Regioni&Ambiente nov-dic 2011

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n°11/12 Novembre-Dicembre 2011 Anno XII

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NOVEMBRE DICEMBRE 2011

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N° 11/12 NONEMBRE-DICEMBRE MBR RE-DICEMBRE 2011 AN ANNO NNO XII

In copertina: Bahai, Chad. “Out the Camp, Darfur” (foto di Michal Ronnen Safdie)

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CAMBIAMENTI CLIMATICI

SOMMARIO

A Durban con la finestra che si sta socchiudendo Accorato appello del Papa per le popolazioni più povere e le future generazioni

9 World Energy Outlook 2011 Dalla IEA duro monito ai leader politici mondiali

12 Pubblicata l’edizione 2012 dell’Atlante dei Rischi climatici I PVS sono i più vulnerabili seppure I meno responsabili Anche Paesi ricchi possono ritrovarsi esposti: Italia docet

16 Diffuso dall’IPCC il Sommario per i decisori politici sulla gestione dei rischi da eventi estremi (SREX) Sempre più frequenti e meno eccezionali A metà secolo nel bacino del Mediterraneo estati come quella del 2003

18 Sicurezza alimentare messa a rischio dai cambiamenti climatici È già emergenza umanitaria nell’Africa Sub-sahariana e Orientale

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MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

Genova, 10-11 novembre 2011 Green City Energy Onthesea


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La Manifestazione di Rimini Fiera si conferma leader del settore ECOMONDO 2011 da record Un successo inaspettato visto il momento di crisi economica (+ 16,7%) di Fabio Bastianelli

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ACQUISTI E SERVIZI VERDI ED ECOSOSTENIBILI

Ad ECOMONDO 2011 il Convegno promosso da Regioni&Ambiente Acquisti Verdi: stato dell’arte e prospettive della filiera nell’ottica della green economy Sfatare il mito del maggiori costi di Silvia Barchiesi

INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO

Pubblicati a novembre 4 Rapporti tra loro correlati Inquinamento atmosferico: valutazione, cause, tecnologie per ridurlo e costi dei danni

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EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ

Pubblicato il Rapporto UNFPA “Lo Stato della Popolazione Mondiale 2011” Individui e opportunità in un mondo di 7 miliardi di persone

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28 I dati statistici de “L’Italia del Riciclo 2011” In ripresa nel 2010 il riciclaggio dei rifiuti Ma sull’anno in corso si prevedono numeri negativi nei vari comparti

Presentato il Rapporto “Quant’acqua sfruttiamo” di Friends of Earth Europe Il consumo d’acqua dell’Europa mette sotto pressione il Mondo Avviare politiche UE di misurazione e riduzione del consumo di risorse

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30 In circolazione in Canada dal 12 novembre 2011 La banconota “sostenibile”

32 Linee guida per la realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici Come la PA può implementare il mercato delle FER

Studio della Columbia University sul valore energetico delle plastiche da rifiuti Catturare l’energia delle plastiche non riciclabili

46 Convegno PolieCo - Curti - CNR IIA In sinergia tra industria ed energia di Agnese Mengarelli

MATERIALE IN INSERTO Determinazione 26/10/2011 n. 6 (G.U. n. 268 del 17 novembre 2011) Linee guida per l’affidamento della realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici

ENERGIE ALTERNATIVE E RINNOVABILI

48 De re rustica: energia, innovazione e governance Il settore attende un “conto energia” per le biomasse


16/19 FEBBRAIO 2012

Ecocasa & Ecoimpresa Expò 2012: un appuntamento di riferimento nazionale per tutte le imprese che operano nel settore della “Green Economy”

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Orari: giovedì 15-18.30 - venerdì sabato e domenica 10-18.30


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Senza investimenti nelle infrastrutture energetiche a rischio i piani UE per decarbonizzare l’economia L’AEEG lancia l’allarme sulla debolezza della rete italiana non in grado di utilizzare tutta l’energia prodotta dalle rinnovabili

Presentato dal Politecnico di Milano il 1° Energy Efficency Report Le enormi potenzialità dell’efficienza energetica in Italia

Politica agricola comune: Italia a rischio risorse Dalla proposta della Commissione emergono più ombre che luci di Paolo Russo

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55 Il risparmio di energia è una “fonte”! Dal Progetto SELINA una guida per i consumatori

Pubblicato il nuovo Regolamento UE sull’Etichetta Alimentare Migliori informazioni sugli alimenti per i consumatori Cambiano, seppur con gradualità, le norme comunitarie

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AMBIENTE E SALUTE

Pubblicato lo Studio Epidemiologico sulla popolazione prossima ai SIN S.E.N.T.I.E.R.I.: confermati i rischi per la salute Necessario e ineludibile il risanamento dei siti contaminati

60 In vigore la nuova Direttiva sulla Sicurezza dei Giocattoli I doni di Babbo Natale quest’anno saranno più sicuri Una Campagna Europea per sensibilizzare i consumatori

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Presentata l’Indagine di Coldiretti Alimentari: meno sprechi, più prodotti identitari Novità anche nell’aspetto cromatico

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A COME AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE, AMBIENTE

In calo la produzione del 2011 Meno olio ma di qualità di Silvia Angeloni

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€CO-FINANZIAMENTI

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I QUESITI DEL LETTORE

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AGENDA - Eventi e Fiere

SERVIZI AMBIENTALI

Consorzio PolieCo Alla ricerca di tecnologie e strategie integrate per la green economy di Alberto Piastrellini

AMBIENTE NEWS. Le Regioni comunicano


CAMBIAMENTI CLIMATICI

Aumentano le tensioni alla vigilia della Conferenza UNFCCC

A DURBAN CON LA FINESTRA CHE SI STA SOCCHIUDENDO Accorato appello del Papa per le popolazioni più povere e le future generazioni

Durban, Sudafrica. L’International Convention Center, capace di accogliere 10.000 partecipanti, dove si svolgeranno i lavori dell’UNFCCC

In attesa di conoscere quali saranno stati le conclusioni della Conferenza di Durban sui Cambiamenti Climatici, prendiamo atto che alla sua vigilia Papa Benedetto XVI ha manifestato tutta la sua preoccupazione per il fenomeno del global warming ed ha lanciato un appello affinché si concordino azioni efficaci e solidali che tengano conto delle necessità dei Paesi poveri e delle generazioni che verranno. “Auspico che tutti i membri della comunità internazionale concordino una risposta responsabile, credibile e solidale a questo preoccupante e complesso fenomeno, tenendo conto delle esigenze delle popolazioni più povere e delle generazioni

future - ha affermato il Pontefice all’Angelus della prima domenica dell’Avvento - A volte, in questo mondo che appare quasi perfetto, accadono cose sconvolgenti, o nella natura o nella società, per cui noi pensiamo che Dio sia assente e l’uomo sia l’unico padrone… che rimane atterrito quando si accorge che non è così”. Seppure non sia la prima volta che Benedetto XVI denuncia gli attentati dell’uomo alla natura, è la prima volta che richiama i leader mondiali, a compiere quegli sforzi necessari affinché la Conferenza UNFCCC abbia una positiva conclusione. Non sappiamo quanta presa possa avere l’invito del Pa-

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pa al senso di responsabilità dei decision makers, ma ben conosciamo le loro tendenze a vedere gli scenari a breve termine, per cui riteniamo che con la crisi finanziaria del mondo occidentale i leader di Governo siano meno inclini a fare profondi tagli alla produzione di gas serra se ciò determina maggiori costi per le loro economie.

breve. Il Movimento “Occupy COP 17” ha annunciato dal suo website un’Assemblea Generale sul tema della Giustizia climatica per lunedì 28 novembre, presso lo Speakers Corner di Durban, non molto lontano dall’International Convention Centre (ICC) dove si svolgerà l’inaugurazione e i lavori della Conferenza delle Parti della Convenzione sui Cambiamenti Climatici.

Il clima si è surriscaldato dopo che il testo finale da predisporre, come convenuto nell’ultima riunione del Comitato di transizione GCF (cfr. “Green Climate Fund, in pista per Durban?”, in Regioni&Ambiente, n. 9 settembre 2011, pagg. 6-7), non sarà inoltrato alla COP 17 per la sua approvazione, perché Stati Uniti e Arabia Saudita hanno voluto che venisse sottoposto ad una valutazione da parte delle Parti UNFCCC, riaprendo in pratica la negoziazione. Inoltre, nel briefing di settembre “COP 17, Durban. A tipping point for the international climate talks”, World Development Movement, una battagliera ONG britannica che si batte per i diritti delle comunità povere del mondo, aveva anticipato i contenuti di un Rapporto, pubblicato poi in Novembre (“The end game in Durban? How developed countries bullied and bribed to try to kill Kyoto”), che svela le pressioni e le tattiche di corruzione (bullying and bribery), tra cui il ricatto degli aiuti finanziari ai Paesi poveri, messe in atto dai Paesi ricchi per cercare di far naufragare ogni tentativo di mettere in piedi un nuovo protocollo di Kyoto. Ad incitare, poi, i Paesi più esposti agli effetti dei cambiamenti climatici a non tornare a mani vuote da Durban, è stato l’ex-Presidente del Costa Rica José María Figueres, fratello dell’attuale Segretaria esecutiva UNFCCC e Membro del board di DARA, una ONG che valuta la qualità e l’efficacia degli aiuti alle popolazioni vulnerabili, sofferenti per conflitti, disastri e cambiamenti climatici. Parlando a Dhaka, nel corso del Climate Vulnerable Forum (13-14 dicembre 2011), aperto dal Segretario ONU Ban Kimoon, Figueres ha affermato: “Siamo andati a Copenhagen con l’illusione di poter raggiungere un accordo equo. Siamo andati a Cancùn dove abbiamo osservato dei progressi, ma non sufficienti. La nostra frustrazione è profonda e continua a crescere. Ora sentiamo che abbiamo bisogno di ulteriori conferenze. Dobbiamo fare sul serio. Dovremmo andare a Durban con la ferma convinzione di non tornare fino a quando non abbiamo fatto sostanziali progressi”. Un senso di rabbia si è diffuso tra i Paesi del G 77, allorquando il quotidiano inglese The Guardian ha pubblicato il 20 novembre un articolo dal titolo “I Paesi ricchi rinunciano ad un nuovo trattato sul clima prima del 2020”, in cui si rivelava che le maggiori economie mondiali, comprese Cina e India, si sarebbero accordate per raggiungere un trattato non prima del 2015-2016, ma che sarebbe entrato in vigore a partire dal 2020. Da qui a minacciare un’occupazione di Durban sulla falsariga del movimento “Occupy Wall Street”, il passo è stato

Il fatto è che le emissioni globali sono aumentate nel 2010 del 5%, nonostante la crisi economica in atto, inoltre, gli sforzi per ridurle non sembrano aver imboccato la strada giusta, come testimoniato nell’ultimo Rapporto dell’UNEP “Bridging the emission gap”. Lo Studio, il secondo dedicato a valutare il gap tra le misure volontarie di riduzione delle emissioni, quali presentate dai singoli Paesi in base a quanto previsto dal “Copenhagen Accord”, e quel che sarebbe necessario fare per mantenere la temperatura globale al di sotto dei 2 °C entro la fine del secolo, limite tollerabile dall’ecosistema Terra per evitare i disastrosi cambiamenti climatici, è stato presentato alla vigilia della Conferenza UNFCCC il 23 novembre 2011, stesso giorno e mese del primo (cfr: “Bisogna colmare il divario”, in Regioni&Ambiente, n. 12 dicembre 2010, pagg. 9-11)). Condotto da una équipe di 55 scienziati ed esperti di 28 centri di ricerca di 15 Paesi, il Rapporto quest’anno ha valutato tra i 6 e gli 11 miliardi le tonnellate di CO2 emesse in eccesso rispetto all’obiettivo, gap in crescita rispetto all’anno scorso. “Questo Rapporto consegna nelle mani dei Governanti e dei Decisori politici informazioni vitali circa le loro opzioni se il mondo vuole affrontare la sfida dei cambiamenti climatici - ha scritto il Direttore esecutivo UNEP Achim Steiner nella prefazione - Entro l’anno i Paesi saranno in grado di prendere le loro decisioni a Durban, sulla base di scenari risolutivi tecnologici ed economici a disposizione che evidenziano il divario tra le attuali ambizioni e la realtà scientifica, accanto all’urgenza di colmare il divario”. “Il Rapporto ribadisce che è ancora possibile contrastare i cambiamenti climatici se si assume una leadership - ha ammonito Steiner - ma la finestra si sta socchiudendo”. Per l’obiettivo dei 2 °C sono necessari livelli di emissioni nel 2020 pari a 44 miliardi di tonnellate, ma a quella data, se non si fa niente nel frattempo, secondo il Rapporto, le emissioni arriverebbero a 56 miliardi di tonnellate, per questo Steiner, in sede di presentazione, ha dichiarato che l’eventuale rinvio al 2020 dell’inizio di un nuovo trattato sulla riduzione delle emissioni “è una scelta politica, piuttosto che una decisione basata sulla scienza”. L’Unione europea giunge all’appuntamento di Durban, con le proposte messe a punto a Lussemburgo il 10 ottobre 2011 dal Consiglio Ambiente e che vertono essenzialmente su

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maggiore chiarezza sugli obiettivi per ridurre le emissioni inquinanti, maggiore coinvolgimento di tutte le principali economie e risoluzione dei problemi rimasti irrisolti alla Conferenza di Cancún. “L’UE è pronta a fare da apripista, aderendo ad una seconda fase del protocollo di Kyoto, ma un Kyoto bis con soltanto l’Europa, che rappresenta l’11% delle emissioni complessive, è del tutto insufficiente - ha dichiarato Connie Hedegaard, Commissaria UE di Azione per il Clima - Le altre principali economie devono indicare una roadmap per un accordo globale, al massimo entro il 2020”. Quest’ultima precisazione sembra un anticipo, non certo soddisfacente, di quelle che potrebbero essere le conclusioni della Conferenza di Durban. In Sudafrica, la delegazione italiana sarà guidata dal neoMinistro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Corrado Clini che vanta una consolidata esperienza delle Conferenze UNFCCC, avendo partecipato ai precedenti tavoli negoziali in qualità di Direttore generale del Ministero stesso, e che alla vigilia della Conferenza di Durban ha affermato che “L’UE dovrà fare uno sforzo per cercare altre

Fonte: UNEP

forme, altre strade per avere un vero impegno globale. Questa è un po’ la sfida di Durban molto complicata, molto difficile, ma i cui termini di riferimento sono molto chiari”. Sul sito del Ministero c’è l’esplicitazione di tale pensiero, là dove Clini indica che serve “un partenariato tra economie sviluppate e quelle emergenti per un’economia globale decarbonizzata basata su regole condivise, sulla cooperazione tecnologica, misure e incentivi globali a favore di energie e tecnologie a basso tenore di carbonio”. “La domanda di energia - continua Clini - cresce soprattutto nei Paesi che stanno uscendo dal sottosviluppo (dalla Cina al Sudafrica, dall’India al Brasile, dal Messico all’Indonesia) e nessuno può chiedere a questi Paesi di bloccare la propria crescita economica. D’altra parte l’aumento della domanda di energia può essere disgiunto dall’aumento delle emissioni, sviluppando e usando fonti energetiche e tecnologie a basso contenuto di carbonio a cominciare dalle rinnovabili”. In fin dei conti, Durban dovrà rispondere proprio a questo interrogativo: “Come far fronte alla domanda crescente di energia, senza aumentare le emissioni di CO2 equivalenti?”. Ma la risposta non sarà ovvia, né scontata!


World Energy Outlook 2011

DALLA IEA DURO MONITO AI LEADER POLITICI MONDIALI Senza immediati investimenti sulle energie pulite a rischio il futuro delle nuove generazioni

Le preoccupazioni legate alla crisi dei debiti sovrani e all’integrità finanziaria degli Stati coinvolti, secondo l’IEA, hanno allontanato l’attenzione dei Governi dalla politica energetica e limitato i loro strumenti di intervento, segnale tutt’altro che incoraggiante per il conseguimento degli obiettivi climatici concordati a livello globale. Sullo sfondo, ovviamente, la prossima Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) che si terrà a Durban (28 novembre - 9 dicembre) e che dovrà mettere in atto le misure per contenere entro i 2 °C l’innalzamento della temperatura globale del XXI secolo, corrispondenti alla presenza in atmosfera di 450 ppm (parti per milione) di anidride carbonica.

“A politician thinks of the next election; a stateman of next generation. A political looks for the success of this party; a stateman for that of the country. The stateman wished to steer, while the politician was satisfied to drift.” “Un politico pensa alla prossima elezione, uno statista alla prossima generazione. Un politico guarda al successo del suo partito; uno statista a quello del suo Paese. Lo statista desidera stare alla guida, mentre il politico è contento di lasciarsi trasportare.” Il duro monito ai Governanti del mondo contenuto nel World Energy Outlook (WEO) 2011 (la pubblicazione di punta dell’Agenzia Internazionale dell’Energia), presentato il 9 novembre 2011 ci ha rammentato la riflessione, in questi giorni di moda, seppur citata non sempre a proposito, in modo riduttivo e mal attribuita, che il teologo e saggista James Freeman Clarke, molto vicino al movimento trascendentalista americano (Clarke era un lontano cugino del suo maggior rappresentante, Ralph Waldo Emerson) espresse nel 1870 (Cincinnati, Daily Gazette, 3 febbraio, pag. 1).

“La nostra analisi dimostra che se entro il 2017 non si saranno fatti importanti investimenti per le energie pulite, la porta per raggiungere l’obiettivo dei 2 °C si chiuderà inesorabilmente - ha dichiarato Faith Birol, Capo economista della IEA, in una intervista pubblicata il 14 novembre 2011 dalla European Energy Review - Per vedere tale necessaria ondata di investimenti, c’è la necessità di raggiungere un accordo giuridicamente vincolante a Durban o in una successiva ravvicinata Conferenza. Purtroppo non ho grandi speranze che tale accordo possa essere concluso, dal momento che i principali emettitori di gas ad effetto serra, quali Cina e Stati Uniti, che rappresentano quasi la metà delle emissioni di CO2, non sembrano essere disposti a vincolarsi ad un accordo permanente verso la traiettoria dei 2 °C. Senza la loro adesione sarà difficile politicamente farlo accettare agli altri Paesi che, qualora lo facessero, non cambierebbero comunque in modo significativo i trend climatici conseguenti”. Nell’intervista Birol ha fatto cenno alla diatriba sulle responsabilità storiche dei Paesi industrializzati che, a suo parere, non avrebbe più senso, visto che dai dati dell’IEA la Cina è già diventato il Paese più grande emettitore e l’India è il terzo, dopo gli USA, ed altri Paesi in via di sviluppo stanno aumentando in maniera significativa le proprie emissioni. Circa il dibattito nell’UE sull’opportunità di tagliare le emissioni dal 20 al 30%, Birol ha laconicamente osservato che la differenza è pari a due settimane di emissioni di CO2 in Cina! Dopo aver ricordato, infine, che al World Energy Congress di Roma nel 2007, aveva già indicato la necessità di massicci

In premessa, si deve osservare che l’Agenzia, spesso definita come il “cane da guardia dell’energia dei Paesi ricchi”, non si connota di certo per la sua sensibilità ambientalista, eppure non ha potuto sottrarsi ad amare considerazioni circa la possibilità di evitare pericolosi cambiamenti climatici con cui le giovani e future generazioni potrebbero essere condannate a convivere, tant’è che il WEO inizia così: “Se non cambiamo presto direzione, finiremo esattamente dove ci stiamo incamminando”. “La crescita, la prosperità e la popolazione in aumento spingeranno inevitabilmente verso l’alto il fabbisogno di energia nei prossimi decenni. Ma non possiamo continuare a fare affidamento sugli usi insicuri e ambientalmente insostenibili di energia - ha affermato il Direttore esecutivo IEA, Maria van der Hoeven - I Governi devono introdurre misure più incisive per indirizzare gli investimenti verso tecnologie efficienti e a basse emissioni di carbonio. L’incidente nucleare di Fukushima, le turbolenze in alcune aree del Medio Oriente e del Nord Africa e una netta ripresa della domanda di energia nel 2010, hanno spinto le emissioni di CO2 a livelli record, evidenziando l’urgenza e la portata della sfida”.

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investimenti per l’energia pulita nel periodo 2016-2025 per evitare un disastro climatico correlato, Birol ha concluso che “Il futuro del mondo è a rischio, ma i nostri governanti sembrano ignorare il limite della CO2 e la minaccia per la salute della terra”. Attraverso una rigorosa analisi quantitativa dei trend energetici e climatici, il WEO 2011 esamina le minacce e le opportunità che il sistema energetico mondiale si trova ad affrontare. L’analisi presenta tre scenari globali e molteplici casi di studio. Lo scenario principale proposto in questa edizione del WEO è lo Scenario Nuove Politiche, in cui si ipotizza che i recenti impegni assunti dai Governi e le relative politiche vengano implementati solo moderatamente, anche nel caso in cui non siano ancora state definite le relative misure di attuazione. Il confronto con i risultati cui perviene lo Scenario Politiche Attuali, in cui si assume l’assenza di modifiche rispetto alle politiche in vigore a metà 2011, evidenzia il valore delle politiche e dei programmi considerati nello scenario principale. Da un altro punto di vista, è interessante anche il confronto con lo Scenario 450, che descrive un percorso energetico coerente con l’obiettivo internazionale di limitare l’aumento a lungo termine della temperatura media globale entro i 2 °C, oltre i livelli preindustriali. La grande diversità dei risultati che emergono dai tre scenari analizzati sottolinea il ruolo critico dei Governi nel delineare il nostro futuro energetico, tramite la definizione di obiettivi e l’implementazione delle politiche necessarie al loro conseguimento.

Di seguito gli highlights del WEO 2011: - Nonostante l’incertezza che caratterizza le prospettive di crescita economica nel breve termine, nello Scenario Nuove Politiche la domanda di energia cresce in modo sostenuto, aumentando di un terzo tra il 2010 e il 2035. - Le nuove misure di efficienza energetica apportano un contributo sostanziale, ma è necessario fare molto di più. - Nel breve termine, le pressioni al rialzo che interessano i mercati petroliferi possono venire attenuate da una crescita economica più lenta del previsto e dall’atteso ritorno sul mercato del greggio libico; ciò nonostante, le dinamiche di lungo periodo, lato domanda e lato offerta, continuano a sostenere i prezzi. - Il previsto incremento netto della domanda petrolifera proviene interamente dal settore trasporti delle economie emergenti, in quanto la crescita economica di questi Paesi sostiene la domanda di mobilità di persone e merci. - Durante il periodo di previsione, il costo di produzione del petrolio aumenta in quanto le compagnie petrolifere sono costrette ad orientarsi verso fonti più costose e di difficile estrazione per rimpiazzare la capacità utilizzata e soddisfare la crescente domanda. - Le importazioni di petrolio degli Stati Uniti, oggi il primo importatore mondiale, diminuiscono grazie alla maggiore efficienza che riduce i consumi e allo sviluppo di nuove fonti quali il tight oil (greggio estratto da giacimenti a bassa permeabilità); tuttavia, la crescente dipendenza dalle importazioni in altre parti del mondo aumenta le preoccupazioni legate al loro costo e alla sicurezza degli approvvigionamenti.

Fonte: IEA - WEO 2011

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- Un calo degli investimenti per l’upstream nell’area MENA [Medio Oriente e Nord Africa] potrebbe avere conseguenze di vasta portata per i mercati energetici mondiali. - Le prospettive del gas naturale appaiono molto meno incerte: vi sono fattori, lato offerta e lato domanda, che sembrano indicare un futuro roseo, si potrebbe addirittura parlare di un’età d’oro del gas. - Il consumo di carbone della Cina rappresenta quasi la metà della domanda mondiale di questa fonte e il Piano Quinquennale di Pechino per il periodo 2011-2015, che punta a ridurre l’intensità energetica e carbonica dell’economia cinese, costituirà un fattore determinante per i mercati mondiali del carbone. - Un’ampia diffusione sia di più efficienti centrali elettriche a carbone che di sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 potrebbe migliorare le prospettive di lungo termine del carbone, ma ci sono ancora considerevoli ostacoli da superare. - L’incidente alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi ha sollevato molti interrogativi circa il futuro ruolo dell’energia nucleare, anche se in Paesi come Cina, India, Russia e Corea, che stanno guidando l’espansione di questa fonte, le politiche in materia non sono state modificate. - Nei decenni a venire, la Russia confermerà il suo ruolo di pietra miliare nel panorama energetico mondiale grazie all’immense risorse di cui dispone. - Il cambiamento nella geografia di produzione di idrocarburi in Russia si rifletterà in una nuova geografia delle esportazioni.

