Canada) che si sposta nella tundra per nutrirsi
nei pascoli liberi dalla neve e che vengono inseguiti dai lupi; il volo di migliaia di oche delle nevi; le foreste di conifere della taigà; il primo volo delle anatre mandarine; le danze di corteggiamento degli uccelli del paradiso nelle foreste pluviali in Nuova Guinea. Il film ha richiesto un impiego di mezzi e tempi davvero impressionante. Citiamo alcuni numeri: 5 anni di lavorazione; 1.000 ore di riprese: 200 locations diverse in 64 Paesi; 40 troupe specializzate. Inoltre, per arrivare alla sua realizzazione sono stati necessari pazienti appostamenti e sprezzo del pericolo da parte dei due registi: Alastair Fothergill e Mark Linfield. Earth ha rappresentato una vera sfida
anche per quanto riguarda l’impiego di tecnologie all’avanguardia per sopperire alle carenze di luce, al freddo e, in generale, alle caratteristiche delle riprese, dei vari ambienti e dei soggetti. Impeccabile voce narrante di Earth per le sale italiane è Paolo Bonolis che ha accettato con entusiasmo di essere l’unica voce “umana” del film e di guidarci attraverso la scoperta delle meraviglie dell’unico vero protagonista del film: il Pianeta. Fulco Pratesi, Presidente onorario del WWF Italia, all’anteprima del film ha dichiarato che “per difendere la natura bisogna prima conoscerla” solo da questo può nascere l’impegno a volerla difendere. “Earth è un inno alla natura [ed è] un
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film che aiuta la nostra battaglia per l’ambiente”, mostrando luoghi fantastici. Speriamo che questo film non si limiti a far riflettere sull’inquinamento e sulle sue conseguenze per il nostro Pianeta, ma possa diventare un punto di partenza per trovare delle soluzioni concrete per risanare e salvaguardare la Terra e per iniziare ad assumere un comportamento “sostenibile”, cioè responsabile nei confronti della natura che ci circonda. Purtroppo, in questo scenario di notevole degrado ambientale che spinge ad orientarsi con decisione verso un comportamento più responsabile con la scelta, ad esempio, di incrementare l’utilizzo delle energie rinnovabili c’è ancora chi pensa che il nucleare rappresenti il futuro.
COMMISSIONE EUROPEA Invito a presentare proposte per azioni nel settore dell’ecoinnovazione del Programma quadro per la competitività e l’innovazione (G.U.E.E. C 89/2 del 18 aprile 2009) L’Agenzia Esecutiva per la Competitività e l’Innovazione (EACI) ha pubblicato un invito a presentare proposte nell’ambito del Programma CIP Progetti pilota e Progetti di prima applicazione commerciale nel campo dell’innovazione ed ecoinnovazione. L’iniziativa mira a incentivare lo status ambientale e competitivo dell’Europa tramite il sostegno a soluzioni innovative a tutela dell’ambiente, creando al tempo stesso un più ampio mercato delle tecnologie, dei metodi gestionali, dei prodotti e dei servizi “verdi”. Il programma CIP Eco-innovation rientra nel quadro del programma “Competitività e Innovazione” dell’Unione europea ed è gestito dall’Agenzia Esecutiva per la Competitività e l’innovazione (EACI). I tre pilastri del Programma sono: • benefici ambientali • benefici economici (inclusa una più ampia riproduzione sul mercato) • contributo dei progetti all’innovazione Il programma Cip Eco-innovation è volto a ridurre il divario fra ricerca, attività dimostrativa e prototipizzazione da un lato e commercializzazione dall’altro. Il fulcro del programma sta nella dimostrazione e uso nel mercato delle soluzioni eco innovative e anche nel loro sfruttamento. Obiettivi il programma CIP Eco-innovation persegue i seguenti obiettivi: • promuovere l’adozione di approcci nuovi o integrati nell’ambito dell’eco-innovazione come la gestione ambientale e prodotti, processi e servizi eco-sostenibili • incoraggiare l’uso di soluzioni ambientali aumentandone l’uso sul mercato e rimuovendo gli ostacoli alla penetrazione nel mercato. Le soluzioni includono: prodotti, processi, tecnologie o servizi. • aumentare le capacità di innovazione delle PMI Azioni Il bando corrente è relativo alla presentazione di progetti pilota e progetti di prima applicazione del campo dell’innovazione e dell’eco-innovazione. Il programma CIP Eco-innovation sostiene progetti relativi alla prima applicazione o alla replica sul mercato di tecniche, prodotti, servizi o pratiche eco-innovative di rilevanza
comunitaria che abbiano già superato la fase dimostrativa con successo ma che a causa di rischi residui non hanno ancora penetrato il mercato. I progetti devono contribuire a rimuovere gli ostacoli verso lo sviluppo e una ampia applicazione delle eco-innovazioni, creare o ampliare i mercati dei relativi prodotti e migliorare la competitività delle imprese europee sul mercato mondiale. I progetti devono inoltre ridurre gli impatti ambientali, aumentando l’efficienza delle risorse o migliorando le performance ambientali delle imprese, in particolare delle PMI. I programma CIP Eco-Innovation promuove progetti che: • riguardano la prima applicazione o la riproduzione nel mercato di tecniche, prodotti, processi o servizi eco-innovativi che • siano già stati dimostrati tecnicamente ma che • a causa della presenza di rischi necessitano di incentivi per penetrare il mercato in maniera significativa ATTENZIONE: i progetti relativi alla gestione e pianificazione dell’uso del territorio, la gestione delle aree naturali, politiche e progetti con una chiara dimensione pubblica devono essere proposti nell’ambito del programma comunitario LIFE+ e/o nell’ambito del Settimo Programma Quadro. I progetti focalizzati ad aumentare la penetrazione sul mercato delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica (compresa l’energia nei trasporti) devono essere proposti nell’ambito del programma comunitario Energia Intelligente Europa (IEE). Progetti di ricerca e sviluppo, inclusi progetti dimostrativi con elevato rischio tecnologico o progetti che sviluppano prototipi devono essere proposti nell’ambito del Settimo Programma Quadro. Priorità del bando corrente Le aree prioritarie sulle quali devono essere centrati i progetti proposti per il bando corrente sono: - Riciclo dei materiali - Edifici - Settore alimentare (comprese le bevande) - Greening Business/Acquisti intelligenti Destinatari I progetti possono essere presentati da persone giuridiche pubbliche/private degli Stati Membri dell’Unione Europea singolarmente o in partenariato e anche dei seguenti paesi: Islanda, Liechtenstein e Norvegia, paesi dell’Adesione e paesi Candidati, Balcani Occidentali, altri paesi terzi qualora gli accordi e le procedure lo consentano. I progetti, indipendentemente dal numero di partecipanti, devono dimostrare di avere un chiaro valore aggiunto europeo. ATTENZIONE: viene data precedenza ai progetti proposti da PMI e a cui partecipano le PMI.
