R&A n.1/2 Gennaio-Febbraio 2010

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dell’energia rinnovabile e sostenibile

fiera di genova

04-06 2010

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MARZO

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n°1/2 Gennaio-Febbraio 2010 Anno XI

5° Salone

Free Service Edizioni

focus: “città sostenibile” con convegni e aree demo

periodico Omologato

n° GENNAIO FEBBRAIO

1/2 2010

Anno XI €

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15-01-2010

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Regione Toscana Diritti Valori Innovazione Sostenibilità

mostra-convegno internazionale

terrafutura buone pratiche di vita, di governo e d’impresa verso un futuro equo e sostenibile

firenze - fortezza da basso

abitare

28-30 maggio 2010

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VII edizione ingresso libero

coltivare

• appuntamenti culturali • aree espositive • laboratori • animazioni e spettacoli

agire

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Terra Futura 2010 è promossa e organizzata da Fondazione Culturale Responsabilità Etica per conto del sistema Banca Etica, Regione Toscana e Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c. È realizzata in partnership con Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Legambiente. In collaborazione con Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Firenze Fiera SpA e numerose altre realtà nazionali e internazionali. Relazioni istituzionali e Programmazione culturale Fondazione Culturale Responsabilità Etica via N.Tommaseo, 7 - 35131 Padova tel. +39 049 8771121 fax +39 049 8771199 email fondazione@bancaetica.org

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In copertina: Leopardo dell’Amur - Una delle specie a maggior rischio di scomparsa

n°1/2 Gennaio-Febbraio 2010 anno XI

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CAMBIAMENTI CLIMATICI

Copenhagen, Conferenza UNFCCC sui Cambiamenti Climatici Le major countries dettano le condizioni All’Europa non resta che accodarsi

10 Gli enti locali non mollano sul clima di Elisabetta Mutto Accordi

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MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

Padova, 21-24 aprile 2010 SEP 2010: sostenibilità per una nuova economia Torna alla Fiera di Padova l’evento triennale dedicato alle ecotecnologie

14 Venerdì 12 febbraio 2010 “M’illumino di meno” diventa “m’accendo di energia rinnovabile”

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INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO

Scatta dal 18 gennaio 2010, l’obbligo di iscrizione all’Albo Gestori Rifiuti Centri di raccolta rifiuti urbani differenziati con nuove regole Dubbi sull’effettivo adeguamento al D.M. 13 maggio 2009 nonostante l’allungamento dei termini


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api raffineria Il sito di Falconara al top per sicurezza e ambiente Eccellenti i dati contenuti nel Rapporto Ambientale di Sito 2008 a cura di Stefano Agostinelli

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SERVIZI AMBIENTALI

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COSMARI Nel mese di dicembre la raccolta differenziata maceratese sale al 53,17% di Luca Romagnoli

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IL COMMENTO

Finanziaria 2010: l’ambiente può attendere! Anche dal “Milleproroghe” differimenti per disposizioni ambientali

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Dal Gestore per i Servizi Energetici (GSE) un quadro esaustivo degli impianti dedicati Le biomasse e i rifiuti Notevoli le differenze di distribuzione a livello regionale

ENERGIE ALTERNATIVE E RINNOVABILI

Dal 1° gennaio 2010 è scattato l’obbligo per i nuovi fabbricati di produrre 1 kW di rinnovabili Il ruolo degli EE.LL. nella riduzione delle emissioni I dati del Rapporto ON-RE

31 L’analisi dell’“energia netta” prodotta fondamentale nella scelta delle energie alternative Ci vorrebbe un miracolo! Un Rapporto mette in evidenza che la transizione energetica non riuscirà a sostenere gli attuali ritmi di crescita economica e demografica

Il Ministero dello Sviluppo economico ha pubblicato il Bilancio Energetico Nazionale Sempre più verdi i consumi energetici degli italiani Anche perché sono diminuiti i consumi

38 Rinnovabili 2010: ora occorre diventare parte integrante del sistema energetico di Carlo Durante

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BIODIVERSITÀ E CONSERVAZIONE

Lanciato l’Anno Internazionale della Biodiversità La biodiversità è vita. La biodiversità è la nostra vita Molte le iniziative in programma per la tutela degli ecosistemi e dei loro servizi

44 L’AEA per l’Anno Internazionale della Biodiversità 10 messaggi per il 2010 L’interdipendenza del cambiamento climatico, della biodiversità e dei servizi ecosistemici impone di affrontarli insieme


new business format: DA MERCOLEDÌ A VENERDÌ


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UNO SPAZIO DEDICATO A...

Emilia-Romagna Dai territori una speranza per il clima

EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE

Dolceta: nuovo impulso all’educazione dei consumatori europei Aggiornato con nuovi servizi il sito della Commissione UE di Lino Zanichelli

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EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ

Al posto del bollo una tariffa per chilometri percorsi Olanda per un modo più equo di far pagare la mobilità Un sistema GPS su ogni veicolo determinerà l’ammontare della tariffa

AGENDA 21

La Carta delle Città e dei Territori d’Italia per il clima Presentato al Bella Center di Copenhagen il contributo degli enti locali e territoriali italiani alla roadmap per un nuovo patto sul clima a cura della Segreteria del Coordinamento Agende 21 Locali italiane

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QUALITÀ E AMBIENTE

Vademecum del Dipartimento Energia - MSE “Efficienza energetica degli impianti di riscaldamento” Determinante per il conseguimento della “tripla 20” europea il ruolo dei settori non coperti da ETS

54 Il 70% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico. È quanto emerge dal Rapporto Ecosistema Rischio 2009 Frane e alluvioni, la mappa dell’Italia a rischio E la prevenzione? Oltre un comune su quattro non fa nulla per prevenire i danni di frane e alluvioni di Silvia Barchiesi

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€CO-FINANZIAMENTI

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I QUESITI DEL LETTORE

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AGENDA - Eventi e Fiere

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NEWSLETTER 37

Associazione Nazionale Coordinamento Agende 21 Locali Italiane a cura di Antonio Kaulard

AMBIENTE CAMPANIA NEWS

A COME AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE, AMBIENTE

Più agricoltura per tutelare: ambiente, territorio e biodiversità Intervista al Presidente Nazionale Coldiretti, Sergio Marini di Alberto Piastrellini

AMBIENTE MARCHE NEWS AMBIENTE VENETO NEWS


CAMBIAMENTI CLIMATICI

Copenhagen, Conferenza UNFCCC sui Cambiamenti Climatici

LE MAJOR COUNTRIES DETTANO LE CONDIZIONI All’Europa non resta che accodarsi

delli socio-economici che non possono permettersi di arrestare “i motori” che trainano attualmente l’economia mondiale. Non c’è ragione, poi, di scaricare sui Paesi emergenti l’accusa di aver impedito di raggiungere un’intesa sui cambiamenti climatici quando i Paesi che ne sono i maggiori “storici” responsabili non sono in grado di svolgere un ruolo guida e di proporre valide soluzioni. Questa situazione di stallo della questione climatica è stata esplicitata in modo diretto, a conclusione della Conferenza, dal Primo ministro indiano Manmohan Singh: “Per i Paesi in via di sviluppo è una questione di vita, per quelli industrializzati è una questione di stili di vita”. Né si deve credere che i Paesi emergenti se ne stiano inani di fronte al global warming, perché le risorse economiche che la Cindia (per usare il noto neologismo di Rampini) ha investito nelle rinnovabili, secondo i Rapporti di ONG e Agenzie specializzate, sono di gran lunga superiori a quelle investite dai Paesi sviluppati.

Nonostante il prolungamento di un giorno, la Conferenza UNFCCC sui Cambiamenti Climatici di Copenhagen non ha avuto l’esito che molti avevano auspicato. Il fatto stesso che il documento finale premetta che le Parti “hanno preso nota dell’Accordo del 18 dicembre”, ma formalmente non lo ha adottato, indica che non c’è stata condivisione neppure sul compromesso che, come dichiarato dal Segretario esecutivo UNFCCC, Yvo de Boer “è una semplice lettera di intenti”. L’Accordo è quello promosso tra USA, Cina, India, Sudafrica e Brasile, tutti i Paesi che per una ragione o per un’altra non volevano alcun accordo vincolante. Aver previsto in un allegato all’Accordo stesso, la possibilità di sottoscrivere un protocollo con target di emissioni nazionali entro il 2010 è da considerarsi “buon risultato”, stante la situazione che si determina. Molti commentatori hanno individuato nella Cina la “vincitrice” di questa maratona diplomatica che è stata la Roadmap di Bali. In realtà, addossare la responsabilità del fallimento (delle aspettative) al gigante asiatico ci sembra fuorviante. Come avevano sottolineato sul precedente numero (cfr. “Hindi-Chini e… Hamriki Bhai-Bhai-Bhai! Heuropiki-Hai?”, in Regioni&Ambiente, n. 12 dicembre 2009, pp 12-14) si sono realizzate delle sinergie politiche (per non parlare di interesse economici prevalenti) che lasciavano chiaramente intendere che l’appuntamento di Copenhagen fosse giunto in un momento sbagliato, al culmine di una grave crisi economica mondiale che avrà bisogno di molto tempo per essere risolta con gli attuali mo-

A Copenhagen, ribattezzata prematuramente dai suoi amministratori Hopenhagen, alla vigilia della Conferenza. Speranza, ultima dea, non ha definitivamente abbandonato l’umanità per relegarsi sull’Olimpo, ma se ne sta in trepida attesa di soluzioni appropriate tra le savane del continente africano, dove vive la maggior parte di quella gente che la Conferenza ha deliberatamente trascurato.

Di grande impatto, l’Orso di ghiaccio posto al centro della New Square di Copenhagen. L’Ice Bear Project del WWF vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi che derivano alla fauna selvatica dal global warming

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DECISIONE DELLA COP 15 La Conferenza delle Parti ha preso nota dell’Accordo del 18 dicembre 2009 I Capi di Stato, i Capi di governo, i Ministri e gli altri Capi di delegazione presenti alla Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici 2009 a Copenaghen, Nel perseguire l’obiettivo finale della Convenzione enunciato all’articolo 2, Essendo guidati dai principi e dalle disposizioni della Convenzione, Prendendo atto dei risultati del lavoro svolto dai due Gruppi di Lavoro Ad hoc, Approvando la decisione del Gruppo ad hoc sull’Azione di Cooperazione a Lungo Termine e la decisione del Gruppo ad hoc sui Nuovi Impegni del Parti di cui all’Allegato I Parti del Protocollo di Kyoto di poter continuare il suo lavoro, Hanno stabilito che il presente Accordo di Copenaghen sia immediatamente operativo. 1. Noi sottolineiamo che il cambiamento climatico è una delle più grandi sfide del nostro tempo. Noi mettiamo in risalto la nostra forte volontà politica di combattere urgentemente i cambiamenti climatici in conformità con il principio delle responsabilità comuni, ma differenziate secondo le rispettive capacità. Per raggiungere l’obiettivo finale della Convenzione di stabilizzare la concentrazione di gas a effetto serra nell’atmosfera a un livello tale da impedire pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico, noi, riconoscendo il punto di vista scientifico secondo il quale l’aumento della temperatura globale dovrebbe essere inferiore ai 2 °C, in base ad equità e nel contesto dello sviluppo sostenibile, rafforziamo la nostra azione di cooperazione a lungo termine per combattere i cambiamenti climatici. Noi riconosciamo che gli impatti critici del cambiamento climatico e il potenziale impatto delle misure di risposta nei Paesi particolarmente vulnerabili ai suoi effetti negativi, accentuando la necessità di istituire un programma di adeguamento di vasta portata che includa il supporto internazionale. 2. Concordiamo che sono necessari drastici tagli alle emissioni globali, in accordo con la scienza e come è documentato nel IV apporto di valutazione dell’IPCC, di ridurre le emissioni globali, in modo da tenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 °C, agendo per raggiungere questo obiettivo, coerenti con la scienza e sulla base del principio di equità. Dovremo cooperare per raggiungere il picco delle emissioni globali e nazionali il più presto possibile, riconoscendo che i tempi per tale picco sarsaranno più lunghi nei Paesi in via di sviluppo e tenendo conto del fatto che sviluppo economico e sociale e lo sradicamento della povertà sono le priorità assolute dei Paesi in via di sviluppo e che una strategia di incremento delle basse emissioni è indispensabile per lo sviluppo sostenibile. 3. L’adattamento agli effetti negativi del cambiamento climatico e l’impatto potenziale delle misure di risposta è una sfida che tutti i Paesi devono affrontare. L’azione decisa e la cooperazione internazionale in materia di adattamento è urgentemente necessaria per garantire l’attuazione della Convenzione attraverso la capacità e il sostegno per attuare le azioni di adattamento volto a ridurre la vulnerabilità e per costruire la resilienza nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto in quelli che sono particolarmente vulnerabili, in particolare quelli meno sviluppati i piccoli Stati insulari e quelli dell’Africa. Siamo concordi che i Paesi sviluppati dovranno fornire adeguate, prevedibili e sostenibili risorse finanziarie, tecnologia e di capacità di sostenere l’attuazione di azioni di adattamento nei Paesi in via di sviluppo. 4. Le Parti di cui all’allegato I si impegnano a realizzare, individualmente o congiuntamente per il 2020 l’obiettivo di un’economia a basso livello di emissioni a livello di obiettivi per il 2020, che sarà sottoposto nella forma indicata nell’Appendice I dell’Allegato I al Segretariato delle Parti entro il 31 gennaio 2010, per la compilazione in un documento INF. Le Parti dell’Allegato I che sono Parti del Protocollo di Kyoto faranno in modo di rafforzare ulteriormente la riduzione delle emissioni avviata dal Protocollo di Kyoto. La deliberazione delle riduzioni e il finanziamento dei Paesi sviluppati saranno misurati, rapportati e verificati in conformità delle vigenti e le eventuali ulteriori linee direttrici adottate dalla Conferenza delle Parti, facendo in modo che la contabilizzazione di tali obiettivi e delle finanze sia rigorosa, solida e trasparente. 5. Le Parti che non sono incluse nell’Allegato I della Convenzione attueranno azioni di mitigazione, presentando anche loro entro il 31 gennaio 2010 alla Segretariato delle Parti dell’Allegato I nella forma prevista dall’Appendice II, per la compilazione in un documento INF, coerentemente con l’Articolo 4.1 e l’Articolo 4.7 e nel contesto dello sviluppo sostenibile. I Paesi meno sviluppati e i Piccoli Stati insulari possono intraprendere azioni volontarie e quelle sulla base di sostegni. Azioni di mitigazione adottate successivamente e non previste dalle Parti non comprese nell’Allegato I, compresi i rapporti degli inventari nazionali, saranno notificate attraverso comunicazioni nazionali, in coerenza con l’Articolo 12.1 (b), ogni due anni sulla base di linee guida da adottarsi da parte della Conferenza delle Parti. Tali azioni di mitigazione notificate nelle comunicazioni nazionali o altrimenti al Segretariato sarnno aggiunte alla lista dell’appendice II. Le azioni di mitigazione adottate dalle Parti non incluse nell’Allegato I saranno soggette ad una misurazione nazionale, il cui risultato della relazione e verifica sarà segnalato attraverso comunicazioni nazionali ogni due anni. Le Parti non comprese nell’Allegato I comunicheranno le informazioni in merito all’attuazione delle loro azioni attraverso Comunicazioni Nazionali, secondo le disposizioni in materia di consultazioni e di analisi internazionali, ai sensi di linee guida chiaramente definite che assicureranno che sia rispettata la sovranità nazionale. Azioni nazionali adeguate di mitigazione e azioni di ricerca con sostegno internazionale saranno riportate in un registro con l’annotazione della relativa tecnologia, del finanziamento e della capacità di sostenerne la messa in opera. Tali azioni di supporto saranno aggiunte alla lista nell’appendice II. Le azioni di mitigazione supportate adeguatamente a livello nazionale del caso sarnno oggetto di valutazione internazionale, di comunicazione e di verifica, in conformità con gli orientamenti adottati dalla Conferenza delle Parti. 6. Noi riconosciamo il ruolo cruciale per la riduzione delle emissioni della deforestazione e del degrado forestale e la necessità di incrementare l’assorbimento delle emissioni di gas a effetto serra da parte delle foreste e concordiamo sulla necessità di fornire incentivi a tali

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azioni attraverso l’istituzione immediata di un meccanismo che comprenda i REDD-plus, per consentire la mobilitazione di risorse finanziarie provenienti dai Paesi sviluppati. 7. Noi prendiamo la decisione di perseguire approcci diversi, compresa la possibilità di utilizzare i mercati, per migliorare il rapporto costiefficacia e per promuovere le azioni di mitigazione. I Paesi in via di sviluppo, in particolare quelli con economie a basse emissioni devranno essere fornite di incentivi per continuare a sviluppare un percorso a basse emissioni. 8. Aumenteremo, finanziamenti nuovi e aggiuntivi, prevedibili e sufficienti, come pure il miglioramento della possibilità di accesso deve essere offerta ai Paesi in via di sviluppo, in conformità con le pertinenti disposizioni del Convenzione, per consentire e sostenere il potenziamento delle azioni di mitigazione, compreso il finanziamento determinante per ridurre le emissioni derivanti dalla deforestazione e dal degrado forestale (REDD-plus), di adattamento, di sviluppo e trasferimento delle tecnologie e del trasferimento e della di capacità di messa in opera, per la migliore attuazione della Convenzione. L’impegno collettivo dei Paesi sviluppati è di fornire nuove e ulteriori risorse, ivi compresi la riforestazione e gli investimenti attraverso le istituzioni internazionali, per un ammontare di circa 30 miliardi di dollari per il periodo 2010 - 2012, con ripartizione equilibrata tra adattamento e mitigazione. I finanziamenti per l’adattamento saranno la priorità per i Paesi in via di sviluppo più vulnerabili, come i Paesi meno sviluppati, i Piccoli Stati insulari e quelli dell’Africa. Nel contesto di significative azioni di mitigazione e di trasparenza nell’attuazione attuazione, i Paesi sviluppati si impegnano a un obiettivo di mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari entro il 2020 per rispondere alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo. Il finanziamento proverrà da una grande varietà di fonti, pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, comprese le fonti di finanziamento alternative. Il nuovo finanziamento multilaterale per l’adattamento sarà consegnato attraverso efficaci ed efficienti modalità di deposito, con una struttura di governance che preveda la rappresentanza paritaria dei Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo. Una parte significativa di tale finanziamento dovrebbe provenire attraverso il Fondo Verde per il Clima di Copenhagen. 9. A tal fine, sarà istituito un Gruppo ad Alto Livello sotto la guida e la responsabilità della Conferenza delle Parti per studiare il contributo delle potenziali risorse economiche, comprese le fonti di finanziamento alternative, per raggiungimento questo obiettivo. 10. Noi prendiamo la decisione che il Fondo Verde per il Clima di Copenaghen sarà considerato quale ente operativo del meccanismo finanziario della Convenzione a sostegno di progetti, programmi, politiche ed altre attività nei Paesi in via di sviluppo, relativi alla mitigazione compresi i REDD-plus, l’adattamento, la capacità di implementazione, di sviluppo e trasferimento di tecnologie. 11. Al fine di potenziare l’azione per lo sviluppo e il trasferimento di tecnologie, noi prendiamo la decisione di istituire un Meccanismo per la Tecnologia, al fine di accelerare lo sviluppo e il trasferimento tecnologico a sostegno dell’azione per l’adattamento e la mitigazione, che sarà intrapresa con un approccio di Paese-guida e basata su contingenze e priorità nazionali. 12. Noi chiediamo una verifica sull’attuazione del presente Accordo che deve essere completato entro il 2015, anche in funzione dell’obiettivo finale della Convenzione. Ciò dovrebbe comprendere l’esame del rafforzamento dell’obiettivo a lungo termine sulla base delle varie questioni presentate dalla scienza, anche in relazione agli aumenti di temperatura di 1,5 °C.

Non si può passare sotto silenzio, poi, che l’Unione Europea che si era presentata a questo appuntamento con velleità di leadership, è state tenuta ai margini delle intese, proprio come avevamo anticipato il mese scorso. La sua offerta di un taglio delle emissioni del 30%, qualora li altri interlocutori avessero fatto proposte altrettanto ambiziose, non ha avuto accoglienze entusiastiche, probabilmente perché non ha saputo dare impressione di compattezza su tale linea e non è riuscita durante la Conferenza ad intraprendere iniziative tali da permettere di uscire dallo stallo. Quindi, alla fine l’Unione Europea ha dovuto accodarsi al Major Countries Accord, perché, secondo il Presidente francese Nicolas Sarkozy ha dichiarato che è stato “il miglior accordo possibile oggi. Se non ci fosse stato un accordo, due importanti Paesi come Cina ed India sarebbero stati liberati da ogni tipo di contratto, così come gli USA, che non sono inseriti tra i sottoscrittori del Protocollo di Kyoto”. Il Presidente della Commisione UE, José Manuel Barroso e il Presidente di turno dell’UE, il Primo Ministro svedese, Fredrik Reinfeldt, non hanno nascosto il loro disappunto per l’Accordo non vincolante tale da non consentire all’UE di innalzare il proprio obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra al 30%. Ma il Cancelliere della Germania, Angela Merkel ha affermato ai primi di gennaio che l’Europa dovrà tener fede alla proposta del 30%, anche se gli altri Paesi non faranno altrettanto.

Ci auguriamo che le nuove Istituzioni previste dal Trattato di Lisbona (il Presidente del Consiglio europeo e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza), entrato il vigore dal 1° dicembre 2009, possano dare almeno maggior credibilità alle proposte formulate dall’UE. L’aspetto positivo che si è evidenziato dalla Conferenza celebratosi al Bella Center, struttura che non è stata in grado di accogliere i circa 34.000 partecipanti complessivi, creando anche problemi di sicurezza, è che mai evento aveva goduto di una simile attenzione da parte dei media, a testimonianza che nell’opinione pubblica mondiale la sensibilità nei confronti delle problematiche connesse ai cambiamenti climatici è più forte di quella dei decision makers che dovrebbe rappresentarla. Vediamo sinteticamente quali sono i punti salienti di questo Accordo, lasciando le puntalizzazioni alla lettura del testo (vedi box). Come già affermato, esso non ha natura vincolante, i Paesi membri della Convenzione sono liberi di sottoscriverlo o meno. I Paesi che vi aderiranno saranno indicati in una lista da inserire nella parte introduttiva dell’Accordo stesso. Tale elenco non è ancora disponibile e le modalità di adesione saranno rese note dal Segretariato. Ad oggi, è già certo che la maggior parte dei Paesi sottoscriverà l’Accordo, avendo dichiarato il proprio favore durante la riunione plenaria che ha chiuso i lavori della Conferenza. Tuttavia, in tale sede, si sono levate anche diverse e molto forti voci contrarie, da parte soprattutto dei Paesi dell’America

Quando l’Europa riuscirà a parlare con una sola voce?

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latina (Bolivia, Cuba, Nicaragua, Venezuela, Ecuador), delle piccole Isole del Pacifico (Tuvalu) e di alcuni Stati Africani (Sudan). L’Accordo stabilisce alcuni provvedimenti operativi e immediati in relazione ai “pilastri” del Bali Action Plan, fornendo anche indicazioni per le negoziazioni future. In particolare: • Obiettivi a lungo termine condivisi. Si riconosce l’evidenza scientifica che per raggiungere l’obiettivo ultimo della Convenzioneiv, l’aumento della temperatura media mondiale non dovrebbe superare i 2 °C rispetto ai valori pre-industriali, e che il picco delle emissioni di gas serra mondiali e nazionali dovrebbe verificarsi al più presto, ma non prevede misure specifiche in tal senso se non un rafforzamento dell’azione congiunta nel lungo termine. • Emissioni. I Paesi industrializzati non hanno formulato nuovi impegni vincolanti di riduzione delle emissioni, ma si sono impegnati a raggiungere obiettivi quantificati nel 2020; mentre i Paesi in via di sviluppo (PVS) intraprenderanno adeguate azioni di mitigazione; tali obiettivi e impegni sono su base volontaria e, non essendo stati ancora concordati, dovranno essere comunicati al Segretariato entro il 30 gennaio 2010 per essere inseriti nelle due apposite tabelle vuote allegate all’Accordo. Non c’è alcun riferimento ad obiettivi di riduzione a medio termine (2050) o a lungo termine (2080). • Verifiche. Gli impegni presi saranno misurati, sia per i Paesi industrializzati che per i PVS, e i risultati dei Paesi emergenti dovranno essere comunicati alle Nazioni Unite ogni due anni con controlli internazionali. • Mitigazione. Riconoscendo l’importanza del ruolo delle foreste nella mitigazione, si concorda sulla necessità di prevedere “incentivi positivi” per finanziare le azioni di riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado delle foreste e la conservazione, la gestione sostenibile ed il mantenimento delle foreste (Reducing Deforestation andforest Degradation - REDD-plus) attraverso l’istituzione immediata di un Meccanismo per la mobilitazione di finanziamenti da parte dei Paesi industrializzati, con la possibilità di perseguire “vari approcci”, compreso il mercato delle emissioni. • Adattamento. Si riconosce l’esigenza di stabilire un Programma di adattamento internazionale per far fronte agli impatti

dei cambiamenti climatici; i Paesi industrializzati dovranno fornire ai PVS le risorse finanziarie, tecnologiche e di capacity building per far fronte alle loro necessità di adattamento, con speciale attenzione ai Paesi particolarmente vulnerabili, come le piccole Isole in via di sviluppo e i Paesi Africani. • Finanziamenti. I Paesi industrializzati si sono impegnati a fornire risorse finanziarie nuove e addizionali alla tradizionale assistenza allo sviluppo (Official Development Assistance - ODA) per un totale di circa 30 miliardi di dollari da destinare ai PVS nel periodo 2010-2012 (“fast start funding”) e da utilizzare in modo equilibrato per le loro azioni urgenti ed immediate sia di mitigazione sia di adattamento. Si stabilisce, inoltre, l’obiettivo complessivo per i Paesi industrializzati di fornire 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 in favore dei PVS, purché questi intraprendano azioni significative di mitigazione che possano essere verificate e controllate con assoluta trasparenza. L’istituzione del “Fondo verde per il clima di Copenaghen” nell’ambito della Convenzione, sotto l’operatività di un apposito Comitato ad alto livello, operante sotto la guida della COP, canalizzerà ulteriori significativi finanziamenti multilaterali per i PVS a sostegno di progetti, programmi, politiche ed altre attività di mitigazione, adattamento, sviluppo tecnologico e di capacity building nei PVS. • Tecnologie. Verrà istituito un Meccanismo tecnologico per promuovere lo sviluppo ed il trasferimento di tecnologie. • Valutazione. L’Accordo sarà valutato nella sua stessa attuazione nel 2015, compreso un possibile rafforzamento dell’obiettivo anche in relazione ad un limite dell’aumento della temperatura media mondiale a 1,5 °C. La soluzione concordata a Copenaghen non esclude l’eventualità di giungere in un secondo tempo ad un nuovo Trattato nell’intento di portare al pieno compimento il processo avviato con la Roadmap di Bali entro dicembre 2010. A tal fine si è deciso di raccogliere tutto il lavoro compiuto finora e di prolungare il mandato dei Gruppi di Lavoro ad hoc, fino alla prossima Conferenza COP16, che avrà luogo, dal 29 Novembre al 10 dicembre 2010, a Città del Messico, dopo il round negoziale a Bonn dal 31 maggio all’11 giugno.

Naomi Kleine, giornalista ambientalista del New York Times alla “consegna” durante il Klima Forum 09 di Copenhagen del Angry Mermaid Award 2009, assegnato alla Monsanto (37% delle segnalazioni), seguita dalla Shell (18%) e dal American Petroleum Insitute (14%)

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GLI ENTI LOCALI NON MOLLANO SUL CLIMA di Elisabetta Mutto Accordi foto di Giordano Cuoghi

Le trattative, la diplomazia, le negoziazioni sono un difficile gioco di fioretto che si basa su equilibri a volte delicatissimi e impercettibili. Le parti mettono sul tavolo progressivamente le proprie offerte e le proprie richieste e rilanciano, a mano a mano, a seconda delle risposte degli altri attori. A Copenhagen oltre ai governi, tantissimi cartelli di lobby, anche molto diversi fra loro, si sono presentati per prendere parte alla trattativa, nella speranza di vedere riconosciuti i propri interessi nel nuovo testo di accordo. Se normalmente i meccanismi che fanno funzionare una COP sono complessi, considerato il numero elevato di parti che hanno diritto ad avere un ruolo o che pretendono di averlo, nella capitale danese tutto è stato amplificato all’ennesima potenza. Tuttavia le dinamiche sono state stravolte e gli sviluppi dei negoziati tra la prima e la seconda settimana, hanno portato ad un gioco al ribasso tale da rendere molte delle aspettative dei soggetti coinvolti assolutamente fuori target. Se inizialmente infatti le diverse lobby miravano ciascuna ad un proprio specifico obiettivo, alla fine si sono tutte schiacciate sostanzialmente su due uniche posizioni contrapposte: quelle favorevoli al raggiungimento di un accordo e quelle contrarie. E così anche le organizzazioni non governative che si sono registrate alla COP 15 per cercare di indurre i governi ad adottare un nuovo protocollo ambizioso e giuridicamente vincolante, che includesse il maggior numero possibile di dettagli per rendere il testo efficace, si sono dovute ridurre a cercare di salvare il salvabile. Così è avvenuto per la lobby degli enti locali, il movimento internazionale dei Local Governments and Municipal Authorities (LGMA) guidato da ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives) e UCLG (United Cities and Local Governments), presente a Copenhagen allo scopo di ottenere un riconoscimento ufficiale nel documento finale. “Cerchiamo di monitorare l’attività dei diversi gruppi di lavoro - raccontava nella prima settimana Yunus Arikan, uno dei manager di ICLEI impegnati nelle trattative - per fare in modo che venga introdotto nelle bozze un riferimento sull’importanza del ruolo degli enti locali”. E per giorni infatti la delegazione si è mossa organizzando meeting con i rappresentanti dei governi più inclini a riconoscere un ruolo agli enti locali nella lotta ai cambiamenti climatici. In particolare ai rappresentanti di alcuni paesi la LGMA ha consegnato formalmente un documento, che il presidente di Agenda 21 Italia Emanuele Burgin ha affidato a Mara Angeloni, capo negoziatore per l’Italia, nel quale si chiedeva l’inserimento di questa frase nel testo di accordo finale: “Parties recognize the role which local and sub National governments play taking mitigation and adaptation actions and will seek their active participation in the immediate implementation of this agreement”. “Noi - sottolineava quindi Gino Van Begin, Segretario generale di ICLEI - a differenza degli Stati, ci presentiamo come un movimento internazionale trasversale e compatto, in grado di mettere assieme le divergenze e di lavorare per obiettivi comuni”.

Ed infatti a passare per Copenhagen sono stati i Sindaci di tutto il mondo tra i quali quello di Mexico City, che ospiterà la sedicesima COP a dicembre 2010, di Bangkok, Dar Es Salaam, Johannesburg, Istanbul, Kyoto, Londra, Miami, New York, ma nulla, nemmeno questo è servito a smuovere le acque. “Le associazioni dei governi locali - si legge in una nota pubblicata da UCLG al termine della COP 15 - continueranno a lavorare assieme a differenza degli Stati per promuovere politiche innovative e per essere inclusi ufficialmente nei tavoli di negoziazione”. I giochi sono ancora aperti ma ci sono solo 10 mesi di tempo.

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ONG o non ONG alle COP dell’ONU? Qualcosa nel meccanismo dell’ONU si è inceppato a Copenhagen e la distanza tra Parties e Observers, tra Governi e Società civile, forse non è mai stata così marcata. E non solo perché, cosa di per sé già grave, gli official meetings sono stati per la maggior parte chiusi alla società civile e le sessioni plenarie, durante le quali anche le organizzazioni non governative (ONG) posso intervenire, sono state sospese, annullate o rimandate a sera tardi nell’attesa che la gente esausta liberasse il Bella Center. Ma perché in generale gli accessi alla COP 15 sono stati regolati in modo inefficiente per essere, in quel momento, il summit più importante a livello mondiale. Tra la prima e la seconda settimana infatti sono stati introdotti filtri sempre ulteriori per “scremare” il numero dei partecipanti, la cui domanda di adesione era però già stata ufficialmente accolta. Lunedì 14 le persone non ancora registrate hanno dovuto sottoporsi a code anche di 8 ore all’aperto con una temperatura che si aggirava attorno agli zero gradi. Martedì 15 è stato richiesto un nuovo pass per l’ingresso e molte organizzazioni non governative si sono viste negare l’accesso che inizialmente era stato autorizzato. Giovedì 17 è stata effettuata un’ulteriore restrizione e le 15 mila persone della società civile ammesse al Bella Center sono diventate 1000 e solo 300 il giorno successivo. Ma la presenza delle Organizzazioni non governative è prevista dall’ONU e la loro partecipazione ai processi decisionali con l’espressione di pareri non vincolanti è esattamente uno degli elementi che caratterizzano il funzionamento dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Lo scopo è quello che venga rappresentato un ampio spettro di interessi tra i quali quelli del business e dell’industria, delle popolazioni indigene, dei gruppi ambientalisti, dei governi locali, del mondo della ricerca scientifica, dei lavoratori, delle donne e dei giovani. Una delegazione di politici del Parlamento europeo di fronte all’insuccesso della COP 15 ha messo in evidenza la necessità di “riformare il metodo di lavoro dell’Onu con urgenza’’.


Dal delegato delle Isole Tuvalu, a Connie Hedegaard, passando per il premio Nobel Tutu: le figure carismatiche della COP 15 Come tutti gli eventi anche la Cop 15 ha avuto i suoi paladini, i suoi padrini e le sue madrine, figure note che in qualche modo hanno aiutato a far parlare degli argomenti trattati. Senza dubbio il paladino in cui molti hanno potuto identificarsi è stato il delegato delle isole Tuvalu, Ian Fry. Grazie al suo commosso appello, il rappresentante di uno dei luoghi diventati da un momento all’altro simbolo delle zone del mondo già schiacciate dagli effetti dei cambiamenti climatici, ha dato la speranza che qualche coscienza si potesse smuovere. Come padrino è stato designato il premio Nobel per la pace Desmond Tutu. Con la sua energia, l’ottantenne, l’Arcivescovo di Città del Capo, sabato 12 dicembre ha guidato la manifestazione che ha riempito le strade di Copenhagen e domenica 13 ha tenuto prima un discorso nella piazza gremita del Municipio e poi ha celebrato una messa nella cattedrale della capitale danese per la quale centinaia di persone hanno fatto la coda noncuranti del freddo gelido. Madrina, poi sconfessata a pochi giorni dal termine del summit, è stata Connie Hedegaard. La passionaria presidente della Cop 15, poi sostituita dal primo Ministro danese Rasmussen, ufficialmente per questioni di protocollo, il 15 dicembre, data della cerimonia di apertura dell’High Level Segment (la parte della Cop riservata ai capi di Stato) ha tenuto un discorso veramente incisivo e non retorico, che si è distinto rispetto ai fiumi di parole pronunciati da molti suoi colleghi nei giorni precedenti.

Da Kyoto a Mexico City, cercando di dimenticare Copenhagen Presenti nella stessa stanza, il passato ed il futuro, i due Sindaci di Kyoto e Mexico City hanno tenuto un incontro nella seconda settimana della COP 15 all’interno degli spazi del Bella Center a Copenhagen. “Ogni città è importante e può dare un contributo fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici, indipendentemente dalle dimensioni”, ha aggiunto Marcelo Ebard, il Sindaco di Mexico City che nei prossimi mesi diventerà di certo fra i più famosi al mondo. La sua città infatti ospiterà tra il 29 di novembre ed 10 di dicembre 2010 la sedicesima COP dell’ONU sui cambiamenti climatici e molto probabilmente sarà quella che darà il nome al protocollo che sostituirà Kyoto. Con il tono di chi sa di poter essere fra i nomi che passeranno alla storia, un’agenda molto fitta di meeting e pochissimo tempo perfino per le interviste, già prima della fine del summit di Copenhagen il Sindaco di Mexico City faceva le prove tecniche da leader degli enti locali per il 2010. “È incredibile - ha detto Marcelo Ebard, con tono fermo rivolgendosi a colleghi e giornalisti prima di scappare ad un altro incontro - le città sono la soluzione eppure non siamo neppure invitati al tavolo della trattativa. Una cosa è certa, non possiamo lasciare che i Governi agiscano senza coinvolgere gli enti locali”. L’evento organizzato da ICLEI è stato l’occasione per fare un passaggio di testimone tra il Sindaco di Kyoto Yorikane Masumoto e il Sindaco di Mexico City, divenuto il nuovo presidente del World Mayors Council on Climate Change (WMCCC).

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MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

Padova, 21-24 aprile 2010

SEP 2010: SOSTENIBILITÀ PER UNA NUOVA ECONOMIA

Torna alla Fiera di Padova l’evento triennale dedicato alle ecotecnologie

Uno dei temi di grande attualità è senza dubbio la gestione dei rifiuti urbani, speciali e agricoli. È questo il cuore pulsante della XXIII edizione di SEP, il Salone Internazionale delle Eco tecnologie, che torna dal 21 al 24 aprile alla Fiera di Padova. Nel 2007 il Salone è stato visitato da 22.000 tecnici ambientali di cui il 10% proveniente dall’estero, ed ha visto la presenza di 650 espositori tra diretti e indiretti

direttive comunitarie, sia dalla legislazione italiana, come il testo unico sull’ambiente recentemente approvato. I sistemi di raccolta dei rifiuti urbani, ma anche speciali e agricoli, possono rappresentare un importante giacimento di fonti energetiche rinnovabili per un’alternativa all’uso delle fonti fossili e per la diminuzione dell’emissione di CO2 nell’atmosfera. SEP 2010 sarà forum di lavoro per la valutazione

su 60 mila metri quadri netti e 150 ore di aggiornamento professionale.

delle tecnologie e delle prospettive del recupero energetico da rifiuti. Obiettivo del forum far incontrare i soggetti privati e pubblici, imprese ed enti che devono essere coinvolti per poter affrontare le problematiche ambientali.

“Con SEP 2010 torna il grande appuntamento delle Tecnologie Ambientali. - dichiara Paolo Coin, Direttore Generale di PadovaFiere - La caratteristica fondamentale di SEP è di rappresentare da sempre il momento di lancio dei prodotti e dei processi che sono destinati a giocare il ruolo di protagonisti dell’industria ambientale. Le novità tecnologiche hanno a Padova la loro vetrina di riferimento con SEP che diventa punto di incontro a tutto campo tra aziende, operatori, amministratori pubblici, legislatori e tecnici.” SEP 2010 sarà soprattutto focalizzato sulle tecnologie e soluzioni presenti e future per la gestione dei rifiuti. L’iniziativa, che nasce con il supporto delle principali aziende produttrici di veicoli ecologici ANFIA, dà spazio ad uno dei settori strategici dell’ambiente. I rifiuti che diventano risorsa attraverso il recupero energetico insieme alle fonti rinnovabili, biomasse sono obiettivi strategici espressi sia dalle

Attenzione puntata anche sui grandi temi dell’approvvigionamento energetico da fonti a basso impatto ambientale, uso efficiente delle risorse e sostenibilità. A SEP spazio alle tecnologie “verdi” (solare termico, fotovoltaico, eolico, idrogeno, biomasse, biogas); alle soluzioni dell’edilizia a basso consumo energetico, tecnologie per la microgenerazione, geotermica, teleriscaldamento. Una rassegna di idee dedicate alle nuove città europee per coniugare l’attenzione all’ambiente con il risparmio energetico. L’adozione di uno stile di vita eco-compatibile passa anche attraverso le piccole grandi rivoluzioni che stanno attraversando il mondo della produzione industriale: non solo prodotti che minimizzano il loro impatto ambientale, ma anche prodotti ottenuti da materiali di scarto ed inquinanti.

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SEP darà massima visibilità al vasto mondo della produzione industriale ad impatto zero, che fa dell’ecologia non solo una dichiarazione di intenti, ma una pratica quotidiana di lavoro e progettazione. SEP avrà anche un settore dedicato all’acqua che riprende le tematiche già sviluppate nel 2009 creando un percorso che va raccolta e trasporto, al trattamento delle acque reflue urbane e industriali, trattamento dei fanghi, sistemi di riuso e risparmio idrico, gestione del servizio idrico integrato. A SEP troveranno spazio, sia sul piano espositivo che congressuale, le proposte e le soluzioni al problema ambientale di maggiore attualità: lo smaltimento dei rifiuti in città sempre più grandi ed estese dove i mezzi e gli impianti devono operare in modo sempre più discreto e compatibile con standard abitativi adeguati. Appuntamento con la 23esima edizione di SEP 2010 dal 21 al 24 aprile alla Fiera di Padova. Informazioni: PadovaFiere spa Tel. 049 840516 - fax 049 840570 www.padovafiere.it

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Venerdì 12 febbraio 2010

“M’ILLUMINO DI MENO” DIVENTA “M’ACCENDO DI ENERGIA RINNOVABILE” Venerdì 12 febbraio 2010 si festeggia, in veste completamente rinnovata, la sesta edizione di “M’illumino di meno”: Giornata del Risparmio Energetico lanciata dalla popolare trasmissione radiofonica Caterpillar, in onda su Radio Rai 2. Dopo il successo delle scorse edizioni, con l’adesione di migliaia di ascoltatori e di intere città, sia in Italia che all’estero, quest’anno l’invito a rispettare un simbolico “silenzio energetico” si trasforma in un invito a partecipare a una Festa dell’energia pulita. La Campagna è iniziata il 4 gennaio con la partenza da Milano della fiaccola dell’energia pulita: “La Torcia su Roma (meglio sole che male illuminati”. La torcia, dotata di minipannelli fotovoltaici e di batterie ricaricabili che alimentano una luce a led a basso consumo, viaggerà per l’Italia, sul modello della fiaccola olimpica, alla ricerca di punti di rifornimento a fonti rinnovabili (pannelli fotovoltaici, minieolico, mini-idroelettrico) messi a disposizione da comuni, scuole, aziende e privati cittadini, per tenere acceso il lume della sostenibilità ambientale. La Torcia raggiungerà Roma il 12 febbraio, allorché accenderà la festa. L’itinerario aggiornato, con le immagini delle tappe già affrontate e il percorso ancora da coprire sarà consultabile sul sito www. caterpillar.rai.it su cui sarà possibile segnalare la propria adesione e trovare tutti i materiali per diffondere l’iniziativa nei posti di lavoro, a scuola o nella propria città. Nelle piazze spente di tutt’Italia, inoltre, si accenderanno luci “virtuose” alimentate a energia rinnovabile o dimostrazioni creative di consumo efficiente, per testimoniare il passaggio da un sistema ormai al collasso ad una gestione più “illuminata” del nostro futuro. Per raccontare questa festa dell’energia pulita, il 12 febbraio Caterpillar andrà in onda eccezionalmente dai Mercati Traianei in Roma, coinvolgendo cittadini, scuole, istituzioni e associazioni in una rassegna di

luci belle, creative e pulite, escogitate ad hoc, con un concerto finale rigorosamente a impatto zero. L’obiettivo è di raccontare l’Italia che funziona e che si alimenta tramite fonti rinnovabili.

L’iniziativa, grazie al supporto di istituzioni, scuole, associazioni, aziende e privati cittadini, ha contribuito alla diffusione di una maggior consapevolezza sulle conseguenze del consumo indiscriminato di energia: la riduzione degli sprechi e l’attenzione alle fonti

alternative sono diventate parole d’ordine familiari per gli ascoltatori di Caterpillar. Sulla scia di questa nuova sensibilità, Massimo Cirri e Filippo Solibello, i conduttori della trasmissione ritengono che sia giunto il momento di fare un passo avanti rispetto allo spegnimento simbolico in nome del risparmio e di proporre un’accensione virtuosa all’insegna dello sviluppo delle energie rinnovabili. Se negli anni passati si è sensibilizzato a risparmiare, ora è giunto il momento di produrre meglio e a pretendere energia pulita. “Allo stadio attuale della ricerca tecnologica - spiegano i conduttori di Caterpillar - è già possibile produrre energia con il sole, il vento, il mare, il calore della terra o con le biomasse. Facendo appello all’inesauribile ingegno italico, invitiamo tutti, dagli studenti ai precari, dalle aziende in crisi alle amministrazioni comunali, a misurarsi con la green economy, adottando un sistema pulito per accendere tutti insieme le luci il 12 febbraio 2010”. L’intento è duplice: da un lato verificare in prima persona che le tecnologie attualmente disponibili sono efficaci e rappresentano alternative realistiche, dall’altro dare un segnale simbolico di fiducia nelle energie rinnovabili e nello sviluppo di un modello di economia sostenibile.

BUONE ABITUDINI PER IL 12 FEBBRAIO (E ANCHE DOPO!) 1. spegnere le luci quando non servono 2. spegnere e non lasciare in stand by gli apparecchi elettronici 3. sbrinare frequentemente il frigorifero; tenere la serpentina pulita e distanziata dal muro in modo che possa circolare l’aria 4. mettere il coperchio sulle pentole quando si bolle l’acqua ed evitare sempre che la fiamma sia più ampia del fondo della pentola 5. se si ha troppo caldo abbassare i termosifoni invece di aprire le finestre 6. ridurre gli spifferi degli infissi riempiendoli di materiale che non lascia passare aria 7. utilizzare le tende per creare intercapedini davanti ai vetri, gli infissi, le porte esterne 8. non lasciare tende chiuse davanti ai termosifoni 9. inserire apposite pellicole isolanti e riflettenti tra i muri esterni e i termosifoni 10. utilizzare l’automobile il meno possibile e se necessario condividerla con chi fa lo stesso tragitto. E ricordati di spegnere tutte le luci e i dispositivi elettrici non indispensabili venerdì 12 febbraio alle ore 18.00!

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LA TOUR EIFFEL A LED Per celebrare il suo 120 anniversario, il monumento simbolo di Parigi si è dotata di sfavillanti e dinamiche luci a LED (Light Emitting Diode). Il lato della Tour Eiffel che dà su Place du Trocadéro, dal 23 ottobre al 31 dicembre 2009 ha brillato di luci spettacolari ad ogni ora, dalle 20 alle 23. L’accensione è avvenuta dapprima lentamente per poi mettere in evidenza una per una le strutture ideate da Gustav Eiffel per l’Esposizione Internazionale del 1889, fino ad illuminarla completamente. Se la Tour è stata il simbolo dell’innovazione tecnologica, la scelta di utilizzare l’illuminazione a LED vuol testimoniare la moderna tecnologia in grado di ridurre i consumi energetici. L’operazione rientra nel bilancio di sostenibilità voluto dalla SETE (Societé d’Exploitation de la Tour Eiffel), per la gestione ecocompatibile del monumento. Le prime misure risalgono al gennaio 2008, con la decisione del Sindaco di Parigi Bertrand Delanoe di spegnere le luci a mezzanotte, un’ora prima dell’orario abituale, ma hanno avuto un’accelerazione dopo la traduzione in Legge della Grenelle dell’Ambiente (cfr. Massimo Lombardi, “Grand Paris laboratorio della Grenelle dell’ambiente”, in Regioni&Ambiente n.8/9 agosto-settembre 2009, pag. 18 e segg.) e la conseguente decisione di Delanoë di far redigere un “Piano Clima” per la riduzione delle emissioni e l’aumento dell’efficienza energetica della Capitale francese.

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INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO

Scatta dal 18 gennaio 2010, l’obbligo di iscrizione all’Albo Gestori Rifiuti

CENTRI DI RACCOLTA RIFIUTI URBANI DIFFERENZIATI CON NUOVE REGOLE Dubbi sull’effettivo adeguamento al D.M. 13 maggio 2009 nonostante l’allungamento dei termini

Decorre dal 18 gennaio 2010 l’obbligo di iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Rifiuti (Categoria 1) da parte dei Gestori dei Centri di raccolta rifiuti urbani e assimilati (le cosiddette “ecopiazzole”). Lo ha stabilito la Delibera n. 2 del 20 luglio 2009 del Comitato Nazionale dell’Albo, a seguito della pubblicazione sulla G. U. n. 165 del 18/07/2009 del Decreto 13 maggio 2009 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, che aveva modificato il precedente Decreto 8 aprile 2008 “Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato - Art. 183, comma 1, lettera cc) del D. Lgs. 152/2006”, provvedimento fondamentale per l’avvio del sistema che si trovava nella necessità di dover far fronte all’incremento della raccolta differenziata, derivante dai RAEE. Era stato il D. Lgs. n. 4/2008 correttivo del Testo Unico Ambientale (D. Lgs. n. 156/2006) che aveva introdotto la definizione del centro di raccolta quale “area presidiata ed allestita… per attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento”, a seguito dell’opinione costante della Corte di Cassazione, ribadita nella sentenza n. 9103 dell’8 febbraio 2008, con la quale il Collegio escludeva che le “ecopiazzole” potessero essere considerate alla stregua di un deposito temporaneo contiguo al luogo di produzione, poiché in alcun modo poteva ritenersi luogo di produzione dei rifiuti l’intero territorio comunale, e pertanto dovevano essere regolarmente autorizzate. Il succitato D. Lgs. n. 4 stabiliva, inoltre, che la relativa disciplina fosse affidata ad un Decreto del MATTM. Da qui discende il D.M. 8 aprile (Art. 2 - comma 7) e la conseguente Delibera del Comitato del 29 luglio 2008 con cui si stabiliva che entro 60 giorni i Centri di raccolta, operanti al momento dell’entrata in vigore del Decreto stesso, dovessero adeguarsi alle nuove disposizioni in materia. Come spesso accade di fronte ad un termine, pur previsto, se ne lamenta l’intempestività e se ne sollecita un differimento, tanto che in data 29 ottobre 2008 la VIII Commissione della Camera dei Deputati approvava una risoluzione con la quale si chiedeva una proroga dell’entrata in vigore di talune disposizioni del decreto per consentire agli enti locali un più ampio margine temporale per l’adeguamento e la riqualificazione dei centri esistenti. Così il Ministero con una nota dell’Ufficio Legislativo del 4 novembre 2008 chiariva che il Decreto, al momento del sua pubblicazione, non aveva avuto il preventivo parere di legittimità della Corte dei Conti e che pertanto non poteva produrre effetti fino al 29 agosto 2008, data della sua registrazione. Quindi, la delibera del 29 luglio era inefficace e veniva revocata dal Comitato stesso con la delibera n. 3 del 25 novembre 2008, con l’assicurazione che i soggetti che avevano presentato la domanda di iscrizione ai sensi della delibera

revocata, non sarebbero stati gravati, per quanto possibile, con richieste di adempimenti ripetitivi. Un successivo comunicato del MATTM del 18 dicembre 2008 avvisava che era in corso il procedimento di revisione del Decreto 8 aprile per rimediare ai vizi di forma che lo avevano colpito, che si concludeva dopo 6 mesi, con la pubblicazione del nuovo decreto in Gazzetta dopo oltre 2 mesi, e che dava altri 6 mesi di tempo dalla sua pubblicazione per conformarsi alle nuove disposizioni ivi presenti. C’è da osservare che il Decreto 13 maggio, oltre ad allungare i tempi del regime transitorio ha apportato altre modifiche rispetto al precedente che possono essere così riassunte. Approvazione: è il Comune territorialmente competente a realizzare o adeguare i Centri di raccolta, disponendo in merito con propri atti sulla base della normativa urbanistica ed edilizia, conformemente ai parametri tecnici dell’Allegato 1, dandone comunicazione alla Regione e alla Provincia. Stoccaggio: la durata massima del deposito di ciascuna frazione merceologica conferita ai Centri di raccolta viene allungata da due a tre mesi. Tipologie: a quelle già previste nell’originaria versione del Decreto 8 aprile 2008, sono state aggiunte altre 13 categorie che possono essere depositate all’interno dei Centri di raccolta. Contabilizzazione: debbono essere adottate procedure di contabilità dei rifiuti in ingresso e in uscita, riguardanti solo le utenze non domestiche, al fine di impostare bilanci di massa o volumetrici, con un sistema di pesatura o sulla base di stime, attraverso la compilazione di uno schedario numerato, conforme agli Allegati 1° e 1b, che non sostituiscono in alcun modo i registri di carico e scarico. I dati raccolti saranno trasmessi, su richiesta, agli enti di programmazione e controllo. Destinazione: i gestori degli impianti di destinazione dei rifiuti in uscita dai Centri di raccolta comunicano ai Centri conferenti le successive destinazioni delle frazioni merceologiche dei rifiuti o delle materie prime seconde. Sono tenuti ad iscriversi all’Albo nella Categoria 1 i soggetti che gestiscono un Centro di raccolta; ne sono esclusi i Comuni che gestiscono direttamente propri Centri. I soggetti interessati devono: - essere iscritti al Registro delle Imprese o al Repertorio Economico e Amministrativo (REA); - dimostrare la dotazione minima di personale addetto di cui all’Allegato 1 della Delibera; - dimostrare la qualificazione del personale secondo le modalità di cui all’Allegato 2 della Delibera; - nominare almeno un responsabile tecnico in possesso dei requisiti di cui alla Delibera 003 del 16/07/1999 del Comitato nazionale Albo;

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- dimostrare la capacità finanziaria con la disponibilità degli importi di cui all’Allegato 3 della Delibera, con le modalità previste dall’Art. 11-comma 2 del D.M. 406/98 o con attestazione di affidamento bancario di cui all’Allegato 4 della Delibera; - prestare idonea garanzia finanziaria prevista per la Categoria 1 dal D.M. 8 ottobre 1996, come modificato con D.M. 23 aprile 1999.

1, continuano ad operare, purché abbiano presentato entro il 18 gennaio la domanda di iscrizione/integrazione, come previsto dall’Art. 3 della Delibera del Comitato, senza bisogno di nuova approvazione. I gestori dei Centri di raccolta non iscritti che continueranno ad operare incorreranno nelle sanzioni previste dall’Art. 256 del D. Lgs. 156/2006 (il cosiddetto Testo Unico Ambientale).

I Centri di raccolta di nuova istituzione non possono operare fino a che non sia intervenuta una decisione da parte della Sezione Regionale dell’Albo in merito alla domanda di iscrizione del gestore. I Centri di raccolta già esistenti ed operanti sulla base di disposizioni regionali o di enti locali e conformi all’Allegato

Alla fine di questo iter sorge spontanea una domanda: possiamo stare tranquilli che i Centri di raccolta, soprattutto quelli preesistenti e gestiti direttamente dai Comuni siano conformi o si siano adeguati alle disposizioni tecnico-gestionali per la tutela della salute e dell’ambiente previste dall’Allegato 1 del Decreto?