- La Russia punta a creare un’economia più efficiente e meno dipendente da petrolio e gas, ma deve accelerare l’attuazione dei cambiamenti necessari. - Nel 2009, si stima che siano stati investiti a livello mondiale circa 9 miliardi di dollari per consentire un primo accesso a forme moderne di energia; tuttavia, se l’obiettivo finale è quello di pervenire all’accesso universale entro il 2030 sarà necessario investire oltre 5 volte questo ammontare per ogni anno del periodo considerato, vale a dire 48 miliardi di dollari l’anno. - A livello internazionale, l’attenzione alla questione dell’accesso universale all’energia sta aumentando. Le Nazioni Unite hanno definito il 2012 come l’Anno Internazionale dell’Energia Sostenibile per Tutti e il vertice Rio+20 rappresenta un’importante opportunità per muoversi in questa direzione. La Segretaria esecutiva dell’UNFCCC, Christiana Figueres ha commentato le conclusioni del WEO 2011 come un’ulteriore dimostrazione dell’urgenza del problema clima, pur sottolineando i progressi che si sono fatti recentemente. “Non è questo lo scenario che avremmo voluto - ha dichiarato la Figueres - Ma giungere ad un accordo non è facile. Ciò a cui miriamo non è un accordo internazionale di tipo ambientale, bensì alla più grande rivoluzione industriale ed energetica che si sia mai vista”. Vedremo se alla Conferenza di Durban si riuscirà a raggiungere almeno questo obiettivo!

Fonte: IEA - WEO 2011

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Pubblicata l’edizione 2012 dell’Atlante dei Rischi climatici

I PVS SONO I PIÙ VULNERABILI SEPPURE I MENO RESPONSABILI Anche Paesi ricchi possono ritrovarsi esposti: Italia docet

Il 26 ottobre 2011 la Società specializzata in analisi dei rischi Maplecroft ha pubblicato il suo quarto “Climate Change and Envirionmental Risk Atlas” che include un nuovo Climate Change Vulnerability Index (CCVI), in cui si analizza e mappa la vulnerabilità ai cambiamenti climatici di 193 Paesi con una definizione di aree fino a 25 km². Dai dati si evidenzia che alcune delle popolazioni in più rapida crescita al mondo sono sempre più a rischio a causa degli impatti dei cambiamenti climatici e dei rischi naturali connessi, compreso l’aumento del livello del mare. Molti dei Paesi con la crescita più rapida della popolazione sono classificati nel CCVI come a ‘”rischio estremo”,

tra cui alcune economie emergenti di importanza “strategica”, quali Bangladesh (retrocesso quest’anno al 2°posto, essendo occupato il 1° da Haiti), Filippine (10), Vietnam (23), Indonesia (27) e India (28). Per meglio comprendere il giudizio della Maplecroft bisogna ricordare che lo scopo della ricerca è di “permettere alle imprese di mettere al riparo dai cambiamenti climatici i propri investimenti”, valutando le conseguenze economiche che potrebbero derivare da disastri ambientali in Paesi che stanno attirando sempre più massicci investimenti stranieri per la loro rapida crescita economica da tassi annuali del 5-6%. Il Climate Change Vulnerability Index si basa su diversi fattori, oltre all’au-

Rielaborazione Regioni&Ambiente su fonte Maplecroft

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mento delle temperature, alla siccità, alla desertificazione, alle alluvioni e ad altri fenomeni estremi, vengono analizzati anche la densità della popolazione, lo sviluppo, le risorse naturali, la dipendenza dall’agricoltura, la capacità finanziaria per le azioni di adattamento, gli eventuali rischi di conflitti, le migrazioni climatiche, l’arrivo di specie aliene, ecc. Il valore della ricerca Maplecroft può essere meglio apprezzato a livello subnazionale, dove vengono analizzati i rischi legati ai cambiamenti climatici sulle megalopoli asiatiche, alcune delle quali “si sono rapidamente sviluppate in aree esposte, come le pianure alluvionali, e in Paesi in via di sviluppo senza capacità di adattamento, con masse


di cittadini poveri, le più esposte agli effetti dei cambiamenti climatici - ha osservato Charlie Golden, il principale analista ambientale di Maplecroft - Città come Manila, Giacarta e Calcutta sono centri vitali di crescita economica nei principali Paesi emergenti, ma ondate di calore, inondazioni, scarsità d’acqua e tempeste sempre più gravi e frequenti possono anche far aumentare i cambiamenti climatici da cui sarebbero colpite. Un tale impatto potrebbe avere conseguenze di vasta portata, non solo per le popolazioni locali, ma per il lavoro, le economie nazionali e i bilanci degli investitori di tutto il mondo, in particolare, poiché l’importanza economica di queste nazioni è destinata ad aumentare in modo drammatico”. Delle 20 città in più rapida crescita da qui al 2020, che sono state prese in considerazione, 6 sono state classificate a “rischio estremo” (Dacca e Chittagong nel Bangladesh; Addis Abeba in Etiopia; Manila nelle Filippine; Calcutta in India; Giacarta in Indonesia), ma altre 10 sono ad “alto rischio” (Chennai, Mumbai e Delhi in India; Karachi e Lahore in

Pakistan; Kabul in Afghanistan; Guandong in Cina; Lagos in Nigeria; Luanda in Angola; Kingshasa nella Repubblica Democratica del Congo). Secondo Maplecroft, la crescita della popolazione in queste città si combina con la scarsa efficacia di governo, la corruzione, la povertà e altri fattori socio-economici che fanno aumentare i rischi per i residenti e per le imprese. Stante le infrastrutture ai livelli di quelle del 2011 la lotta per adattarsi di gran parte della popolazione aumenterà in futuro, rendendo meno efficaci le risposte ai disastri che, al contempo, possono diventare più frequenti, con implicazioni per gli edifici, le vie di trasporto, l’approvvigionamento idrico ed energetico e la salute dei residenti. In più c’è il rischio “che si interrompa la catena di rifornimento per le imprese che ormai lavorano in un mondo globalizzato - ha fatto notare Helen Hodge, a capo delle attività di mappatura ed indici di Maplecroft - Le recenti inondazioni a Bangkok, capitale del Paese maggior produttore mondiale di harddisk per computer, mostrano che molte

grandi multinazionali potrebbero avere la loro catena di approvvigionamento messa a rischio per lungo tempo”. Tali alluvioni che si stanno protraendo dal mese di luglio e che hanno fatto, finora, 427 morti, costerebbero alla Thailandia più di 6,5 miliardi di dollari, tanto che il Governo centrale ha dovuto tagliare le previsioni di crescita economica. Gli investitori e le imprese, afferma Maplecroft, farebbero bene a imparare da questa esperienza tailandese. Se è vero che prima di trovare un Paese sviluppato nella graduatoria dei rischi si deve arrivare alla Grecia che per effetto del rischio siccità occupa la 103a posizione, a conferma che i Paesi meno responsabili dei cambiamenti climatici sono quelli che ne subiscono gli effetti più devastanti, c’è da osservare che l’Italia si trova al 124° posto e a guardar bene la mappa presenta alcune aree scure (quelle più esposte agli impatti del global warming), in particolare in Sicilia, buona parte della Sardegna, la regione Padano-Veneta, compreso quel territorio tra Liguria e Toscana,

Monterosso (SP). La più turistica delle Cinque Terre, sommersa dal fango e dai detriti trasportati dall’alluvione del 25 ottobre 2011.

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che proprio nei giorni di presentazione dell’Atlante dei rischi climatici subiva una tragica alluvione per effetto di quei fenomeni estremi di precipitazioni intense che si concentrano in poche ore (secondo i dati forniti dal Centro Meteo di ARPA Liguria, in 30 ore sono caduti 524mm di pioggia), che, come hanno spiegato i climatologi italiani, saranno sempre più frequenti. ”Ogni anno si verificano fenomeni estremi, come a Salerno l’anno scorso o a Messina due anni fa - ha osservato il climatologo dell’ENEA Vincenzo Ferrara - I 400-500mm di pioggia in un giorno di La Spezia sono ai livelli di monsone indiano. A Roma, la settimana scorsa, in sole due ore è caduta tanta acqua come in due mesi di pioggia Dobbiamo aspettarci un’intensificazione delle piogge autunnali, sbalzi tra alluvioni e siccità soprattutto al Meridione, e una riduzione anche al Nord della disponibilità d’acqua. Questo significa che il Mediterraneo è sempre più caldo, ma anche che mancano buon senso e coscienza per tutelare il territorio”. I Paesi che nel Rapporto occupano le posizioni più basse ovvero quelle che presentano i minori rischi di vul-

nerabilità ai cambiamenti climatici, si concentrano prevalentemente nel Nord Europa, con Islanda, Norvegia, Finlandia, Svezia e Irlanda tra gli ultimi 10. Gli USA occupano il 160° posto e, quindi, a “basso rischio”, anche se alcuni Stati lungo la fascia atlantica sono considerati” ad “alto rischio” (Florida, Louisiana, Georgia, Nord e Sud Carolina). “Eventi come l’uragano Katrina - si legge nel Rapporto - indicano come anche Paesi economicamente forti e dalla grande capacità di approntare azioni di adattamento possono trovarsi estremamente vulnerabili agli eventi climatici”. Una settimana dopo un altro fenomeno meteorologico estremo ha colpito la Liguria, in particolare la città di Genova, provocando lo straripamento dei torrenti che attraversano la città (Bisagno, Ferreggiano, Sturla), dove le piogge cumulate entro le 4 ore sono state superiori a quelle registrate alle Cinque Terre e in Val di Vara. Nell’occasione la stazione ARPA Liguria di Vicomorasso, frazione di Sant’Olcese, comune alle spalle di Genova da cui dista 18Km, ha registrato il nuovo record italiano di pioggia in un’ora, con ben 181mm; mentre alla stazione della rete LIMET (Liguria Meteorologia) di

Quezzi (quartiere di Genova) nell’arco di 4 ore si sono avuti 403mm di precipitazioni, con un totale evento di 542mm (la media storica in città è di 1072mm annui). Al di là dell’eccezionalità dell’evento, resta il fatto che in Liguria alluvioni e frane sono frequenti, come evidenziato dalla nota storica sugli eventi calamitosi (alluvioni-frane), occorsi in Liguria negli ultimi cinquant’anni, diffusa il 5 novembre 2011 dal CNR-IRPI (Istituto di Ricerca e Protezione Idrogeologica del Consiglio nazionale delle Ricerche). Nel periodo tra 1960 e il 2010 sono stati 27 gli anni in cui si è registrato almeno un evento di frana o di inondazione in Liguria che ha causato vittime (morti, feriti, dispersi). In alcuni casi, si sono verificati più eventi a distanza di pochi mesi. Nello stesso periodo, ci sono stati almeno 65 eventi che hanno causato sfollati e/o senzatetto. I comuni interessati da eventi di frana e/o inondazione con danni alla popolazione sono 39 (pari al 6% dei comuni liguri), alcuni dei quali colpiti più di una volta. La maggior parte degli eventi ha coinvolto comuni classificati dall’ISAT come “Comuni di montagna e di collina litoranea”.

Borghetto di Vara (SP). L’alluvione del 25 ottobre 2011 ha fatto 6 vittime tra i 1.000 residenti del comune e distrutto l’economia dei luoghi che poggiava essenzialmente sul turismo, essendo il territorio posto tra mare e montagna e incluso nel Parco Naturale di Montemarcello-Magra.

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Il comune di Genova è quello che storicamente ha subito il maggior numero di eventi (5 eventi di frane e 6 inondazioni) e di vittime (78, di cui 31 causate da movimenti franosi e 47 da eventi di inondazione). Fra il 2000 e il 2010, la Liguria è stata interessata da almeno sette eventi di frana o di inondazione gravi, che si sono verificati nel 2000, 2002, 2008, 2009 e 2010. L’evento del 2000 è stato forse il più grave, causando sia numerosi movimenti franosi sia inondazioni nelle province di Imperia e Savona e provocando in totale 7 vittime. L’evento dell’ottobre 1970. Nei giorni 7-8 ottobre si registrarono piogge localizzate ma molto intense, con più di 900 mm di pioggia in 24 ore, pari al 90% della media annua, che causarono inondazioni e numerose frane. Genova fu sconvolta dall’esondazione di più corsi d’acqua e i torrenti Polcevera, Lerio e Bisagno superarono gli argini in vari punti. La città registrò i danni maggiori, ma furono colpiti altri 20 comuni nelle province di Genova e Alessandria. Complessivamente, l’evento provocò 44 vittime e almeno 2000 sfollati/evacuati. La Tabella elenca il numero di eventi e il numero di vittime nel catalogo storico

in ciascuna delle quattro province della Liguria, nel periodo di 51 anni fra il 1960 e il 2010. Regione Liguria - Periodo 1960 - 2010 (51 anni) Inondazioni

Frane

Eventi

Vittime

Eventi

Vittime

Genova

28

65

9

38

Imperia

6

10

12

17

La Spezia

2

4

4

4

Savona

7

10

7

11

Totali

43

89

31

77

Le “vittime” includono i morti, i feriti e i dispersi. Un “evento” può aver interessato più di una Provincia. Per alcuni eventi vi è incertezza nella localizzazione del danno, e nell’attribuzione dello stesso ad una Provincia specifica.

Più in generale, si deve osservare che sussiste la consapevolezza dei rischi che il nostro Paese sta correndo, a seguito di fenomeni idrogeologici e idraulici determinati da eventi meteorologici, tant’è che il Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva diramato il 14 ottobre 2011 indicazioni operative al riguardo, tenendo conto che “Gli eventi occorsi negli ultimi anni

hanno purtroppo confermato come lo stato di rischio idrogeologico e idraulico del territorio italiano appaia accresciuto in maniera consistente, sia in relazione alla pericolosità determinata dalla maggiore frequenza ed intensità degli eventi estremi, sia in conseguenza della inadeguatezza delle risorse economiche destinate alla realizzazione di interventi strutturali di prevenzione e mitigazione del rischio, oltre che alla mai invertita tendenza all’incremento delle aree urbanizzate. È infatti ormai acquisito che l’elevata vulnerabilità dei territori fortemente antropizzati, anche a seguito di eventi meteorici non particolarmente intensi, è da imputare in primo luogo a contesti urbanistici di particolare criticità, oltre che alla mancata manutenzione del reticolo idrografico urbano e secondario”. La saggezza popolare ci ricorda che “Il fiume affitta, ma non vende”, come dire che: lo spazio lungo gli alvei non è concesso per sempre, perché il fiume quando vuole può riprenderselo. Bisognerebbe dar retta a queste espressioni che ci vengono da lontano e che sono il frutto di dure e secolari esperienze.

Liguria. Anche le infrastrutture, durante le alluvioni di novembre, hanno subìto danni, compromettendo le comunicazioni tra i vari centri e mettendo in difficoltà le operazioni di soccorso alle popolazioni colpite

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Diffuso dall’IPCC il Sommario per i decisori politici sulla gestione dei rischi da eventi estremi (SREX)

SEMPRE PIÙ FREQUENTI E MENO ECCEZIONALI

A metà secolo nel bacino del Mediterraneo estati come quella del 2003

Bangkok, Thailandia. La città ha conosciuto nel 2011 la più disastrosa e prolungata alluvione del secolo

Dopo essere stato approvato dai membri dei Governi del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) nel corso della 35a Sessione di Kampala (18-19 novembre 2011), è stato subito diffuso il Sommario per i Decisori politici del Rapporto sulla “Gestione dei rischi derivanti dagli eventi estremi a causa dei cambiamenti climatici” (Summary for Policymakers of the Special Report on Managing the Risks of Extreme Events and Disasters to Advance Climate Change Adaptation). “Questa sintesi per i responsabili politici fornisce indicazioni su come la gestione dei rischi di catastrofi e l’adattamento ai cambiamenti climatici possano aiutare le comunità più vulnerabili a far fronte alle evoluzioni in atto in un mondo connotato da diseguaglianze - ha affermato alla presentazione del SREX Rajendra Pachauri, Presidente dell’IPCC - Si sottolinea anche la complessità e la diversità dei fattori che stanno determinando la vulnerabilità delle popolazioni di fronte agli eventi estremi, dal momento che per alcune comunità e Paesi questi possono diventare disastrosi, mentre per altri possono essere meno gravi”. Il Rapporto, la cui versione integrale sarà presentata all’inizio nei primi mesi del 2012, ha coinvolto 220 scienziati di 62 Paesi ed è stato sottoposto a 18.784 commenti di revisione. Il compito era stato affidato a due gruppi di lavoro: WG I

(The Phisical Science Basis) e WG II (Impacts, Adaptation and Vulnerability). Nell’occasione, il co-Presidente del WGI e membro dell’Amministrazione Meteorologica della Cina, Qin Dahe ha affermato che “Sussiste un’elevato grado di probabilità che le temperature massime e minime giornaliere siano aumentare a livello mondiale a causa dell’aumento di concentrazione dei gas serra. In alcune regioni si sono incrementati i fenomeni estremi, come siccità più intende e di maggior durata, tuttavia a queste osservazioni il Rapporto assegna una valutazione di media attendibilità, perché mancano le osservazioni dirette e gli studi scientifici disponibili al riguardo non concordano. Le tendenze sul lungo periodo dell’intensità, della frequenza o della durata dei cicloni tropicali è giudicata di bassa attendibilità”. Di fronte ad affermazioni così misurate c’è da chiedersi come sia possibile accusare l’IPCC di “catastrofismo”. Tant’è che è sufficiente andare sulla rete per accorgersi che la maggior parte dei media mondiali hanno dato ampio risalto ai risultati del Rapporto, considerandoli come un forte ammonimento per i leader mondiali e i responsabili delle politiche climatiche. Quelli italiani, poi, escluse rare eccezioni, hanno tralasciato di darne diffusione, nonostante il mese di novembre abbia dimostrato come il nostro Paese sia tra quelli a rischio per eventi climatici estremi.

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“Secondo uno scenario di elevate emissioni, è probabile che la frequenza dei giorni con ondate di calore aumenteranno di 10 volte nella maggior parte delle regioni del mondo - ha osservato l’altro co-Presidente e Professore di Fisica del Clima e dell’Ambiente all’Università di Berna, Thomas Stoker Allo stesso modo, si verificheranno sempre più spesso intense precipitazioni, aumenterà la velocità dei venti correlati ai cicloni tropicali, mentre il loro numero sarà destinato a rimanere costante o in diminuzione”. Ecco i principali risultati della Rapporto: • L’Europa occidentale è a rischio ondate di calore sempre più frequenti, in particolare lungo il bacino del Mediterraneo. Le temperature estive, come quella del livello record del 2003 che sono state responsabili di circa 70.000 morti in più in tutta Europa, potrebbero costituire le temperature medie dell’estate già a metà del secolo. • La regione Orientale e Meridionale degli Stati Uniti e quella dei Caraibi probabilmente dovranno affrontare uragani amplificati da pesanti precipitazioni e dall’aumento della velocità dei venti. La maggior densità di popolazione nelle zone esposte, l’incremento del numero degli edifici e le inadeguate infrastrutture, aumenteranno la vulnerabilità dei luoghi. L’uragano Katrina, che ha colpito New Orleans nel 2005, viene considerato da alcuni scienziati come un esempio di una simile evenienza. •- Per i piccoli Stati insulari, la minaccia maggiore è costituita dall’ingressione dei mari a seguito del loro innalzamento, che, non solo erode le coste, ma inquina e distrugge le falde acquifere e i terreni agricoli. Già misurabili, questi impatti sono considerati “molto probabili”, con un valore di attendibilità del 90% od oltre, con una tendenza ad aggravarsi nel tempo, tale da presupporre che, afferma il Rapporto, “In alcuni casi, ci può essere la necessità di considerare l’evacuazione permanente”. • I modelli climatici offrono la previsione di una maggiore siccità per l’Africa occidentale, sollevando lo spettro della carestia nelle regioni in cui una vita quotidiana di fame e

malnutrizione è gia un’ esperienza per milioni di persone. Una dinamica demografica di imponente crescita per l’intero Continente per i prossimi cinquant’anni, farà aumentare il pericolo dell’ “insicurezza alimentare “ in Africa. • Nell’Asia meridionale e nel Sud-Est asiatico, i modelli computerizzati prevedono un raddoppio della frequenza di temporali devastanti. In Asia orientale, ondate di caldo eccezionale saranno sempre più frequenti e meno eccezionali. Entro la metà del secolo, i picchi di temperatura in Asia orientale saranno di circa 2.0 °C più elevati di oggi ed entro il 2100 in alcune aree di 4.0 °C, anche secondo scenari che prevedano alcuni sforzi per ridurre le emissioni di gas serra. Il Summary dell’IPCC, non poteva rimanere senza un commento da parte di Christiana Figueres, il Segretario esecutivo UNFCCC che dovrà gestire la prossima Conferenza sui Cambiamenti Climatici di Durban e che si è subito affrettata lo stesso giorno del lancio a dichiarare: “Il nuovo report dell’IPCC. È un duro monito della misura in cui l’aumento delle concentrazioni di gas serra e il conseguente innalzamento delle temperature medie globali stanno provocando una maggiore incidenza di alluvioni e ondate di calore, e che diventerà più frequente e grave se l’aumento globale delle emissioni di gas serra rimarrà incontrollato. La capacità del mondo di diventare più resiliente agli effetti del clima dipenderà largamente dalla velocità con la quale le emissioni potranno essere ridotte e dall’ampiezza dei mezzi finanziari e tecnologici forniti alle popolazioni povere e vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo per adattarsi all’inevitabile. Ci sarà un aumento delle temperature medie globali, con una maggiore incidenza di inondazioni e ondate di calore. I Governi che si incontreranno a Durban, per la Conferenza mondiale sul clima, devono quindi completare il quadro istituzionale concordato lo scorso anno in Messico, per aiutare i Paesi in via sviluppo ad adattarsi agli effetti terribili de cambiamenti climatici. Per frenare le emissioni globali, tutti i Paesi devono rispondere alla domanda sia sul futuro del protocollo di Kyoto che sul percorso da compiere verso un più ampio, ambizioso e vincolante accordo globale”.