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Bilancio disponibile e contributo comunitario Per il presente bando è disponibile un bilancio indicativamente di 30 milioni di euro. Il contributo comunitario ai progetti potrà coprire al massimo il 50% dei costi totali eligibili. Sono ammissibili solo i costi legati all’azione innovativa, compresi i materiali, processi, tecniche o metodi proposti, attrezzature e infrastrutture. Presentazione delle proposte e scadenza La presentazione delle proposte deve avvenire entro il 10 settembre 2009 e può essere fatta esclusivamente tramite il sistema elettronico EPSS- Electronic Proposal Submission System cui per il presente bando si accederà dal seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/environment/eco-innovation/application_en.htm A questo indirizzo è possibile prendere visione rispettivamente dei progetti finanziati a seguito del bando 2008 e di quelli attualmente in negoziazione: http://ec.europa.eu/ environment/eco-innovation/projects_en.htm
REGIONE PIEMONTE D.D. 27 febbraio 2009, n. 131 Bando per incentivazione alla realizzazione di impianti volti al miglioramento dell’ambiente ed al risparmio energetico nell’attivita di produzione agricola nonché alla produzione e all’utilizzazione di energia da fonti rinnovabili. D.G.R. n. 22/2008 e D.G.R. n. 63/2009. (BUR Piemonte, n. 9 del 5/3/2009) Finalità Il bando si inserisce nel programma di incentivazione alla realizzazione di impianti volti al miglioramento dell’ambiente ed al risparmio energetico nell’attività di produzione agricola nonché alla produzione e all’utilizzazione di energia da fonti rinnovabili attraverso la concessione di contributi in conto capitale per l’acquisto, la costruzione e l’ammodernamento di impianti di smaltimento e depurazione dei reflui zootecnici ai sensi dell’articolo 14 della legge regionale 12 ottobre 1978, n. 63 (Interventi regionali in materia di agricoltura e foreste). In considerazione che lo smaltimento dei reflui zootecnici tal quali può essere causa di fenomeni di inquinamento a carico delle acque sotterranee, superficiali e dell’aria, è necessario che l’utilizzo di liquame e letame sia realizzato in modi agronomicamente corretti, al fine di valorizzarne le caratteristiche fertilizzanti ed ammendanti. Inoltre, alcune tecniche di trattamento del refluo non solo possono apportare vantaggi gestionali prima della distribuzione in campo (quali ad esempio la stabilizzazione delle frazioni azotate, il frazionamento di materiali palabili che risultano più facilmente delocalizzabili al di fuori dell’azienda, ecc.) ma al contempo permettono di sfruttarne le potenzialità energetiche. Beneficiari Possono beneficiare dell’aiuto le imprese agricole aventi sede operativa nel territorio regionale, condotte da imprenditori singoli o associati in possesso dei requisiti di cui all’articolo
1, commi 1 e 3 del D.Lgs. 99/2004, purché: - iscritte al registro delle Imprese presso la Camera di Commercio competente ed alla gestione previdenziale ed assistenziale; - in possesso di partita IVA per il settore agricolo; - che abbiano costituito il fascicolo aziendale. Requisiti di ammissibilità Per poter beneficiare degli aiuti previsti, i soggetti richiedenti dovranno dimostrare di possedere, all’atto della presentazione della domanda, i seguenti requisiti: a) non rientrare nella categoria delle imprese in difficoltà, ai sensi della comunicazione della Commissione 2004/ C244/02 “Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà”; b) rispettare i requisiti comunitari e nazionali minimi in materia di ambiente, igiene e benessere degli animali; c) rispettare le norme sulle “quote latte”. In caso di forme associative, il vincolo è in capo a tutti i soci; d) rispettare le norme sull’utilizzazione agronomica degli effluenti zootecnici e delle acque reflue disposte dal regolamento regionale 29 ottobre 2007, n. 10/R e s.m.i. In caso di forme associative, il vincolo è in capo a tutti i soci; e) aver provveduto al versamento di somme per sanzioni e penalità varie comminate da Regione, Province, Comunità Montane, AGEA ed ARPEA nell’ambito dell’applicazione di programmi comunitari, nazionali e regionali; f) aver provveduto alla restituzione di somme indebitamente percepite nell’ambito dell’applicazione di programmi comunitari, nazionali e regionali da parte della Regione, Province, Comunità Montane, AGEA ed ARPEA; g) non risultare condannati (con condanna passata in giudicato) per reati di frodi o sofisticazioni di prodotti agroalimentari; h) essere in possesso del documento unico di regolarità contributiva (DURC). Per gli imprenditori agricoli che non si avvalgono di lavoratori dipendenti, l’acquisizione del DURC inizia dal 1 gennaio 2009. Agevolazioni previste Viene concesso un contributo in conto capitale nella misura massima del 6% dell’importo garantito per l’ottenimento delle garanzie per operazioni di credito o locazioni finanziarie di durata massima quindicennale. L’importo garantito, ai fini del calcolo del contributo, non può essere superiore al 50% della spesa ammessa. Esso è elevato al 60% qualora uno o più fornitori degli impianti congiuntamente apportino proprie garanzie pari al 20% della predetta spesa. In ogni caso, stante la normativa comunitaria vigente, l’importo complessivamente garantito non può superare l’80% della spesa ammessa. Per gli stessi investimenti possono essere richiesti e ottenuti altri contributi pubblici purché essi complessivamente non superino, in equivalente sovvenzione lorda, il limite del 40% del costo degli investimenti stessi. Iniziative finanziabili Fatte salve le esclusioni contenute al punto 6 delle presenti istruzioni, sono finanziabili l’acquisto, la costruzione e
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l’ammodernamento di impianti di trattamento dei reflui zootecnici volti alla produzione di energia previsti dalla D.G.R. n. 22-8733 del 05/05/2008 e s.m.i., limitatamente a: A. Impianti alimentati a biomassa solida per la produzione esclusiva di energia termica. B. Impianti alimentati a biomassa solida per la produzione di energia elettrica. C. Impianti di cogenerazione alimentati con biogas da digestione anaerobica di effluenti zootecnici e di scarti derivanti da attività agricola e dal settore agroalimentare per la produzione di energia elettrica e termica. Presentazione domande La domanda, redatta sull’apposito modello e corredata di tutta la documentazione prevista dovrà essere dovrà essere inviata esclusivamente a mezzo raccomandata ad un confidi o pool di più confidi, che operi in agricoltura e che rispetti i requisiti previsti dall’art. 13 della L. n. 326/2003, e all’Assessorato Agricoltura, Tutela della Fauna e della Flora della Regione Piemonte, Direzione Agricoltura, Corso Stati Uniti 21, 10128 Torino, fino all’esaurimento dei fondi disponibili. Per maggiori informazioni e la relativa modulistica consultare il sito: www.regione.piemonte.it/agri/servizi/moduli/ index.htm