TIPOLOGIE DI RIFIUTI CHE POTRANNO ESSERE CONFERITE NEI CENTRI DI RACCOLTA (D.M. 8 aprile 2008) 1. imballaggi in carta e cartone (codice Cer 15 01 01) 2. imballaggi in plastica (codice Cer 15 01 02) 3. imballaggi in legno (codice Cer 15 01 03) 4. imballaggi in metallo (codice Cer 15 01 04) 5. imballaggi in materiali misti (Cer 15 01 06) 6. imballaggi in vetro (codice Cer 15 01 07) 7. contenitori T/FC (codice Cer 15 01 10* e 15 01 11*) 8. rifiuti di carta e cartone (codice Cer 20 01 01) 9. rifiuti in vetro (codice Cer 20 01 02) 10. frazione organica umida (codice Cer 20 01 08 e 20 03 02) 11. abiti e prodotti tessili (codice Cer 20 01 10 e 20 01 11) 12. solventi (codice Cer 20 01 13*) 13. acidi (codice Cer 20 01 14*) 14. sostanze alcaline (codice Cer 20 01 15*) 15. prodotti fotochimici (20 01 17*) 16. pesticidi (Cer 20 01 19*) 17. tubi fluorescenti ed altri rifiuti contenenti mercurio (codice Cer 20 01 21) 18. rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (codice Cer 20 01 23*, 20 01 35* e 20 01 36) 19. oli e grassi commestibili (codice Cer 20 01 25) 20. oli e grassi diversi da quelli al punto precedente, ad esempio oli minerali esausti (codice Cer 20 01 26*) 21. vernici, inchiostri, adesivi e resine (codice Cer 20 01 27* e 20 01 28) 22. detergenti contenenti sostanze pericolose (codice Cer 20 01 29*) 23. detergenti diversi da quelli al punto precedente (codice Cer 20 01 30) 24. farmaci (codice Cer 20 01 31* e 20 01 32) 25. batterie ed accumulatori di cui alle voci 160601* 160602* 160603* (provenienti da utenze domestiche) (codice Cer 20 01 33*) 26. rifiuti legnosi (codice Cer 20 01 37* e 20 01 38) 27. rifiuti plastici (codice Cer 20 01 39) 28. rifiuti metallici (codice Cer 20 01 40) 29. sfalci e potature (codice Cer 20 02 01) 30. ingombranti (codice Cer 20 03 07) 31. cartucce toner esaurite (20 03 99) 32. rifiuti assimilati ai rifiuti urbani sulla base dei regolamenti comunali, fermo restando il disposto di cui all’articolo 195, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche. (Le 13 tipologie aggiunte dal D.M. 13 maggio 2009) a. toner per stampa esauriti diversi da quelli di cui alla voce 08 03 17* (provenienti da utenze domestiche) (codice Cer 08 03 18) b. imballaggi in materiali compositi (codice Cer 15 01 05) c. imballaggi in materia tessile (codice Cer 15 01 09) d. pneumatici fuori uso - solo se conferiti da utenze domestiche - (codice Cer 16.01.03) e. filtri olio (codice Cer 16 01 07*) f. componenti rimossi da apparecchiature fuori uso diversi da quelli di cui alla voce 16 02 15* - limitatamente ai toner e cartucce di stampa provenienti da utenze domestiche - (codice Cer 16 02 16) g. gas in contenitori a pressione - limitatamente ad estintori ed aerosol ad uso domestico - (codice Cer 16 05 04* codice Cer 16 05 05) h. miscugli o scorie di cemento, mattoni, mattonelle, ceramiche, diverse da quelle di cui alla voce 17 01 06* - solo da piccoli interventi di rimozione eseguiti direttamente dal conduttore della civile abitazione - (codice Cer 17 01 07) i. rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione, diversi da quelli di cui alle voci 17 09 01*, 17 09 02* e 17 09 03*- solo da piccoli interventi di rimozione eseguiti direttamente dal conduttore della civile abitazione - (codice Cer 17 09 04) l. batterie ed accumulatori diversi da quelli di cui alla voce 20 01 33* (codice Cer 20 01 34) m. rifiuti prodotti dalla pulizia di camini - solo se provenienti da utenze domestiche - (codice Cer 20 01 41) n. terra e roccia (codice Cer 20 02 02) o. altri rifiuti non biodegradabili (codice Cer 20 02 03)

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api raffineria

IL SITO DI FALCONARA AL TOP PER SICUREZZA E AMBIENTE Eccellenti i dati contenuti nel Rapporto Ambientale di Sito 2008 a cura di Stefano Agostinelli

Sicurezza nel luogo di lavoro, grande attenzione e rinnovato rispetto per l’ambiente ed integrazione con le comunità cittadine adiacenti, sono i capisaldi che, malgrado le difficoltà oggettive che hanno caratterizzato l’ultimo anno di produzione, vengono riaffermati quotidianamente dal sito industriale Api di Falconara Marittima (AN). A fronte dei continui impegni in termini di miglioramenti tecnologici a favore della minimizzazione degli impatti ambientali assunti e perseguiti dalla Direzione dei due settori di operatività: raffineria ed energia, si sono registrate ottime performance nel binomio Ambiente e Sicurezza, performance che hanno posto il sito marchigiano ai vertici della top ten nazionale del comparto petrolifero e petrolchimico. L’occasione per illustrare gli investimenti dell’Azienda per la riduzione degli impatti sull’ambiente, le scelte gestionali ed impiantistiche che hanno portato negli anni ad un miglioramento continuo dei parametri emissivi, nonché le azioni intraprese a favore della garanzia di ottimi livelli di salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro, è stata la Conferenza Stampa del 18 dicembre, durante la quale è stato presentato il Rapporto Ambientale di Sito 2008. “Giunti alla decima edizione di questo appuntamento - ha dichiarato in apertura, Roy Gianni, Responsabile Relazioni Esterne e Comunicazione api Raffineria - il Rapporto evidenzia non solo il lavoro intrapreso internamente dal management aziendale e volto al continuo miglioramento del polo industriale, ma anche e soprattutto, verso il territorio circostante declinato nelle forme di ambiente e cittadini”. “Quella del sito industriale - ha proseguito - è una presenza

solo relativamente ingombrante, stante l’impegno economico profuso costantemente per minimizzare gli impatti ambientali e lo sforzo continuo volto alla ricerca di un dialogo sereno con le Istituzioni e le Amministrazioni Locali”. Ad illustrare la prima parte del Rapporto è stato l’Ing. Giancarlo Cogliati, Amministratore Delegato di api raffineria, il quale, ha sottolineato che “I risultati ottenuti in termini di sicurezza e rispetto dell’ambiente, accanto a quelli relativi alla ricerca di integrazione con le comunità che ospitano il sito, ci confortano enormemente nel lavoro quotidiano, eppure, spesso non ci vengono riconosciuti”. “La nostra missione è prioritariamente quella di ridurre il numero e l’entità degli eventi critici - ha proseguito Cogliati - e, in questo senso, i dati contenuti dal Rapporto ci danno ragione degli sforzi compiuti; infatti, la tendenza statistica va verso la loro diminuzione costante nel biennio 2008-2009”. Infatti, la casistica degli incidenti che hanno interessato le categoria di dipendenti e contrattori, indicano, per i primi, 5 casi nel 2008 e 2 nel 2009; per i secondi, 5 nel 2008 e 4 nel 2009. “Da questo punto di vista - ha osservato Cogliati - il sito di Falconara Marittima si colloca tra le attività produttive più sicure in Italia”. Sul fronte dei risultati ottenuti nel settore della minimizzazione dei rischi e degli impatti ambientali, grande importanza è stata data ai dati conseguiti nell’attività ambientale di maggior rilievo ed impegno, ossia la protezione del suolo e delle falde acquifere attraverso l’adozione di un innovativo sistema di barrieramento idraulico. Con questo progetto si è passati dalla rimozione del prodotto

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surnatante al contenimento definitivo della contaminazione all’interno del sito, agendo sulla progressiva diminuzione del carico inquinante in galleggiamento e in fase disciolta. Il sistema, che si compone di 26 pozzi di emungimento per l’estrazione dell’acqua di falda mista ad inquinanti disciolti e prodotto surnatante; un impianto di trattamento delle acque stesse e 78 pozzi di reimmissione (situati sul lato mare e foce del fiume Esino, onde impedire fenomeni di ingressione marina), è stato completato nel 2007 e, nel primo anno di funzionamento ha raggiunto un fattore di servizio che supera il 98%. Sul fronte del risparmio energetico è stata rimarcata positivamente la diminuzione del combustibile bruciato, a parità di quantità lavorate, che rappresenta un significativo 1% (circa 3.300 tonnellate). Buoni risultati anche dal lato dal lato delle emissioni in atmosfera. Si confermano dentro i limiti prescritti ed espressamente contenuti nel documento di rinnovo della concessione petrolifera le quantità di ossidi di zolfo (SOx). Emissioni di SOx * (t/anno) Ciclo Impianti petroliferi IGCC Totale Limite prescritto **

2005 1.097 159 1.256 1.853

2006 909 152 1.061 1.920

2007 812 173 985 1.998

2007 294 604 898 1.151

2005 444.575 1.512.218 1.956.793

2006 502.787 1.514.046 2.016.833

2007 512.174 1.569.980 2.082.154

2008 535.948 1.516.464 2.052.412

* il dato è al netto delle 19.228 tonnellate recuperate dall’impianto CO2 Emissioni di CO (t/anno) Ciclo Impianti petroliferi IGCC Totale Limite prescritto *

2005 76 83 159 506

2006 26 439 465 506

2007 18 314 332 506

2008 33 307 340 506

* Valore limite stabilito dal D. M. del Ministero dell’industria, del Commercio e dell’Artigianato del 28/07/1994 – Prot. 671364

Su un limite prescritto dalla Regione Marche di 96 (t/anno), nel 2008 le polveri sospese totali (PST) emesse hanno registrato una piccola variazione di concentrazione (28 t/anno), comunque decisamente inferiore al limite di riferimento.

Ciclo Impianti petroliferi IGCC Totale Limite prescritto *

2005 20 6 26 88

2006 34 1 35 91

2007 16 3 19 95

2008 18 10 28 96

* Limite derivante dal Decreto Direttore Dipartimento Territorio e Ambiente – Regione Marche n. 18/03 del 30/06/03

La quantità degli ossidi di azoto (NOx) rimane sostanzialmente stabile, pur in presenza di un maggior quantitativo di lavorato (molto positivo, quindi, il contributo dato dal sistema DeNOx che ha lavorato con un incremento medio del 31%). 2006 262 665 927 1.105

Ciclo Impianti petroliferi IGCC Totale

Emissioni di PST (t/anno)

2008 1.199 174 1.373 2.031

* SOx espressi come SO2 ** Limite derivante dal Decreto Direttore Dipartimento Territorio e Ambiente – Regione Marche n. 18/03 del 30/06/03

Emissioni di NOx * (t/anno) Ciclo 2005 Impianti petroliferi 280 IGCC 647 Totale 927 Limite prescritto ** 1.099

Emissioni di CO2 * (t/anno)

2008 311 584 895 1.143

* NOx espressi come NO2 ** Limite derivante dal Decreto Direttore Dipartimento Territorio e Ambiente – Regione Marche n. 18/03 del 30/06/03

Le emissioni di monossido di carbonio (CO) segnano una discreta stabilità che, peraltro, confermano valori piuttosto bassi per quanto riguarda i cicli petroliferi. L’impianto IGCC (Integrated Gasification Combined Cycle) ha beneficiato delle tecnologie adottate negli interventi postfriding.

Nell’evidenziare come il raggiungimento di risultati positivi nella continua ricerca di miglioramento non sia stata una dinamica semplice né indolore in quanto a sforzi tanto a livello organizzativo che economico, l’AD di api raffineria ha concluso il suo intervento ribadendo l’esigenza di riconoscere pubblicamente il lavoro svolto nel sito di Falconara Marittima: “è giusto che la cittadinanza sappia cosa succede realmente attorno ad essa”. Successivamente, alcuni focus specifici, sono stati illustrati dall’Ing. Paolo Buscemi, Responsabile Salute, Sicurezza, Ambiente e Qualità di api Raffineria, che ha relazionato sugli impatti ambientali dei diversi cicli industriali del sito (raffinazione e produzione energetica). “Dal 2000 - ha affermato - il complesso industriale ha innescato un importante processo migliorativo dei cicli produttivi onde conseguire i limiti di emissione previsti dalla Legge Regionale marchigiana che indica parametri molto più restrittivi rispetto a quelli delle norme nazionali”. “Siamo in procinto di ottenere l’Autorizzazione Integrata Ambientale essendo terminata la fase istruttoria ed è stato

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riconosciuto che performance e best aivable technologies applicate garantiscono i valori previsti”. “Anche per ciò che concerne l’emissione di particolato atmosferico - ha aggiunto Buscemi - possiamo garantire valori minimi, grazie alla scelta di non bruciare olio combustibile, bensì gas di raffinazione; e infatti, i dati relativi alla qualità dell’aria di Falconara sono confortanti rispetto a quelli di altri centri limitrofi”. A dimostrarlo sono i dati e la sorveglianza sui parametri della qualità ambientale raccolti nelle centraline di monitoraggio: nei pressi del sito di Falconara Marittima i valori dei contaminanti sono molto al di sotto di quanto consentito dalla normativa e comunque inferiori a molte aree della Provincia di Ancona. Infine, dopo aver ricordato la crescita certificata delle spese

mento degli impianti, di concerto con il Comitato Tecnico Regionale; • campagne di informazione/formazione, tanto per il personale addetto che per la cittadinanza. Al termine dell’incontro, dopo una breve relazione sull’importanza, per un sito industriale, di ascoltare le istanze del territorio, a cura del Dott. Marco Verdesi, AD di Extra Comunicazione (Società che ha svolto da consulente esterno una ricerca tra i principali interlocutori di api sul territorio), l’Ing. Giarcarlo Cogliati ha concluso ricordando che “malgrado la crisi che investito tutti i settori dell’economia, api intende continuare ad investire nelle Marche con tecnologie d’avanguardia che garantiscono ottimali livelli di produzione energetica e rispetto dell’ambiente”.

Spese Ambientali – esercizio (migliaia di Euro) 2005 Monitoraggio e controllo Prevenzione e inquinamento Tratt.to e riduzione delle sostanze inquinanti Conservazione patrimonio naturale Costi immateriali Totale per cicli ed anno TOTALE

2.385 983 5.832 647 0 9.847

2006 Imp. petr. 2.058 2.006 3.440 62 888 8.454 9.927

IGCC 480 579 310 4 100 1.473

2007 Imp. petr. IGCC 1.213 289 1.969 356 5.217 741 0 0 1.182 157 9.581 1.543 11.124

2008 Imp. petr. IGCC 1.362 115 2.679 553 4.647 668 0 0 1.362 168 10.050 1.504 11.554

2006 Imp. petr. 931 2.090 4.051 507 7.579 7.659

IGCC 80 0 0 0 80

2007 Imp. petr. 1.953 340 910 0 3.203 3.213

2008 Imp. petr. IGCC 0 0 3.150 0 1.000 50 0 0 4.150 50 4.200

Spese Ambientali – investimento (migliaia di Euro)

Monitoraggio e controllo Prevenzione e inquinamento Tratt.to e riduzione delle sostanze inquinanti Conservazione patrimonio naturale Totale per cicli ed anno TOTALE

2005 Imp. petr 255 1.167 9.802 190 11.414

IGCC 0 0 10 0 10

La maggior parte delle spese di esercizio e investimento è competenza di api raffineria, in quanto gestore dell’impianto IGCC

ambientali, l’Ing. Buscemi, ha indicato le attività che nel 2008 si sono distinte per l’impegno volto alla sostenibilità in generale: • produzione di gasolio a 10 ppm di zolfo; • avvio dell’impianto di recupero della CO2; • messa a regime e sviluppo dell’impianto di decontaminazione delle acque di falda; • progetto di utilizzo dei “combustibili verdi”; • esecuzione del programma di manutenzione e rinnova-

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GLI OBIETTIVI CONSEGUITI DAL SITO API RAFFINERIA DI FALCONARA MARITTIMA, COSÌ COME APPAIONO NEL RAPPORTO 2008. Protezione Ambientale: qualità dell’aria ed emissioni di CO2 Da almeno 5 anni l’abbattimento delle emissioni in atmosfera ha raggiunto risultati significativi, ben al di sotto dei limiti di legge nazionali e di quelli molto bassi prescritti ad api dall’Amministrazione regionale. Effetto congiunto di interventi impiantistici, scelte energetiche, assetti di impianto, i valori attuali sono anche l’espressione di un controllo continuo, che permette di intervenire immediatamente a fronte di eventuali anomalie. Avviato definitivamente, nel corso del 2008, unico in Italia, un impianto per il recupero della CO2 emessa nei cicli produttivi. Sicurezza dei lavoratori L’attività sulla sicurezza individuale ha trovato la migliore espressione nel calo dell’indice di frequenza degli infortuni. Se già il mondo petrolifero risulta tra i più virtuosi, la raffineria, rispetto al settore, ha dimostrato negli ultimi anni un miglioramento sostanziale ed indici molto bassi rispetto alla media del mondo industriale. Sicurezza degli impianti Tra 2007 e 2008, collegati ai precedenti Rapporti di Sicurezza, sono stati implementati: • l’incremento della dotazione antincendio presso gli impianti di processo; • il sistema di intercettazione dei fluidi per isolare rapidamente i circuiti con comando a distanza in caso di perdite; • sistema di pronto intervento per emergenze in mare; • verifiche ispettive ad elevata garanzia tecnologica sulle condizioni degli oleodotti di collegamento mare-raffineria; • inizio del progetto di sostituzione linee interrate per la movimentazione degli idrocarburi; • l’ispezione acustica dei fondi dei serbatoi; • sistemi di protezione su serbatoi di stoccaggio: l’installazione di sistemi di arresto delle fiamme negli stoccaggi di gasolio a tetto fisso (flame arrestor); • la realizzazione di doppi fondi dei serbatoi; • impermeabilizzazione dei bacini dei serbatoi e pipe-way (aree su cui insistono linee di trasferimento); • protezione dei fossi che passano dalla raffineria; • rilevatori di esplosività e di sostanze tossiche in varie aree di raffineria; • installazione di doppie tenute su varie apparecchiature meccaniche, al fine di limitare ulteriormente il rischio di atmosfere esplosive e la quantità di emissioni fuggitive. Protezione ambientale: suolo Partita nel 2000, l’attività di messa in sicurezza di suolo e sottosuolo di raffineria, rappresenta uno degli ambiti di maggior impegno per api raffineria, sia dal punto di vista organizzativo che di quello economico. Nel 2008, inoltre, la raffineria ha realizzato un piano di caratterizzazione delle aree marine in concessione demaniale, integrando così l’indagine del sottosuolo, come previsto per i “siti di interesse nazionale”. Sugli esiti dei carotaggi e delle analisi microbiologiche, l’ARPA Marche ha fotografato una situazione qualitativa del mare e dei sedimenti antistante la raffineria, assolutamente priva di contaminazione.

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SERVIZI AMBIENTALI

COSMARI

NEL MESE DI DICEMBRE LA RACCOLTA DIFFERENZIATA MACERATESE SALE AL 53,17% di Luca Romagnoli

Il Presidente del COSMARI, Fabio Eusebi

Il COSMARI ha diffuso i dati relativi alla raccolta differenziata dei Comuni maceratesi nell’anno 2009. Il Comune maggiormente “riciclone” è Appignano con una percentuale del 77%, seguito a breve distanza da Montelupone 75,81%; mentre al terzo posto si colloca Montecosaro al 74,28%. Elevata è risultata anche la percentuale media della raccolta differenziata che, su base provinciale, grazie alle ottime performances ottenute dai cittadini interessati dal servizio domiciliare “porta a porta”, raggiunge il

50,42%, che nel mese di dicembre è addirittura arrivata alla cifra record del 53,17%. Nello scorso 2009, tra carta, cartone, plastica, alluminio, vetro, rifiuti organici sono stati raccolti 64.113.061 kg di rifiuti riciclabili e 63.043.256 kg di rifiuti non riciclabili provenienti dall’indifferenziata. Nel 2008, i rifiuti differenziati raccolti erano stati pari a 51.148.354 kg e l’indifferenziata 79.850.352 kg per una percentuale annua pari al 39,04%. Sono aumentati quindi i rifiuti riciclabili di oltre 13 milioni di Kg ed è diminuita la produzione dei rifiuti indifferenziati, così come scende anche sensibilmente, centrando un importante obiettivo, la produzione totale dei rifiuti che nella provincia di Macerata passa da 130.998.706 kg del 2008 a 127.156.317 kg del 2009. Ecco i risultati dei Comuni interessati dal servizio di raccolta differenziata domiciliare “porta a porta” (tra parentesi le percentuali di RD del mese di dicembre, mentre le altre si riferiscono a quelle ottenute nell’anno 2009): Appignano (76,81%) 77,00%; Montelupone

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(81,08%) 75,81%; Montecosaro (69,84%) 74,28%; Ripe San Ginesio (69,60%) 70,38%; Urbisaglia (71,21%) 70,35%; Corridonia (68,08%) 69,57%; Tolentino (68,12%) 69,28%; Potenza Picena (71,65%) 67,67%; San Severino Marche (61,58%) 65,12% interessata una parte della popolazione residente; Loro Piceno (63,88%) 64,34%; Civitanova Marche (62,05%) 63,27%; San Ginesio (57,81%) 62,07%; Camerino (63,30%) 59,17%; Recanati (70,47%) 58,16%; Porto Recanati (53,92%) 46,98% interessata una parte della popolazione residente; Treia (68,46%) 40,12%; Castelraimondo (68,62%) 19,76% (Treia e Castelraimondo hanno attivato un servizio da poco più di un mese con ottimi risultati). Seguono le percentuali di raccolta differenziata dei Comuni dove viene erogato il servizio di raccolta tramite cassonetti e campane stradali: Matelica (36,14%) 37,89%; Sefro (18,67%) 31,67%; Montecavallo (40,60%) 31,39%; Belforte Del Chienti (39,30%) 30,78%; Montefano (29,68%) 30,45%; Montecassiano


(25,90%) 29,32%; Visso (31,05%) 26,59%; Ussita (6,72%) 24,51%; Morrovalle (22,42%) 23,90%; Serrapetrona (27,54%) 23,22%; Caldarola (24,81%) 22,22%; Monte San Giusto (20,09%) 21,10%; Mogliano (20,45%) 20,77%; Poggio San Vicino (22,14%) 20,55%; Esanatoglia (19,61%) 19,96%; Castelraimondo (68,62%) 19,76%; Bolognola (10,12%) 19,42%; Muccia (19,72%) 19,35%; Pievebovigliana (10,85%) 18,83%; Monte San Martino (6,73%) 18,74%; Camporotondo (20,56%) 18,64%; Sarnano (14,23%) 16,81%; Castel Sant’angelo (27,05%) 16,27%; Fiuminata (13,66%) 15,54%; Sant’angelo in Pontano (12,82%) 14,98%; Apiro (9,73%) 14,75%; Acquacanina (20,08%) 14,47%; Petriolo (18,34%) 14,37%; Colmurano (15,47%) 13,34%; Gualdo (9,53%) 13,06%; Fiastra (12,79%) 11,86%; Cessapalombo (14,52%) 10,37%; Gagliole (7,68%) 9,06%; Fiordimonte (14,42%) 8,99%; Pievetorina (10,30%) 8,92%; Serravalle (15,64%) 8,64%; Penna San Giovanni (9,69%) 8,30%; Pioraco (4,05%) 6,03%. In base alle diverse tipologie di materiali raccolti nel corso del 2009 in maniera differenziata ed avviate a riciclo, dopo essere pre-trattate presso gli impianti consortili del COSMARI, tramite i Consorzi di filiera, si sono avuti questi risultati: Batterie 146.830 kg; Carta 1.872.970 kg; Carta Domiciliare 5.619.040; kg Carta Pubblici Uffici 144.550; Cartone 3.564.060 kg; Cartone Domiciliare 3.927.960 kg ; Cimiteriali 1.193 kg; Ferro 1.483.610; Indumenti Usati Recuperati 366.470 kg; Inerti 258.050 kg; Ingombranti Recuperati 1.997.972 kg; Legnosi 2.214.735 kg; Oli Vegetali 89400 kg; Organico Grandi Utenze 5.017.870 kg; Organico Domiciliare 19.054.860 kg; Plastica 4.642.790 kg; Pneumatici 304.450 kg; Scarti Informatici 6.961 kg; Verde in Impianto 5.850.160 kg; Vetro 1.985.700 kg; Vetro Domiciliare 5.563.430 kg; Ingombranti in Discarica 2.602.173 kg; Medicine 16549 kg; Pile 14.734 kg.

Il Presidente del COSMARI, Fabio Eusebi ha sottolineato che “I dati che il Consorzio ha reso pubblici in queste ore, dimostrano senza possibilità di smentita, l’ottimo lavoro portato avanti in questi anni ed in maniera particolare finalizzato nell’ultimo biennio con la raccolta porta a porta”. “In tempi brevissimi, oltre ad aver ottenuto importanti riconoscimenti sia come Consorzio che come Comuni, sia a livello nazionale che regionale - ha osservato il Presidente - Cosmari si dimostra per i Comuni soci un partner affidabile ed in grado di migliorare continuamente la qualità dei servizi offerti ai cittadini. Grazie alla sinergia con Regione Marche, Provincia di Macerata e soprattutto con le Amministrazioni comunali che sono parte integrante del nostro Consorzio, siamo sempre più un modello virtuoso nell’ambito della gestione del ciclo integrato dei rifiuti”. “Il Consiglio d’Amministrazione che guido, in accordo con la Direzione aziendale - ha aggiunto Eusebi - è da sempre orientato ad investire nel perfezionamento tecnologico degli impianti e dei mezzi, nella qualificazione del personale e nel miglioramento globale dei servizi, riuscendo a contenere i costi di smaltimento a carico delle nostre famiglie. Da non dimenticare anche il fatto che in uno momento di crisi, grazie al servizio “porta a porta”, siamo riusciti ad assicurare nuovi posti di lavoro”. “In virtù dell’impegno, della sensibilità ed della buona volontà di tutti, stiamo invertendo un dato che, solo pochi mesi fa, sembrava irraggiungibile - ha commentato il Presidente - Infatti, con il superamento della percentuale media di raccolta differenziata del 50% abbiamo rovesciato la tendenza di conferire in discarica la maggior parte dei rifiuti prodotti, mentre oggi, sono di più i rifiuti che vengono avviati a riciclo”. “Inoltre - ha concluso Eusebi - deve es-

sere sottolineata la diminuzione della quantità totale dei rifiuti generati nel nostro territorio. Segno di una nuova coscienza ambientale che pone la provincia di Macerata ai vertici nazionali ed europei per qualità della vita e attenzione alle “buone pratiche”. Ora siamo pronti per nuove sfide e per raggiungere insieme ai nostri Comuni altri importanti traguardi, nell’ottica di una reale preservazione ambientale”. “Grazie ad un lavoro costante, portato avanti con professionalità e dedizione da tutto il personale di COSMARI e Sintegra, oltre che dalle cooperative che ci affiancano, chiudiamo il 2009 con risultati davvero importanti - ha dichiarato il Direttore Giuseppe Giampaoli - Una percentuale media superiore al 50% di raccolta differenziata, in continuo aumento e la contemporanea diminuzione della produzione di rifiuti, accresce la soddisfazione dei cittadini e la richiesta di nuove Amministrazioni comunali ad aderire al nostro progetto di raccolta porta a porta”. “Così, il servizio di raccolta differenziata domiciliare nei mesi di febbraio e marzo sarà attivato anche nei Comuni di Colmurano, Montefano, Monte San Giusto, Belforte del Chienti, Caldarola, Camporotondo di Fiastrone e Serrapetrona - ha dichiarato il Direttore - Attualmente sono quasi 200 mila i maceratesi che ogni giorno, seguendo un calendario prestabilito, adottano tutte quelle “buone pratiche” che ci consentono con buoni successi di recuperare carta, cartone, plastica, alluminio, vetro, rifiuti organici e oli vegetali esausti”. “Il COSMARI - ha concluso Giampaoli - è e vuole continuare ad essere un Consorzio pubblico al servizio dei cittadini, pronto a rispondere alle esigenze degli stessi con servizi moderni, di qualità e concorrenziali dal punto di vista economico e di attenzione all’ambiente”.

Consorzio Obbligatorio Smaltimento Rifiuti Sede legale e operativa Loc. Piane di Chienti 62029 Tolentino (MC) Tel. 0733 203504 - fax 0733 204014 cosmari@cosmari.sinp.net www.cosmari.sinp.net

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IL COMMENTO

FINANZIARIA 2010: L’AMBIENTE PUÒ ATTENDERE! Anche dal “Milleproroghe” differimenti per disposizioni ambientali Il primo numero dell’anno che per consuetudine dà ampio risalto alla “Finanziaria” o, meglio, alla pubblicazione di tutte quelle disposizioni che hanno riflessi di carattere “ambientale”, per il 2010 non avrà l’Inserto normativo dedicato, stante la marginalità delle risorse e delle voci che la Legge di bilancio ha destinato all’Ambiente. Era stato lo stesso Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Stefania Presitgiacomo che commentando il disastro verificatosi in ottobre a Messina, aveva dichiarato all’Agenzia Reuters “Noi quest’anno per la difesa del suolo abbiamo 50 milioni. Per il 2010, sapete quanto c’è? Zero… Con la Finanziaria di quest’anno tutti i miei fondi vanno a zero: difesa del suolo, Protocollo di Kyoto, mare, bonifiche, tutto”. In novembre, a margine di un’audizione alla Commissione Ambiente della Camera, il Ministro aveva sottolineato come “in Finanziaria si passa da 1,6 miliardi nel 2008 a 500 milioni in pochi anni”. Il Ministro si preoccupava, in particolare, dell’assenza di risorse per la copertura finanziaria della proposta di Legge per un Piano straordinario nazionale contro il rischio idrogeologico, presentato all’indomani delle numerose frane ed alluvioni che avevano colpito il territorio tra fine estate e inizio autunno e che ne avevano denunciato la fragilità e il dissesto. Si deve riconoscere che su questo punto, il Ministro è stato parzialmente accontentato dal momento che il comma 240 dell’Art. 2 (ci sono due soli articoli ma ben 253 commi) della Legge 23 dicembre 2009, n. 191 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” destina 1 miliardo di euro per i piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio, individuate dalla competente Direzione Generale del Ministero dell’Ambiente, sentite le Autorità di Bacino e il Dipartimento della Protezione Civile. Le risorse deriveranno da quelle assegnate dal CIPE (delibera 6 novembre 2009) per interventi di risanamento ambientale dal Fondo Infrastrutture e dal Fondo Strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale. Per il resto, gli unici stanziamenti direttamente riferibili all’Ambiente sono rintracciabili: - nel comma 44 - Art. 2 relativo ad un piano triennale di incentivazione di Progetti (per il Sud) in materia di tecnologie avanzate per efficienza energetica, tutela ambientale, metodologie innovative per il Made in Italy, agroalimentare, produzione di farmaci biotecnologici, coordinati dal CNR e dall’ENEA; - nel comma 48 - Art. 2 che stanzia ulteriori 50 milioni di euro, per un totale di 100 milioni di euro a favore del “Fondo per la tutela dell’Ambiente e la promozione dello

sviluppo del territorio”, istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico. A voler essere generosi è possibile intravedere “pillole” per l’ambiente nei commi 10-11 - Art. 2 che dispongono la proroga fino al 2012 della detrazione IRPEF al 36% di quelle spese sostenute per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e in favore degli acquirenti o intestatari di immobili facenti parte di fabbricati interamente ristrutturati da imprese di costruzione o da cooperative edilizie; mentre va a regime l’agevolazione del 10% di IVA sui lavori di recupero del patrimonio edilizio realizzati su fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata. Non c’è nessuna proroga, viceversa, per le detrazioni IRPEF del 55% per coloro che ristrutturano un edificio, migliorandone l’efficienza energetica, al momento limitate al solo 2010, che non incentiva di certo investimenti, nell’incertezza del completamento dell’intervento, entro il 2010. È stato stralciato dalla Finanziaria un emendamento del Governo relativo alla cessazione degli effetti del vecchio sistema di incentivazione, denominato CIP6. Il Provvedimento è stato fatto oggetto di un apposito Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico e pubblicato sulla G.U. n. 296 del 21 dicembre 2009, con cui a partire dal 2010 le Convenzioni messe in essere con il GSE (Gestore dei Servizi Energetici) potranno essere risolte anticipatamente. Si tratta di Convezioni in base alle quali i produttori che cedano al GSE energia prodotta da fonti rinnovabili ed assimilate ricevono un incentivo correlato alla tipologia dell’impianto. Il meccanismo nato nel 1992 ha finito per incentivare, con la maggiorazione del 6% del prezzo dell’elettricità pagato sulla bolletta dai consumatori, le fonti assimilate, sottraendo risorse alle “vere” rinnovabili. “L’attuazione del Decreto - spiega una nota del Ministero porterà alla possibile uscita dalla produzione di energia di quegli impianti meno efficienti, consentendo al sistema elettrico di utilizzare risorse per una maggiore competitività a beneficio de prezzi dell’energia elettrica… Ai produttori che aderiranno volontariamente [n.d.r.: la scadenza è prevista negli anni successivi e fino al 2020] saranno riconosciuti corrispettivi tali da contenere gli oneri che graverebbero sui consumatori, cittadini ed imprese, nel caso le convenzioni andassero a scadenza naturale, pur nel rispetto degli investimenti effettuati”. Questa buona “ambientalmente” notizia era inevitabile dopo la Direttiva 2009/28/CE sulla promozione e l’uso dell’energia da fonti rinnovabili. Permane, probabilmente, la volontà espressa con un emen-

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damento del Governo, poi ritirato, di ridurre il valore dei Certificati Verdi, anche se l’emendamento che era stato presentato nel testo della Finanziaria è stato poi ritirato, in attesa che il Decreto attuativo previsto per febbraio faccia chiarezza. Dubitiamo, tuttavia, che i decreti attuativi della Legge n. 99/2009 “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, tra i quali, uno deve indicare la localizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica da nucleare, possano essere emanati prima delle elezioni amministrative regionali. C’è anche il comma 239 - Art. 2 che stanzia un importo complessivo di 300 milioni di euro, con relativa ripartizione tra gli Enti territoriali interessati, per la realizzazione di interventi di messa in sicurezza ed adeguamento antisismico delle scuole. I commi 225-227 -Art. 2 potrebbero avere, indirettamente, valenza sulle forniture di seconda vita (G.P.P), prevedendo nuove norme relative all’acquisto di beni e servizi delle Pubbliche Amministrazioni sulla base degli Accordi quadro stipulati da CONSIP spa o adottando le Amministrazioni i parametri prezzo - qualità rapportati a quelli degli Accordi quadro.

Ponte di Messina, bensì ai commi 222-224 che permettono al CIPE di avviare le opere pubbliche non più solo per “lotti funzionali”, ma anche “costruttivi”. In parole più semplici, mentre erano finanziabili solo infrastrutture che, anche se non completate, potessero essere utilizzate, ora sarà possibile aprire i cantieri (soprattutto per le infrastrutture della Legge Obiettivo) e costruire tronconi di autostrade, superstrade, linee ferroviarie, le cui conclusioni avverranno, quando e se ci saranno se ci saranno successivi finanziamenti. Ma il nostro territorio è già ricco di incompiute e non sarebbe stato proprio il caso di rischiare di averne altre di “dubbia” utilità ma con “grave” consumo di suolo. Pur convinti che le infrastrutture costituiscano motore per “questo” modello di sviluppo, riteniamo che “strategiche” siano solo quelle opere che abbiano un minimo impatto sui suoli ed ecosistemi, perché tra qualche decennio, come già sostengono alcuni economisti, saranno le attività primarie ad avere un importante ruolo economico, rispetto a quelle relative ai servizi. Non è certo una bella prospettiva per un Paese che di terra ne ha già consumata parecchia, visto che “non se ne fabbrica più”, come diceva Mark Twain. Riflettano Governanti, Governatori ed Amministratori tutti: coniugare “Ambiente” e “Sviluppo”, impone scelte conseguenti, altrimenti si fa solo “greenwashing”.

Il comma 64 -Art. 2 riduce la quantità da 250.000 a 18.000 tonnellate la quantità di biodiesel che può beneficiare per il 2010 di accisa agevolata. Inoltre, il limite complessivo di spesa su cui si applica l’accisa ridotta per bioetanolo etilterbutilico passa da 73 a 3,8 milioni di euro. Pur risultando disposizione “ambientale”, come ben si può comprendere azzera praticamente gli incentivi statali. Non ci pare di poter individuare altri aspetti degni di risvolti ambientali. Anzi, si possono notare di più le mancanze. È scomparso il Fondo rotativo per Kyoto e nessun altro strumento è stato individuato per la riduzione delle emissioni di gas serra. Non c’è traccia del Fondo sull’efficienza energetica, né degli incentivi per il risparmio energetico. Nell’Anno Internazionale delle Biodiversità, nessun stanziamento è stato previsto per la Conferenza Nazionale sulla Biodiversità e per l’attuazione della Strategia nazionale sulla Biodiversità, nonostante la riaffermazione della Convenzione sulla Biodiversità contenuta nella “Carta di Siracusa” sia stata fortemente voluta dal Ministro dell’Ambiente e sottoscritta dai Paesi del G8 e da altri Paesi emergenti, durante il semestre di Presidenza italiano. Pochi i fondi a disposizione per la mobilità sostenibile, ma sono stati destinati 400 milioni di euro per il sostegno del settore dell’autotrasporto (comma 240 - Art. 1 + elenco n. 1). Speriamo che con le misure integrative preannunciate dal Governo, derivanti dagli introiti dello “Scudo-fiscale”, si possano recuperare quelle somme necessarie per investire sulla tutela dell’ambiente. È vero che la crisi economica ha determinato minori entrate e quindi sono state necessarie minori spese, ma le risorse per le infrastrutture si sono trovate. E non ci si riferisce ai commi 193-195 - Art. 2 con cui vengono stanziati 470 milioni di euro per la ricapitalizzazione del

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Legge n. 191 del 23 dicembre 2009 (G. U. n. 302 del 30 dicembre 2009 – S. O. n. 243) Art. 2 Disposizione diverse 10. Nelle more della definizione del nuovo assetto contrattuale delle amministrazioni pubbliche, con particolare riferimento all’individuazione del numero e alla composizione dei comparti di contrattazione e alle conseguenti implicazioni in termini di rappresentatività sindacale, tenuto anche conto delle compatibilità di finanza pubblica nel contesto degli attuali sviluppi della congiuntura economica, interna ed internazionale, ai fini dei rinnovi contrattuali del triennio 2010-2012, in applicazione dell’articolo 48, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e di quanto previsto dall’articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203, gli oneri posti a carico del bilancio statale per la contrattazione collettiva nazionale sono quantificati complessivamente in 215 milioni di euro per l’anno 2010, 370 milioni di euro per l’anno 2011 e 585 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012. 11. In relazione a quanto previsto al comma 10, per il triennio 2010-2012, le risorse per i miglioramenti economici del rimanente personale statale in regime di diritto pubblico sono determinate complessivamente in 135 milioni di euro per l’anno 2010, 201 milioni di euro per l’anno 2011 e 307 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012, con specifica destinazione, rispettivamente, di 79, 135 e 214 milioni di euro per il personale delle Forze armate e dei Corpi di polizia di cui al decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195. 48. Per l’anno 2010 al fondo di cui all’articolo 13, comma 3-quater, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, è riservata una quota di 100 milioni di euro a valere sulle risorse di cui all’articolo 3, comma 7, della presente legge. L’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 22-bis, comma 5-bis, del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative,


di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni, è ridotta di 69,2 milioni di euro per l’anno 2010 e di 0,1 milione di euro a decorrere dall’anno 2011. È ridotto da 250.000 tonnellate a 18.000 tonnellate il contingente annuo, per l’anno 2010, di cui all’articolo 22-bis, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504. 225. La società Consip Spa conclude accordi quadro, ai sensi dell’articolo 59 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, cui le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e le amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 25, del citato codice di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, possono fare ricorso per l’acquisto di beni e di servizi. In alternativa, le medesime amministrazioni adottano, per gli acquisti di beni e servizi comparabili, parametri di qualità e di prezzo rapportati a quelli degli accordi quadro di cui al presente comma. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, dall’articolo 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, dall’articolo 1, commi 449 e 450, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dall’articolo 2, comma 574, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. 226. Le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, possono essere stipulate anche ai fini e in sede di aggiudicazione degli appalti basati su un accordo quadro concluso ai sensi del comma 215 del presente articolo. Resta fermo quanto previsto dal comma 3 del citato articolo 26 della legge n. 488 del 1999, e successive modificazioni, per le convenzioni stipulate dalla società Consip Spa. 227. Nel contesto del sistema a rete costituito dalle centrali regionali e dalla società Consip Spa ai sensi dell’articolo 1, comma 457, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, possono essere indicati criteri utili per l’individuazione delle categorie merceologiche di beni e di servizi oggetto di accordi quadro, conclusi anche ai sensi dei commi 215 e 216 del presente articolo dalla società Consip Spa, al fine di determinare un’elevata possibilità di incidere positivamente e in maniera significativa sui processi di acquisto pubblici. 239. Al fine di garantire condizioni di massima celerità nella realizzazione degli interventi necessari per la messa in sicurezza e l’adeguamento antisismico delle scuole, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa approvazione di apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari permanenti competenti per materia nonché per i profili di carattere finanziario, sono individuati gli interventi di immediata realizzabilità fino all’importo complessivo di 300 milioni di euro, con la relativa ripartizione degli importi tra gli enti territoriali interessati, nell’ambito delle misure e con le modalità previste ai sensi dell’articolo 7-bis del decreto-legge 1 settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169. 240. Le risorse assegnate per interventi di risanamento ambientale con delibera del CIPE del 6 novembre 2009, pari a 1.000 milioni di euro, a valere sulle disponibilità del Fondo infrastrutture e del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale, di cui all’articolo 18, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni, sono destinate ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico individuate dalla direzione generale competente del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti le autorità di bacino di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, nonché all’articolo 1 del decreto-legge 30

dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, e il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri. Le risorse di cui al presente comma possono essere utilizzate anche tramite accordo di programma sottoscritto dalla regione interessata e dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare che definisce, altresì, la quota di cofinanziamento regionale a valere sull’assegnazione di risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all’articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, che ciascun programma attuativo regionale destina a interventi di risanamento ambientale.

A corollario della Finanziaria 2010, c’è poi il cosiddetto Milleproroghe (D.L. n. 194/2009 “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative”) in vigore dal 30 dicembre, che contiene ulteriori provvedimenti riguardanti questioni ambientali, in particolare delle proroghe alcune delle quali di rilievo. Come negli anni passati ne proponiamo il testo analizzando le disposizioni ivi contenute e le conseguenze che ne derivano, avvertendo, tuttavia, che l’esperienza degli anni passati ha dimostrato che in sede di conversione in legge tale Decreto subisce modifiche ed integrazioni che ne stravolgono l’originaria motivazione. Al comma 22 dell’Art. 1 (Proroga di termini tributari, nonché in materia economico-finanziaria) si dispone il mantenimento in bilancio delle risorse relative al Fondo per la tutela dell’ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio. Si tratta di somme che rimpinguano gli stanziamento previsti nel comma 48, art. 2 della Finanziaria, già accordate con il Decreto Legge n. 122/2008 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico), come convertito dalla Legge n. 133/2008, ma, non avendo avuto specifica destinazione, potranno essere utilizzate nel 2010. L’art. 8 “Proroga di termini in materia ambientale”, si compone di 4 commi, ognuno dei quali fa riferimento ad altrettanti provvedimenti che avevano già fatto slittare i termini di adempimento. Il 1° comma riguarda i Piani di Gestione dei Bacini Idrografici che avrebbero dovuto essere adottati entro il 22 dicembre 2009, il cui termine è prorogato al 28 febbraio 2010. Sarebbe un differimento di ben poco conto se non fosse che la Direttiva UE che impone agli Stati membri la loro redazione risale al 2000 e che l’attività di consultazione dei cittadini, come previsto dalla Convenzione di Aarhus, nell’ambito della Campagna di sensibilizzazione intrapresa dall’Unione europea, avrebbe dovuto esser già conclusa (cfr.: “Governo dell’acqua: manca una disciplina sistematica e unitaria”, in Regioni&Ambiente, n, 5 maggio 2009, pag. 28 e segg.). Il 2° comma attiene alle Assunzioni all’ISPRA. Si tratta di un comma che assume valenza ambientale indirettamente, essendo finalizzato a fornire il supporto tecnico operativo all’Istituto di tutela ambientale del Paese. L’allungamento al 31 dicembre 2010 dell’autorizzazione ad assumere non può che essere salutato con soddisfazione, visto il rischio di ulteriori licenziamenti di ricercatori precari, la cui protesta aveva ricevuta ampia eco mediatica. Tuttavia, è necessaria una loro stabilizzazione se si hanno a cuore

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le sorti dell’ambiente del nostro Paese. In questo senso registriamo con favore le affermazioni del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Stefania Prestigiacomo che, al termine dell’incontro del 4 gennaio con le rappresentanze sindacali dei lavoratori dell’ISPRA, ha sottolineato come nei fatti il Governo abbia programmato un piano di potenziamento dell’Istituto, con particolare riferimento alle finalità di ricerca e tutela ambientale. “Non vi è stato alcun abbandono della ricerca, come è stato affermato a più riprese in questi mesi - ha affermato il Ministro - ma esattamente il contrario: un progetto organico di valorizzazione e promozione delle attività dell’ISPRA proiettato nel futuro e tendente alla stabilizzazione del personale addetto”.

triche ed Elettroniche per la raccolta e gestione dei RAEE nuovi. Il D. Lgs. n. 151/2005 con il quale l’Italia recepiva con ritardo le Direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti, all’Art. 20 - comma 4 aveva previsto che i produttori potessero continuare a finanziare le operazioni di gestione dei rifiuti delle apparecchiature immesse sul mercato dopo il 13 agosto 2005, in modo forfetario come i RAEE “storici”: “entro e non oltre il 13 agosto 2007”. È pur vero che se non viene applicata la marchiatura a livello europeo non è possibile distinguere quali rifiuti di AEE debbano essere gestiti dai produttori che li hanno immessi sul mercato.

Il 3° comma è relativo al passaggio dalla TARSU (Tassa Rifiuti Solidi Urbani) alla TIA (Tariffa di Igiene Ambientale). Viene confermata la vigenza della TARSU fino al 30 giugno 2010. Qualora il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare non avrà stabilito con proprio Regolamento, come previsto dall’articolo 238 del D. Lgs. 152/2006 ( il cosiddetto Testo Unico Ambientale), i componenti e i costi della TIA, i Comuni potranno adottarla in base alle vigenti norme giuridiche. Il passaggio alla TIA era già previsto nel Decreto Ronchi (D. Lgs. n. 22/1997), prima in maniera volontaria da parte di quei Comuni che avessero potuto dimostrare, con l’introduzione della TIA, la completa copertura dei costi di gestione; poi, avrebbe dovuto essere estesa progressivamente a tutti gli altri. Di anno in anno, in modo bipartisan, l’introduzione è stata differita con buona pace dei Comuni più virtuosi che si sono visti impedire in questi anni l’adozione di un sistema più equo di corrispettivo per il servizio ed incentivante affinché i cittadini producano meno rifiuti, aumentando la differenziazione. Non c’è niente di più iniquo di una tassa sui rifiuti che si basa sulla superficie occupata e non sulla quantità effettivamente conferita. Infine, il 4° comma attiene alle emissioni di Composti Organici Volatili (COV). La Direttiva 2004/42/CE relativa alla limitazione delle emissioni di COV dovute all’uso di solventi organici in talune pitture per l’edilizia e vernici per carrozzerie, che contribuiscono all’inquinamento atmosferico, prevedeva un contenuto massimo di COV da conseguirsi in due fasi: la prima entro il 1° gennaio 2007 e la seconda entro il 1° gennaio 2010 (Allegato II). Il Decreto legislativo n. 161del 24 marzo 2006, che ha recepito con ritardo (era previsto il limite del 30 ottobre 2005) la suddetta Direttiva, all’Art. 7 - comma 2 stabiliva che i valori limite previsti dall’Allegato II non si applicano ai prodotti oggetto di miscelazione o di utilizzazione esclusivamente in Stati non appartenenti all’Unione europea, nei tre anni successivi alle date ivi previste. Tale esclusione viene ora procrastinata di un anno. C’è poi il comma 2 dell’articolo 9 Proroga di termini in materia di sviluppo economico, che fa slittare un altro termine di valenza ambientale: la responsabilità finanziaria individuale dei produttori di Apparecchiature Elet-

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DECRETO-LEGGE 29 dicembre 2009, n. 194 (G.U. 302 del 30 dicembre 2009) Proroga di termini previsti da disposizioni legislative. (09G0206) IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di provvedere alla proroga di termini previsti da disposizioni legislative, al fine di consentire una più concreta e puntuale attuazione dei correlati adempimenti; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 17 dicembre 2009; Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro per i rapporti con il Parlamento, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze; Emana il seguente decreto-legge: Art. 1 Proroga di termini tributari, nonché in materia economico-finanziaria (omissis) 22. Le somme ancora disponibili al 31 dicembre 2009 sul Fondo per la tutela dell’ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio, di cui all’articolo 13, comma 3-quater, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono conservate in bilancio per essere utilizzate nell’anno 2010. Art. 8 Proroga di termini in materia ambientale 1. All’articolo 1, comma 3-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, il termine di cui al primo periodo è differito al 28 febbraio 2010. 2. All’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, le parole: «31 dicembre 2009» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2010». 3. All’articolo 5, comma 2-quater, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, le parole: «entro il 31 dicembre 2009» sono sostituite dalle seguenti: «entro il 30 giugno 2010». 4. All’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 27 marzo 2006, n. 161, la parola: «tre» è sostituita dalla seguente: «quattro». Art. 9 Proroga di termini in materia di sviluppo economico 2. All’articolo 20, comma 4, del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, le parole: «31 dicembre 2009» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2010».


ENERGIE ALTERNATIVE E RINNOVABILI

Dal 1° gennaio 2010 è scattato l’obbligo per i nuovi fabbricati di produrre 1 kW di rinnovabili

IL RUOLO DEGLI EE.LL. NELLA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI

I dati del Rapporto ON-RE

Dal 1° gennaio 2010 i Regolamenti Edilizi Comunali hanno vincolato il rilascio del permesso di costruire nuovi edifici all’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili per almeno 1kW per unità abitativa. È scaduto, infatti, il termine previsto dall’Art. 4, comma 1-bis del DPR n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia), come sostituito dal comma 289 dell’Art. 1 della Legge n.244/2007 (Finanziaria 2008). In realtà, il DPR 380 faceva riferimento ai soli pannelli fotovoltaici e richiedeva una produzione energetica non inferiore a 0,2 kW per unità abitativa, che la Finanziaria 2008 ha incrementato a 1 kW e ha riferito la produzione più genericamente ad impianti a fonti rinnovabili, estendendo anche ai fabbricati industriali di superficie non inferiore a 100 mq l’apporto energetico da rinnovabili, non inferiore a 5 kW. La scadenza prevista era il 1° gennaio 2009, ma la data è stata successivamente posticipata al 1° gennaio 2010 dalla Legge n. 14/2009, di conversione del D.L. n. 207/2008 (il cosiddetto “Milleproroghe”).

L’Italia ha già accumulato un notevole ritardo in un settore che risulta strategico per l’attuazione del Pacchetto “ClimaEnergia” (il triplo 20). Dopo aver recepito solo nel 2005 la Direttiva 2002/91/CE su rendimento energetico in edilizia, il nostro Paese solo nel corso del 2009 ha definito il Regolamento per le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli edifici (cfr.: Regioni&Ambiente, n.7 Luglio 2009, pagg. 30-32) e le Linee Guida Nazionali (cfr.: Regioni&Ambiente, nn.7/8 Agosto-Settembre 2009, pagg. 28-32), ma siamo ancora senza il Regolamento sui Certificatori Energetici, anche se molte Regioni si erano già attivate autonomamente, legiferando in materia. Tant’è che la Commissione UE, che nel frattempo ha invitato i Paesi membri ad integrare e modificare la Direttiva 2002/91/CE, nell’ambito della proposta di riesame della politica energetica, aveva avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per non aver adempiuto agli obblighi di attuazione.

Bolzano, quartiere CasaNova, il cui completamento è previsto per il 2012, con 8 edifici per un totale di 950 appartamenti tutti di classe A di CasaClima

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Anche per quanto attiene lo slittamento del termine di recepimento nel Regolamento edilizio dell’obbligo di produzione energetica da fonti rinnovabili, alcune Regioni avevano mantenuto la previgente scadenza e 406 Comuni vi avevano già provveduto, stante il Rapporto dell’Osservatorio Nazionale sui Regolamenti Edilizi per il Risparmio Energetico (ON-RE), promosso da CRESME (Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per L’Edilizia e il territorio) e Legambiente, e presentato nel corso di SAIE-Energia (Bologna, 28-31 ottobre 2009). Il quadro che è emerso nel Rapporto dall’analisi dei Regolamenti edilizi è quello di un Paese vivace, in gran fermento, dove le rinnovabili e l’innovazione energetica continuano a diffondersi dal basso, in modo costante e articolato. “Il nostro obiettivo - ha sostenuto Edoardo Zanchini Responsabile Energia e Infrastrutture di Legambiente - è proprio quello di

raccontare questi processi e provare a evidenziare le questioni più rilevanti, per valutare le possibilità che possono venire dalle tecnologie, per guardare a una città dove case e quartieri siano pensati e gestiti per utilizzare in maniera più intelligente l’energia”. I Comuni dell’innovazione energetica sono diffusi in quasi tutto il Paese anche se con una maggiore concentrazione nelle Regioni del Centro-Nord, e in particolare in Toscana, Emilia Romagna e Lombardia. Anche in Veneto, Piemonte, Lazio, Marche e Puglia si registrano esperienze significative di Regolamenti Edilizi attenti alla sostenibilità. In Sardegna e Sicilia iniziano ad avviarsi processi importanti, anche se limitati ancora a pochi Comuni. L’isolamento termico è un tema centrale per il contenimento dei consumi energetici delle abitazioni. Sono 432 i Comuni che avevano previsto obblighi, promozione e/o

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incentivi sull’isolamento termico degli edifici, ma anche il ricorso a tetti verdi e a serramenti ad alta efficienza. Da segnalare, 11 Comuni in provincia di Lecco in cui vigeva l’obbligo, per i nuovi edifici, di creare una copertura a tetto verde per almeno il 30% della superficie. In altri 17 Comuni italiani veniva imposto un limite massimo di trasmittanza delle pareti esterne, mentre 123 obbligavano l’installazione dei doppi vetri. L’utilizzo di fonti rinnovabili, tra solare termico per la produzione di acqua calda sanitaria e di fotovoltaico per l’energia elettrica, era richiesto in 406 Comuni. In 35 venivano promosse le biomasse per uso domestico (caldaie con cippato e pellets), in 28 si cita l’eolico e in 11 l’idroelettrico. Tra i Comuni che consideravano le rinnovabili, 135 erano quelli in cui era stato recepito l’obbligo di installazione di 1 kW di fotovoltaico per unità abitativa, mentre per 103 vigeva l’obbligo di 0,2 kW di fotovoltaico per unità di fotovoltaico. I Comuni con l’obbligo di installazione del solare termico risultavano 253. L’utilizzo di tecnologie per l’efficienza energetica riguardava 208 Comuni, diffusi soprattutto al Nord, che prevedono incentivi, promozione o obbligo di allacciamento ad una rete di teleriscaldamento, l’uso delle pompe di calore o il collegamento ad impianti di cogenerazione per il riscaldamento invernale e la climatizzazione estiva delle case. Tra questi, 115 imponevano l’obbligo di allaccio al teleriscaldamento o l’uso di pompe di calore. L’orientamento e ombreggiatura degli edifici sono fondamentali per ridurre l’energia per il riscaldamento e il raffrescamento delle abitazioni. Erano 277 i R.E. che contemplavano il tema, con l’indicazione di orientare l’edificio lungo l’asse Est-Ovest, per consentire una maggiore illuminazione naturale. In 8 Comuni vi era un esplicito divieto di costruire edifici o abitazioni con un unico affaccio verso Nord. Per quanto riguarda la schermatura delle superfici vetrate, in modo da impedire un eccessivo riscaldamento nei mesi estivi, in 25 Comuni vigeva l’obbligo di oscuramento per almeno il 70% delle superfici vetrate.