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Rapporto CSACC indica i cambi di policy necessari per un’agricoltura sostenibile

SICUREZZA ALIMENTARE MESSA A RISCHIO DAI CAMBIAMENTI CLIMATICI È già emergenza umanitaria nell’Africa Sub-sahariana e Orientale

“Continuare business as usual nell’interconnesso sistema alimentare globale attuale non ci porterà alla sicurezza alimentare e alla sostenibilità ambientale. Diverse minacce stanno convergendo dai cambiamenti climatici, alla crescita demografica, all’uso insostenibile delle risorse - e intensificano in modo costante la pressione sull’umanità e sui Governi del mondo intero per trasformare il modo in cui gli alimenti vengono prodotti, distribuiti e consumati”. Sono state così riassunte le raccomandazioni contenute nel “Sommario per i Decisori politici” del Rapporto “Conseguire la sicurezza alimentare di fronte ai cambiamenti climatici” (Achieving food security in the face of climate change), che la Commissione per l’Agricoltura Sostenibile e i Cambiamenti Climatici, iniziativa nell’ambito del Programma di Ricerca CGIAR, ha pubblicato nel mese di novembre al fine di offrire elementi informativi in merito alle decisioni che dovranno essere assunte sia a Durban, alla Conferenza UNFCCC, sia a Rio de Janeiro, nel corso del Summit sullo Sviluppo sostenibile “Rio +20”, in calendario a giugno del prossimo anno. Tra gli obiettivi che la Commissione di studio si era proposta, c’è l’identificazione dei cambi di policy necessari e delle azioni utili per permettere di raggiungere un’agricoltura sostenibile su scala mondiale, che possa contribuire alla food security e alla riduzione della povertà, aiutando nello stesso tempo a rispondere alla sfida dell’adattamento ai cambiamenti climatici. “Si tratta di riorientare l’intero sistema alimentare globale, non solo la produzione agricola e non solo nei Paesi in via in via di sviluppo - ha dichiarato il Prof. Sir John Beddington, Presidente della Commissione - Abbiamo bisogno di un approccio globale socialmente equo, che metta in campo investimenti, iniziative politiche, una corretta gestione regionale della produzione agroalimentare, che siano in grado di offrire per tutti benefici economici e climatici”. Il Gruppo di Ricercatori che ha condotto lo Studio, è stato selezionato tra studiosi di chiara fama che avessero una sufficiente comprensione dei processi politici a livello nazionale, regionale e globale e che fossero dotati di competenze interdisciplinari in materie quali agricoltura, climatologia, ecologia, economia, salute, alimentazione, commercio. Lo Studio stima che ogni anno, 12 milioni di ettari agricoli vanno perduti a causa della degradazione dei suoli, dovuta a diversi fenomeni come l’erosione, l’abbandono conseguente a fenomeni di urbanizzazione selvaggia, la desertificazione, la salinizzazione, per un equivalente di 20 milioni di tonnel-

late di grano. Inoltre, circa un terzo del cibo prodotto dalle attuali filiere agroalimentari mondiali va perduto o sprecato, mentre circa 2 miliardi di persone vivono in zone desertiche, e un ulteriore miliardo e mezzo in terre connotate da erosione del suolo, con reali problemi di accesso al cibo. Fenomeni climatici estremi (alluvioni, siccità, alte temperature) hanno avuto un forte impattato, e ancora di più ne avranno, sulla disponibilità alimentare, mentre le fluttuazioni dei prezzi colpiscono le popolazioni più povere, con un basso potere d’acquisto. La sfida è allora quella di costruire sistemi alimentari sostenibili, con sistemi produttivi resistenti alle crisi di varia natura, in grado di fare un uso efficiente delle risorse, con sprechi più limitati, assicurando una efficiente nutrizione e al contempo promuovendo scelte alimentari sane. Affinché non rimangano parole vuote, è necessaria una agenda precisa di quali azioni portare avanti, quando e come. La qual cosa richiede di focalizzarsi sulle aree geografiche che sono maggiormente minacciate dai vari fattori di rischio, e lì cominciare ad agire. Da qui al 2080, secondo la proiezione effettuata dai ricercatori, molte aree geografiche aumenteranno la produttività: verosimilmente, del 15% in Europa, Cina, Argentina; oltre il 35% per alcune zone degli USA e Paesi Scandinavi; mentre ci sarà un crollo della produttività nell’ordine anche del 50% per molti Stati dell’Africa, dell’America Centrale e Sud America. Già adesso, la situazione è particolarmente grave nell’Africa Sub-sahariana e nel Corno d’Africa, dove la peggiore siccità degli ultimi sessant’anni si è trasformata in una vera e propria emergenza umanitaria, in una regione dove il livelli di malnutrizione è superiore al 50% e dove i conflitti per l’accaparramento delle poche risorse disponibili stanno causando morti e rifugiati (più ambientali che politici). Ma a quanto pare la vera sfida non è un aumento globale della produzione in quanto tale, sperando in un effetto “gocciolamento” dai Paesi più dotati di cibo a quelli meno dotati, quanto piuttosto rendere la produzione vicina a chi produce, soprattutto in Paesi con forte deficit di food security ed esposti alle fluttuazioni dei prezzi internazionali. Un certo grado di autosufficienza alimentare diventa quindi la condizione fondamentale per proteggere fasce esposte come i bambini entro i 3 anni e le madri. Il Rapporto contiene, appunto, i messaggi chiave e le misure di azione per i responsabili politici, sintetizzate in 7 Raccomandazioni di alto livello:

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1. Integrare la sicurezza alimentare e l’agricoltura sostenibile nelle politiche globali e nazionali. 2. Aumentare significativamente nel prossimo decennio il livello di investimenti globali in agricoltura sostenibile e sistemi alimentari. 3. Intensificare la produzione sostenibile dell’agricoltura, riducendo le emissioni di gas ad effetto serra e gli altri impatti ambientali negativi. 4. Sviluppare politiche e programmi mirati per aiutare le popolazioni che sono più vulnerabili ai cambiamenti climatici e all’insicurezza alimentare. 5. Ridefinire i modelli alimentari di consumo e di accesso per assicurare che i bisogni nutrizionali di base siano soddisfatti e per promuovere abitudini alimentari sane e sostenibili in tutto il mondo. 6. Ridurre le perdite e i rifiuti nei sistemi alimentari, in particolare quelli derivanti dalle carenze di infrastrutture, da pratiche alimentari, dalla trasformazione e distribuzione dei prodotti e dalle abitudini familiari. 7. Implementare un’informazione completa, condivisa e integrata che includa la dimensione umana e quella ecologica.

Quest’ultimo aspetto è stato particolarmente sottolineato dai membri della Commissione CGIAR, che, presentando il Rapporto, hanno enfatizzato l’interconnessione tra agricoltura ed ambiente. Se la popolazione mondiale crescerà fino a 9 miliardi di individui nel 2050, inevitabilmente aumenterà la domanda di colture alimentari, per biocarburanti e di quelle destinate ai mangimi. Tutto ciò potrebbe determinare situazioni di intenso stress per molti sistemi agricoli e provocare ulteriore depauperamento della fertilità dei suoli, della biodiversità e delle risorse idriche, aumentando, contestualmente, le emissioni di gas serra in atmosfera. A ben guardare, si deve trovare una risposta alla domanda: “Come raggiungere la sicurezza alimentare ovvero fornire il cibo ad una popolazione in continua crescita, senza aumentare le emissioni di gas serra, responsabili di quei cambiamenti climatici che stanno già mettendo a rischio i raccolti mondiali?”. Con una simile domanda avevamo chiuso un precedente articolo in questo stesso numero, sostituendo a “sicurezza alimentare” la “sicurezza energetica”. La qual cosa ci conforta, perché dare risposta all’una significa offrirla anche l’altra, pur ribadendo, che non è affatto scontato.

Bahai, Chad. Questa fotografia dell’israeliano Michal Ronnen Safdie, ritrae donne e bambini, rifugiati dal Darfur, che hanno trovato un posto fuori dal campo, dove poter mangiare qualcosa (per gentile concessione dell’autore). La toccante immagine ha fatto parte della Mostra “Darfur/Darfur” che è stata esposta in 24 delle maggiori città del mondo, voluta e curata dall’architetto statunitense Leslie Thomas. Ora le 150 immagini digitali scattate da 8 fotografi di fama internazionale, sono state raccolte in un magnifico volume dal titolo: “Darfur/Darfur: Life/War”. Il ricavato delle vendite sarà interamente devoluto a favore del Progetto AMAL, gestito da Darfur Peace and Development Organization, volto a sostenere l’istruzione delle ragazze della regione fino all’ottavo anno di scolarizzazione. Per l’acquisto: amazon.com o darfur/darfur.org

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MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

Genova, 10-11 novembre 2011

GREEN CITY ENERGY ONTHESEA Successo oltre le aspettative per il Forum internazionale sulle energie intelligenti e lo sviluppo sotenibile della città e del porto

a cura dell’Ufficio Stampa di Green City Energy OntheSea

Si è confermato un esperimento riuscito la prima edizione di forum Green City Energy ONtheSEA, Forum Internazionale sulle energie intelligenti e lo sviluppo sostenibile della città e del porto, svoltosi il 10 e 11 novembre scorso presso il Centro congressi del Porto Antico di Genova, in partnership con la terza edizione di Port&ShippingTech. L’evento è stato organizzato da ClickUtility Srl e Porto Antico spa di Genova, in collaborazione con Fondazione Mu-

vita, Università degli Studi di Genova, ARE Liguria Spa, AERE e ASSOMARINAS, e promosso da Regione Liguria, Autorità Portuale, Provincia, Comune, Camera di Commercio di Genova ed Associazione Genova Smart City ed ha il patrocinio del Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero dello Sviluppo Economico e della Rappresentanza a Milano della Commissione Europea. L’evento è organizzato. Sulla scia del successo delle prime edizioni pisane di Green City Energy, la Manifestazione di Genova ha riscontrato una grande affluenza di visitatori,

attirati dai numerosi Convegni dedicati all’Edilizia sostenibile, alle Reti intelligenti urbane ed ai Green ports, senza dimenticare l’importante occasione di confronto a livello internazionale rappresentata dalla European Smart City Conference, evento istituzionale dedicato alla “città intelligente” e occasione di confronto tra le principali città italiane ed europee, che ha aperto entrambi i Forum. Nel corso della due giorni tecnici,

docenti universitari, primarie aziende del settore e rappresentanti istituzionali hanno preso in esame i vari fattori chiave per la realizzazione di una “Città Intelligente”. Tra questi elementi cruciali non poteva mancare un’attenta riflessione sull’Intelligent Building ed Edilizia Sostenibile. Nel corso dell’omonimo Convegno, sono stati affrontati, infatti, temi quali: - policy e progetti pubblico-privati per lo sviluppo dell’efficienza energetica e della diffusione delle energie rinnovabili nei contesti urbani; - riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente;

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- nuove progettualità e realizzazioni nel campo dell’edilizia sostenibile; - le tecnologie disponibili: efficienza energetica, fonti rinnovabili e integrazione con gli edifici; Intelligent building e relazioni potenziali con le reti intelligenti. Anche al tema strategico delle Smart Grids è stato dedicato un apposito convegno: “Reti intelligenti al servizio della città” che ha affrontato diverse tematiche:

- evoluzione delle Smart Grid per la produzione diffusa di energia, confronti internazionali; - sviluppo di architetture e soluzioni ITS a supporto della mobilità sostenibile; - servizi innovativi per il telelavoro e l’ottimizzazione degli spostamenti nella città; - telecontrollo e monitoraggio dell’illuminazione pubblica. Da sottolineare il successo riscosso anche dal Convegno Green Ports, anello di congiunzione tra i due Forum (Green City Energy ONtheSEA e Port&ShippingTech).


Il “porto verde”, infatti, è un elemento strategico affinché una città di mare e di porto, come Genova, possa dirsi davvero Smart. In questo contesto sono state esaminate le nuove energie e sostenibilità per porti, porticcioli e città marittime, con l’analisi delle principali best practices a livello internazionale. Non solo, si è parlato anche di geotermia nelle aree portuali e nelle Città marittime; di integrazione dei sistemi fotovoltaici nelle aree logistico-portuali; di tecnologie

un mezzo rispettoso dell’ambiente. Da sottolineare, inoltre, la splendida location scelta, ovvero il Centro Congressi del Porto Antico, uno spazio che coniuga il fascino dell’antica struttura recuperata dal progetto di Renzo Piano alla funzionalità e all’avanguardia delle soluzioni tecnologiche più innovative.

e sistemi per la produzione di energia da mini eolico sulle coste, progetti all’avanguardia nel contesto internazionale e in Italia. Un particolare focus è stato inoltre dedicato ai porti turistici ecosostenibili e all’affascinante sfida rappresentata dalla produzione di energia pulita dal mare.

e la Porto Antico spa di Genova, come ha sottolineato il Presidente Ariel Dello Strologo: “La collaborazione fra la nostra Società e ClickUtility è una dimostrazione di come fare sistema permetta di raggiungere risultati positivi: in questo scorcio di 2011 stiamo registrando piccoli segnali di ripresa per il futuro, e stiamo attendendo alcune altre importanti conferme per la seconda metà del 2012”.

L’evento è stato arricchito da uno spazio espositivo e da un circuito di prova grazie al quale i visitatori hanno potuto testare in prima persona veicoli a basse emissioni di CO2 messi a disposizione dagli sponsor, provando in prima persona a mettersi alla guida di

Green City Energy ONtheSEA rappresenta infatti il primo frutto di una proficua collaborazione tra ClickUtility

Del resto sono proprio i numeri a dare il senso del successo del doppio appuntamento rappresentato da Green City Energy ONtheSEA e Port&ShippingTech:

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- 100 tra partner istituzionali e sponsor; - 200 relatori; - 7 tematiche principali sviscerate in 13 convegni specialistici; - più di 1.000 partecipanti accreditati, con un’alta partecipazione di scuole, università e istituti nautici. Alla luce di questo risultato più che positivo, Carlo Silva, Presidente di ClickUtility, ha rilanciato la collaborazione con la Porto Antico spa e anticipato importanti iniziative in programma

nell’immediato futuro. “Con la Porto Antico Spa - ha spiegato Silva - abbiamo in programma nei prossimi anni altri appuntamenti di respiro internazionale. L’obiettivo comune è infatti realizzare convegni che contribuiscano anche a rilanciare l’economia della nostra regione, convogliandovi nuove energie e risorse. I progetti? Un grande evento sulla robotica e un altro dedicato alle professioni del mare”.


La Manifestazione di Rimini Fiera si conferma leader del settore

ECOMONDO 2011 DA RECORD

Un successo inaspettato U aspe a visto il momento di crisi economica (+ 16,7%) di Fabio Bastianelli

Con 75.980 visitatori professionali (+16,7% sul 2010), fess ECOMONDO 2011 di Rimini ECO Fiera ap può essere considerato un anno record. Nelle quattro giornate gior di fiera, da mercoledì 9 a sabato 12 no novembre, ECOMONDO, Key Energy e Coopera Cooperambiente hanno anche registrato uno straordin straordinario progresso per quanto riguarda l’affluenza d degli operatori esteri: 7.754, con un incremento del 49%. Questo per quan quanto riguarda i numeri, ma pure la sostanza sostan delle manifestazioni ha pienamente soddisfatto le attese e gli investimenti di Rimini Fiera. Si è ininvestim fatti avviato a un nuovo percorso di sviluppo: attrarre l’attenzione del sistema produttivo z per fornire risposte concrete pe alla domanda di soluzioni sostenibili. È anche il risultato di steni una p precisa strategia che proprio sulla rrivoluzione ecoindustriale in corso ha puntato sia in termini di co comunicazione, sia di eventi programmati. progr Per qua quattro giorni la Fiera internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile ha proposto l’offerta di 1.20 1.200 imprese che hanno occupato l’intero quartiere fieristico fieris riminese. Protagonista dell’intero ciclo del rius riuso di rifiuti, aria, acqua ed energia. energi energia g a. Le sezioni hanno h riguardato anche le demolizioni, dem de moli moli lizi zion zi onii, lle on e bo b bonifiche o dei siti contaminati, la rriq ti riqualificazione iqua iq uali ua lifi fica cazz ca di aree dismesse. Se il nuc nucleo nuc ucle le eo centrale cce e ent n ra nt alle e è ssta stato t ta il ciclo dei rifiuti, due interi in inte nte teri ri p padiad dii glioni glio gl io oni ni h hanno ann an no o ospitato l’area educational visitata visi vi isi s tata tta ata t d da a ololol tre tr re 4.000 4..00 4 .0 00 00 studenti stu st provenienti da tutta IItalia. It tal alia. ia. In ia In g granranra nd p de progresso rogr rog ro gres ressso so è risultata la presenza di

aziende dedite alla costruzione di impianti, delle industrie del settore della rottamazione autoveicoli, dei gestori di impianti di trattamento e riciclo. “Il traguardo dei 15 anni di ECOMONDO - ha commentato Lorenzo Cagnoni, Presidente di Rimini Fiera – è stato festeggiato con un’edizione scintillante. Il sistema delle imprese che operano nell’ambiente ha confermato il suo dinamismo ed ECOMONDO ha colto subito l’evoluzione in atto. ECOMONDO cresce ogni anno, si completa con nuovi settori ed evidenzia sia le nuove frontiere della ricerca che le innovazioni tecnologiche, non di facciata, ma precise soluzioni per le strategie produttive dell’industria dei vari settori” Le manifestazioni hanno avuto il Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri . Dipartimento per le Politiche Europee, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Al taglio del nastro è intervenuto il presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani. Tutte le associazioni del settore hanno scelto la kermesse di Rimini Fiera per evidenziare il loro impegno e farne la ribalta per le iniziative principali. Tra queste, in primis il CONAI, ma anche FISE-Unire, FISE-Assoambiente, Federambiente, ISWA, ISPRA, ISS e tutti i Consorzi di filiera. Internazionalità Un fattore in risalto, in sede di bilancio di ECOMONDO 2011, è stata la partecipazione a tutti i livelli di realtà provenienti dai Paesi esteri. Oltre 250 i buyer provenienti dai Paesi selezionati e di interesse per l’offerta dell’“industria verde” italiana. In Fiera si sono svolti 2.432 (+20% sul 2010) business meeting programmati sulla piattaforma online nelle settimane precedenti. Il calendario ha visto protagonisti operatori da Bulgaria, Germania, Lituania, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Russia, Slovacchia, Spagna, Turchia, Ucraina, Brasile, Romania, Serbia, Marocco, Egitto, Africa Subsahariana. “Smart Cities” Un altro tema centrale è stato: la città del domani è “smart”. La Fiera ha colto pienamente la prospettiva, dedicando all’iniziativa un’intera area. Una società più sostenibile parte infatti

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dai centri urbani, dove vive oltre il 50% della popolazione mondiale che consuma l’80% dell’energia con relative emissioni di CO2 in atmosfera, causa principale del riscaldamento globale. Per questo l’Unione Europea ha puntato fari e risorse sul programma “Smart cities and communities”, che finanzia progetti legati all’uso e alla produzione sostenibile di energia e allo sviluppo di una mobilità ecologica. Due colossi italiani, ENEL e Telecom Italia, hanno proposto a Key Energy le loro iniziative fra le quali la soluzione per la casa “intelligente” Energy@Home, il sistema evoluto sviluppato da Telecom Italia, Enel, Indesit ed Electrolux per una gestione eco-efficiente dell’abitazione. Altro focus sulle smart cities a Cooperambiente, la rassegna promossa da LegaCoop con l’eccellenza del sistema cooperativo dedicato all’ambiente. Grandi Eventi In apertura di ECOMONDO, l’evento inaugurale è stato il 2° Forum Internazionale Ambiente ed Energia promosso da Conai, Legacoop, Legambiente, Regione Emilia-Romagna e Rimini Fiera e organizzato da The European House - Ambrosetti. Nell’expo, è stata ripagata la grande attesa per l’area Città sostenibile, promossa da ECOMONDO e a cura di eAmbiente con la collaborazione del Coordinamento delle Agende 21 Locali italiane, del Ministero dell’Ambiente, di Legambiente e ANCI. In evidenza le esperienze di un nuovo modo di concepire la qualità della vita urbana. Al centro dell’attenzione le esperienze nazionali e internazionali, le tecnologie sostenitrici di questo cammino. La green economy “made in Italy” è stata protagonista del premio istituito dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile presieduta da Edo Ronchi che da tre anni premia ad ECOMONDO le aziende vincitrici del Premio Sviluppo Sostenibile. Ottimo successo ha conseguito al suo debutto Slow Food, che all’Arena-Lunch e in collaborazione con Novamont ha proposto pietanze a base di prodotti provenienti da tali presìdi, un’attività di educazione alimentare e ambientale del progetto “Orto in Condotta” che vede coinvolte 330 scuole italiane. “Le rassegne fieristiche non sfuggono ai morsi della crisi economica - ha osservato Simone Castelli, Direttore business unit Rimini Fiera - In questo caso possiamo però fare un’eccezione perché la necessità e la volontà mondiale di affermare una nuova cultura della sostenibilità ambientale è più forte delle oggettive difficoltà generali. La cultura della sostenibilità pervade la quotidianità delle imprese industriali, ogni decisione strategica ha questo denominatore. ECOMONDO 2011 è stata una risposta a questa domanda, fornendo soluzioni e anche una prospettiva di sviluppo”.

- Europa del Recupero; - Ecoefficienza e Modelli di Sostenibilità. “I Convegni - ha osservato il Prof. Luciano Morselli, coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico di ECOMONDO che ogni anno mette a punto il programma dei Convegni e Seminari - si sono dimostrati un elemento trainante di questa edizione. È emersa una nuova giovane generazione di ricercatori, tutti fortemente innovativi e che sanno cogliere aspetti inediti che nei prossimi anni saranno approfonditi. Tra questi sottolineo l’inquinamento indoor, al quale si dovrà porre molta attenzione. Altro rilevante aspetto quello che riguarda le ricerche che si sviluppano sui minerali critici (metalli nobili, terre rare) che sono richiesti dall’industria elettronica e che stanno scarseggiando a causa delle limitazioni poste dai paesi BRIC, i quali ne sono principali detentori. Infine tutto il tema della riduzione dei disagi provocati dagli odori”. Il prossimo appuntamento con ECOMONDO è a Rimini Fiera dal 7 al 10 novembre 2012.

Seminari La leadership di ECOMONDO ha una profonda radice nel robusto e qualificato programma di seminari che il Comitato Tecnico Scientifico, coordinato dal prof. Luciano Morselli dell’Università di Bologna, mette a punto ogni anno. Quest’anno si sono svolti 150 eventi, almeno il 30% con una valenza tecnico scientifica; a questi si sono aggiunti aggiungono i Call for Papers ai quali sono intervenuti più di 100 enti di ricerca universitari, pubblici e privati, con circa 700 autori. Quattro ambiti hanno rappresentato il filo rosso dei seminari: - Industrial Ecology applicata alla ricerca ed alle attività produttive; - Green Economy, la sua evoluzione nelle problematiche produttive e di servizio;

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INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO

Pubblicati a novembre 4 Rapporti tra loro correlati

INQUINAMENTO ATMOSFERICO: VALUTAZIONE, CAUSE, TECNOLOGIE PER RIDURLO E COSTI DEI DANNI Le principali conclusioni dell’Agenzia Europea per l’Ambiente

Nel mese di novembre l’Agenzia Europea per l’Ambiente (European Environmental Agency) ha pubblicato 4 Rapporti tra loro correlati: - il primo, “Air Quality in Europe” pubblicato il 9, riassume lo stato della qualità dell’aria; - il secondo, “Transport and Environment Mechanism”, pubblicato il 10, esplora l’impatto ambientale dei trasporti sull’ambiente; - il terzo “Carbon capture and storage could also impact air pollution”, pubblicato il 17, valuta gli effetti che le tecnologie CCS possono avere sulle emissioni di alcuni inquinanti atmosferici chiave; - il quarto, “Revealing the cost of air pollution from industrial facilities in Europe”, pubblicato il 24, calcola i costi sanitari e ambientali dell’inquinamento atmosferico causato dagli impianti industriali. Tutti e 4 i Rapporti meritano un’analisi, seppur sommaria, dei contenuti, stante l’importanza che rivestono alla luce delle necessarie misure che i decision makers dovranno assumere per evitare un ulteriore peggioramento dell’ambiente e un aumento dei conseguenti costi economici.

di inquinanti nell’aria. Ciò è particolarmente vero nel caso del particolato (PM) e dell’ozono troposferico, in quanto vi è una complessa relazione tra emissioni e qualità dell’aria. Ozono e PM sono gli inquinanti più problematici per la salute, in grado di causare potenzialmente o di aggravare le malattie cardiovascolari e polmonari, provocando morti premature. L’eutrofizzazione ovvero un eccesso di offerta di azoto da nutrienti negli ecosistemi terrestri ed acquatici, è un altro grave problema causato dagli inquinanti atmosferici: l’ammoniaca (NH3) di derivazione agricola e gli ossidi di azoto (NOX dai processi di combustione sono oggi i principali

inquinanti atmosferici acidificanti ed eutrofizzanti, mentre l’inquinamento da zolfo è sceso negli ultimi anni. Inoltre, molti di questi inquinanti atmosferici contribuiscono ai cambiamenti climatici. “La qualità dell’aria in Europa sta generalmente migliorando, ma le concentrazioni di alcuni inquinanti costituiscono ancora un pericolo per la salute delle persone - ha dichiarato Jacqueline McGlade, Direttore esecutivo dell’Agenzia - Per migliorare ulteriormente la qualità dell’aria, abbiamo bisogno di usare diversi tipi di politiche e misure, tra cui la riduzione dei livelli di emissioni alla fonte, una migliore pianificazione urbana

CONCENTRAZIONI MEDIE ANNUALI DI PM10 (2009)

La “Qualità dell’Aria in Europa” è la relazione annuale sull’ultima valutazione compiuta sullo stato della qualità dell’aria in Europa, basata sui dati resi disponibili ufficialmente da 32 Paesi membri dell’EEA e di 6 del Sud-est europeo che vi collaborano. Il Report ha esaminato anche i progressi compiuti verso il soddisfacimento dei requisiti delle due Direttive in vigore sulla qualità dell’aria e delle Linee guida sulla qualità dell’aria fissate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Anche se le emissioni sono diminuite negli ultimi due decenni, tale evento non ha sempre portato a un corrispondente calo delle concentrazioni