ACCORDO DI PROGRAMMA TRA REGIONE LOMBARDIA E SISTEMA CAMERALE LOMBARDO Asse 3 “Promozione del territorio e ambiente” Azione relativa alla realizzazione di impianti solari per la produzione di acqua e aria calda Bando “Efficienza e innovazione energetica nelle imprese”. (BUR Lombardia del 23 marzo 2009 S.O. n. 12)
Finalità Sostenere le imprese lombarde - micro, piccole, medie favorendo processi di innovazione ed efficienza energetica, Regione Lombardia e Camere di Commercio lombarde concedono agevolazioni per sostenere la realizzazione di nuovi impianti solari per la produzione di acqua e/o aria calda per uso igienico-sanitario, riscaldamento, impiego nelle attività d’impresa. Finanziamento Le risorse complessivamente disponibili sono Euro 1.236.300,00 ripartite tra le varie province. Beneficiari Possono accedere ai benefici di cui al presente bando le micro, piccole e medie imprese, attive, iscritte al Registro Imprese ed in regola con il pagamento del diritto annuale. Le predette imprese dovranno installare i nuovi impianti solari termici su strutture edilizie, e/o loro pertinenze, idonee e già esistenti alla data di presentazione della domanda di seguito specificata. Possono accedere ai contributi soggetti diversi dal proprietario (locatori, usufruttuari, ecc.) purchè autorizzati dal
proprietario stesso, con apposita dichiarazione di assenso alla realizzazione dell’impianto. In tal caso la dichiarazione di assenso, sottoscritta dal proprietario, deve essere accompagnata dalla fotocopia di un valido documento di identità del proprietario stesso. L’assegnazione del contributo esclude dalla possibilità di ottenere altri contributi pubblici diretti per il medesimo impianto. Trattandosi di azioni finanziate in regime “de minimis” secondo la relativa disciplina comunitaria, l’impresa è sottoposta ai seguenti vincoli: • il valore economico del contributo concesso concorre al raggiungimento del tetto massimo di Euro 200.000,00 in sovvenzioni pubbliche acquisibili nell'arco di tre esercizi finanziari per singola impresa (nell'esercizio finanziario interessato e nei due esercizi finanziari precedenti); • qualora l'eventuale assegnazione di contributo porti l'impresa richiedente ad eccedere il massimale di cui sopra, il contributo concesso verrà ridotto per la parte eccedente tale massimale; • di non trovarsi in nessuna delle situazioni ostative previste dal DPCM del 23.05.2007, ex art. 1, comma 1223, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007), relative agli aiuti di Stato dichiarati incompatibili dalla Commissione europea (giurisprudenza "Deggendorf"). In sede di presentazione di domanda di contributo, l’impresa dichiara la propria posizione rispetto a: • regime “de minimis”; • altri contributi pubblici diretti per il medesimo impianto per cui richiede il finanziamento. Nel caso in cui, tra la data di presentazione della domanda per il presente bando e quella di assegnazione del contributo, l’impresa dovesse: • ricevere altri contributi pubblici tali da portare a variare la propria posizione di regime "de minimis", l'impresa deve comunicare tale variazione alla Camera di Commercio di competenza per il ricalcolo del contributo massimo concedibile; • beneficiare di altri contributi pubblici per la stessa iniziativa, l'impresa deve rinunciare ad uno dei due contributi comunicando la propria decisione alla Camera di Commercio di competenza. Caratteristiche del contributo Ogni impresa può presentare una sola domanda relativa alla realizzazione di un nuovo impianto presso una delle sedi operative in Lombardia. Il contributo è concesso nella misura massima del 30% dei costi ammissibili di realizzazione dell’impianto con un tetto massimo di Euro 30.000,00 erogabili per impresa, compatibilmente con la posizione dell’impresa rispetto al massimale previsto dal regime “de minimis”. Presentazione della domanda La domanda di contributo deve essere presentata dall’impresa alla Camera di Commercio della provincia in cui è localizzata la sede operativa presso cui l’impresa stessa vuole realizzare il nuovo impianto esclusivamente in forma telematica, utilizzando l’apposita procedura on line disponibile in Internet all’indirizzo: www.ors.regione.lombardia.it Affinché la domanda presentata on line sia valida, l’impresa:
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• se dotata di firma digitale, deve completare la presentazione della domanda on line apponendo firma digitale; • se non è dotata di firma digitale, deve: stampare il modulo di adesione che viene prodotto automaticamente a conclusione della procedura on line; firmarlo in originale (legale rappresentante); consegnarlo a mano, entro e non oltre 10 giorni lavorativi dalla data di invio telematico della domanda, per conto dello Sportello Ambiente - Ufficio Servizi ambientali per le imprese, al Protocollo Generale della CCIAA di Milano - Via San Vittore al Teatro, 14, 20123 Milano (lun-gio 9.00/16.00 - ven 9.00/13.00). Nel caso la presentazione avvenga a cura di persona diversa dal legale rappresentante, deve essere allegata fotocopia della carta d'identità del legale rappresentante. La mancata o ritardata presentazione del modulo cartaceo comporta la decadenza della domanda stessa. I termini di presentazione delle domande sono: entro le ore 12.00 del 26 maggio 2009.
REGIONE LOMBARDIA Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013 Bando Misura 311B “Diversificazione verso attività non agricole: produzione di energia rinnovabile” (BUR Lombardia 31 luglio 2008 S. S.)
Finalità La misura si pone l’obiettivo di promuovere l’innovazione di processo e di prodotto e la diversificazione produttiva delle aziende agricole verso finalità energetiche Beneficiari • impresa individuale; • società agricola; • società cooperativa; • impresa associata. Interventi ammissibili Sono ammessi gli interventi per la realizzazione in azienda di impianti per la produzione di energia rinnovabile fino ad 1 Mw incluso l’acquisto di attrezzature, servizi e macchine funzionali alla gestione degli impianti quali: • impianti termici e di cogenerazione alimentati a biomasse vegetali; • impianti per la produzione e l’utilizzo di biogas; • impianti di gassificazione; • impianti per la produzione di pellet; • pompe di calore; • impianti fotovoltaici o impianti solari, solo se integrati con altri investimenti di cui alle lettere precedenti; • impianti per l’utilizzo dei salti d’acqua in zona montana; • acquisto di attrezzature e macchine per la raccolta di prodotti, sottoprodotti e residui della produzione. La biomassa utilizzata per il funzionamento degli impianti deve provenire, in prevalenza, da aziende agricole; • strutture per lo stoccaggio delle biomasse utilizzate e/o prodotte. Gli interventi devono essere sostenuti dopo la data di presentazione della domanda.