I materiali da costruzione locali e riciclabili erano richiesti in 266 Municipi. Il risparmio idrico e il recupero delle acque meteoriche era contemplato dai R.E. di 358 Comuni, soprattutto del Centro-Nord. 321 imponevano il risparmio della risorsa attraverso riduttori di flusso e altre tecnologie, ed il recupero delle acque meteoriche per gli usi compatibili, mentre nei restanti 37 Comuni il requisito era volontario. In 13 Comuni in provincia di Lecco, c’era l’obbligo del risparmio idrico e veniva promosso, per le nuove costruzioni e le ristrutturazioni, il recupero per usi compatibili e non potabili delle acque nere/grigie opportunamente trattate, limitando lo scarico in rete. Le Amministrazioni locali possono fare molto per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni, avendo la possibilità di agire in modo diretto su un settore decisivo come quello dell’edilizia, ma sarebbe altrettanto importante che tali azioni fossero inserite in un processo di programmazione a breve, medio e lungo termine, quale la redazione del Piano Energetico Comunale (PEC) può sviluppare. Seppur previsto dall’art. 5 della L. n. 10/91 il PEC non ha avuto adeguata implementazione se la sua redazione obbligatoria per i Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti era stata adempiuta solo dal 25% dei 136 Comuni in cui era previsto tale obbligo, secondo una indagine svolta dall’Enea nel 2003. Sarebbe quanto mai opportuno che venisse adottato da tutte le Amministrazioni comunali, perché il PEC consente: - l’acquisizione in modo sistematico dei dati relativi ai flussi di energia, con relativa emersione di eventuali criticità; - la definizione e l’organizzazione delle diverse azioni mirate all’efficienza energetica, valutando per ciascuna il rapporto tra risorse necessarie e benefici attesi; - il monitoraggio, attraverso indicatori dinamici, dell’effetto delle azioni introdotte, modificando, dove occorra, le strategie adottate.

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Lʼanalisi dellʼ“energia netta” prodotta fondamentale nella scelta delle energie alternative

CI VORREBBE UN MIRACOLO! Un Rapporto mette in evidenza che la transizione energetica non riuscirà a sostenere gli attuali ritmi di crescita economica e demografica

“No shield can save us It’s gonna take a miracle We’re searching for a miracle...” Nel 1986, il celebre gruppo rock Emerson Lake & Palmer, incise un album dal titolo “Emerson, Lake & Powell”, per sottolineare la momentanea assenza di Carl Palmer, sostituito alla batteria da

Cozy Powell. Tra i brani ce n’era uno (“The Miracle”) che costituisce un vero e proprio esempio del cosiddetto “rock progressivo”, in cui gli autori osservano che ci vorrebbe un miracolo “per salvare la nostra Terra madre”: “Nessuno scudo ci può salvare Ci vorrebbe un miracolo

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Siamo alla ricerca di un miracolo”. Ricorda l’andamento epico della canzone dalla quale, involontariamente, mutua un verso, il Rapporto pubblicato dal Post Carbon Institute e dall’International Forum on Globalization: “Searching for a Miracle” che ha per


sottotitolo “I limiti dell’energia netta e il destino della società industriale”. La relazione esplora la questione fondamentale se una qualsiasi combinazione di fonti di energia conosciute possa provvedere all’approvvigionamento energetico di cui società avrà bisogno nel 2100. Alla fine, si giunge alla conclusione inquietante che tutte le fonti energetiche conosciute sono soggette a limiti rigorosi di un tipo o di un altro. Prendendo in esame le 18 alternative più vantaggiose di produzione di energia elettrica, il Rapporto identifica il loro EROEI (Energy Profit Ratio): il rapporto tra l’energia consumata nel processo generativo e quella che sono in grado di produrre (net energy). “Le fonti energetiche convenzionali, come petrolio, gas, carbone e nucleare sono pari o quasi al limite della loro capacità di accrescere la fornitura annuale, riducendosi via via nei prossimi decenni, ma in ogni caso sono troppo pericolose per l’ambiente. Contrariamente alle speranze di molti, non c’è uno scenario praticabile in modo convincente con cui siamo in grado di sostituire l’energia da fonti convenzionali odierne, con sufficiente energia da fonti alternative, che possa sostenere la società industriale nel suo attuale grado di operatività”. Per raggiungere tale transizione si richiede: 1. un investimento finanziario che va al di là delle capacità pratiche della società; 2 un tempo molto lungo, troppo a lungo in termini pratici per metterlo in opera; 3 significativi sacrifici in termini di qualità energetica e affidabilità. “Forse il termine più significativo per il futuro approvvigionamento energetico - dicono Richard Heinberg e Jerry Mander, curatori del Report - è il fattore “net energy” ossia l’esigenza che in futuro i sistemi energetici producano più energia di quella che viene investita nella loro costruzione e nel loro funzionamento. Vi è una forte probabilità che i sistemi energetici per il futuro, sia convenzionali che alternativi, avranno costi di input energetici più elevati rispetto a quelli che hanno alimentato le società industriali durante l’ultimo secolo”. Nel Rapporto vengono esaminati alcuni degli scenari proposti dall’attuale transizione energetica, mostrando perché, fino a questo momento, la maggior

parte di loro sono troppo ottimisti, in quanto non risolvono tutti i fattori rilevanti che limitano l’espansione delle fonti energetiche alternative e si indica nel risparmio energetico (utilizzare meno energia, risorse e materie prime) in combinazione con la progressiva diminuzione della popolazione umana le strategie principali per il raggiungimento della sostenibilità. “Il regime energetico mondiale attuale è insostenibile - vi si afferma - Questa è la recente conclusione esplicita dell’International Energy Agency, ed è anche la sostanza di un ampio e crescente consenso dell’opinione pubblica che include tutti le sfumature dello spettro politico. Un segmento ampio di questo consenso è preoccupato per il clima e gli altri impatti ambientali dipendenti dalla società delle fonti fossili. Altri sono preoccupati soprattutto per le questioni relative alla sicurezza delle forniture future di questi combustibili, che, dal momento che si riducono, sono sempre più concentrati solamente in pochi paesi”. Perciò, affermare che il nostro sistema energetico attuale è insostenibile significa che esso non può continuare e deve essere sostituito, quindi, con qualcosa di alternativo. Comunque, sostituire le infrastrutture energetiche delle moderne società industriali non sarà cosa da poco. Sono stati spesi decenni per la costruzione delle attuali infrastrutture per petrolio-gas-carbone, e sono stati investiti migliaia di miliardi di dollari. Inoltre, se la transizione da fonti energetiche attuali a quelle alternative fosse gestita in modo sbagliato, le conseguenze potrebbero essere gravi: c’è un nesso indiscutibile tra i livelli pro-capite di consumo energetico e benessere economico. La mancata fornitura di energia sufficiente o di energia di qualità sufficiente, potrebbe compromettere il benessere futuro dell’umanità, mentre il fallimento di un veloce passaggio dai combustibili fossili potrebbe compromettere gli ecosistemi vitali della Terra. Tuttavia, permane una diffusa opinione che le fonti alternative di energia, in grado di sostituire i combustibili fossili convenzionali, fossili (sabbie di catrame o scisti bituminosi), nucleare o un lungo elenco di fonti rinnovabili, siano prontamente disponibili e già in grado di sostituire quelle convenzionali. Sulla base di tale presupposto, si pensa che sia necessario investire sufficiente-

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mente su di loro, per continuare a vivere con lo stesso stile di vita di oggi. “Ma è davvero così?”, si chiedono gli autori del Rapporto, che sottolineano come ogni fonte di energia ha caratteristiche molto specifiche. “In realtà, sono state le caratteristiche delle nostre attuali fonti di energia (soprattutto petrolio, carbone e gas naturale) che hanno permesso la costruzione di una società moderna, con elevata mobilità, dalla grande densità di popolazione e da alti tassi di crescita economica. Perpetueranno le fonti alternative di energia questo tipo di società? Ahimé, non lo pensiamo”. Mentre è possibile scegliere tra innumerevoli alternative di impianti di produzione energetica di successo all’interno delle società moderne (che vanno dai piccoli impianti fotovoltaici domestici ai grandi impianti di turbine eoliche da 3 Megawatt), non è possibile indicare più di pochissimi esempi di una moderna nazione industriale in grado di ottenere la maggior parte della sua energia da fonti diverse dal petrolio, carbone e gas naturale. Uno di questi rari esempi è la Svezia, che deriva la maggior parte della sua energia dal nucleare e dall’idroelettrico. Un altro è l’Islanda che beneficia di risorse geotermiche interne insolitamente ampie, quali non si trovano nella maggior parte degli altri Paesi. Peraltro, la situazione di questi due casi è più complessa di quanto appaia, dal momento che la costruzione delle infrastrutture per queste centrali è per lo più basata sui combustibili fossili per estrazione dei minerali e delle materie prime, trasformazione, trasporto, fabbricazione di componenti, estrazione di uranio, energia per la costruzione, e così via: “Quindi, per la maggior parte del mondo, una transizione significativa di energia è ancora una teoria più che una realtà. Ma se le attuali fonti di energia primaria sono insostenibili, da questo non deriva che ci si debba scoraggiare. La transizione verso fonti alternative deve aver luogo o il mondo non avrà energia sufficiente per mantenere i servizi di base per i suoi 6,8 miliardi di persone”, che, aggiungiamo noi, diverranno 9 miliardi nel 2050! Da qui discende che è di vitale importanza la valutazione accurata delle energie alternative secondo criteri pertinenti, e che siano formulati e finanziati piani per una transizione sistemica della società libera da petrolio, carbone e


gas naturale e tesa verso le fonti alternative di energia ritenute più capaci di fornire il tipo di benefici economici a cui siamo stati abituati con l’uso dei combustibili fossili tradizionali. Oggi è possibile usufruire di una mole di Relazioni di associazioni ed organizzazioni ambientali e Studi di analisti energetici, che dai primi anni 1970 arrivano agli attuali, nel tentativo di illuminare i percorsi di transizione energetica alternativa. Questi piani e proposte variano per numero e qualità, e soprattutto il loro successo sta nel saper individuare chiaramente i fattori che stanno limitando l’uso di specifiche fonti di energia alternativa in grado di sostituire adeguatamente i combustibili fossili tradizionali. Esaminare sistematicamente i principali fattori limitanti che sono spesso lasciati fuori da tali analisi, è l’obiettivo centrale del Rapporto: l’energia netta o l’energia restituita rispetto all’energia investita (EROEI). “Tutto considerato, quanta energia può essere prodotta da un sistema rispetto a

quella necessaria per sviluppare e gestire il sistema stesso? Qual è il rapporto energetico tra quel che viene prodotto e quello consumato?” Secondo i ricercatori si può dimostrare che alcune fonti energetiche non producono alcuna energia netta, mentre altre sono solo in minima parte positive. Il Rapporto non può considerarsi esaustivo delle opzioni energetiche disponibili, né deve essere inteso come un piano per una transizione a livello nazionale o mondiale dai combustibili fossili alle fonti alternative, che avranno bisogno di risorse istituzionali e di continua revisione. Il suo scopo ultimo è essenzialmente di individuare e spiegare i criteri principali che dovrebbero essere utilizzati in tali analisi e progetti, con particolare attenzione all’energia netta, e di offrire una valutazione sommaria delle fonti energetiche attualmente disponibili, utilizzando tali criteri. Il Rapporto fornisce una conoscenza generale e preliminare se le fonti alter-

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native sono all’altezza del compito di sostituire i combustibili fossili, e se non lo sono, si può cominciare ad esplorare quale potrebbe essere la strategia sostitutiva di Governi e Istituzioni responsabili della società moderna. La conclusione fondamentale e preoccupante del Rapporto è che sussiste poca probabilità che sia i combustibili fossili convenzionali sia le fonti alternative di energia affidabile possano essere in grado di fornire la quantità e qualità di energia che sarà necessaria per sostenere la crescita economica - o gli attuali livelli di attività economica per il resto del secolo corrente. Tale conclusione preliminare, a sua volta, suggerisce che un piano di transizione energetica ragionevole dovrà sottolineare, soprattutto, il risparmio dell’energia e solleva, inoltre, interrogativi circa la sostenibilità della crescita in sé, sia in termini di numero della popolazione umana che di attività economica.


Dal Gestore per i Servizi Energetici (GSE) un quadro esaustivo degli impianti dedicati

LE BIOMASSE E I RIFIUTI

Notevoli le differenze di distribuzione a livello regionale

Il Gestore per i Servizi Elettrici S.p.A. (GSE), che il 18 novembre con delibera dell’Assemblea degli azionisti ha cambiato la denominazione in Gestore dei Servizi Energetici S.p.A. per recepire le indicazioni della Legge 99 del 23 luglio 2009 (“Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”) che ne ha ampliato notevolmente il raggio di azione assegnandogli anche le attività di supporto alle Amministrazioni Pubbliche in campo energetico e all’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas per l’espletamento di attività di accertamento e verifica degli oneri posti a carico del sistema elettrico, ha pubblicato la 1a edizione di “Le Biomasse e i rifiuti”. Il documento fornisce un primo importante contributo di conoscenza in un settore energetico che, considerato il numero di differenti tecnologie utilizzate, si presenta particolarmente arduo da analizzare. Ai sensi della Direttiva 2009/28/CE relativa alla Promozione dell’uso di energia da fonti rinnovabili, con il termine biomasse si deve intendere “la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acqua coltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”. Curato dall’Ufficio Statistiche del GSE, il Rapporto intende fornire un quadro di riferimento delle principali caratteristiche degli impianti alimentati da biomasse e rifiuti in esercizio in Italia a fine 2008 e della loro diffusione sul territorio nazionale. Le biomasse ed i rifiuti sono stati analizzati secondo la classificazione: solidi, biogas e bioliquidi. In base a quanto stabilito dagli accordi statistici Eurostat la produzione da rifiuti solidi urbani biodegradabili è stata stimata pari al 50% dell’intera produzione da rifiuti solidi urbani. Nell’introduzione, inoltre, si mette in evidenza che nel computo della potenza, sono stati esclusi gli impianti che utilizzano prevalentemente combustibili tradizionali, la cui

produzione, tuttavia, ha concorso alla determinazione della produzione totale di biomasse e rifiuti. Dei 352 impianti (Biomasse, Rifiuti solidi urbani, Biogas e Bioliquidi), installati in Italia al 31 dicembre 2008, 110 erano alimentati da biomassa solida (65 da rifiuti solidi urbani), 239 da biogas (di cui 193 da rifiuti) e 12 da bioliquidi. In termini di potenza, su 1,55 GW installata in totale, la parte maggiore derivava da biomasse solide (1,07 GW di cui 619 MW da RSU); la potenza del biogas era di 365 MW e quella dei bioliquidi di 121 MW. In funzione della tipologia di biomassa e della tecnologia più appropriata per operarne la valorizzazione energetica, si hanno differenti soluzioni impiantistiche che formano un universo complesso da estrapolare. Dall’indagine che il GSE ha rivolto specificatamente alle tipologie in esercizio sul territorio nazionale risulta comunque che gli impianti più diffusi sono quelli: - tradizionali con forno di combustione della biomassa

Fonte: GSE

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solida; - a caldaia che alimenta una turbina a vapore accoppiata ad un generatore; - con turbina a gas alimentata dal syngas ottenuto dalla gassificazione di biomasse; - a ciclo combinato con turbina a vapore e turbina a gas; - termoelettrici ibridi che utilizzano sia biomasse sia fonti convenzionali (il caso più frequente è la co-combustione della biomassa e della fonte convenzionale nella stessa fornace; - alimentati da biomasse liquide (oli vegetali, biodiesel) costituiti da motori accoppiati a generatori (gruppi elettrogeni). Passando ai dati della produzione, nel Rapporto del GSE si evidenzia una crescita sostenuta, negli ultimi anni, della generazione elettrica da parte degli impianti denominati B.Rb.B.B. (Biomasse, Rifiuti solidi urbani biodegradabili, Biogas e Bioliquidi). La produzione complessiva di questi impianti ha raggiunto i 6 miliardi di kWh con un incremento medio annuo del 7,3% nel periodo 2004-2008, e del 9,7% nel 2008 rispetto al 2007. Se si considera un arco di tempo più lungo risulta ancora più evidente il peso acquisito da questa fonte nel sistema energetico nazionale, visto che la produzione totale degli ultimi 12 anni è aumentata del 760%, con tasso di crescita medio annuo del 21,6%. In questo stesso periodo il parco relativo agli impianti denominati B.Rb.B.B. (Biomasse, Rifiuti solidi urbani, Biogas e Bioliquidi) è cresciuto ad un tasso medio dell’11,6% per quanto riguarda il numero e del 17,2% con riferimento alla potenza installata. Come risulta evidente da quest’ultimo dato, la crescita del sistema è stata caratterizzata da una dimensione media in termini di potenza divenuta nel tempo sempre più consistente, passata da un valore di 2,6 MW del 1997 ai 4,4 MW del 2008. Per quanto riguarda il peso occupato dagli impianti B.Rb.B.B. tra le fonti rinnovabili, il dato del 2008 indica un’incidenza di questo settore del 10,3% sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Fonte: GSE

Si tratta di un valore inferiore di oltre un punto rispetto al dato del 2007 (11,4%), ma al riguardo va considerata la variabilità espressa dalla fonte idroelettrica che fornisce di gran lunga il maggior apporto tra le fonti rinnovabili (rispetto al 2007, le condizioni meteo climatiche del 2008 sono state particolarmente favorevoli ed hanno portato ad una produzione idroelettrica notevolmente maggiore). Il contributo di questi impianti si coglie meglio, pertanto, mettendo in rapporto la loro produzione con la generazione complessiva di energia elettrica nel Paese. Dal trascurabile 0,3% del 1997 si è passati all’1,9% del 2008. Il settore è andato crescendo anche nell’UE a 15, tanto che per incidenza della produzione complessiva da biomasse sulla produzione totale da fonti rinnovabili superiamo Paesi come Francia e Spagna. Degli 86,9 TWh prodotti in Europa nel 2008, il 30,3% appartiene alla Germania. Seguono con percentuali intorno all’11%, Regno Unito e Svezia. L’Italia è al 5° posto con il 6,9% della produzione totale da Biomasse, Rifiuti solidi urbani biodegradabili, Biogas e Bioliquidi. L’analisi territoriale su base regionale effettuata dal GSE mostra che, a differenza di quanto accade con altre fonti rinnovabili, gli impianti da biomasse sono presenti in tutte le regioni italiane, evidenziando i seguenti aspetti: - nell’Italia settentrionale vi sono le più alte quote di produzione realizzata, in particolare in Lombardia e in Emilia Romagna, con, rispettivamente, il 22,9% e il 14,9%; - nell’Italia centrale, il Lazio con il 4,6% mostra il valore più elevato; - tra le regioni meridionali si distinguono la Puglia e la Calabria, con quote di produzione, rispettivamente, del 13,4% e del 13,2%; - riguardo alle isole, la Sardegna si attesta sul 3,0%, mentre la Sicilia presenta un valore pari all’1,3%.

Fonte: GSE

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Il Ministero dello Sviluppo economico ha pubblicato il Bilancio Energetico Nazionale

SEMPRE PIÙ VERDI I CONSUMI ENERGETICI DEGLI ITALIANI Anche perché sono diminuiti i consumi La Direzione Generale per la Sicurezza dell’approvvigionamento e le infrastrutture energetiche del Dipartimento Energia del Ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato lo scorso dicembre 2009 il “Bilancio Energetico Nazionale 2008” che è stato messo on line nel sito www. sviluppoeconomico.gov.it. “Il dato sull’aumento dei consumi di energia da fonti rinnovabili dimostra in modo inequivocabile che il Paese risponde bene all’obiettivo che il Governo Berlusconi si è dato sin dall’inizio della legislatura per conseguire il riequilibrio del sistema elettrico, con una riduzione dei costi e minori emissioni di gas con effetto serra attraverso un mix delle produzioni di energia elettrica composto per il 25% da energia nucleare, il 25% da fonti rinnovabili e il restante 50% da fonti fossili, oggi all’83% - ha dichiarato il Ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola, ricordando di voler “garantire all’Italia energia elettrica a prezzi allineati con quelli di altri Paesi europei nel pieno rispetto dell’ambiente”. Dal Bilancio Energetico Nazionale 2008 emerge che nel 2008 i consumi energetici nazionali primari sono stati pari a 191 milioni di tonnellate

equivalenti di petrolio (tep), con una contrazione dell’1,2% rispetto all’anno precedente, evidente segno della crisi economica internazionale. I consumi di petrolio sono stati superiori ai 79 milioni di tep, quelli di gas naturale pari a 70 milioni tep, di combustibili solidi, quali carbone e coke, di poco inferiori a 17 milioni tep, di fonti rinnovabili pari a 17 milioni tep, mentre le importazioni nette di energia elettrica di 8 milioni tep. Se i consumi da fonti rinnovabili registrano un significativo incremento rispetto al 2007 (+18%), e quelli di gas sono stazionari, le rilevazioni riportano segno negativo per tutti gli altri consumi. In particolare le importazioni nette di energia elettrica denotano una contrazione del 13,5%, mentre i consumi di petrolio calano di quasi il 4% e dei combustibili solidi del 2,7%. L’analisi dei consumi finali per settore mostra nel 2008 un calo del 5,4% rispetto al 2007 per l’industria (-8,7% per i combustibili solidi; -8,1% per il gas; -3,2% per l’energia elettrica) a fronte di un consumo pari a 37,4 milioni tep; un calo del 2,7% per il settore dei trasporti (consumo pari a 43,7 milioni tep) che alla contrazione dei consumi

di petrolio del 4,3% vede una crescita molto sostenuta di fonti pulite (+347,3% i biocarburanti rinnovabili; +13,6% il gas ; +4,1% l’energia elettrica). I consumi per uso civile (45,3 milioni tep), influenzati dal clima più freddo del 2008 rispetto al 2007, sono stati in crescita del 4,8% per effetto dell’incremento dei consumi di gas (+7%), di quelli da fonti rinnovabili (essenzialmente legna e pellets +4,2%) e di energia elettrica (+2,6%), che compensano la riduzione dei consumi di combustibili solidi (-28,6%) e la sostanziale invarianza del petrolio (+0,3%). Il Bilancio Energetico Nazionale, utile monitoraggio di valenza non solo tecnica ma anche comportamentale, riporta sia dati aggregati sia di dettaglio, sia in termini di quantità fisiche che di tonnellate equivalenti di petrolio, considerando anche valori relativi alle trasformazioni delle fonti di energia, i consumi finali e la produzione effettiva delle fonti secondarie. Rispetto alle pubblicazioni degli anni precedenti sono stati assunti termini di conversione uniformi alle statistiche internazionali e ai dati di Eurostat ed introdotti maggiori dettagli per quanto concerne i dati relativi alle biomasse,

Fonte: MSE

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ora divisi tra legna per uso termico, per uso di generazione elettrica e biodiesel. Anche nel 2009, secondo le prime stime di fine anno e diramate ai primi di gennaio 2010, ottenute intersecando i risultati dell’attività di dispacciamento di Terna e quella di qualifica degli impianti per l’incentivazione fatta dal GSE-Gestore Servizi Energetici, hanno messo in evidenza una maggior produzione di elettricità da fonti rinnovabili, con un incremento del 13% rispetto al 2008, passando così da 58,16 TWh registrati a fine 2008 a circa 66 TWh stimati a fine 2009. “Il nostro obiettivo è di produrre un quarto dell’elettricità con le fonti rinnovabili - ha affermato il Ministro Claudio Scajola - per arrivarci sarà necessario ancora per alcuni anni prevedere forme di sostegno al settore per compensare i maggiori costi di queste fonti e attrarre nuovi specifici investimenti. Ma è anche necessario raggiungere una maggior efficienza con investimenti in ricerca e tecnologia”. L’accelerazione maggiore tra le fonti rinnovabili si registra ancora nella produzione di energia solare da impianti fotovoltaici, che da un anno all’altro è passata da 193 GWh a circa 1.000

GWh del 2009, con un incremento di oltre il 400%. Rilevante pure il dato di produzione del settore eolico, passato da 4.861 GWh del 2008 a circa 6.600 GWh dell’anno scorso, con un aumento del 35%. Altrettanto indicativo il dato relativo alla produzione degli impianti alimentati da biomasse: dai 5.966 GWh del 2008 si è arrivati ad una stima di circa 6.500 GWh del 2009, con un incremento del 10%. Contribuisce, infine, in maniera significativa e continuativa l’apporto dell’idroelettrico che, grazie alle opere di rifacimento delle infrastrutture esistenti e alla ottima idraulicità registrata lo scorso anno, hanno registrato un aumento della produzione del 13%, da 41.623 GWh a circa 47.000 GWh. Grazie a tali incrementi, la produzione da fonti rinnovabili ha pertanto coperto nel 2009 circa il 20% del consumo interno lordo di energia elettrica del nostro Paese, rispetto al 16,5% del 2008, dato che sconta la flessione dei consumi registrata nel corso dell’anno. “Si tratta di risultati molto significativi - ha concluso il Ministro - che confermano l’efficacia del sistema di incentivi pubblici creato nel nostro Paese per tutte le fonti rinnovabili, reso ancora

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più conveniente per i piccoli impianti dal decreto varato dal Governo a dicembre 2008. Tali risultati andranno confermati nel corso dei prossimi anni attraverso altri interventi per rendere più stabile ed efficiente il quadro complessivo di sostegno e per semplificare i processi di autorizzazione e connessione alle reti elettriche degli impianti”. In tal senso, afferma il comunicato del MSE, alcuni congrui interventi sono già stati previsti dalla Legge Sviluppo e vedranno i loro frutti già nel corso del 2010. Nei primi mesi di quest’anno, inoltre, un ulteriore contributo sarà dato dall’emanazione di una serie di provvedimenti, già messi in cantiere a fine 2009, come il nuovo “Conto energia” per il fotovoltaico e le Linee guida nazionali per l’autorizzazione degli impianti da fonti rinnovabili. Da ultimo, entro la fine del 2010 con il recepimento della Direttiva europea 2009/28/CE, attuativa del pacchetto “Clima-Energia”, potrà essere completato il quadro necessario per il raggiungimento dei target europei e, simultaneamente, data attuazione agli obiettivi fissati dal programma di Governo, al fine di ottenere, in termini di sicurezza degli approvvigionamenti e sostenibilità ambientale, un migliore mix energetico per il Paese.


RINNOVABILI 2010: ORA OCCORRE DIVENTARE PARTE INTEGRANTE DEL SISTEMA ENERGETICO di Carlo Durante Amministratore delegato di Maestrale Green Energy

Ci risvegliamo nel 2010 e pare di essere stati in un sonno profondo lungo un anno: fra finanza assente o temporaneamente indisponibile; Copenhagen che non ha dimostrato di essere all’altezza delle attese; dibattito sterile imperniato nell’alternativa inesistente fra nucleare e altre fonti energetiche, in assenza completa di una strategia energetica. Unico dato di fatto, il sostegno costante del Governo (in questo siamo bipartisan) alle rinnovabili. Il male non sta nel concetto, ma nella sua applicazione. Il che è tutto italiano. Eppure, italiani brava gente, ci adattiamo, soffrendo e muggendo, ma avanziamo. Così nel 2009 altri 1.000 megawatt di eolico sono stati installati, come pure qualche centinaio di megawatt fotovoltaici. Per la prima volta, come dicevano nel sessantotto, siamo riusciti a combattere il sistema “da dentro”. A me pare, insomma, che l’Italia abbia come al solito “perso il boom”, rinunciando alla possibile ricchezza che avrebbe significato anticipare e capire come giocare un ruolo nella fase pionieristica del settore. Abbiamo declinato all’opportunità di generare ricchezza imprenditoriale per il nostro Paese, anche se fortunatamente la tentazione di ridurre tutto a una inutile speculazione è durata solo un paio d’anni, durante i quali i soliti furbi si sono arricchiti, ma il sistema è poi andato avanti comunque, passando da una fase pionieristica a una speculativa, e da questa a una fase quella attuale, di impresa. L’economia reale, infatti, ha avuto il sopravvento sulla pletora di avventizi che hanno affollato il settore, mentre, un progressivo consolidamento industriale ha, darwinianamente, fatto crescere solo chi ha conquistato i “titoli”, premiando non chi ha intrapreso il “mordi e fuggi”, bensì chi aveva una visione di lungo termine. Manca, tuttavia, un passaggio, più importante che spieghi a cosa realmente servono le rinnovabili: renderle elemento del sistema. Finora le rinnovabili sono state viste romanticamente come elemento di innovazione, salvo a scoprire poi che la facevano gli altri (tedeschi, danesi, spagnoli, francesi) e noi gliela pagavamo, eppure cara; di tamponamento del danno derivante dalla crescente antropizzazione (la green revolution, ancora una volta schiantata dalla crescente speculazione e rigettata dalle masse che non hanno percepito altro che indebito arricchimento ai danni di chi paga la bolletta). Insomma, segno di civiltà riconosciuto nella teoria, ma detestato nel concreto, per l’effimera gloria di polemisti a gettone che all’improvviso scopriamo essere profondi conoscitori del settore, e certamente elemento ai margini

del sistema energetico. Oggi cominciano ad arrivare messaggi confortanti: dalla Spagna che per vari giorni dello scorso anno ha prodotto la maggior parte di energia proprio dalle fonti rinnovabili (eolico soprattutto), alla Germania che, da tempo ha annunciato il sorpasso degli occupati nel settore delle rinnovabili rispetto a quello automobilistico, alla Danimarca che ha fatto dell’eolico una delle proprie distintive competenze industriali. Viceversa, l’Italia ancora una volta rischia di non essere in grado di comprendere in anticipo le tendenze già in atto o, perlomeno, di “arrivare” quando altri avranno già stabilito le regole del gioco. La questione è tutt’altro che semplice perché necessita di inserire il settore delle rinnovabili nel “sistema energetico”, cioè, farlo diventare tema principale delle attività del settore nel 2010. Occorre un sostanziale ripensamento delle logiche di settore (per essere chiari del modo in cui è configurata la rete elettrica), che sconta lo svantaggio di costi che per qualche tempo ancora dovranno essere sostenuti da tariffe incentivanti che finora ha premiato, per lo più in Italia, non lo sviluppo tecnologico come è accaduto nei Paesi prima menzionati. Il settore delle rinnovabili deve poi scontare un dissenso, spesso immotivato (lo definirei “isterico”), da cui deriva anche quel fenomeno tipicamente italiano che negli ambienti finanziari internazionali va sotto il nome di “country risk”, che ha contribuito a far percepire che nel nostro Paese gli investimenti (rinnovabili o qualunque altro settore) sono fonte di rischio più elevato che altrove, per cui l’incentivazione dovrebbe risultare più appetibile. Questo è il risultato di tanti anni di compromessi, di scarsa chiarezza delle regole, quando non sono del tutto mancate. Ciò va detto perchè questa situazione coinvolge vari settori non solo quello delle rinnovabili. Parliamo quindi, di un’ “agenda 2010 per le rinnovabili”, nell’ottica di un Sistema Energetico nazionale, che deve poggiare essenzialmente su: - meccanismi di remunerazione (o incentivazione); - recepimento della Direttiva europea sulle energie rinnovabili; - sinergia tra Gestore della Rete Elettrica (Terna spa) ed Operatori; - definizione del “burden sharing” ovvero la ripartizione degli sforzi delle singole regioni per raggiungere l’obiettivo del 17% di energia consumata, proveniente da fonti rinnovabili, di cui alla Direttiva europea. Circa il meccanismo di remunerazione, è da domandarsi se, date tutte le criticità che ha presentato e continua a

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presentare, il meccanismo dei Certificati Verdi sia ancora in grado di garantire la promozione delle iniziative rinnovabili, dal momento che avrebbe dovuto incentivare la diffusione degli impianti, mentre l’attuale incertezza non li ha di certo implementati. Probabilmente, una semplificazione feed-in tariff, indicizzata ai parametri sui costi della tecnologia, in grado di garantire un livello di remunerazione dell’anno di entrata in esercizio fino all’intero periodo di incentivazione, darebbe stabilità al finanziamento da molti auspicata, magari premiando quelle soluzioni che hanno minor impatto sul territorio e sviluppando una filiera tecnologica localmente. Per quanto attiene la Direttiva europea, il suo assunto è chiarissimo: semplificazione normativa e autorizzativa; spinta sulle bioenergie; sviluppo delle infrastrutture energetiche. Non è nostro compito discuterne in questa occasione, ma credo sia importante rammentare il comunicato del Ministero dello Sviluppo Economico, diffuso recentemente, con cui il Ministero uscendo allo scoperto, fa dichiarazioni pubbliche sull’utilità e sull’importanza delle rinnovabili includendole tra i fattori alla base del mix energetico nazionale. Adesso finalmente è stata conferita concretezza e ufficialità a una politica energetica, mai apertamente dichiarata ma soltanto presunta. Che sia un’indicazione di buona speranza per un recepimento coraggioso, rapido, e magari in grado di sbloccare i ferrivecchi arrugginiti delle amministrazioni locali che tutto fanno per inceppare lo sviluppo del settore?

L’altro aspetto importante è un maggior dialogo con il Gestore della Rete Elettrica. Ormai la penetrazione dell’energia eolica nel sistema elettrico italiano, sebbene ancora minore rispetto ad altri paesi, comincia ad avere un suo peso. Il vero ostacolo che può comprometterne la crescita è rappresentato dalla Rete che, invariata in questi ultimi anni, mostra ora un’evidente difficoltà. Le infrastrutture elettriche arrancheranno nell’inseguire i nuovi impianti che continueranno ad allacciarsi: non è più possibile quindi ragionare in termini di soluzioni tampone. In Europa, i Gestori di rete di vari Paesi si consorziano per elaborare studi sulle soluzioni da definire per rendere non traumatica l’integrazione delle fonti rinnovabili, non programmabili, nel sistema elettrico. In Italia il dialogo deve ancora iniziare, mentre è preliminare ad ogni seria programmazione in merito . In fine, si deve osservare che i previsti Decreti per il burden sharing non sono stati ancora emanati mentre la scadenza del giugno 2010 per la presentazione del Piano d’Azione Nazionale è ormai, davvero, dietro l’angolo. Dovremo, forse, attendere l’esito delle Elezioni regionali di marzo per conoscere con chi bisognerà scendere a patti?

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BIODIVERSITÀ E CONSERVAZIONE

Lanciato l’Anno Internazionale della Biodiversità

LA BIODIVERSITÀ È VITA. LA BIODIVERSITÀ È LA NOSTRA VITA Molte le iniziative in programma per la tutela degli ecosistemi e dei loro servizi “La gente mi chiede: - Come possiamo proteggere la biodiversità, se dobbiamo far fronte ai crescenti bisogni umani?La mia risposta è che fino a quando non ci occuperemo dei lombrichi, degli uccelli e delle farfalle, non saremo in grado neppure di occuparci delle persone. L’idea che in qualche modo la specie umana possa soddisfare le proprie esigenze con l’annientamento di tutte le altre specie è un presupposto sbagliato: si basa sull’incapacità di scorgere come la trama della vita ci connette tutti e quanto viviamo di interazione ed interdipendenza”. (Vandana Shiva, “Gift of Food”, in Resurgence Magazine, 11 gennaio 2004, traduzione a cura della redazione)

scrissero nel 2002 la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), entro il quale ottenere una significativa riduzione del tasso di perdita della diversità delle specie e degli ecosistemi del Pianeta. Nonostante la Convenzione sia stata riaffermata nell’aprile 2009 con l’adozione della Carta di Siracusa, durante il G8 di Presidenza italiana (ndr.: vedi “Una Carta per la biodiversità”, in Regioni&Ambiente, n. 6 giugno 2009, pag. 52 e segg.), già oggi è possibile affermare che l’obiettivo, uno dei Millennium Development Goals, non sarà conseguito come ha riconosciuto nel suo videomessaggio diffuso in occasione dell’inaugurazione ufficiale, celebrata l’11 gennaio a Berlino presso il Museo di Storia Naturale, il Segretario Generale

teggere foreste, acque, barriere coralline ed altri ecosistemi”. Ciò nondimeno, non dobbiamo rassegnarci ad accettare questa situazione come ineluttabile conseguenza dello sviluppo umano, perché è importante continuare a formulare progetti e piani di conservazione che siano realizzabili e condivisi dall’opinione pubblica che, in merito, deve acquisire maggior consapevolezza. “Dobbiamo contrastare l’idea secondo la quale la gente non è in sintonia con l’ambiente naturale - ha sottolineato il Segretario generale ONU - Sono necessari nuovi obiettivi e una nuova visione, perché non è possibile continuare a credere che business as usual sia una opzione”.

Il logo dell’Anno Internazionale della Biodiversità è stato progettato per trasmettere il concetto di scoperta e quello della realizzazione. Una moltitudine di elementi simbolici iconografici sono inclusi all’interno del design per rappresentare la portata della biodiversità, includendo gli aspetti della flora e della fauna, anche marine. Insieme essi dimostrano come la biodiversità è vita e come noi individui possiamo avere un nostro posto all’interno di questo viaggio. Il logo è costituito di 3 elementi: - l’anno 2010 che incornicia il messaggio e gli elementi del logo; - gli elementi iconografici che simboleggiano la biodiversità (pesci, onde, un fenicottero, un adulto e un bambino e un albero); - il titolo del messaggio “2010 Anno Internazionale della Biodiversità”.

Le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2010 Anno Internazionale della Biodiversità (IYB), che coincide con il termine adottato dai Governi che sotto-

dell’ONU Ban Ki-moon: “Il fallimento che dobbiamo registrare nella lotta per la tutela della biodiversità è un campanello d’allarme che conduca al concreto dispiegamento di strumenti volti a pro-

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Il Cancelliere della Repubblica Federale di Germania Angela Merkel, a cui è toccata per turnazione la Presidenza della Conferenza delle Parti della Convenzione, ha ricordato a più di


400 rappresentanti dei Governi, della Società civile, delle Organizzazioni internazionali, del mondo della Scienza, Industria e dell’Economia, presenti alla cerimonia, che “la conservazione della diversità biologica ha lo stesso peso della protezione del clima. Abbiamo bisogno di invertire una tendenza, non ad un certo momento del futuro, ma immediatamente”. Le ha fatto eco il Ministro dell’Ambiente del suo Governo, Norbert Röttgen che ha sottolineato come “nel mondo i decisori politici stanno riconoscendo sempre più che la tutela della biodiversità è immensamente importante per il benessere umano, lo sviluppo economico globale e la lotta alla povertà. È giunto il momento che a queste considerazioni seguano i fatti”. Il Segretario esecutivo della CBD, l’organo a cui l’ONU ha delegato l’organizzazione dell’IYB, Ahmed Djoghaf ha accentuato ulteriormente il carattere globale del problema: “Il cambiamento climatico pone un problema reale e la diversità biologica è parte integrante della sua soluzione, perciò è una componente a pieno titolo della politica ecologica multilaterale”. Presente a Berlino, il Direttore Generale della IUNC (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura), dopo aver rammentato il quadro poco rassicurante che sottende ai dati relativi all’aggiornamento della Red List (cfr.: “Le pareti dell’Arca”, in Regioni&Ambiente, n.12 dicembre 2009, pagg. 50-51) che ci confermano che l’attuale tasso di perdita di biodiversità dovuto ad attività antropiche è mille volte superiore al tasso di perdita

naturale, Julia Marton-Lefèvre ha dichiarato che “qualora siano ben gestite, le risorse naturali sono fondamentali per lo sviluppo sostenibile, per la sicurezza alimentare di comunità in pace, per una crescita economica equilibrata e per la riduzione della povertà”. Molto atteso e di ampio respiro è risultato l’intervento di Achim Steiner, Direttore Esecutivo del Programma Ambientale dell’ONU (UNEP), che ha posto l’accento sulla rapidità con cui deve essere svolto il compito: “L’urgenza della situazione impone che, come comunità internazionale, non dobbiamo solo invertire il tasso della perdita di biodiversità, ma dobbiamo arrestarla ovunque, iniziando dal ripristino delle infrastrutture ecologiche che sono state danneggiate e degradate nel secolo scorso o giù di lì. Quindi, c’è la necessità di compiere uno sforzo scientifico, economico e politico, senza precedenti, con il coinvolgimento dell’opinione pubblica, al fine di contrastare e fermare la perdita delle risorse naturali del Pianeta”. Citando, poi, il Rapporto intermedio de “L’Economia degli Ecosistemi e della Biodiversità” (TEEB), la grande iniziativa internazionale lanciata dalla Commissione UE per richiamare l’attenzione sui benefici economici della biodiversità e i costi crescenti per la sua perdita e degrado, coordinata dall’esperto di “contabilità verde” Pavan Sukhdev (cfr.: “Una natura. Una terra. Il nostro futuro” in Regioni&Ambiente, n. 6 giugno 2008, pag. 52 e segg. e “Gli investimenti in biodiversità offrono rendimenti potenzialmente assai

elevati” in Regioni&Ambiente, n. 10 ottobre 2009, pag. 75 e segg.), Steiner ha osservato che parole come biodiversità ed ecosistemi potrebbero risultare astratte o insignificanti per la maggior parte della gente: “In realtà, il loro ruolo nell’economia mondiale e nella vita di miliardi di individui è determinante. Prendete per esempio le barriere coralline. I benefici generati da questi ecosistemi e dalla loro biodiversità sono invisibili e troppo spesso sottostimati dai responsabili economici nazionali, come altrettanto sottovalutato è il loro sostegno allo sviluppo”. Le valutazioni del TEEB, infatti, stimano in 189.000 dollari all’anno per ettaro i servizi resi dalle barriere coralline in termini di difesa delle coste e di gestione dei rischi naturali. Se si fa riferimento poi al turismo marino e subacqueo, i servizi generati in un anno per ettaro sono pari ad un milione di dollari; per prodotti biologici e materiale genetico, pari a 57.000 dollari; per la pesca 3.800 dollari. Viceversa, 1/5 delle barriere coralline oggi sono gravemente degradate o a rischio di collasso a causa delle attività umane insostenibili, quali insediamenti costieri, sovrappesca e pratiche di pesca distruttive, inquinamento. Il cambiamento climatico e l’acidificazione degli oceani, dovuti all’aumento di anidride carbonica, potrebbero causare il dimezzamento delle barriere coralline di tutto il mondo entro la fine del secolo e, forse, la loro totale scomparsa (cfr.: “Sono i coralli le specie più a rischio” in Regioni&Ambiente, n. 10 ottobre 2009, pag. 9 e segg.). “Se si inserisse il valore reale delle

Ceriagrion glabrum. Scomparsa dall’Africa mediterranea, la fotografia di questo maschio di libellula degli stagni è stata scattata in agosto 2009 a Dar es Salaam (Tanzania)

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barriere nella programmazione economica, probabilmente le scelte in termini di sviluppo, di emissioni e controllo dell’inquinamento, di gestione delle risorse, sarebbero più razionali e sostenibili - ha osservato Steiner - La situazione non è poi diversa per quel che concerne gli altri servizi ecosistemici naturali: dalle foreste e dalle risorse idriche, alle montagne e ai suoli”. Il Direttore UNEP ha ricordato che in febbraio i Ministri dell’Ambiente del Consiglio Direttivo UNEP dovranno decidere se istituire o meno un Gruppo intergovernativo sulla biodiversità e i servizi sistemici (Intergovernmental Panel or Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), perché c’è necessità di far “progredire le conoscenze scientifiche, anche per affinare la nostra consapevolezza del mondo naturale e svelare la sua complessità. Per esempio, non sappiamo ancora quante debbano essere le specie necessarie a mantenere un ecosistema in buona salute e redditizi i servizi che ci procura”. La proposta dell’IPBES è volta ad affrontare questi problemi e i Governi, secondo Steiner dovrebbero prendere

in seria considerazione tale opportunità o fornire indicazioni per soluzioni alternative, perché non è più possibile mantenere lo status quo. Mobilitare il sostegno dell’opinione pubblica dei vari Paesi, Città, Imprese e Comunità sarebbe, secondo l’UNEP, la chiave per il successo, ma per raggiungere tale obiettivo c’è bisogno di rendere più fruibili concetti come biodiversità ed ecosistemi e altri scientificamente più complessi, al fine di coinvolgere quanta più gente possibile. “ Mettere in risalto che i mezzi di sussistenza, la lotta contro la povertà, come la buona salute dell’economia, dipendono dalla biodiversità e dai sistemi naturali ha precisato Steiner - Al contempo, deve essere dichiarato con enfasi e chiarezza che esiste uno stretto legame tra i rischi connessi al riscaldamento globale e la capacità degli ecosistemi in salute di svolgere un’azione di contrasto”. Si stima in 5 miliardi le tonnellate di anidride carbonica, pari al 15% delle emissioni globali di questo potente gas climalterante, la capacità di assorbimento o sequestro ad opera delle foreste che, peraltro, imbevono e conservano l’acqua

piovana, riciclando sostanze nutritive di cui si necessita l’agricoltura. Secondo il Direttore UNEP, nonché Vice segretario dell’ONU, tra i pochi aspetti positivi che si sono registrati in Copenhagen alla Conferenza UNFCCC di dicembre, deve essere annoverato l’Accordo per la Riduzione delle Emissioni da Deforestazione e Degrado forestale (REDD), quale opzione da utilizzare per combattere il cambiamento climatico, pagando i paesi in via di sviluppo finché conservino i sistemi forestali che permettono di assorbire il carbonio che altrimenti verrebbe immesso in atmosfera. Anche gli ecosistemi marini, tra cui le mangrovie, le paludi salmastre e le praterie marine, oltre che costituire una difesa della costa e vivai per i pesci, sono in grado di assorbire il gas ad effetto serra per una quantità pari alla metà delle emissioni mondiali determinate dai trasporti (cfr.: “Carbonio Blu” in Regioni&Ambiente, n. 11 novembre 2009, pag. 12 e segg.). Un altro importante risultato, già indicato da Steiner, che sarebbe auspicabile venisse conseguito nel corso dell’IYB è l’ingresso nei bilanci nazionali dei

Gorilla Beringei beringei. I gorilla di montagna sono divenuti animali ad altissimo rischio di estinzione e ridotti a poche centinaia di individui concentrati nelle foreste equatoriali dei monti Virunga

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servizi ecosistemici della biodiversità. Quantunque il Rapporto conclusivo del TEEB sarà disponibile solo per la Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Biodiversità che si svolgerà a fine ottobre 2010 in Giappone, quanto finora prodotto dai ricercatori indica che le perdite economiche annuali a causa della deforestazione e del degrado forestale sono comprese tra 2.000 e 4.500 miliardi di dollari, che un investimento annuo di 45 miliardi di dollari per la protezione delle aree forestale viene ricompensato con un valore economico di circa 5.000 miliardi di dollari. Ci sono anche altre sfide che secondo l’UNEP possono essere affrontate nel corso dell’IYB, tra cui meritano grande attenzione le perdite economiche collegate alla specie invasive che, introdotte involontariamente tramite commerci e trasporti internazionali o deliberatamente dopo viaggi e per importazione sia di piante che di animali ovvero per compiere sperimentazioni agricole e di allevamento, stanno incidendo negativamente sulla biodiversità, attraverso la competizione, la predazio-

ne, la trasmissione di agenti patogeni e l’eliminazione di specie native, perturbando gli ecosistemi locali. Per questo, “bisogna rafforzare il sostegno al Global Invasive Species Programme - ha dichiarato Steiner - ed aumentare la capacità delle autorità doganali, specialmente quelle dei Paesi in via di sviluppo, che ospitano le fonti più ricche di materiale genetico, affinché siano messe in grado di attuare controlli serrati per evitare il propagarsi di specie aliene”. Ma solo un negoziato internazionale in materia di accesso e di condivisione dei benefici delle risorse genetiche potrebbe costituire un elemento a favore della conservazione del materiale genetico nel suo habitat naturale. Quel che si è lanciato a Berlino con lo slogan “Biodiversity is Life. Biodiversity is Our Life” è solo il primo di una serie di importanti eventi che si svolgeranno nel corso dell’International Year of Biodiversity e che avranno come epilogo e consuntivo la X Conferenza della Parti, che comprende i 193 Paesi

firmatari della Convenzione sulla Diversità Biologica, che avrà luogo dal 18 al 29 ottobre 2010 a Aichi-Nagoya. Le iniziative di sensibilizzazione avranno luogo in tutti continenti, con un raggruppamento significativo in maggio durante la Settimana mondiale della biodiversità. L’UNESCO lancerà il suo programma per l’Anno Internazionale della Biodiversità il 21 gennaio, presso la sua sede di Parigi. Organizzata dalla Spagna che detiene la Presidenza di turno del Consiglio UE, si svolgerà a Madrid il 26 e il 27 gennaio la Conferenza “Visione e traguardo post-2010 per la Biodiversità” a cui parteciperanno i Paesi membri dell’UE, Istituzioni europee e altre parti in causa. Nel corso dell’evento la Commissione UE presenterà ufficialmente la Campagna di comunicazione a sostegno dell’IYB, tesa ad avvicinare i cittadini europei al concetto di biodiversità, anche attraverso la dimostrazione dei benefici effetti che derivano dalla sua salvaguardia.

Pangasiodon Gigas. Specie endemica del bacino del Mekong, il siluro gigante per la pressione di pesca ha conosciuto dal 1990 un rapido declino tale da essere inserito nella Red List

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LʼAgenzia Europea dellʼAmbiente per lʼAnno Internazionale della Biodiversità

10 MESSAGGI PER IL 2010 L’interdipendenza del cambiamento climatico, della

biodiversità e dei servizi ecosistemici impone di affrontarli insieme

Per celebrare l’“Anno Internazionale della Biodiversità”, l’Agenzia Europea dell’Ambiente pubblicherà ogni mese, a partire dall’11 gennaio 2010 e fino al mese di ottobre, quando si svolgerà la X Conferenza delle Parti della Convenzione sul Diversità Biologica, una serie di sintetiche valutazioni tematiche sulla biodiversità: “10 messaggi per il 2010”. Il primo di questi “messaggi” tratta l’interazione tra i cambiamenti climatici e la biodiversità: la varietà della vita è alla base del nostro benessere economico e sociale e sarà sempre più risorsa indispensabile nella lotta ai cambiamenti climatici. Tuttavia i nostri modelli di consumo e di produzione stanno privando gli ecosistemi della loro capacità di resistere al cambiamento climatico e fornire servizi di cui abbiamo bisogno. Più verifichiamo i modi con cui il cambiamento climatico determina gli impatti sulla biodiversità, più diventa chiaro che non possiamo affrontare le due situazioni separatamente. La loro interdipendenza ci impone di affrontarli insieme.

0,8 °C rispetto ai livelli pre-industriali. Le aree del territorio europeo si sono riscaldate più rapidamente, con un aumento di oltre 1,2 °C. Le precipitazioni sono diminuite fino al 20% nel corso del XX secolo, ma nei Paesi dell’Europa settentrionale, le precipitazioni sono aumentate del

“Sappiamo che i prezzi di mercato debbono riflettere appieno i benefici che otteniamo da ecosistemi sani - ha dichiarato Jacqueline McGlade, Direttore esecutivo dell’AEA - Questo significa che abbiamo bisogno di capire il ruolo della biodiversità nel sostenere gli ecosistemi e le politiche che sono efficaci nella conservazione e tutela dei diversi habitat e specie, dal livello locale a quello globale”.