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per ridurre l’esposizione delle persone e i cambiamenti dello stile di vita a livello individuale “. Principali conclusioni del Rapporto Particolato: il 20% della popolazione urbana europea vive in aree in cui nel 2009 è stata superata la soglia del valore limite delle 24 ore per la concentrazione di PM10. Per i 32 Paesi membri dell’EEA la stima è del 39%. Comunque, tra l’80 e il 90% della popolazione urbana europea è esposta a livelli di PM10 che hanno superato le più severe linee guida sulla qualità dell’aria dell’OMS, e questa situazione non sembra migliorare. Ozono: non viene emesso direttamente, ma è il prodotto di reazioni chimiche tra gli altri gas. Sebbene le emissioni antropiche di molti di questi “precursori” siano diminuite, i livelli di ozono non sono scesi in modo significativo tra il 1999 e il 2009. Circa il 17% dei cittadini europei vive in aree in cui è stato superato nel 2009 l’obiettivo comunitario di concentrazione di ozono. Se si dovesse tener conto dei livelli previsti dall’OMS, si dovrebbe affermare che oltre il 95% della popolazione urbana europea è esposta a livelli di ozono superiori. Anidride solforosa: dal 1999 al 2009, l’Europa ha tagliato i livelli di SO2 di circa il 50%, con conseguente diminuzione delle piogge acide e riduzione dell’acidificazione. Pochissimi sono i cittadini urbani dell’Unione europea esposti a livelli di SO2 al di sopra del valore limite UE, anche se tra il 68 e l’85% di loro è potenzialmente esposta a livelli superiori a quelli previsti dall’OMS. Biossido di azoto: le concentrazioni di NO2 sono diminuite leggermente negli ultimi anni. I superamenti sono avvenuti di solito nei momenti più caldi e sulle strade più trafficate. Il 12% della popolazione urbana europea vive in aree di fondo urbano (non di traffico) dove le concentrazioni di NO2 superano, comunque, i livelli sia dell’UE che dell’OMS. Metalli pesanti: i livelli atmosferici di arsenico, cadmio, piombo e nichel sono generalmente bassi in Europa. Tuttavia, i livelli elevati di metalli pesanti possono accumularsi nel suolo, nei sedimenti e negli organismi. No-

nostante i tagli considerevoli delle emissioni di metalli pesanti dal 1990 nell’UE, una percentuale significativa degli ecosistemi europei sono ancora a rischio di contaminazione da metalli pesanti. Le emissioni di molte sostanze inquinanti dal settore dei trasporti sono calate nel 2009. Questa riduzione, tuttavia, potrebbe essere soltanto un effetto temporaneo della crisi economica, secondo quanto emerso dall’ultimo Rapporto annuale “Impatto ambientale dei trasporti (TERM)” redatto dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA). “I livelli delle emissioni di quasi tutte le sostanze inquinanti derivanti dai mezzi di trasporto sono diminuiti nel 2009, come conseguenza del calo della domanda - ha dichiarato la prof.ssa McGlade - Questa riduzione, tuttavia, è stata determinata dalla recessione economica. Dobbiamo quindi pensare a un cambiamento più radicale nel sistema dei trasporti europeo, affinché le emissioni non aumentino neanche nei periodi di forte crescita economica”. La relazione dell’EEA sui trasporti e l’ambiente mostra che si sono registrati dei progressi in termini di efficienza. Per esempio, le automobili nuove nel 2010 sono state più efficienti di circa un quinto rispetto al 2000. Tuttavia, questi miglioramenti relativamente modesti sono stati spesso controbilanciati dalla crescita della domanda, nonostante la recessione abbia rallentato l’attività in alcuni settori. Fra il 1990 e il 2009, la domanda nel settore dei trasporti è cresciuta di circa un terzo, comportando un aumento del 27% dei gas a effetto serra (GES) prodotti dai trasporti nello stesso periodo. I nuovi obiettivi proposti nella roadmap della Commissione forniranno la base per la formulazione di politiche a livello europeo, nazionale e comunale, al fine di affrontare le questioni ambientali connesse ai trasporti. Il rapporto mostra che vi sono grandi opportunità per i responsabili politici di affrontare questi problemi in modo coerente, ad esempio trattando contemporaneamente i problemi della

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qualità dell’aria e del cambiamento climatico. Per la prima volta l’EEA ha elaborato un quadro di riferimento per valutare i progressi verso il raggiungimento degli obiettivi ambientali nel settore dei trasporti, quali gli obiettivi per le emissioni di gas serra, per il consumo energetico e il rumore. È stato sviluppato un core set di 12 indicatori, che abbracciano un’ampia gamma di ambiti politici. Principali conclusioni del rapporto I trasporti sono stati responsabili del 24% di tutte le emissioni di GES dell’UE nel 2009. Nella Tabella di marcia si richiede agli Stati membri dell’UE, entro il 2050, di ridurre del 60% rispetto ai livelli del 1990 i gas serra prodotti dai trasporti. Poiché, in realtà, le emissioni sono aumentate del 27% fra il 1990 e il 2009, l’UE deve realizzare una riduzione complessiva del 68% fra il 2009 e il 2050. Il consumo energetico annuo generato dai trasporti è cresciuto costantemente fra il 1990 e il 2007 nei paesi membri dell’EEA. Sebbene la domanda totale di energia generata dal settore sia diminuita del 4% nel periodo 2007-2009, la tendenza al rialzo è probabile che riprenda parallelamente alla crescita economica. Gli obiettivi sulla qualità dell’aria sono stati superati in molte aree. Per quanto riguarda il biossido di azoto (NO2), che può causare asma e altri problemi respiratori, nel 2009 i valori limite annuali sono stati superati nel 41% delle stazioni di monitoraggio del traffico. Anche il particolato (PM10) prodotto dai trasporti arreca gravi problemi alla salute. Nel 2009, il valore limite giornaliero per il PM10 è stato superato nel 30% delle zone di traffico in tutta l’UE-27. Quasi 100 milioni sono le persone che sono state esposte a dannosi livelli medi di lungo periodo di rumore prodotto da veicoli stradali sulle strade principali. Il prezzo medio reale dei carburanti per il trasporto su strada (calcolato come equivalente della benzina senza piombo, compresi dazi e tasse) si è attestato su 1,14 EUR al litro a giugno del 2011, in termini reali il 15% in più rispetto al 1980. Ciò significa


che il prezzo della benzina è aumentato in media di meno di 0,5 punti percentuali all’anno in termini reali, vale a dire che i prezzi del carburante non stanno inviando segnali forti per incoraggiare scelte di trasporto più efficienti. La percentuale di automobili alimentate con carburanti alternativi su strada è aumentata costantemente, superando il 5% del parco auto nel 2009. La maggior parte ha utilizzato gas di petrolio liquefatto (GPL), mentre i veicoli elettrici hanno costituito lo 0,02% del parco auto totale. Strade, ferrovie e autostrade stanno sezionando il paesaggio europeo in porzioni sempre più piccole, con gravi conseguenze per la biodiversità. Quasi il 30% del territorio nell’UE è moderatamente, considerevolmente o estremamente frammentato, il che limita il movimento e la riproduzione di numerose specie diverse. Il Rapporto “L’impatto che potrebbe derivare sull’ inquinamento atmo-

sferico dalla cattura e stoccaggio del carbonio”, prende in esame le tecnologie di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS), rilasciata dalle centrali elettriche e da altre fonti industriali e seppellita in profondità nel sottosuolo, che, oltre a non immettere in atmosfera un importante gas ad effetto serra, comporterà benefici, ma anche compromessi, di alcuni inquinanti atmosferici. “La tecnologia CCS è in grado di colmare nei prossimi decenni il divario tra la necessità di tagliare le emissioni e il momento in cui si passerà ad un’economia a basse emissioni di carbonio - ha affermato la McGlade - Il nostro rapporto mostra che, mentre le tecnologie CCS possono avere un effetto complessivo positivo in materia di inquinamento dell’aria, le emissioni di alcuni inquinanti potrebbero aumentare. La comprensione di questi tipi di compromesso è estremamente importante se vogliamo implementare questa tecnologia in Europa e nel mondo”.

Le tecnologie CCS richiederanno circa 15-25% di energia in più, a seconda del particolare tipo di tecnologia utilizzata, dal momento che gli impianti con CCS hanno bisogno di più carburante rispetto agli impianti convenzionali. Ciò, a sua volta, può determinare un aumento delle “emissioni dirette” determinate dalle strutture in cui è installato il CCS e maggiori “emissioni indirette”, causate dall’estrazione e dal trasporto del combustibile supplementare. Il Rapporto individua alcuni dei potenziali benefici e compromessi per i principali inquinanti atmosferici e presenta, inoltre, un case study sul ciclo di vita al 2050, in relazione a tre diversi scenari, mostrando i potenziali impatti sulle emissioni di inquinanti atmosferici, se le tecnologie CCS fossero ampiamente implementate in Europa. Principali conclusioni del Rapporto L’anidride solforosa (SO2) da centrali elettriche si ridurrà in rapporto

Diagramma schematico di possibili sistemi CCS che mostra esempi di fonti per le quali le tecnologie CCS possono essere attinenti e opzioni di trasporto e stoccaggio di CO2

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alla cattura dell’anidride carbonica (CO2), come se la SO2 venisse rimossa dopo la fase di combustione del carburante per motivi tecnici. Anche se l’estrazione e il trasporto di carbone in più comporterà un aumento delle emissioni di SO2 dovute a queste fasi del ciclo di vita delle tecnologie CCS, dovrebbero diminuire le emissioni di SO2 totali. Il particolato (PM10)e gli ossidi di azoto (NOX) sono previsti in aumento, in linea con la quantità di carburante consumato in assenza di ulteriori misure supplementari per ridurre le emissioni. L’ammoniaca (NH3) è l’ unico inquinante per il quale è previsto un aumento significativo delle emissioni conseguenti, con aumento potenzialmente triplo o più. L’aumento previsto è dovuto alla degradazione dei solventi a base di ammine usati per la cattura di CO2. Tuttavia, in termini assoluti, l’aumento è piccolo rispetto agli attuali livelli di emissioni di ammoniaca in Europa, il 94% dei quali proviene dall’agricoltura. L’ammoniaca contribuisce all’acidificazione e all’eutrofizzazione dell’ambiente e può anche formare pericolose particelle sottili di materiale quando viene rilasciato in atmosfera. Il potenziale di anidride carbonica (CO2) risparmiata con il CCS varia notevolmente all’interno dei tre scenari. Le emissioni di CO2 nell’UE si ridurrebbero di circa il 60% entro il 2050, se le tecnologie CCS fossero state introdotte in tutti gli impianti di generazione di energia da carbone. L’attuazione del CCS negli impianti a gas e biomasse, porterebbe a emissioni nette negative, presupponendo che tutta la biomassa venga raccolta in modo sostenibile senza variazioni nette per lo stock di carbonio. Il caso di studio mostra chiaramente che anche l’estrazione e il trasporto di carbone aggiuntivo possono contribuire in modo significativo al ciclo di vita delle emissioni da tecnologie di cattura della CO2 di impianti a carbone. Nel complesso, tuttavia, il CCS è considerata generalmente vantaggiosa sia in termini di cambiamenti climatici che di inquinamento atmosferico. Tuttavia, il potenziale aumento di alcuni inquinanti quali NH3, NOX e PM non è da sottovalutare. Le tecnologie CCS sono destinate a

svolgere un ruolo centrale per aiutare l’Europa a conseguire a lungo termine gli obiettivi di riduzione dei gas serra in un modo conveniente dal punto di vista dei costi, riducendo le emissioni domestiche di gas serra tra 80 e 95% entro il 2050. L’implementazione del CCS è, quindi, considerata come una tecnologia ponte e non dovrebbe determinare ostacoli o ritardi per gli obiettivi dell’UE di muoversi verso un più basso consumo energetico e più efficiente uso delle risorse. Nell’Unione europea ci sono piani per costruire diversi impianti dimostrativi per la cattura e stoccaggio di CO2 al fine di commercializzare la tecnologia a partire dal 2020. Attualmente, ci sono circa 80 i progetti CCS su ampia scala a vari stadi di sviluppo in tutto il mondo, ma solo pochi sono operativi. Non ci sono ancora tecnologie CCS in funzione nei grandi impianti tali da coprire tutti e tre gli elementi della catena (trasporto, cattura e stoccaggio di CO2). Infine, il Rapporto, “Gli eloquenti costi dell’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali in Europa”, calcola i costi sanitari e sull’ambiente delle emissioni di impianti industriali di grandi dimensioni, costituiti per lo più da centrali elettriche, raffinerie, industrie che utilizzano processi di combustione, impianti per lo smaltimento dei rifiuti ed alcune attività agricole. “I costi stimati sono stati calcolati utilizzando le emissioni indicate dagli stessi impianti - ha chiarito la Prof.ssa McGlade - Utilizzando gli strumenti impiegati dai decisori politici per valutare i danni alla salute e all’ambiente, abbiamo scoperto alcuni dei costi nascosti dell’ inquinamento. Non possiamo permetterci di ignorare questi aspetti”. Le emissioni delle centrali elettriche sono quelle che hanno inciso maggiormente con costi dei danni stimati in 66-112 miliardi di euro; altri contributi significativi ai costi dei danni sono dovuti ai processi produttivi (2328 miliardi) e a quelli di combustione (8-21 miliardi). Bisogna considerare, precisa l’Agenzia, che dall’analisi sono state escluse le emissioni provenienti

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dai trasporti, da molte attività agricole e dai consumi domestici, altrimenti il conto sarebbe stato più salato. Principali conclusioni del Rapporto Dall’analisi dell’EEA il costo derivante a tutti i cittadini europei dall’inquinamento industriale è stato mediamente nel 2009 tra i 200 e i 330 euro. Paesi come Germania, Polonia, Regno Unito, Francia e Italia, dove si trova un elevato numero di strutture di grandi dimensioni, contribuiscono maggiormente ai costi totali dei danni. Se, viceversa, si introduce la variabile della produttività delle economie nazionali, le emissioni maggiori, in rapporto al numero di attività produttive, provengono da Paesi come Bulgaria, Romania, Estonia, Polonia e Repubblica Ceca. Tuttavia, quando i costi dei danni sono ponderati in un tentativo di riflettere la produttività delle economie nazionali, le emissioni provenienti da Paesi come Bulgaria, Romania, Estonia, Polonia e Repubblica Ceca sono quindi relativamente più importanti in relazione ai costi dei danni. Un piccolo numero di impianti causa la maggior parte dei costi dei danni, 3/4 dei quali sono causati dalle emissioni di appena 622 impianti industriali, meno del 6% del totale. Gli impianti con emissioni associate ad un alto costo dei danni sono nella maggior parte dei casi, alcuni dei più grandi impianti d’Europa che rilasciano la maggior quantità di sostanze inquinanti. Le emissioni di anidride carbonica (CO2) hanno contribuito maggiormente ai costi complessivi dei danni, circa 63 miliardi di euro nel 2009. Inquinanti atmosferici che contribuiscono alle piogge acide e possono causare problemi respiratori: anidride solforosa - SO2, ammoniaca - NH3, particolato - PM10 e ossidi di azoto NOX, sono stati individuati per aver causato tra i 38 e i 105 miliardi di euro all’anno.


I dati statistici de “L’Italia del Riciclo 2011”

IN RIPRESA NEL 2010 IL RICICLAGGIO DEI RIFIUTI

Ma sull’anno in corso si prevedono numeri negativi nei vari comparti

fuoco le condizioni di mercato e di contesto che è necessario favorire per far crescere il recupero dei rifiuti nel nostro Paese, soprattutto nell’attuale periodo caratterizzato da difficoltà economiche e politiche. Nel 2010 il settore del riciclo dei rifiuti ha visto un’inversione di tendenza rispetto ad un difficile 2009 (in flessione media del 25%), con quasi 34 milioni di tonnellate (+40% rispetto all’anno precedente). Tutti gli indici per i 6 principali flussi di materiali avviati a riciclo sono risultati positivi, ad eccezione della plastica (in flessione dello 0,7%): ottimo lo sviluppo registrato nel comparto dei rottami ferrosi (+67,9%); buona è stata la ripresa per alluminio (+18%), legno (+15,4%), carta (+9,3%), e vetro (+7,5%). “I dati positivi del settore nel 2010 - ha evidenziato Corrado Scapino, Presidente di UNIRE, alla presentazione del Rapporto - sono una conferma di come il recupero dei rifiuti costituisca un passaggio imprescindibile per la transizione verso la Green Economy e una risorsa indispensabile per diminuire la dipendenza del nostro Paese dall’estero per le materie prime, partecipare alla ripresa economica e contribuire a ridurre gli impatti negativi dello sfruttamento dei materiali vergini e dello smaltimento in discarica. Per Con un po’ di ritardo rispetto ai tempi consueti (la diffusione avveniva in concomitanza della Fiera ECOMONDO di Rimini) il 1° dicembre 2011 è stato presentato l’annuale studio “L’Italia del Riciclo”, il Rapporto promosso da FISE UNIRE (l’Associazione di Confindustria che rappresenta le aziende del recupero rifiuti) e dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, con il patrocinio dei Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico e dell’ISPRA, che individua dinamiche e tendenze del settore, mettendo a

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raggiungere questi obiettivi è necessario che oggi le strategie di crescita industriale si coniughino con politiche di sviluppo sostenibile che prevedono l’impegno e la partecipazione di tutti i soggetti economici presenti nella filiera. Occorre inoltre attivare efficacemente nuove leve per stimolare il mercato dei materiali riciclati, a partire da un’attuazione concreta, seppur graduale, degli acquisti verdi della Pubblica Amministrazione”. Dal Rapporto 2011 emerge che, anche in presenza di una ripresa economica ancora modesta e per nulla consolidata nel 2010, la ripresa del riciclaggio è stata piuttosto rapida e consistente, anche se il settore, globalmente inteso, potrebbe avere ancora notevoli margini di sviluppo. Tuttavia, la fase di crescita sembra oramai già archiviata, il 2011 sta chiudendo con una nuova flessione delle produzioni e dei consumi che potrebbero concorrere, conseguentemente, a frenare le dinamiche positive registrate nel 2010 dai settori del riciclo. Il saldo export-import nel 2010 ha continuato ad essere negativo con un peggioramento del 5,3% e con un valore di circa 2,5 milioni di tonnellate, non molto diverso da quello del 2009 (circa 2,4 milioni di tonnellate). Hanno costituito eccezione il settore della carta, che si conferma esportatore con un saldo di 1,125 milioni di tonnellate (leggermente meno del 2009, quando si erano registrati 1,443 milioni di tonnellate) e quello della plastica, che presenta un saldo attivo di 129.000 tonnellate (nel 2009 invece il saldo era negativo per 246.000 tonnellate).

termini percentuali, invece, è stata raggiunta una quota di tasso di riciclo pari al 65%, con un incremento dell’1,6% sul 2009. Gli incrementi più consistenti si registrano nei settori degli imballaggi in alluminio (+49,7%), del legno (+10,8%) e del vetro (+8%); più contenuto è invece l’aumento della carta (+3,8%) e soprattutto quello della plastica (+1,4%) e dell’acciaio (+0,6%). Il 2010 ha segnato, inoltre, il decollo del sistema di raccolta e gestione dei RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), partito operativamente nel 2008, che ha raggiunto nel 2009 le 193.000 tonnellate. Nel 2010 la crescita positiva è stata ulteriormente confermata dal dato sulla raccolta, pari a 245.000 tonnellate, che ha consentito di raggiungere l’obiettivo europeo dei 4 chilogrammi pro-capite. Da segnalare, infine, l’ulteriore crescita dei quantitativi di rifiuto organico trattati, già aumentato di 400.000 tonnellate dal 2008 al 2009: si stima che la raccolta differenziata dell’umido e del verde abbia raggiunto 3 milioni di tonnellate nel 2010. “Siamo ormai tutti convinti - ha affermato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sosteni-

Nel settore degli imballaggi, dopo la flessione nel 2009 delle quantità avviate al riciclo pari al 4%, nel 2010 queste hanno raggiunto quota 7,34 milioni di tonnellate, pari al 5,6% in più rispetto all’anno precedente. In

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bile - che le politiche e misure richieste per far fronte alla crisi ecologica ed in particolare alla corretta gestione dei rifiuti, hanno rilevanti e positive ricadute economiche contribuendo a rilanciare investimenti, occupazione, nuovi consumi e nuove produzioni e quindi fornendo opportunità di ripresa di nuovo sviluppo. Questo rapporto dimostra che, una volta avviato un percorso virtuoso per gestire tutto il ciclo dei rifiuti, è possibile coniugare ecologia ed economia, riqualificando lo sviluppo nella direzione della green economy e indica anche la strada per superare le tante emergenze rifiuti che periodicamente si affacciano in tutta Italia”. Se al settore non viene dedicata la dovuta attenzione “si rischia che l’industria del riciclo si trasferisca nei Paesi di nuova industrializzazione”, ha ammonito Ronchi. Nell’edizione di quest’anno è stato realizzato un approfondimento specifico alla gestione dei rifiuti della Germania, tra i Paesi che già da tempo hanno fatto proprio l’approccio dell’economia circolare, in cui il concetto di rifiuto non è riconducibile a quello di scarto indesiderato, bensì a risorsa.


In circolazione in Canada dal 12 novembre 2011

LA BANCONOTA “SOSTENIBILE” Realizzata in polimeri offre maggiori prestazioni di sicurezza e vantaggi ambientali

Dopo la moneta ecologica del futuro (cfr: “Eco-coin”, in Regioni&Ambiente n. 3, marzo 2011, pagg. 68-69), è ora la volta della Banconota sostenibile. È stata la Bank of Canada a mettere in circolazione dal 12 novembre 2011 i “biglietti” da 100 dollari in plastica. In precedenza c’era stato un altro tentativo di emettere una banconota in polimero (escludendo le emissioni celebrative), ma l’esperimento non ebbe successo. Fu in occasione del Bicentenario dello sbarco degli europei nel Continente “nuovissimo”, avvenuto il 27 gennaio 1788, che la Reserve Bank of Australia emise una banconota in plastica sviluppata dal CSIRO (The Commonwealth Scientific Industrial Research Organisation), l’organismo governativo nazionale per la ricerca scientifica in Australia. Tuttavia, vuoi per il fatto che gli australiani non furono entusiasti di celebrare quella ricorrenza, vuoi perché aveva un dispositivo

ottico di sicurezza OVD (un ologramma argentato con l’effige del famoso James Cook che esplorò con la nave Endeavour le terre australi del Pacifico, anche se poi a porre la prima colonia nel 1788 fu il capitano Arthur Phillip), che il pubblico si divertì a graffiare con una moneta, come se si trattasse di un “gratta e vinci”, essendosi diffusa provocatoriamente la diceria che ci fosse stato un premio in palio. Tant’è, dopo qualche giorno, con la motivazione che l’OVD era difettoso, la banconota fu ritirata dalla circolazione. Ci auguriamo che egual sorte non tocchi all’esperimento canadese, sia per motivi di sicurezza che in termini di consumo di risorse. “Le nuove banconote [a marzo 2012 saranno immesso i biglietti da 50 dollari, mentre per quelli da 20, 10 e 5 si dovrà

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attendere il 2013] sono quasi impossibili da contraffare”, secondo quanto dichiarato dalla Bank of Canada, che ha specificato come le nuove funzioni di protezione, oltre ad includere elementi olografici visibili da entrambi i lati, contiene una striscia metallica che attraversa il biglietto e che può essere intravista da una foglia trasparente di acero (il simbolo del Canada), rendendo così facile la verifica della loro autenticità. In Canada, “in alcune regioni, nel 2002, almeno un commerciante su dieci esponeva un cartello con scritto che non accettava la banconota da 100 - come afferma, ancora, la nota della Banca centrale - Nonostante il 99% dei negozi ormai accetti i pezzi da 100, resta diffusa la percezione che siano difficili da spendere”. Se la lotta alle banconote false è una delle ragioni all’origine della svolta, anche la sua “sostenibilità” è stata oggetto di approfondito studio. La Bank of Canada aveva incaricato, infatti, due società di consulenza per la valutazione dell’impatto sull’ambiente e sulla salute di una banconota in plastica rispetto a quella corrente in miscela di carta e cotone.


Il Report “Life Cycle Assessment of Canada’s Polymer Bank Notes and Cotton-Paper Bank Note”, elaborato da PE America’s e Trayskele-Environment Health & Safety e sottoposto a revisione da un Panel terzo sulla base delle Linee Guida ISO 14044, ha preso in esame 9 categorie per la valutazione dell’impatto delle due tipologie di banconota nel loro intero ciclo di vita (LCA). In tutte le categorie, quella in polimeri ha mostrato miglioramenti che vanno dal 29 al 60%, tra cui: - durata più che doppia (2,5 volte); - riduzione del potenziale riscaldamento globale (32%); - minor consumo di energia primaria (30%). Inoltre, non si strappa, può essere immersa in liquidi senza subire alterazioni, non si macchia e può essere riciclata, una volta giunta a fine vita o ritirata dalla circolazione, con un risparmio che viene calcolato in circa 200 milioni di dollari canadesi (145 milioni di euro). Unici inconvenienti sono la scivolosità e la difficoltà a piegarla.

del Canada dal 1911 al 1920, che ebbe il merito di iniziare il distacco del Paese dall’Impero britannico sul retro vengono celebrati i successi del Paese nel campo della medicina: l’immagine di una ricercatrice al microscopio; un flacone di insulina, per la cui scoperta fu premiato nel 1923 con il Premio Nobel per la Medicina, assieme al britannico John Macleod, Frederick Banting; un filamento di DNA, in quanto la prova certa che una sua molecola è portatrice dell’informazione genica si deve agli esperimenti condotti da Oswald Avery; un tracciato di elettrocardiogramma per

Su un lato della banconota c’è l’immagine di Robert Borden, Primo ministro

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celebrare John Hops che ha inventato per primo il pacemaker cardiaco. “Con queste nuove banconote, la Bank of Canada - ha affermato per l’occasione il suo Governatore Mark Carney - fornirà ai canadesi una forma di pagamento sicura, resistente di alta qualità, da poter usare con fiducia. Esse sono un prodotto dell’ingegno canadese, unito alle più innovative tecnologie a livello mondiale, di cui i canadesi possono essere orgogliosi”.