Tipologia di aiuto L’aiuto è concesso in conformità al Regolamento de minimis secondo le seguenti tipologie: Contributo in conto capitale L’ammontare del contributo è il seguente: • 30% della spesa ammessa, elevato al 40% per le aziende ubicate in zone svantaggiate montane; • 35% della spesa ammessa, elevato al 45% per le aziende ubicate in zone svantaggiate montane condotte da giovani agricoltori. Contributo in conto interessi sui finanziamenti concessi Il contributo può essere concesso sino al raggiungimento dell’Equivalente Sovvenzione Lorda (ESL) pari a: • 30% della spesa ammessa, elevato al 40% per le aziende ubicate in zone svantaggiate montane; • 35% della spesa ammessa, elevato al 45% per le aziende ubicate in zone svantaggiate montane condotte da giovani agricoltori. Priorità di accesso Le domande ritenute ammissibili verranno inserite in due graduatorie: - una per le domande di contributo per intervento delle aree C e D (aree rurali intermedie e con problemi complessivi di sviluppo) - l’altra per quelle di area B (ad agricoltura intensiva specializzata). Le domande di questa seconda graduatoria sono considerate ammissibili a finanziamento solo dopo aver soddisfatto i fabbisogni finanziari delle domande di investimento nelle aree C e D. L’attribuzione del punteggio avverrà secondo i criteri previsti nel Decreto dirigente unità organizzativa 16 luglio 2008 (BUR Lombardia 31 luglio 2008 S. S.). Presentazione delle domande Possono essere presentate ininterrottamente fino al 30 giugno 2010, tuttavia, al fine dell’istruttoria delle domande e della redazione delle graduatorie, la presentazione delle stesse è suddivisa in periodi, il II prevede, appunto, come scadenza il 31.05.2009. La domanda devono essere inviate per via telematica e cartacea alla Provincia sul cui territorio si attua l’investimento o, nel caso in cui l’area si estenda sul territorio di più Province, alla Provincia sul cui territorio ricade la parte finanziariamente più rilevante dell’intervento. Per maggiori informazioni sul bando accedere al sito: www.agricoltura.regione.lombardia.it
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i quesiti dei lettori: L’ESPERTO RISPONDE a cura di Leonardo Filippucci
A quali condizioni un Comune può organizzare autonomamente la gestione del servizio idrico integrato? Gli articoli 147 e 148 del D. Lgs. n. 152/2006, analogamente a quanto in precedenza stabilito dalla Legge n. 36/1994, prevedono che i servizi idrici siano organizzati sulla base di ambiti territoriali ottimali e che gli enti locali ricadenti all’interno di ciascun ATO partecipino obbligatoriamente all’Autorità d’ambito, che è una struttura dotata di personalità giuridica cui è trasferito l’esercizio delle competenze spettanti ai medesimi enti locali in materia di gestione delle risorse idriche. Il quinto comma dell’art. 148 prevedeva che, ferma restando la partecipazione obbligatoria all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali ai sensi del primo comma, l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle Comunità montane, a condizione che la gestione del servizio idrico sia operata direttamente dalla amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune. Tale disposizione è stata sostituita dal D. Lgs. n. 4/2008, per cui attualmente è stabilito che, ferma restando la partecipazione obbligatoria all’Autorità d’ambito, l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle Comunità montane, a condizione che gestiscano l’intero servizio idrico integrato, previo consenso della Autorità d’ambito competente. Al di fuori di tali condizioni il singolo Comune non è legittimato a costituire alcuna società alla quale affidare, con gara o meno, la gestione del servizio idrico, in quanto questo è totalmente di competenza dell’Autorità di Ambito (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. I, sentenza 10/04/2009, n. 1019). Le garanzie per la gestione operativa e post-operativa di una discarica possono essere rilasciate da un intermediario finanziario? La questione è stata recentemente affrontata e risolta dal T.A.R. Puglia con sentenza 20/04/2009, n. 920. In particolare, i Giudici amministrativi osservano quanto segue. L’art. 14 del D. Lgs. n. 36/2003 in materia di discariche dei rifiuti, al comma 4 stabilisce che le garanzie per la gestione operativa e post operativa di una discarica devono essere “costituite ai sensi dell’articolo 1 della legge 10 giugno 1982, n. 348”. L’art. 1 della Legge n. 348/1982, nel disciplinare le modalità di
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costituzione di cauzioni con polizze fideiussorie a garanzia di obbligazioni verso lo Stato e gli altri enti pubblici, tra le altre, cita la fideiussione bancaria rilasciata da aziende di credito di cui all’art. 5 del R.D.L. n. 375/1936 e s.m.i. e la polizza assicurativa rilasciata da imprese di assicurazione debitamente autorizzate all’esercizio del ramo cauzioni. Non menziona gli intermediari finanziari. In realtà tali figure giuridiche nella disciplina dettata dal R.D. n. 375/1936 non esistevano, in quanto introdotti nel sistema finanziario solo con Legge n. 191/1997 e con il D. Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario). Peraltro, allo stato, l’art. 5 del R.D. n. 375/1936 che individuava i soggetti sottoposti al controllo dell’autorità creditizia non esiste più perché è stato abrogato unitamente all’intero regio decreto dal nuovo testo unico bancario. È evidente, quindi, che il richiamo contenuto nell’art. 1, comma 1, lett. b) della Legge n. 348/1982 all’art. 5 del R.D.L. n. 375/1936 e s.m.i. che individuava come soggetti che potevano rilasciare garanzie in favore dello Stato e di altri Enti quelli “allora” esistenti e sottoposti al controllo dell’“allora” autorità creditizia di vigilanza, non può che essere letto come rinvio all’attuale Testo Unico in materia bancaria e, quindi, ai soggetti che esso individua come legittimati ad operare nel settore creditizio e sottoposti al controllo della competente autorità di vigilanza (Banca d’Italia). Il D. Lgs. n. 385/1993 ha introdotto nuove figure che possono operare nel sistema creditizio accanto alle aziende di credito: gli intermediari finanziari di cui all’art. 106 e gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale della Banca d’Italia ai sensi del successivo art. 107 del nuovo T.U.B.. Gli intermediari finanziari di cui all’art. 107, insieme alle banche ed ai gruppi bancari, sono considerati enti creditizi e sottoposti dal nuovo articolo 5 del TUB al controllo dell’autorità creditizia. Ne consegue che sono in tutto parificati alle aziende di credito. In conclusione, deve ritenersi che in base alla nuova disciplina quale richiamata, la garanzia finanziaria a favore dello Stato e degli enti pubblici può essere rilasciata oltre che dalle imprese che esercitano attività bancaria e assicurativa strictu iure anche da un intermediario finanziario così come definito dall’art. 1 del T.U. n. 385/1993 purché iscritto nell’elenco generale di cui all’art. 106 e nell’elenco speciale tenuto dalla Banca d’Italia di cui all’art. 107 del medesimo Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia e sia sottoposto a revisione contabile da parte di una società di revisione iscritta all’albo previsto dall’art. 161 del D. Lgs. n. 58/1998 e munito dell’autorizzazione ministeriale contemplata dal D.P.R. n. 115/2004.