10 - 40%. La frequenza di condizioni meteorologiche estreme è prevista in aumento. Il livello dei mari regionali è aumentato tra 0,3 e 2,8 mm/anno, durante il XX secolo, mentre la media globale è stata di 1.7 mm/anno. Il manto nevoso in Europa è diminuito dell’1,3% per decade nel corso degli ultimi 40 anni. La durata media dello strato di ghiaccio su laghi e fiumi dell’emisfero settentrionale è andata diminuendo ad un tasso di 12 giorni ogni 100 anni. In conformità con i cambiamenti osservati di precipitazioni e temperature,

Il clima in Europa sta cambiando rapidamente Le temperature a livello mondiale sulla Terra sono aumentate in media di

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c’è la prova che i cambiamenti climatici hanno ridotto la portata d’acqua dei fiumi e la sua distribuzione stagionale in Europa, con un incremento al Nord e una diminuzione al Sud. Tuttavia, tali variazioni sono influenzate anche da interventi umani nei bacini idrografici, come l’estrazione delle acque sotterranee, l’irrigazione, la irregimentazione dei fiumi, i cambiamenti nell’utilizzo dei suoli e l’urbanizzazione. Il cambiamento climatico ha aumentato sia la frequenza che la gravità della siccità in alcune regioni, anche se la tendenza non è generalizzata in Europa nel suo complesso. Il cambiamento climatico influenza le specie in numerosi modi Il cambiamento climatico agisce sulla biodiversità attraverso una complessa interazione delle specie e dei loro habitat. Sia la struttura degli habitat che le loro funzioni ecologiche cambieranno nel corso di un nuovo regime climatico. Ma il movimento di specie all’interno o all’esterno di una comunità riguarda sia gli elementi fisici dell’ecosistema che le altre specie. Le modifiche alle condizioni e risorse locali, quindi, influenzano la capacità di una specie di sopravvivere. Se una specie non può più sopravvivere in un ecosistema ha due opzioni: diffondersi abbastanza rapidamente in un habitat accessibile e adatto a ricollocarsi o allontanarsi gradualmente per estinguersi alla fine. Direttamente o indirettamente, il cambiamento climatico può produrre una varietà di effetti sulle popolazioni, tra cui: • cambiamenti nella loro distribuzione: a causa della perdita di habitat; • cambiamenti in quantità: contrazione od espansione, in base alla loro


capacità di dispersione; • cambiamenti fenologici: modifiche nei tempi del ciclo di vita; • cambiamenti ecologici: disadattamenti delle specie in relazione a modifiche del ciclo di vita e delle risorse alimentari; disaccoppiamento del rapporto predatore-preda; nuove invasioni e ulteriore diffusione invasiva di specie aliene. Nel quadro di un nuovo regime climatico, quindi, gli individui di alcune specie possono essere in grado di colonizzare nuove e più adatte aree. Ma una varietà di fattori potrebbero limitare la disponibilità o l’accessibilità di tali zone, tra cui il cambio d’uso dei terreni e la frammentazione, le modifiche idrologiche e la nitrificazione, il livello del mare. Il ritrovarsi insieme di nuove specie e il cambiamento nella relativa abbondanza delle popolazioni sono eventi attesi per alcuni ecosistemi. Si osserveranno cambiamenti nella composizione delle specie, nella struttura degli habitat e nel funzionamento degli ecosistemi e, al contempo, potrebbero essere influenzata la resilienza degli ecosistemi e i servizi che apportano all’umanità. Ora c’è la prova evidente che il cambiamento climatico sta avendo un vero e proprio impatto sulle specie europee Vi è un crescente consenso scientifico che i cambiamenti indotti dal clima sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici si stanno già verificando. Questo aiuta

a aumentare la consapevolezza degli impatti attuali e di quelli previsti. La misurazione e l’osservazione degli impatti del cambiamento climatico a scala continentale sarà una notevole sfida. Tali prove saranno, inoltre, molto preziose per accrescere la consapevolezza dell’utilità degli attuali indicatori, basati su programmi di monitoraggio, e delle proiezioni che consentono di anticipare la distribuzione di specie e habitat nei futuri scenari climatici. Un indicatore basato sulla popolazione osservata di 122 specie di uccelli comuni in 18 Paesi europei in termini di mutamenti climatici mostra che l’impatto del rapido cambiamento in Europa negli ultimi 20 anni ha avuto una forte incidenza su tali popolazioni di uccelli: 3/4 sono diminuite e 1/4 ne ha beneficiato. Il regolare monitoraggio di farfalle in tre paesi (Finlandia, Paesi Bassi e Regno Unito) e una regione (Catalogna), e le analisi dei cambiamenti climatici sulle farfalle durante il periodo 19902005, ha mostrato una significativa tendenza verso una maggiore percentuale di specie “calde” rispetto a quelle “fredde”. Il cambiamento climatico sta avendo un impatto anche sulle specie vegetali. Le piante alpine rappresentano una larga percentuale della diversità di piante indigene europee: circa il 20% di tutte le piante indigene vascolari si trovano essenzialmente all’interno della fascia alpina, che copre solo il 3% del continente. Le piante alpine sono un gruppo

indicatore sensibile e vulnerabile a livello mondiale degli impatti del global warming perché in alta quota, dove c’è scarso o nessun uso del suolo, il cambiamento climatico è uno dei principali motori degli adeguamenti osservati sulla composizione delle specie. Osservazioni compiute in Austria mostrano chiaramente uno spostamento degli impianti verso altitudini superiori e i risultati preliminari di altre misurazioni indicano tendenze similari anche in altre catene europee. Uno spostamento verso l’alto delle zone di vegetazione indotto da un riscaldamento di 3 °C di riscaldamento (corrispondente a circa 460 m di altimetria, assumendo una variazione di temperatura di 0,65 °C ogni 100 m), potrebbe associarsi, quindi, ad una drastica perdita di biodiversità nel lungo periodo, allorché molte attuali zone alpine potrebbero convertirsi in foreste alpine e subalpine. Le specie endemiche sono spesso limitate alle alte quote e quindi possono essere particolarmente vulnerabili agli impatti provocati dal riscaldamento. Anche specie protette e tipi di habitat sono vulnerabili al cambiamento climatico La Direttiva “Habitat” richiede la regolare valutazione e segnalazione dello stato di conservazione del 1.500 specie e habitat di particolare interesse inclusi negli allegati I, II, IV e V. Tali valutazioni evidenziano le principali minacce a tali habitat e specie.

Gallotia intermedia. Specie endemica delle isole Canarie, la lucertola a pois è ormai divenuta rarissima e difficile da incontrare.

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Nel 2008, dalle prime relazioni da parte dei Paesi membri, in base alla Direttiva, è emerso che il 19% degli habitat e il 12% delle specie di interesse europeo sono potenzialmente minacciati dal cambiamento climatico nella loro naturale distribuzione europea. Torbiere, paludi e acquitrini sono i tipi di habitat più vulnerabili, fino al 50% di loro ne sono influenzati negativamente. Ciò è particolarmente preoccupante perché torbiere e paludi sono depositi di carbonio estremamente importanti e il loro degrado rilascia gas a effetto serra in atmosfera. Dei gruppi di specie, i più colpiti sono gli anfibi con il 45% delle specie influenzate negativamente dal cambiamento climatico. Gli habitat e le specie protette dalla Direttiva “Habitat” sono ampiamente distribuiti in tutta Europa. La creazione di “infrastrutture verdi” - definite come “approcci per la gestione sostenibile del paesaggio, che sono in grado

di sostituirsi ai processi naturali e di aumentare la resilienza degli ecosistemi” è un modo per mantenere o ripristinare un ambiente a mosaico, consentendogli di mantenere le loro distribuzioni. Per evitare l’estinzione di specie regionali e locali, dovranno esser compiuti sforzi per ripristinare i tipi di habitat semi-naturali e gli habitat delle specie protette, e per gestire i Siti di Natura 2000 e una campagna più ampia in modo appropriato. Un approccio ecosistemico alla gestione del territorio e del mare è fondamentale per mitigare il cambiamento climatico e aiutare le società umane ad adattarsi ai suoi impatti Ora c’è una crescente evidenza che gli ecosistemi in buona salute possono attenuare significativamente gli effetti della cambiamento climatico e aiutare le società umane adattarsi.

La biodiversità e gli ecosistemi forniscono ombra, frescura e acqua; riducono la velocità del vento, l’erosione e lo scorrimento dell’acqua; regolano il ciclo del carbonio e dell’azoto; forniscono risorse genetiche per l’adattamento ambientale. Un recente documento di discussione da parte della Commissione UE, dal titolo “Verso una strategia per il cambiamento climatico, i servizi degli ecosistemi e della biodiversità”, riassume perfettamente queste complesse relazioni: • I cambiamenti nella struttura, funzione e composizione degli ecosistemi ha effetti sull’intera salute del nostro ambiente. • Gli ecosistemi terrestri e marini attualmente assorbono circa la metà delle emissioni CO2 di origine antropica, che li rende preziosi per la loro capacità di cattura e stoccaggio del carbonio. Il degrado e la distruzione degli ecosistemi può rilasciare

Papilio macaon. Pur essendo comune in gran parte d’Europa, il macaone è una delle farfalle più a rischio.

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significativi volumi di gas ad effetto serra e l’acidificazione del mare può determinare una riduzione del calcio in organismi come le colonie di corallo. È sempre più evidente che la capacità dei pozzi di carbonio della Terra è in calo a causa sia del riscaldamento globale sia del degrado degli ecosistemi causati da altri fattori di stress. • Il degrado degli ecosistemi, unitamente al cambiamento climatico, riduce significativamente la loro resistenza e capacità di rispondere alle future sollecitazioni. Recenti studi mostrano il ruolo fondamentale degli ecosistemi indisturbati nel bilancio del carbonio e il loro potenziale nel mitigare gli effetti dei gas ad effetto serra. Essi indicano anche come alcuni ecosistemi possono trasformarsi in vuoti serbatoi di carbonio, se degradati. La salvaguardia degli ecosistemi, quindi, è di vitale importanza per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico. Ciò si applica a tutti i livelli, dal globale al continentale, al nazionale, al regionale e al locale. Ed è particolarmente importante per i gruppi più vulnerabili di persone e specie. Dalla consapevolezza politica all’azione È incoraggiante che l’importanza della biodiversità per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico e sia stata recentemente riconosciuta al più alto livello politico. Nel marzo del 2009, un gruppo di lavoro ad alto livello sui futuri obiettivi globali per la biodiversità ha sottolineato che, mentre gli ecosistemi sani immagazzinano il carbonio, se degradati o distrutti lo rilasciano sotto forma di biossido di carbonio. Collegare le agende di biodiversità e cambiamento climatico dovrebbe essere, quindi, una priorità per ogni politica quadro sulla biodiversità post-2010. Nella stessa ottica, la Conferenza ad alto livello della Commissione UE su

“La tutela della biodiversità - oltre il 2010. Priorità ed opzioni per la futura politica dell’Unione europea”, tenutasi nel mese di aprile 2009, ha preso atto che non possiamo risolvere la perdita di biodiversità, senza affrontare il cambiamento climatico e viceversa. Abbiamo quindi bisogno di conseguire una “triplice vittoria”: tutela e ripristino degli ecosistemi e, quindi, sia la mitigazione al cambiamento climatico che l’adattamento ai suoi effetti. Ciò presuppone che le misure per il clima siano pienamente compatibili con le politiche per la tutela della biodiversità. Nella “Carta di Siracusa sulla biodiversità” i Ministri dell’Ambiente dei Paesi del G8 e di altri Paesi hanno espresso forte preoccupazione che la perdita della biodiversità che farà diminuire le scorte di cibo e di acqua, ostacolando gli sforzi di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, e minaccerà i processi economici globali. Questa consapevolezza politica ha portato a concrete proposte di azione. Esempi-chiave a livello europeo includono il Piano d’azione per la biodiversità della Commissione UE del 2006, dove si sottolinea l’importanza di mantenere e ripristinare l’integrità degli ecosistemi e di implementare le “infrastrutture verdi”. Nel Libro Bianco “Adattarsi al Cambiamento Climatico: verso un quadro d’azione europeo”, (ndr.: vedi Regioni&Ambiente, n. 5 maggio 2009, pag. 6 e segg.) la Commissione UE ha sollecitato a compiere gli sforzi per aumentare la resilienza della biodiversità e degli ecosistemi. Vi si elencano idee concrete per l’azione quali la resistenza al clima dei piani di gestione dei bacini idrografici (RBMP), l’esame delle modalità per migliorare la capacità degli ecosistemi di stoccare l’acqua, la stesura di linee guida per gestire l’impatto del cambiamento climatico sui Siti di Natura 2000. Il Gruppo di Esperti Tecnici della Convenzione sulla Diversità Biologica che

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ha lavorato su Biodiversità e Cambiamento climatico, ha concluso che il ruolo della biodiversità e dei connessi servizi ecosistemici dovrebbe essere riconosciuto attraverso l’adozione di una gestione di adattamento basata sugli ecosistemi. Simili approcci possono offrire molteplici vantaggi per la biodiversità e la società, tra cui il migliorato controllo delle inondazioni, il rafforzamento del sequestro e stoccaggio del carbonio e il supporto per i mezzi di sussistenza locali. Ora è indispensabile che la consapevolezza politica dell’interdipendenza del cambiamento climatico e della protezione della biodiversità si traduca in azioni concrete a livello globale, regionale e nazionale. Massimizzare le sinergie tra i due campi richiede tre tipologie di azioni: • Mantenere e ripristinare la biodiversità e gli ecosistemi, che sono alla base della nostra resistenza e capacità di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico. Ciò presuppone la costruzione di “infrastrutture verdi”. • Sviluppare un quadro politico che riconosca l’interdipendenza del cambiamento climatico, della biodiversità e dei servizi ecosistemici. Un simile quadro dovrebbe agevolare l’interazione tra vari settori come agricoltura, forestazione ed imprese, e, inoltre, un ulteriore sostegno alla ricerca. • Utilizzare questa quadro intersettoriale per la progettazione e l’implementazione di azioni concrete basate sugli ecosistemi. Per esempio, sviluppare un sistema semplice di difesa costiera, nonché il mantenimento e ripristino delle pianure alluvionali, della copertura vegetale e delle infrastrutture verdi.


UNO SPAZIO DEDICATO A...

Emilia-Romagna

DAI TERRITORI UNA SPERANZA PER IL CLIMA di Lino Zanichelli Assessore all’Ambiente e Sviluppo sostenibile

Non solo le potenze mondiali. Non solo i movimenti che hanno espresso la rabbia dei paesi più poveri. Copenhagen ha ospitato un’altra compagine, “silenziosa” ma molto attiva nell’assumere impegni a favore del clima. Mi riferisco agli incontri delle Regioni Europee per l’Ambiente e la Sostenibilità, tra cui l’Emilia-Romagna, appartenenti alla Rete ENCORE, che si sono riunite a confrontare le strategie locali sui cambiamenti climatici e sono arrivate ad una intesa per programmi d’azione coerenti con il protocollo di Kyoto e gli orientamenti dell’UE. In quei giorni abbiamo deciso in sostanza di condividere e promuovere sui nostri territori alcune importanti misure di adattamento e mitigazio-

ne, facendone leva per lo sviluppo economico sostenibile. I progetti su cui lavoreremo con i partner europei hanno al centro la tutela del suolo, la qualità dell’aria e delle risorse idriche, la biodiversità. Ricordo che proprio il 2010 è l’Anno dedicato al tema della Biodiversità, che rappresenta uno dei più importanti indicatori del benessere ambientale del pianeta. Oltre al lavoro dei rappresentanti regionali, i giorni della Conferenza danese hanno visto l’impegno di numerosi altri soggetti: dai Comuni europei ed italiani raccolti nella rete di Agenda 21, che hanno prodotto un Manifesto delle città per il clima, ai Volontari delle Guardie Ecologiche di Modena che tutelano le foreste del

Zanichelli assieme ai due co-presidenti di ENCORE e ai relatori dell'incontro delle Regioni a Copenhagen

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Costarica dal turismo di massa, alle Imprese che hanno investito nelle politiche “carbon zero” e hanno proposto le loro iniziative. Purtroppo, i problemi di sicurezza del Vertice hanno portato ad una progressiva riduzione degli accessi e dei pass, escludendo molti livelli istituzionali inferiori ed organizzazioni non governative. Anche per questo motivo non possiamo essere soddisfatti degli esiti di Copenhagen. Quanto alla posta in gioco più alta, sappiamo come la sfida del Presidente Obama sulla sanità abbia rallentato negli Stati Uniti il varo delle politiche sul clima e come i paesi “emergenti” abbiano resistito alle richieste di farsi carico dei loro costi ambientali. L’Europa, da parte


sua, ha tenuto le sue posizioni avanzate, ma ha dimostrato ancora una volta di avere poco peso politico sulla scena mondiale e il governo italiano non ha brillato per iniziativa. Eppure le previsioni scientifiche sono quelle di un ulteriore innalzamento delle temperature nel corso del 2010 e dei conseguenti squilibri nell’ecosistema. Il contesto di riferimento, insomma,

non è cambiato e le calamità piccole e grandi che continuano a tormentare il pianeta ci impongono di non stare fermi. In Emilia-Romagna stiamo facendo la nostra parte e i programmi per la qualificazione delle attività produttive ed agricole, per l’energia e la mobilità sostenibile, sono lì a testimoniare che siamo in campo, con la predisposizione di un pacchetto di

interventi, che utilizza gran parte dei fondi europei a nostra disposizione, che ha permesso di avviare l’“economia verde” sul nostro territorio a beneficio di tutto il sistema produttivo e che sta già determinando ingenti riduzioni di CO2 e un calo complessivo delle emissioni.

REGIONE EMILIA-ROMAGNA - AZIONI TRASVERSALI PER IL CLIMA E L’AMBIENTE - RISORSE PUBBLICHE PROGRAMMATE 2007-2013 PROGRAMMAZIONI 2007-2013

IMPORTI (IN MEURO)

FONDI STRUTTURALI - POR

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SOSTENIBILITA’ DEL SISTEMA PRODUTTIVO/ AREE ECOLOGICAMENTE ATTREZZATE/ RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE DELLE IMPRESE

PIANO DI SVILUPPO RURALE - PSR

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MIGLIORAMENTO AMBIENTE E PAESAGGIO/ VALORIZZAZIONE FORESTE/ STRATEGIE LOCALI

PIANO ENERGETICO REGIONALE - PER

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RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA EDIFICI / ACCORDI PER LA MOBILITA’/ RICERCA

MOBILITÀ SOSTENIBILE – FAS (PROGRAMMA ATTUATIVO RER)

130

AMBIENTE – FAS (PROGRAMMA ATTUATIVO RER)

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AMBIENTE – FAS (RISORSE NAZIONALI)

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TOTALE

RAFFORZAMENTO E ADEGUAMENTO TRASPORTO FERROVIARIO E COLLETTIVO RISORSE IDRICHE / SICUREZZA DEL TERRITORIO / AREE NATURALI/ RIDUZIONE RIFIUTI PROGETTO STRATEGICO VALLE PO/ RISORSE IDRICHE/ BONIFICA

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A COPENHAGEN LA PARTECIPAZIONE DELL’EMILIA-ROMAGNA IN RETE CON LE REGIONI EUROPEE Cresce una cooperazione dei territori che produrrà risultati tangibili per contrastare i cambiamenti climatici. Nel corso del summit mondiale sul clima di Copenhagen alcune importanti Regioni europee della Rete ENCORE per l’ambiente (ne associa ben 108), tra cui l’Emilia-Romagna, hanno firmato una Dichiarazione in cui si impegnano a condividere e promuovere sui rispettivi territori misure di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici, facendone leva per lo sviluppo economico sostenibile e per il benessere ambientale del pianeta. Questo grazie a esperienze e progetti che hanno l’obiettivo di tutelare le risorse idriche - quale il recente progetto Watercore che sarà avviato nelle prossime settimane - il suolo e la qualità dell’aria. Un altro esempio concreto di questa cooperazione è l’intesa raggiunta con il presidente della Regione francese dell’Aquitania, Alain Rousset, che Lino Zanichelli ha incontrato durante i lavori del Summit. Si tratta di un progetto di cooperazione interregionale che impegnerà l’Emilia-Romagna e, tra le altre, il Galles, l’Aragona e la Catalogna, a realizzare interventi di forestazione e dunque di incrementare le superfici boscate secondo precise finalità: cattura di CO2, tutela della biodiversità, prevenzione e contrasto ai fenomeni dell’erosione e della desertificazione, ripristino dei cicli idrogeologici e, non ultima, valorizzazione economica dei prodotti biologici locali. L’esperienza e le politiche della Regione Emilia-Romagna per lo sviluppo sostenibile e per il clima sono presenti nella pubblicazione dell’Organizzazione non Governativa RTCC (Responding to climate change) che, sin dalla COP 6 del 2000, divulga gli atti delle conferenze mondiali sull’ambiente. Tale pubblicazione è sul sito dell’RTCC ed è stata distribuita in 15.000 copie ai partecipanti accreditati del Summit di Copenhagen.

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EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ

Al posto del bollo una tariffa per chilometri percorsi

OLANDA PER UN MODO PIÙ EQUO DI FAR PAGARE LA MOBILITÀ

Un sistema GPS su ogni veicolo determinerà l’ammontare della tariffa

Si sta già infiammando il dibattito, e non solo nei Paesi Bassi, a seguito della decisione del Governo olandese di abolire la tassa di immatricolazione (TI), corrispondente alla nostra Imposta Provinciale di Trascrizione, e la tassa annuale di circolazione (TAC), il famoso “bollo” che in Italia è la Tassa Annuale di Proprietà, per sostituirlo con una tariffa per ogni chilometro guidato. Il Piano, adottato con un disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri alla fine del 2009, dovrebbe iniziare nel 2012, qualora convertito dal Parlamento, con l’introduzione di una tariffa media di 3 centesimi di euro per chilometro percorso che salirà progressivamente a 6,7 centesimi di euro nel 2018 e che sarà maggiorata qualora non riuscisse

a modificare le abitudini dei possessori di autoveicoli. Dai dati forniti dal Ministero dei Trasporti, viaggiare da Amsterdam ad Eindhoven e ritorno (una distanza di circa 250 Km) nel 2012 costerà al conducente di una berlina standard 7,5 euro, ma sono previste maggiorazioni nelle ore di punta, in base al tipo di carburante utilizzato e al modello di auto in termini di efficienza energetica. Un pagamento alternativo è pure previsto per i veicoli stranieri. Ovviamente, trasporti pubblici e taxi ne saranno esenti, come pure le auto di disabili e i motocicli. Il Piano ha avuto una lunga gestazione, avendo iniziato il suo percorso più di 10 anni fa, allorché ci si rese conto che le strade del Paese erano intasate di auto e mezzi di

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autotrasporto, anche per la posizione geografica che ne fa il crocevia di importanti infrastrutture di trasporto stradale e marittimo, con conseguenti ingorghi che fanno aumentare i tempi di percorrenza e l’inquinamento atmosferico. In particolare, la “Regio Randstad” (conurbazione di 17 città, tra cui Amsterdam, Rotterdam, Utrecht, dove vivono 6 milioni di abitanti con una densità di 1.000 ab/kmq) presenta livelli di PM10 ben superiori ai limiti consentiti dalla Direttiva europea sulla qualità dell’aria (1999). A seguito dell’approvazione da parte della Commissione UE della nuova Strategia europea sulla tassazione delle auto (2002) in cui si suggerisce che la tassazione delle auto private sia direttamente legata alle loro emissioni di anidride carbonica e della proposta di Direttiva (2006) per l’armonizzazione delle tasse sull’auto basato sul livello delle emissioni, il Governo olandese ha premuto sull’acceleratore, nell’intento di adottare misure che consentano di ridurre il numero delle auto che percorrono le strade dei Paesi Bassi, forte anche di un’opinione pubblica sensibile alle conseguenze del global warming e del paventato innalzamento degli oceani, dal momento che gran parte del territorio si trova sotto il livello del mare, rischiando di finire, tra i primi in Europa, sott’acqua. Secondo il Ministero dei Trasporti, il Piano a regime dovrebbe comportare: - un calo del traffico del 15%; - una riduzione degli ingorghi nelle ore di punta del 50%; - una percentuale inferiore del 7% in termini di mortalità da incidenti; - un taglio delle emissioni di anidride carbonica, pari al 7%. Ogni veicolo sarà dotato di un dispositivo GPS (Global Positioning System), prevedendo la multa per chi guiderà un’auto che ne sarà priva, che invierà i dati del monitoraggio su strade, distanze ed orari di percorrenza ad un’Agenzia di fatturazione. “La privacy degli utenti della strada sarà salvaguardata - ha fatto sapere il Ministro dei Trasporti Camiel Eurlings - Le informazioni raccolte saranno legalmente e tecnicamente protette e i dati raccolti non potranno essere accessibili e utilizzati dal governo per altri scopi”. Il Ministro spera che i pendolari di fronte al rischio di pagare una tariffa elevata optino a favore del car-pooling o della bicicletta per andare al lavoro. “L’obiettivo è di pagare in modo diverso e più equo la mobilità - ha aggiunto il Ministro - con un positivo riscontro sul reddito della maggior parte delle famiglie”. Secondo i calcoli del Governo il 60% delle famiglie ne sarà avvantaggiato, senza contare, poi, che le entrate fiscali che ne deriveranno andranno a favore del miglioramento delle

infrastrutture stradali e ferroviarie. L’idea di introdurre tasse sulla base dei chilometri percorsi funziona già a Singapore e lo Stato dell’Oregon negli USA aveva avviato nel 2001 un progetto pilota per introdurre una tassazione in base al carburante consumato e all’orario del viaggio. Il Dipartimento dei Trasporti dell’Oregon ha stilato in merito un Rapporto sull’esperimento che testimonia il successo dell’iniziativa giudicata positiva dal 91% di coloro che hanno partecipato alla sperimentazione. In più: - il pagamento è più semplice; - l’evasione fiscale è impossibile; - i costi generali del sistema sono bassi. C’è da osservare che gli obiettivi dell’Oregon erano rivolti, più che a salvaguardare l’ambiente, a mantenere le entrate fiscali, dal momento che le entrate statali derivanti dai carburanti per autotrazione tenderanno a diminuire con l’aumento dell’efficienza energetica dei veicoli e del numero di quelli bi-fuels. Naturalmente, come si accennava, il Piano olandese ha già suscitato reazioni critiche, da parte di chi paventa minori entrate pubbliche e maggiori costi per le imprese, ovvero entusiastiche, ad opera di coloro che intravedono maggiore equità e sostenibilità in un piano di mobilità. Il modello olandese è guardato con grande attenzione dai vicini Belgio e Germania, dove il dibattito è già molto acceso e ci sono interrogazioni a livello europeo (?). Di certo, anche questo sistema non è immune da critiche, ma ci sembra che i difetti siano di gran lunga inferiori ai vantaggi. Ci permettiamo, inoltre, di porre degli interrogativi ai più accaniti detrattori di una simile iniziativa: - quando si ritiene che debba essere applicato il principio base della governance ambientale dell’UE, “chi inquina paga”?; - con quali altre modalità o piani si crede di poter ridurre la produzione delle emissioni, dannose per il clima e la salute, derivanti dai trasporti privati?; - si reputa equo che il proprietario di un’auto che percorre 500 chilometri all’anno paghi tasse come chi ne guida una per 50.000?. Ovviamente, non vale la pena tentare di dare risposte, se si è convinti della necessità di salvaguardare, comunque, la produzione delle auto tout court!

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QUALITÀ E AMBIENTE

Vademecum del Dipartimento Energia - Ministero Sviluppo Economico

“EFFICIENZA ENERGETICA DEGLI IMPIANTI DI RISCALDAMENTO”

Determinante per il conseguimento della “tripla 20” europea il ruolo dei settori non coperti da ETS

ogni due anni delle caldaie, così come previsto dalle vecchie norme (DPR n.412/93), magari con la complicità delle Amministrazioni Regionali e Provinciali che non abbiano modificato le tempistiche o abbiano adottato deliberazioni più stringenti rispetto a quelle minime previste, “in relazione a loro valutazioni e specificità territoriali” (?)

Il Rapporto “Greenhouse Gas Emission Trends and Projection in Europe 2009” che l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) ha pubblicato in vista della Conferenza di Copenhagen, nel sottolineare che l’UE è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi di Kyoto, evidenzia che le riduzioni nel periodo 2008-2012 saranno realizzate se “i Governi degli Stati membri si concentreranno sulla riduzione delle emissioni nei settori non coperti dal sistema ETS (per esempio, trasporti, abitazioni ed agricoltura)”. In tale contesto hanno un peso non indifferente anche i sistemi di riscaldamento domestico che debbono essere efficienti per apportare un contributo significativo alla lotta al global warming. Va in questa direzione l’azione intrapresa dal Ministero dello Sviluppo Economico co che ha aperto un tavolo di confronto a livello nazionale con le Associazioni dei Consumatori e con le Associazioni degli operatori del settore installazione e manutenzione impianti termici per promuovere una campagna informativa, al fine di stimolare comportamenti consapevoli per la valorizzazione dell’impiego dell’energia, per la riduzione delle emissioni inquinanti in atmosfera, nonché per la corretta attuazione del D. Lgs. n. 192/2005, attuativo della Direttiva 2002/91/CE, su controlli e manutenzione degli impianti, che, inoltre, hanno assunto nel tempo costi sempre più onerosi per le famiglie. Così, il Dipartimento Energia del Ministero, in collaborazione con ADICONSUM, Federconsumatori, Assotermica, Confartigianato e CNA, ha pubblicato il vademecum “Efficienza Energetica degli Impianti di Riscaldamento. Istruzioni per il cittadino” che contiene poche semplici indicazioni, utili nell’ottica di una sempre maggiore sicurezza e regolarità di funzionamento delle caldaie (dall’acquisto dell’impianto ai controlli sull’efficienza energetica) fino al servizio di accertamento e ispezione svolto dalla pubblica Amministrazione. Di rilievo, lo scadenzario inserito chiarisce che, sulla base di quanto affermato nel suddetto Decreto Legislativo in merito all’evoluzione tecnologica intervenuta nelle pompe a calore, è richiesta una minor frequenza nella manutenzione e /o controlli delle caldaie, in particolare di quelle con impianti autonomi a gas con potenza inferiore a 35 kW. Tale indicazione dovrebbe fugare la diffusa disinformazione od omissiva informazione, non disinteressata, di molti operatori che hanno continuato a sostenere il controllo e/o la manutenzione annuale e il controllo combustione (i fumi)

EFFICIENZA ENERGETICA DEGLI IMPIANTI DI RISCALDAMENTO ISTRUZIONI PER IL CITTADINO La scelta attenta degli impianti di riscaldamento delle abitazioni, in particolare della caldaia, e il loro mantenimento in efficienza assicura, nel corso degli anni, costi di gestione e bollette energetiche più bassi, minori consumi e inquinamento, regolarità di funzionamento e maggiore sicurezza per le nostre case. m La normativa in materia di efficienza energetica degli edifici (D. Lgs. n. 192/2005), definisce un sistema di regole finalizzate ad assicurare le migliori prestazioni energetiche degli impianti termici e richiama i principali riferimenti per garantirne la sicurezza e la funzionalità nel tempo. Ferma restando l’opportunità di affrontare le problematiche inerenti la riqualificazione energetica sotto la guida di un tecnico competente (soprattutto a livello di condominio) che, con una sua valutazione o una diagnosi energetica, possa individuare gli interventi più opportuni e più remunerativi da realizzare (anche attraverso l’utilizzo delle fonti rinnovabili), si riportano alcuni consigli e i principali adempimenti da ricordare per la migliore gestione degli impianti di riscaldamento. 1. Acquisto della caldaia Per un comportamento più consapevole che possa privilegiare l’acquisto di caldaie più efficienti con i minori oneri di esercizio e manutenzione è necessario che il cittadino: • sappia che la normativa vigente richiede, in ogni caso, l’installazione di caldaie con un rendimento superiore ad una ben determinata soglia: alta efficienza (D.P.R. n. 59/2009, art. 4 commi 5-7), che nella generalità dei casi si traduce in una attribuzione di marcatura 3 e 4 stelle; • si informi direttamente presso l’installatore sulle necessità e sulla frequenza di manutenzione del proprio impianto, in particolare della caldaia che va ad installare, e legga preventivamente le specifiche informazioni riportate nel

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sentire, a parità di efficienza energetica, importanti risparmi economici nella gestione degli impianti di riscaldamento. 2. Controlli per l’efficienza energetica dell’impianto di riscaldamento Per assicurare il miglior esercizio, i cittadini devono provvedere a far eseguire i controlli per l’efficienza energetica sui loro impianti di riscaldamento secondo le scadenze temporali secondo la tabella. Per svolgere i controlli per l’efficienza energetica il cittadino deve rivolgersi ad un tecnico abilitato che esegue tali attività nel rispetto delle regole dell’arte e della normative vigenti. Al termine delle operazioni di controllo ed eventuale manutenzione, il tecnico abilitato ha l’obbligo di redigere e sottoscrivere un rapporto di controllo tecnico conformemente ai modelli previsti dalle norme, di consegnarlo al richiedente e di trasmetterne copia all’autorità competente a cui è demandato lo svolgimento degli accertamenti e delle ispezioni che la Pub* Le tempistiche indicate sono quelle minime obbligatorie; le Amministrazioni regionali, in relazione a loro valutazioni e specificità territoriali, possono renderle più stringenti. blica Amministrazione deve svolgere. Il richiedente deve conservare il predetto rapporto congiuntamente al libretto di libretto d’uso e manutenzione a corredo della caldaia stessa (questa consultazione può essere svolta anche sul impianto (impianto autonomo) o di centrale (impianto condominiale). Su questi libretti, che costituiscono una sorta di sito internet del fabbricante); “carta di identità” dell’impianto di riscaldamento, vengono • si informi in merito alla disponibilità di incentivi e detra- annotati anche i risultati delle ispezioni svolte dalla Pubblica Amministrazione. zioni fiscali.

Questi suggerimenti sono importanti per due ragioni: - quanto di seguito riportato è valido per i controlli di efficienza energetica, mentre per la sicurezza e funzionalità dell’impianto, dei suoi componenti, tra questi anche le caldaie, le tempistiche per la manutenzione sono riportate dal fabbricante nei libretti d’uso e manutenzione; - un confronto tra le diverse necessità e tempistiche di manutenzione definite dai fabbricanti di caldaie può con-

3. Servizio di accertamento e ispezione svolto dalla Pubblica Amministrazione Le Province e i Comuni, con il coordinamento delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, svolgono gli accertamenti e le ispezioni finalizzati al rispetto delle norme per l’efficienza energetica nell’esercizio e manutenzione degli impianti di riscaldamento. Le predette Amministrazioni possono delegare l’operatività delle predette attività a enti e organismi esterni qualificati.

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Il 70% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico. È quanto emerge dal Rapporto Ecosistema Rischio 2009

FRANE E ALLUVIONI, LA MAPPA DELLʼITALIA A RISCHIO E la prevenzione? Oltre un comune su quattro non fa nulla per prevenire i danni di frane e alluvioni di Silvia Barchiesi

Dopo un anno costellato da tragedie, come quella di Messina lo scorso ottobre o come quella di Ischia, a poco più di un mese di di distanza, parole come “frana”, “dissesto del territorio” e “rischio idrogeologico” assumono un tono ancora attuale, ma dal sapore amaro. La domanda è sempre la stessa: si potevano prevedere? Probabilmente no, ma si potevano evitare. Mentre il dibattito sulle cosiddette “tragedie annunciate” rimane ancora caldo, arriva puntuale il monito di Legambiente che denuncia ancora “forti ritardi nella prevenzione per il 68% delle amministrazioni e troppo cemento lungo i corsi d’acqua e in prossimità di versanti franosi e instabili”. È questa la fotografia del rischio frane e valanghe in Italia, contenuta nel Rapporto Ecosistema Rischio 2009, esito dell’indagine condotta da Legambiente in collaborazione con il Dipartimento della Protezione Civile, nell’ambito di “Operazione Fiumi 2009”, campagna di monitoraggio, prevenzione e informazione per la mitigazione del rischio

idrogeologico. Se i dati del Rapporto parlano chiaro, le immagini di fango e distruzione delle ultime devastazioni sono ancora più eloquenti. “Le recenti tragedie di Messina e di Ischia - si legge nel Rapporto - mettono in luce l’urgenza di assicurare al Paese un piano complessivo di riassetto idrogeologico con il quale affermare una nuova cultura del suolo e del suo utilizzo, scegliendo come prioritaria la sicurezza della collettività e mettendo fine agli attuali usi speculativi e abusivi del territorio. Gli episodi recenti testimoniano della fragilità del territorio nazionale. Ma se da una parte non si può impedire alla natura di fare il suo corso (tanto le frane che le alluvioni sono fenomeni naturali, parte integrante dell’evoluzione del territorio), sicuramente si devono e si possono evitare gli immensi disastri sul territorio, operando per mitigare il rischio e limitando i danni e i pericoli per i cittadini in caso di calamità. Abusivismo edilizio, estrazione illegale di inerti e cementificazione degli alvei contribuiscono in

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maniera determinante a sconvolgere l’assetto idraulico del territorio. Accanto a questi fattori l’urbanizzazione diffusa e caotica, l’eccessiva antropizzazione delle aree a rischio, determinano un’amplificazione del rischio in caso di calamità naturali”. Ma non solo. Mentre l’eccessiva urbanizzazione, la cementificazione sregolata e l’abusivismo sfrenato dilagano a macchia d’olio, piogge sempre più concentrate e violente, alternate a periodi di siccità, si abbattono sul nostro suolo, in completa balìa dei cambiamenti climatici. “Sconvolto” e “violentato”, il suolo italiano è prima di tutto fragile. Basta scorrere le tabelle riportate nel Rapporto per accorgersi come la mappa del rischio idrogeologico ed idraulico in Italia sia costellata di zone rosse: sono ben 5.581 i comuni italiani a rischio, (il 70% del totale); di questi 1.700 sono a rischio frana, 1.285 a rischio di alluvione e 2.596 a rischio sia di frana che di alluvione. Nella top ten delle Regioni a rischio svettano Calabria, Umbria e Valle d’Aosta con il 100% dei comuni non in sicurezza, seguite dalle Marche (99%), dalla Toscana (98%), dal Lazio (97%) e dalla Basilicata (94%). Eppure, nonostante il rischio che minaccia il nostro suolo, la prevenzione latita e le attività messe in atto dalle amministrazioni comunali non sono affatto soddisfacenti: secondo il Rapporto, il lavoro di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico non è ancora sufficiente per il 68% dei comuni e del tutto insufficiente per il 27%. Insomma, più di un Comune su quattro non fa praticamente nulla per prevenire i danni derivanti da alluvioni e frane. Sfiorano, invece, il 32% i comuni virtuosi in fatto di prevenzione. Il primato dei due Comuni più responsabili nel prevenire il rischio frane e alluvioni spetta al Nord con Canischio (TO) e Palazzolo sull’Oglio (BS), entrambi premiati da Legambiente e dal Dipartimento della Protezione Civile


con la bandiera “Fiume Sicuro”. Qui, infatti: - sono stati realizzati interventi di delocalizzazione; - non sono presenti insediamenti antropici in aree a rischio idrogeologico; - viene realizzata un’ordinaria attività di manutenzione delle sponde e delle opere di difesa idraulica; - le amministrazioni comunali si sono dotate di un piano di emergenza aggiornato; - sono state organizzate iniziative di informazione rivolte alla popolazione; - sono operativi sistemi di monitoraggio e di allerta in caso di pericoli; - è attiva una struttura di protezione civile operativa 24 ore su 24. Ma all’eccellente esempio dei Comuni del Nord fa da controaltare quello pessimo, in fatto di gestione del territorio, di sei comuni del Sud e di un commune del Centro, tutti vicini allo

0 in pagella. Si tratta di Acquaro (VV), San Ferdinando (RC), Oppido Marina (RC) in Calabria; Altavilla Silentina (SA), Polla (SA), Quarto (NA) in Campania; Vejano (VT) nel Lazio, tutte con un punteggio di 0,5 per via della pesante urbanizzazione delle zone a rischio e per la completa assenza di attività di mitigazione del rischio. Tra le Regioni più virtuose figurano il Trentino - Alto Adige con il 56% dei comuni operativi nel lavoro di mitigazione del rischio, la Valle d’Aosta (46%), il Veneto (43%), il Piemonte e l’Emilia -Romagna (41%). Maglia nera, invece, va alla Sardegna, con il triste primato del 94% dei comuni privi di una positiva opera di prevenzione contro frane e alluvioni. Qui, addirittura, si trova la più alta concentrazione di comuni con interi quartieri costruiti in zone a rischio. Al penultimo posto, troviamo la Sici-

Altolia (ME), 5 ottobre 2009 (fonte: Wikimedia Commons)

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lia con il 91% dei Comuni latitanti e indempienti nell’applicare azioni di prevenzione e sicurezza. Qui, infatti, si trova anche il maggior numero di Comuni con insediamenti e fabbricati industriali situati in zone a rischio. Se poi si scende nel dettaglio e dal lavoro complessivo di mitigazione del rischio si analizzano le singole azioni e i singoli interventi messi in atto dalle amministrazioni nelle varie Regioni, la pagella della prevenzione si articola ulteriormente. A cominciare dagli interventi di delocalizzazione di abitazioni dalle aree a rischio. Sebbene il primato degli interventi spetti al Trentino - Alto Adige, Legambiente mette in evidenza come tale pratica sia in Italia ancora poco diffusa e poco utilizzata dalle amministrazioni comunali. Ma il ritardo dei Comuni è evidente anche sul fronte idraulico, specie al Centro- sud dove la manutenzione


delle sponde dei corsi d’acqua arranca rispetto al Nord. Toscana, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, ai primi posti della classifica, sono sicuramente più attivi di Molise, Basilicata e Calabria, in coda alla classifica. Se poi si guarda alle misure normative, oltre che a quelle operative messe in atto dalle Amministrazioni comunali per una corretta gestione del territorio, la classifica cambia ma senza stravolgimenti. La Regione con la più alta concetrazione di Comuni che si sono dotati di piani urbanistici con vincoli e divieti all’edificazione nelle aree a rischio idrogeologico rimane la Valle d’Aosta (96%), seguita da Piemonte e Emilia Romagna (94%), Toscana (93%), Friuli Venezia Giulia (91%) e dal Trentino - Alto Adige (89%). A chiudere la classifica è, invece, il Molise con solo il 54% delle amministrazioni comunali dotate di tale struemento normative. Sono sempre i Comuni della Valle d’Aosta quelli più rigorosi nel procedere

all’aggiornamento dei piani d’emergenza (l’83%), seguiti al secondo posto da quelli della Toscana (81%). In Trentino - Alto Adige, invece, tutti i Comuni possono contare su una struttura di protezione civile operativa 24 su 24, mentre il Friuli Venezia Giulia vanta la più alta percentuale di Comuni attivi in esercitazioni. Quella del Friuli Venezia Giulia è tuttavia un’eccezione. La norma è invece costituita da una moltitudine di Amministrazioni che temporaggiano nell’adottare una politica di prevenzione, informazione e pianificazione d’emergenza. Nel 79% dei Comuni campione intervistati sono presenti abitazioni in aree esposte a rischio frane o valanghe, nel 28% dei casi sono presenti in tali zone interi quartieri e nel 55% dei casi sono presenti addirittura fabbricati industriali, scavalcando spesso i piani urbanistici che prevedono vincoli all’edificazione adottati dall’85% dei Comuni - campione. Se la cattiva gestione del suolo dilaga, invertire la rotta è difficile.

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Soltanto il 7% dei Comuni intervistati ha, infatti, intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo. Il 36% dei Comuni non svolge regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica e solo il 43% dei Comuni è dotato di sistemi di monitoraggio che consentano di dare tempestivamente l’allerta in caso di necessità. Meno preoccupante è invece l’organizzazione del sistema locale di protezione civile: l’82% dei Comuni si è dotato di un piano di emergenza in caso di frana o alluvione, il 54% può contare addirittura su di un piano aggiornato negli ultimi due anni, mentre il 64% vanta una struttura di protezione civile operativa 24 ore su 24. Arranca un po’, invece, l’attività di informazione e formazione: solo il 26% dei Comuni promuove abitualmente iniziative dedicate all’informazione dei cittadini e solo il 29% è solito organizzare esercitazioni. Se da un lato il sistema di protezione civile tutto sommato funziona, non si può dire altrettanto del sistema di gestione del territorio, che mostra ritardi, lacune e carenze. Eppure, la responsabilità non è solo dei Comuni. Certamente, i Comuni rivestono un ruolo importante in fatto di pianificazione urbanistica e mitigazione del rischio idrogeologico con i Sindaci in testa, in quanto prime autorità di protezione civile. Ma è pur vero che spesso gli Enti locali sono solo l’ultimo anello di una catena. Al di là dell’impegno e dello sforzo dei Comuni, occorre, infatti, mettere in moto una virtuosa sinergia tra tutti gli Enti della filiera, a partire dal Ministero, passando attraverso le Autorità di bacino, le Regioni, le Province, fino ai Comuni.


A COME AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE, AMBIENTE

PIÙ AGRICOLTURA PER TUTELARE: AMBIENTE, TERRITORIO E BIODIVERSITÀ Intervista al Presidente Nazionale COLDIRETTI, Sergio Marini di Alberto Piastrellini

COLDIRETTI, la principale Organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo, con un milione e mezzo di associati, a partire da questo numero, inserirà una serie di interventi che affronteranno, dal suo privilegiato punto di vista, le problematiche e le prospettive del comparto agricolo nell’ottica della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente, del consumo dei suoli, del ruolo e dell’etica dell’imprenditore agricolo, della risposta del comparto ai cambiamenti climatici. In questa prima uscita, ospitiamo una intervista esclusiva al Presidente Nazionale COLDIRETTI, Sergio Marini.

Presidente, qual è il ruolo dell’agricoltura nella rinnovata attenzione che l’economia globale dedica alle politiche ambientali? Tra agricoltura ed ambiente esiste una relazione dinamica e le aree agricole e forestali rappresentano il risultato di una costante interazione tra fattori naturali ed antropici. Negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza sul ruolo strategico dell’impresa agricola per raggiungere gli obiettivi di tutela dell’ambiente, salvaguardia del territorio, qualità e sicurezza alimentare. In generale, sotto il profilo ambientale, il ruolo positivo che l’agricoltura può ricoprire appare legato alla capacità

delle politiche settoriali di restituire al territorio una centralità, sviluppando nuove attività e nuove forme di occupazione, in un contesto culturale che prevede anche una rivisitazione dei modelli di consumo. Nuovi ed incoraggianti comportamenti vanno oggi in direzione di questo modello di sostenibilità. Si pensi ad esempio: - allo sviluppo di modelli di consumo caratterizzati dalla riduzione dei trasporti dei prodotti alimentari; - all’importanza assegnata dai consumatori alla provenienza degli alimenti che la Coldiretti si è impegnata a difendere, attraverso politiche di etichettatura, di identificazione delle produzioni alimentari con il luogo di provenienza, per un “Made in Italy” in grado di porre il territorio al centro dello sviluppo; - alla lotta agli OGM per combattere l’omologazione ed impedire la delocalizzazione delle produzioni; - alla diffusione dell’uso di oggetti completamente biodegradabili e sicuri da un punto di vista sanitario, provenienti da fibre vegetali o da bioplastiche. Come giudica lo scarso peso che alla Conferenza Mondiale di Copenhagen è stata data al ruolo dell’agricoltura in termini di resilienza e mitigazione del global warming? In considerazione del contesto - che ha visto un sostanziale fallimento del negoziato - è comprensibile che la conferenza di Copenhagen non sia riuscita a soddisfare le attese del mondo agricolo che, invece, si aspettava molto, considerando maturi i tempi per la messa a punto di una strategia climatica. L’agricoltura è innegabilmente uno dei settori più sensibili al clima e, perciò, potenzialmente più vulnerabile. Le attività agroforestali sono fortemente subordinate alle condizioni naturali e sono le sole attività economiche la

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cui efficienza dipenda in modo diretto da condizioni meteorologiche incontrollabili. Per questo il cambiamento climatico deve essere considerato un fattore di pressione in grado di comprometterne la solidità economica e la competitività. Le imprese agricole hanno effettuato, da tempo, un investimento su qualità, ambiente e clima. I costi necessari per la garanzia di rispetto di elevati standards ambientali incidono in modo rilevante sulla competitività delle imprese europee, soprattutto nel confronto con aziende operanti in Paesi che, ancora, ritengono di poter rimandare queste scelte. Per bilanciare responsabilità e ruolo positivo dell’agricoltura occorre che alle attività agricole venga dunque riconosciuto anche il ruolo positivo offerto dallo strumento dei carbon sinks attraverso specifiche misure. Inoltre, la P.A.C. non può rappresentare l’unica risorsa a disposizione per le imprese agricole europee. Occorre individuare nuove risorse finanziarie da convertire in incentivi per diffondere tecnologie e sistemi moderni ed innovativi in grado di realizzare concreti risultati di mitigazione e di adattamento. Per tali ragioni, quindi, da Copenhagen, si attendeva l’introduzione di specifici incentivi per remunerare gli sforzi delle imprese agricole, di fronte alle incertezze relative all’applicazione delle misure di adattamento e mitigazione. Ora servono specifiche politiche, sia a livello comunitario che mondiale, in grado di modificare una paradossale situazione di empasse in cui, nonostante il ruolo positivo universalmente riconosciuto al settore primario, a tutt’oggi, non sono state ancora adottate adeguate soluzioni per attribuire anche un valore economico ad attività che presentano un elevato livello di utilità sociale ed ambientale. È giunto il momento di cambiare marcia e piuttosto che stanziare fondi per fronteggiare le inadempienze al protocollo di Kyoto, bisogna in-


vestire di più nell’agricoltura, settore chiave per le strategie di mitigazione, mettendo a punto strumenti economici e remunerativi per le imprese, ad esempio, riconoscendo il maggiore valore ambientale che le produzioni agricole a chilometro zero assicurano rispetto a modelli produttivi basati sulla filiera lunga. In questo modo si raggiungerebbe il doppio obiettivo della valorizzazione delle produzioni locali di qualità e del riconoscimento degli sforzi in campo ambientale sostenuti dagli imprenditori agricoli. Si tratterebbe di azioni nuove, rivolte alla concretizzazione del ruolo del settore agroforestale nell’ambito delle strategie di mitigazione e di adattamento. Quale apporto può essere offerto dagli imprenditori agricoli nella conservazione della biodiversità nei diversi territori del Paese? L’agricoltura, in quanto principale utilizzatrice dei terreni rurali, interagisce profondamente sui sistemi naturali e rappresenta un fattore determinante per la qualità dello spazio rurale e dell’ambiente. L’esercizio dell’attività agricola sui territori ha contribuito, nel corso dei secoli, alla creazione ed alla salvaguardia di un’enorme varietà di habitat naturali e di paesaggi, laddove, invece, la crisi delle imprese e la scomparsa di terreno agricolo rischiano di causare inevitabili e gravi perdite di paesaggio, della biodiversità della cultura e dell’ambiente. Le campagne ambientali di COLDIRETTI, la battaglia contro gli OGM, la lotta contro l’agropirateria e l’omologazione delle produzioni e dei consumi alimentari vanno, tra l’altro, nella direzione di assicurare il mantenimento della biodiversità, elemento fondamentale non soltanto per l’agricoltura e la produzione alimentare, ma anche per la salute e per l’ambiente. Diffusione e commercializzazione di Organismi Geneticamente Modificati, qual è la posizione di COLDIRETTI? Stiamo combattendo da anni, con molta determinazione per un’agricoltura legata al territorio e senza OGM. Abbiamo difeso e continueremo a difendere l’agricoltura italiana dalla contaminazione degli OGM per proteggere i valori distintivi del territorio e della biodiversità minacciati dall’omologazione.

L’introduzione e l’impiego di tali organismi in agricoltura, infatti, oltre a determinare imprevedibili ed ancora non controllabili effetti negativi sull’ambiente e sull’ecosistema, risulta un modello perdente anche sotto il profilo economico, rischiando di rovinare i piccoli coltivatori a causa della soppressione delle semine tradizionali e della dipendenza dalle società multinazionali che detengono il monopolio delle sementi OGM. Con riferimento alle tematiche legate alla fame nel mondo, le coltivazioni OGM non solo non hanno risolto il problema della fame, ma hanno anche aggravato la dipendenza economica dall’estero di molti Paesi in via di Sviluppo. Non si può usare demagogicamente il problema terribile della fame nel mondo per avallare operazioni commerciali di rilancio delle coltivazioni geneticamente modificate. Nel mondo ci sono oltre un miliardo di persone che soffrono la fame, un numero che non è mai calato dal 1990-1992 anche se sono aumentate le superfici coltivate con OGM che ammontano ora a 114 milioni di ettari in 23 paesi. Eppure, nei Paesi poveri, che speravano di risolvere le proprie difficoltà attraverso l’impiego e l’introduzione degli OGM in agricoltura, l’effetto misurato è stato in realtà l’aumento della fame e della dipendenza economica. Inoltre, la diffusione di queste coltivazioni OGM nei paesi poveri si concentra peraltro sopratutto su produzioni destinate all’esportazione che non riforniscono il mercato interno dove lasciano una situazione aggravata dalla perdita di varietà locali e in generale della biodiversità. Peraltro, recenti ricerche hanno dimostrato che la soia geneticamente modificata per resistere al diserbante roundup, produce il 10 % in meno rispetto a quella convenzionale, evidenziando così la minore produttività del prodotto OGM. Gli stessi consumatori mostrano una forte opposizione agli OGM in agricoltura. Sulla base dei risultati dell’Indagine annuale COLDIRETTI-SWG “Le opinioni di italiani e europei sull’alimentazione”, il 72 % dei cittadini italiani ritengono che i prodotti alimentari contenenti OGM siano meno salutari rispetto a quelli tradizionali. È questa una ragione in più per rispettare in Italia ed in Europa il principio della precauzione.

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A partire dal Nord Europa si stanno diffondendo in tutta l’Unione iniziative di Farmer Market, che offrono agli acquirenti prodotti di qualità, certificati, spesso biologici e col valore aggiunto della territorialità. Quale ruolo, in Italia, per la cosiddetta “filiera corta”? La Coldiretti è impegnata nel progetto per una Filiera agricola italiana e firmata dagli agricoltori la cui finalità è quella di fermare le speculazioni e di creare le condizioni per una più equa ripartizione del valore tra gli attori della filiera, con l’offerta di prodotti alimentari al 100 % italiani firmati dagli agricoltori attraverso la rete di Consorzi Agrari, cooperative (Unci-Coldiretti), mercati degli agricoltori di Campagna Amica, agriturismi e imprese agricole. Il progetto di COLDIRETTI con la rete dei mercati degli agricoltori coinvolge sia le piccole che le grandi città, con l’obiettivo di dare l’opportunità ai consumatori di acquistare i prodotti dell’agricoltura italiana con il miglior rapporto prezzi/qualità. Si tratta di strumenti per collocare direttamente sul mercato i prodotti della filiera agricola italiana, il cui ruolo principale è soprattutto quello di comunicazione e di informazione ai consumatori dei valori distintivi ed esclusivi dei prodotti della filiera italiana firmata. L’effetto della riduzione dei passaggi e delle intermediazioni con un rapporto diretto tra agricoltori e consumatori garantisce maggiore efficienza per assicurare acquisti convenienti alle famiglie e sostenere il reddito degli agricoltori in un momento di difficoltà economica, riducendo la forbice dei prezzi che oggi aumentano in media quasi cinque volte nel passaggio da campo alla tavola. La possibilità di acquistare, attraverso la rete dei punti vendita di Campagna Amica, prodotti locali che non devono percorrere lunghe distanze con mezzi inquinanti ha anche un importante effetto sul piano ambientale per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, tenuto conto che, secondo un recente studio, il cibo percorre anche 1.900 chilometri prima di giungere sulle tavole. Il piano della COLDIRETTI intende, nel breve periodo, raggiungere il 10 % del totale del cibo consumato dagli italiani attraverso il prodotto locale a chilometri zero che permetterebbe un risparmio di emissioni di anidride carbonica pari a 3,2 miliardi di chili e un


risparmio di consumo di petrolio pari a 9,9 miliardi di chili. Il progetto, che ha l’obiettivo di promuovere al giusto prezzo i prodotti tradizionali dell’agricoltura italiana contrasta anche la tendenza al progressivo abbandono dei principi base della dieta mediterranea con un terzo dei giovani che ha problemi di sovrappeso od obesità che sono responsabili di patologie che assorbono il 7 % della spesa sanitaria per un totale di 7 miliardi. A parità di qualità, nei punti vendita convenzionati della rete di “Campagna amica” i prezzi sono inferiori di almeno il 30 %, sulla base di un accordo con le associazioni dei consumatori. Un impegno per combattere le inefficienze e le speculazioni che nel 2009 sono costate alle tasche degli italiani quattro miliardi di euro con l’aumento dei prezzi per i prodotti alimentari, nonostante il forte calo dei prezzi delle materie prime agricole. Le problematiche relative all’educazione alimentare sono da tempo all’attenzione dei Governi e delle Istituzioni pubbliche. Quali le iniziative di COLDIRETTI? La Coldiretti ha firmato un protocollo di intesa con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca che prevede l’impegno a promuovere attraverso esperienze pilota, nel rispetto

della propria autonomia e nell’ambito delle rispettive competenze, iniziative comuni per sensibilizzare i giovani ad un corretto comportamento civico rispettoso dell’ambiente e delle tradizioni alimentari italiane. Un impegno che rientra nell’ambito del progetto “Educazione alla Campagna Amica” che coinvolge oltre centomila alunni delle scuole elementari e medie che parteciperanno alle oltre tremila lezioni nelle fattorie didattiche e agli oltre cinquemila laboratori del gusto che saranno organizzati nelle aziende agricole e in classe. L’obiettivo non è solo quello di assicurare una piena informazione e conoscenza sotto il profilo degli elementi nutrizionali dei prodotti agricoli, ma anche quello di sviluppare un dialogo aperto con il cittadino consumatore, a partire dalle giovani generazioni, con un intenso lavoro di culturizzazione dei consumi alimentari, di avvicinamento della città alla campagna, di promozione e conoscenza dei prodotti tipici, del mondo rurale e delle tradizioni e tecniche produttive. Riteniamo indispensabile garantire al consumatore una piena consapevolezza nel momento dell’acquisto per tutelare la sua libertà di scelta, attraverso la garanzia di trasparenza delle etichettature, rispetto alle caratteristiche dei prodotti ed all’origine dei cibi.