ACQUISTI E SERVIZI VERDI ED ECOSOSTENIBILI

Pubblicate sulla G.U. n. 268, 17 novembre 2011

LINEE GUIDA PER LA REALIZZAZIONE DI IMPIANTI FOTOVOLTAICI ED EOLICI Come la PA può implementare il mercato delle FER

In seguito agli esiti della consultazione pubblica degli operatori del settore e delle amministrazioni interessate al mercato delle fonti energetiche rinnovabili (FER), l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, di Lavori, Servizi e Forniture ha predisposto, con la Determinazione n. 6 del 26 ottobre 2011, le “Linee guida per l’affidamento della realizzazione di Impianti fotovoltaici ed eolici” (G.U. n. 268 del 17 novembre 2011). Abbiamo sintetizzato le parti essenziali del documento, rinviando per gli approfondimenti all’Inserto delle pagine seguenti. Obiettivo L’obiettivo delle Linee guida predisposte dall’Autorità è quello di fornire indicazioni operative circa la realizzazione di impianti di energie rinnovabili da parte delle stazioni appaltanti e in particolare degli enti locali. Le indicazioni riguardano il ruolo degli enti locali nel mercato liberalizzato delle FER; la realizzazione di impianti su superfici appartenenti al demanio pubblico; la realizzazione di impianti per il soddisfacimento del fabbisogno energetico degli enti coinvolti, con particolare riguardo all’inquadramento delle relative operazioni ai sensi del Codice Appalti. Il ruolo degli enti locali L’Autorità anzitutto ricorda che il quadro normativo di riferimento per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili è costituito dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, con il quale è stata data attuazione alla Direttiva 2001/77/CE, e dal Decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, di attuazione della Direttiva 2009/28/CE. Le opere per la realizzazione degli impianti, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, sono qualificate come opere di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti (art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 387/2003). Le Linee guida MSE (D.M. 10 settembre 2010, par. 1.1) chiariscono che “l’attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili si inquadra nella disciplina generale della produzione di energia elettrica ed è attività libera, nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico”, ai sensi dell’art. 1, comma 1 del Decreto legislativo 16 marzo 1999 n. 79, nonché che “a tale attività si accede in condizioni di uguaglianza, senza discriminazioni nelle modalità, condizioni e termini per il suo esercizio”. Come più volte rilevato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., ad esempio, C.d.S., sez. III, parere 14 ottobre 2008), il legislatore italiano, nel recepire le disposizioni comunitarie volte al superamento del monopolio pubblico sulla produzione, sulla distribuzione e sulla vendita, ha optato per un modello autorizzatorio puro, che esclude la possibilità di regolare l’accesso al mercato mediante procedure

pubblicistiche di natura concessoria. Il paragrafo 1.3 delle Linee Guida MSE pone, in tal senso, un esplicito divieto, ribadendo che l’attività di produzione di energia elettrica è un’attività economica non riservata agli enti pubblici e non soggetta a regime di privativa. Di conseguenza, l’intervento, nell’ambito di questo mercato, degli enti pubblici e, in particolare, degli enti locali, è limitato, di regola, al solo piano autorizzatorio. Il D.Lgs. n. 387/2003 ha attribuito alla Regione (o alla Provincia da essa delegata), la competenza al rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti energetici da fonti rinnovabili (art. 12); tale autorizzazione costituisce, ove occorra, anche variante allo strumento urbanistico. In tale ipotesi, il ruolo degli enti locali e, in particolare, dei Comuni nei cui territori sono siti gli impianti, si sostanzia, quindi, nella partecipazione degli stessi alla conferenza di servizi in sede regionale, ovvero, per gli impianti non soggetti ad autorizzazione unica, nella gestione diretta dei procedimenti autorizzatori semplificati. I Comuni non devono frapporre ostacoli diretti o indiretti all’accesso al mercato: in particolare, stante il divieto di misure di compensazione di natura economica ex articolo 12, comma 6, del D.Lgs. n. 387/2003, non possono essere imposti corrispettivi o misure di compensazione di carattere patrimoniale quali condizioni per il rilascio di titoli abilitativi (cfr., sul punto, Corte costituzionale, sentenza n. 282/2009, e sentenza n. 124 del 2010). Sono, al contrario, legittimi gli accordi che contemplano misure di compensazione e riequilibrio del pregiudizio subito dall’ambiente a causa dell’impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, tra le quali si annovera, ad esempio, l’impegno assunto dall’operatore economico proponente ad una riduzione delle emissioni inquinanti (Corte costituzione, sentenza n. 124 del 2010). Diversa è l’ipotesi in cui gli enti locali assumono un ruolo più rilevante, ad esempio perché concedenti del suolo pubblico su cui vengono realizzati gli impianti, acquirenti di forniture energetiche, autoproduttori ovvero produttori di energia destinata alla cessione sul mercato. In quest’ultimo caso, si pone una prima problematica di carattere generale, atteso che, secondo un’impostazione restrittiva, all’intervento diretto pubblico nel mercato delle FER potrebbe conseguire un’alterazione delle condizioni di uguaglianza che devono caratterizzare l’accesso ad un mercato liberalizzato (cfr., sul punto, sez. regionale di controllo per la Lombardia 15 settembre 2010, n. 861/2010/PAR). Secondo l’Autorità di vigilanza sugli appalti, pur non potendo escludere a priori che l’attività di produzione di energia da fonti rinnovabili possa rientrare nell’ambito delle finalità istituzionali dell’ente, è necessaria un’attenta verifica di

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AUTORITÀ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE LINEE GUIDA PER L’AFFIDAMENTO DELLA REALIZZAZIONE DI IMPIANTI FOTOVOLTAICI ED EOLICI (ndr: Si avverte che il testo del Decreto inserito nelle pagine di questo Inserto non riveste carattere di ufficialità e non è sostitutivo in alcun modo della pubblicazione ufficiale cartacea).

LINEE GUIDA PER L’AFFIDAMENTO DELLA REALIZZAZIONE DI IMPIANTI FOTOVOLTAICI ED EOLICI Indice

Premessa Dato il crescente coinvolgimento degli enti locali nel mercato delle fonti energetiche rinnovabili (FER), l’Autorità ha esperito una procedura di consultazione pubblica degli operatori del settore e delle amministrazioni interessate, al fine di fornire linee guida operative circa i bandi di gara, alla luce delle disposizioni del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (nel seguito, Codice). Le questioni esaminate attengono al ruolo degli enti locali nel mercato liberalizzato delle FER, alla realizzazione di impianti su superfici appartenenti al demanio pubblico ed alla realizzazione di impianti per il soddisfacimento del fabbisogno energetico degli enti coinvolti, con particolare riguardo all’inquadramento delle relative operazioni ai sensi del Codice. I documenti relativi alla procedura di consultazione sono pubblicati sul sito dell’Autorità.

1. 2.

Obiettivo delle presenti linee guida Il ruolo degli enti locali nel mercato liberalizzato delle FER 3. La realizzazione degli impianti su superfici appartenenti al demanio pubblico 4. La realizzazione di impianti per il fabbisogno dell’ente 4.1 L’inquadramento della fattispecie ai sensi del Codice 4.2 Il PPP 4.2.1 La concessione di lavori pubblici 4.2.2 La locazione finanziaria 4.3 La riqualificazione energetica degli immobili pubblici

1. Obiettivo delle presenti linee guida

Sulla base di quanto sopra considerato,

Le presenti linee guida hanno l’obiettivo di fornire indicazioni operative circa la realizzazione di impianti di energie rinnovabili da parte delle stazioni appaltanti ed in particolare degli enti locali.

IL CONSIGLIO

Le indicazioni riguardano:

approva le linee guida per l’affidamento della realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici.

a) il ruolo degli enti locali nel mercato liberalizzato delle FER;

Il Consigliere Relatore Andrea Camanzi

b) la realizzazione di impianti su superfici appartenenti al demanio pubblico;

Il Relatore Presidente Supplente Piero Calandra Depositata presso la segreteria del Consiglio in data 3 novembre 2011

c) la realizzazione di impianti per il soddisfacimento del fabbisogno energetico degli enti coinvolti, con particolare riguardo all’inquadramento delle relative operazioni ai sensi del Codice.

Il Segretario: Maria Esposito 2. Il ruolo degli enti locali nel mercato liberalizzato delle FER

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Regioni&Ambiente n° 11/12 Novembre-Dicembre 2011

INSERTO

Determinazione 26/10/2011 n. 6 (G.U. n. 268 del 17 novembre 2011)


Gli impianti alimentati da fonti rinnovabili sono oggetto di una disciplina di favore volta al conseguimento degli obiettivi di politica energetica nazionale e comunitaria in tema di incremento delle fonti energetiche alternative e pulite. Il quadro normativo è costituito dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, con il quale è stata data attuazione alla direttiva 2001/77/CE, e dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, di attuazione della direttiva 2009/28/CE. Le opere per la realizzazione degli impianti, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, sono qualificate come opere di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti (art. 12, comma 1, d.lgs. n.387/2003). In considerazione della diversa tipologia di fonte rinnovabile e della potenza degli impianti sono, inoltre, previsti distinti meccanismi di incentivazione, volti ad incrementare la quota di energia pulita immessa nelle rete elettrica nazionale. Le Linee guida MSE (d.m. 10 settembre 2010, par. 1.1) chiariscono che “l’attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili si inquadra nella disciplina generale della produzione di energia elettrica ed è attività libera, nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico”, ai sensi dell’art. 1, comma 1 del decreto legislativo 16 marzo 1999 n. 79, nonché che “a tale attività si accede in condizioni di uguaglianza, senza discriminazioni nelle modalità, condizioni e termini per il suo esercizio”. Come più volte rilevato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., ad esempio, C.d.S., sez. III, parere 14 ottobre 2008), il legislatore italiano - nel recepire le disposizioni comunitarie volte al superamento del monopolio pubblico sulla produzione, sulla distribuzione e sulla vendita - ha optato per un modello autorizzatorio puro, che esclude la possibilità di regolare l’accesso al mercato mediante procedure pubblicistiche di natura concessoria. Il paragrafo 1.3 delle Linee Guida MSE pone, in tal senso, un esplicito divieto, ribadendo che l’attività di produzione di energia elettrica è un’attività economica non riservata agli enti pubblici e non soggetta a regime di privativa. Di conseguenza, l’intervento, nell’ambito di questo mercato, degli enti pubblici - e, in particolare, degli enti locali - è limitato, di regola, al solo piano autorizzatorio. Il citato d.lgs. n. 387/2003 ha attribuito alla

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Regione (o alla Provincia da essa delegata), la competenza al rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti energetici da fonti rinnovabili (art. 12); detta autorizzazione costituisce, ove occorra, anche variante allo strumento urbanistico. In tale ipotesi, il ruolo degli enti locali e, in particolare, dei Comuni nei cui territori sono siti gli impianti, si sostanzia, quindi, nella partecipazione degli stessi alla conferenza di servizi in sede regionale, ovvero, per gli impianti non soggetti ad autorizzazione unica, nella gestione diretta dei procedimenti autorizzatori semplificati. Viene, pertanto, in rilievo la questione del corretto esercizio delle competenze che la vigente normativa incardina in capo ai Comuni, in modo da non aggravare l’iter autorizzatorio e consentire la celere realizzazione delle iniziative proposte dai soggetti privati ed intraprese in un’ottica puramente imprenditoriale. I Comuni non devono, cioè, frapporre ostacoli diretti o indiretti all’accesso al mercato: in particolare, stante il divieto di misure di compensazione di natura economica ex articolo 12, comma 6, del d.lgs. n. 387/2003, non possono essere imposti corrispettivi o misure di compensazione di carattere patrimoniale quali condizioni per il rilascio di titoli abilitativi (cfr., sul punto, Corte costituzionale, sentenza n. 282/2009, e sentenza n. 124 del 2010). Sono, al contrario, legittimi gli accordi che contemplano misure di compensazione e riequilibrio del pregiudizio subito dall’ambiente a causa dell’impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, tra le quali si annovera, ad esempio, l’impegno assunto dall’operatore economico proponente ad una riduzione delle emissioni inquinanti (Corte costituzione, sentenza n. 124 del 2010). Le citate Linee Guida MSE prevedono, all’allegato 2, i criteri per l’eventuale fissazione di misure compensative. Diversa è l’ipotesi in cui gli enti locali assumono un ruolo più rilevante, ad esempio perché concedenti del suolo pubblico su cui vengono realizzati gli impianti, acquirenti di forniture energetiche, autoproduttori ovvero produttori di energia destinata alla cessione sul mercato. In quest’ultimo caso, si pone una prima problematica di carattere generale, atteso che, secondo un’impostazione restrittiva, all’intervento diretto pubblico nel mercato delle FER potrebbe conseguire un’alterazione delle condizioni di uguaglianza che devono caratterizzare l’accesso ad un mercato liberalizzato (cfr., sul punto, sez.


regionale di controllo per la Lombardia 15 settembre 2010, n. 861/2010/PAR). Tale profilo deve, inoltre, essere posto in connessione con quanto disposto dall’art. 27, comma 3, l. n. 244/2007, secondo cui “al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. È sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza (...)”. Come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa (adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2011), la disposizione in questione evidenzia un evidente disfavore del legislatore nei confronti della costituzione e del mantenimento, da parte delle amministrazioni pubbliche, di società commerciali con scopo lucrativo, il cui campo di attività esuli dall’ambito delle relative finalità istituzionali, né risulti comunque coperto da disposizioni normative di specie. Pertanto, “la società commerciale facente capo ad un ente pubblico, operante sul mercato in concorrenza con operatori privati, necessita di previsione legislativa espressa, e non può ritenersi consentita in termini generali, quanto meno nel caso in cui l’ente pubblico non ha fini di lucro” (ad. plen. citata). Da quanto osservato discende che, pur non potendosi escludere a priori che l’attività di produzione di energia da fonti rinnovabili possa rientrare nell’ambito delle finalità istituzionali dell’ente, è necessaria un’attenta verifica di questo profilo, da condursi caso per caso, in relazione alle concrete modalità di realizzazione delle relative operazione. È poi, ad ogni modo, necessario qualificare dette operazioni alla luce del Codice ed individuare, conseguentemente, le procedure competitive da porre in essere. 3. La realizzazione degli impianti su superfici appartenenti al demanio pubblico Ai sensi dell’art. 12, comma 2, del d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, “i soggetti pubblici possono concedere a terzi superfici di proprietà per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel rispetto della disciplina di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”. L’estensione della disciplina del

Codice - che disciplina l’aggiudicazione di contratti passivi per la pubblica amministrazione (da cui deriva un onere finanziario) - alle procedure di affidamento di una superficie pubblica - che costituisce, al contrario, un contratto attivo (da cui deriva un’entrata finanziaria) - vale, nelle intenzioni del legislatore, ad assoggettare anche detta fattispecie ai principi comunitari di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e pubblicità sanciti dall’art. 2 del Codice stesso. Resta, inoltre, fermo il rispetto di quanto disposto dall’art. 3, comma 1, della legge di contabilità di Stato (regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440), secondo cui “i contratti dai quali derivi un’entrata per lo Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti”. È, dunque, necessario che i diritti sul sito pubblico per la realizzazione di impianti per la produzione di FER siano concessi mediante l’espletamento di una gara pubblica, atta a garantire adeguate forme di pubblicità ex ante. Gli adempimenti pubblicitari da porre in essere devono essere idonei a veicolare l’informazione presso il mercato di riferimento (nazionale o comunitario), a seconda del valore economico effettivo dell’immobile, nonché commisurati all’occasione di guadagno in concreto offerta ai privati. Fermo restando il divieto legale di misure di compensazione patrimoniale, l’ente pubblico, nella determinazione del canone, deve soppesare le possibili destinazioni economiche alternative del sito ed il valore delle operazioni imprenditoriali ivi realizzabili, commisurando il canone al valore economico reale del bene oggetto di concessione. Un ulteriore profilo da chiarire concerne il rapporto tra la concessione delle superfici di proprietà dell’ente locale e l’ottenimento dell’autorizzazione necessaria per la realizzazione dell’impianto: si pone il problema di evitare, da un lato, che l’acquisizione preventiva di un terreno diventi titolo preferenziale per il rilascio dell’autorizzazione a realizzare l’impianto e, dall’altro, che, acquisita l’area oggetto di concessione, a ciò non segua una richiesta di autorizzazione alla realizzazione dell’impianto ma si dia, piuttosto, inizio, mediante la sua cessione, ad un vero e proprio mercato dei siti idonei. Al fine di scongiurare tale rischio, è necessario adottare, in seno alle procedure di affidamento

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dell’area, alcuni accorgimenti volti a garantire che il bene oggetto di godimento non venga sviato dalla destinazione ad esso impressa, anche in funzione del raggiungimento di specifici obiettivi nazionali di politica energetica. Al riguardo, è da escludere che la gara, bandita per l’aggiudicazione del diritto sull’area, possa riguardare anche il rilascio dell’autorizzazione alla costruzione dell’impianto, giacché si introdurrebbe un regime concessorio, laddove il legislatore ha optato per uno di tipo autorizzatorio; occorre, inoltre, tener conto dell’obbligo di dimostrare la disponibilità dell’area prima del rilascio dell’autorizzazione. Una possibile soluzione può consistere nel prevedere che la convenzione per lo sfruttamento dell’area pubblica si intenda automaticamente risolta qualora, allo spirare di un congruo termine, il privato non sia entrato in possesso dell’autorizzazione per la realizzazione dell’impianto. 4. La realizzazione di impianti per il fabbisogno dell’ente È pacificamente ammessa la possibilità che l’ente locale realizzi un impianto (si tratta quasi esclusivamente di impianti fotovoltaici) per la copertura totale o parziale del proprio fabbisogno energetico, non soltanto per finalità di tutela ambientale, ma anche in un’ottica di contenimento della spesa pubblica. In questo modo, infatti, l’ente può usufruire dei risparmi connessi all’abbattimento del costo per l’acquisto dell’energia sul mercato e, al contempo, percepire gli incentivi connessi alla produzione di FER che, nel caso in cui un soggetto pubblico assuma la qualifica di soggetto responsabile dell’impianto, sono corrisposti in misura maggiorata al responsabile dell’impianto (cfr. art. 2, comma 173, legge n. 244/2007). Sulla base del quadro normativo vigente, è, quindi, legittimo che il Comune rivesta la qualifica di soggetto responsabile dell’impianto, esternalizzandone la gestione materiale. È necessario, tuttavia, che il diritto di sfruttamento economico dell’impianto sia regolamentato nella Convenzione e/o altri documenti di gara, con l’attribuzione al Comune di una specifica e penetrante funzione di controllo. In linea generale, l’ente locale dovrebbe, mediante la conduzione di un apposito studio di fattibilità, ponderare l’effettiva convenienza economica derivante dall’immobilizzo di risorse a sua disposizione (terreni, fabbricati ecc.),

IV

dando adeguato rilievo all’interno del sinallagma contrattuale, da un lato, al suo fabbisogno energetico, dall’altro, alle reali potenzialità produttive dell’impianto e valutando anche i ricavi derivanti dalla produzione di energia eventualmente eccedente il proprio fabbisogno. Tali ricavi dovrebbero, quindi, essere oggetto di una preventiva stima, anche in funzione dell’esatta determinazione del corrispettivo a favore del privato realizzatore degli impianti. Ciò al fine di evitare di porre in essere operazioni che attribuiscano all’operatore privato un vantaggio non adeguatamente proporzionato rispetto a quello conseguito dall’ente. 4.1 L’inquadramento della fattispecie ai sensi del Codice La realizzazione degli impianti destinati a soddisfare il fabbisogno energetico degli enti pubblici costituisce un contratto passivo, soggetto alle regole dell’evidenza pubblica ed al rispetto delle disposizioni contenute nel Codice. La disciplina di riferimento è quella dei settori ordinari, di cui alla parte I e II del Codice (titolo I e titolo II, a seconda che si tratti rispettivamente di contratti di rilevanza comunitaria o meno). La realizzazione dell’impianto è, in tal caso, esclusivamente finalizzata alla produzione per il fabbisogno dell’ente. Alle operazioni volte alla realizzazione degli impianti, in caso siano previste prestazioni eterogenee (ad esempio, lavori di costruzione, fornitura di componenti tecniche, servizi di manutenzione e gestione, nonché servizi finanziari), deve applicarsi il regime normativo proprio della prestazione (funzionalmente e/o economicamente) prevalente secondo le regole stabilite dal citato art. 14 del Codice. L’apprezzamento di questo particolare profilo deve essere effettuato caso per caso, attesa la mutevole incidenza quantitativa e funzionale che possono avere le diverse prestazioni richieste per la realizzazione degli impianti in questione. Tuttavia, in linea generale, si ritiene che il contratto per la realizzazione di impianti fotovoltaici, pur fortemente caratterizzato dall’assemblaggio di prodotti provenienti da una produzione industriale e destinati ad una specifica funzione, possa essere ascritto alla categoria dei lavori, secondo le indicazioni sul punto fornite dall’Autorità nell’atto di regolazione dell’Autorità n. 5/2001. Qualora nella concreta operazione prevalga la


componente relativa ai lavori e questi abbiano un importo superiore a 100.000 euro, la realizzazione dell’impianto deve essere inserita nella programmazione triennale ai sensi dell’art. 128 del Codice. Ciò impone di procedere, come osservato, alla redazione di uno studio di fattibilità con indicazione delle caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economico-finanziarie dei lavori da porre in essere. Inoltre, ai sensi del comma 2 del citato art. 128, le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute ad individuare con priorità i bisogni che possono essere soddisfatti tramite la realizzazione di lavori finanziabili con capitali privati, in quanto suscettibili di gestione economica. 4.2 Il PPP Una volta qualificato l’oggetto del contratto ai sensi del Codice, le diverse procedure di aggiudicazione ivi previste saranno applicabili in funzione della concreta strutturazione dell’operazione. Oltre alla fattispecie dell’appalto, possono trovare applicazione i contratti di partenariato pubblico privato (PPP), come definiti dall’art. 3, comma 15-ter del Codice. Si tratta di fattispecie eterogenee, che tuttavia presentano come caratteristica comune quella del trasferimento dei rischi all’operatore privato ovvero la sua responsabilizzazione rispetto a obiettivi di qualità e costo dell’opera o del servizio. Come rammentato nella determinazione n. 2 del 2010, Eurostat considera il costo dei contratti di PPP non una voce di debito dei bilancio pubblici, quando due dei seguenti tre rischi sono in capo all’operatore privato: costruzione (e progettazione), disponibilità dell’opera e domanda. In sintesi, il trasferimento del rischio di progettazione e costruzione consiste nel fatto che l’operatore privato deve essere responsabile della qualità dell’opera secondo gli standard definiti dall’amministrazione, dei costi e dei tempi; il trasferimento del rischio di disponibilità consiste nel responsabilizzare l’operatore privato rispetto alla qualità e alla funzionalità dell’opera per l’erogazione del servizio pubblico dopo il collaudo; il trasferimento del rischio di domanda consiste nel responsabilizzare l’operatore privato rispetto alla qualità del servizio erogato attraverso l’opera realizzata in modo tale da generare i sufficienti ricavi per la copertura dell’investimento e la soddisfazione del cittadino.