Eventi e Fiere
Milano, 10-13 giugno 2009 TUTTO FOOD - World Food Exhibition Sede: Fiera Milano Organizzazione: SIFA spa - S.S. del Sempione, 28 - 20017 Rho (MI) Tel. 02 3662 9262/9261 - fax 02 4997 7685 tuttofood@sifafiere.it - www.tuttofood.it Ripescia (GR), 7-16 agosto 2009 FESTAMBIENTE - XI Edizione del Festival Internazionale di Ecologia e Sostenibilità Sede: Località Einauli - Centro Nazionale per lo Sviluppo sostenibile Organizzazione: Legambiente
Informazioni: Tel. 0564 48771 - fax 0564 487740 commerciale@festambiente.it - www.festambiente.it L’Aquila, 21-23 settembre 2009 VARIREI 2009 - VII Congresso Internazionale di Valorizzazione e Riciclaggio dei Rifiuti industriali Sede: Zordan Congress Center Segreteria scientifica: Fabiola Ferrante - Lia Mosca Tel./fax 0862 434233 - varirei@univaq.it Segreteria organizzativa: S. B. S. di Bricca Mirella Tel./fax 0862 700114 - bricca@briccaevents.it Informazioni: www.varirei.ing.univaq.it
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M A G A Z I N E n. 5 - Maggio 2009
EDITORIALE
Mentre l’anno in corso si appresta a doppiare la boa del primo semestre e la crisi economica sembra allentare i propri lacci (anche se i suoi effetti sul mercato continuano e continueranno ad avere un peso notevole nelle scelte imprenditoriali dei prossimi mesi), il mondo dell’ambiente ha vissuto l’importante introduzione, da parte dell’UE, del Diritto Penale nelle norme a tutela dell’ambiente (Direttiva 2008/99/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio). La Direttiva, che dovrà obbligatoriamente essere recepita nell’ordinamento nazionale di tutti gli Stati membri, è stata salutata, in Italia, con approcci diversi. A questo proposito abbiamo ritenuto doveroso, nel rispetto della nostra mission, organizzare un evento nazionale che riunisse attorno ad un tavolo tutti i portatori di interesse: dalle Istituzioni, al Legislatore, dal Governo
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agli Organi di controllo, dal mondo dell’associazionismo ambientale a quello dell’impresa. Di quanto emerso durante la convention, offriamo al lettore una sintesi, sottolineando le tante testimonianze che ancora ci pervengono circa la bontà e la necessità dell’iniziativa. Altro argomento che trova adeguato spazio di approfondimento e che sta particolarmente a cuore del nostro Consorzio, al punto da essere oggetto di costante monitoraggio ed attenzio-
ne, è quello relativo all’attuazione del programma nazionale di Green Public Procurement, più noto come: “Acquisti Verdi”, una strategia che consentirebbe, se adeguatamente applicata, di offrire i giusti sbocchi di mercato per i materiali da riciclo. Il tutto nell’ottica di ottimizzare le risorse nazionali, di minimizzare gli impatti ambientali e di far sopravvivere le imprese del riciclo che, nel loro insieme, costituiscono un aspetto d’eccellenza dell’imprenditoria italiana. Conclude il Magazine un piccolo aggiornamento sulle proposte che il PolieCo sta valutando onde offrire il proprio aiuto e le proprie capacità organizzative, alla Regione Abruzzo e alle sue imprese, recentemente funestate dal sisma. A tutti una buona lettura!
PolieCo MagazineSOMMARIO Tavola Rotonda: Il diritto penale comunitario in materia di tutela dell’ambiente TUTELA PENALE DELL’AMBIENTE: ISTITUZIONI E IMPRESE NE DISCUTONO A ROMA Fondazione Santa Chiara, PolieCo e Diritto all’Ambiente hanno promosso a Roma una Tavola Rotonda con tutti gli stakeholders in vista del recepimento da parte dello Stato italiano della Direttiva 2008/99/CE p.
di Alberto Piastrellini
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Acquisti Verdi IL RITARDO DELL’ITALIA COMPROMETTE LA FILIERA DEL RICICLO Urgono provvedimenti ed azioni per snellire l’accesso al Repertorio del Riciclaggio, nonché dinamiche di dialogo con l’Osservatorio Nazionale dei Rifiuti e la Commissione Tecnica del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare di Claudia Salvestrini p. 5 Novatex Italia spa, numero uno nel mondo nella produzione di reti per l’agricoltura DA OLTRE TRENT’ANNI ALLA RICERCA DELL’ECCELLENZA La ricetta? Innovazione, qualità e servizio di Silvia Barchiesi
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Recupero e riciclo dei rifiuti plastici da demolizione POLIECO IN PRIMA LINEA IN ABRUZZO Sul progetto vigila il WWF Italia di Alberto Piastrellini
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Eventi Tavola Rotonda: Il diritto penale comunitario in materia di tutela dell’ambiente
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TUTELA PENALE DELL’AMBIENTE: ISTITUZIONI E IMPRESE NE DISCUTONO A ROMA Fondazione Santa Chiara, PolieCo e Diritto all’Ambiente hanno promosso a Roma una Tavola Rotonda con tutti gli stakeholders in vista del recepimento da parte dello Stato italiano della Direttiva 2008/99/CE
di Alberto Piastrellini
L’introduzione del Diritto Penale nel contesto normativo a tutela dell’ambiente, rappresenta un notevole passo in avanti nella politica comunitaria e apre a scenari futuri di non facile interpretazione e recepimento, sia per quanto riguarda le novità formali, che sostanziali. Del resto l’allargamento a livello internazionale dei reati ambientali, soprattutto per quanto concerne il settore dei rifiuti, un tema, quest’ultimo che negli ultimi anni s’è trasformato da problema locale dei singoli Paesi membri a diffuso fenomeno transnazionale che nasconde dinamiche malavitose, ha spinto l’UE e i suoi organi di Governo, ad adottare una precisa Direttiva (2008/99) che ha l’obiettivo di elevare il livello di tutela dell’ambiente in tutto l’ambito comunitario, onde contenere il depauperamento dell’ambiente e proteggere la conservazione delle specie, ivi compresa quella umana, dall’inquinamento derivante dalla dispersione illecita di sostanze ed elementi nocivi nel terreno, nelle falde acquifere e nei corsi d’acqua. La nuova normativa dà mandato agli Stati membri di prevedere, nella legislazione nazionale, nuove sanzioni penali più efficaci e dissuasive (ancorché proporzionate alla gravità del delitto commesso), in presenza di violazioni delle regole del diritto dell’Unione. La novità, che non ha mancato di destare l’interesse maggiore negli operatori, è determinata dal fatto che la Direttiva introduce l’obbligo di individuare la responsabilità in diversi soggetti, comprese le persone giuridiche, e contempla azioni preventive e repressive secondo le logiche del diritto penale, laddove, finora ci si era limitati ad applicare sanzioni amministrative e meccanismi di risarcimento tipici del Diritto Civile. Orbene, onde approfondire l’argomento, promuovere un dibattito libero da censure e fornire gli adeguati strumenti conoscitivi ed informativi sulla tematica in oggetto, Fondazione Santa Chiara per lo studio del Diritto e dell’Economia dell’Ambiente; Consorzio PolieCo (Consorzio Nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene); e Diritto all’Ambiente
- Rivista on-line, hanno promosso nella giornata di mercoledì 25 marzo una Tavola Rotonda dal titolo: “Il diritto penale comunitario in materia di tutela dell’ambiente”, alla presenza di importanti esponenti del Governo, del mondo dell’impresa e della giurisprudenza, riuniti per l’occasione, in Roma, presso la Sala delle Conferenze di Piazza Montecitorio. Grande è stata l’affluenza di pubblico, convenuto non solo dalla Capitale ma anche da diverse Regioni italiane e, a conferma del notevole interesse suscitato dall’argomento e dal parterre dei relatori, si è registrata una cospicua presenza degli Organi di controllo: Guardia di Finanza, Carabinieri e Corpo Forestale dello Stato. L’evento si inserisce nel solco delle tante iniziative - compreso il Ciclo di Formazione 2009 - che il PolieCo e la Fondazione Santa Chiara, hanno deciso di proporre, ai Soci del Consorzio e alle Pubbliche Amministrazioni, nella precisa convinzione che la sensibilità ambientale e le singole “buone pratiche” non bastano a formare un comparto industriale e produttivo che giornalmente si confronta con le tematiche dell’ambiente e che non cerca di eludere, pur misurandosi con norme stratificate e di difficile interpretazione, anche per gli addetti ai lavori e dagli stessi Organi di controllo. Di qui la necessità di informare e comunicare puntualmente le novità normative del settore, confrontandosi con le esigenze della base imprenditoriale del comparto del riciclo e promuovendo, all’occasione, tavoli di confronto fra gli stessi operatori e i rappresentanti delle Istituzioni, nella certezza che solo una dialettica comune potrà portare all’applicazione seria e condivisa delle regole a tutela dell’ambiente. “Questo meeting è nato a seguito di diversi incontri con le Autorità competenti - ha dichiarato in apertura il Presidente di PolieCo, Enrico Bobbio, ricordando alcuni eventi che hanno contribuito alla genesi dell’iniziativa - le quali, all’indomani dell’uscita della Direttiva sollecitavano un momento