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Non possiamo dimenticare il patto fra produttori e consumatori lanciato all’inizio degli anni Duemila che ha portato non solo alla nascita dei Mercati di Campagna Amica, ma che sta incidendo sull’intero sistema agroalimentare con la battaglia al falso Made in Italy e i controlli alle frontiere per denunciare le schifezze provenienti dall’estero. Cosa si aspetta il mondo agricolo italiano dalle Istituzioni? Quello che serve oggi è più agricoltura, un’agricoltura competitiva e fortemente legata al territorio, tutelata nella sua identità dall’etichettatura dell’origine. COLDIRETTI, con ampia progettualità e grande responsabilità ha proposto e continua a promuovere iniziative fuori dagli schemi che vanno molto al di là della tradizionale difesa di una categoria. Alla politica ed alle Istituzioni non chiediamo aiuti o contributi fini a sé stessi, ma soprattutto interventi di lungo periodo, coerenza, che non ci mettano il bastone tra le ruote e che favoriscano la realizzazione dei nostri progetti, legati alla qualità, alla sicurezza alimentare, alla tutela e valorizzazione dell’ambiente, del territorio e del vero Made in Italy.


EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE

DOLCETA: NUOVO IMPULSO ALL’EDUCAZIONE DEI CONSUMATORI EUROPEI

Aggiornato con nuovi servizi il sito della Commissione UE

La Direzione Generale Salute e Tutela dei Consumatori della Commissione europea ha deciso di aggiornare, in partnership con il network universitario EUCEN, il sito Dolceta (acronimo di Development of On Line Consumer Education Tools for Adults), creato all’inizio del 2007 per dare a tutti i cittadini europei “le competenze necessarie per confrontare prodotti e servizi sul mercato, per decidere sugli acquisti e difendere i propri diritti”. All’avvio di un nuovo anno, che si è appena lasciato alle spalle il vertice sul clima di Copenhagen, anche i consumatori sono nuovamente chiamati a prendere coscienza del proprio ruolo di protagonisti di un consumo che dovrà essere ispirato in futuro, in misura sempre crescente, al principio della sostenibilità. Pertanto, la Commissione europea ha giustamente valutato la necessità di dare ulteriore impulso alle attività di educazione e formazione dei consumatori, aggiungendo, ai preesistenti 4 Moduli (I Diritti dei Consumatori; Servizi Finanziari; Sicurezza dei Prodotti; Sezione per gli Insegnanti), due nuovi Moduli: Consumo Sostenibile e Servizi di Interesse Generale. Il sito, consultabile in tutte le lingue dell’UE, è strutturato in sezioni tematiche a più livelli sui vari argomenti del consumerismo: - un primo livello di nozioni base; - un secondo di informazioni dettagliate; - un terzo di dati specialistici. È così possibile per il lettore decidere il grado di approfondimento sulle tematiche affrontate. Nel modulo sui diritti dei consumatori, ad esempio troviamo informazioni su: contratto di vendita; indicazione dei prezzi; pubblicità; sicurezza dei prodotti e dei servizi; risoluzione delle controversie; Mercato unico. Navigando nei livelli ulteriori sarà possibile saperne di più sulle condizioni generali del contratto, sulle modalità di conclusione, sulla pubblicità ingannevole o comparativa, sui controlli della sicurezza dei prodotti, sulle procedure e gli organismi di soluzione stragiudiziale delle controversie. Molto utili anche gli esercizi presenti in ciascun modulo, che consentono di valutare la propria preparazione di base o di verificare quanto si sia appena appreso. Nell’ambito dei servizi finanziari sarà possibile consegui-

re nozioni in generale sulla gestione del budget familiare, sul conto corrente, su modalità di pagamento, credito al consumo, credito immobiliare, risparmi e investimenti e, in particolare, su costi, rimborsi e garanzie del credito o gestione del conto corrente, assegni, carte di credito, investimenti in borsa, investimenti alternativi e assicurazioni sulla vita. Il terzo modulo coinvolge più direttamente la salute del consumatore, poiché è dedicato alla sicurezza dei prodotti e ad uno stile di vita sano ed equilibrato. Nella prima sezione vengono trattati gli aspetti legali della sicurezza dei prodotti, i modi in cui questa è garantita, le varie categorie dei prodotti, le imitazioni pericolose, le fonti di assistenza e supporto. La sezione “mantenersi sani” invece suggerisce di tenere alta la qualità della propria vita, trattando del fumo, alcool, abuso di medicinali, errata alimentazione, sedentarietà, cioè quei fattori che aumentano il rischio di contrarre le malattie del nostro tempo come l’obesità, l’ipertensione, l’ictus, il diabete, la cirrosi epatica, l’osteoporosi. Il modulo dedicato specificamente agli insegnanti è quello in cui è più evidente la finalità educativa del sito: fornisce esempi di attività, lezioni e piani di apprendimento riguardanti i settori della gestione delle risorse finanziarie; sicurezza e salute dei consumatori; consumo responsabile; servizi ai consumatori; tra gli obiettivi si fa esplicito riferimento all’acquisizione di competenze ed abilità nei percorsi di progettazione didattica; competenze ed abilità da trasmettere agli alunni relativamente al controllo dei comportamenti di consumo; capacità nell’impiego delle metodologie di formazione on line; formazione di un atteggiamento attivo nei confronti dell’utilizzo di Internet. Il modulo sui servizi di interesse generale è dedicato a quei servizi che, secondo la definizione dell’Unione Europea, sono considerati dalle “autorità pubbliche di interesse per la collettività e, quindi, sono sottoposti a specifiche obbligazioni nella fornitura”. Vengono considerati il fulcro del modello di società sul quale l’Unione Europea è costruita. In particolare, sono disponibili dettagliate informazioni su trasporti, energia (elettricità e gas), acqua, telecomunicazioni, servizi postali. Infine, nell’introduzione al modulo sullo sviluppo sostenibile si può leggere la famosa definizione della sostenibilità con-

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tenuta nel Rapporto Bruntland (dal nome dell’allora Primo Ministro norvegese, Gro Harlem Bruntland, Presidentessa della Commissione Indipendente su Ambiente e Sviluppo) del 1983: “equilibrio tra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie”. Intorno a questa definizione e all’alto concetto che sottende si è creato un vero e proprio movimento. Grazie al quinto modulo di DOLCETA, quindi, sarà più semplice per i consumatori intraprendere il “viaggio della sostenibilità” verso “uno stile di vita meno egoistico”, “un nuovo modo di considerare ciò che ognuno fa e come lo fa”, “un tipo di consumo che rispetta la salute dei cittadini e del pianeta”, “la tutela della biosfera per minimizzare i danni all’ambiente, la longevità dell’ecosistema e il benessere delle persone”. Un percorso che verrà condotto con le seguenti tappe: Alimenti e Bevande: - provenienza del cibo (impianti produttivi, carne, alimentazione sostenibile, sicurezza alimentare); - scelta (acquisto, impatto sull’ambiente, solidarietà, etichettatura e confezionamento, indicazioni e marchi di qualità); - preparazione. Salute e Cura del Corpo: - igiene personale sostenibile (uso sostenibile dell’acqua, dell’energia, prodotti e smaltimento dei rifiuti); - cura del corpo sostenibile (attenzione al proprio corpo, wellness, fitness). Abbigliamento (stile sostenibile, abbigliamento etico). Casa: - scegliere, costruire, ristrutturare la propria casa; - arredamento, manutenzione e pulizia; - cura del giardino; - ambiente di vita, sezione che fornisce esempi concreti sulla creazione di un contesto familiare e sociale ispirato a comportamenti sostenibili, dall’uso della bicicletta per

gli spostamenti, alla conduzione di rapporti di vicinato conviviali, fino alle regole base per il risparmio energetico e la riduzione delle emissioni inquinanti (ad esempio, abbassando la temperatura domestica da 21 a 20 °C si avrebbe un risparmio di 470 Kg di CO2; lavare riempiendo la lavatrice procura un risparmio di 45 Kg di CO2 l’anno; chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti procura un risparmio annuo di 8 Kg di CO2; spegnere le luci rosse di stand- by della televisione e del PC significa 150 Kg di CO2 in meno; sostituire una lampadina da 100W ad incandescenza con una a basso consumo manda nell’atmosfera 35 Kg annui in meno di CO2, ecc.). Trasporti, con la premessa che “Trasporti e mobilità sono ormai fondamentali nella vita dei cittadini del XXI secolo; tuttavia, lo è anche un ambiente sano, pulito e in buone condizioni e per questo motivo è necessario stabilire regole e misure adatte che permettano alle persone di spostarsi in modo comodo e veloce, senza però mettere in pericolo il futuro del pianeta”, la sezione illustra come fruire in modo sostenibile dei vari tipi di trasporto (dall’automobile, al treno e all’aereo fino alla bicicletta, ai veicoli e carburanti alternativi). Il modulo sullo sviluppo sostenibile consente di avere pratiche informazioni e suggerimenti concreti per far fronte alle sfide del futuro già nel nostro quotidiano. I fronti urgenti, anche in funzione della tutela del nostro potere d’acquisto, si ravvisano nel consumo responsabile ed ecologico (si stima che la spesa sui rifiuti ammonti ad oggi a centinaia di euro annui per famiglia e sarebbe sufficiente adottare imballi ecologici per tagliare inquinamento ed esborsi inutili) e naturalmente nell’uso razionale dell’energia. Il “premio” per il nostro impegno, oltre alla conservazione di un mondo vivibile per le generazioni future, consiste nel poter guardare di nuovo alla Terra con felicità e non con preoccupazione - e non sembra cosa da poco.

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AGENDA 21

LA CARTA DELLE CITTÀ E DEI TERRITORI D’ITALIA PER IL CLIMA Presentato al Bella Center di Copenhagen il contributo degli enti locali e territoriali italiani alla roadmap per un nuovo patto sul clima

a cura della Segreteria del Coordinamento Agende 21 Locali italiane

Le politiche e i programmi per lo sviluppo sostenibile, per quanto affermati solennemente negli accordi internazionali, hanno stentato ad affermarsi concretamente in questi anni. Gli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto per la prevenzione del cambiamento climatico e la riduzione delle emissioni climalteranti ne sono un esempio. Il “dopo-Copenhagen” si presenta incerto. E’ in circostanze come questa che occorre sostenere con fermezza la propria chiara e responsabile posizione. Questo il senso della “Carta delle Città e dei Territori d’Italia per il clima”, promossa dal Coordinamento Agende 21 Locali Italiane in collaborazione con ANCI e UPI. Nella Carta i Comuni, le Province e le Regioni si impegnano ad adottare politiche ed azioni integrate di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici che consentano di ridurre di oltre il 20% le emissioni di gas serra. Dalla programmazione urbanistica alla mobilità, dalla pianificazione energetica alla gestione ecoefficiente e sostenibile degli edifici pubblici, sono tanti e spesso molto importanti, per i risultati che possono dare, gli interventi che ciascun ente può realizzare. Ad Arenzano, nell’ambito dell’annuale Assemblea del Coordinamento tenutasi lo scorso settembre, è stata avviata la predisposizione partecipata dell’Allegato alla Carta: un documento che vuole declinare l’impegno dell’ente locale o territoriale che sottoscrive il documento in una serie di azioni concrete, realizzabili e misurabili, anche perché prendono spunto dalle esperienze di successo pioneristicamente portate avanti da alcuni enti. Gli ambiti d’intervento individuati sono riconducibili sia alle azioni di mitigazione che di adattamento al cambiamento climatico. I contributi discussi e suggeriti ad Arenzano, sia da singoli rappresentanti di enti locali e territoriali, sia dalle segreterie tecniche a nome dei rispettivi Gruppi di Lavoro, sono riportati, accorpati e sistematizzati, nelle relative discussioni tematiche on-line sul sito www.a21italy.partecipate.it, grazie al supporto della Fondazione Rete Civica di Milano. Ha così preso forma un documento via via affinato da successivi contributi e presentato il 12 dicembre nella longue del Bella Center di Copenhagen, sede della COP 15, e che si propone come lo strumento di riferimento per l’azione locale per il clima in Italia. www.a21italy.it

CARTA DELLE CITTÀ E DEI TERRITORI D’ITALIA PER IL CLIMA I Comuni, le Province e le Regioni d’Italia si impegnano ad adottare politiche e azioni integrate di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici che consentano di ridurre di oltre il 20% le emissioni di gas serra ed aumentare l’equilibrio sociale, ambientale ed economico del territorio. Le città e i territori d’Italia chiedono al Governo italiano di prevedere l’accesso delle amministrazioni delle Città e dei Territori ai meccanismi dell’Emission Trading e al mercato dei Titoli di Efficienza Energetica e propongono di escludere dal patto di stabilità gli investimenti locali in progetti finalizzati alla mitigazione e adattamento al cambiamento climatico (efficienza energetica, mobilità sostenibile, diffusione delle energie rinnovabili). Le città e i territori chiedono al Governo italiano di promuovere, in collaborazione con il sistema bancario, la predisposizione di strumenti finanziari dedicati agli interventi di riqualificazione energetica e di favorire il coinvolgimento delle ESCO e di altri soggetti specializzati al fianco delle amministrazioni locali e territoriali. Le città e i territori d’Italia sollecitano il Governo italiano a sostenere in sede internazionale la necessità di includere nel nuovo protocollo globale sul clima in vigore dal 2012 un capitolo dedicato al ruolo delle città e dei territori, chiedendo inoltre che rappresentanti degli enti locali facciano parte delle delegazioni governative alle Conference of the Parties a partire dalla COP-15 di Copenhagen 2009. Le politiche e le azioni locali contribuiranno al raggiungimento degli obiettivi sottoscritti dal Governo in sede europea e potranno svolgere un ruolo importante nel rilancio dell’economia, promuovendo l’innovazione, sostenendo il mercato interno e migliorando la competitività del sistema Italia nel panorama internazionale.

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Allegato alla Carta delle Città e dei Territori d’Italia per il clima Per dare attuazione agli impegni della Carta i Comuni, le Province, le Regioni, gli Enti Parco e gli altri Enti pubblici territoriali d’Italia che la sottoscrivono intendono: 1. promuovere in Italia il Patto dei Sindaci, ovvero: • aderire al Patto dei Sindaci per il clima dell’Unione Europea secondo le sue linee guida; • promuovere strutture di supporto sovracomunali di riferimento tecnico per facilitare, tra l’altro, l’accesso a fonti di finanziamento per la realizzazione dei Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile previsti dal Patto; • assicurare il coordinamento a livello nazionale degli aderenti al Patto dei Sindaci attraverso una Cabina di Regia formata da ANCI, UPI e Coordinamento Agende 21 Locali Italiane; • promuovere il Patto presso Enti locali e territoriali limitrofi in modo da creare le condizioni per l’elaborazione di Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile sovracomunali; • istituire una premialità nell’ambito della programmazione socioeconomica regionale, nazionale e comunitaria per quanti aderiscono al patto dei sindaci; 2. intervenire sulla pianificazione territoriale e il governo del territorio per una maggiore sostenibilità dei sistemi urbani; in particolare: • promuovendo piani di gestione integrata secondo gli indirizzi della strategia tematica per l’ambiente urbano della UE, con una particolare attenzione all’insieme dei cicli ecologici connessi in modo sostanziale con le problematiche di aumento di CO2; • integrando nei piani territoriali d’area vasta e nei piani urbanistici con valenza strategica e strutturale obiettivi e norme per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici; • prevedendo nell’ambito delle Valutazioni Ambientali Strategiche focus specificamente dedicati al quadro emissioni ed agli effetti climatici delle azioni di piano; • ponendo in evidenza nelle procedure consultive e partecipative le implicazioni sul rischio climatico e sull’efficienza ambientale ed energetica delle previsioni di piano; • preservando il suolo e il territorio in quanto risorsa finita al fine di garantire la fertilità agricola, la conservazione di biodiversità, lo stockaggio di carbonio e di acqua; • riconoscendo al territorio rurale le sue funzioni fondamentali, non solo agricole ma anche di tutela del paesaggio, di difesa della biodiversità e di identità culturale, a complemento di quelle urbane; 3. intervenire sugli strumenti urbanistici per migliorare l’efficienza energetica degli edifici residenziali, produttivi e dei servizi, a partire da quelli di proprietà pubblica, in particolare: • combinando standard di efficienza energetica minimi cogenti con forme di incentivazione per raggiungere obiettivi più ambiziosi, promuovendo l’uso delle migliori tecnologie per ridurre le emissioni dei nuovi edifici e forme di compensazione per le emissioni che non si è in grado di eliminare; • prevedendo negli strumenti urbanistici norme che obblighino tutte le nuove urbanizzazione a soddisfare i propri bisogni energetici con fonti rinnovabili, con l’uso del teleriscaldamento e con soluzioni ad alta efficienza energetica; • promuovendo la sensibilizzazione, informazione e formazione di cittadini, operatori economici, progettisti, ricercatori, installatori, tecnici degli enti locali, amministratori di condominio, ecc.; • sottoponendo ad audit e certificazione energetica gli edifici, in primo luogo quelli di proprietà pubblica; 4. favorire la produzione di energia da fonti rinnovabili secondo gli obiettivi dell’Unione Europea; in particolare: • prevedendo nel Regolamento Urbanistico Edilizio norme che, progressivamente, obbligano tutti i nuovi edifici e le ristrutturazioni a soddisfare i propri bisogni energetici con l’impiego di fonti rinnovabili; • favorendo la realizzazione di impianti, anche di piccola scala, per la produzione di energia da fonti rinnovabili (fotovoltaico, solare termico, eolico, idroelettrico, biomassa, geotermico…) che concilino l’impatto sul paesaggio con la necessità di una produzione energetica a scala territoriale locale; • attuando azioni informative e formative rivolte ai cittadini (ad esempio sportelli energia) e azioni dimostrative partecipate nelle scuole; • semplificando le procedure autorizzative per impianti di piccola taglia; • uniformando la rete di distribuzione dell’energia a criteri di efficienza e sostenibilità; 5. promuovere la mobilità e i trasporti sostenibili; in particolare: • attraverso l’elaborazione e attuazione di piani di mobilità, integrati con la pianificazione urbanistica e il piano della salute, prevedendo il maggiore coinvolgimento possibile delle comunità locali anche al fine di promuovere stili di vita più consapevoli; • introducendo e potenziando il trasporto pubblico locale, a partire dal ferro, e favorendo l’intermodalità; • promuovendo soluzioni sostenibili nella gestione di porti ed aeroporti; • promuovendo sistemi di trasporto e di logistica delle merci sostenibile; • promuovendo l’accessibilità sostenibile ai centri storici ricercando ricadute positive sulla qualità del paesaggio urbano e sulla socialità; • favorendo l’uso sicuro della bicicletta per gli spostamenti in ambito urbano, promuovendo progetti di mobilità sicura casa-scuola e casa-lavoro (con risvolti anche sulla salute e sul benessere) e introducendo disincentivi all’uso di autoveicoli privati; • favorendo la diffusione di mezzi di trasporto adatti a soggetti a ridotta abilità, da distribuire sul territorio (bicicletta a pedalata assistita, veicoli elettrici); 6. farsi carico degli effetti dei cambiamenti climatici su cultura, salute, condizioni sociali e biodiversità; in particolare: • monitorando e studiando gli effetti sulla salute dovuti hai cambiamenti climatici; • monitorando e studiando le conseguenze del cambiamento climatico sugli habitat e gli ecosistemi naturali e gli effetti sulla biodiversità; • studiando e analizzando i fenomeni di migrazione dei popoli causati dai cambiamenti climatici; • riconoscendo nella condivisione dei principi e degli obiettivi della sostenibilità e dell’Agenda 21 della Cultura la base per il successo delle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici; 7. promuovere gli acquisti verdi della pubblica amministrazione a partire da quelli ad alta efficienza energetica; in particolare: • sottoscrivendo per i propri edifici contratti di approvvigionamento esclusivamente da energia pulita certificata;

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• • • •

orientando gli acquisti dell’ente su prodotti a km 0 e provenienti da filiere locali, equosolidali e a minor impatto ambientale, contabilizzando i benefici sia in termini di minori emissioni di CO2 sia di risparmio economico; facendosi artefice di collaborazioni con gli stakeholder del proprio territorio (albergatori, ristoratori, ecc.) per diffondere la prassi del consumo consapevole; promuovendo l’impiego di risorse rinnovabili in edilizia, a partire dal legno di produzione locale; razionalizzando la distribuzione dei punti luminosi nei luoghi pubblici, utilizzando le nuove tecnologie nella rete di illuminazione pubblica, sostituendo le lampade dei semafori con dispositivi luminosi a basso consumo;

8. promuovere l’eco-efficienza dei processi produttivi e la responsabilità sociale delle imprese; in particolare: • contribuendo alla diffusione delle certificazioni, sia di prodotto che di processo, ambientali e sociali tra le imprese del proprio territorio; • promuovendo accordi volontari e partnership pubblico-privato per favorire il passaggio a una economia locale a ridotto impiego di combustibili fossili, ad alta efficienza energetica, con energia da fonti rinnovabili; • realizzando gli eventuali nuovi insediamenti produttivi e convertendo quelli esistenti secondo i criteri delle aree produttive ecologicamente e socialmente attrezzate; • diffondendo la conoscenza di iniziative e innovazioni attuate dalle imprese per prodotti e produzioni più sostenibili; 9. sostenere la creazione di depositi di carbonio; in particolare: • promuovendo politiche di tutela e conservazione dei suoli; • realizzando azioni di informazione scientifica e formative specificamente dedicate ai temi dei depositi di carbonio e sui cicli della CO2; • favorendo forme di verde pubblico urbano e territoriale finalizzato allo stoccaggio “permanente” di carbonio; • promuovendo la filiera corta forestale ai fini energetici quale contributo positivo anche per contrastare l’abbandono del territorio; 10. ridurre i rischi idrologici (allagamenti, lunghi periodi siccitosi, …) ed idrogeologici (frane, vulnerabilità degli acquiferi, …); in particolare: • promuovendo piani di gestione coordinata e partecipata di distretto idrografico e di bacino per la difesa del suolo e del ciclo delle acque in modo integrato con la pianificazione territoriale, secondo le direttive dell’Unione Europea; • promuovendo la diffusione di strumenti “contrattuali” tra enti, organi ed istituzioni che hanno competenze nella fase di gestione dei territori (contratti di fiume, contratti di mare, ecc.) allo scopo di ristabilire il quadro delle responsabilità e migliorare i livelli di collaborazione tra gli stessi; • promuovendo interventi di sistemazione dell’assetto idrogeologico del territorio e di riqualificazione naturalistica degli ambiti fluviali sia per la prevenzione del rischio idraulico che dei fenomeni franosi, da realizzarsi preferibilmente tramite tecniche di ingegneria naturalistica; • promuovendo la manutenzione diffusa del territorio, attraverso la diffusione delle buone pratiche colturali, la prevenzione dell’abbandono delle campagne, il monitoraggio continuo e la prevenzione dei fenomeni di dissesto, degli incendi della vegetazione e della desertificazione, la valorizzazione dei territori montani ed il miglioramento della qualità della vita al di fuori dei tradizionali ambiti urbani; • promuovendo interventi di ottimizzazione del consumo, della distribuzione, della raccolta e derivazione delle acque; • promuovendo una corretta informazione e formazione sul tema della gestione delle acque e la relazione con il dissesto idrogeologico, rivolta a enti locali, cittadini, scuole, tecnici; 11. intervenire sul governo del clima e dell’ambiente urbano ai fini della qualità della vita attraverso la pianificazione del verde, delle acque, dei rifiuti e degli spazi di socializzazione; in particolare: • creando reti e sistemi di spazi verdi in contesti urbani per migliore la qualità del clima urbano e favorire il miglioramento della socialità e del rapporto uomo ambiente; • predisponendo e realizzando piani-programmi dello sport che prevedano una pratica sportiva a cielo aperto utilizzando le infrastrutture del verde urbano e territoriale; • mettendo in atto iniziative intersettoriali e multi attori (quali il piano di azione per la salute e il benessere sociale) per individuare ed attuare azioni su stili di vita, prevenzione degli incidenti stradali e domestici, ecc.; • promuovendo la riduzione della produzione di rifiuti, del consumo di acqua e delle materie prime non rinnovabili (ghiaia, argille, rocce metallifere, ecc.), sostenendo le azioni finalizzate a stimolare modifiche permanenti nelle abitudini quotidiane e negli stili di vita a favore di un consumo consapevole; • promuovendo l’introduzione di innovazioni tecniche ed organizzative per ridurre le emissioni di CO2 nella fornitura dei servizi a rete come la raccolta dei rifiuti, la distribuzione dell’acqua potabile e di quella per uso irriguo, il sistema fognario, ecc.; 12. valorizzare le reti di città e territori nel loro ruolo di promozione di buone pratiche, circolazione dell’informazione, facilitazione dei rapporti tra i territori locali e i livelli istituzionali globali; e in particolare: • partecipando ai periodici incontri delle reti delle città sostenibili; • promuovendo iniziative che facilitino il dialogo tra ambiti urbani e rurali anche ai fini della costruzione di distretti di economia solidale; • costruendo progetti internazionali finalizzati allo scambio di esperienze tra attori politici e tecnici appartenenti a diverse culture europee; • valorizzando le esperienze di cooperazione decentrata per mettere in relazione i territori europei con quelli che si affacciano sul Mediterraneo e quelli del Sud del mondo ai fini di una consapevolezza maggiore delle problematiche, dello scambio di saperi e delle alleanze da costruirsi per affrontare i cambiamenti climatici; • informando le comunità locali sul significato della Carta e sugli impegni sottoscritti e coinvolgere i cittadini e le imprese nella definizione e nell’attuazione delle misure. Comuni, Province, Regioni, Enti Parco e gli altri Enti pubblici territoriali d’Italia firmatari della Carta elaborano entro un anno dalla sottoscrizione un Piano per il Clima che prevede le azioni di mitigazione ed adattamento da realizzare, indicando tempi di attuazione ed effetti attesi in termini di minori emissioni di CO2

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riduzione della quantità di rifiuti prodotti e della loro pericolosità mediante; incremento della frazione di rifiuti non pericolosi da costruzione e demolizione avviati a riutilizzo, riciclaggio e recupero; prevenzione dei fenomeni di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti inerti sul territorio; promozione dell’innovazione di impianti secondo le migliori tecnologie disponibili con lo scopo di realizzare un progressivo miglioramento delle prestazioni tecniche e ambientali; miglioramento della qualità dei materiali inerti riciclati.

Bando per la realizzazione della “Filiera RI-inerte” AREA 5 (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna)

È stato pubblicato e diffuso il 10 dicembre 2009, da “Studi Ambientali”, l’avviso pubblico per esprimere “Manifestazioni di Interesse” per la partecipazione alla realizzazione della “Filiera-RI-inerte”, iniziativa prevista dalla normativa in materia ambientale (Decreto n. 152/2006), che prevede la realizzazione di Centri di Raccolta e Recupero di rifiuti inerti da Costruzioni e Demolizioni e Macerie edilizie nelle varie regioni, attuando Piani Territoriali provinciali per la produzione di aggregati certificati “RI-inerte”. Durante Expoedilizia (Roma, 12-15 novembre 2009) è stato presentato l’Accordo di Programma sottoscritto da Studi Ambientali spa che ha ricevuto l’incarico dalla Società capofila del Raggruppamento RECinert, Consiglio Nazionale Geometri e Geometri laureati (CNG), e l’Unione Nazionale Italiana Tecnici Enti Locali (UNITEL) per incentivare il recupero dei rifiuti inerti. In attuazione di quanto previsto ed a copertura dell’investimento per la realizzazione dell’iniziativa, sarà possibile utilizzare uno specifico finanziamento. Non si tratta di un’operazione isolata, destinata, come spesso accade, ad estinguersi perché non strutturata e senza definizione di ruoli e settori coinvolti, bensì del progetto di un’unica filiera regionale che una volta a regime sarà in grado di gestire l’intero processo: dalla raccolta alla trasformazione, dal recupero al riutilizzo di aggregato riciclato conforme agli standard richiesti per la realizzazione di opere edili pubbliche e private, che gli Enti (Comuni, Amministrazioni Pubbliche e società a prevalente capitale pubblico) hanno debbono impiegare nella misura non inferiore al 30% del fabbisogno, ai sensi del D.M. 8/5/2003 n. 203 (GPP). Oltre ad una notevolissima rilevanza economica ed occupazionale sul piano locale, l’iniziativa tende a risolvere l’annoso problema dell’abbandono dei rifiuti edili ed il recupero in materiali idonei al riutilizzo e crea notevoli prospettive di investimento per gli operatori, anticipando le iniziative previste nella Direttiva Europea del 19/11/2008 n. 2008/98/CE sul raggiungimento degli obiettivi di recupero dei rifiuti inerti.

Soggetti interessati Imprese e/o operatori del settore edile-stradale e/o movimento terra, con sede operativa nel territorio regionale dell’Area 5, che dichiarino l’interesse. Possono altresì presentare manifestazione di interesse le imprese che esercitano un’attività economica integrata e funzionale all’oggetto dell’iniziativa. Presentazione delle proposte La manifestazione di interesse dovrà essere predisposta, a pena di esclusione, utilizzando l’apposito formulario (Allegato 1), compilato in ogni sua parte e corredato della documentazione richiesta. Dovranno essere allegati inoltre: - certificato di iscrizione alla Camera di Commercio con l’indicazione di assenza di procedure fallimentari ed annotazione antimafia; - attestazione di versamento di 384 euro sul c/c/ postale n. 78308459, intestato a “Studi Ambientali” - Via Garibaldi, 91 - 20024 Garbagnate Milanese (MI), con la seguente causale: “rimborso spese per valutazione ed esame pratica”. Le proposte dovranno essere inviate per posta in plico chiusa a mezzo raccomandata entro il 10 marzo 2010, al seguente indirizzo: Studi Ambientali - Gruppo di Lavoro “Filiera RI-Iinerte - Regione...” - Casella Postale 92 - 20024 Garbagnate Milanese (MI) Per informazioni e per chiedere la relativa modulistica: www.studiambientali.org e www.recinert.it

Obiettivi - Valorizzazione economica dei rifiuti inerti - Completamento Piani Territoriali su base provinciale per la realizzazione della Filiera nelle regioni dell’Area 5 con l’uso, a titolo oneroso, di marchio, know-how ed esclusiva territoriale, per perseguire:

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Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Bando Progetti di Ricerca per interventi di Efficienza Energetica e Utilizzo delle fonti di Energia Rinnovabile in Aree Urbane (G.U n. 297 del 22. 12. 2009) Finalità Realizzazione di studi e progetti di ricerca per interventi nei seguenti settori: a. incremento dell’efficienza energetica negli usi finali e utilizzo delle fonti di energia rinnovabile, con particolare riguardo agli interventi mirati alla riduzione delle emissioni inquinanti in aree urbane; b. produzione, stoccaggio e distribuzione di idrogeno da fonti di energia rinnovabile; c. interventi sui sistemi di locomozione ed infrastrutture dedicate, per il miglioramento della qualità ambientale in aree urbane. Soggetti destinatari Possono presentare domanda di contributo imprese associate, anche in forma temporanea. L’associazione deve comprendere enti pubblici di ricerca la cui quota di partecipazione non sia superiore al 50%. In via facoltativa, la suddetta associazione potrà comprendere anche Associazioni di categoria, Agenzie energetiche locali, E.S.Co., Agenzie, Enti o Istituti preposti alla comunicazione, informazione e formazione in materia ambientale, Enti pubblici. Risorse disponibili Per l’attuazione del programma di contribuzione si utilizzano le risorse previste dall’articolo 1, comma 248, della legge del 30 dicembre 2004 n. 311 ed iscritte ad apposito Fondo presso lo stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’importo di euro 10.000.000,00 (diecimilioni). Costi ammissibili e contributo Sono ammissibili al contributo le spese di seguito elencate: a) spese per ricercatori o esperti in materia per la definizione del progetto e per l’analisi dello stato dell’arte; b) fornitura di software, hardware e strumentazioni di misura, esclusivamente se strettamente necessari all’ottenimento dei risultati attesi; c) competenze tecnico-scientifiche per l’effettivo sviluppo della ricerca e per la definizione e messa a punto degli interventi di cui sopra; d) competenze per la valutazione dell’impatto potenziale,

in termini energetici, ambientali e di incremento della qualità dell’ambiente urbano, degli interventi proposti; e) realizzazione di casi studio o di prototipi, compresi i sistemi di monitoraggio per la valutazione delle prestazioni degli stessi; f) campagne di diffusione dei risultati, compresa la pubblicazione di linee guida per la realizzazione degli interventi studiati in aree urbane. Il costo complessivo ammissibile di ogni singolo progetto presentato dovrà essere: non inferiore ai € 300.000,00; non superiore a € 3.000.000,00. Durata dei progetti di ricerca La durata del progetto di ricerca dovrà essere non inferiore ai 12 mesi e non superiore ai 24 mesi. Nei soli casi in cui la ricerca preveda la realizzazione di prototipi, la sperimentazione relativa alle prestazioni degli stessi e la validazione dei risultati, la durata massima del progetto potrà essere di 36 mesi. Presentazione delle domande Le domande di contributo, debitamente sottoscritte, dovranno essere inoltrate esclusivamente a mezzo plico raccomandato con avviso di ricevimento, pena la non ammissione ad istruttoria. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, nei limiti delle risorse stanziate, ammetterà ad istruttoria le domande che risultino spedite esclusivamente a partire dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del comunicato relativo all’emanazione del presente bando e non oltre cinque mesi dal primo giorno utile alla ricezione (ndr: 21 maggio 2009). Ai fini dell’ammissione delle domande farà fede la data desunta dal timbro apposto dall’Ufficio postale di partenza e dal Bollo apposto dall’Ufficio Protocollo del MATTM. Le istanze di contributo dovranno pervenire in busta chiusa recante l’indicazione “Bando per il finanziamento di progetti di ricerca finalizzati ad interventi di efficienza energetica e all’utilizzo delle fonti di energia rinnovabile in aree urbane”, il nome del soggetto proponente ed un nome identificativo del progetto proposto, al seguente indirizzo: Direzione per la Salvaguardia Ambientale Bando “Fonti rinnovabili in ambiente urbano: Ricerca e innovazione” Ministero dell’Ambiente, della Tutela, del Territorio e del Mare Via Cristoforo Colombo, 44 - 00147 Roma

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i quesiti dei lettori: L’ESPERTO RISPONDE a cura di Leonardo Filippucci

A fronte di una richiesta di informazioni in materia ambientale, può la Pubblica Amministrazione rispondere negativamente sostenendo che l’elaborazione delle informazioni richieste sia troppo laboriosa? L’istituto dell’accesso alle informazioni ambientali non si assoggetta ai limiti soggettivi e oggettivi propri dell’accesso ai documenti amministrativi, ma resta comunque subordinato a un principio generale di proporzionalità, di economicità e di ragionevolezza, per cui possono consentirsi solo gli accessi che non si traducano in uno sproporzionato aggravio per l’Amministrazione, tale da metterne in pericolo l’efficienza gestionale, a fronte di esigenze informative del cittadino che meglio potrebbero e dovrebbero essere soddisfatte in sede di informazione ambientale “attiva” apprestata dalle amministrazioni competenti (piuttosto che nella più onerosa forma “passiva” dell’accesso, mediante visione ed estrazione di copia, ai documenti preesistenti o all’uopo formati dall’amministrazione). Più nel dettaglio, se è vero che il diritto di accesso alle informazioni relative allo stato dell’ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale, giusta anche le previsioni della Convenzione di Aarhus, ratificata dall’Italia con la Legge 16 marzo 2001, n. 108, non è sottoposto al filtro soggettivo, potendo essere esercitato da chiunque “senza essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante”, né al limite oggettivo proprio della Legge n. 241/90 (potendo riguardare anche informazioni da elaborare appositamente, e non soltanto documenti già formati ed esistenti presso l’amministrazione), è altresì vero che l’obbligo delle amministrazioni di rendere disponibili le informazioni ambientali può e deve essere assolto non solo mediante accesso cosiddetto “passivo” (mediante accoglimento delle specifiche domande di accesso dei cittadini), ma anche e soprattutto mediante informazione “attiva” (mediante pubblicazione, anche sui siti internet, di tutti i flussi informativi, spesso anche

agenda

voluminosi, relativi allo stato dell’ambiente). Il che implica che informazioni voluminose e massicce, o di contenuto oggettivo molto ampio, dovrebbero essere rese acquisibili attraverso l’informazione attiva, piuttosto che essere fatte oggetto di accesso “passivo” documentale, che costituisce una modalità notevolmente più impegnativa e laboriosa, sia per l’amministrazione che per il cittadino (cfr.: T.A.R. Campania Napoli, sentenza 12 gennaio 2010, n. 68). L’abbattimento controllato di determinate specie di animali selvatici può essere attuato senza un preventivo parere dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica? No! Come ricordato anche da una recente sentenza del T.A.R. Toscana (sent. 9 gennaio 2010, n. 12), la Legge 11 febbraio 1992, n. 157 - che detta il quadro di riferimento normativo per la protezione della fauna selvatica - stabilisce all’art. 19, comma 2: “Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agroforestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l’Istituto verifichi l’inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento”. La lettura della norma rende evidente che l’abbattimento della fauna costituisce un’opzione del tutto subordinata ed eventuale rispetto all’utilizzo di metodologie ecologiche (cfr.: T.A.R. Veneto, sent. 24 ottobre 2008, n. 3274). È necessario, in altre parole, che i piani di abbattimento diano conto del previo esperimento di metodi ecologici e che l’inefficacia di detti metodi incruenti sia stata certificata dall’I.N.F.S., ora assorbito dall’ISPRA (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sent. 22 novembre 2007, n. 732). Qualora ciò non avvenga, il provvedimento che approva il piano di abbattimento è illegittimo per violazione del citato art. 19, comma 2 Legge 157/1992.

Eventi e Fiere

Saragozza, 2-5 marzo 2010 SMAGUA - Fiera Internazionale dell’Acqua Sede: Fiera di Saragozza Informazioni: Tel. 34 976 774700 - fax 34 976 330649 info@feriazaragoza.com - www. feriazaragoza.com Varie città europee, 22-26 marzo 2010 Settimana dell’Energia Sostenibile - IV edizione Tema dell’anno: Sforzi delle Città europee per l’Energia Sostenibile Informazioni: Segreteria EUSEW - Tel. 32 2 3335952 Parma, 25-27 marzo 2010 Impianti Solari Expo Sede: Fiera di Parma - Viale delle Esposizioni Organizzazione: SENAF srl - Via Eritrea, 21/a - 20157 Milano

Informazioni: Tel. 02 3320391 - fax 02 39005289 mecspe@senaf.it - www.senaf.it Napoli, 8-10 aprile 2010 ENERGYMED Sede: Mostra d’Oltremare Organizzazione: ANEA -Via Toledo, 317 - 8013 Napoli Informazioni: Tel. 081 419528 - www.energymed.it Montichiari (BS), 14-17 aprile 2010 METEF - FOUNDEQSede: Centro Fiera del Garda Organizzazione: EDIMET spa - Via Brescia, 117 - 25018 Montichiari Informazioni: Tel. 030 9981045 - fax 030 9981055 www.aluplanet.com - info@ aluplanet.com

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stampato su carta riciclata

Gennaio 2010

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Gennaio 2010. N°37 - Free Service srl Editore - Via del Consorzio, 34 - 60015 Falconara M.ma/AN - tel. 071/9161916 - fax 071/9162289 Supplemento n. 1 al n. 1/2 Gennaio-Febbraio 2010 di Regioni&Ambiente Poste Italiane s.p.a. - spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003, art.1, comma 1 (conv. in L.27/02/2004 n.46) - DCB Ancona

Editoriale Spenti i riflettori sulla COP15 di Copenhagen, si son lette davvero poche analisi sul perché di un fallimento e sulle sue conseguenze. L’approccio da festival con cui la COP era stata presentata al grande pubblico non contemplava l’esito della fumata nera. Né d’altra parte era logico attenderselo, dopo una road map di due anni costellata di impegni solenni a riscrivere, nella capitale danese, il protocollo di Kyoto. Eppure, dopo trattative tanto vane quanto estenuanti, la maggior parte dei governi presenti ha soltanto “preso atto” (questa l’espressione ufficiale) di un documento di nobili intenti, non vincolanti, il cui scopo ultimo è quello di evitare che l’ aumento della temperature media del pianeta non superi, nei prossimi decenni, i 2 gradi. Peccato però che le temperature non si fermino da sole né, tantomeno, con il clic, a mo’ di interruttore, di una qualunque azione miracolosamente efficace. Quote di emissione, tagli, verifiche, conservazione delle foreste, finanziamenti: la loro reale attuazione è rinviata a nuovi negoziati, con l’ambizione o l’illusione di recuperare il successo oggi mancato nella prossima COP 16 in programma a dicembre 2010 a Mexico City. La domanda inevitabile oggi è: sono in grado i governi nazionali, da soli, di raggiungere gli accordi e sottoscrivere gli impegni di alto livello che la criticità della situazione ci impone? Visto l’esito di Copenhagen, forse la risposta è negativa. Troppo ricchi i paesi ricchi e troppo poveri i paesi poveri. Occorre uno sforzo più ampio e condiviso, in cui il decentramento istituzionale sia protagonista di responsabilità, non certo di antagonismo o marginalizzazione. Occorre che gli impegni per la sostenibilità siano portati sulle strade delle nostre città e dei nostri territori. Il Coordinamento Agenda 21 Italia ha l’ambizione di

essere il gruppo di punta degli Enti Locali italiani impegnati per la sostenibilità. Abbiamo definito già un anno fa la Carta delle Città e dei Territori per il Clima e più recentemente l’allegato dei nostri Impegni per il Clima. Sul nostro sito c’è tutto. Quei documenti sono la nostra “carta statutaria”: non discorsi astratti ma impegni veri, elaborati e condivisi nei gruppi di lavoro ed attuati nel quotidiano delle nostre amministrazioni. I Gruppi di Lavoro sono parte integrante dell’associazione, e dunque la loro attività deve sapersi declinare secondo gli obiettivi generali: senza la loro elaborazione programmatica, e l’azione che ne consegue, non saremmo una vera Agenda 21 Italia. Così la comunicazione dovrà essere meglio coordinata e ricondotta a una più efficace unitarietà. La comunicazione è identitaria, e al tempo stesso fa identità. La rete delle Agende 21 locali. Le Agende 21 e gli impegni per la sostenibilità. Comuni, Province e Regioni che vogliono creare, nel quotidiano, un nuovo livello di consapevolezza, partecipazione e qualità ambientale. È questo, per la nostra Agenda 21 Italia nata nel 1999, un passaggio di transizione. Dalle cose da fare nell’allora imminente 21° secolo agli impegni, da protagonisti e corresponsabili, nelle politiche di mitigazione ed adattamento per la salvaguardia del clima e di tutti gli equilibri ambientali che da esso dipendono. Sempre più consapevoli ed orgogliosi della nostra dimensione istituzionale. Senza ignorare che per gli enti locali questa è una stagione di fatiche e di poche risorse, magari nemmeno spendibili, che impone a noi amministratori una scelta non facile di priorità. L’elaborazione di piani per il clima, anzi di un grande piano per il clima delle città e dei territori dell’Agenda 21 Italia, sarà la nostra sfida per il 2010. Emanuele Burgin Presidente della Associazione Nazionale Coordinamento Agende 21 Locali Italiane

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Dopo Copenhagen L’analisi di Emilio D’Alessio

Come previsto la conferenza sul clima di Copenhagen si è conclusa senza un accordo legalmente vincolante sul nuovo protocollo globale sul clima. Questo lo sapevamo più o meno tutti da mesi. Molto meno prevedibili si sono dimostrate le modalità e le conseguenze di questo epilogo, per una serie di motivi. Il primo dato è la presenza di tutti o quasi i leader del mondo, evento mai accaduto nelle 14 COP precedenti. Le foto di Copenhagen con i grandi del pianeta seduti attorno a informali tavoli di negoziato sono una novità assoluta. I capi di stato erano soliti arrivare a negoziati conclusi per firmare gli accordi, stavolta invece sono stati i principali protagonisti. Voci autorevoli riferiscono di un meeting tra i leader di Cina, India e Brasile in cui irrompe Barack Obama, lamentandosi di non essere della partita. Sotto questo aspetto la conferenza ha dimostrato l’attenzione di tutti i leader al tema dei cambiamenti climatici, tacitando i negazionisti dei cambiamenti climatici e tutti coloro che fino all’ultimo hanno cercato di sminuire il significato del vertice di Copenhagen. La seconda considerazione riguarda la differenza tra le liturgie delle Nazioni Unite e i comportamenti arroganti delle grandi potenze mondiali. Il primo a non capire su quale teatro si stesse recitando è stato proprio Obama, che ha vissuto freneticamente le sue 12 ore a Copenhagen con una sequenza di incontri ristretti, se non rigorosamente bilaterali, fino all’annuncio a sorpresa di un accordo degli USA con i grandi paesi in via di sviluppo. Accordo che non comprendeva gli altri membri del G8 e tutte le altre nazioni, comprese le più povere (nel linguaggio ONU sono LDC-Least Developed Countries). Il terzo elemento è conseguente del secondo, ed è il prezzo che Obama e gli altri hanno pagato per l’arroganza e la superficialità con cui hanno trattato le procedure delle Nazioni Unite, dove USA e Cina contano come Kiribati e San Marino, almeno sulla carta. La conseguenza è stata la drammatica plenaria del sabato mattina, nella quale cinque nazioni latinoamericane (Venezuela, Bolivia, Cuba, Nicaragua e Costarica) oltre a Sudan e Tuvalu, hanno impedito al Copenhagen Accord di essere sottoscritto dalla COP-15, relegandolo a un documento di cui il summit ha “preso atto”. Le regole ONU infatti prevedono l’unanimità. Questo punto merita qualche riga in più, perché i sette dissensi nascono da motivazioni profondamente diverse, che però hanno trovato nelle procedure un nesso comune. I latinoamericani hanno posto un problema politico, certamente strumentale e legato all’opposizione di una leadership USA, ma formalmente motivato dalla oggettiva indifferenza di Obama al protocollo ONU. Non si può negare che l’accordo USA-Cina, India-Brasile-Sud Africa sia stato imposto dall’alto, con la conseguente frustrazione di chi da due anni stava lavorando con pazienza ai tavoli di mediazione. Tuvalu e Sudan rappresentano invece l’estremizzazione di due posizioni, non condivise dagli altri stati dei rispettivi gruppi. Resta l’imbarazzo per il Sudan, che nel ruolo di portavoce del gruppo G77+Cina (130 nazioni) avrebbe dovuto mantenere atteggiamenti di moderazione, mentre ha addirittura paragonato la proposta di accordo all’olocausto. Una affermazione che, provenendo dalla nazione dove si svolge il dramma del Darfur, è doppiamente inaccettabile. Inevitabili quindi le prese di distanza di molti paesi del blocco. Anche la quarta osservazione è conseguenza della seconda e riguarda sempre l’accordo appena citato. L’accordo politicamente avrà conseguenze pesantissime. L’opposizione delle cinque nazioni latinoamericane infatti ha come contrappeso il ruolo del Brasile di Lula, che è tra i fautori del documento. Quindi l’America Latina si è spaccata. Altrettanto vale per il Sud Africa e per il dichiarato appoggio di Etiopia e molti altri paesi africani, che di fronte all’opposizione del Sudan dimostrano una frattura anche in questo continente. Queste due posizioni, sommate a Cina e India e all’appoggio della Corea del Sud, sgretolano anche il fronte dei cosiddetti “paesi in via di sviluppo”. Lo stesso vale per il gruppo dei piccoli paesi insulari (OASIS): mentre Tuvalu si metteva di traverso Maldive e altri imploravano l’appoggio all’accordo. Il quinto punto è che il cartello USA-grandi nazioni emergenti mette all’angolo anche Europa, Giappone, Russia, Australia e Canada. In pratica l’occidente resta rappresentato solo dall’America, che si presenta come unico interlocutore e alleato dei grandi paesi emergenti. Gli altri sono costretti a “prendere atto” e a manifestare la propria delusione. In questo scenario è evidente che la grande sconfitta è l’Europa. La conferenza di Copenhagen ha aperto una nuova stagione della politica globale in cui le decisioni possono essere prese senza la partecipazione di interlocutori come Europa e Giappone, impensabile fino a ieri. Tuttavia non è un G2 limitato a USA e Cina, come qualcuno ha scritto, ma un disegno che includendo Brasile, Sud Africa e India spacca tutti i cartelli continentali e rimescola le carte. La sesta riflessione riguarda il ruolo delle città e dei territori. La Bali roadmap, il percorso tracciato nella COP 13 del 2007 che si concludeva a Copenhagen, era stato costruito dai network di città e territori per inserire i governi locali a pieno titolo nel nuovo trattato. Le bozze di accordo che circolavano comprendevano molti riferimenti al ruolo delle città e nella premessa del documento principale c’era un paragrafo in cui veniva rimarcata la necessità di coinvolgere i governi locali. Poi la tempesta politica delle 48 ore finali ha cancellato tutto. Il Copenhagen Accord è un testo stringato di poche pagine, una sorta di ordine del giorno che ha reso inutile il faticoso lavoro di due anni di negoziati. Tornando al clima e a quello che ci aspetta, si può mantenere un cauto ottimismo, con alcune variabili da verificare nei prossimi mesi. La prima è ovviamente l’avvallo del senato USA al Climate Bill di Obama, che permetterebbe agli USA di assumere impegni molto più robusti. I democratici hanno appena perso la maggioranza qualificata al Senato e questo mette a forte rischio le riforme che devono ancora essere approvate dalla camera alta, da quella sanitaria al climate bill. L’Europa è smarrita ed è stata relegata in un ruolo troppo marginale. Il modo per uscirne, se gli USA approveranno il Climate Bill, sarebbe la decisione unilaterale di aumentare al 30% le riduzioni al 2020. Il vertice dei ministri dell’ambiente UE convocato a gennaio ha visto Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna spingere in questa direzione, mentre altri paesi come Italia e Polonia sono fortemente contrari. Il ministro italiano Stefania Prestigiacomo ha detto che l’ipotesi di un obiettivo del 30% è “francamente surreale” dopo quello che lei ha definito il “fallimento di Copenhagen”. Vedere l’Italia così lontana dalle nazioni leader in Europa è molto deprimente, ma già a Copenhagen l’intervento di Prestigiacomo era stato privo di qualunque interesse. La Cina è l’unica potenza ad avere la flessibilità per riconvertirsi senza eccessivi traumi alla nuova politica energetica globale e lo farà, seppure con i tempi e i riti dell’oriente. Ovvero dicendo di no a oltranza salvo adeguarsi all’ultimo minuto. Cina, India, Sud Africa e Brasile si sono nuovamente riuniti a gennaio 2010 per decidere una linea comune, formalizzando di fatto un cartello politico. Entro il 31 gennaio 2010 le nazioni occidentali, quelle del cosiddetto “allegato 1” del protocollo di Kyoto, dovranno definire i loro livelli di riduzione delle emissioni. Gli stessi paesi in via di sviluppo potrebbero entro lo stesso termine annunciare degli obiettivi volontari. A giugno è in programma un nuovo round negoziale a Bonn, a dicembre la COP-16 in Messico che sarà la vera scadenza ultimativa.

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Presentata a Copenhagen la Carta delle Città e dei Territori d’Italia per il clima Sabato 12 dicembre, nella lounge di ICLEI, all’interno del Bella Center, si è tenuto l’evento parallelo organizzato dal Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, l’unico evento parallelo tra gli oltre 500 svoltisi nell’ambito della COP 15 promosso da un’organizzazione del nostro Paese, al quale sono intervenuti anche il Comune di Roma e la Provincia di Salerno. L’occasione è stata la presentazione alla comunità internazionale dei governi locali della Carta delle Città e dei Territori d’Italia per il clima, promossa dal Coordinamento Agende 21 Locali Italiane in collaborazione con ANCI e UPI. Sottoscrivendo la Carta i Comuni, le Province e le Regioni italiani si impegnano ad adottare politiche ed azioni integrate di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici che consentano di ridurre di oltre il 20% le emissioni di gas serra. Dalla programmazione urbanistica alla mobilità, dalla pianificazione energetica alla gestione eco-efficiente e sostenibile degli edifici pubblici, sono tanti e spesso molto importanti, per i risultati che possono dare, gli interventi che ciascun ente può realizzare. La Carta è il contributo degli enti locali e territoriali italiani alla roadmap per il clima avviata con la COP 14 di Bali, approdata alla COP 15 di Copenhagen e già lanciata verso l’ultima, definitiva tappa, la COP 16 di Città del Messico tra meno di un anno. Il “dopo-Copenhagen”, anche a voler guardare il bicchiere mezzo pieno, si presenta incerto. È proprio in circostanze come questa che occorre sostenere con fermezza la propria chiara e responsabile posizione. Questo il senso della Carta.