Tra i contratti di PPP, risultano maggiormente adeguati per la realizzazione di impianti di energie rinnovabili la concessione di lavori pubblici ed il leasing finanziario, oggetto di analisi nei successivi paragrafi. 4.2.1 La concessione di lavori pubblici Attraverso la forma contrattuale di PPP più diffusa, ossia il contratto di concessione di costruzione e gestione, è possibile affidare a un soggetto privato (concessionario) il diritto di costruire e gestire un impianto di produzione di energia, e di percepire, così, i proventi derivanti dalla vendita dell’energia prodotta per un periodo di tempo predeterminato. Il concessionario assume su di sé l’alea di gestione dell’impianto realizzato e lo gestisce sino alla scadenza del contratto, quando ritrasferisce l’impianto nella disponibilità dell’amministrazione concedente (fatta salva l’esistenza di eventuali oneri di smantellamento al termine della vita utile dell’impianto stesso). La concessione, che può essere affidata sia mediante la procedura “tradizionale” ex art. 142 e ss. (con progetto preliminare a base di gara) sia mediante la procedura ex articolo 153 (con a base di gara lo studio di fattibilità) del Codice, nel caso in esame può prevedere a favore del concessionario: - la percezione dei proventi derivanti dai meccanismi di incentivazione delle FER in relazione al valore dell’energia prodotta dall’impianto; - la percezione di una tariffa per l’energia prodotta ed eventualmente messa in rete in quanto non destinata all’autoconsumo. Da parte sua, l’amministrazione concedente può richiedere al concessionario: - un corrispettivo per l’uso degli spazi pubblici dove verranno installati gli impianti (pannelli fotovoltaici, impianti eolici, ecc.); - la retrocessione di una percentuale di ricavi del concessionario; - la fornitura di energia. Ai sensi di quanto previsto dall’art.143, comma 9, del Codice, rientrano a pieno titolo nella nozione di concessione tanto le ipotesi dove il concessionario assume, oltre al rischio di costruzione, il rischio di domanda (modello autostrade), quanto le concessioni in cui al rischio di costruzione

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si aggiunge il rischio di disponibilità (modello ospedali, carceri ecc.). Nel caso della realizzazione degli impianti per la produzione di energie rinnovabili, atteso il rischio “contenuto” ad essa correlato, è necessario analizzare attentamente la ricorrenza degli elementi atti ad attribuire il rischio di gestione al privato concessionario, in assenza del quale non si configura la concessione, bensì l’appalto, nel quale vi è unicamente il rischio imprenditoriale derivante dalla errata valutazione dei costi di costruzione rispetto al corrispettivo che si percepirà a seguito dell’esecuzione dell’opera. Nell’ipotesi in esame, l’obiettivo è quello di realizzare misure di risparmio energetico negli edifici e nelle pertinenze dell’ente locale: è, dunque, l’ente stesso (e non la collettività) il destinatario del beneficio energetico realizzato dall’imprenditore, mentre il flusso di cassa è originato da proventi spettanti di diritto all’ente locale medesimo e da questi ceduti al concessionario (si pensi agli incentivi e/o ai proventi derivanti dalla vendita di energia eccedente il fabbisogno). Trattasi, quindi, di progetti dotati di una intrinseca capacità di generare reddito, che consentono al settore privato un integrale recupero dei costi di investimento. Tali operazioni di norma non necessitano di risorse pubbliche a fondo perduto ai fini del raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario. Le buone capacità di autofinanziamento consentono piuttosto di ipotizzare anche meccanismi di retrocessione dei ricavi o di energia a favore del partner pubblico. Ciò induce a sottolineare che eventuali disequilibri rispetto al piano economico e finanziario (che postulano un intervento finanziario dell’amministrazione) dovrebbero essere riguardati come anomalie di gestione ed attentamente verificati, al fine di evitare che il contributo pubblico finanzi un’inefficienza del privato o un suo eccessivo arricchimento, oltre i livelli adeguati di mercato. Più in generale, occorre che la stazione appaltante effettui una valutazione della convenienza economica di un investimento in energie rinnovabili, intesa come capacità del progetto di creare valore nell’arco di un periodo di costruzione e gestione e di generare un livello di redditività per il capitale investito, adeguato rispetto alle aspettative dell’investitore privato. L’analisi della convenienza economica può essere svolta con diverse metodologie di valutazione; le più usate

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si basano sul calcolo di indicatori in grado di esprimere un giudizio sintetico circa la capacità dell’investimento di generare un’adeguata redditività, come il tasso interno di rendimento del progetto (TIR) o il valore attuale netto (VAN). La sostenibilità finanziaria di un progetto è invece la capacità del progetto di generare flussi monetari sufficienti a garantire il rimborso dei finanziatori e un’adeguata redditività per gli azionisti ed è espressa in termini di bancabilità attraverso indicatori capaci di valutare il margine di sicurezza su cui i soggetti finanziatori possono contare per essere garantiti sul puntuale pagamento del servizio del debito (ad es. Debt Service Cover Ratio o DSCR e Loan Life Cover Ratio o LLCR, si vedano al riguardo le determinazioni n. 1 e n. 3 del 2009 e le numerose pubblicazioni sul sito dell’unità tecnica finanza di progetto, www.utfp. it). La fattibilità dell’investimento, la valutazione dell’opzione più conveniente, non solo sotto il profilo finanziario, ma anche complessivamente tenuto conto dei rischi trasferibili all’operatore privato nell’ambito di un contratto di PPP (attraverso l’analisi di value for money) e la sostenibilità di medio termine sono valutazioni che necessariamente debbono essere effettuate dalle amministrazioni prima di procedere alla strutturazione della gara, qualunque sia il risultato dell’analisi. La stazione appaltante deve, inoltre, porre particolare attenzione alla strutturazione del contratto di PPP, dal quale deve emergere il trasferimento dell’alea di gestione all’operatore privato. Atteso il quadro di riferimento per la produzione di FER, i rischi che vengono in evidenza sono il rischio di progettazione e costruzione ed il rischio di disponibilità, laddove il rischio di domanda sembra assumere, nell’ipotesi in esame, un rilievo minore (emerge, piuttosto, un rischio di rendimento). Al fine di trasferire il rischio di progettazione e costruzione, la gara dovrebbe prevedere che l’operatore privato sia responsabilizzato per la predisposizione della progettazione (almeno definitiva) e per la realizzazione dell’impianto nel rispetto di standard di qualità, dei tempi e dei costi preventivati. Quanto al trasferimento del rischio di disponibilità, è necessario prevedere che l’impianto realizzato sia mantenuto sempre in condizioni di perfetto funzionamento per la produzione di energia. Ciò implica che il servizio di manuten-


zione deve essere di competenza dell’operatore privato secondo standard e costi previsti ab origine nel contratto (e, ancor prima, nel progetto a base di gara). Si deve, al riguardo, tener conto del fatto che, durante il periodo di gestione dell’impianto, l’equilibrio economico - finanziario dell’operazione è suscettibile di modifiche in ragione di eventi, niente affatto improbabili, quali il furto dei pannelli solari, il corto circuito da fulminazione, eventi grandinosi che incidono sul funzionamento, danneggiamento dei pannelli. Il rischio di disponibilità, inoltre, dovrebbe essere ritenuto sussistente anche in relazione all’eventualità che, trattandosi di interventi che, per lo più, vedono l’intervento di un ente finanziatore, quest’ultimo, in caso di mancata o scarsa performance dell’impianto, possa invocare il c.d. default (vale a dire l’incapacità tecnica di rispettare le clausole contrattuali) del finanziamento e l’escussione delle garanzie prestate dal concessionario per ottenerlo. 4.2.2 La locazione finanziaria Per la realizzazione di impianti fotovoltaici, si registra un crescente ricorso, da parte delle stazioni appaltanti, all’utilizzo dello strumento della locazione finanziaria. Si tratta, essenzialmente di un’ipotesi di leasing traslativo, nel quale la causa tipica del negozio è il finanziamento a scopo di trasferimento finale del bene ed il pagamento dei canoni copre una parte del prezzo di acquisto. Nel leasing mobiliare, il contratto ha ad oggetto la fornitura dell’impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica mediante locazione finanziaria, in quello immobiliare l’oggetto del contratto è, in genere, costituito dalla progettazione e dalla realizzazione di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica. Occorre evidenziare che il leasing immobiliare, a seguito delle modifiche apportate al Codice dal terzo decreto correttivo, è stato incluso nel genus dei contratti di partenariato ex art. 3, comma 15-ter e può consentire all’amministrazione di conseguire vari vantaggi connessi alla corretta allocazione di parte dei rischi, insiti nell’operazione economica, in capo ai soggetti privati coinvolti. L’appaltatore assicura, inoltre, a fronte dell’obbligazione del committente relativa al pagamento del canone di locazione a favore del primo - per tutta la durata della locazione - il godimento dell’impianto a vantaggio di quest’ultimo, quale unico beneficiario di tutti i proventi

e frutti connessi alla realizzazione, gestione e sfruttamento del parco fotovoltaico. Ai sensi dell’articolo 160 - bis del Codice la locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità costituisce appalto pubblico di lavori, salvo che questi ultimi abbiano un carattere meramente accessorio rispetto all’oggetto principale del contratto medesimo ( cfr. TAR Lombardia. sez. II, n. 1675 del 5 maggio 2010). Pertanto, nel caso di leasing per la realizzazione di impianti fotovoltaici troverà applicazione l’art. 160-bis del Codice, nonché tutte le altre disposizioni concernenti gli appalti di opera pubblica o di pubblica utilità con esso compatibili. Anche in caso di utilizzo dello strumento del leasing, occorre porre attenzione alla strutturazione del contratto, con particolare riferimento ai rischi da trasferire all’operatore privato, come sopra già rilevato ed in particolare al trasferimento del rischio di disponibilità. Atteso che secondo il costante orientamento della giurisprudenza contabile il leasing potrebbe rappresentare una forma elusiva del patto di stabilità (cfr., ad esempio, delibera Corte dei conti, sez. regionale di controllo per il Veneto, n.40/2010/ PAR del 23 marzo 2010), la qualificazione della spesa relativa al canone di leasing è rimessa al prudente apprezzamento dell’ente locale ed è strettamente collegata alla verifica se la suddetta operazione rappresenti o meno una forma di indebitamento. 4.3 La riqualificazione energetica degli immobili pubblici Una peculiare fattispecie contrattuale, ai fini della realizzazione di interventi di riqualificazione energetica degli edifici pubblici, è quella contemplata dal decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115 (“Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE”), con cui sono state introdotte misure volte a favorire il risparmio energetico da parte delle pubbliche amministrazioni. Si tratta, in sostanza, di una serie di prestazioni finalizzate al miglioramento energetico dell’edificio pubblico oggetto dell’intervento, tra le quali può essere prevista la realizzazione di un impianto di produzione di energia rinnovabile.

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Lo stesso decreto n. 115/2008, all’art. 15, specifica che, agli appalti pubblici, non riconducibili ai settori speciali disciplinati dalla parte III del Codice ed aventi ad oggetto l’affidamento della gestione dei servizi energetici che prevedono, unitamente all’effettuazione di una diagnosi energetica, la presentazione di un progetto in conformità ai livelli di progettazione specificati dall’articolo 93 del Codice, nonché la realizzazione degli interventi, si applica il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 83 del Codice). Si precisa, inoltre, che “all’individuazione degli operatori economici che possono presentare le offerte nell’ambito degli appalti di cui al comma 1, si provvede secondo le procedure previste dall’articolo 55 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163” e, pertanto, mediante procedure aperte o ristrette. Sono, quindi, esperibili in tal caso soltanto la procedura aperta e la procedura ristretta ed il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa; trovano, poi, applicazione le disposizioni della parte I, II e IV del Codice. La norma introduce, inoltre, uno strumento innovativo per la realizzazione degli interventi energetici, definito “finanziamento tramite terzi”, ossia un “accordo contrattuale che comprende un terzo, oltre al fornitore di energia e al beneficiario della misura di miglioramento dell’efficienza energetica, che fornisce i capitali per tale misura e addebita al beneficiario un canone pari a una parte del risparmio energetico conseguito avvalendosi della misura stessa. Il terzo può essere una ESCO”, ovvero una “Energy Service Company”. Quest’ultima, è definita come la “persona fisica o giuridica che fornisce servizi energetici ovvero altre misure di miglioramento dell’efficienza energetica nelle installazioni o nei locali dell’utente e, ciò facendo, accetta un certo margine di rischio finanziario. Il pagamento dei servizi forniti si basa, totalmente o parzialmente, sul miglioramento dell’efficienza energetica conseguito e sul raggiungimento degli altri criteri di rendimento stabiliti.” Lo strumento del finanziamento tramite terzi prevede, dunque, un rapporto trilaterale tra il soggetto beneficiario (ente pubblico), il fornitore di energia (impresa produttrice) ed un soggetto finanziatore, che può essere anche una ESCO. Da quanto osservato, emerge che la disciplina in commento qualifica espressamente le operazioni finalizzate all’efficienza energetica (tra le quali

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l’approvvigionamento tramite fonti energetiche rinnovabili) alla stregua di “appalti pubblici” aventi ad oggetto l’affidamento di “servizi energetici”.


prosegue da p. 32 questo profilo, da condursi caso per caso, in relazione alle concrete modalità di realizzazione delle relative operazioni. È poi, ad ogni modo, necessario qualificare dette operazioni alla luce del Codice ed individuare, conseguentemente, le procedure competitive da porre in essere. Realizzazione degli impianti su superfici del demanio pubblico Ai sensi dell’art. 12, comma 2, del D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, “i soggetti pubblici possono concedere a terzi superfici di proprietà per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel rispetto della disciplina di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”. Su questo punto l’Authority evidenzia la necessità che i diritti sul sito pubblico per la realizzazione di impianti per la produzione di FER siano concessi mediante l’espletamento di una gara pubblica, atta a garantire adeguate forme di pubblicità ex ante. Gli adempimenti pubblicitari da porre in essere devono essere idonei a veicolare l’informazione presso il mercato di riferimento (nazionale o comunitario), a seconda del valore economico effettivo dell’immobile, nonché commisurati all’occasione di guadagno in concreto offerta ai privati. Fermo restando il divieto legale di misure di compensazione patrimoniale, l’ente pubblico, nella determinazione del canone, deve soppesare le possibili destinazioni economiche alternative del sito ed il valore delle operazioni imprenditoriali ivi realizzabili, commisurando il canone al valore economico reale del bene oggetto di concessione. Inoltre, è necessario adottare, in seno alle procedure di affidamento dell’area, alcuni accorgimenti volti a garantire che il bene oggetto di godimento non venga sviato dalla destinazione ad esso impressa, anche in funzione del raggiungimento di specifici obiettivi nazionali di politica energetica. Al riguardo, è da escludere che la gara, bandita per l’aggiudicazione del diritto sull’area, possa riguardare anche il rilascio dell’autorizzazione alla costruzione dell’impianto, giacché si introdurrebbe un regime concessorio, laddove il legislatore ha optato per uno di tipo autorizzatorio; occorre, inoltre, tener conto dell’obbligo di dimostrare la disponibilità dell’area prima del rilascio dell’autorizzazione. Una possibile soluzione può consistere nel prevedere che la convenzione per lo sfruttamento dell’area pubblica si intenda automaticamente risolta qualora, allo spirare di un congruo termine, il privato non sia entrato in possesso dell’autorizzazione per la realizzazione dell’impianto. La realizzazione di impianti per il fabbisogno dell’ente L’Autorità ricorda che è ammessa la possibilità che l’ente locale realizzi un impianto (si tratta quasi esclusivamente di impianti fotovoltaici) per la copertura totale o parziale del proprio fabbisogno energetico, non soltanto per finalità di tutela ambientale, ma anche in un’ottica di contenimento della spesa pubblica. In questo modo, infatti, l’ente può usufruire dei risparmi connessi all’abbattimento del costo per l’acquisto dell’energia sul mercato e, al contempo, percepire gli incentivi connessi alla produzione di FER che, nel caso in cui un soggetto pubblico assuma la qualifica di soggetto responsabile dell’impianto, sono corrisposti in

misura maggiorata al responsabile dell’impianto (cfr. art. 2, comma 173, legge n. 244/2007). Sulla base del quadro normativo vigente, è, quindi, legittimo che il Comune rivesta la qualifica di soggetto responsabile dell’impianto, esternalizzandone la gestione materiale. È necessario, tuttavia, che il diritto di sfruttamento economico dell’impianto sia regolamentato nella Convenzione e/o altri documenti di gara, con l’attribuzione al Comune di una specifica e penetrante funzione di controllo. In linea generale, l’ente locale dovrebbe, mediante la conduzione di un apposito studio di fattibilità, ponderare l’effettiva convenienza economica derivante dall’immobilizzo di risorse a sua disposizione (terreni, fabbricati ecc.), dando adeguato rilievo all’interno del sinallagma contrattuale, da un lato, al suo fabbisogno energetico, dall’altro, alle reali potenzialità produttive dell’impianto e valutando anche i ricavi derivanti dalla produzione di energia eventualmente eccedente il proprio fabbisogno. Tali ricavi dovrebbero, quindi, essere oggetto di una preventiva stima, anche in funzione dell’esatta determinazione del corrispettivo a favore del privato realizzatore degli impianti. Ciò al fine di evitare di porre in essere operazioni che attribuiscano all’operatore privato un vantaggio non adeguatamente proporzionato rispetto a quello conseguito dall’ente. Contratti PPP e finanziamento tramite terzi Contratti di partenariato pubblico privato (PPP) Si tratta di diverse fattispecie che hanno per caratteristica comune il trasferimento all’operatore privato dei rischi di progettazione e costruzione. Tra i contratti di PPP maggiormente adeguati per la realizzazione di impianti di energie rinnovabili: la concessione di lavori pubblici e il leasing finanziario. Una particolare fattispecie contrattuale è contemplata nel D. Lgs. 30 maggio 2008, n. 115, con cui sono state introdotte misure volte a conferire il risparmio energetico dei propri immobili da parte delle PP. AA. Si tratta prestazioni che possono prevedere la produzione di impianti di produzione di energia rinnovabile. Riqualificazione energetica degli immobili pubblici L’individuazione degli operatori economici che possono presentare le offerte è effettuata con procedure aperte o ristrette, secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. È previsto inoltre il “finanziamento tramite terzi”. Si tratta di un accordo contrattuale che, oltre al fornitore di energia e al beneficiario della misura di miglioramento dell’efficienza energetica, comprende un terzo che fornisce i capitali e addebita al beneficiario un canone pari a una parte del risparmio energetico conseguito. Il terzo può essere una ESCO, cioè una persona fisica o giuridica che fornisce servizi energetici o altre misure di miglioramento dell’efficienza energetica accettando un certo margine di rischio finanziario. Il pagamento dei servizi forniti si basa sul miglioramento dell’efficienza energetica conseguito e sul raggiungimento degli altri criteri di rendimento stabiliti.

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Ad ECOMONDO 2011 il Convegno promosso da Regioni&Ambiente

ACQUISTI VERDI: STATO DELL’ARTE E PROSPETTIVE DELLA FILIERA NELL’OTTICA DELLA GREEN ECONOMY Sfatare il mito del maggiori costi di Silvia Barchiesi

In Italia la spesa della Pubblica Amministrazione per l’acquisto di beni e servizi supera il 17% del PIL e produce un volume di affari che supera i 100.000 miliardi di euro (117,136 miliardi di euro nel 2005). Incanalare gli acquisti delle P.A. verso la “Green Economy”, “intercettare” le voci di spesa pubbliche e renderle “verdi” è l’obiettivo del Green Public Procurement (GPP), lo strumento lanciato dall’Europa per favorire lo sviluppo di un mercato di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale, facendo leva sulla domanda pubblica. Nonostante un quadro normativo nazionale ben definito e vincolante (composto dal Regolamento approvato con il DM 203/2003, in virtù del quale vige l’obbligo per gli enti pubblici e società a prevalente capitale pubblico di coprire almeno il 30% del fabbisogno annuale con manufatti e beni realizzati con materiale riciclato; dal Codice degli appalti pubblici, il D.lgs. n. 163/2006; dal Piano di Azione Nazionale, approvato con DM Ambiente 11 aprile 2008 che fissa il set di criteri ambientali “minimi” per gli acquisti pubblici), in Italia gli Acquisti Verdi non decollano ancora. Lo strumento è ancora in via di sviluppo: secondo i dati EUROSTAT del 2007 il Belpaese, stando al numero di bandi con criteri di preferibilità ambientale, occupa l’ottavo posto in Europa per quanto riguarda lo stato di attuazione del GPP. La carenza di informazioni, oltre che la scarsa conoscenza di marchi, aziende e prodotti sostenibili è il primo scoglio allo sviluppo del GGP in Italia. Di qui la necessità di fare il punto sugli Acquisti Verdi in Italia e di promuovere l’incontro tra la domanda e l’offerta “green”. In questo contesto si inserisce il Convegno promosso e organizzato dalla nostra rivista di informazione e aggiornamento ambientale “Regioni&Ambiente” in occasione della Fiera ECOMONDO di Rimini, dal titolo “Acquisti Verdi: stato dell’arte e prospettive della filiera nell’ottica della Green Economy”. Raccogliere le best practices disseminate sul territorio italiano e presentarle come virtù e modelli da imitare: questo l’obiettivo del Convegno che ha raccolto intorno a un tavolo alcune tra le eccellenze italiane in fatto di Acquisti Verdi. Al centro del Convegno, dunque, gli esempi virtuosi. Non solo quello degli enti e delle amministrazioni pubbliche, già in marcia verso il GGP e verso la riconversione “green” della domanda pubblica, ma anche quello di chi tenta di preparare il terreno fertile per la crescita del GGP in Italia, puntando all’incontro tra domanda e offerta. Da segnalare in quest’ottica è il Progetto editoriale pilota lanciato e presentato da Free Service srl, in occasione della Fiera ECOMONDO: “Pagine Verdi”, la guida, cartacea e digitale, agli acquisti e ai servizi “verdi” per le Pubbliche Amministrazioni. Il catalogo, in abbinamento editoriale alla rivista e presto disponibile in un’apposita sezione del sito, si presenta da un

lato come una vetrina per le aziende produttrici ed erogatrici di beni e servizi “verdi”, dall’altro come un’utile mappa di orientamento agli acquisti “green” per le P.A. La difficoltà a trovare i fornitori “green” è infatti uno dei principali ostacoli al decollo del GGP. Lo rileva lo studio realizzato da Regione Emilia Romagna e ERVET (Agenzia per la Valorizzazione economica del Territorio dell’Emilia Romagna), “Green Public Procurement - Una ricerca sui processi di acquisti sostenibili negli Enti Locali dell’EmiliaRomagna”, presentato durante il Convegno dalla Dott.ssa Patrizia Bianconi, Consulente Servizio Valutazione Impatto Ambientale e Sviluppo Sostenibile della Regione Emilia Romagna. Alla scarsa conoscenza dei marchi e dei fornitori sostenibili si aggiungono poi le difficoltà tecniche, operative e burocratiche nel redigere gli stessi Bandi verdi, oltre che la percezione, non sempre fondata, di costi elevati dei prodotti e dei servizi “verdi”. Di qui l’importanza dell’attività di formazione e informazione promossa da alcune P.A. Significativo in quest’ottica è l’esperienza della Provincia di Cremona, l’Ente pioniere degli “acquisti verdi” in Italia, grazie al progetto “GPPnet: la rete degli acquisti pubblici verdi”, lanciato nel 2002 per diffondere l’esperienza GPP a livello locale, regionale e nazionale. Obiettivo del Progetto, cofinanziato dalla Commissione Europea e partito grazie al coinvolgimento di 14 enti sperimentatori (Provincia di Cremona e i Comuni di Casalmaggiore, Castelleone, Crema, Gerre de Caprioli, Motta Baluffi, Pescarolo, Piadena, Pizzighettone, San Bassano, Soresina, Spineda, Stagno Lombardo, Vescovato) era proprio quello di promuovere la formazione e l’informazione del personale amministrativo degli enti locali, anche tramite il confronto con gli stessi fornitori. Il risultato? Il Progetto, presentato durante il Convegno dalla Dott.ssa Ilaria De Angeli, responsabile GPP INfoNet della Provincia di Cremona, si è poi concretizzato nel “Manuale GPPnet” la prima guida italiana agli acquisti verdi, tradotta anche in inglese, distribuita a circa 700 enti locali in Italia e a circa 40 all’estero, che illustra come introdurre “requisiti ecologici” nelle forniture dei beni e dei servizi al momento dell’acquisto. “Il volume, accompagnato anche da un cd rom e da un bollettino bimestrale, il ‘GPPinfoNET’ - ha spiegato la Dott.ssa De Angeli - riporta i criteri ecologici per 189 tipologie di beni e servizi (ricavati da 14 marchi ecologici esistenti a livello europeo) da introdurre nei capitolati tecnici. Ma non solo. Dal progetto è nato anche un sito web (www.compraverde.it), ancora oggi punto di riferimento fondamentale per le pubbliche amministrazioni perché contiene utili informazioni tecniche e aggiornamenti normativi sul GPP e un Forum, ‘CompraVerde-BuyGreen’, il Forum Internazionale degli

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Acquisti Verdi, la cui quinta edizione si è chiusa lo scorso 7 ottobre a Cremona”. Il successo dell’esperienza cremonese, volta a colmare il vuoto informativo in materia di GGP, ha fruttato alla Provincia il titolo di “Scuola di GPP”, non solo a livello locale, ma anche nazionale ed internazionale. “Proprio per diffondere l’esperienza di Cremona - ha sottolineato la Dott.ssa De Angeli - è stato costituito un comitato di diffusione, il GPPinfoNET, la rete informativa degli acquisti pubblici verdi che oggi conta 220 enti aderenti e che coinvolge ben sei reti regionali in Italia (Lombardia, Liguria, Sardegna, Campania, Lazio e Sicilia) e tre reti regionali in altri paesi europei: Catalogna (Spagna); Prahova (Romania); Lodzkle (Polonia)”. L’esempio della provincia di Cremona non si limita alla promozione e alla diffusione del GGP, ma anche alla sua applicazione. Oltre che nella teoria, la virtuosità della Provincia brilla anche nella pratica. Numerosi i settori dell’amministrazione coinvolti dal GGP che hanno messo in moto un meccanismo virtuoso di buone pratiche, volte al risparmio economico e alla sostenibilità ambientale: “Dal 2003 al 2011 – ha spiegato la Dott.ssa De Angeli - sono stati realizzati con la tecnica del riciclaggio a freddo in sito circa 300.000 mq di pavimentazioni con un risparmio economico di circa 3.200.000 euro e un risparmio ambientale notevole grazie al calo del numero di autoarticolati sulle strade, la riduzione dei materiali nuovi (circa 1.100.000 tonnellate in meno) e la diminuzione dei conferimenti in discarica (circa 100.000 tonnellate in meno). La gestione dell’Appalto Calore negli edifici di proprietà della Provincia avrebbe prodotto un risparmio economico di 500.000 euro, oltre che un risparmio energetico grazie al ricorso alle energie rinnovabili e al teleriscaldamento, mentre il ricorso all’agricoltura conservativa, oltre al contenimento dei costi aziendali, avrebbe contributo all’abbattimento delle emissioni di CO2, mantenendo anche la biodiversità naturale”.