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di particolare approfondimento. È per questo che abbiamo voluto promuovere questo incontro, riunendo tanti esperti che analizzassero le prospettive future dal loro punto di vista”. A rimarcare le istanze che hanno mosso il Legislatore europeo alla scrittura della Direttiva, è stato il Prof. Crescenzo Fiore, antropologo, qui in veste di moderatore, che nell’introdurre i lavori ha precisato come “il sentimento di minaccia e preoccupazione che l’Europa avverte nei confronti della tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini, accanto ad una rinnovata sensibilità ambientale e ad un corpus di leggi, spesso insufficiente, ha spinto l’UE nella direzione di colmare alcuni deficit normativi locali nella convinzione che, quando si tratta di ambiente, la dimensione nazionale non basta più”. Qualche preoccupazione nei confronti del mondo dell’impresa, già in difficoltà per la crisi economica in atto e per lo stratificarsi di una normativa nazionale sull’ambiente piuttosto confusa, l’ha espressa l’On. Francesco Paolo Sisto, membro della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, il quale, pur plaudendo all’iniziativa comunitaria tesa alla maggior tutela dell’ambiente, ha ribadito che il mondo dell’impresa ha bisogno di norme che accompagnino l’esercizio in tutte le sue fasi e che il diritto penale andrebbe considerato un valore aggiunto e non una barriera allo sviluppo. A cura della Dott.ssa Mariella Maffini, Responsabile della missione tecnico operativa della raccolta differenziata nell’ambito della struttura del Sottosegretario Guido Bertolaso, c’è stata una disamina della gestione del sistema-ambiente, con particolare riferimento a quanto accaduto nella Regione Campania, nel quadro della normativa nazionale e comunitaria. Un’altra preoccupazione è emersa dall’intervento dell’On. Angelo Alessandri, Presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, il quale ha stigmatizzato il pericolo derivante da approcci estremistici nei confronti dello sviluppo industriale tout court e dell’ambientalismo. A gettare acqua sul fuoco è intervenuto l’On. Rocco Buttiglione, ricordando come: “il diritto comunitario è diritto vigente in Italia, con l’esclusione dei principi fondanti della Costituzione”. Anche l’eurodeputato Marcello Vernola, relatore-ombra della Direttiva, ha preferito puntare l’indice sugli effetti benefici che la Direttiva stessa produrrà nei confronti degli inquinamenti derivanti dalle imprese dei Paesi emergenti che si affacciano
sull’Europa, piuttosto che sulle possibili conseguenze per gli imprenditori italiani. Importante il contributo scientifico del Prof. Matteo Benozzo, Docente di diritto ambientale all’Università di Macerata e autore, insieme al Prof. Francesco Bruno (presente anch’egli al Convegno), del Commentario al Codice dell’Ambiente. Puntuale ed esauriente, poi, la disamina dell’evoluzione dei crimini ambientali, tra regole normative nazionali, prassi giurisprudenziali e direttive UE, compiuta dal Magistrato di Cassazione, Maurizio Santoloci, mentre il punto di vista degli organi deputati al controllo dei processi industriali è stato a cura del Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, Amedeo Antonucci, Comandante Reparto Operativo Aeronavale - Comando Regionale “Puglia”. A concludere la Tavola Rotonda è stato il doppio intervento WWF Italia, ad opera del Presidente Onorario, Fulco Pratesi che ha stigmatizzato la falsa convinzione che sia conflittuale il rapporto fra sviluppo e ambiente e del Direttore Gaetano Benedetto, il quale ha focalizzato l’attuazione del diritto comunitario ambientale nel nostro Paese, sottolineando la gravità di ben 200 procedure di infrazione comminate all’Italia, di cui ben 64 relative a questioni ambientali. “L’importanza della tematica in oggetto - ha dichiarato il Presidente PolieCo - imporrebbe ben altri tempi di riflessione”. “Come operatori dell’ambiente - ha concluso - siamo preoccupati della corretta informazione delle nostre imprese e del rapporto fra queste, legislatore e Organi di controllo, pertanto ci impegneremo affinché le riflessioni che sono scaturite oggi non rimangano isolate ed improduttive, bensì promuoveremo altre occasioni di confronto onde contribuire a stimolare nel Paese una cultura dell’ambiente intesa come più responsabile e consapevole partecipazione dei cittadini ai problemi della tutela del territorio”. A seguito dell’iniziativa, come anticipato dallo stesso Presidente Bobbio in occasione del termine dei lavori, il Consorzio PolieCo si è attivato per produrre e pubblicare gli Atti del Convegno, testimonianza dell’impegno profuso nella veicolazione di idee, suggerimenti, sollecitazioni sull’ambiente da parte di tutti gli attori della filiera. Tali Atti sono disponibili in consultazione sul Sito del PolieCo: www.polieco.it
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News Acquisti Verdi
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IL RITARDO DELL’ITALIA COMPROMETTE LA FILIERA DEL RICICLO Urgono provvedimenti ed azioni per snellire l’accesso al Repertorio del Riciclaggio, nonché dinamiche di dialogo con l’Osservatorio Nazionale dei Rifiuti e la Commissione Tecnica del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare di Claudia Salvestrini - Direttore PolieCo
È cosa nota, ormai, che le Pubbliche Amministrazioni e le pubbliche autorità debbano essere soggetti attivi nella promozione della sostenibilità e, per quanto concerne le loro azioni quotidiane, stanno provando ad orientare la rotta del mercato verso direzioni più “verdi”, solo apparentemente meno apprezzabili nel breve periodo dal punto di vista economico. Uno degli strumenti principali di questa inversione di tendenza è proprio il Green Public Procurement (GPP), che prevede precise considerazioni di carattere ambientale nelle procedure di acquisto di beni e servizi da parte delle PP. AA, al fine di individuare quei prodotti e quei servizi che per la loro “storia produttiva” hanno un impatto minore sulla salute umana e sull’ambiente in generale rispetto ad analoghi prodotti e servizi normalmente utilizzati. Secondo la Commissione europea il GPP è “l’approccio in base al quale le Amministrazioni Pubbliche integrano i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto possibile sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita”. Si tenga presente, per questa breve riflessione, che gli acquisti pubblici rappresentano circa il 17% del PIL italiano e il 14% di quello europeo. Introdotto nell’ordinamento europeo dalla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 18/CE del 31 marzo 2004 relativa al “coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi”, il GPP è stato lungamente “corteggiato” da varie norme italiane (D. Lgs 22/97; D. M. del 27/03/1998; L. 448/01, sino al D. M. 203 dell’8 maggio 2003) che ne sollecitavano l’introduzione. Purtroppo ancorché sia stato emanato il D. M. 203/03 ed il conseguente Decreto interministeriale 11/04/2008 n. 135 “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione”, il sistema non è pienamente decollato e questo costituisce un serio problema per tutto il comparto del riciclo.