Carta delle Città e dei Territori d’Italia per il clima I Comuni, le Province e le Regioni d’Italia si impegnano ad adottare politiche e azioni integrate di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici che consentano di ridurre di oltre il 20% le emissioni di gas serra ed aumentare l’equilibrio sociale, ambientale ed economico del territorio. Le città e i territori d’Italia chiedono al Governo italiano di prevedere l’accesso delle amministrazioni delle Città e dei Territori ai meccanismi dell’Emission Trading e al mercato dei Titoli di Efficienza Energetica e propongono di escludere dal patto di stabilità gli investimenti locali in progetti finalizzati alla mitigazione e adattamento al cambiamento climatico (efficienza energetica, mobilità sostenibile, diffusione delle energie rinnovabili). Le città e i territori chiedono al Governo italiano di promuovere, in collaborazione con il sistema bancario, la predisposizione di strumenti finanziari dedicati agli interventi di riqualificazione energetica e di favorire il coinvolgimento delle ESCO e di altri soggetti specializzati al fianco delle amministrazioni locali e territoriali. Le città e i territori d’Italia sollecitano il Governo italiano a sostenere in sede internazionale la necessità di includere nel nuovo protocollo globale sul clima in vigore dal 2012 un capitolo dedicato al ruolo delle città e dei territori, chiedendo inoltre che rappresentanti degli enti locali facciano parte delle delegazioni governative alle Conference of the Parties a partire dalla COP-15 di Copenhagen 2009. Le politiche e le azioni locali contribuiranno al raggiungimento degli obiettivi sottoscritti dal Governo in sede europea e potranno svolgere un ruolo importante nel rilancio dell’economia, promuovendo l’innovazione, sostenendo il mercato interno e migliorando la competitività del sistema Italia nel panorama internazionale. www.a21italy.it

VI Conferenza europea sulle città sostenibili - Dunkerque 19-21 maggio 2010

Lo sviluppo sostenibile locale offre le opportunità per vincere le attuali sfide globali economiche, sociali ed ambientali? Possono un nuovo senso di leadership responsabile ed una visione integrata condurre le nostre città a soluzioni più sostenibili? Si terrà dunque a Dunkerque, nel Nord della Francia, il più importante evento europeo dedicato allo sviluppo sostenibile locale del 2010, strategicamente collocato a qualche mese di distanza dalla COP 15. La città francese è senz’altro uno scenario azzeccato dove collocare la conferenza: area portuale ed industriale tra le più importanti d’Europa, negli ultimi 15 anni ha cercato di mantenere e rafforzare i pilastri della sua economia e nel contempo di aumentare gli sforzi per essere innovativa nelle sfere sociale e ambientale, promuovendo politiche ed azioni per uno sviluppo più sostenibile. Un luogo dove provare a misurare se l’intensità dell’impegno profuso per un sistema economico e sociale più sostenibile è coerente con la velocità di cambiamento richiesta dalla crisi ambientale e climatica. Tema alquanto rilevante per la maggior parte delle città del pianeta e al centro dei lavori della conferenza. I delegati, se ne attendono oltre 1.500, esamineranno anche come uno sviluppo sostenibile possa essere ulteriormente attuato a livello europeo considerati l’attuale contesto finanziario e politico, alla luce dei risultati dei negoziati sul clima della COP 15. Il programma della 3 giorni di Dunkerque prevede 5 conferenze plenarie e 20 sessioni parallele distribuite su due giornate. La struttura della conferenza cercherà di massimizzare le occasioni di discussione ed interazione tra i relatori e i partecipanti attraverso sessioni con format e metodologie innovative. Lo spazio Agora consentirà a un gran numero di partecipanti di condividere le loro esperienze nell’ambito della Conferenza, sfruttando i “tempi morti” delle pause pranzo e dei coffee break. È inoltre previsto un evento speciale, organizzato direttamente dalla città di Dunkerque, riservato ai sindaci per favorirne la reciproca conoscenza ed interazione. È disponibile il Secondo annuncio della conferenza dove sono illustrati i principali obiettivi, i capisaldi del programma e le modalità e le quote d’iscrizione: www.dunkerque2010.org/ fileadmin/user_ICLEI/05-Announcements/2nd_Announcement_IT.pdf

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Il Coordinamento rinnova i suoi strumenti di comunicazione telematici

Già da qualche settimana è cominciato un percorso di rinnovamento del principale e più potente strumento di comunicazione di cui dispone il Coordinamento: il sito www.a21italy.it. Mentre infatti si registra un continuo aumento degli accessi giornalieri (media di 1.500 pagine viste quotidiane) ed è stata aggiornata la sezione in inglese in vista dell’appuntamento di Dunkerque, Giordano Cuoghi, da sempre webmaster del sito del Coordinamento, seguendo le indicazioni già emerse all’assemblea di Arenzano, ha attivato nuovi servizi, tutti indirizzati a sostenere il lavoro in rete dei soci e la “molteplicità comunicativa”. Sono già attivi tre canali specifici su altrettanti social network: You Tube (www.youtube.com/A21ITALY) inaugurato con le registrazioni audio/video realizzate in occasione della COP 15, Facebook (www.facebook.com/pages/A21-ITALY/173693998341) e Twitter (http://twitter.com/a21italy), dove gli utenti registrati potranno seguire in tempo reale gli aggiornamenti realizzati da una redazione, in via di definizione, in modo da permettere la “contaminazione” dei contenuti circolanti sui due network con argomenti d’interesse per l’associazione. Al momento è disponibile una anticipazione anche del nuovo CMS (Content Management System, per l’autogestione dei contenuti) con lo speciale dedicato alla COP 15 (www.a21italy.org/a21). Ma lo sforzo maggiore verrà dedicato ai Gruppi di Lavoro individuando soluzioni innovative per la gestione dei flussi di dati utili alle loro attività e per facilitare l’interazione e il lavoro in rete. Ogni GdL avrà un suo indirizzo www.nomeGdL.a21italy.it, ovvero un sottosito personalizzabile e autogestito. L’ambiente è infatti completamente configurabile e grazie a un editor di testo interno permette un’interazione con un elevato controllo sui flussi di lavoro, lo stato dei progetti, il deposito della documentazione prodotta o allegata per meglio sviluppare i processi avviati. Oltre a ciò l’ambiente dispone di un calendario dedicato alle attività specifiche, un modulo di messaggistica e uno di tempistica per meglio organizzare le singole attività. Per maggiori informazioni: giordano@giordanocuoghi.it

Brevi È Bra in provincia di Cuneo il comune vincitore assoluto della terza edizione del Premio Comuni a 5 stelle, selezionato tra i 55 comuni iscritti al bando 2009. Il Comune di Bra si è aggiudicato l’attivazione di un progetto sperimentale di mobilità sostenibile, che verrà donato dall’azienda partner del Premio, “Ecomotion”. Tutti i materiali su www.comunivirtuosi.org Apre al pubblico il 5 febbraio e lo resterà fino al 28 marzo “Green Life: costruire città sostenibili”, mostra internazionale promossa da Legambiente, Ambiente Italia e Triennale, dedicata a progetti di sviluppo urbano nell’ottica della sostenibilità e dell’edilizia ecocompatibile. L’obiettivo di Green Life è di mostrare attraverso 60 casi ciò che in Italia e nel mondo è già stato realizzato o in corso di realizzazione nell’ambito della progettazione architettonica per creare eco-sistemi urbani sostenibili per il pianeta. Per maggiori info www.mostragreenlife.org M’illumino di meno quest’anno diventa M’accendo di energia da fonti rinnovabili. Dopo il successo delle scorse edizioni, con l’adesione di migliaia di ascoltatori e di intere città sia in Italia che all’estero, quest’anno l’invito lanciato dalla popolare trasmissione radiofonica Caterpillar, in onda su RAI Radio 2, a rispettare un simbolico “silenzio energetico” si trasforma in un invito a partecipare a una festa dell’energia pulita. Per venerdì 12 febbraio 2010 la sfida è di adottare un sistema pulito per accendere le luci. L’intento è duplice: da un lato verificare in prima persona che le tecnologie attualmente disponibili sono efficaci e rappresentano alternative realistiche, dall’altro dare un segnale simbolico di fiducia nelle energie rinnovabili e nello sviluppo di un modello di economia sostenibile. L’aspettativa è che nelle piazze spente di tutt’Italia si accendano luci “virtuose” alimentate a energia rinnovabile o dimostrazioni creative di consumo efficiente, per testimoniare il passaggio da un sistema ormai al collasso ad una gestione più “illuminata” del nostro futuro. Per maggiori informazioni ed aderire all’iniziativa milluminodimeno.blog.rai.it 1-6 marzo, Matera, VI Rassegna Urbanistica Nazionale, appuntamento nazionale di dibattito, riflessione e di scambio di esperienze per studiosi, amministratori, tecnici, progettisti e operatori impegnati nel governo del territorio. Promuove e organizza l’Istituto Nazionale di Urbanistica. Per maggiori info: www.inu.it 22-26 marzo, settimana dell’Unione Europea dell’energia sostenibile. È un evento della Campagna europea per l’energia sostenibile, iniziativa lanciata dalla Commissione Europea nel 2005. per contribuire a raggiungere gli obiettivi di politica energetica nell’ambito delle fonti di energia rinnovabile, dell’efficienza energetica, dei trasporti puliti e dei carburanti alternativi. L’invito agli enti locali è di organizzare nell’arco di questa settimana una Giornata dell’Energia Sostenibile e di partecipare agli eventi organizzati a Bruxelles tra il 23 e il 25 marzo. Disponibili materiali di comunicazione e altri strumenti su www.eusew.eu Ultima ora. Il Consiglio Direttivo svoltosi a Bologna venerdì 22 gennaio ha accolto la candidatura siciliana ad ospitare l’XI Assemblea dei soci e dei

sostenitori del Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, fissata per i giorni 16 e 17 aprile. Nei prossimi giorni il Coordinamento A21L della Sicilia indicherà la città prescelta per ospitare l’evento annuale più importante della vita associativa. Dal 28 al 30 maggio, nella consueta ma sempre suggestiva cornice della Fortezza da Basso di Firenze, VII edizione di Terra Futura 2010. I numeri dell’ultima edizione della mostra-convegno sulla sostenibilità economica, sociale e ambientale: 87.000 visitatori, 600 aree espositive con 5.000 realtà rappresentate, 200 appuntamenti culturali con 800 relatori e più di 250 tra animazioni e laboratori. Altre info da www.terrafutura.it Alcuni numeri su cui riflettere... - 34.000 delegati da 192 Paesi registrati alla COP 15 - 5.000 gli accrediti stampa concessi - 560 gli eventi paralleli organizzati nelle due settimane della COP 15 - 119 i capi di stato presenti nell’ultimo giorno del summit

… e le conclusioni della COP 15 1. Impegno a contenere il riscaldamento globale entro i 2°C 2. Fissare un fondo internazionale per aiuti ai Paesi in via di sviluppo per il contrasto ai cambiamenti climatici: 30 miliardi di dollari nel periodo 2010-2012 lungo periodo: 100 miliardi di dollari/anno al 2020 3. Rinviare ai singoli Stati il compito di definire i propri obiettivi nazionali 4. Organizzare la COP16 in Messico (dicembre 2010) per la definizione di target vincolanti da parte dei sottoscrittori L’Accordo di Copenhagen “pur non essendo tutto quello in cui si era sperato, è un primo passo importante; ora la sfida è tradurlo in uno strumento legalmente vincolante tra un anno in Messico” Yvo de Boer, Segretario Esecutivo dell’UNFCCC P.S. 25 i componenti presenti della delegazione accreditata dal Coordinamento Agende 21 Locali italiani alla COP 15 (per l’Italia, dopo quella governativa, la delegazione numericamente più significativa)

Supplemento n. 1 al n. 1/2 gennaio-febbraio 2010 di

A21 Italy Newsletter Gennaio 2010 - N° 37 Coordinamento Agende 21 Locali Italiane

Stampa: Bieffe srl, Zona Ind.le P.I.P. 62019 Recanati / MC

Direttore responsabile: Andrea Massaro

Per collaborazioni alla newsletter: Gli articoli inviati alla Newsletter devono essere al massimo di 1.500 battute (spazi vuoti inclusi). I contributi devono essere inviati a: kaulard.a@provincia.modena.it

a cura di: Antonio Kaulard Progetto grafico, redazione e impaginazione: Free Service srl, Via del Consorzio, 34 - 60015 Falconara M. / AN tel. 071 916 1 916 - fax 071 916 2 289 www.onon.it - info@regionieambiente.it - grafica@regionieambiente.it Aut.Trib. di Ancona n. 1/2000 del 4/1/2000

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La scadenza per l’invio dei contributi per la prossima newsletter è il 10 marzo. La Newsletter è al vostro servizio. Informateci delle vostre attività verso lo sviluppo sostenibile.


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N째

GENNAIO-FEBBRAIO 2010



INDICE Obiettivo: il buon governo del territorio di Alberto Piastrellini

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Raccolta la sfida per la nuova governance di Alberto Piastrellini p.

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Nuovo approccio alla pianificazione urbanistica ed al contrasto dell’abusivismo edilizio di Silvia Barchiesi p. 10 Quando la pianificazione del territorio passa attraverso l’informatizzazione dei servizi e la tutela del paesaggio di Fabio Bastianelli

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Pianificazione del territorio e ambiente di Stefano Agostinelli

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Assessorato Urbanistica - Politiche del Territorio - Edilizia Pubblica Abitativa - Accordi di Programma

OBIETTIVO: IL BUON GOVERNO DEL TERRITORIO

L’Assessore Regionale Gabriella Cundari, fa il punto sullo stato dell’arte delle novità introdotte dal Piano Territoriale Regionale di Alberto Piastrellini

Quando, all’incirca tra il 1337 e il 1340, il pittore senese Antonio Lorenzetti, tornato nella città natale dopo una serie di committenze a Firenze, ebbe l’incarico di dipingere la Sala del Consiglio della Pace dai “signori” del Comune, ritenne opportuno costruire una fascinosa scenografia che decorasse il registro superiore delle pareti della stanza stessa, affidando alla pittura concetti e pensieri più che semplici immagini illustrative. Nacque così il ciclo di affreschi passati alla storia come “Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo”. Nella Prima parte del Ciclo, laddove Giustizia asside sovrana sul trono celeste istruita dalla Sapienza e coadiuvata nell’operato dalla Concordia; il Monarca della Città (protetto dalla Virtù Teologali e sorretto da Temperanza, Magnanimità, Prudenza, Fortezza e Pace), governa il territorio (Città e Campagna) illu-

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strato da colori vivaci e rasserenanti e caratterizzato da attività laboriose e produttive che non deturpano il paesaggio, anzi, lo abbelliscono di creatività. È giocoforza, che, per contrasto, il Cattivo Governo sia caratterizzato da tinte, situazioni di disordine e pericolo e personaggi foschi (Furore, Divisione, Guerra, Avarizia, Vanagloria, Frode, Tradimento, Crudeltà)… L’affresco, nella semplicità didascalica dell’immaginario trecentesco, ha un valore simbolico ed evocativo che trascende secoli e periodo storico, illustrando, ancora oggi, i positivi effetti della governance contro i negativi del lassismo, della corruzione e dell’ingiustizia. Orbene, la Regione Campania, caratterizzata da un pesante background di scarsa ed insufficiente pianificazione territoriale, vessata vieppiù da un sistema di deroghe e varianti, ha iniziato, da alcuni anni a questa parte, un percorso di restyling dell’apparato normativo regionale, volto al riallineamento della Regione ai partner del Paese ed europei. Si tratta di un percorso complesso, cui sono state dirottate forze istituzionali e risorse economiche con l’obiettivo di rispondere positivamente alle tante istanza che il territorio, in tutte le sue accezioni, richiede: - lotta all’abusivismo edilizio; - pianificazione del territorio (dalla visione d’insieme a quella particolare);


- risposta al deficit abitativo nell’ottica dell’ottimizzazione delle risorse del territorio; - riscrittura delle regole per ciò che concerne l’urbanistica regionale; - forme di premialità per chi opera nell’ottica dei progetti europei; - informatizzazione dei servizi regionali per una maggiore trasparenza ed un più capillare accesso alle informazioni; - implementazione della tutela ambientale. Per la realizzazione pratica di quel concetto virtuoso di “Buon Governo” che Lorenzetti, forse con gli occhi del sognatore e dell’artista, aveva descritto così mirabilmente, nelle “pagine di pietra” del Palazzo della Signoria a Siena, 700 anni fa, la Regione Campania, ha intrapreso la strada della governance declinata in chiave “green” secondo dinamiche di sussidiarietà con la cittadinanze e sinergia fra Strutture e competenze, cercando di rimettere la Persona al primo posto nelle logiche programmatorie e pianificatorie. In sostanza si è trattato di riapprocciare tutto il sistema di governo del territorio partendo dai bisogni puntuali del territorio stesso, senza intervenire pesantemente con politiche di sviluppo solo basate sull’aumento di cubature, cemento ed infrastrutture, ma piuttosto partendo da una politica di riequilibrio insediativo, da una più armonica

valorizzazione delle risorse, dalla difesa dei paesaggi, della ruralità, delle aree a parco e dalle prime vere azioni contro l’abusivismo. Per saperne di più e calarci meglio nel percorso intrapreso dalla Regione, abbiamo intervistato l’Assessore Regionale all’Urbanistica - Politiche del Territorio - Edilizia Pubblica Abitativa - Accordi di Programma, Gabriella Cundari, che ha fatto il punto della situazione illustrando i contorni di un disegno generale che sarà ampiamente sviluppato nelle pagine seguenti. La Campania ha di recente rivoluzionato il suo approccio normativo e pratico al problema dell’urbanistica in generale e dell’edilizia in particolare. Come è nata questa avventura? Quali risultati ha prodotto? Per la prima volta in Campania con questa legge urbanistica si è effettuata un’operazione importantissima a cui abbiamo dato seguito e completezza con il Piano Territoriale Regionale. Abbiamo avviato un’operazione difficilissima, quella di sollecitare Province e Comuni ad adottare rispettivamente il Piano Provinciale di Coordinamento Territoriale e i Piani Urbanistici Comunali. Fino ad oggi l’unica Provincia ad essersi dotata del Piano Provinciale di Coordinamento Territoriale è quella di Salerno.

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Per quanto riguarda i Comuni, invece, bisogna tener presente che molti non avevano che vecchi Piani Regolatori, alcuni disponevano solo dei Piani di Fabbricazione, mentre addirittura altri non disponevano né dell’uno, né dell’altro. Sotto questa spinta e questi stimoli, abbiamo così iniziato un percorso degno del nuovo millennio. Se la Regione Campania è diventata l’emblema di tanti problemi, la colpa è in primis dell’assenza di un sistema di regole appropriate. Senza regole tutto diventa più difficile, così come diventa difficile e opinabile distinguere tra ciò che è permesso e ciò che non lo è. Il Piano Territoriale è stato la base operativa della nostra azione sul territorio campano. In campo urbanistico ed edilizio ci siamo dati delle priorità per cercare di modificare un assetto territoriale disordinato, inadeguato e squilibrato. Tra le azioni più importanti è da segnalare la lotta all’abusivismo. Il Piano Casa è il risvolto positivo di questa importante sfida contro l’illegalità nell’edilizia. Non solo, infatti, è importante abbattere; altrettanto importante è costruire. La prima azione non avrebbe senso senza l’altra. Abbiamo, inoltre, promosso iniziative premianti per incentivare e promuovere un comportamento etico e corretto da parte dei cittadini. L’obiettivo ultimo è il controllo del territorio. Abbiamo, infine, cercato di fotografare e rappresentare cartograficamente il territorio attraverso il Sistema Informativo Territoriale, in modo che ogni attività sul territorio potesse avere un riscontro cartografico attraverso una rappresentazione. Quali sono state le difficoltà maggiori in fase di redazione di queste regole e nella fase della loro applicazione? Come hanno risposto gli Enti Locali? E i cittadini? I cittadini hanno risposto bene. Ricevo continuamente e direttamente le loro mail in cui chiedono informazioni e delucidazioni sugli effetti operativi e concreti del Piano Casa. Gli Enti locali, finora sprovvisti di vincoli normativi, hanno invece ricevuto un forte scossone. Improvvisamente si sono trovati a fare i conti con delle leggi spesso difficili da applicare e da digerire, ad esempio per quanto riguarda l’applicazione dei permessi a costruire, affidata e demandata direttamente ai Comuni. I Comuni, dunque, hanno necessità di aiuto, sostegno e supporto. Vanno in questa direzione le Linee Guida per l’applicazione del Piano Casa. La loro redazione punta a sostenere dal punto di vista informativo e conoscitivo i Comuni nell’applicazione delle nuove regole. C’è comunque un grosso gap tra l’amministrazione locale e quella regionale, oltre che con quella nazionale ed europea:

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noi puntiamo a ridurlo. Per i programmi di qualificazione delle periferie degradate abbiamo ricevuto dall’Unione Europea ben 700 milioni di euro destinati ad interventi nelle città superiori ai 50 mila abitanti. Anche per la progettazione e la spesa dei fondi europei, ci sono comunque delle difficoltà. L’Europa ha, infatti, modalità, tempi e procedure completamente diverse dalle nostre. L’obiettivo è di spingere i nostri Comuni a prendere dimestichezza con un sistema di regole e procedure molto diverso da quello con cui fino ad oggi hanno avuto a che fare. La difficoltà è grande, ma stiamo lavorando a quest’operazione di sensibilizzazione degli Enti locali, anche per convincerli a consorziarsi e lavorare in gruppo per dotarsi di Piani Urbanistici Comunali adeguati. Per quanto riguarda i disegni di leggi regionali, è bene sottolineare che la Giunta, con proprie delibere, propone al Consiglio i testi di legge di propria iniziativa (come il PTR e il Piano casa).Tali disegni passano per l’esame delle competenti commissioni consiliari e poi in Consiglio, dove ciascuno dei 60 Consiglieri propone i propri emendamenti che recepiscono le istanze dei territori che rappresentano per mandato elettorale; ne consegue che il testo approvato spesso si discosta dall’originaria stesura del disegno di legge, talvolta in meglio, talvolta in peggio. Per quanto riguarda invece la pianificazione nel territorio di Riserve o Parchi come si sta muovendo la Regione Campania? Negli ultimi 10 anni abbiamo creato ben 9 Parchi regionali che aggiunti a tutte le altre forme di protezione ambientale raggiungono e forse superano la quota del 30% del territorio. Siamo, inoltre, riusciti a far approvare in Consiglio la pianificazione del Parco del Cilento e del Parco del Vesuvio, che sono i due Parchi Nazionali insistenti sul territorio campano, mentre sono in itinere i Piani dei nove Parchi Regionali. Per quanto riguarda quest’ultimi il lavoro è più difficile. Abbiamo infatti creato i Parchi a cui abbiamo assegnato un Presidente, ma non li abbiamo ancora dotati di una struttura. Purtroppo è maggiore l’attenzione per la fascia litoranea che per le zone interne, dove invece si riscontra un degrado diffuso. Quando si pensa alle cause di degrado spesso ci si riferisce ad un eccesso di pressione demografica, ma non è sempre così: esiste, infatti, anche un degrado che deriva dall’abbandono, problema questo a cui sono particolarmente sensibile. Tuttavia, in una Regione con mille problemi, l’Assessorato all’Ambiente non ha avuto occasione di dedicarsi appieno alla problematica dei Parchi. L’azione di pianificazione è però iniziata e credo ci siano tutte le premesse per concluderla entro i prossimi due anni. Dare il giusto valore a questa parte non marginale (30%) del nostro territorio è nell’elenco degli obiettivi della Regione Campania.


Governo del Territorio, Beni culturali - Ambientali e Paesistici

RACCOLTA LA SFIDA PER LA NUOVA GOVERNANCE

Il Coordinatore regionale Area 16 illustra indirizzi e risorse della nuova pianificazione territoriale regionale di Alberto Piastrellini

Nel proseguire l’analisi del nuovo approccio alla governance territoriale, così come introdotta dall’Assessore Regionale, è giocoforza assumere nuove informazioni e diminuire la focale per far emergere, dal quadro generale, particolari e dettagli che danno senso e concretezza alle linee di indirizzo. Per saperne di più abbiamo posto una domanda alla Dott.ssa Maria Adinolfi, Coordinatore Area 16 - Governo del Territorio, Beni Culturali - Ambientali e Paesistici. La Regione Campania si è dotata di vari strumenti normativi per rilanciare la governance del territorio a partire dall’urbanistica e dall’edilizia. Quali sono le novità del settore e cosa è stato fatto per i cittadini? Come hanno risposto gli Enti locali alle vostre proposte? Prima di scendere nel dettaglio delle politiche abitative messe in campo dalla Regione Campania è doveroso fare una premessa che riguarda il Piano Territoriale Regionale (P.T.R.), la Legge di governance dell’intera programmazione regionale. Questa Legge, infatti, governa tutto il sistema di sviluppo ter-

ritoriale ed economico della Regione. Questo è un passaggio nodale, cuore delle strategie di sviluppo e motore della pianificazione regionale. Il Piano Territoriale Regionale non è solo uno strumento di pianificazione, ma è la base della programmazione coordinata e integrata, il quadro di riferimento giuridico e unitario per tutti i livelli della pianificazione territoriale della Regione Campania. Trasporti, agricoltura, edilizia… ogni settore opera in funzione delle linee guida contenute nel Piano che individua il patrimonio di risorse ambientali e storico-culturali del territorio, definendo le strategie di sviluppo locale e dettando gli indirizzi per la pianificazione territoriale in Campania. Per quanto riguarda l’edilizia abitativa, in particolare, abbiamo avviato già tre anni fa una serie di operazioni, a partire dall’evoluzione delle linee guida per l’edilizia residenziale pubblica. In questo senso, abbiamo scelto di andare nella direzione della sostenibilità ed eco-compatibilità, lanciando un programma di 5 progetti pilota di quartieri ecosostenibili, attualmente in fase di realizzazione. Inoltre, contemporaneamente abbiamo approvato le prime linee guida della Regione Campania, stabilendo dei livelli di partenza in materia di ecosostenibilità ed eco-compatibilità. Queste linee guida, dalla loro prima redazione ad oggi, hanno subito un’evoluzione con un aggiornamento annuale dei livelli minimi consentiti. Annualmente definiamo, pure, un livello premiante per chi costruisce con specifiche che aumentano il livello della qualità degli alloggi. In questa direzione vanno anche le linee guida che stiamo predisponendo in attuazione del Piano Casa, approvato alla fine del 2009 dal Consiglio Regionale e frutto dell’accordo tra Regione e Stato per rilanciare l’edilizia sul territorio regionale. Questa legge punta molto sul miglioramento della qualità dell’edificato e dell’edificabile.

Anche i privati sono obbligati a rispettare queste regole di ecosostenibilità sia per quanto attiene l’incremento del 20%, che sull’adeguamento dell’edificato già esistente. Ai privati che chiedono l’incremento del 20% chiediamo, pertanto, di adeguarsi al livello 1 del Protocollo ITACA, mentre laddove siano previsti abbattimenti o ricostruzioni chiediamo come requisito il livello 3 dello stesso protocollo, in linea con quanto richiesto dalle normative nazionali e comunitarie. Ma la peculiarità di queste linee guida sta nel loro carattere innovativo, in quanto, allo stesso tempo, puntano a garantire la qualità della raccolta porta a porta dei rifiuti. Con queste linee guida stiamo, infatti, chiedendo al cittadino che edifica di realizzare un locale-deposito per la raccolta differenziata. L’obiettivo è quello di accelerare e migliorare la raccolta differenziata e quindi anche di migliorarne la qualità della stessa. Si tratta di una grande rivoluzione; anche perché una delle maggiori difficoltà riscontrate dai nostri Comuni nell’effettuare la raccolta differenziata è imputabile alla mancanza di spazi per la raccolta. Per quanto riguarda la risposta dei Comuni, devo ammettere che all’inizio ci sono state piccole difficoltà, in quanto gli stessi Comuni spesso non erano attrezzati per affrontare queste trasformazioni, ma la Regione non li ha lasciati soli, accompagnandoli in questa fase transitoria di cambiamenti e supportandoli. Abbiamo, ad esempio, realizzato una giornata formativa rivolta a tutto il personale amministrativo e abbiamo creato un portale (siba.regione.campania.it) con un’area FAQ in cui Enti locali e cittadini possono condividere domande e trovare risposte. Si tratta di un’operazione che punta alla trasparenza, alla partecipazione e all’informazione. Ma l’operazione più qualificante che l’Assessorato abbia mai svolto è quella prevista dal Programma “Più Europa”

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che riguarda 19 città medie della Campania, esclusa Napoli (che rientra in un altro obiettivo operativo), future protagoniste di importanti progetti di riqualificazione urbana. Al di là degli interventi e dei finanziamenti (dai 30 ai 50 milioni di euro per ogni singola città) ciò che è importante sottolineare sono le condizioni che i Comuni devono rispettare per poter accedere al programma di interventi. In primis, i Comuni devono dotarsi di un piano di rientro dell’abusivismo e di un piano di adeguamento dello smaltimento dei rifiuti e della raccolta differenziata. C’è quindi una premialità e un controllo periodico per verificare il livello di raccolta differenziata Comune per Comune. Inoltre, i Comuni devono cofinanziare il Programma per un importo pari al 10% del finanziamento regionale e comunitario, dimostrando a loro volta che questo intervento è catalizzatore di investimenti

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privati e che l’intervento pubblico possa fare da volano per interventi privati. Si tratta di progetti molto interessanti che prevedono operazioni di riqualificazioni urbane in aree, anche centrali, di alcune città campane, ma che di fatto sono divenute periferiche perché abbandonate, degradate e disconnesse dal resto della città, sia in termini di servizi, che di qualità della vita. I quartieri individuati verranno quindi riqualificati sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista dei servizi. Gli indicatori che verranno presi in considerazione per valutare il raggiungimento dell’obiettivo della riqualificazione riguardano, oltre che quelli tradizionali di tipo edilizio ed urbanistico, anche l’assistenza agli anziani, ai bambini, la sicurezza, ecc. Oltre a questo, è da segnalare un altro Programma che riguarda la costituzione di una rete ecologica e di servizi nella

fascia a contorno dell’area metropolitana di Napoli e che è all’interno del percorso di finanziamento previsto dal Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS). Contestualmente, abbiamo lanciato un’operazione volta a finanziare con un Fondo di Rotazione regionale tutte le iniziative di sostegno alle politiche della casa rivolte a giovani coppie e cassintegrati. Tra le misure anticrisi adottate per sostenere l’economia regionale, ed in particolare le politiche della casa, abbiamo, per esempio, approvato un bando volto a favorire la concessione dei contributi per il pagamento delle rate dei mutui ipotecari contratti entro il 31/12/2007 per l’acquisto della prima casa, dai cittadini residenti nella Regione Campania che abbiano perso il lavoro, che siano stati collocati in cassa integrazione o in mobilità. Riusciamo a gestire circa 2.000 mutui annui, oltre che numerosi affitti. Uno


dei problemi che abbiamo riscontrato nell’ambito delle politiche abitative riguarda, infatti, l’elevato prezzo degli affitti lungo la fascia costiera. Da qui la nostra esigenza di procedere ad una grande operazione di semplificazione delle procedure per l’accesso all’integrazione degli affitti. Sempre a questo scopo, da circa due anni la Regione Campania sta integrando il Fondo nazionale per l’integrazione degli affitti con dei Fondi regionali e contestualmente sta sperimentando con un gruppo di Comuni un sistema on line per la predisposizione delle graduatorie degli aventi diritto. Sempre nella linea della sperimentazione di nuove linee di intervento vi è il programma per l’autocostruzione. La Regione Campania ha di recente raccolto questa sfida lanciando due programmi sperimentali di autocostruzione per l’edificazione di alloggi di

housing sociale, a Piedimonte Matese e Villaricca, due aree a forte presenza di immigrati e di fasce deboli. Gli alloggi, infatti, sono destinati a cittadini a basso reddito, in condizioni di disagio abitativo, sia italiani che immigrati, purché residenti nel territorio campano. Attraverso l’Autocostruzione associata, un gruppo di persone e famiglie, nel comune intento di costruire la propria abitazione, rende disponibili le ore di lavoro manuale necessarie, permettendo così di ridurre i costi di costruzione. Il bene “casa” diviene dunque accessibile anche a chi, per la scarsità di risorse, non potrebbe averlo a prezzi compatibili con il proprio reddito. Si tratta di una pratica innovativa non solo per quanto riguarda le modalità di costruzione, ma anche da punto di vista delle tecniche impiegate, rigorosamente ecocompatibili ed ecosostenibili in fatto di risparmio energetico

ed uso razionale delle risorse idriche. In collaborazione con le Amministrazioni comunali, sono già stati individuati i terreni di edificazione, è stata avviata la campagna di sensibilizzazione per la selezione dei potenziali beneficiari e successivamente si sono costituite delle cooperative edilizie di autocostruttori. L’iniziativa è stata accolta in maniera entusiastica dalla cittadinanza. La domanda supera, infatti, di gran lunga l’offerta. Coloro che hanno richiesto di poter partecipare alle imprese di autocostruzione sono circa il quadruplo del numero di alloggi che abbiamo previsto di costruire con questa modalità. Se dovesse funzionare, questa operazione verrà portata avanti anche nei prossimi anni.

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Urbanistica

NUOVO APPROCCIO ALLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA ED AL CONTRASTO DELL’ABUSIVISMO EDILIZIO

Intervista al Dirigente Settore Urbanistica, Ing. Bartolomeo Sciannimanica di Silvia Barchiesi

Un significativo dettaglio dell’“Allegoria ed Effetti del Buon Governo nella Città” illustra alcuni personaggi intendi a costruire ed innalzare un’abitazione. Non è un caso che, negli intenti dell’Autore, Ambrogio Lorenzetti, ci fosse quello di esplicitare quanto probabilmente richiesto dai committenti e cioè che, un governo funzionante promuove lo sviluppo urbanistico nell’ottica di una maggiore sicurezza e rispetto dei cittadini, senza per questo deturpare o impoverire l’ambiente circostante. E proprio la nuova concezione di urbanistica è al centro della riflessione fattaci dall’Ing. Bartolomeo Sciannimanica, Dirigente Settore Urbanistica che ci ha illustrato gli effetti, nel suo settore, di una nuova concezione del governo del territorio. Ing. Sciannimanica, la Regione Campania ha da tempo iniziato un percorso di riorganizzazione per ciò che concerne la governance del territorio in tutti i suoi aspetti. Può raccontarci quali sono stati i presupposti di questo percorso, gli aspetti principali di novità introdotti nell’ordinamento regionale e gli effetti di questi sugli enti locali? Intanto tengo a precisare che lo strumento normativo che ha dato l’avvio a tutti gli atti successivi è stato il Piano Territoriale Regionale, il primo della Campania ed uno dei pochi redatti a livello nazionale. Non tutte le regioni italiane hanno un Piano Territoriale Regionale. La nostra azione riguardante il governo del territorio parte dal concepire la pianificazione territoriale ed urbanistica come l’azione dove si mettono insieme gli aspetti economici, quelli sociali e quelli di tutela dell’ambiente. Sono questi gli aspetti fondanti di un Piano. Gli strumenti urbanistici ormai non sono più semplici strumenti regolatori dell’attività edilizia, ma il motore dello sviluppo. Diversamente, la pianificazione urbanistica è stata spesso considerata come il mero aspetto attuativo e applicativo di una strategia di sviluppo economico e sociale. In un mondo globalizzato occorre invece partire dalla valorizzazione delle risorse territoriali locali, le uniche risorse che non temono concorrenza perché specifiche di un territorio. La valorizzazione, ad esempio, dei nostri beni culturali può essere un’attività economica e sociale che può affrancarsi dalle logiche globalizzate della concorrenza. In questo contesto diventa importante pensare al territorio in maniera sistemica.

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Il piano urbanistico deve andare oltre la mera rappresentazione delle trasformazioni edilizie ed infrastrutturali e deve essere il disegno della più vasta azione di sviluppo, dove l’urbanistica si attua insieme ad azioni di accompagnamento di carattere finanziario, formativo, amministrativo e culturale. In concreto, cosa avete proposto ai Comuni? Dal 2005 ad oggi sia il sostegno finanziario che opportune norme per favorire la redazione di strumenti urbanistici che interpretino effettivamente il fabbisogno delle collettività, senza trascurare la sostenibilità sociale ed ambientale delle azioni di sviluppo. Recentemente abbiamo proposto ai Comuni un bando, per un importo di un milione di euro, per la concessione di contributi in conto interessi sui mutui stipulati per la redazione dei Piani urbanistici comunali, con l’obiettivo principale di conseguire la necessaria coerenza tra pianificazione urbanistica, tutela ambientale e sviluppo economico e sociale del territorio. Ma non solo. Un altro obiettivo importante è il superamento di una visione della pianificazione comunale limitata alla propria cinta daziaria. Abbiamo, in questi anni, cercato di incentivare la pianificazione associata tra più comuni, evitando di realizzare per ognuno dei singoli comuni le stesse infrastrutture, che spesso, per questioni legati al ridotto numero di utenti restano inutilizzate. I risultati non sono disprezzabili: sono circa 50 i comuni, racchiusi in 16 gruppi, che al momento stanno completando una pianificazione del territorio che li vede tra loro associati. È molto importante valutare la sostenibilità sociale delle strategie urbanistiche attraverso le quali si possono determinare condizioni di mercato che permettono ai ceti meno abbienti di trovare sbocco alle loro naturali ambizioni e necessità. La visione semplicistica del fabbisogno abitativo, che ovviamente riguarda tutta l’Italia, fondata sul rapporto fra numero di vani e numero di abitanti, posto alla base del dimensionamento degli strumenti urbanistici, non ha saputo far fronte alle reali esigenze delle comunità locali ed ha creato, nelle aree meno ricche del Paese, una drammatica condizione dove, nella conurbazione che si estende fra la provincia di Caserta e la provincia di Napoli, circa il 47% dei nuclei familiari occupa una casa in locazione. Con locazioni pari a circa il 60% dei livelli di stipendio più diffusi. E’ urgente mettere mano a questo problema, specialmente nei territori con maggiore sperequazione economica, rendendo disponibili sul mercato unità immobiliari che tengano in conto i livelli di reddito, la logistica dei luoghi di lavoro e del sistema dei trasporti. Utilizzando modelli capaci di interpretare la complessità del territorio per prevederne gli effetti associati alle diverse azioni. Il modello di interpretazione lineare del territorio ha portato ad uno smisurato consumo di suolo proprio perché non è


riuscito ad interpretare la complessità e le potenzialità dei siti già edificati. Un’altra azione che attiene alla nuova concezione urbanistica riguarda proprio la qualità dei fabbricati. Una trasformazione urbanistica non “pesa” solo per la sua consistenza, ma per la sua qualità. Un fabbricato che tratta i rifiuti al suo interno, che produce una parte dell’energia che consuma, che ha un numero di posti auto che soddisfano non solo il fabbisogno dei residenti ma anche quello dei visitatori, che riutilizza le acque di pioggia, ecc…, è un fabbricato più “leggero” sul territorio rispetto ad un fabbricato che tutto ciò non lo fa. In materia ci sono diversi provvedimenti regionali che dal 2007 orientano i Comuni ad utilizzare questa modalità di progettazione. Abbiamo anche pubblicato uno studio sulla convenienza economica dell’utilizzo delle energie rinnovabili. Inoltre, per poter leggere il territorio abbiamo messo a punto un set di indicatori di efficacia. Questi indicatori ci aiutano a leggere il territorio in tutte le sue sfumature e a monitorarlo. Ad esempio, chi progetta uno strumento urbanistico comunale utilizzando le risorse del territorio si deve porre il problema degli effetti sull’occupazione di quello strumento urbanistico. Per questo, tra i vari indicatori abbiamo inserito anche il livello di disoccupazione. Ma non solo. Anche la percezione della criminalità è un indicatore importante da considerare nella progettazione urbanistica. Ad esempio, un’area parcheggio ubicata in un posto troppo isolato non verrà mai utilizzata se in quell’area c’è una elevata percezione della criminalità. Così si rischia di vanificare la realizzazione di un’opera prevista nel disegno urbanistico. Come è stata accolta questa piccola rivoluzione culturale urbanistica dagli enti locali e dai cittadini? Siamo talmente vittime di una visione stereotipata dell’urbanistica che si fa grande fatica ad introdurre concetti innovativi, così come si fa grande fatica a legare la pianificazione del territorio alla pianificazione economica e sociale, trascurando l’essenza stessa del progetto, che il punto dove si incrociano fabbisogni e disponibilità. Nonostante le difficoltà, sta tuttavia cambiando il modo di progettare i Piani urbanistici, poiché ci si allontana sempre più dalle vecchie regole “geometriche” per avviarsi ad una nuova concezione del territorio concepito come sistema territoriale. Un problema molto importante legato alla gestione del territorio in Campania è proprio l’abusivismo. Come avete cercato di far fronte a questo problema? Innanzitutto la nostra lotta all’abusivismo edilizio non si limita al contrasto nei confronti dei singoli manufatti abusivi realizzati. La nostra è una lotta ad uno stile di vita “patologico”. Ci siamo infatti posti il problema anche di chi ha scelto di agire all’interno della norma, rifuggendo l’abusivismo e che, magari, si è visto scavalcare economicamente da chi ha operato in maniera illegale. Fondare un sistema di sviluppo sull’abusivismo e il non rispetto delle regole è, infatti, un danno ancora più grave della stessa realizzazione del manufatto abusivo. La nostra lotta all’abusivismo edilizio punta non solo a demolire, con azioni straordinarie, alcuni manufatti ma a far si che la lotta all’abusivismo diventi una procedura ordinaria. La lotta all’abusivismo non può essere di una sola amministrazione, ma dello Stato. La nostra azione ha determinato

un buon livello di coordinamento che ha visto, insieme alla Regione, le Prefetture e le Procure delle Repubblica. Lotta ferma all’abusivismo edilizio e regole per poter interpretare e rispondere agli effettivi bisogni del territori, si potrebbe riassumere così il nostro lavoro negli ultimi anni. Per quanto riguarda la lotta all’abusivismo di quali strumenti tecnologici vi siete dotati? Lo strumento tecnologico “principe” è stata l’organizzazione, affiancata operativamente dal monitoraggio satellitare. Grazie alla collaborazione Regione- MARSEC, (Mediterranean Agency for Remote Sensing and Environmental Control, un’azienda campana che offre servizi satellitari), siamo stati i primi a mettere a punto un algoritmo, sotto il nome di progetto “MISTRALS” che lavora sulla percezione della continuità del territorio ed è in grado di captare tutte le trasformazioni intervenute fra due riprese successive. e si avvale di immagini ad altissima risoluzione elaborate dalla stazione satellitare in differenti periodi temporali e su una stessa area. Per valutare l’eventuale illegalità della trasformazione avvenuta abbiamo creato un sistema telematico di trasmissione dei dati a tutti i Comuni, i quali sono a loro volta chiamati a rispondere della natura legale della trasformazione “fotografata”. La risposta dei Comuni è stata deludente. Abbiamo ricevuto risposta solo dal 5% dei Comuni. Questo la dice lunga sulla reale volontà di sconfiggere l’abusivismo edilizio. Questo sistema, al di là della scarsa collaborazione dei Comuni, ci ha tuttavia permesso di disporre di documenti Ufficiali circa la data di realizzazione degli abusi. In questo modo abbiamo contribuito a ribaltare il pregiudizio consolidato e diffuso, secondo cui i Tribunali Amministrativi Regionali danno sempre ragione agli abusivi. Non è vero, il TAR dà ragione agli abusivi se la Pubblica Amministrazione non presenta una documentazione sufficiente a dimostrare il reato. Abbiamo pertanto approntato un nuovo modo di vigilare sul territorio, che ci permette di disporre di prove ufficiali volte a dimostrare l’abuso. Il prossimo obiettivo sarà quello di mettere in rete tutti gli strumenti urbanistici dei Comuni campani ed il rilascio dei titoli abilitativi da parte dei Comuni. In questo modo non dovremmo più chiedere ai Comuni se un’opera è abusiva o meno. L’informazione sarà immediata e automatica. Alla base dell’urbanistica regionale quindi sia una visione generale che la cura degli aspetti particolari? Agire localmente pensando globalmente, ormai un vecchio adagio. Ci siamo dati da fare per la diffusione delle piste ciclabili, aderendo al progetto CY.RO.N.MED., insieme alla Regione Puglia e Basilicata che prevede la realizzazione di piste ciclabili internazionali, ovvero grandi ciclovie, che dalla Grecia, attraverso l’Italia, portano al Nord Europa. Abbiamo investito circa 2 milioni e mezzo di euro per finanziare progetti di piste ciclabili che fossero segmenti delle grandi ciclovie internazionali o sistemi di connessioni alle grandi ciclovie, in modo da poter creare una struttura reticolare volta alla valorizzazione del patrimonio culturale ed alla promozione delle attività turistiche regionali.

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Monitoraggio e Controllo degli Accordi di Programma

QUANDO LA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO PASSA ATTRAVERSO L’INFORMATIZZAZIONE DEI SERVIZI E LA TUTELA DEL PAESAGGIO di Fabio Bastianelli

In un contesto nel quale l’informazione di qualsiasi tipo e la circuitazione di dati avviene in tempo reale, è importante che quanti sono deputati alla Governance del Territorio abbiano a propria disposizione strumenti e tecnologie in grado di rispondere velocemente alle diverse domande che pervengono dagli Enti Locali e dalla cittadinanza. Non solo, la corretta gestione, delle pianificazioni generali e puntuali, necessita di cartografie aggiornate e tematiche la cui redazione mette in campo professionalità e competenze diverse. Il rinnovo e la produzione di tali cartografie assume un’importanza notevole allorquando si determina, contemporaneamente, l’aggiornamento del sistema informativo territoriale per effetto delle modifiche apportate dagli Accordi di Programma e dagli atti di contrattazione programmata agli strumenti di pianificazione urbanistica ed alla normativa vigente. Di tutto questo, e dello stato dell’arte circa l’attuazione, in Regione Campania, degli obiettivi della Convenzione Europea sul Paesaggio, ci ha parlato l’arch. Agostino Di Lorenzo, Dirigente Settore 05 - Monitoraggio e Controllo degli Accordi di Programma- SIT - PTR. Arch. Di Lorenzo, per quanto concerne il Settore di cui è responsabile, quali sono state le novità introdotte dal Piano Territoriale Regionale? Intanto, mi lasci esternare l’estrema soddisfazione di tutti i componenti del mio Settore, che è stato quello che ha avuto l’onere della redazione del PTR e che,

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quindi, è responsabile per la maggior parte della sua attuazione. Per quanto riguarda la domanda specifica che mi ha rivolto, dunque, una prima novità scaturita dal Piano è stata la risposta puntuale alle istanze europee, soprattutto in riferimento al POR 2007 - 2013, perché, grazie al PTR tutti i finanziamenti, in special modo quelli relativi agli Assi Città e Trasporti, hanno avuto un “via libera” dalla Commissione Europea proprio perché nel frattempo era intervenuto un programma generale di territorializzazione delle risorse ai fini della convergenza della Regione Campania con le altre Regioni d’Europa. È stata proprio la presenza del PTR ad aver dato credibilità alle varie richieste di finanziamento e dei programmi presentati, perché c’era una base programmatica di natura territoriale, approvata con tanto di Legge Regionale. Più approfonditamente, per quanto riguarda il Settore di cui sono responsabile, grazie al PTR si sono sviluppate le attività afferenti l’implementazione del Sistema Informatico Territoriale (SIT), perché con l’avvento del PTR, dovendo rispondere al dettato normativo per ciò che concerne gli adeguamenti cartografici e delle informazioni territoriali generali, si sono attivati due importanti progetti denominati rispettivamente PR5-SIT/1 e PR5-SIT/2 che hanno contribuito alla realizzazione di uno fra i più efficienti sistemi informativi territoriali centralizzati del Paese, caratterizzato da una capillare architettura di rete che vede collegati fra loro Ente regionale, Province e Comuni, un sistema di controllo satellitare in grado di monitorare tutto il territorio, una rete di stazioni GPS e una serie di offerte informatizzate, fra le quali, ad esempio, la possibilità di avere dati su imposte e contributi a partire dall’analisi dei dati catastali e la convenzione con l’Istituto Geografico Militare. Diciamo che si è arrivati ad una informatizzazione dell’intero patrimonio conoscitivo dei dati territoriali al fine di un processo di rinnovamento in chiave nettamente migliorativa della governance della Regione, al punto che il nostro SIT

è stato riconosciuto come best practics italiana dal CNIPA (Ente Nazionale responsabile dei sistemi informativi nella Pubblica Amministrazione). Alo stesso tempo, l’aver collaborato con l’Istituto Geografico Militare ci ha permesso di sperimentare diverse importanti novità e, al momento, il nostro Sistema Informativo Territoriale è noto come esempio per la redazione di Linee Guida nazionali da offrire ad altre Regioni. Parliamo degli Accordi di Programma intervenuti all’indomani della redazione ed approvazione del PRT. Su questo punto, l’aspetto di innovazione è stata l’introduzione degli Accordi di Pianificazione. Precedentemente, avevamo riscontrato un grande limite nella disciplina che normava gli Accordi di Programma (L. R. n. 16/2004), che si concretizzava nel fatto che questa L. R. consentiva di approvare, anche in deroga agli strumenti urbanistici, interventi finalizzati alla realizzazione di opere singole o gruppi di opere che però, non erano, in se stesse, vere e proprie varianti urbanistiche. Nello specifico si trattava di edifici o gruppi di edifici. Con gli Accordi di Pianificazione, estendiamo ai Piani Urbanistici generali o attuativi le procedure semplificate degli Accordi di Programma. In questo modo si riducono i tempi di approvazione delle varianti e allo stesso tempo si va ad aumentare il livello di partecipazione democratica delle popolazioni locali che, di fatto, diventano ancor più protagoniste dello sviluppo del territorio. L’Accordo di Pianificazione, infatti, prevede l’attivazione di Laboratori permanenti di pianificazione partecipata che rappresentano una novità nella legislazione italiana, dal momento che l’obbligo di istituzione dei Laboratori scaturisce dall’istanza di coinvolgere attivamente le popolazioni interessate dalle varianti urbanistiche e nei processi di pianificazione e programmazione. Diciamo che, se da un lato si restringo


no i tempi di approvazione di eventuali varianti, dall’altro, si rafforza la capacità dei cittadini di intervenire attivamente nelle decisioni. Ci sono già state realizzazioni in tal senso? Le collaborazioni più significative sono state quelle avviate con la Provincia di Avellino e quella di Salerno, dove sono in corso le procedure per l’avvio di Conferenze di pianificazione per addivenire a specifici Accordi di Pianificazione. Passiamo ad un altro aspetto del Settore di sua competenza: l’attuazione della Convenzione Europea sul Paesaggio. Come si è posta la Regione Campania da questo punto di vista? Già in fase di scrittura della L. R. n. 16/2004, la Regione Campania aveva messo fra gli elementi fondanti delle norme a governo del territorio, l’attuazione dei principi della Convenzione Europea sul Paesaggio, tant’è vero che l’azione compiuta dall’Ente Regione in Conferenza Stato-Regioni ha portato alla nascita della RECEP (Rete degli Enti Locali e Territoriali per l’Attuazione della Convenzione Europea sul Paesaggio, organismo internazionale composta da Regioni di vari Stati Membri del Consiglio d’Europa e da Enti Locali che concorrono alla corretta applicazione dei principi contenuti nella Convenzione utilizzando il presupposto della sussidiarietà, ovvero quello della realizzazione di scelte il più possibile vicine a quelle espresse dai cittadini sui quali ricadono). Proprio per la sua azione trainante, la Campania ha avuto la presidenza della rete RECEP; attualmente tale carica è ricoperta dell’Assessore Cundari. Ovviamente non ci si è fermati a questo risultato, dal momento che tutti gli atti previsti dal PTR si basano sui principi della Convenzione succitata e il PTR stesso è stato redatto in attuazione dei principi della Convenzione, peraltro uno dei pochissimi esempi di programmazione territoriale pensata in tal senso. Dal PTR sono scaturite, quindi, le Linee Guida del Paesaggio, la Carta dei Paesaggi della Campania e l’Azione di co-pianificazione che abbiamo avviato con le Province (disciplinata dall’art. 3 della L. R. n. 13/2008) che ha stabilito la realizzazione di Piani Territoriali di Coordinamento delle Province, in attuazione delle stesse Linee Guida e, quindi, dei principi della Convenzione Europea. Da questo punto di vista siamo la Regione Capo fila delle politiche di attuazione

delle istanze europee sul Paesaggio. Un altro passaggio importante che mi premeva sottolineare in merito all’attuazione dei principi della Convenzione Europea sul Paesaggio è la proposta per l’istituzione dell’Osservatorio Regionale sul Paesaggio con funzione di Centro Cartografico Regionale. La nascita di questo Osservatorio, precipuamente approvato con Legge apposita, è di fondamentale importanza perché crea un luogo di confronto permanente sulle questioni del paesaggio legate agli atti territoriali (quindi a tutto il sistema conoscitivo e di analisi delle trasformazioni del territorio che influiscono direttamente sul paesaggio), aperto alla partecipazione delle Province, delle Università, dei Centri di Ricerca. Cito, ad esempio il MARSEC di Benevento, col quale abbiamo già attivato un percorso di monitoraggio del territorio nella lotta all’abusivismo edilizio a supporto del Settore Urbanistica. L’Osservatorio si configura come un vero e proprio sistema di supporto all’attività decisionale, perché tutti i dati territoriali

ivi analizzati tecnicamente costituiranno la base conoscitiva fondamentale per prendere decisioni politiche di governance coerenti il più possibile con le istanze del territorio. Quali saranno i prossimi passi per addivenire ad una governance territoriale che tenga conto delle peculiarità paesaggistiche e naturalistiche della regione? La questione più impellente che stiamo seguendo è la redazione del Piano Paesaggistico Regionale. Già in dicembre 2009 abbiamo raggiunto un importante risultato redigendo un documento unitario sugli aspetti paesaggistici, condiviso dalla Regione e dalle 5 Province. Attualmente siamo in una fase di condivisione tecnica, ma siamo fiduciosi che da questo scaturisca a breve un accordo politico che dia modo all’Ente Regione di formulare, entro il primo semestre 2010, una proposta di Piano Paesaggistico che superi l’attuale mole di vincoli derivanti da ben 20 Piani Paesaggistici vigenti.

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Politiche del Territorio

PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO E AMBIENTE Nel PTR, rinnovata l’attenzione alla tutela dell’ambiente a partire dalla pianificazione delle Aree poste a tutela di Stefano Agostinelli

Nel cammino volto alla green governance revolution a partire dalla pianificazione territoriale regionale, la Regione Campania ha cercato di porre una attenzione particolare alle esigenze dell’Ambiente, soprattutto con la redazione della Carta dei Paesaggi e l’adozione di una politica volta al completamento della Rete Ecologica Regionale. In questo percorso, si è inteso realizzare una modalità di lavoro olistica e intersettoriale nell’ottica dell’ottimizzazione delle risorse e di quella semplificazione amministrativa richiesta a gran voce nel Paese. A trattare questi argomenti è stato l’Arch. Alberto Romeo Gentile, Dirigente Settore 03 - Politica del Territorio, che ha risposto alle nostre domande.

Con il PTR approvato si è dato un taglio al passato e contemporaneamente si sono normate procedure e metodologie che consentissero di dare valore al paesaggio in relazione a scelte che non fossero sempre e solo di carattere paesaggistico. Questa articolazione di approccio funzionale e procedurale, ovviamente, tiene conto di nuove dinamiche di sussidiarietà, cioè, viene posto sempre a base delle proposte che si fanno all’interno del PTR ad una presenza e ad una partecipazione che dal basso si dispiega verso l’alto. In tal senso si è inteso invertire quelle dinamiche canoniche e dottrinali che costituivano i riferimenti disciplinari dell’urbanistica classica, cioè partire da un Piano Territoriale che dall’alto produceva i suoi effetti in maniera vincolistica su Province e Comuni. Con l’adozione di questo nuovo e decisamente attuale strumento di governance si dà la possibilità, dal basso, di modificare scelte ed impostazioni di carattere strutturale, partendo dalle esigenze più prossime espresse dai cittadini del territorio in cui si dovrà intervenire.