Insomma il GPP conviene, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista economico. Lo rivela un’indagine dell’IRER (Istituto Regionale di Ricerca della Lombardia) che ha analizzato i benefici legati all’introduzione del GGP su un campione di 31 pubbliche amministrazioni lombarde. Il risultato sfata il mito diffuso e infondato che gli Acquisti Verdi siano “costosi” per le P.A. Ai ai vantaggi ambientali del GPP (meno 454 mila tonnellate di CO2 pari al 23% del totale) si aggiungono, infatti, anche quelli economici con un risparmio di ben 20,7 milioni euro di cui 14,7 diretti per costi di funzionamento e 6 milioni legati alla valorizzazione economica della CO2. Ma la partita degli Acquisti Verdi, oltre alle Province, coinvolge anche i Comuni. Tra le best practices degli Enti Locali sono da segnalare quelle messe in moto dal Comune di Perugia che grazie all’adozione di un “Piano degli acquisti verdi” punta allo sviluppo, all’interno e all’esterno della macchina amministrativa, di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale, in grado di ridurre l’uso delle risorse naturali, la produzione dei rifiuti, le emissioni inquinanti e di favorire la diffusione delle fonti energetiche alternative. “Il Piano - ha spiegato Lorena Pesaresi, Assessore alle Politiche Energetiche e Ambientali, Pari Opportunità e Stato Civile del Comune di Perugia - prevede una serie di azioni che si concretizzano nella vita amministrativa di ogni giorno e riguardano la fornitura di arredi scolastici, di materiali per l’igiene, di cancelleria, identificati come ‘verdi’, ma anche l’affidamento del servizio mensa delle scuole comunali, la raccolta differenziata all’interno del Comune stesso, l’acquisto di autovetture a metano e la riconversione da benzina a metano di alcuni veicoli del parco comunale e del trasporto pubblico locale, oltre che la riqualificazione energetica di edifici e scuole comunali, attraverso l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e la riconversione energetica dell’illuminazione”. Grazie ai cosiddetti “bandi di sponsorizzazione” è stato possibile introdurre il fotovoltaico in ben 4 edifici pubblici

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della città, in cambio di pubblicità alle aziende sponsor. Tra questi figura anche il “Palaevangelisti”, il palasport della città, la cui copertura del tetto con pannelli fotovoltaici consentirà di risparmiare oltre 600 mila tonnellate di CO2 all’anno. Anche l’illuminazione è oggetto delle politiche energetiche di riconversione messe in atto dal Comune: oltre 30 mila punti luci disseminati sul territorio comunale saranno a breve interessati da un processo di efficientamento energetico che oltre a prevedere la sostituzione delle vecchie lampade con la tecnologia a led, prevede anche l’introduzione di sistemi di tele-gestione che permetteranno di abbattere anche i costi di manutenzione. “Riduzione dei consumi energetici, delle emissioni, delle risorse, delle fonti non rinnovabili, degli impatti sull’ambiente e dei costi di gestione – ha dichiarato l’Assessore Pesaresi – sono le direttrici su cui la macchina comunale si è già messo in moto e su cui sta lavorando a pieno ritmo”. Al di là della virtuosità dei singoli Comuni, un ruolo fondamentale nell’avvicinamento delle P.A. verso gli Acquisti Verdi lo gioca la Regione. Lo dimostra l’esempio dell’Emilia Romagna che con la Legge regionale n. 28/2009, “Introduzione di criteri di sostenibilità ambientale negli acquisti della Pubblica Amministrazione” definisce e sottolinea il ruolo strategico dell’ente per il decollo del GGP negli enti locali: “La Regione promuove e sostiene attraverso l’emanazione di linee guida, i Piani di Azione per la sostenibilità ambientale dei consumi pubblici dei Comuni, delle Province” si legge all’art. 2, comma 2. Nella strada che porta agli Acquisti Verdi, gli enti locali vanno accompagnati, incentivati e sostenuti. “È questo il ruolo della Regione - ha dichiarato Patrizia Bianconi, Consulente Servizio Valutazione Impatto Ambientale e Sviluppo Sostenibile della Regione Emilia Romagna nel corso del suo intervento al Convegno - incentivare gli Enti Pubblici di piccole dimensioni, colmare il gap tra i diversi enti pubblici, fornire un quadro normativo più chiaro a sostegno dell’attuazione del GPP e rafforzare la conoscenza degli strumenti di certificazione ambientale e dei marchi di qualità ambientale in generale”. La mancanza di un’adeguata informazione/formazione del personale addetto agli acquisti degli Enti è spesso all’origine della scarsa diffusione del GGP a livello locale. Lo rileva l’indagine condotta da Ervet e dalla Regione Emilia Romagna che fotografa il “flusso” degli Acquisti Verdi sul territorio regionale, mettendone in luce le dinamiche di diffusione e gli ostacoli: “la maggior parte degli Enti intervistati – ha dichiarato la Dott.ssa Bianconi - individua la principale criticità nei prezzi troppo elevati (52,8%), spesso frutto di un’ erronea percezione dovuta a scarsa informazione, nella scarsa conoscenza tecnica dei marchi ecosostenibili (32,1%) e nella difficoltà a reperire sul mercato fornitori (28,3%) aventi caratteristiche utili a partecipare ai bandi verdi che in molti casi vanno deserti, demotivando così le amministrazioni. A ciò si aggiungono poi difficoltà tecnicooperative relative alla redazione dei bandi verdi, dovute alla mancanza di competenze adeguate in materia”. Di qui la necessità di un forte e solido sostegno comunicativo agli enti locali per passare da una fase di sperimentazione volontaristica degli Acquisti Verdi a una istituzionalizzata con il ruolo chiave della Regione nella strategia di avvicinamento degli enti locali al GGP: “se da un lato la Regione deve contribuire a sviluppare la domanda – ha continuato

la Dott.ssa Bianconi - d’altro canto deve aiutare a sviluppare l’offerta perché i costi dei prodotti verdi si abbassino. In quest’ottica la Regione sta promuovendo una serie di incontri di formazione e seminari con il mondo delle piccole e medie e imprese. Stiamo lavorando perché anche il tessuto imprenditoriale e produttivo locale possa attrezzarsi per poter partecipare alle gare”. Il volume di acquisti “verdi” sul totale della spesa pubblica in Emilia Romagna è pari al 21,2% e il 45,3% degli Enti locali ha fatto almeno un bando “verde” negli ultimi tre anni. Nella spesa “verde” degli Enti, tirano di più i prodotti, rispetto ai servizi per via di aspetti tecnici più complessi nei contratti d’appalto. Tra le categorie merceologiche più gettonate spiccano la cancelleria (27%), le apparecchiature informatiche (14%), gli alimenti biologici (13%) e gli arredi (13%). Se la Regione Emilia Romagna punta a sostenere gli Enti Locali nell’acquisto sostenibile, accompagnare le imprese lungo la strada che porta agli “acquisti verdi” è l’obiettivo di PolieCo, (Consorzio Nazionale per il riciclaggio dei rifiuti di beni a base di polietilene). La partita del GGP si gioca infatti anche sul campo dei prodotti in plastiche riciclate. Di qui l’iniziativa del Consorzio presentata dal Presidente, Enrico Bobbio, durante il Convegno, di un marchio ambientale “km 0”: “si tratta di un sistema di certificazione di tutto il ciclo di produzione che coinvolge ogni anello della catena e della filiera - ha commentato il Presidente Bobbio - L’obiettivo è favorire il mercato dei prodotti riciclati con una particolare attenzione alle economie di prossimità. Un acquisto verde è tale in funzione della sua prossimità, ovvero un acquisto verde è più verde se il prodotto è fatto a Bologna piuttosto che se fatto in Cina. Il km 0 è un valore aggiunto perché costa meno, garantisce più ed è ambientalmente più sostenibile. È questa la strada che vogliamo tracciare e su cui stiamo lavorando. Per questo abbiamo sposato volentieri il progetto di Free Service volto a lanciare un prontuario, una guida agli acquisti verdi. Si tratta di una forma di comunicazione utile alle pubbliche amministrazioni per orientarsi nel mercato del GPP, un mercato che ancora stenta a decollare, non per colpa del mondo produttivo, bensì per colpa di un mondo politico che non è capace a fare le norme e quando le fa non è in grado di farle rispettare. Come le pubbliche amministrazioni, anche le aziende hanno bisogno di aiuto e noi vogliamo dare loro un contributo, perché sono esse il traino del sistema”. Le difficoltà del mondo produttivo a lanciarsi nella corsa agli Acquisti Verdi è stata sottolineata anche dalla Prof.ssa Maria Ioannilli dell’Università di Tor Vergata che ha evidenziato come l’assenza di un quadro normativo programmatorio di lungo periodo sia per le imprese un freno all’investimento nell’innovazione “green”: “In Italia si va avanti a colpi di norme, manca un intervento programmatorio e un quadro normativo di lungo periodo che sia in grado di rassicurare i finanziatori e di garantire gli investimenti. La politica e la pubblica amministrazione giocano un ruolo chiave nell’influenzare le politiche industriali”.

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EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ

Pubblicato il Rapporto UNFPA “Lo Stato della Popolazione Mondiale 2011”

INDIVIDUI E OPPORTUNITÀ IN UN MONDO DI 7 MILIARDI DI PERSONE

Investire sui giovani per mettere a frutto le loro capacità di creatività e innovazione

Come anticipato sul numero di settembre (cfr: “La bomba demografica”, pagg. 28-29), il Fondo per la Popolazione delle Nazioni Unite ha pubblicato il 2 novembre 2011 il Rapporto “The State of World Population 2011. People and possibilities in a world of 7 billion”. Il traguardo dei 7 miliardi di individui che si sarebbe raggiunto il 31 ottobre 2011, sarà occasione di successi, battute d’arresto e paradossi. Sarà dalla nostra reazione di fronte a tale realtà che dipenderà se avremo un futuro di salute, sostenibilità e prosperità, oppure se sarà segnato da iniquità, declino ambientale e disordine economico.

“Pianificando e facendo investimenti adeguati all’attuale popolazione, per permetterle di operare delle scelte che non si limitino ai loro interessi, ma anche a quelli comuni globali - ha scritto nella prefazione il Direttore Esecutivo UNFPA, Babatunde Osotimehin - il nostro mondo di 7 miliardi di individui può avere città prospere e sostenibili, forza lavoro produttiva in grado di dar carburante alle economie e giovani popolazioni che contribuiscono al benessere delle proprie società”. La cifra raggiunta dalla popolazione può essere intravista per certe aspetti

quale un successo dell’umanità, si legge nel Report, poiché le persone vivono più a lungo e molti nostri bambini hanno maggiori probabilità di sopravvivere. In particolare, la vita media è passata da 48 anni all’inizio del 1950 ai circa 68 dell’inizio del nuovo secolo. La mortalità infantile è scesa da 133 decessi per 1.000 del 1950 ai 46 del periodo 2005-2010. Inoltre, la fertilità femminile è passata mediamente da circa 6 bambini a 2,5 a seguito della crescita economica dei Paesi in via di sviluppo, ma anche per un complesso di motivi sociali e culturali: un maggior accesso delle donne all’istruzione; alle oppor-

Lagos. La Nigeria sarà lo Stato africano ad avere nel corso del XXI secolo il maggior incremento demografico della popolazione. Nella foto, il mercato di Balogun nel Distretto degli Affari (fonte: UNFPA; foto: Akintunde Akinleye)

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sostenibilità dei sistemi di sicurezza sociale. Mentre la carenza di manodopera minaccia di ostacolare le economie di alcuni Paesi industrializzati, i disoccupati, potenziali migranti dei Paesi in via di sviluppo stanno trovando sempre più spesso confini nazionali preclusivi, senza essere in grado di offrire le competenze di cui dispongono. C’è da osservare poi, si afferma nel Rapporto che, mentre si stanno facendo progressi nella riduzione della povertà estrema, il divario tra ricchi e poveri si sta allargando un po’ dovunque.

tunità di reddito; alla salute sessuale e riproduttiva, compresi i moderni metodi di pianificazione familiare. Ma non tutti hanno beneficiato di tali risultati, né di una miglior qualità della vita che ne consegue. Grandi disparità esistono fra e all’interno dei Paesi, sia in termini di diritti che di opportunità, tra uomini e donne, tra ragazze e ragazzi, tali che oggi è più importante che mai promuovere l’eguaglianza, anziché esacerbare o rafforzare le ineguaglianze. Nonostante le donne facciano mediamente meno figli di quanti ne facessero nel 1960, globalmente gli individui sono più giovani e più anziani: in qualcuno dei Paesi più poveri gli alti tassi di fertilità costituiscono un ostacolo allo sviluppo e perpetuano la povertà; viceversa, in alcuni dei Paesi più ricchi, a seguito dei bassi tassi di fertilità, sono troppo poche le persone che entrano nel mercato del lavoro, sollevando preoccupazioni per le prospettive di crescita economica sostenuta e per la

Lo Stato della popolazione nel mondo 2011 esplora alcuni di questi paradossi dal punto di vista degli individui e descrive gli ostacoli che si frappongono e che vengono superati, nel tentativo di costruire una vita migliore per se stessi, le proprie famiglie, comunità e nazioni. Attraverso le storie personali, la relazione mette in luce le reali sfide che dobbiamo affrontare nel nostro mondo di 7 miliardi di individui, concentrandosi sulle analisi compiute sul campo in 9 Paesi (Cina, Egitto, Etiopia, Finlandia, India, Macedonia, Messico, Mozambico e Nigeria), documentando le diverse tendenze demografiche, le esperienze umane, le aspirazioni, le priorità, con l’obiettivo di descrivere i problemi della grande sfida della crescita della popolazione e di coglierne le enormi opportunità. La Divisione Popolazione delle Nazioni Unite Dipartimento di Affari Economici e Sociali, ricorda il Rapporto, nel suo World Population Prospects: The 2010 Revision (pubblicato nel maggio 2011), prevede una popolazione globale di 9,3 miliardi di persone nel 2050, e più di 10 miliardi entro la fine di questo secolo. Gran parte di questo aumento è atteso provenire da Paesi ad alta fertilità, dei quali 39 sono in Africa, 9 in Asia, 6 in Oceania e 4 in America Latina. L’Asia rimarrà il Continente con la maggior popolazione del mondo nel XXI secolo, ma l’Africa guadagnerà terreno

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con la popolazione che aumenterà più del triplo, passando da 1.000 milioni nel 2011 a 3,6 miliardi di abitanti nel 2100. Nel 2011, il 60% della popolazione mondiale vive in Asia e il 15% in Africa. Ma la popolazione africana è in crescita del 2,3% all’anno, un tasso più che doppio rispetto a quello dell’Asia (1%). La popolazione dell’Asia, che è attualmente di 4,2 miliardi, raggiungerà il picco intorno alla metà del secolo (5,2 miliardi nel 2052), per iniziare successivamente un lento declino. Le popolazioni di tutti gli altri Continenti (Americhe, Europa e Oceania) nel 2011 assommano a 1,7 miliardi di individui e si prevede un aumento fino ad arrivare a quasi 2 miliardi entro il 2060, per diminuire molto lentamente, rimanendo, comunque, sempre vicina ai 2.000 milioni alla fine del secolo. Tra le regioni, si prevede un picco di 740 milioni della popolazione europea intorno al 2025, per diminuire successivamente. Anni in cui la popolazione mondiale ha raggiunto incrementi di 1 miliardo 1 miliardo. . . . . . . . . . . . . . . . . 1804 2 miliardi. . . . . . . . . . . . . . . . . . 1927 3 miliardi. . . . . . . . . . . . . . . . . . 1959 4 miliardi. . . . . . . . . . . . . . . . . . 1974 5 miliardi. . . . . . . . . . . . . . . . . . 1987 6 miliardi. . . . . . . . . . . . . . . . . . 1999 7 miliardi. . . . . . . . . . . . . . . . . . 2011

“Dei 7 miliardi di persone che abitano il nostro Pianeta, 1,8 miliardi sono giovani tra i 10 e i 24 anni, in grado di possedere le chiavi del futuro, con la potenzialità di trasformare il paesaggio politico globale e di mettere in moto le economie tramite la loro creatività e le loro capacità di innovazione - ha sottolineato Osotimehin - Ma deve esser offerta ora alla gioventù la possibilità di realizzare il suo grande potenziale. Dobbiamo investire nella salute e istruzione della nostra gioventù. Tali investimenti avranno un ritorno enorme in termini di crescita economica e di sviluppo per le future generazioni”.


Presentato il Rapporto “Quant’acqua sfruttiamo” di Friends of Earth Europe

IL CONSUMO D’ACQUA DELL’EUROPA METTE SOTTO PRESSIONE IL MONDO Avviare politiche UE di misurazione e riduzione del consumo di risorse

In occasione della Conferenza “Responsible or Irresponsible? Europe’s resource use its impacts”, organizzata da Friends of the Earth Europe per evidenziare i vantaggi ambientali, economici e sociali derivanti dal passaggio futuro ad un uso efficiente delle risorse, e svoltasi l’8 e il 9 novembre 2011 presso il Parlamento Europeo a Bruxelles, sono stati presentati i risultati dello Studio “UNDER PRESSURE. How our material consumption threatens the planet’s water resources’ is available”, redatto dal SERI (Sustainable Europe Research Institute) nell’ambito della Campagna “REdUSE” (REducing Resource Use for a Sustainable Europe), che mette in risalto come l’eccessivo uso e consumo di materie prime mette a rischio le risorse idriche del Pianeta.

parte di una minoranza della popolazione mondiale. Paradossalmente, molti Paesi con bassi livelli di acqua dolce utilizzano una gran parte del loro approvvigionamento di acqua per la produzione di esportazioni verso i Paesi ricchi di acqua. “L’Europa sta usando più della parte equa d’acqua del mondo che le spetta e questo ha un impatto enorme in altri Paesi dove l’acqua sta cominciando a diventare molto scarsa - ha affermato Ariadna Rodrigo, attivista della Campagna REdUSE L’elevato uso di acqua dell’Europa dovuto al nostro stile di vita dagli alti consumi, nonché tutta la quantità d’acqua necessaria per i prodotti che acquistiamo, presuppone un’unica risposta: ridurre nel complesso i livelli di consumo. Quel che è peggio, poi, è che in Europa abbiamo anche un enorme spreco di quantità di cibo e di altri beni che richiedono grandi quantità d’acqua per essere prodotti”.

Le conclusioni dello Studio costituiscono un campanello d’allarme per l’Europa che sta trascurando le conseguenze catastrofiche che lo stress e la scarsità d’acqua avranno in Europa e nel resto del mondo e, al contempo, lancia un appello ai Governi affinché si cominci a misurare l’impronta globale del consumo d’acqua dell’Europa e si limiti il consumo di materiali. L’Europa, come regione, ha il quarto più alto consumo pro-capite di acqua nel mondo, non solo a seguito del consumo diretto per l’igiene e per bere dei suoi abitanti, ma anche indirettamente attraverso il consumo di prodotti che richiedono acqua per la loro produzione. Al geografo John Anthony Allan che per primo ha compiuto gli studi sul consumo indiretto di risorse idriche (Virtual Water), “Per aver elaborato il concetto di acqua virtuale, quale misurazione della quantità d’acqua necessaria per produrre beni e servizi, che determina gravi impatti ambientali e commerciali a livello globale, aprendo la strada per un uso più sostenibile”, nel 2008 è stato assegnato il “Water Prize” dallo Stockholm International Water Institute (SIWI), che molti commentatori considerano un Premio Nobel per l’Ambiente (ndr: ora gli scritti di Allan sono stati raccolti in volume, anche in edizione economica: “Virtual Water: Tackling the Threat to Our Planet’s Most Precious Resource”, Ed. I.B. Tauris, London, 2011). Gli elevati livelli di consumo di acqua dell’Europa sono la testimonianza degli allarmanti livelli di utilizzo delle risorse da

Secondo, Friends of Earth Europe, l’UE dovrebbe iniziare a misurare la sua impronta idrica al fine di fissare obiettivi per incoraggiare la riduzione significativa del consumo di acqua. Valutare l’uso dell’acqua lungo tutta la filiera produttiva è il presupposto per determinare gli impatti sull’acqua delle politiche. Inoltre, dovrebbero essere introdotte nelle politiche misure in grado di valutare l’impronta di suoli, materiali e carbonio, compresa la politica di prodotto. Gli Europei, attraverso l’importazione di materie prime e prodotti, consumano molta più acqua di quanta ne estraggono dal proprio territorio, e l’Europa, quale primo importatore mondiale di materie prime a livello globale, compromette l’approvvigionamento idrico in zone del pianeta in cui l’acqua risulta essere, invece, una risorsa scarsa. “In un mondo di risorse limitate, dobbiamo affrontare il legame tra il nostro consumo e la crescita e la prosperità economica - ha aggiunto la Rodrigo - Abbiamo bisogno che l’Unione europea avvii la misurazione e la riduzione dell’utilizzo delle risorse. Questo significa concentrarsi sulla qualità della vita piuttosto che continuare a sovra-consumare le nostre risorse naturali”. Dopo “OVERCONSUMPTION. Our use of the world’s natural resources”, Rapporto del 2099 nel quale si esaminavano le tendenze nell’uso delle risorse dell’Europa e del Mondo, indicando anche le misure da adottare per contribuire ad un uso più sostenibile delle risorse europee, questo nuo-

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vo Rapporto esamina le interrelazioni tra estrazione delle materie prime, il loro commercio ed uso, ed il consumo d’acqua, che finora non erano state adeguatamente analizzate. Inoltre, viene evidenziata la scarsa considerazione che ha l’impatto dei processi produttivi sulle comunità e l’ambiente locali, come nel caso del consumo di acqua per l’estrazione di litio in Cile. Di seguito riportiamo la sintesi dei risultati posti in evidenza. L’acqua è un bene necessario in quasi tutte le fasi del flusso dei materiali. Circa la metà di tutta l‘acqua accessibile è destinata alla coltura di prodotti per uso alimentare, alla fornitura di acqua potabile e alla produzione di energia e di altri beni. In Europa, quasi la metà di tutta l‘acqua prelevata è utilizzata per i processi di raffreddamento del settore energetico. Il resto è utilizzato per l‘agricoltura, l‘approvvigionamento idrico pubblico e per l‘industria. Ci sono grandi differenze geografiche nel consumo di acqua e di materie prime. Per esempio, il cittadino medio americano consuma la più alta quantità di acqua (7.700 litri al giorno) e di materiali (100 kg al giorno) del mondo. In confronto, il cittadino medio africano consuma il livello minimo, ovvero 3.400 litri di acqua e 11 kg di materiale al giorno. L‘impronta idrica relativa alle nostre abitudini di consumo è molto maggiore di quella relativa al nostro impiego diretto di acqua. Una significativa quota dei beni consumati in Europa, quali i generi alimentari e altri prodotti agricoli, sono coltivati e prodotti altrove, fuori dal continente. Paradossalmente, molti paesi con modesti livelli di riserve d’acqua utilizzano la gran parte della loro disponibilità per la produzione di beni da esportare verso i paesi più ricchi di acqua.