Infatti, non solo non si sono implementate azioni virtuose per il raggiungimento della sostenibilità, ma si è persa anche un’altra occasione per aiutare le aziende che nel settore del riciclo/recupero e stampaggio non stanno vivendo un momento roseo né, ad oggi, si riesce ad intravedere uno spiraglio di luce. Il Decreto succitato prevede che tutti gli Enti Pubblici e le Società a prevalente capitale pubblico acquistino manufatti e beni realizzati con materiale riciclato pari almeno al 30% del proprio fabbisogno annuale. L’obiettivo è anche quello di ampliare il mercato di utilizzo del rigenerato. Purtroppo, come si accennava poc’anzi, in Italia siamo ad un punto fermo sugli Acquisti Verdi perché recepire la Direttiva, emanare il provvedimento di attuazione, istituire la Commissione preposta è costato parecchio in termini di tempo. Non solo, i vari cambi al vertice del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, han fatto sì che lo stato di avanzamento dei lavori fosse più volte sospeso. Il Consorzio PolieCo, da par suo, ha recentemente scritto una nota al Ministero competente per riattivare l’attenzione su questa problematica e per sollecitare la ripresa dei lavori, al fine di consentire alle proprie aziende consorziate che avevano intrapreso l’iscrizione al Repertorio del Riciclaggio, di poter terminare l’iter; alle altre di iniziarlo e quindi di entrare nel Repertorio al fine di poter avere accesso ai bandi di acquisti pubblici. L’inserimento nel Repertorio del Riciclaggio richiede un’attenta analisi dell’iter documentale richiesto dalle norme (D. M. 8 maggio 2003, n. 203 e Circolare Ministeriale del 4 agosto 2004), dalle quali sono emersi diversi punti di criticità in relazione ai quali il Consorzio Polieco già a suo tempo, confermando il suo ruolo di supporto alle aziende, aveva intrapreso un percorso di dialogo con i rappresentanti dell’Osservatorio Nazionale dei Rifiuti e con la Commissione Tecnica allora preposta, per cercare di risolvere e snellire le difficoltà burocratiche incontrate dai propri Associati. Oggi, come allora, il Consorzio PolieCo è impegnato a sostenere tutte le iniziative atte a far ripartire i lavori della Commissione e dello stesso Ministero affinché si possa, in tempi brevissimi, permettere alle aziende di ottemperare a ciò che impone l’Unione Europea e la stessa normativa italiana di riferimento, conseguendo, da un lato, la sostenibilità dell’azione pubblica, dall’altro, l’economia di una filiera virtuosa la cui sussistenza è di per sé garanzia del rispetto delle istanze ambientali dei cittadini.
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Novatex Italia spa, numero uno nel mondo nella produzione di reti per l’agricoltura
DA OLTRE TRENT’ANNI ALLA RICERCA DELL’ECCELLENZA La ricetta? Innovazione, qualità e servizio di Silvia Barchiesi
È così che Novatex, da piccola impresa di riferimento per la produzione di reti elastiche per confezionare salumi diventa la realtà industriale numero uno al mondo per la realizzazione dei suoi attuali prodotti di punta: • la rete per rotopresse che garantisce notevoli risparmi di tempo e maggiore qualità nelle operazioni di raccolta, avvolgimento e legatura di fieno, paglia, mais e riso; • la rete pallet, ideata per garantire la massima stabilità nell’imballaggio meccanico e manuale, che consente la traspirazione e la ventilazione, ma anche, se necessario, l’essiccazione, il raffreddamento e il congelamento del contenuto; • le reti Microclima e Tunnet, che una volta stese sulle colture sono in grado di riprodurre l’effetto climatico di una serra, creando le condizioni ideali per la germinazione e la crescita delle piante.
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Non si direbbe, eppure nei balloni di fieno e di paglia che d’estate vediamo disseminati nei campi di grano si gioca una leadership: è quella di Novatex Italia spa, azienda di riferimento nel mercato italiano ed estero nella produzione di reti per rotopresse. Nata a Sirtori (LC) nel 1977 dalla geniale intuizione di un imprenditore innovativo e “coraggioso”, Novatex, forte di un know how tecnologico acquisito in anni di esperienza e ricerca, ha saputo raccogliere le sfide provenienti dal mercato, trasformandosi presto da impresa product oriented a impresa market oriented e divenendo, ben presto, azienda leader nel mercato delle reti agricole. Con i suoi 225 collaboratori, le sue 2 unità produttive, i suoi 35 mila m2 di superficie coperta, i suoi 2 stabilimenti di Oggiano (Lecco) e Ferrandina (Matera) e grazie, soprattutto, ad accordi commerciali e joint venture con due industrie estere, l’azienda, con un fatturato di 51 milioni, ed export pari al 70% del fatturato, è leader del mercato mondiale. Ma al di là dei numeri da record, sono altre le caratteristiche che contraddistinguono il marchio “Novatex”: innovazione, qualità e servizio. Quattro sono, invece, i fattori del suo successo aziendale e del suo vantaggio competitivo sul mercato: impiego di tecnologia esclusiva, ricerca e sviluppo, flessibilità e investimenti. Sono questi gli ingredienti del mix alla base della sua global vision e di una mission volta alla “ricerca dell’eccellenza”, un obiettivo questo che permea ogni fase del processo produttivo (dalle operazioni di estrusione, alla tessitura, al confezionamento) e della vita aziendale. La volontà di migliorarsi e di affermarsi ha caratterizzato fin da subito l’attività di Novatex Italia spa. Specializzatasi inizialmente nella produzione di rete elastica per alimenti, Novatex ha colto fin dagli inizi le opportunità provenienti da nuovi mercati. Così dalle reti elastiche per alimenti, alle reti sacchi, a quelle pallet, o ombreggiante, o per rotopresse, il passo è stato breve. L’azienda amplia la gamma dei prodotti offerti e specializzazione e diversificazione produttiva diventano due priorità su cui investire.