Architetto, dal punto di osservazione della sua struttura cosa ha significato, per la Regione Campania, dotarsi di un nuovo e complesso strumento di pianificazione del territorio? Con l’approvazione del PTR, ovvero con l’approvazione della L. R. n. 13/2008, si è completata un’attività ultraventennale della Campania in tema di pianificazione del territorio. In realtà, nel tempo, si sono succeduti tutta una serie di studi, di approfondimento tesi alla redazione di questo documento, strategico per la Regione e dalle comprensibili ricadute a cascata sulle Amministrazioni provinciali e comunali. Tuttavia, tale lavoro stentava a trovare una sintesi all’interno dei vari Consigli che si sono succeduti. Nel 2008, anche a seguito di un lavoro oltremodo impegnativo e piuttosto lungo nei tempi è avvenuta la sintesi che, sulla base delle analisi approfondite delle dinamiche territoriali, ha portato alla redazione del PTR che ,rispetto alle versioni precedentemente adottate, ma mai portate a compimento, ha posto una forte attenzione sui temi del paesaggio e dell’ambiente, anche perché, nel frattempo, le politiche generali comunitarie e la giurisprudenza complessiva, sono andate nella direzione di dare maggior valore agli aspetti succitati. Il documento, dunque, ha un approccio che, partendo dalla semplice tutela del paesaggio, lega poi questo aspetto a dinamiche produttive e di sviluppo compatibili. Tutto questo nelle vecchie proposte di PTR non esisteva; c’era, invece, un approccio tecnicistico, ovviamente legato a tempi in cui il PTR era inteso come piano di sviluppo o piano strategico, di innovazione o allocazione di scelte territoriali che riguardassero implementazioni infrastrutturali, non anche alla tutela del paesaggio.

Mi sembra di intravedere che si è colta l’opportunità di realizzare, in concreto, quelle idee di partecipazione alle scelte di pianificazione che sono proprie di Associazioni e processi quali Agenda 21, o sbaglio? Sì, anche se talvolta i processi di Agenda 21 hanno prestato il fianco ad una eccessiva frammentazione di idee e ad una sostanziale indecisione finale sulle scelte. Questa partecipazione viene garantita secondo una scaletta bel definita, per cui: si ascoltano le istanze del territorio (dando anche la possibilità attraverso dei Laboratori di pianificazione partecipata di contribuire alle conoscenze), per passare, poi alla fase delle scelte politiche vere e proprie, per le quali si fa riferimento a conferenze permanenti di pianificazione che garantiscono le istanze della cittadinanza, senza per questo essere condizionate da un eccessivo assemblearismo che, probabilmente, in Agenda 21 ancora sussisteva.

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Ci sono stati dei primi risultati nell’attivazione di questi processi? In verità è inutile negare che in fase di avviamento stiamo scontando qualche ritardo, nel senso che la Conferenza di pianificazione, che è un organismo che vede la presenza di rappresentanti del Consiglio Regionale, degli Assessori competenti e degli Assessori provinciali e comunali ugualmente competenti in materia, si è di fatto istituita, però ancora non ha esplicato con continuità ed efficacia degli effetti concreti. E’ una attività che “stenta a partire” perché credo che sia ancora del tutto maturata una convinzione diffusa circa la sua strategica importanza. In concreto quali sono state le prime attività messe in campo per tutelare paesaggio e territorio regionale da


opinabili scelte del passato e, nel contempo, offrire soluzioni coerenti con una visione olistica della governance territoriale, per il futuro? Dovremmo, prima di tutto, scindere il problema nei due aspetti Fondamentali, territoriali ed ambientali. Da questo punto di vista il PTR ha dato delle linee di indirizzo molto precise. Ad esempio, con la Carta dei Paesaggi sono state individuate oltre 60 tipologie di paesaggi differenti che devono essere tutelati sul territorio regionale, anche con una serie di interventi di trasformazione che tengano conto di principi di cautela e rispetto di specificità. Si consideri che il PTR non è uno strumento impositivo ma Programmatorio ; tutte le raccomandazioni che vengono fatte sullo specifico dei sistemi di trasformazione STS e dei campi territoriali complessi CTC e che prevede il PTR, devono tener conto delle specificità del paesaggio e della loro tutela. Quindi, come strategia, la metodologia, il PTR dà delle linee che in fondo anche le strutture regionali stanno cercando di inculcare nelle attività che Comuni e Province portano avanti. Tuttavia, in relazione al paesaggio inteso nella sua conformazione tradizionale, le attività che la Regione esplica su questo campo sono molteplici e si differenziano anche dal punto di vista della pianificazione, perché in Campania, più del 35% del territorio è stato di fatto tutelato attraverso l’istituzione di Parchi regionali, Riserve e Parchi nazionali che prevedono una serie di norme prescrittive e che limitano l’aggressione al quel territorio cui è stato riconosciuto un valore particolare. Con il PTR, si intende tutelare non solo l’ambiente, ma si cerca di indirizzare lo sviluppo del territorio, individuati molteplici altri campi di applicazione e di tutela con esso compatibili, a partir dalla tutela del paesaggio agrario, ovvero del paesaggio che coniuga naturalità ed antropizzazione, molto più di altre tipologie.

vocazione ambientale da un Piano territoriale di coordinamento provinciale, o addirittura da un Piano Paesaggistico Regionale.

Può farcene un esempio? L’ultimo, in questo senso, è l’adozione di una politica di realizzazione della Rete Ecologica regionale, cioè la connessione fra le diverse aree protette che consenta la circuitazione e la diffusione da un territorio all’altro, attraverso i “corridoi verdi”, all’avifauna e alle specie arboree, al fine della conservazione e tutela della biodiversità.

Qual è l’entità delle risorse che la Regione Campania ha investito per iniziare questo rinnovo della governance territoriale in chiave green? Le risorse sono scarse. Almeno dal punto di vista della tutela paesaggistica connessa alle attività di pianificazione, non godiamo di risorse rilevanti. Gli stessi Enti Parco che sono deputati alla pianificazione del loro territorio, versano in una condizione economicamente difficile. Devo dire, però, che nell’ultimo anno si è cercato di dare risposte e soluzioni anche conferendo a questi Enti, in maniera sussidiaria, risorse economiche che erano state precedentemente assegnate ad altri settori, per favorire le attività di pianificazione nei Parchi. C’è al riguardo il problema di legare i reali finanziamenti che possono essere allocati con i fondi strutturali 2007-2013 a soggetti gestori che non hanno un quadro generale di riferimento in termini di pianificazione.

Tradizionalmente questo tipo di attività sono oggetto di delega ad un Assessorato specifico per l’Ambiente. Come mai la Regione Campania ha fatto questa scelta “controcorrente”? Guardi, la disciplina pianificatoria, anche per ciò che concerne le aree protette, gravita sull’area Governo del Territorio. Questa scelta è stata ribadita anche nel PTR, ritenendo che la tutela del paesaggio fosse oggetto non solo di invarianti prettamente ambientali, ma anche di governance e pianificazione del territorio. Anche perché ci troviamo in buona parte all’interno di un territorio antropizzato, sul quale insistono, ovviamente, le trasformazioni urbanistiche che fanno, poi, la differenza anche in tema di tutela dell’ambiente. Quindi, come responsabile del Settore Politica del Territorio dell’Area Governo del Territorio, credo sia corretto che anche a livello di pianificazione le Aree Naturali protette vengano inquadrate nell’ambito di una governance “ a scacchiera” in cui è difficile, volendo, andare a separare un Piano a forte

Quindi la Regione Campania ha adottato una linea di Governance decisamente olistica e intersettoriale, almeno dal punto di vista del coinvolgimento e del lavoro dei vari settori della pubblica Amministrazione? Certamente, anche se non si è arrivati completamente a realizzare questa visione d’insieme. Tuttavia, a livello di Amministrazione Centrale, nell’affrontare il tema della semplificazione, si è pensato di rendere unitario e condiviso il percorso che regola l’attività di pianificazione paesaggistica, con quella che riguarda l’ambiente; mi riferisco specificatamente alle Valutazioni Ambientali Strategiche che sono elementi indispensabili per la pianificazione, ma vengono governate dall’Ambiente. In questo caso si è realizzata una sorta di interferenza obiettiva da entrambe le posizioni in un percorso che dovrebbe essere di carattere paesaggisitico, ma soprattutto ambientale, si faceva sentire pesantemente sulle loro attività. La presenza di alcuni vincoli sul territorio non è stata completamente un fatto negativo,perchè non si è bloccato lo sviluppo economico e si sono tutelate delle aree a forte valenza naturalistica. E poiché è aumentata la consapevolezza della responsabilità di amministrazioni locali e degli stessi cittadini circa la tutela e la conservazione del proprio territorio, credo che l’atteggiamento complessivo sul rispetto delle regole a tutela delle specificità dei luoghi e degli ambienti naturali sia aumentata. Ho l’impressione che la metodologia sottesa al PTR, di fatto sia stata subito condivisa, perché anche le amministrazioni provinciali si sono attivate subito nella elaborazione dei propri preliminari dei PTP, con particolare riguardo agli aspetti di tutela dell’ambiente.

Quali sono gli obiettivi per il 2010? C’è in atto una grande scommessa che è quella della redazione del Piano Paesistico Regionale, un Piano che dispiega i suoi effetti con riferimento al Codice dei beni culturali e deve essere elaborato di concerto con il Ministero , le Direzioni regionali e le Sovrintendenze. Questo percorso è già iniziato con la predisposizione di vari tavoli di lavoro , che però sono solo il primo tassello di un lavoro complesso, tutto da predisporre.

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T CAMPANIA NEWS

Assessorato Urbanistica - Politiche del Territorio Edilizia Pubblica Abitativa - Accordi di Programma Centro Direzionale, Isola A6 - 80143 Napoli


N째

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GENNAIO-FEBBRAIO 2010


Bilancio Regionale 2010: protezione del lavoro, sviluppo dell’economia La Regione Marche ha varato con anticipo la manovra Ànanziaria per il 2010, per essere subito pronti ad affrontare il nuovo anno con speciÀche misure d’intervento a sostegno del lavoro, delle famiglie e delle imprese. «La velocità di risposta alla congiuntura - dichiara il Presidente della Regione Gian Mario Spacca - è fondamentale per proteggere il lavoro e rilanciare le piccole imprese, per “resistere e attaccare”. Il bilancio regionale 2010 aumenta le risorse disponibili per la comunità marchigiana, riduce ulteriormente le tasse e il debito, consolida l’equilibrio dei conti regionali, alimenta una rinnovata strategia di protezione del lavoro e sviluppo delle imprese. Sono confermate una serie di misure di “resistenza” che già nel 2009 hanno ottenuto buoni risultati. Le abbiamo integrate con nuovi interventi, condividendo le proposte delle forze sociali e delle categorie economiche della piccola impresa, per realizzare anche una strategia di “attacco” per il sostegno attivo dell’occupazione e dell’economia. Prosegue così il trend costante di riduzione della pressione Àscale regionale, che da inizio legislatura ha registrato un -47%. Inoltre, a testimonianza dell’equità sociale della manovra Ànanziaria della Regione, il 68% di cittadini marchigiani (le fasce sociali con i redditi più bassi) rimangono esentati dal pagamento dell’addizionale regionale Irpef. E’ previsto un pacchetto organico di sostegni per le famiglie in difÀcoltà lavorative per la sanità, gli afÀtti, la scuola, il precariato e altri ancora. Vengono integrate le risorse dei Comuni a fronte dei pesanti tagli nazionali del fondo per le politiche sociale». «Il bilancio 2010 - dichiara l’Assessore regionale Pietro Marcolini - offre completa attuazione alla strategia Ànanziaria deÀnita dal Governo regionale all’inizio di questa legislatura. I Ànanziamenti che esso prevede consolidano le linee di intervento regionali per la coesione e lo sviluppo delle Marche, compensando i tagli crescenti dei trasferimenti statali al sistema degli Enti locali. Sono stati messi sotto controllo i conti regionali, sul versante delle entrate abbassando sia il ricorso

RIDOTTA LA PRESSIONE FISCALE REGIONALE: -47% Addizionali regionali IRAP e IRPEF

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(Valori in milioni di euro)

Più risorse per la comunità, conti in ordine, 20.000 lavoratori interessati, 400 milioni di Ànanziamenti per “resistere ed attaccare”

90

2004

2010

POLITICA FISCALE: EQUA, SOLIDALE E PROGRESSIVA Due cittadini marchigiani su tre (68%) non hanno mai pagato l’addizionale regionale Irpef

68 % Quota cittadini che non ha mai pagato add. reg. Irpef

Debito contratto: è sceso dai 1070 milioni di euro del 2004 ai 767 milioni programmati nel 2010, in controtendenza rispetto a quasi tutte le altre regioni dove è aumentato in misura rilevante.

Italia, secondo i reports ufÀciali del Ministeri della Salute, del Welfare e della Pubblica Amministrazione. Gestione Ànanziaria: non è gravata da alcun costo relativo alle anticipazioni di cassa; ridotti gli oneri Ànanziari in conseguenza dell’equilibrio dei conti regionali; velocizzati i pagamenti ai fornitori esterni (nel sistema sanitario marchigiano i tempi di pagamento sono inferiori alla metà della media nazionale).

Spesa sanitaria: è stata messa sotto controllo e da tre anni i conti della sanità regionale sono in equilibrio, rispetto al disavanzo di circa -150 milioni di euro di inizio legislatura; il risultato è ancora più signiÀcativo considerando che nello stesso periodo la qualità dei servizi del sistema sanitario marchigiano è salita addi- Evasione: recuperati oltre 70 mirittura tra il 2° ed il 4° posto in lioni di euro da inizio legislatura.

STRATEGIA REGIONALE 2010 “RESISTENZA E ATTACCO”: ALCUNI INTERVENTI OPERATIVI

DEBITO RIDOTTO Debito contratto regionale

1.070

(Valori in milioni di euro)

767

2004

al credito sia la pressione Àscale, su quello delle spese massimizzando l’efÀcienza degli stanziamenti di spesa, perseguendo l’ottimale combinazione delle risorse di diversa provenienza (proprie, statali e comunitarie), riducendo progressivamente Àno all’annullamento i disavanzi della sanità».

2010

interessa oltre 20.000 lavoratori, mobilitando nel 2010 oltre 400 milioni di Ànanziamenti e investimenti per la protezione del lavoro e lo sviluppo delle imprese.

Pressione Àscale: è diminuita di -47% da inizio legislatura con le riduzioni sia dell’Irap che dell’addizionale Irpef, passando dai 166 Interventi di “resistenza e at- milioni di euro del 2004 ai 90 mitacco”: la manovra Ànanziaria lioni del 2010.

Nel 2010 interesserà oltre 20.000 lavoratori e attiverà 400 milioni di euro finanziamenti ed investimenti speciÄci per la protezione dell’occupazione, il rilancio dell’economia, la tutela delle fasce sociali più deboli. Il bilancio regionale 2010 ha ricevuto il parere favorevole sia del Consiglio Regionale dell’Economia e del Lavoro (C.R.E.L.) che del Consiglio delle Autonomie Locali (C.A.L.). Di seguito sono indicati alcuni degli interventi programmati con la manovra Änanziaria regionale. Azioni di “resistenza”: contratti e contributi di solidarietà; ammortizzatori sociali in deroga per i lavoratori delle piccole imprese; agevolazioni sanitarie (esenzioni ticket e farmaci) per i lavoratori colpiti dalla crisi; buoni studio per le famiglie di lavoratori in difÄcoltà;

progetti di sostegno ai precari della scuola; progetti di reimpiego di lavoratori svantaggiati; blocco e riduzioni dei canoni Erap per le fasce deboli; integrazioni ai Comuni per il Fondo sociale; esenzioni addizionale Irpef; gestione vertenze aziendali e territoriali. Azioni di “attacco”: azzeramento addizionale Irap regionale a favore delle PMI con protezione e sostegno al lavoro; fondi di garanzia per l’accesso al credito delle PMI; incentivi per assunzioni e stabilizzazioni contratti a termine; voucher formativi e borse lavoro per giovani laureati; prestito d’onore per la creazione di nuove imprese; nuova imprenditorialità cooperativa; reti di distretto per l’occupazione; Änanziamento aggiuntivo BEI a sostegno delle PMI; accordi di programma territoriali e settoriali.


INDICE Regione Marche Scuola Laboratorio Ambiente RIniziative regionali per l’educazione ambientale a cura della Regione Marche

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Rete ecologica della Regione Marche Istituito il tavolo tecnico Regione - Province a cura della Regione Marche

Valutazione di incidenza Nuove linee guida regionali a cura della Regione Marche

ARPA Marche Polveri sottili, informare non allarmare di Gisberto Paoloni

Cooperazione territoriale La CTE fra vecchia e nuova programmazione Un Convegno, ha fatto un sunto del passato e aperto nuovi e interessanti spiragli per il futuro di Valentina Bellucci


REGIONE MARCHE

SCUOLA LABORATORIO AMBIENTE Iniziative regionali per l’educazione ambientale

a cura della Regione Marche

Il 27 novembre scorso, in occasione della sesta edizione di Eco&Equo, si è tenuto il seminario sul tema “Scuola laboratorio ambiente: metodi di educazione ambientale”. L’evento, organizzato da Regione Marche, Centro regionale INFEA e Ufficio scolastico regionale, è stato un importante momento di confronto fra i 60 partecipanti, tra insegnanti e operatori CEA, sui tanti progetti di educazione ambientale sviluppati nelle Marche, anche al fine di mettere in luce i risvolti metodologici del fare educazione ambientale nelle scuole. Il saluto di buon lavoro da parte della Regione è stato espresso dai dirigenti regionali Isarema Cioni (settore Rifiuti) e Antonio Minetti (Servizio Ambiente e Paesaggio). “La prospettiva prossima delle attività di educazione - ha sottolineato Cioni - riguarderà in maniera stringente la riduzione dei rifiuti. Tra le tante R che compongono la corretta gestione del ciclo dei rifiuti, quella della Riduzione della produzione dovrà segnare una svolta decisiva.” “È necessario - ha aggiunto Minetti - uno stimolo più forte alla cultura scientifica degli studenti, in specie delle secondarie di secondo grado, teso a superare l’attuale deficit generale di cultura scientifica, alla base, ad esempio, di infondate reazioni di paura della popolazione marchigiana su infrastrutture energetiche del tutto fattibili.” Prima di passare agli aspetti metodologici, Luciano Giulioni (che in Regione si occupa di Educazione ambientale) ha fatto il punto sul dato quantitativo della partecipazione delle scuole all’iniziativa “Scuola Laboratorio Ambiente” e del territorio coinvolto: “nelle annualità 2007-2008 e 2008-2009,

I lavori della mostra “Scuola laboratorio ambiente”

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a fronte di 191 progetti scolastici presentati, 103 sono stati finanziati dalla Regione (il 54%); di questi, il 66% sono di scuole di livello di base (dall’infanzia alla secondaria di primo grado) e il 34% di scuole secondarie di secondo grado, a conferma di una sensibilità ancora scarsa da parte delle superiori. Quanto al territorio coinvolto la stragrande maggioranza delle scuole partecipi ricade nelle aree più densamente popolate della regione, quali la fascia costiera e i poli urbanizzati dell’entroterra. La distribuzione provinciale vede Ancona con il 35%, seguita da Pesaro e Urbino con il 21%, quindi da Macerata con il 20%, Ascoli Piceno con il 16% e da Fermo con l’8%.” Dalle statistiche presentate erano esclusi i progetti presentati per la terza annualità 2009-2010 in quanto la valutazione era ancora in corso. Le relazioni degli esperti invitati al seminario, coordinato dalla dirigente scolastica prof.ssa Fulvia Principi, hanno sviluppato i molteplici aspetti dell’importanza metodologica del ‘progetto didattico’. La prof.ssa Rosella Persi (Facoltà di Scienze della formazione - Università di Urbino) ne ha evidenziato l’importanza nel percorso di formazione dell’insegnante stesso: l’educazione ambientale ha come proprie la finalità cognitiva (tesa a conoscere il territorio come banca dati della conoscenza), la finalità etico-sociale (tesa a riconoscere la ricaduta del proprio comportamento sull’ambiente) e la finalità estetica (nel senso di un coinvolgimento piacevole). Un buon progetto didattico si caratterizza per la pluridisciplinarietà degli argomenti, la loro interconnessione, il loro collegamento con la vita quotidiana, la capacità di destrutturare la resistenza al cambiamento, per riconoscere e adottare comportamenti rispettosi: l’educazione ambientale muove dalla sensibilità e conduce alla cultura dell’ambiente, alla cultura dell’uomo. La prof.ssa Fulvia Principi ha poi illustrato l’efficacia del progetto didattico come percorso curriculare verticale in grado di prendere a 3 anni il bambino e portarlo al ragazzo


di 14, ampliandone progressivamente conoscenze, abilità, competenze e spirito critico, per innescare comportamenti consapevoli e responsabili. Il curriculum verticale, costruito insieme dagli insegnanti, parte dalla scuola dell’infanzia (quando il bambino comincia a collegare i campi dell’agire e del pensare) per proseguire nella primaria e secondaria attraverso le molteplici forme espressive anche ludiche. Le insegnanti Daniela Frati, Luciana Giaccoli, Orietta Corinaldesi hanno presentato un esempio concreto: il progetto ‘Tutti in gioco per l’ambiente’, realizzato in una primaria, dedicato all’educazione all’affettività e alla pace, con gli altri e con l’ambiente. La prof.ssa Erika Roccato ha rilevato che l’educazione ambientale non è propriamente una disciplina scolastica, piuttosto essa entra nella scuola come progetto didattico. I punti principali che dovrebbero contraddistinguere ogni progetto didattico sono: la tematica ben individuata, la fascia d’età di chi vi partecipa, gli obiettivi, i tempi. Oltre alla sensibilità e conoscenza, le attività di educazione ambientale debbono avere una ricaduta nella vita quotidiana (modificare il nostro agire quotidiano nell’ambiente e sull’ambiente, il nostro modo di alimentarci, di muoverci, di abitare, di acquistare) per arrivare a ridurre la nostra impronta ecologica e formare una cittadinanza consapevole (riconoscere che l’attuale stile di vita richiede non una, ma due o tre terre). Andrea Fazi, esperto dei Centri di educazione ambientale, evidenzia che la proposta dei Centri aggiunge l’opportunità per tutti gli attori del progetto didattico verticale (insegnanti, famiglie, agenzie del territorio) di fare progettazione partecipata, ragionando sui fondamentali dell’educazione, come la tematica dell’attenzione, della sensibilità e dell’ascolto che il bambino di oggi, bombardato dai bisogni della società, non possiede. I CEA al riguardo possono mettere a disposizione degli insegnanti esperienze ed elaborazioni per il curriculum verticale che duri molti anni, progettando percorsi personalizzati (tempi e modi), con l’obiettivo di ripensare l’educazione in generale, ancor prima dell’educazione ambientale. La musicista Roberta Silvestrini ha proposto alcune scene, musiche e immagini dell’opera teatrale giocosa “Il principe della differenziata” (realizzata da una scuola dell’infanzia), in cui i bambini, da protagonisti, cantano, danzano, costruiscono costumi e scenografie, mostrando in tal modo l’importanza di tirar dentro al progetto didattico l’intera personalità del bambino, il suo corpo, la sua gestualità, manualità, fantasia e capacità di stare in armonia insieme.

Il teatro e la musica costituiscono un insostituibile rafforzamento del progetto didattico. In apertura del seminario il prof. Camillo Nardini ha tenuto una breve relazione sul programma “Eco-Schools”, di cui è responsabile per le Marche: “Le scuole della nostra regione che aderiscono da diversi anni al programma sono oggi 32. Il programma consente alle scuole di fruire di molteplici opportunità, tra cui quella di essere collegate in rete grazie ad un notiziario mensile, con l’opportunità di conoscere tutto ciò che si muove e si progetta nel campo dell’ambiente, la possibilità di creare gemellaggi con scuole italiane o straniere, il diritto ad avere consulenze su progetti ed attività eco-sostenibili. Tutte le scuole possono aderire, dal momento che “Eco-schools” non detta programmi o progetti, ma accoglie quelli che, nella loro autonomia, le singole scuole realizzano. Al termine degli step realizzati, la classe che ha aderito potrà chiedere a Copenhagen il prestigioso riconoscimento della Bandiera Verde di Eco-School.” L’assessore Marco Amagliani è intervenuto ai lavori esprimendo apprezzamento per l’attività degli educatori ed i risultati che il protocollo di intesa con l’Ufficio scolastico regionale sta raccogliendo: “Alla scuola va riconosciuto un ruolo strategico irrinunciabile nel conseguimento di effetti positivi e duraturi delle politiche ambientali della Regione Marche. In tale prospettiva è auspicabile che il protocollo di intesa possa essere rinnovato anche per il prossima legislatura.” Mostra SCUOLA LABORATORIO AMBIENTE Negli spazi espositivi di Eco&Equo è stata inoltre allestita la mostra dei 103 elaborati delle scuole (dalle scuole dell’infanzia alle superiori) che hanno aderito al progetto “scuola laboratorio ambiente” negli anni scolastici 2007-2008 e 2008-2009. Gli elaborati, tra lavori cartacei, relazioni, lavori multimediali, oggettistica e plastici, sono stati suddivisi in 4 argomenti: natura, acqua, riciclo, energie rinnovabili. Grazie al grande successo della sesta edizione della fiera, la mostra ha potuto trovare visibilità nei confronti di un pubblico più vasto ed eterogeneo. Il pubblico, tra l’altro, è stato chiamato a votare il progetto migliore: le sei classi vincitrici, oltre ad aver già ottenuto il finanziamento regionale per la realizzazione del progetto, saranno premiate con una escursione nel Parco della Gola della Rossa, nel Parco del Sasso Simone e Simoncello e nel Parco dei Monti Sibillini: 1° posto I.T.C.S. Linguistico Capriotti San Benedetto con “Una montagna di risorse: i rifiuti” 2° posto I.T.C. Battisti Fano con “Le 6 R della nostra scuola” 3° posto Istituto Comprensivo Paolo Soprani Castelfidardo con “Coloriamo il nostro futuro” 4° posto Istituto Comprensivo Falconara Centro-Falconara Marittima con “Riduci, riusa, ricicla” 5° posto Circolo Didattico Via Tacito San Marone Civitanova Marche con “Riciclare che passione” 6° posto Istituto comprensivo Montemarciano - Marina con “RiRiRi” Dalle artistiche opere della mostra traspirava il “piacere di essere cittadini”. Titoli quali: SE MI DIFFERENZI... MI RIGENERO LA VERA ENERGIA DEL FUTURO È IL RISPARMIO DIFFERENZIA PER UN MONDO DIFFERENTE RICICLARE È UNO STILE DI VITA

I lavori della mostra “Scuola laboratorio ambiente”

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IL SISTEMA INFEA MARCHE L’obiettivo del sistema INFEA (informazione, formazione ed educazione ambientale) delle Marche è quello di promuovere la cultura della sostenibilità, per un modello di sviluppo socialmente equo, territorialmente equilibrato, ecologicamente sostenibile e solidale. La rete delle Marche è articolata in 40 centri tra Laboratori provinciali, Laboratori territoriali e Centri di esperienza. I servizi educativi sono rivolti a tutta la cittadinanza, bambini e ragazzi, ma anche agli adulti e alla terza età. L’11 novembre 2008 è stato inaugurato il Centro regionale INFEA delle Marche. Il Centro rappresenta il nodo centrale della fitta rete territoriale dei 40 centri. La sede è nel Comune di Montemarciano, in provincia di Ancona, presso la Villa Colle Sereno. Attraverso il Centro gli operatori del settore, in particolare gli educatori ambientali (insegnanti, guide, accompagnatori, facilitatori) troveranno raccolto e fruibile l’intero patrimonio didattico metodologico prodotto in questi anni dai CEA, dalle Scuole, dai Parchi, dalle Ludoteche regionali. L’attività del sistema INFEA viene programmata dalla Regione con cadenza triennale. Solo con l’ultimo PTR INFEA 2006-2009 sono stati concessi 2,65 milioni di Euro ai soggetti della rete. “L’attività della rete - osserva Amagliani -, oltre alla valenza ambientale, ha una forte valenza anche economica e sociale. A fronte del cofinziamento regionale i CEA investono ulteriori risorse creando una vera impresa diffusa sul territorio (4,35 milioni di Euro sostenuto dai CEA nell’ultimo triennio). Inoltre sono stati impiegati 360 operatori, che hanno lavorato circa 55 mila giornate equivalenti all’interno di cooperative, associazioni, fondazioni.” Il sistema regionale INFEA delle Marche è consultabile sul sito internet www.infea.marche.it.

USO E… RIUSO I RIFIUTI DIVENTANO RISORSE DI CREATIVITÀ NON INCARTI’AMO’ IL MARE DAL “RIFIUTO” NASCE “L’ARTE” UMANI RIFIUTI & RIFIUTI UMANI TU LI BUTTI… NOI GLI DAREMO UN FUTURO DALLA TERRA ALLA TERRA LA TERRA … LA NOSTRA CASA ACQUA AEQUA … sono solo alcuni tra i tanti che esprimono l’attività capillare e la ricerca di tessitura che insegnanti e studenti hanno realizzato per stimolare e coinvolgere l’intera comunità sia all’interno delle mura scolastiche che all’esterno per una nuova cultura della sostenibilità: la scuola per la città e la cittadinanza, impegno formativo per la progettazione, sperimentazione e costruzione della città. Il concetto di cittadinanza responsabile, che forse per gli adulti ha un significato di pesante e possibilmente rinunciabile coinvolgimento, dalla scuola è presentato come piacevole sfida a costruire nuovi stili di vita, fonte di nuova felicità sociale. La mostra è stata inoltre allestita presso il Centro regionale INFEA di Montemarciano durante la settimana Unesco di Educazione allo Sviluppo Sostenibile dal 9 al 15 novembre. Anche in questa occasione la mostra ha riscosso un grande successo: è stata infatti visitata da più di settecento

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Il Centro regionale INFEA di Montemarciano (AN)

ragazzi accompagnati dai propri insegnanti e guidati dal personale della Società Hystrix srl che sta gestendo le attività del Centro.

INTESA REGIONE - UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE Il 20 novembre 2007 è stato siglato il protocollo di intesa “Scuola Laboratorio Ambiente” tra Regione Marche e Ufficio Scolastico Regionale. L’intesa ha operato nelle ultime tre annualità scolastiche definendo i rapporti di collaborazione per valorizzare i progetti che le scuole della regione da tempo elaborano e realizzano in materia di educazione ambientale. L’Assessorato Ambiente ha dato seguito all’intesa attraverso l’emanazione di bandi regionali a sostegno della progettazione scolastica per un totale di 264.000 Euro. - 1° bando (anno scolastico 2007-2008): in armonia con il principio ‘La scuola fa scuola’, l’obiettivo è stato quello di diffondere comportamenti di ecoefficienza nell’intera comunità scolastica (studenti, insegnanti, operatori vari). Finanziati 41 progetti. - 2° bando (anno scolastico 2008-2009: il tema prioritario da sviluppare è stato la riduzione e il riciclaggio dei rifiuti. Finanziati 62 progetti. - 3° bando (anno scolastico 2009-2010): la finalità è l’educazione alla città e alla cittadinanza per la costruzione di una città ecologica e solidale. Il tema prioritario viene confermato quello dei rifiuti. Finanziati 102 progetti.


RETE ECOLOGICA DELLA REGIONE MARCHE Istituito il tavolo tecnico Regione - Province a cura della Regione Marche

La Regione Marche ha avviato il progetto per la realizzazione della Rete ecologica regionale (REM) con l’obiettivo di tutelare l’integrità dei processi ecologici e dei relativi servizi ecosistemici, di mitigare la frammentazione del territorio e di conservare le comunità vegetali e animali. La REM sarà definita attraverso: - “unità ecologico-funzionali”, elementi territoriali di riconosciuto valore per la biodiversità (core areas o nodi, buffer zones o aree contigue, corridoi ecologici, stepping stones); - piani d’azione riferiti a specifici componenti o elementi del paesaggio caratterizzanti il mosaico reticolare; - cantieri e progetti-pilota puntuali. Il fulcro strutturale e funzionale della REM è rappresentato dalle Aree Protette e i siti Natura 2000, SIC e ZPS, che assumono il ruolo di “nodi” sui quali tarare la rete stessa. Sulla base dei contenuti emergenti dai quadri conoscitivi e interpretativi potrà essere delineato un impianto regolativo implementabile negli strumenti urbanistici e di pianificazione territoriale esistenti (PPAR, PTC, PRG), nel cui ambito normativo potranno pertanto essere disciplinate le nuove direttive, misure e azioni della REM. Sin dalle fasi iniziali del progetto si è perciò inteso attivare una collaborazione tra le strutture regionali che si occupano di tutelare la biodiversità e la conservazione del paesaggio e i referenti provinciali dei settori ambiente e urbanistica. A tal riguardo il 19 gennaio u.s. si è tenuto un seminario con le Province per la presentazione di quanto è stato realizzato o è in corso

d’opera relativamente ai temi su esposti, con particolare riferimento: - allo stato della pianificazione e della programmazione socio-economica; - agli studi e approfondimenti in atto su dinamiche della popolazione vegetale e animale e su trend insediativi; - alle interazioni positive o negative tra la pianificazione e programmazione attuali e lo Schema di “REM-prima fase” già predisposto dalla Regione Marche; - ai progetti realizzati e a quelli in corso di redazione, che potranno essere di supporto all’attuazione della REM; - ai progetti infrastrutturali e alle previsioni insediative che rischiano di ostacolare l’attuazione della REM. Gli intervenuti hanno manifestato la volontà di partecipare attivamente alla realizzazione della REM: peraltro alcuni Piani Territoriali di Coordinamento (PTC) esistenti fanno già esplicito riferimento alla rete ecologica e comunque tutte le Province hanno già avviato il loro aggiornamento tenendo conto della rete ecologica. La Provincia di Macerata, ad esempio, ha già adottato un approccio per il Piano Faunistico Venatorio considerando la rete ecologica come elemento costitutivo e imprescindibile per la gestione della fauna; la Provincia di Ancona e la Provincia di Ascoli Piceno hanno intrapreso, invece, studi su aree specifiche, rispettivamente la zona montana di Serra de’ Conti e Arcevia (la prima) e la Val d’Aso (la seconda); la Provincia di Pesaro e Urbino, infine, ha attivato studi faunistici concernenti pesci e uccelli che possono essere utilmente utilizzati per la determinazione delle frammentazioni della rete. I relatori hanno convenuto che il pro-

getto di rete regionale possa fornire utili indicazioni per costruire la Rete ecologica alle scale di maggior dettaglio, provinciale e comunale. Tali presupposti risultano perfettamente coerenti con il programma di lavoro presentato dal gruppo incaricato dalla Regione, che prevede tra l’altro di approfondire su 25 aree campione l’attuazione della rete a una scala locale. Nella sessione pomeridiana del seminario sono intervenuti anche rappresentanti del Servizio Agricoltura della Regione che si sono detti disponibili a verificare la possibile attivazione di misure e dei relativi fondi del PSR 2007-2013 (Asse 2 - Ambiente, Accordi d’area per la tutela della biodiversità e Accordi d’area per il paesaggio) per l’attuazione della REM. Al termine dell’incontro si è concordato di: - proseguire la collaborazione con le Province attivando un lavoro di raccolta e di esame della documentazione esistente presso le loro sedi, funzionale anche alla messa a punto di una traccia-tipo di progetti d’area basata sulle esperienze realizzate; - favorire lo scambio di informazioni tra i due gruppi di lavoro regionali impegnati nel progetto REM e nel progetto di adeguamento del PPR, al fine di evitare sovrapposizioni ed incoerenze e sfruttare invece sinergie e complementarietà; - avviare un confronto con il Servizio Agricoltura per indirizzare le rimanenti risorse del PSR 2007-2013 verso la realizzazione della REM e di tener conto di tale finalità anche nella progettazione del PSR 2013-2019.

Monte Vettore (foto di Jacopo Angelini)

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VALUTAZIONE DI INCIDENZA Nuove linee guida regionali a cura della Regione Marche

La Regione Marche sta predisponendo le Linee guida regionali per la Valutazione di incidenza a cui sono sottoposti i piani e gli interventi che possono interferire con i SIC e le ZPS. I siti individuati come Sito di Importanza Comunitaria (SIC) o come Zona di Protezione Speciale (ZPS) costituiscono la Rete Natura 2000 che rappresenta il principale strumento della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità naturale. Si tratta di una rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell’Unione, istituita ai sensi della Direttiva 92/43/ CEE “Habitat” per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario. La Rete Natura 2000 è costituita da Zone Speciali di Conservazione (ZSC) istituite dagli Stati membri secondo quanto stabilito dalla Direttiva Habitat, e comprende anche le Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva 79/409/CEE “Uccelli”. La biodiversità è la ricchezza Ortolano (Emberiza hortulana) di vita sulla Terra e la varietà degli esseri viventi. Più la biodiversità è elevata e meglio funzionano gli ecosistemi che forniscono moltissimi servizi tra i quali il cibo, l’acqua, le risorse, l’assetto idrogeologico, la barriere alla diffusione di malattie. Di conseguenza, oltre ai danni ecologici, la perdita della biodiversità comporta anche danni economici. La Rete Natura 2000 ha come scopo fondamentale la conservazione degli habitat naturali e seminaturali, della flora e della fauna selvatica, conciliando tale esigenza primaria con lo sviluppo del territorio. Per questo motivo è stato necessario, da parte dell’Unione europea e dello Stato, individuare uno strumento, chiamata Valutazione di incidenza, che valutasse preventivamente la compatibilità ZPS Dalla Gola del Fiastrone al M. Vettore

di piani ed interventi con la conservazione soddisfacente delle risorse naturali tutelate. Alla luce delle funzioni conferite dallo Stato alle Regioni in materia di Rete Natura 2000, la Regione Marche con la L.R. n. 6/2007 ha individuato gli enti gestori i SIC e le ZPS (Province, Comunità montane, Enti Parco), i quali dovranno effettuare anche la Valutazione di incidenza. A tale scopo la Regione ha predisposto le relative Linee guida regionali. Lo strumento che la Regione sta per adottare fornisce un indispensabile supporto tecnico di riferimento per la redazione e la valutazione dello Studio di incidenza (art. 5 del DPR n. 357/97), predisposto per individuare e valutare gli effetti che un piano o un intervento può avere su uno o più siti della Rete Natura 2000 (pSIC, SIC o ZPS), agevolando da un lato il proponente il piano o l’intervento e dall’altro l’Autorità competente che deve formulare il parere di Valutazione di incidenza. Le linee guida sono state definite dopo un iter di confronto con tanti altri soggetti. Tiene infatti conto dei contributi pervenuti dagli Enti gestori dei siti Natura 2000, dagli enti locali interessati (Province e Comunità montane) e dalla competente Commissione assembleare. Tra le parti che meritano maggiore attenzione vi è l’elenco degli interventi per i quali è stata prevista l’esclusione dalla procedura di Valutazione di incidenza, in quanto non determinanti interferenze negative sullo stato di conservazione delle risorse naturali tutelate nei siti Natura 2000. L’elenco amplia la casistica già presente nella L.R. n. 6/2007 e riguarda: gli interventi generali, quelli inerenti le attività agro-silvo-pastorali, gli interventi sulle infrastrutture e quelli riguardanti la gestione faunistica.


ZPS Gola della Rossa e di Frasassi

I capitoli centrali sono dedicati all’individuazione delle procedure amministrative cui devono Averla piccola (Lanius collurio) attenersi i proponenti i piani e gli interventi. In particolare viene chiarita l’articolazione della procedura con quelle di Valutazione di impatto ambientale (VIA) e di Valutazione ambientale strategica (VAS). Inoltre, rispetto alla scarna e generica normativa di riferimento, vengono precisati i contenuti dello Studio di incidenza, oggetto della valutazione. Per questo sono state inserite utili tabelle di controllo, sia per il proponente che per il valutatore. Alla fase di valutazione è stata dedicata la parte finale del documento che, in forma tabellare, permette al valutatore stesso di giungere al giudizio finale, sia con riferimento alla fase di screening che a quella della valutazione appropriata. Un riferimento particolare deve essere fatto circa

l’individuazione delle professionalità chiamate in causa per la redazione degli studi di incidenza. A tale proposito si evidenza che l’obiettivo di fondo è stato quello di individuare gli strumenti idonei alla predisposizione di studi di incidenza di buon livello qualitativo. Per questo è sembrato utile prevedere il contributo dei professionisti del settore delle analisi e delle valutazioni ambientali in campo naturalistico, facendo salve le competenze conferite loro anche dall’appartenenza a specifici ordini professionali.

ZPS M. Catria, M. Acuto e M. Strega

ZPS Ripa Bianca

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ARPA MARCHE

POLVERI SOTTILI, INFORMARE NON ALLARMARE di Gisberto Paoloni Direttore generale ARPAM

Ancona è finita nelle settimane scorse sulla stampa nazionale come “la terza città più inquinata d’Italia” a causa dei 134 superamenti del valore limite (50µg/mc) di polveri sottili PM10 nell’aria. La normativa fissa il limite di superamenti in 35 giorni/ anno. Dunque il capoluogo di regione ha superato la soglia circa un giorno su tre. Si tratta in realtà di una lettura “allarmistica” dei dati, dal momento che il sito preso in esame è quello di via Bocconi, una stazione che registra i dati in situazione Traffico/ Urbano. E’ utile segnalare che stazioni installate nelle stesse condizioni in altre province, come quella di Civitanova Cecchetti e di Pesaro Giolitti sono state di recente rimosse e ricollocate in siti di Fondo/Urbano, cioè di aree delle città fuori dai grandi flussi veicolari e i cui dati sono dunque indicativi delle PM 10 presenti come zoccolo nell’aria, e non invece indicatori dei picchi di traffico. Pur essendo del tutto evidente che i 134 superamenti di Ancona Bocconi, come i 119 di Ancona Porto e i 104 di Torrette rappresentano un campanello d’allarme per la qualità dell’aria nella città (ma anche altri siti della regione sono abbondantemente al di sopra dei limiti consentiti, come mostrano le tabelle), l’esame dei grafici fa notare come, se si esclude il buon andamento della qualità dell’aria nel 2008, anno dalle favorevolissime condizioni meteo climatiche, i valori di PM 10 sono nel 2009 mediamente inferiori a quelli del 2007, e ciò è tanto più evidente nel grafico sulle PM 2,5, le polveri ultrafini, quattro volte più

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piccole delle PM 10 e perciò assai più pericolose per la salute umana. Stesso andamento in discesa hanno le medie del periodo mentre le PM 2,5, dato assai interessante, non superano in nessun sito il valore della media annua di 25µg/mc raccomandato dalla UE e che presto diventerà direttiva europea. CHE COSA SONO LE POLVERI SOTTILI Le PM 10 sono polveri di diametro pari o inferiore a 10 µ ( micron, millesimo di millimetro), e sono costituite da un miscuglio di particelle carboniose, fibre, silice, metalli, particelle liquide le quali a loro volta possono essere costituite da inquinanti allo stato liquido o sciolti in acqua. L’origine delle PM10 è molto varia: dal sollevamento della polvere naturale, ai processi di combustione incompleta di derivati del petrolio (sia di origine industriale che domestica che da traffico autoveicolare), alla formazione di aerosol di composti salini, ecc. Le sorgenti antropiche principali sono: veicoli diesel; ciclomotori e motocicli a due tempi; usura dei freni, pneumatici e asfalto; risospensione; emissioni industriali; impianti termici a combustibili liquidi; combustione legna. Le PM10 sono costituite da una componente primaria ed una secondaria. I precursori di PM10 secondario sono: biossido di zolfo, ossidi di azoto, composti organici volatili e ammoniaca. La tossicità è legata soprattutto alla qualità chimica della polvere e in particolare alla capacità di assorbire sulla sua superficie sostanze tossiche, quali metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici, ecc. Questo fenomeno di assorbimento interessa soprattutto il particolato fine e ultrafine con diametro inferiore a, rispettivamente 2,5 µ, 1 µ ( PM2,5, PM1). LA RETE DI MONITORAGGIO La rete di monitoraggio regionale della qualità dell’aria evidenzia come l’inquinamento da polveri sottili, in particolare da PM10,


sia critica nelle aree più antropizzate, con situazioni che risultano particolarmente preoccupanti nei periodi invernali sia a causa delle maggiori emissioni, in quanto alle fonti presenti nell’intero anno si aggiungono le emissioni dovute al riscaldamento domestico, sia a causa delle particolari condizioni meteorologiche che ostacolano la dispersione degli inquinanti. Come si è detto, alcune stazioni di monitoraggio poste in aree urbane hanno registrato superamenti del PM10 sia per quanto riguarda il valore limite su 24 ore per la salute umana che per quanto riguarda il valore limite annuale per la protezione della salute umana. Diversi studi scientifici hanno dimostrato la pericolosità del materiale particolato per la capacità di raggiungere il tratto tracheo-bronchiale (PM10) o gli alveoli polmonari (PM2,5 e minori) e qui svolgere la loro azione nociva. Pericolosità legata non solo alla capacità di penetrazione nell’albero respiratorio, ma anche alle sostanze che si legano alle polveri quali metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici, radicali liberi. Effetti avversi sulla salute possono essere sia di tipo acuto che cronico, determinando conseguenze anche letali, come rilevato da studi condotti negli Stati Uniti ed in vari Paesi europei in cui si evidenzia una stretta associazione fra i livelli di inquinanti atmosferici ed il numero giornaliero di morti o ricoveri in ospedale per cause respiratorie e cardiovascolari. Le fonti di generazione del materiale particolato possono essere molteplici, sia naturali che antropiche. Fra queste ultime le più rilevanti sono dovute ai processi di combustione di combustibili fossili, emissioni industriali e dal traffico veicolare. Studi e ricerche effettuate in relazione all’inquinamento da polveri sottili confermano come, in particolar modo in ambiente urbano, la loro origine sia prevalentemente antropica e il traffico veicolare rappresenta il principale fattore di pressione sulla qualità dell’aria in queste aree. La provata pericolosità di questi inquinanti per la salute umana comporta la necessità di adottare provvedimenti che riducano le emissioni in atmosfera. Va in ogni caso sottolineato che l’aria è la più “globale” delle matrici ambientali, e dunque politiche di mitigazione e adattamento avranno efficacia solo se attuate su base territoriale molto vasta. Per semplificare, nelle Marche si potranno/dovranno attuare misure le più virtuose, ma se lo stesso non accadrà nella fortemente industrializzata e antropizzata Emilia Romagna, le polveri sottili dalla val padana raggiungeranno presto con vento da nord, il più frequente, la nostra regione. LE BUONE PRATICHE Gli americani le chiamano best practics, buone azioni, da noi si preferisce chiamarle politiche attive, cioè scelte efficaci. Si tratta delle azioni che si possono/si devono intraprendere per contrastare l’inquinamento atmosferico da polveri, sottili e ultrasottili e da altri tossici per fortuna più rari. Ecco dunque le 16 best practics, le sedici buone azioni per contrastare lo smog. Attenzione però; non se ne può scegliere una o l’altra, bisogna attuarle tutte insieme, altrimenti non funzionano. 1. Riduzione del traffico veicolare privato a favore di quello pubblico (parcheggi scambiatori, mobilità ciclopedonale, razionalizzazione distribuzione merci, car pooling, car sharing, mobility manager…) 2. Conoscenza dei flussi di traffico, del parco veicolare, della mobilità 3. Bollino blu veicoli

4. Sostituzione dei veicoli più vecchi “Euro 0” 5. Diffusione veicoli a ridotto impatto (elettrici, ibridi, gas) ed impianti di rifornimento 6. Diffusione di combustibili a basso tenore di zolfo e benzene (Direttiva 2003/17/CE) 7. Disincentivare l’utilizzo dei combustibili liquidi a favore di combustibili ecocompatibili (Direttiva 2003/30/CE) 8. Lotta alle emissioni diffuse (cantieri presenti sulle strade, ecc…) 9. Controlli degli impianti industriali e dei sistemi di abbattimento 10. Supporto della meteorologia alle reti di rilevamento della QA 11. Inventario delle emissioni 12. Bollino blu impianti termici 13. Vietare la combustione incontrollata delle biomasse 14. Corretta caratterizzazione del rilevamento 15. Informazione continua 16. Coinvolgere tutti gli attori (Regione, ARPAM, Comuni, Province, gestori impianti industriali, Aziende Municipalizzate, cittadini)

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COOPERAZIONE TERRITORIALE

LA CTE FRA VECCHIA E NUOVA PROGRAMMAZIONE Un Convegno, ha fatto un sunto del passato e aperto nuovi e interessanti spiragli per il futuro di Valentina Bellucci

Andando oltre è il titolo del Convegno che si è che si è tenuto in Ancona il 18 gennaio 2010, presso la Sede del Consiglio della Regione Marche, Palazzo Leopardi, il cui fulcro è stata la Cooperazione Territoriale Europea (CTE) fra vecchia e nuova programmazione, con un particolare riferimento alle performance della Regione Marche. La politica di coesione rappresenta, per il periodo 2007-2013, il principale strumento per realizzare concretamente la coesione economica e sociale all’interno dell’Unione Europea, colmando il divario di sviluppo tra le diverse regioni dei Paesi. L’intento è quello di creare un potenziale che consenta alle Regioni di svolgere appieno il loro ruolo garantendo maggiore crescita e competitività e promuovendo al contempo lo scambio di idee e di “buone pratiche” attraverso lo sviluppo di iniziative congiunte. La cooperazione e la condivisione di esperienze tra le Regioni può essere la molla per stimolare un processo di sviluppo regionale dinamico e proiettato verso il futuro. L’Unione Europea assume il ruolo di intermediario al fine di incoraggiare e sostenere Regioni e Città dei vari Stati Membri a lavorare insieme, imparando dall’esperienza degli altri sulla base del-

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le precedenti iniziative INTERREG. In questo senso, la politica di coesione rafforza l’obiettivo primario di cooperazione. In particolare, attraverso l’obiettivo “Cooperazione territoriale europea” l’Unione Europea si propone di rafforzare la cooperazione su 3 livelli: 1) Cooperazione transfrontaliera. L’intento è quello di integrare le regione divise dai confini nazionali, riunendole attorno a problemi comuni che necessitano di soluzioni analoghe. Le sfide riguardano la frammentazione dei mercati, la forza lavoro, le infrastrutture, le risorse fiscali, le istituzioni e i servizi di interesse generale. 2) Cooperazione transnazionale. Costituisce la tipologia di cooperazione alla quale la Commissione attribuisce il maggior peso strategico, in quanto ritenuta in grado di “strutturare il territorio dell’Unione”. Le azioni interessate prevedono l’interconnessione dei territori in termini materiali (trasporti) e immateriali (reti, scambi tra regioni). 3) Cooperazione interregionale. È incentrata sul rafforzamento dell’innovazione, delle PMI e delle imprenditorialità, dell’ambiente e della prevenzione dei rischi. Prevede uno scambio di esperienze e best practices.

Nell’attuazione dei programmi di cooperazione territoriale è prevista l’integrazione di 3 strumenti finanziari: • Fondo Europeo Sviluppo Regionale (FESR) che finanzierà le operazioni; • IPA (strumento di pre-adesione), che finanzierà interventi all’interno dei Paesi Candidati (Croazia, Turchia, ex Repubblica Jugoslava di Macedonia) e potenziali Candidati (Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Serbia, incluso il Kosovo); • ENPI (Strumento di Vicinato e Partenariato), che finanzierà la cooperazione con aree limitrofe non EU e non coinvolte alla strategia di pre-adesione, ma con i quali sono state avviate politiche di vicinato. Allo stato attuale, lo strumento finanziario ENPI non sarà attivato nei programmi operativi che prevedono il coinvolgimento della Regione Marche. Il contributo comunitario fra le Regioni europee verrà assegnato mediante la pubblicazione di bandi e la presentazione di proposte progettuali. In Italia la Cooperazione Territoriale è attuata con il fondo comunitario FESR. Fatte queste dovute e dettagliate premesse, è utile prendere in esame alcuni interventi dei Relatori. La prima parte dell’incontro ha visto


protagonista l’Assessore al Bilancio, Trasporti e Reti di Trasporto, Credito, Provveditorato ed Economato, Finanze, Demanio e Patrimonio della Regione Marche, Pietro Marcolini che ha fatto un quadro sulla politica di coesione fra vecchia e nuova programmazione, addentrandosi sulle principali ricadute sul territorio regionale nel periodo 2000-2006. L’Assessore Marcolini ha sottolineato l’importanza fondamentale dell’area adriatica che è uno svincolo determinante dove le Marche costituiscono la parte dialogante con l’area balcanica. “Le Marche sono la terza regione in Italia per risultati - ha continuato l’Assessore - e la strada intrapresa è quella giusta. La SVIM (Agenzia di Sviluppo delle Marche Spa) ha sviluppato un’importante lavoro che però non ha avuto la giusta informazione e divulgazione. Di sicuro l’aspetto informativo è stato carente ed è una delle cose da migliorare negli anni. L’obiettivo finale è quello di modernizzare il piano integrativo in modo da raggiungere la tanto agognata integrazione europea”. Dopo l’intervento dell’Assessore Marcolini sono stati analizzate tre diverse tipologie di casi di studio. Delle prime due si è il dott. Francesco Marchesi, Direttore SVIM. Il Progetto TISAF (Strumenti Tecnologici per la crescita competitiva dei Sistemi Industriali e per l’integrazione e la cooperazione tra imprese manifatturiere nell’area adriatica) si prefigge la costruzione di un comune “linguaggio tecnologico” per le imprese manifatturiere e una guida ai finanziamenti per l’internazionalizzazione. L’intento primario è quello dell’integrazione a vantaggio delle nostre imprese in modo da promuovere e rafforzare la cooperazione industriale fra le imprese delle Marche. A questo progetto hanno contribuito numerosi partner oltre la SVIM: i Centri di trasferimento tecnologico Cosmob e Meccano, la CNA Marche, il Parco tecnologico Tecnopolis di Bari, la Contea di Brod Posavina (Croazia), la Camera di Commercio Regionale di Uzice (Serbia), l’ONG Solidarietà per il Sud (Bosnia Erzegovina) e l’Università di Tirana (Albania). Cofinanziato da Fondi europei, il progetto si è concentrato in particolare sui settori del legno arredo e della meccanica ed ha studiato la possibilità di “esportare” il modello marchigiano

dei centri di trasferimento tecnologico oltre Adriatico in modo da favorire l’internazionalizzazione delle PMI marchigiane. “I risultati del progetto Tisaf sono lusinghieri - ha dichiarato Marchesi - e segnano un ulteriore passo di avvicinamento nella cooperazione internazionale con i Balcani. nostro tessuto produttivo, fatto di 178mila imprese (una ogni 9 abitanti), 27 distretti produttivi, alcuni dei quali leader mondiali, punta sull’altissima qualità e dunque sull’innovazione, aggredendo i mercati esteri. Non siamo gelosi di questo modello: lo mettiamo a disposizione di altri, alla ricerca costante di nuovi investimenti e nuove produzioni. In questo quadro, i Balcani sono un partner privilegiato: per la Regione costruire relazioni permanenti tra le due sponde è un preciso obiettivo politico”. Un collegamento sempre più stretto che ha visto anche l’impegno di SVIM che ha contribuito al consolidamento di queste relazioni attuando dal 2004 ad oggi oltre 20 progetti finanziati dall’Unione europea che coinvolgono l’area balcanica. L’invito di Marchesi è quello di prendere come esempio la Germania che in questo scenario ha di sicuro una leadership forte e stabile da anni. Il secondo caso di studio riguarda il Progetto ASVILOC (Azioni di integrazione delle Agenzie di Sviluppo Economico Locale per la promozione del territorio e del sistema delle PMI Transfrontaliere Adriatiche). Questo progetto si propone di attivare lo sviluppo economico e sociale delle aree transfrontaliere. È durato due anni con finalità ben precise quali promuovere un miglioramento dell’integrazione nelle aree target e supportare processo di potenziamento. I partner sono stati numerosi ed importanti come ad esempio Informest, Consvipo, Leda/ Ida (Croazia), Fipa e Siepa. Il piano d’azione è stato coordinato dalla SVIM e il follow up di questo progetto è individuare un modello di agenzia di sviluppo coerente con le esigenze di sviluppo di sistemi territoriali differenziati, ma accomunati tra loro dall’apertura all’esterno e da caratteri di prossimità geografica che ne rafforzano la volontà di interagire e collaborare. Visti i risultati straordinari del Progetto ASVILOC, è già partito il progetto di cooperazione ASVILOC PLUS pro-

mosso sempre dalla Regione Marche che coinvolge diversi Paesi tra i quali Croazia, Slovenia e Bulgaria e che mira ad accrescere la capacità di innovare nelle economie locali. A seguire è stato presentato il Progetto ALSO. Prima di analizzarne le finalità, il Dott. Sergio Bozzi, Dirigente della PF Politiche Comunitarie, Regione Marche, ha voluto fare alcune riflessioni e considerazioni: “Quanto siamo dentro l’Europa realmente? Se continuiamo a vivere l’Europa come una delle tante occasioni perdiamo di vista l’asse portante da percorrere. Bisogna crescere in capacità linguistica e partneriale e bisogna dare spazio ai giovani”. Il Progetto ALSO, il cui fine è il raggiungimento degli obiettivi delle strategie di Lisbona e Göteborg attraverso l’implementazione di progetti INTERREG, ha riscosso un forte successo. La Regione Marche, capofila del progetto, gestisce in collaborazione con SVIM l’implementazione di ALSO. Il Progetto nasce per rispondere all’esigenza di: • Promuovere gli obiettivi della strategia di Lisbona a livello regionale; • migliorare il coordinamento tra chi si occupa di pianificazione regionale e chi si occupa di INTERREG e, più in generale, di cooperazione territoriale; • aumentare la partecipazione dei 10 nuovi Stati membri e dei Paesi candidati nel Programma INTERREG e nel futuro Obiettivo 3 “Cooperazione Teritoriale Europea”; • elaborare metodi e strumenti di valutazione degli impatti dei Progetti territoriali, in particolare di Progetti INTERREG, in relazione alla Strategia di Lisbona. Gli obiettivi generali del progetto sono perciò di: 1) facilitare lo scambio di conoscenze tra i soggetti impegnati nella programmazione di sviluppo generale, manager del programma INTERREG e manager di Progetti INTERREG; 2) migliorare lo sviluppo di progetti INTERREG e facilitare una più ampia e più qualificata partecipazione al futuro Obiettivo di Cooperazione Territoriale Europea. I risultati attesi dal progetto sono: 1. Database di almeno 100 progetti INTERREG; 2. Modello di Valutazione di progetti

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INTERREG; 3. Manuale di Buone Prassi; 4. Strumenti di comunicazione e diffusione dei risultati dei progetti INTERREG; 5. Idee progettuali per il nuovo periodo di programmazione 2007-2013; 6. Aggiornamento dei funzionari e project manager in vista della nuova programmazione 2007-2013. Sergio Bozzi ha quindi concluso la presentazione di ALSO ricordando come la politica di coesione europea abbia dimostrato che competitività e coesione siano due facce della stessa medaglia. La sfida è promuovere competitività e crescita a livello sociale e regionale. La parola è poi passata a Fausta Ubaldini, Responsabile PF Cooperazione Territoriale, Regione Marche che ha illustrato il periodo di programmazione 2007-2013, evidenziando i risultati ottenuti dalla Regione Marche e soffermandosi sulle prospettive future e sui prossimi bandi. I programmi descritti sono 4: 1) Programma di cooperazione transfrontaliera IPA Adriatico 20072013. Finanziato nell’ambito dello strumento finanziario IPA (Instrument of Pre-accession Assistance) e diretto a supportare il processo di adesione all’UE dei Paesi Candidati (Croazia, Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Turchia) e dei Paesi Potenziali Candidati (Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Serbia) si pone l’obiettivo di rafforzare lo sviluppo sostenibile della Regione Adriatica attraverso

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un’azione concordata tra i partner dei territori eleggibili con la reazione di iniziative riferite ai tre settori strategici individuati:cooperazione economica, sociale e istituzionale;risorse naturali e culturali e prevenzione dei rischi; accessibilità a reti. 2) Programma di cooperazione Transnazionale MED 20072013. Ha l’obiettivo di stimolare la cooperazione tra territori per trasformare lo spazio Mediterraneo in una regione competitiva a livello internazionale, assicurare crescita e occupazione per le generazioni future e sostenere la coesione territoriale per contribuire attivamente alla protezione dell’ambiente in una logica di sviluppo sostenibile. 3) Programma di cooperazione Transnazionale SEE 2007-2013. Si prefigge di rafforzare la coesione territoriale all’interno dell’Unione Europea favorendo l’integrazione ed uno sviluppo territoriale equilibrato dell’area di cooperazione. Insieme ai Paesi membri Austria, Bulgaria, Grecia, Ungheria, Italia, Romania, Slovenia e Slovacchia fanno parte dell’area di cooperazione anche i Paesi IPA potenziali candidati (Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Serbia), i Paesi candidati all’adesione (Croazia e Macedonia) ed i Paesi terzi beneficiari di ENPI (Moldova ed Ucraina). I progetti approvati nella Regione Marche sono ben 5: Watermode (Autorità Portuale di Ancona); IPR for SEE (Camera di Commercio

di Ancona); VITO (SVIM); ASVILOC plus (SVIM) e ENERSUPPLY (Università Politecnica delle Marche). 4) Programma di Cooperazione Interregionale INTERREG IV C 2007-2013. Il Programma ha l’obiettivo di migliorare l’efficacia delle politiche di sviluppo regionale nelle aree di innovazione, economia della conoscenza, ambiente e prevenzione dei rischi a contribuire alla modernizzazione economica ed alla competitività. Il programma interessa l’intero territorio dell’Unione Europea comprese le aree insulari e ultraperifiche, la Norvegia e la Svizzera, con un contributo comunitario pari a circa 321 milioni di euro. Le conclusioni e le considerazioni finali le ha fatte Paolo Petrini, Vicepresidente della Regione Marche, che ha manifestato la volontà di poter fare di più e di migliorare per il 2013 la capacità di governo della Regione Marche. “La nostra piccola regione è sottoposta a rischi ed è indispensabile muoversi in maniera unitaria e coordinata - ha detto Petrini - Non è una regione policentrica ma multicentrica con forte rischio di disintegrazione. Il ruolo della Regione è quello di avere un forte centro progettuale visto che il fabbisogno del nostro governo è maggiore rispetto ad altre regioni. Da 10 anni affrontiamo la riconversione al settore terziario e pur essendo una regione forte, il momento è difficile. Dobbiamo seguire un modello di sviluppo guidato e canalizzare le proposte in modo univoco”.


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T MARCHE NEWS


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N째

GENNAIO-FEBBRAIO 2010


In collaborazione con:

F001202949C018 - Parc National du Banc d’Arguin - Flamants roses - Mauritanie

Sezione Carrozzieri Veicoli Industriali

systems for environmental projects

SostenibilitĂ per una nuova economia Fiera di Padova, 21-24 aprile 2010 www.seponline.it


In copertina: “Parco le Colombare” (foto di Alex Raimondi) In retro copertina: Bassa veronese

INDICE Regione Veneto Ambiente: un traguardo da raggiungere insieme Intervista all’Assessore Regionale alle Politiche Ambientali, Giancarlo Conta di Alberto Piastrellini

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L’Approfondimento Prioritario armonizzare il rapporto fra gestione pubblica e privata L’On. Giovanni Fava, membro della Commissione Bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, fa il punto dello stato dell’arte in Italia di Alberto Piastrellini

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Manifestazioni e convegni Enti pubblici ed aziende si confrontano sulla gestione sostenibile dei rifiuti e le prospettive del mercato Il Comune di Cerea (VR) e il Consorzio Cerea hanno promosso un evento formativo per l’implementazione della sinergia fra settore pubblico e privato nel passaggio fra la gestione di una diffusa problematica ambientale e la spinta verso nuove opportunità economiche di Silvia Barchiesi

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Comune di Cerea (VR) L’eccellenza dei piccoli centri Sindaco, Vicesindaco e Assessore all’Ecologia, fanno il quadro dello stato dell’arte del settore ambientale nel Comune di Cerea di Fabio Bastianelli

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Consorzio Cerea Spa Impresa e professionalità a favore del territorio Il Presidente del Consorzio Cerea Spa racconta l’esperienza positiva della struttura industriale a 10 anni dalla sua fondazione di Alberto Piastrellini

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REGIONE VENETO

AMBIENTE: UN TRAGUARDO DA RAGGIUNGERE INSIEME

Intervista all’Assessore Regionale alle Politiche Ambientali, Giancarlo Conta di Alberto Piastrellini

Malgrado l’ambiente in generale e le politiche ad esso connesse, in particolare, rappresentano ancora un interesse troppo debole in tutti i livelli della società, accade sovente che, a livello locale e regionale, si sviluppino strategie atte a coniugare sviluppo economico, equità sociale e tutela del territorio in una sorta di ideale di “buon governo”. La Regione Veneto, in questo senso, ha da tempo intrapreso un cammino volto non solo alla tutela del patrimonio naturalistico tout court, ma anche alla garanzia dello sviluppo sostenibile grazie scelte mirate quali: implementazione spinta della raccolta differenziata; ciclo integrato di gestione dei rifiuti urbani ed industriali; chiusura delle discariche a fine vita; bonifica dei siti inquinati; incentivazione delle forme energetiche alternative. Persino la scelta di puntare sulla termovalorizzazione di alcune frazioni di RSU, peraltro criticata da alcuni, ha permesso di raggiungere positivi risultati, così come previsto negli strumenti di pianificazione regionale. Certamente, alcune questioni rimangono ancora in itinere (ad esempio, il problema della mobilità nelle grandi città), tuttavia appare chiara la volontà di proseguire nel cammino intrapreso dall’Amministrazione regionale. Per saperne di più e conoscere meglio cosa “bolle in pentola”, a margine del Convegno “Da rifiuto a risorsa” (del quale si dà maggiore informazione alle pagg. 8 e 9 di questo numero), abbiamo rivolto alcune domande all’Assessore Regionale allo Politiche Ambientali, On. Giancarlo Conta.

Assessore, può farci il quadro generale del settore ambiente nella regione Veneto? Diciamo che, per fortuna, non abbiamo emergenze particolari. Abbiamo raggiunto, proprio due mesi fa una media del 52% regionale riferita alla raccolta differenziata, e stiamo spingendo molto in questo senso, coinvolgendo sindaci e cittadini, affinché la strategia regionale verso la corretta gestione dei rifiuti, parta proprio dalla differenziazione casalinga.

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Il nostro obiettivo è raggiungere il 65% di media regionale al 2012. Tale risultato non è poi lontano dall’essere raggiunto, dal momento che stiamo avendo buoni risultati nelle maggiori città; l’esempio di Verona in questo senso è eclatante: 50% di RD raggiunto in pochi mesi. Sulla questione relativa alla gestione dei rifiuti, la politica regionale ha fatto una scelta precisa: puntare alla RD spinta; diminuire la presenza di discariche sul territorio ed arrivare alla chiusura di quelle esistenti. Ovviamente c’è un gran lavoro per il ricollocamento dei materiali riciclabili sul mercato e, accanto a ciò, una visione favorevole per quanto riguarda la valorizzazione energetica delle frazioni residue, come peraltro accade in tante parti del mondo e in Europa. Il Piano regionale prevede la termovalorizzazione con 6 impianti ed attualmente ne abbiamo 4 in funzione, mentre il quinto (Verona) è in fase di attuazione ed è appena stata fatta una gara per la trasformazione dei forni a griglia. Probabilmente, visto che in dieci anni è cambiata molto la tipologia di rifiuti conferiti, con un ultimo impianto riusciremo a raggiungere l’autonomia regionale per quanto riguarda quel 50% di rifiuto che non viene garantito con la RD, contestualmente si ricaverà energia elettrica, calore per usi domestici, ecc. Non nascondo che vi sono delle voci contrarie e che le difficoltà che troviamo sul territorio aumentano sempre più… La cattiva informazione in campo ambientale gioca a sfavore quando si tratta di questo tipo di iniziative, tuttavia a livello regionale si è intrapresa questa strada e siamo intenzionati a proseguire. Non è un caso che non abbiamo grosse emergenze per quanto riguarda i rifiuti urbani. Ovviamente, per quanto riguarda la gestione dello smaltimento dei rifiuti speciali ed industriali il problema è sempre quello: si riscontrano grosse resistenze sul territorio, a partire dai Sindaci e dalla cittadinanza. Per ovviare a questo gap culturale stiamo investendo molto sulla formazione con appositi progetti mirati, a partire dalle scuole di ogni ordine e grado per favorire la circuitazione di corrette informazioni non solo sulla problematica dei rifiuti, ma anche sull’inquinamento dell’aria, dell’acqua e dell’ambiente in generale. Crediamo fermamente che quando ci si confronta con l’ambiente occorre non solo dare le giuste informazioni, ma fornire ai cittadini le giuste garanzie per ciò che riguarda controlli e monitoraggi ambientali. Del resto, oggi le tecnologie hanno fatto passi da gigante per quanto riguarda processi ed emissioni e, d’altro canto,


ci permettono di fornire il giusto controllo sui parametri degli inquinanti. Può farci un esempio a riguardo? Guardi, abbiamo attivato un progetto di monitoraggio unico in Italia, con la collaborazione della Guardia di Finanza e dei Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico (NOE), abbiamo effettuato la misurazione del calore del sottosuolo riscontrando circa 500 siti (verificati anche attraverso misurazioni satellitari), caratterizzati da un gradiente termico diverso rispetto alle aree adiacenti. Guarda caso in questi siti, 30 - 40 o addirittura 50 anni fa, sorgevano delle discariche che hanno influenzato negativamente la qualità delle falde. Questo problema è ben più grave rispetto alle emissioni dei camini dei termovalorizzatori attualmente in uso. Tra l’altro, vorrei ricordare che l’incidenza del traffico veicolare stimata nella misura del 30%, delle emissioni del riscaldamento domestico che corrispondono ad un altro 30%, a quelle dell’attività industriale che pesano per un ulteriore 30% e quelle relative alle attività legate all’agricoltura, quasi un 10%, l’apporto di inquinanti dei camini dei termovalorizzatori è stimato in un circa 0,6%. Si vede bene, quindi, come la facile strumentalizzazione dei dati, porta alla difusione di cattive informazioni e alimenta ingiustificate paure nei cittadini. Poi è chiaro che una amministrazione locale fa fatica a relazionarsi con forme estreme di protesta, soprattutto quando si tocca il tasto della salute; è per questo che la nostra azione di governo punta molto sull’informazione preventiva. Intervenire a posteriori, in campo ambientale, è sempre controproducente. Tuttavia, il nostro programma che mira all’autosufficienza energetica regionale va avanti: chi governa ha l’onere di prendere anche decisioni apparentemente scomode e noi abbiamo sempre sostenuto la “politica del fare”. Sarebbe ingiusto tirarsi indietro proprio adesso che abbiamo raggiunto la posizione leader nella classifica italiana della raccolta differenziata e che abbiamo valutato a breve la chiusura delle discariche ancora attive, se dovessimo fermare il progetto di attivazione degli altri temovalorizzatori. Del resto, voglio ricordare la nostra lungimiranza, dieci anni fa, quando abbiamo realizzato il primo rigassificatore off shore al mondo… Assessore, può farci un quadro per quanto riguarda le problematiche energetiche della regione e quali strategie sono state adottate? Anche questo è un settore delicato. Ovviamente non abbiamo petrolio, non siamo in grado di

produrre elettricità da combustibili fossili, né attraverso il nucleare. Stiamo pagando, in tal senso, il frutto di scelte che ho reputato sbagliate già vent’anni fa; tra l’altro, occorre considerare che mentre l’Italia ha rinunciato all’energia nucleare, nel resto d’Europa le centrali attive sono ben 196, delle quali 29 posizionate nei pressi dei nostri confini ed è un bel paradosso che, in caso di incidente, sarebbe proprio la Pianura Padana quella più esposta al fall-out radioattivo. Premesso ciò, come Regione, abbiamo attivato tutte le progettualità possibili per implementare il ricorso ad energie alternative: principalmente l’idroelettrico, data la ricchezza idrica del nostro territorio, poi le biomasse. Purtroppo le caratteristiche del nostro territorio non ci permettono di utilizzare l’energia eolica, dal momento che il flusso dei venti non è costante tutto l’anno, però qualche opportunità in più l’abbiamo con il solare, sia termico che fotovoltaico. Stiamo incentivando le singole industrie affinché prendano in considerazione queste tecnologie per coprire almeno il fabbisogno industriale di energia, dando, al contempo, una mano all’ambiente e al Paese. Ripeto, l’attenzione al problema è alta in tutti i settori, anche quello tradizionalmente più obliquo (parlo del mondo agricolo) che sta cominciando a valutare positivamente il discorso delle biomasse. Se dovessi giudicare lo state dell’arte a partire dall’analisi del numero di progetti dedicati alla produzione e al risparmio energetico che arrivano in regione, direi che l’interesse dei cittadini è alto. Anche su questo abbiamo attivato appositi programmi di formazione ed informazione che interessano tutta la cittadinanza a partire dalle scuole. Stesso discorso può essere applicato a quanto attiene al problema della dispersione idrica, che con quella energetica, rischia di essere la principale fonte di consumo del Paese. Anche per questo abbiamo attivato progetti di informazione diffusa. Credo, in conclusione, che quando si tratta di risolvere problematiche ambientali di questa portata non siano solo i grandi progetti e le grandi scelte programmatiche ad avere un peso determinante, bensì la somma di tutte le piccole azioni quotidiane che ogni singolo cittadino deve saper compiere consapevolmente nella certezza del suo ruolo all’interno della comunità, del territorio… del Pianeta.

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L’APPROFONDIMENTO

Gestione dei rifiuti

PRIORITARIO ARMONIZZARE IL RAPPORTO FRA GESTIONE PUBBLICA E PRIVATA L’On. Giovanni Fava, membro della Commissione Bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, fa il punto dello stato dell’arte in Italia di Alberto Piastrellini

Da tempo il Governo italiano è impegnato nella riforma della normativa nazionale di riferimento e nel tentativo di recepire le istanze europee che, al momento, sembrano essere piuttosto “avanti” rispetto al proverbiale immobilismo italiano e, al contempo, tenta di far luce su inadempienze, storture ed illeciti nel ciclo dei rifiuti attraverso apposite strutture di indagine, fra le quali la Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Ad un autorevole Membro della Commissione, l’On. Giovanni Fava, intervenuto al Convegno “Da rifiuto a risorsa” (Cerea, 27 novembre 2009), abbiamo rivolto alcune domande per meglio conoscere la situazione attuale e le prospettive.

Quello dei rifiuti è un problema connaturato con lo sviluppo “insostenibile” che per troppo tempo ha caratterizzato una visione miope dell’esistenza e della società dei consumi. Tuttavia, grandi passi sono stati compiuti, pur fra mille difficoltà, per addivenire ad una prospettiva diversa, dove, ad esempio la problematica del fine vita dei manufatti viene affrontata sin dalla loro progettazione e perseguita durante tutto il loro life cycle assessment (LCA), oppure allorquando si considerano le possibilità di risparmio di materie prime e processi utilizzando le cosiddette materie prime secondarie e i prodotti del riciclo. Ovviamente tutte queste scelte prevedono costi di gestione, cicli e flussi di materie, soggetti pubblici e privati deputati, i primi al controllo e al monitoraggio a salvaguardia della salute pubblica e della qualità dei processi, i secondi, alla gestione dei materiali e alla loro corretta utilizzazione nei processi e nei flussi.

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La gestione dei rifiuti è un’attività che storicamente vede l’Italia in primo piano proprio per la sua connaturata mancanza di materie prime. Oggi la gestione dei rifiuti assume ancor maggior rilevanza per i continui cambiamenti delle normative di riferimento. Cosa sta succedendo a livello italiano con la riscrittura del D. Lgs 152/2006 e conseguentemente con il recepimento della Direttiva europea n. 98/2008 che entra ancora più in merito al problema con degli indirizzi più precisi? La riscrittura della Legge 152 rientra in un meccanismo di delega specifica che il Ministro Prestigiacomo ha chiesto e ottenuto dal Parlamento e che la vede impegnata da qualche mese su un testo base che attualmente non è ancora di dominio pubblico. Pertanto non sono ancora in grado di pronunciarmi sulle indicazioni che provengono da questo lavoro che la struttura del Ministero sta svolgendo.

Posso invece annunciare le idee che stiamo discutendo. Vorremmo infatti cercare di far comprendere anche a quella parte politica che è un po’ più rigida da questo punto di vista, che l’attività di smaltimento dei rifiuti è un’attività industriale come molte altre. Oggi viviamo una situazione paradossale rispetto alla quale l’attività di smaltimento rifiuti, laddove non sia gestita dal pubblico, è considerata come border line , al confine tra la legalità e l’illegalità. Questa concezione è figlia di una visione antica, ormai da superare. Devo ammettere che gli operatori ci hanno messo del loro affinché questa concezione si radicasse negli anni. Questa visione non è, infatti, solo frutto di pregiudizi, ma il prodotto di una serie di attività condotte a volte con una certa superficialità. Vorremmo far comprendere al Ministro che l’attività di smaltimento dei rifiuti è una vera e propria attività e pertanto deve avere la stessa dignità e decoro di altre attività. Se si parte da questo presupposto, tutto il resto diventa più semplice. Questa è la nostra visione. Le Direttive comunitarie da questo punto di vista ci aiutano. Con l’introduzione della Direttiva comunitaria comincia a delinearsi uno scenario abbastanza chiaro e semplice. Noi ci auguriamo che il Ministero non apponga forzature dal punto di vista della semplificazione delle procedure. Credo che sia giusto porre attenzione sul tema dei controlli ambientali, anche se credo, tuttavia, che il sistema attuale sia discretamente efficace. Nutro, invece, qualche perplessità rispetto all’ipotesi di gestione informatizzata in ambito nazionale. Sappiamo infatti che il flusso di gran parte dei rifiuti si dirige all’estero e


un sistema informatizzato che si limiti al territorio del nostro Paese sarebbe sicuramente un discrimine rispetto ad un mercato che è aperto ai 27 Paesi dell’Unione Europa.

sistema di autosufficienza dei bacini a prescindere dalla loro dimensione, lontani da ogni logica di armonizzazione delle tariffe, del prezzo e dell’impatto ambientale.

Pensa che spingere o aprire alla termovalorizzazione dei rifiuti possa essere una sorta di deterrente all’esportazione illecita? Ovviamente la termovalorizzazione è un obiettivo. I Paesi europei di riferimento del nord Europa, la Francia per esempio, ci insegnano che le tecnologie da adottare devono essere migliori e le più compatibili dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista economico. Credo che vada spinta la termovalorizzazione là dove sia utile e proficuo e là dove il conto ecologico ambientale da un lato e quello economico dall’altro si reggano in un sostanziale equilibrio. D’altra parte ritengo che la politica debba pianificare, ma non occuparsi della tecnologia in modo specifico. Se la termovalorizzazione è la tecnologia migliore rispetto all’incenerimento tradizionale, in grado di offrire migliori risultati in termini di ritorno ambientale e in termini di garanzie sui numeri, credo che tutte le strade debbano essere percorse. Personalmente, sono favorevole al fatto che si allarghi la maglia dei termovalorizzatori. Stiamo attenti però che il risultato potrebbe essere opposto a quello voluto. Il rischio è che ci siano tanti micro impianti senza economie di scala, a differenza delle strutture impiantistiche complesse, anche di grandi dimensioni. Questa idea di “bacini fai da te”, di piccole dimensioni, di micro impianti da 30-50-90 mila tonnellate non vanno, invece, in questa direzione, bensì piuttosto verso un sostanziale

Ci sono voluti diversi anni per rendere attuativo il decreto sul “Green Public Procurement”. Lei crede che sia giunto il momento per le pubbliche amministrazioni di scendere in campo ed essere protagoniste del mercato del riciclo? Personalmente, credo che le Pubbliche Amministrazioni facciano anche troppo in questo Paese. Ritengo che le Pubbliche Amministrazioni debbano operare sul fronte della programmazione, del controllo, del mercato, mentre il mercato dovrebbe essere libero in modo che le amministrazioni efficaci ed efficienti possano confrontarsi con privati, altrettanto efficaci ed efficienti. Occorre, piuttosto, consolidare le strutture pubbliche che già esistono per fare in modo che diventino parte integrante del mercato. Stiamo attenti, però, perché un eccesso di presenza del pubblico in determinati settori ha creato scompensi di altra natura. Io sono per un’armonizzazione del rapporto tra pubblico-privato in un’ottica dove al pubblico compete il controllo e la proprietà degli impianti e delle reti. Per quanto riguarda la gestione, penso sia giusto il principio per il quale, questa debba essere affidata a chi riesce tra pubblico e privato a fare meglio.

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MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

Da rifiuto a risorsa

ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SI CONFRONTANO SULLA GESTIONE SOSTENIBILE DEI RIFIUTI E LE PROSPETTIVE DEL MERCATO

Il Comune di Cerea (VR) e il Consorzio Cerea spa hanno promosso un evento formativo per l’implementazione della sinergia fra settore pubblico e privato nel passaggio fra la gestione di una diffusa problematica ambientale e la spinta verso nuove opportunità economiche di Silvia Barchiesi

Tendere ad un graduale ed improrogabile cambio di prospettiva nell’approccio alla gestione dei rifiuti, in generale, e delle materie prime seconde, in particolare, secondo l’ottica dell’opportunità economica e, confermare la storica leadership italiana nelle strategie di riciclo, recupero e riutilizzo delle materie derivanti dai processi produttivi o dal fine vita dei prodotti. È stato questa la linea d’indirizzo emersa dai lavori del Convegno e della successiva Tavola Rotonda: “Da rifiuto a risorsa” che ha avuto luogo venerdì 27 novembre, presso la Sala Convegni dell’Hotel “Pergola” di San Pietro di Legnago (VR). L’evento, organizzato dall’Amministrazione Comunale di Cerea, in collaborazione con il Consorzio Cerea Spa ed il supporto tecnico-scientifico della Fondazione Santa Chiara per lo studio del Diritto e dell’Economia dell’Ambiente, ha riunito una folta platea (oltre 150 presenze registrate) di addetti ai lavori: Operatori del settore, Produttori, Tecnici, rappresentanti delle Pubbliche Amministrazioni e degli Organi di controllo, a testimonianza dell’enorme interesse che, tanto il settore pubblico, quanto quello privato hanno nei confronti delle problematiche connesse alla gestione sostenibile dei rifiuti (urbani e speciali). “Il Comune di Cerea, da sempre dimostra una forte sensibili-

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tà verso le tematiche dell’ambiente – ha ricordato il Sindaco, Paolo Marconcini – e, forte dell’esperienza maturata negli anni nell’ambito dell’implementazione di processi di interlocuzione fra Ente pubblico e privati, non ha avuto alcun dubbio circa la possibilità di mettersi in gioco con questo evento”. “Quello di oggi non è un evento episodico – ha dichiarato Enrico Bobbio, Presidente del Consorzio PolieCo (Consorzio per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene) e della Fondazione Santa Chiara – bensì rientra in un progetto di formazione che le strutture che mi onoro di presiedere, da due anni a questa parte stanno incrementando sul territorio nazionale al fine di colmare il gap che nel tempo si è venuto a creare fra Aziende, Legislatore e Organismi deputati al controllo e alla verifica dei processi”. Nel proseguire col suo intervento, il Presidente PolieCo ha introdotto le questioni legate al mercato del riciclo e del riciclato, sottolineando le difficoltà degli operatori, le discrasie del mercato stesso (spesso ingenerate da interpretazioni personalistiche) e la necessità, infine, di regole chiare ed omogenee che riportino le Aziende del Paese a confrontarsi da pari con i partner e i concorrenti europei. L’esperienza specifica nelle politiche di gestione dei rifiuti sul territorio della regione Veneto è arrivata dall’On. Giancarlo


Conta, Assessore Regionale all’Ambiente che ha ricordato come: “Da alcuni anni a questa parte, come Amministratori del territorio, preferiamo, nel riferirci ai rifiuti, parlare di opportunità più che di problema”. Ricordando la scelta operata dalla Regione alcuni anni fa di rinunciare allo smaltimento in discarica, aumentando nel contempo le dinamiche di raccolta differenziata fino al punto di portare la media regionale al 53% (picco nazionale), l’Assessore si è detto profondamente colpito da quanto: “in questo settore giochi a sfavore di scelte tecnologicamente compatibili, la cattiva informazione”. In questo senso, il riferimento era alla scelta della termovalorizzazione di alcune frazioni di rifiuti che, ad ogni modo è stata compiuta nel pieno rispetto dei parametri della qualità dell’aria e della salute dei cittadini. “Rifiuto come risorsa è la parola d’ordine per conseguire lo sviluppo della collettività – ha dichiarato l’Assessore Regionale – e i protagonisti di questa svolta devono essere necessariamente le imprese e le aziende”. Una riflessione è arrivata anche dall’On. Giovanni Fava, della Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, il quale, nel sottolineare come: “in questo settore, purtroppo, la confusione regna sovrana da diversi anni”, ha pure rimarcato la responsabilità di una corretta informazione e comunicazione scevra da pregiudizi e preconcetti ideologici. Sottolineando ulteriormente le scadenze che il Legislatore deve tener presente oggi per dare risposte certe a tutto il comparto; riscrittura del D. Lgs n. 152/2006 (Testo Unico Ambientale) e recepimento della nuova Direttiva europea sui rifiuti (98/2008/CE), l’On. Fava ha spronato le aziende ad “utilizzare tutte le strutture e le possibilità in vostro possesso per far circuitare un messaggio positivo, dal momento che al di là di definizioni normative e procedure tecniche, il vero problema è quello della divulgazione di dati corretti e messaggi veritieri”.

Ad aprire la sessione dedicata agli approfondimenti tecnici è stata la relazione del dott. Alberto Pierobon, Consulente del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il quale, a partire dall’analisi dei costi imputabili ai soggetti pubblici e a quelli privati per la gestione dei rifiuti, ha fatto una disamina dei vizi di mercato ingenerati nelle lacune dei vari passaggi. Successivamente, a cura del dott. Roberto Rossi, Sostituto Procuratore della Repubblica preso il Tribunale di Bari, nonché membro della Fondazione Santa Chiara per lo Studio del Diritto e dell’Economia dell’Ambiente, è stata presentata la relazione “I possibili crimini nella produzione delle materie prime secondarie: fattispecie, sanzioni, ipotesi”, che ha permesso il chiarimento di alcuni dubbi diffusi circa casi e comportamenti scorretti. L’adattamento del diritto domestico con riguardo alla gestione dei rifiuti, riservato al sistema consortile, tra mercato e concorrenza, è stato al centro della trattazione a cura del prof. Franco Silvano Toni Di Cigoli, Università degli Studi di Padova; British Institute of International and Comparative Law (Londra) e Fondazione Santa Chiara; mentre Roberto Quaresmini, Funzionario ARPA Lombardia di Brescia, ha approfondito la tematica delle ispezioni, controlli, prelievi e analisi in materia di rifiuti, in particolare delle materie prime secondarie. Ha chiuso la teoria degli interventi Giulio Angelucci, Dirigente della Provincia Autonoma di Bolzano, illustrando alcuni case history relativi alle esperienze innovative del recupero e delle materie prime secondarie nel territorio di competenza. Al termine della sessione tecnica, una Tavola Rotonda moderata dalla dott.ssa Chiara Miele, Consulente Ambientale ha permesso alla vivace platea di intervenire con quesiti mirati e richieste di approfondimento.

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COMUNE DI CEREA (VR)

LʼECCELLENZA DEI PICCOLI CENTRI Sindaco, Vicesindaco e Assessore all’Ecologia, fanno il quadro dello stato dell’arte del settore ambientale nel Comune di Cerea di Fabio Bastianelli

Piccola città del Veneto, situata nella bassa veronese, Cerea ha una popolazione che supera i 15.000 abitanti. La superficie di competenza dell’Amministrazione copre un’area di 70,4 Km2 per una densità abitativa di circa 216,68 abitanti/Km2. Risultano insistere sul territorio del Comune 900 attività industriali con 3.149 addetti pari al 48,50% della forza lavoro occupata, 411 attività di servizio con 1.172 addetti pari al 18,05% della forza lavoro occupata, altre 369 attività di servizio con 1.288 addetti pari al 19,84% della forza lavoro occupata e 79 attività amministrative con 884 addetti pari al 13,61% della forza lavoro occupata. Complessivamente risultano occupati 6.493 individui, che rappresentano il 42,57% del totale degli abitanti. Il Comune è “Amico del Turismo Itinerante” e, in quanto rientrante nella Regione Agricola n. 9 - Pianura di Legnago, è membro dell’Associazione “Strada del Riso Vialone Nano Veronese IGP”. Per meglio conoscere alcuni aspetti ambientali specifici del territorio, abbiamo incontrato il Sindaco, Paolo Marconcini; il Vicesindaco, nonché Assessore all’Edilizia, all’Urbanistica e alla Mobilità,Vittorio Facchinetti; infine, l’Assessore all’Ecologia e alla Cultura, Rosetta Salmaso, che hanno risposto alle nostre domande.

gode di alcuni impianti alquanto significativi ed importanti. Proprio quest’anno, se non ricordo male, festeggiamo il decennio di una collaborazione importante fra l’Amministrazione comunale di Cerea e il Consorzio Cerea Spa. Questo impianto lavora diverse tonnellate l’anno di materiali ed è il fiore all’occhiello del territorio per quanto riguarda il recupero di materiali inerti e credo di poter affermare che tale collaborazione sia la perfetta realizzazione di quanto gia ipotizzato dal Legislatore allorquando si è inteso implementare le possibili sinergie fra ruolo pubblico delle istituzioni e vivacità imprenditoriale privata. Al nostro territorio, tale sinergia ha portato indubbi vantaggi e grandi soddisfazioni, sia in termini di operatività, sia in termini di ritorno economico derivante dal recupero dei materiali inerti. Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani in generale, a parte qualche piccola dispersione dovuta più alla mancanza di una diffusa cultura ecologica, devo dire che l’aver puntato ormai da diversi anni ad un sistema di raccolta differenziata porta a porta, abbastanza spinta, ci ha permesso di raggiungere risultati ottimali dell’ordine del 60 – 65%, con un ragguardevole contenimento dei costi della tariffa applicata ai cittadini.

Sindaco, qual è la situazione del Comune di Cerea per ciò che concerne le problematiche ambientali in generale, e per quelle direttamente imputabili alla gestione dei rifiuti, in particolare? Sostanzialmente, valuto in modo alquanto positivo la nostra situazione per quanto riguarda, in generale, le problematiche afferenti al settore ambientale e, in particolare, per ciò che riguarda raccolta e trattamento dei rifiuti. Su quest’ultimo punto, credo sia utile specificare che il Comune di Cerea

Nel corso del Convegno che si andrà a sviluppare domani, si cercherà di riflettere sulle possibilità economiche vantaggiose offerte da una gestione oculata dei rifiuti e dei materiali da esse derivanti. Come si è attrezzata, in questo senso, l’Amministrazione di Cerea? Vi sono già realizzazioni mirate, ad esempio, alla valorizzazione energetica dei rifiuti o alla valorizzazione dei materiali in apposite filiere dedicate, sino al ricorso al cosiddetto Green Public Procurement? Devo ammettere che, soprattutto sulla

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valorizzazione energetica dei rifiuti, il bagaglio culturale è piuttosto di basso profilo. Stiamo affrontando diverse problematiche per l’inserimento, nel nostro territorio, di alcune centrali per la produzione di energia alternativa e, purtroppo, constato che i cittadini guardano con un certo sospetto ed allarme a questo tipo di approccio che, viceversa, considero piuttosto una opportunità. Per quanto riguarda il mio aggiornamento personale, su queste questioni, mi ispiro molto a quanto accade quotidianamente nei Paesi del Nord Europa, dove quello che abitualmente viene considerato rifiuto viene sostanzialmente recuperato o sotto forma di materiale o sotto forma di energia. Su questo punto credo sia fondamentale operare verso uno sforzo culturale che tenda a superare i falsi timori. Abbiamo a disposizione tecnologie importanti e di qualità. Ripeto, è l’approccio culturale che va rinnovato. Per ciò che concerne l’operato della nostra Amministrazione, ad esempio, ci stiamo adoperando per l’installazione di pannelli fotovoltaici. Abbiamo già installato alcuni impianti in diversi plessi scolastici intraprendendo un cammino volto non solo alla produzione di energia da una fonte pulita e rinnovabile, ma anche al successivo reinvestimento dell’economia prodotta dal risparmio, in azione volte al contenimento dei costi energetici negli edifici pubblici. Assessore Salmaso, piuttosto inusuale la doppia delega che riveste… Anzi, stanno benissimo insieme. Secondo me, Cultura ed Ambiente rappresentano una simbiosi perfetta, anche perché, nel nostro territorio, caratterizzato da una lunga storia di rapporto con la terra, è già perfettamente inserita una cultura di amore e rispetto per l’ambiente ed il territorio. Non abbiamo bisogno delle Associazioni che ci insegnano ad amare l’ambiente, perché tale sentimento è


già presente nel nostro animo. Mi permetta di sottolineare che già dai percorsi scolastici cerchiamo di stimolare la coscienza e la cultura ambientale dei nostri giovani, attraverso attività formative e percorsi didattici. Avete dei Centri di Educazione Ambientale attivi nel vostro territorio? Dunque, i percorsi educativi partono dalla Scuola primaria e arrivano fino alla Scuola Media; in questi percorsi è espressamente prevista l’educazione ambientale nel programma didattico annuale. Facile, a questo punto creare un rapporto di sinergia fra l’Assessorato di cui sono titolare e gli insegnanti che approntano specifici percorsi didattici. Credo che tale facilità di rapporto sia fondamentale per stimolare una crescita culturale nei più giovani, che poi si riflette positivamente nel quotidiano allorché, nelle famiglie, si affrontano le piccole questioni legate alla raccolta differenziata, al riciclaggio, al riutilizzo. Devo dire che il Consorzio Cerea, in questi percorsi ci ha dato una mano notevole, dal momento che ogni anno ospita varie classi e gruppi di studenti nella sua struttura dove c’è una apposita area dedicata all’educazione ambientale. Tuttavia, almeno da quanto si legge nei quotidiani, cultura ed ecologia rappresentano interessi deboli per quanto riguarda la destinazione di risorse pubbliche nei bilancio degli enti locali. Com’è la situazione nel Comune di Cerea? Ammetto che dal punto di vista della cultura il Comune di Cerea ha investito parecchio nella valorizzazione dei propri programmi, forse di più, o almeno altrettanto, di tanti altri Centri vicini. Per quanto riguarda il settore ambiente ricordo che il nostro territorio si fregia di un’Oasi protetta, di un Parco di recente istituzione, e di una buona rete

di piste ciclabili. Quindi si può notare l’impegno che l’Amministrazione di Cerea ha riversato per la tutela del suo territorio. Un curiosità: durante l’annuale “pedalata ecologica”, guarda caso, una delle tappe è situata proprio presso il Consorzio Cerea Spa. Assessore, lei accennava poc’anzi alla storicamente forte vocazione agricola del territorio. Come si sta lavorando per gestire i rifiuti prodotti dalle lavorazioni agricole e come avete approcciato il problema della valorizzazione della frazione organica ? Per quanto riguarda questa tipologia di rifiuti, c’è una ditta specializzata sul nostro territorio, che si occupa di produrre compost e lo rivende agli agricoltori della zona. Per tutte le altre tipologie di rifiuti prodotti dalle attività agrozootecniche, applichiamo le norme contenute nell’apposito Regolamento regionale. Esiste un problema legato all’inquinamento delle acque? Intanto va detto che questa è una zona molto ricca di falde per cui non esiste difficoltà di approvvigionamento idrico. Sono pochissimi i pozzi che presentano qualche problema. (a questo punto interviene l’Assessore Facchinetti) Per quanto riguarda le acque pubbliche siamo coperti dal Consorzio Valli Grandi (che si è riunito da poco con altre due strutture analoghe formando “Consorzi Riuniti”), il quale ha sempre avuto una grande importanza per quanto concerne la gestione dell’acqua pubblica, che per gli usi irrigui e le vie d’acqua. C’è ovviamente un forte legame fra il mondo agricolo e questo Consorzio che da sempre rappresenta la conditio sine qua non per il lavoro agricolo.

(interviene il Sindaco) Non ci sono situazioni critiche, anzi avere una struttura deputata alla gestione pubblica delle acque ci permette di avere un monitoraggio continuo e di fornire alla cittadinanza la sicurezza richiesta in merito a qualità delle acque. Per fortuna, malgrado il nostro territorio sia caratterizzato da agricoltura intensiva, con utilizzo di fitofarmaci e varie sostanze, non abbiamo problemi di particolari sforamenti alla normativa prevista. Assessore Facchinetti, com’è percepita la questione della mobilità nel vostro territorio? Certamente quello della mobilità, in un Paese come il nostro, caratterizzato dalla confluenza, quasi al centro del tessuto urbano delle due maggiori arterie viarie del territorio, è un problema abbastanza sentito dalla popolazione locale. La nostra città, infatti, è stata costruito proprio sull’incrocio degli assi Verona-Legnago e Mantova-Legnago e, di fatto, il traffico veicolare costituisce un problema pressante per la nostra Amministrazione. Insieme con gli altri Enti territoriali, Provincia e Regione, stiamo cercando di esplorare tutte le soluzioni possibili a questo problema, magari interessando Veneto Strade, che ha in progettazione e, si spera, in breve, l’imminente realizzazione di una variante alla Statale 10 che, nel caso fosse realizzata, porterebbe un grande beneficio in termini di qualità della vita al nostro Paese. L’eliminazione del problema rappresentato dal traffico nel centro cittadino, ci permetterebbe, non solo di diminuire la quantità degli apporti inquinanti nell’aria, ma di poter oltremodo usufruire del contesto urbano per iniziative, eventi, manifestazioni e servizi a maggior beneficio della popolazione.

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Visto che fra le deleghe di sua competenza c’è quella relativa all’edilizia e dal momento che il Consorzio Cerea è nato proprio per il trattamento/smaltimento dei rifiuti derivanti dagli inerti di demolizione, può raccontarci come è nato, nella vostra Amministrazione, l’interesse particolare per questa tipologia di rifiuti, dal momento che spesso, gli amministratori pubblici si confrontano maggiormente con RSU? L’interesse è nato dal fatto che il Comune di Cerea, alcuni anni fa, era di-

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venuto proprietario di un insediamento rappresentato da una vecchia fabbrica di fosfati, in seguito recuperata in toto, fino ad essere trasformata nell’attuale Centro Espositivo di Cerea. Ebbene, dalla demolizione parziale ed il relativo smaltimento dei rifiuti inerti derivati, si è pensato di costituire un Consorzio pubblico/privato che desse la possibilità al territorio di un riciclo immediato e con costi abbastanza contenuti di questa tipologia di rifiuto. Certo, in seguito, tale Consorzio è diventato il punto di riferimento non sono per i cittadini di Cerea, ma anche

per quelli delle conurbazioni limitrofe, sia per quanto riguarda gli inerti da demolizione, sia per quanto concerne altre tipologie di rifiuti.


CONSORZIO CEREA SPA

IMPRESA E PROFESSIONALITÀ A FAVORE DEL TERRITORIO Il Presidente del Consorzio Cerea Spa racconta l’esperienza positiva della struttura industriale a 10 anni dalla sua fondazione di Alberto Piastrellini

Andrea Faccio, i quali, al termine del Convegno organizzato e promosso il giorno 27 novembre, ci hanno dedicato un po’ del loro tempo per rispondere alle nostre domande. Quando nasce il Consorzio, su quali bisogni nasce e di cosa si occupa? Il Consorzio è nato nel 1998. È stato uno dei primi impianti nati con dal Decreto Ronchi. È stata una novità. Abbiamo sempre lavorato con continuità, sempre crescendo. Siamo partiti da 10 operatori, oggi possiamo invece contare su ben 90 persone che lavorano all’interno del Consorzio. Ora che abbiamo ottenuto un ampliamento autorizzativo abbiamo ritenuto opportuno far conoscere la nostra realtà e i nuovi servizi che possiamo dare agli utenti. Qual è il bilancio di questa importante giornata di formazione che ha visto in prima linea il Consorzio? La giornata di oggi è andata benissimo. Ho sentito che tutti i partecipanti sono rimasti soddisfatti. Quando si considera l’opportunità di allocare un impianto industriale per il trattamento di particolari tipologie di rifiuti, quasi sempre si nota un certo disagio misto a preoccupazione, nella popolazione di un territorio, frutto di sospetti ed incertezze neanche tanto immotivate, stante episodi poco piacevoli che, nel tempo, hanno creato pregiudizi e paure. Tuttavia, quanto l’impresa è valida e le persone hanno a cuore, non solo il profitto, ma anche il benessere dei dipendenti e dei cittadini, allora nasce quel connubio virtuoso fra attività industriale, sviluppo e tutela del territorio che fanno dell’impresa stessa il punto focale attorno al quale si muovono politiche e dinamiche di governo. È il caso del Consorzio Cerea Spa, nato dalla volontà dell’Amministrazione comunale e dalla lungimiranza di alcuni imprenditori locali, per risolvere il problema della selezione, cernita e lavorazione di rifiuti inerti derivanti dall’abbandono indiscriminato di detriti da demolizione sul territorio. Vero e proprio riferimento locale per la gestione di varie tipologie di rifiuti, il Consorzio Cerea Spa è diventato, in appena dieci anni, una realtà dinamica ed in continua evoluzione, capace di investire in infrastrutture, innovazione tecnologica, risorse umane qualificate e comunicazione/formazione rivolte alla cittadinanza. Per analizzare ed approfondire l’esperienza di questa crescita, abbiamo intervistato il Presidente, Giuseppe Tavellin, ed il responsabile della Direzione Ambiente,

Presidente, quali sono le problematiche del vostro settore? Per un po’ di anni le procedure sui rifiuti sono state un po’ troppo “fai da te”. Di qui il proliferare di tanti piccoli impianti che non hanno osservato le normative e le procedure. Negli ultimi anni ci stiamo invece accorgendo che quello che abbiamo fatto fino ad oggi ci sta dando ragione: investimenti nelle infrastrutture, nel personale e nella formazione. Tengo, inoltre a precisare che abbiamo investito tutto sempre all’interno della nostra attività. Questa scelta, dopo 10 anni di intenso impegno e lavoro sta dando ora i primi frutti. Ad oggi mi sento soddisfatto perché abbiamo la possibilità di mostrare la nostra realtà a porte aperte senza dover nascondere niente. Siamo orgogliosi di quanto abbiamo fatto fino ad oggi. Con il nostro lavoro puntiamo a ridare dignità all’intero settore. Questo è il nostro impegno. Fino ad oggi la dignità nel settore rifiuti è stata troppo spesso svenduta e logorata. Ora occorre invertire la rotta. Qual è il rapporto tra la popolazione locale che di solito considera un impianto di trattamento o di deposito con un po’ di sospetto e paura? Siamo fortunati perché siamo ben inseriti nel territorio in cui operiamo.

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Ci sono voluti ben due anni per trovare il sito idoneo per la nostra attività. Adesso siamo soddisfatti perché il sito si trova in un’area che non reca disturbo, dal momento che l’agglomerato più vicino si trova a 15 km ed è costituito da un quartiere a bassa densità, i cui abitanti sono molto contenti e soddisfatti del nostro operato. Abbiamo, infatti, sempre mantenuto ciò che abbiamo inizialmente promesso: lavorare con serietà e non arrecare problemi alla popolazione. Cosa chiedete per continuare il vostro lavoro? Quali sono le vostre istanze? Quali sono le vostre richieste al legislatore? Chiediamo di unire le forze con realtà serie, chiediamo di poter crescere nella politica per qualificare questo lavoro che purtroppo è stato per troppo tempo considerato come un lavoro di facili guadagni. Non è invece così: se si lavora il rifiuto come si dovrebbe, osservando tutte le procedure di legge, non si può contare su ingenti guadagni, ma solo su grandi opportunità e garanzie di lavoro, poiché il rifiuto viene continuamente prodotto. Si tratta di una garanzia non di poco conto, vista l’incertezza di lavoro degli ultimi tempi.

urbana, ad oggi pervengono, anche per il solo primo trattamento, 58 Comuni della Provincia. Per quanto riguarda invece i rifiuti da demolizione? Per i rifiuti da demolizione l’area è ovviamente più locale. Come impianto misto pubblico-privato abbiamo la missione per cui la demolizione può essere conferita gratuitamente. Anche per i rifiuti da termovalorizzazione lavoriamo sul locale e serviamo le Provincie di Verona, Vicenza, con qualche sforamento verso Brescia e qualche impianto, siccome siamo considerati specialisti, un po’ più distante, ma sempre nell’ambito veneto, al più lombardo. Nel vostro curriculum ci sono molte certificazioni… Abbiamo investito fin da subito nelle certificazioni. Ad oggi abbiamo certificazioni ISO 9000, ISO 14000 e OHSAS 18000 per la sicurezza. Inoltre, tutti i prodotti sono dotati di marchiatura CE, secondo la Direttiva CPD (89/106/CEE) dei prodotti in costruzione. Non si tratta mai di autocertificazioni, ma sono sempre enti esterni, spesso anche europei, quelli che certificano la fine del rifiuto che diventa prodotto. Nel vostro ciclo produttivo avete previsto una qualche strategia per l’abbattimento dei costi circa l’approvigionamento energetico? Se il sito non pone problemi di impatti , è pur vero che questo è mal posizionato per quanto riguarda l’energia. Infatti, ad oggi produciamo noi l’energia che utilizziamo per circa un megawatt, non con gruppi dell’ultima generazione ma con gruppi diesel. Stiamo pensando a cosa si può fare per migliorare questa situazione.

Direttore, può darci un’idea delle dimensioni del centro? Nel nostro centro vengono convogliate 300mila tonnellate all’anno di rifiuti inerti e circa 30mila tonnellate di rifiuti di carta e plastica. Per la carta e plastica che costituiscono la parte “pubblica”, proveniente dalla raccolta differenziata

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CONSORZIO CEREA Spa è una società consortile pubblico-privata Cenni storici Alla fine degli anni ’90 il Sindaco di Cerea pro tempore proponeva ad alcuni imprenditori di realizzare un centro per la selezione, cernita e lavorazione di rifiuti inerti quale soluzione all’abbandono indiscriminato dei detriti da demolizione sul territorio (cosiddetti rifiuti da C&D). A tal fine esisteva la possibilità di accedere al finanziamento parziale a cura della Comunità Europea. Del primo gruppo di imprenditori locali, prevalentemente operanti nel campo edile, rimanevano a sostenere l’iniziativa la ditta Tavellin Luigi Snc del luogo e la modenese Baraldi F.lli Spa. La Regione Veneto nel 1998 autorizzava l’impianto Consorzio Cerea Spa al trattamento dei materiali inerti (rifiuti da C&D, scorie di acciaieria, refrattari e altro): si trattava del primo impianto regionale autorizzato in via ordinaria al recupero di inerti, con la sottoscrizione delle garanzie fideiussorie e l’impegno a conseguire la certificazione di qualità ed ambientale, ciò che è in seguito avvenuto. L’esperienza imprenditoriale del partner di riferimento Tavellin Luigi Snc viene dal settore del trasporto di materiali agricoli ai quali si accompagna presto la raccolta dei teli in Polietilene utilizzati in agricoltura (da cui l’adesione al Consorzio PolieCo). L’impostazione dell’azienda è ambiziosamente indirizzata verso la produzione di un aggregato riciclato che possegga le caratteristiche di idoneità all’uso per sottofondi, rilevati e per la produzione di calcestruzzo, che raggiunga in tempi brevi le certificazioni di qualità più importanti e che riesca a conseguire la marcatura CE 2+ (certificazione di prodotto rilasciata da Ente terzo). Con notevole sforzo, date le piccole dimensioni, gli obiettivi sono stati raggiunti, fino al recente brevetto di processo depositato ed efficace sul territorio europeo. È stato altresì depositato il nome (In.Ar.Co.®) del prodotto generato dal trattamento di recupero di materia prima secondaria e le certificazioni, conseguite e mantenute, sono: - Certificazione ISO EN 9001-2000 - rilasciata da CSQ; - Certificazione ISO EN 14001 - rilasciata da CSQ; - Certificazione ISO EN 18001 - 2007 - (H&S OHSAS) rilasciata da CSQ; - Certificazione In.Ar.Co® CE 2+ rilasciata da DNV per la certificazione di rispondenza alle norme di settore EN 12620 EN 13139 EN 13242 riguardanti gli aggregati per il calcestruzzo, per le malte, per componenti idraulici di ingegneria civile e costruzione strade. Il Consorzio Cerea Spa si è dotato di Piano di Gestione e Controllo, ai sensi della Legge Regione Veneto n.3/2000, con nomina del controllore indipendente. Dopo la messa a regime del trattamento per i rifiuti inerti, Consorzio Cerea Spa ha allargato la propria attività anche al campo della selezione e del recupero di carta e plastica, ottenendo l’autorizzazione nel 2004 e operando quale centro di cernita (CC) per il COREPLA, per la parte dedicata agli imballaggi in plastica, e quale centro di messa in riserva per il Polietilene, da cui la registrazione al PolieCo. Ad oggi oltre 50 comuni della bassa veronese, compreso il capoluogo, confluiscono al centro di Cerea per la selezione della raccolta differenziata. Potenzialità attuali delle linee di trattamento: - Carta-plastica 24.700 ton/anno; - Inerti 261.625 ton/anno. Consorzio Cerea Spa ha in itinere la procedura VIA (Valutazione Impatto Ambientale) per l’ottenimento dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) ed ha superato positivamente il parere della Commissione Provinciale e della Commissione Regionale VIA (a novembre 2009). L’area interessata dall’insediamento (comprese le aree produttive proprie di Tavellin Luigi Snc) si estende per circa 100.000 mq con l’impiego, complessivamente, di 94 addetti (impiegati ed operai).


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