Frutto di un know how tecnologico esclusivo, i prodotti Novatex sono il risultato di una costante ricerca nell’ambito dell’estrusione e della tessitura e nello sviluppo di nuovi impianti di taglio e tessitura, tutti progettati e realizzati internamente all’azienda. Ma se la capacità di sviluppare in proprio una tecnologia esclusiva, è parte integrante di una filosofia aziendale pronta ad investire in innovazione, qualità e tecnologia, tra i fattori chiave del suo successo internazionale si rilevano, anche la flessibilità e l’ottimizzazione delle risorse, grazie alla realizzazione di significative sinergie di know-how tecnologico tra i due stabilimenti di Oggiano e Ferrandina. Anche al rapporto con il cliente è dedicata particolare attenzione. Assistenza, consulenza tecnica, customer relashionship management, formazione e aggiornamento del personale, sono infatti per Novatex attività da non sottovalutare, parti integranti del processo produttivo. Attenta alla clientela, Novatex, è ancora più attenta ai suoi dipendenti. Attraverso una gestione del personale basata sull’abbattimento delle barriere formali di natura gerarchica, la collaborazione, la conoscenza reciproca, la comunicazione, e grazie ad una politica di incentivazione basata su premi aziendali, Novatex è portavoce di una vera e propria cultura della partecipazione e della responsabilità. E se l’identificazione del personale con l’azienda e i suoi obiettivi si gioca soprattutto nel campo dei rapporti interpersonali e inter-aziendali, altrettanta importanza assumono le condizioni e l’ambiente di lavoro che puntano a creare un’immagine aziendale la più familiare e accogliente possibile. Tutto è finalizzato a promuovere e incentivare il lavoro in team e la collaborazione in un’ottica produttiva, sintetizzabile in sole tre parole chiave: “Lavoro, passione, senso della sfida”. Questa è per Natale Castagna , Managing Director di Novatex Italia spa, nonché vicepresidente PolieCo, la “ricetta” del successo di Novatex e della sua leadership nel mondo nel campo della produzione di reti per l’agricoltura.
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n. 5 - Maggio 2009
Recupero e riciclo dei rifiuti plastici da demolizione
POLIECO IN PRIMA LINEA IN ABRUZZO Sul progetto vigila il WWF Italia di Alberto Piastrellini
Il devastante sisma che ha colpito l’Abruzzo nei mesi scorsi, accanendosi particolarmente lungo la dorsale appenninica e mettendo in ginocchio la Provincia de L’Aquila e i suoi centri abitati, non ha recato solo lutti e tragedie, ma, come in tutte le occasioni di calamità naturali, ha provocato una enorme produzione di rifiuti, diretta conseguenza dei crolli e delle inevitabili demolizioni. Stante la situazione di emergenza in cui versano le popolazioni locali (la cui qualità della vita merita sicuramente la precedenza rispetto ad altre urgenze), è pur vero che, partita la fase di ricostruzione, occorre demolire e mettere in sicurezza gli edifici lesionati, recuperando il più possibile i materiali riciclabili al fine di ottimizzare l’intervento e di procedere nel rispetto delle norme a tutela dell’ambiente. Lo stesso Governo si è impegnato con un apposito Decreto Legislativo (D. Lgs. n. 39/2009), il quale dispone numerose deroghe alla Parte IV del D. Lgs. 152/2006, a partire da quelle relative alla rimozione e al trasporto dei materiali crollati (deroga all’articolo 242 sulla bonifica dei siti e alla normativa sui rifiuti pericolosi). Anche l’attività degli impianti finalizzati alla gestione dei materiali può avvenire in deroga all’articolo 208, comma 15 (impianti mobili) e all’articolo 216 (operazioni di recupero). La Regione, nell’individuare i nuovi siti per le discariche, può derogare al D. Lgs. 36/2003. In questo contesto il Consorzio PolieCo ha diramato un comunicato alla Protezione Civile esprimendo la propria disponibilità a contribuire al recupero e riciclo delle materie plastiche derivanti dai crolli e dalle demolizioni a seguito del sisma. La notizia assume particolare rilievo, mentre già sono attivate tutte le dinamiche che porteranno alla ricostruzione delle zone colpite dalla calamità naturale. È giocoforza che prima di ricostruire si dovrà intervenire con i necessari sgomberi e messa in sicurezza degli edifici, ed accanto a queste attività ci si dovrà occupare dei materiali di risulta delle demolizioni, i quali non sono costituiti solo da inerti cementizi o metallici, una buona percentuale è rappresentata da svariate materie plastiche, il cui auspicabile riciclo è condizionato dalla preventiva selezione. Il Consorzio PolieCo ha comunicato formalmente la disponibilità delle proprie aziende consorziate a collaborare in questa fase del processo di ricostruzione. È di pochi giorni fa la notizia che la Provincia de L’Aquila ha riunito tutti i Consorzi di recupero/riciclo per capire
come quest’ultimi possano intervenire positivamente nella fase di recupero/riciclo e smaltimento dei rifiuti derivanti dalla demolizione. Alla riunione era presente anche una delegazione del PolieCo che, in quella sede, ha ribadito la disponibilità a mettere in gioco le proprie conoscenze e professionalità in materia (soprattutto nella fase di cernita dei materiali) per il successivo avvio al riciclo. Non solo, il Consorzio ha messo a disposizione la propria struttura per l’avvio all’effettivo riciclo dei rifiuti stessi, con un evidente sgravio degli oneri a carico del Comune de L’aquila che, è considerato come produttore dei rifiuti e deve considerare il raggiungimento della quota di riciclo prevista dalla legge. Tra l’altro il PolieCo, grazie alle aziende associate, leader del settore, è in grado di offrire le migliori tecnologie e mezzi sul mercato, in grado di prelevare i detriti tal quali e procedere ad una selezione meccanica dei materiali (plastica, ferro ed inerti). Anche il WWF Italia è interessato all’iniziativa e, avendo apprezzato gli interventi svolti in passato da PolieCo, seguirà con attenzione i lavori auspicando che l’impegno profuso dal Polieco, possa essere un valido contributo al recupero/ riutilizzo affinché non vada tutto allo smaltimento, con evidenti conseguenze ambientali. “La partita sul corretto smaltimento, recupero e riciclo dei rifiuti da demolizione in Abruzzo è ancora aperta e tutta da giocare - dichiara l’Avv. Lucia Ambrogi, Responsabile Relazioni Territorioriali WWF Italia - tuttavia, pur considerando l’emergenza e quindi la necessità di agire in una situazione particolare e molto delicata, l’auspicio è che vengano rispettati i criteri di tutela ambientale stabiliti dalla legge e proprio per questo abbiamo guardato con favore alla disponibilità espressa dal PolieCo” “È proprio grazie a queste disponibilità gratuite e spontanee - ha proseguito l’Avv. Ambrogi – che si raggiungono quegli obiettivi di qualità ambientale che sono fondamentali, anche nei contesti emergenziali”. “Purtroppo, non si può essere altrettanto soddisfatti della situazione in cui versa il riciclo in generale nel nostro Paese - ha concluso la responsabile WWF - anche se in questo settore si sono fatti passi avanti rispetto al passato, occorrerebbe spendere maggiore impegno nella prevenzione dei rifiuti, anche attraverso una modifica degli usi dei prodotti stessi, come ad esempio gli imballaggi”.
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