Il crescente livello di estrazione dei materiali e di acqua è legato allo sviluppo del commercio internazionale degli ultimi decenni. Poiché il commercio aumenta costantemente in tutto il mondo, cresce anche la quantità di acqua virtuale incorporata o impiegata durante il processo di produzione. I paesi industrializzati e, più recentemente, le economie emergenti hanno incrementato le loro importazioni nette di risorse, provenienti dal mondo “sviluppato”. Spesso, i Paesi più efficienti nell’utilizzo dei materiali hanno anche i più alti livelli di consumo. I soli miglioramenti nell‘efficienza di utilizzo delle risorse sono sinora stati insufficienti a raggiungere sostanziali riduzioni nell‘impiego di risorse. Poiché le risorse idriche sono sempre più scarse in molte regioni del mondo, è fondamentale che siano utilizzate in maniera più efficiente, anche dal punto di vista economico, ad ogni livello – nell‘industria e nell‘agricoltura, in ambiente domestico e anche nei sistemi di fornitura. In un mondo a risorse limitate, dobbiamo guardare ai legami esistenti tra l’impiego delle risorse, la crescita economica e la prosperità della nostra società. Il nostro modello di crescita è basato su alti livelli di consumo continuativo. Questo sistema è però causa di crescenti disuguaglianze in tutto il mondo e da livelli allarmanti di utilizzo delle risorse da parte di una minoranza della popolazione mondiale. Sono necessarie e urgenti fondamentali modifiche dei modelli economici di sviluppo correnti sulle modalità di gestione delle risorse naturali e dei servizi che queste forniscono. E‘ essenziale che i decisori politici definiscano strategie quadro che, ad esempio, penalizzino pratiche di sfruttamento delle risorse non sostenibili e premino comportamenti efficienti nell’impiego delle risorse, rendendo così la diminuzione dell‘utilizzo delle risorse economicamente e politicamente più interessante.

fonte: Under Pressure

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ENERGIE ALTERNATIVE E RINNOVABILI

Studio della Columbia University sul valore energetico delle plastiche da rifiuti

CATTURARE L’ENERGIA DELLE PLASTICHE NON RICICLABILI

Negli USA dalle plastiche non riciclabili il fabbisogno energetico annuo di 5,2 milioni di famiglie

L’American Chemistry Council (ACC), organismo rappresentativo delle principali aziende statunitensi del settore della chimica, il cui obiettivo è l’applicazione della scienza chimica per offrire prodotti e servizi innovativi per migliorarne le prestazioni ambientali, sanitarie e in termini di sicurezza, ha diffuso il 12 ottobre 2011 uno Studio, condotto dal Dipartimento di Ingegneria della Terra (Earth Engineering Center) della Columbia University, dove si evidenzia che se le plastiche non riciclabili che finiscono nelle discariche degli Stati dell’Unione fossero convertite in energia, con le tecniche attualmente disponibili, si potrebbe alimentare annualmente 6 milioni

di auto o coprire il fabbisogno energetico di 5,2 milioni di famiglie. “Anche dopo l’uso, la plastica continua ad essere una risorsa preziosa - ha affermato Steve Russell, vice Presidente della Divisione Plastiche dell’American Chemistry Council che ha patrocinato lo Studio - Per quanto possibile, le plastiche devono essere riciclate, ma qualora non fossero riciclabili, c’è ancora una grande opportunità per recuperare questa fonte abbondante di energia per alimentare le nostre case, auto ed imprese”. Lo studio stima che se tutti i materiali scartati di plastiche non riciclabili negli Stati Uniti venissero avviati a recupero energetico si potrebbero produrre 52 milioni di MWh di energia elettrica. Allo stesso modo, con i rifiuti solidi urbani prodotti e sottratti alle discariche si ricaverebbero 162 milioni di MWh. “Dal momento che gli Stati Uniti sono alla ricerca di fonti energetiche alternative, questi tipi di studi risultano

fondamentali per facilitare l’individuazione di fonti non tradizionali di energia da parte dei responsabili politici”, ha osservato Nickolas J. Themelis, Direttore del Centro di Ingegneria della Terra presso la Columbia University e principale autore della Ricerca. Anche se le materie plastiche negli Stati Uniti sono realizzate principalmente utilizzando gas naturale, un numero crescente di tecnologie innovative, già in corso di attuazione su scala commerciale in Europa, Canada e Asia, sono effettivamente in grado di trasformare le plastiche non riciclate in petrolio greggio, elettricità e altri combustibili. “Le materie plastiche hanno un valore energetico significativamente più alto rispetto al carbone - ha dichiarato il Prof. Marco J. Castaldi, Direttore associato dell’EEC e co-autore dello Studio - Catturare il valore energetico delle plastiche non riciclate costituisce una buona pratica perché contribuisce alla sicurezza energetica del Paese, Fonte: Columbia University

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riducendo nel contempo al minimo gli impatti sull’ambiente”. Lo Studio “Energy and Economic Value of Non-Recycled Plastics (NRP) and Municipal Solid Wastes (MSW) that are Currently Landfilled in the Fifty States”, riassume le informazioni sulle plastiche non riciclate e sulla quantità di rifiuti solidi urbani in ciascuno dei 50 Stati, quantificandone l’energia potenziale e il valore economico che potrebbero essere recuperati. Lo Studio ha esaminato esclusivamente rifiuti solidi urbani, la quantità effettiva di materiali recuperabili negli Stati Uniti e i valori di energia ad essi associati, dicono gli autori, sono probabilmente maggiori di quelli inclusi nell’ambito di applicazione di questo studio. Ecco di seguito le principali conclusioni dello Studio: - Nonostante gli sforzi di molte comunità locali solo il 6,5% delle plastiche prodotte negli USA viene riciclato, il 7,7% viene bruciato con recupero di energia e il restante 85,8% finisce in discarica, pari ad una stima (2008) di 28,8 milioni di tonnellate. - L’energia chimica contenuta in questo materiale è pari a 807.000 miliardi di Btu (l’unità Btu è definita come la quantità di calore necessario per innalzare la temperatura di 1 °F = 0,556 °C ad una pressione costante di

1 atmosfera di un 1 libbra = 0,454 kg di acqua allo stato liquido). Questa quantità di energia è pari a: 36,7 milioni di tonnellate di carbone, o a 139 milioni di barili di petrolio, o a 783 miliardi di m3 di gas naturale. Se tutte le plastiche non riciclate che sono attualmente smaltite nelle discariche fossero state separate alla fonte e convertite tramite pirolisi in olio combustibile, produrrebbero circa 87 milioni di barili di petrolio all’anno, sufficienti per alimentare 6 milioni di automobili. Se tutta la plastica non riciclata (NRP) che viene conferita in discarica ogni anno fosse separata alla fonte e usata come combustibile in centrali elettriche progettate appositamente, l’elettricità prodotta sarebbe di 52 milioni di MWh, sufficiente per la fornitura di 5,2 milioni di abitazioni. Tutto ciò ridurrebbe anche il consumo di carbone negli USA di circa 34 milioni di tonnellate. Ipoteticamente, se il 100% dei rifiuti solidi urbani (MSW) conferiti in discarica fosse deviato dalla discarica alle nuove centrali elettriche WTE, il consumo di carbone si ridurrebbe di 108 milioni di tonnellate e si produrrebbe 162 milioni di MWh di elettricità, sufficienti per il fabbisogno annuo di 16,2 milioni di abitazioni.

Tigard (Oregon). L’impianto Agilix per la trasformazione dei rifiuti di plastiche in petrolio

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Lo studio, inoltre, ha esaminato l’effetto della capacità dei nuovi impianti di recupero energetico da rifiuti (WTE) nella riduzione del consumo di carbone negli Stati che ora ne importano in grandi quantità. Come sopra accennato, una tonnellata di rifiuti solidi urbani usata come combustibile nei nuovi impianti di recupero energetico da rifiuti, produrrebbe l’energia equivalente a 0,4 tonnellate di carbone. Conseguentemente, lo spostamento del 25% dei RSU attualmente conferiti in discarica nei nuovi impianti di recupero energetico da rifiuti, eviterebbe l’estrazione di 27 milioni di tonnellate di carbone e 270 milioni di tonnellate di terreno di copertura; mentre con lo spostamento del 100% dei RSU attualmente conferito in discarica nei nuovi impianti di recupero energetico da rifiuti, si ridurrebbe l’estrazione di carbone di 108 milioni di tonnellate, quasi il 10% del consumo negli USA. Infine, aumentando la capacità di recupero energetico da rifiuti, si ridurrebbe l’impatto di CO2 nella gestione dei rifiuti negli USA. Per esempio, lo spostamento del 25% di biomasse miste e plastica non riciclata dei RSU dalla discarica ai nuovi impianti di recupero energetico da rifiuti, produrrebbe una riduzione di CO2 dai 35 ai 70 milioni di tonnellate, a seconda del grado di cattura della discarica nelle discariche presenti.


Convegno PolieCo - Curti - CNR IIA

IN SINERGIA TRA INDUSTRIA ED ENERGIA Caratterizzazione e valutazione comparata delle emissioni derivanti dall’utilizzo di biomassa e polietilene nella centrale Curti

di Agnese Mengarelli

Sono davv-ero incoraggianti i risultati delle prove sperimentali, condotte presso l’impianto a biomasse di Curti Srl di Valle Lomellina (PV), che sono stati presentati all’interno del Convegno dal titolo “Caratterizzazione e valutazione comparata delle emissioni derivanti dall’utilizzo di biomassa e polietilene nella centrale Curti”, organizzato dal Consorzio PolieCo, Consorzio Nazionale per il Riciclaggio dei Rifiuti dei Beni a base di Polietilene, in collaborazione con Curti e CNR IIA, Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto sull’Inquinamento Atmosferico. Il Convegno è stato aperto da Enrico Bobbio, Presidente PolieCo, che ha spiegato l’importanza di una corretta gestione dei rifiuti. “La criminalità organizzata, che prima si finanziava con il mercato della droga, ora si alimenta grazie al traffico illecito di rifiuti e alle sofisticazioni alimentari ed industriali. Per questo motivo è necessario un nuovo sistema della legalità che permetta agli onesti imprenditori italiani di poter lavorare in un contesto normativo adeguato e tutelato. Le norme pongono come obiettivo il “KM0” - ha continuato Bobbio - in quanto la filiera corta permette controlli più sicuri e minori costi di gestione. Per questo motivo è necessario promuovere la Green Economy, attraverso un quadro normativo stabile e un’organizzazione industriale completamente rinnovata e capace di essere al passo con le nuove idee.” Protagonista del Convegno è stato il Gruppo Euricom, di cui fa parte Curti Srl, che è il più importante gruppo in Italia nel settore del riso ed uno dei principali nel mondo, grazie ai suoi punti di forza che sono esperienza, tradizione ed eccellenza nell’adattamento. “Siamo da sempre sensibili all’uso razionale e sostenibile dell’energia hanno dichiarato Riccardo Ferrario, Direttore Generale Curti e Alessandro Irico,

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Quality Manager Curti - Per questo ispiriamo i nostri progetti industriali al raggiungimento di un eccellente equilibrio tra efficienza energetica, sostenibilità ambientale ed integrazione con il contesto sociale, economico e produttivo dei territori in cui siamo presenti. La centrale termoelettrica (filiera corta) permette di produrre energia mediante combustione di biomassa derivante dal processo di pulitura del risone, ovvero la lolla di riso. Quella che produciamo è energia che proviene esclusivamente da fonti rinnovabili e rivenduta al gestore per la quota eccedente l’auto consumo, circa 60%. Il prodotto della combustione (cenere di lolla di riso) viene, infine, condizionato e venduto come materia prima refrattaria” Lo studio, presentato da Mauro Rotatori, CNR - IIA, ha consentito di comparare l’impatto gestionale ed ambientale derivante dall’utilizzo dei cascami di PoliGen® in alternativa all’uso di combustibili tradizionali, nella fattispecie il metano, nell’ impianto a biomasse Curti, finalizzato al recupero energetico da lolla di riso in regime di filiera corta. La maggior parte delle materie plastiche dopo il consumo è messa in discarica e il resto è incenerito o riciclato. Il PoliGen® è la parte di rifiuti provenienti dalla produzione del polietilene con impurità tali da non poter essere conferita in discarica ed è stato preselezionato e certificato dal Consorzio PolieCo. La sperimentazione è partita dalla considerazione di consolidare l’utilizzo del PoliGen® come combustibile solido da promuovere in impianti di combustione tradizionali, conseguendo l’obiettivo di recupero energetico di un materiale risultante dall’attività di recupero di materia.

Dall’indagine si evince che l’impiego di materiale recuperato da cascami di polietilene non ha apportato incrementi dei livelli emissivi sia per i macroinquinanti sia per i microinquinanti indagati. Si pensa che le concentrazioni di inquinanti alle emissioni non siano incrementate con l’aumentare della percentuale di PoliGen® in alimentazione, poiché questo combustibile possiede basse concentrazioni in alogenuri e metalli. Inoltre, la combustione del polietilene ha sicuramente aumentato le temperature di fiamma diminuendo la possibilità di produrre incombusti. Attraverso la sperimentazione, si è posta una base tecnico-scientifica per disporre uno strumento di definizione normativa nell’ambito del regime giuridico dei combustibili. Il Piano d’Azione Nazionale (PAN) per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per l’efficienza energetica fissa obiettivi ambiziosi al 2020. “Si tratta di un obiettivo ambizioso, ma raggiungibile. ha dichiarato il Prof. Roberto Jodice, Presidente Consorzio Cortea - Crediamo, infatti, che in Italia oggi vi siano tutte le risorse materiali, tecnologiche, professionali e imprenditoriali, per ottenere tale risultato. Le importanti potenzialità finora considerate potranno esprimersi solo se saranno impostate e perseguite politiche efficaci rispetto agli obiettivi determinati. - ha proseguito il Prof. Jodice - In questo ambito si afferma l’esigenza di sviluppare la ricerca scientifica e tecnologica per la crescita di filiere agroenergetiche competitive, eco-compatibili ed in grado di creare un sistema produttivo sostenibile mediante l’emanazione di linee guida, l’integrazione di studi di sistema, la promozione di programmi scientifici e tecnici di ricerca nonché di programmi per l’innovazione ed il

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trasferimento tecnologico, il coordinamento delle attività di divulgazione e di dimostrazione.” In Italia esistono eccellenze nel settore del recupero energetico da biomasse, come AGO Energia, specializzata negli impianti di cogenerazione dalla combustione di biomasse vegetali solide. “I benefici dell’impiego delle biomasse a fini energetici sono innumerevoli. ha spiegato Roberto Sacco, Amministratore Delegato di Ago Energia Dal punto di vista ambientale, abbiamo una produzione di diossine trascurabile e valori di emissioni ampiamente inferiori ai valori ammessi dalla legge. A livello economico l’utilizzo di biomasse permette un elevato ritorno dell’investimento, la riduzione dei costi energetici e la stabilità di prezzo per gli utilizzatori del calore.” Nonostante la soppressione dell’Osservatorio Nazionale dei Rifiuti (ONR), il Ministero dello Sviluppo Economico ha portato avanti la sperimentazione del CNR-IIA nell’impianto Curti di Valle Lomellina, in quanto crede fermamente che la valorizzazione dell’energia e della materia dai rifiuti sia la sfida più importante che l’Italia dovrà affrontare nei prossimi anni. “Gli aspetti burocratici e normativi in materia di rifiuti hanno purtroppo affossato gli aspetti tecnico-scientifici, creando danni sia all’ambiente sia all’industria - ha concluso Daniele Montecchio, Ministero dello Sviluppo Economico - Iniziative come queste, quindi, sono necessarie per creare un percorso scientifico in grado di fornire al Legislatore le informazioni per classificare il PoliGen® come combustibile alternativo. Questo è il lavoro che il Ministero sicuramente affronterà nei prossimi mesi.”


Dall’ENEA la conferma del ruolo strategico dell’agricoltura per l’energia del futuro

DE RE RUSTICA: ENERGIA, INNOVAZIONE E GOVERNANCE

Il settore attende un “conto energia” per le biomasse

Dal mondo latino ci sono pervenuti vari trattati di agronomia con il titolo “De re rustica”, ma quello a cui ha preso spunto l’ENEA-Unità Tecnica Efficienza Energetica per dare il titolo al Convegno “De re rustica: Energia, Innovazione e Governance”, svoltosi a Roma il 25 ottobre 2011 e a cui hanno partecipato anche rappresentanti di MIPAAF, Coldiretti, Confagricoltura, CIA, Confcooperative, Legacooperative, Copagri, e le Università di Palermo e Parma è di Lucio Giunio Moderato Columella (4-70 d.C.), scritto nel I secolo d.C., come esplicitamente affermato nel comunicato stampa. La scelta, probabilmente, è derivata dal fatto che l’opera, suddivisa in dodici libri, costituisce l’opera più importante dal punto di vista agronomico dell’intera antichità, poiché non parla solo di agricoltura, come nei precedenti ed altrettanto noti testi di maggior valore letterario di Catone il Censore (234-149 a.C.) e Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.), ma più in generale di pratiche agrarie con un approccio di tipo scientifico, tanto da essere stato uno dei testi con maggior numero di edizioni dopo l’invenzione della stampa. Se l’agricoltura costituisce un settore strategico dell’economia mondiale (ancor di più lo sarà nei prossimi decenni con una popolazione globale in continua crescita), il suo ruolo non è di minor importanza per il raggiungimento degli obiettivi del Pacchetto UE “Clima-Energia”, assegnati all’Italia. A tal fine il Workshop, organizzato dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ha dibattuto le potenzialità delle Agroenergie e la valorizzazione delle relative filiere nel contesto dell’Energia, dell’Efficienza energetica, dell’Innovazione e dell’Ambiente, con un’attenzione particolare alla necessità - ormai improrogabile - di una legislazione specifica e la messa a punto di una governance innovativa in grado di conciliare in modo sostenibile i programmi di efficienza energetica, lo sfruttamento di risorse rinnovabili e l’occupazione sostenibile del terreno agricolo con installazioni energetiche. Soluzioni operative per preservare la fertilità del terreno e per quantificare gli aspetti di ordine ambientale associati alle filiere agroenergetiche, con in primo luogo le emissioni di CO2 e metalli pesanti, sono ulteriori aspetti da non trascurare per una valorizzazione energetica virtuosa del sistema agroalimentare. “Il pericolo di una deriva energetica dell’impresa agricola richiede l’esigenza di ottimizzare la Governance esistente per la migliore valorizzazione del settore, per vigilare su un uso coerente degli incentivi governativi alle rinnovabili, per evitare un’occupazione spesso incontrollata del suolo agricolo e un aumento eccessivo delle produzioni no-food, che minano fortemente lo sviluppo sostenibile del sistema

agricolo e rurale del nostro Paese – ha evidenziato il Commissario dell’ENEA Giovanni Lelli - L’ENEA può mettere a disposizione le sue competenze tecnico-scientifiche nei campi dell’energia da biomassa e da fotovoltaico, dell’efficienza energetica e dell’innovazione per sostenere lo sviluppo di una green economy dell’Agricoltura.” Il Piano d’Azione Nazionale (PAN) per l’energia rinnovabile approntata dal Governo nel 2010 prevede una percentuale del 45% di tutta l’energia rinnovabile prodotta entro il 2020 in termini di energia elettrica, termica e biocarburanti, proveniente dalle filiere della biomassa del sistema agricolo. È stato stimato un contributo alla politica energetica europea al 2020 per un risparmio di energia da fonti fossili di circa 14 Mtep, e un beneficio ambientale dovuto alla riduzione di circa 40 Milioni di tonnellate di CO2 in atmosfera. In collaborazione con le Associazioni di categoria, l’ENEA ha presentato il Rapporto tecnico “Le filiere del sistema agricolo per l’energia e l’efficienza energetica” in cui si evidenzia che il sistema agro-alimentare richiede un consumo di energia pari a circa 20 Mtep, di cui 16,3 Mtep dalle imprese agricole e 3,1 Mtep dall’industria alimentare. Il fatturato complessivo del sistema agro-alimentare, con circa 200 miliardi di Euro, di cui un terzo provenienti dall’agricoltura e per gli altri due terzi dall’industria alimentare, contribuisce per oltre il 12% al PIL. Al contempo, in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, l’ENEA ha individuato una serie di interventi di efficienza energetica e di produzione di energia da rinnovabili nelle filiere agricole finalizzati alla riduzione della spesa energetica e degli impatti ambientali. Questi interventi, basati essenzialmente sull’efficienza energetica e sull’energia da biomasse, secondo l’Agenzia, consentono di integrare il reddito economico delle aziende agricole, e allo stesso tempo, favoriscono l’occupazione e la nascita di nuove professioni (“green jobs”). Gli interventi individuati per il sistema agricolo riguardano: - l’ottimizzazione energetica e ambientale dei sistemi serra e delle produzioni biologiche; - la riduzione degli sprechi alimentari; - l’applicazione delle coperture vegetali agli edifici; - la produzione di energia da biomassa. Punto focale dell’evento sono stati i Titoli di Efficienza Energetica (Certificati Bianchi), finora sostanzialmente poco utilizzati dal mondo agricolo, non soltanto per il carico amministrativo richiesto, ma, spesso, anche per le difficoltà di accettazione dell’innovazione tecnologica da parte delle stesse imprese agricole. L’estensione dei certificati bianchi alle filiere agroalimentari e alla grande distribuzione (GDO), che adottano una gestione virtuosa mirata alla riduzione

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dello spreco alimentare ed energetico insieme con la definizione di un “conto energia” specifico per le rinnovabili termiche, rappresentano le nuove proposte per sostenere il risparmio di energia e le rinnovabili. A tal riguardo, tra gli operatori del settore, nei giorni che hanno preceduto le dimissioni del Governo, si erano diffuse voci circa un ipotetico decreto sulle biomasse, per il quale si sarebbero esposti gli ex-Ministri dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo e delle Politiche Agricole Saverio Romano. È stato il Sottosegretario del Ministero dello Sviluppo Economico con delega all’Energia del precedente Governo Stefano Saglia a smentire ogni illazione: “Non abbiamo mai previsto un decreto specifico per le biomasse. Ho sempre precisato che stavamo lavorando a due decreti attuativi suddivisi per tipologia di produzione (elettrico e termico) per i quali c’era bisogno del passaggio alla Conferenza Stato Regioni. In abbinato abbiamo previsto i due decreti su import e burden sharing che non prevedevano, invece, il concerto con le Regioni e quindi abbiamo potuti vararli’’. La partita non è, comunque, chiusa, dal momento che, 3 giorni prima della sua nomina, il neo-Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Corrado Clini, partecipando in qualità ualità di Presidente della Global Bioenergy Partnership ipp (Gbep) al Workshop “Executive Capacity Development lopment Seminar”, r svoltosi a Roma, ha affermato mato che “L’Italia ha le potenzialità per giocare iocare un ruolo da leader nel settore delle bioenergie. In ambito europeo, qualora si decidesse di investire nel nostro Paese, ha una grande opportunità di leadership, hip, perché lo sviluppo dei biocombustibili ustibili può rappresentare la strada più ù efficiente di riconversione della chimica mica tradizionale dalla matrice petrolifera olifera a quella biologica della “chimica imica verde”, utilizzando gran parte arte delle infrastrutture esistenti in termini di competenze e immpianti. Lo sforzo dei privatii è da apprezzare, ma per essere realmente competitivi su un mercato che è già il futuro dell’energia, sulla quale si reggono gli equilibri di intere economie, occorre la volontà delle istituzioni”. E le parole costituiscono l’elemento fondamentale per comunicare il modo con cui si vuol costruire sia ill mondo interiore che la realtà ltà esterna: “Le parole sono pietre”, tre”, e aveva sentenziato Carlo Levi vii nel titolo di un suo libro del 1955. 955.

sul biodiesel e per la restante parte sul bioetanolo. “In primo luogo dovrà esserci una regolamentazione seria del commercio mondiale del biodiesel - ha evidenziato Vito Pignatelli dell’ENEA-UTEE - Ci sono infatti Paesi che sovvenzionano le loro esportazioni per rendere il loro prodotto più competitivo rispetto a quello europeo e questo può essere un problema dal punto di vista della produzione dell’Unione europea. Un’altra cosa da fare è di produrre il biodiesel con una pluralità di materie prime. Quello che andrebbe visto ed esplorato al livello europeo e, soprattutto, in Italia, non è solo quello di sfruttare le poche e principali colture oleaginose, ma anche altre colture più rustiche che sono a loro volta in grado di fornire le materie prime necessarie alla produzione di questo biocombustibile”. È stato ribadito, comunque, che la collaborazione tra Istituzioni, Ricerca, Impresa, Associazioni di categoria e Società civile, è fondamentale per elaborare politiche di sviluppo funzionali alla implementazione di una governance innovativa basata soprattutto su logiche operative che, al tempo stesso, assicurino una risposta efficace e sostenibile all’evoluzione continua del mondo agricolo e preservino le specificità culturali, territoriali, socio-economiche ed imprenditoriali del settore dell’Agricoltura.

Un altro tema dibattuto al convegno dell’ENEA è stato quello deii Biocarburanti, la cui produzione europea si concentra per 4/5

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Biomasse e ciclo del carbonio fonte: blogspot.com


Presentato uno Studio EFC sulle misure da intraprendere per tagliare le emissioni

SENZA INVESTIMENTI NELLE INFRASTRUTTURE ENERGETICHE A RISCHIO I PIANI UE PER DECARBONIZZARE L’ECONOMIA

L’AEEG lancia l’allarme sulla debolezza della rete italiana non in grado di utilizzare tutta l’energia prodotta dalle rinnovabili

Le nazioni dell’Unione europea dovranno quasi raddoppiare gli investimenti nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio, decuplicando al contempo la capacità produttiva delle proprie centrali elettriche per poter transitare verso un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio entro il 2050. È quanto prevede lo Studio “Power Perspectives 2030”, presentato il 7 novembre 2011 dall’European Climate Foundation (ECF), think-tank istituito all’inizio del 2008 come iniziativa filantropica per promuovere le politiche climatiche ed energetiche al fine di ridurre notevolmente le emissioni di gas a effetto serra dell’Europa e per aiutarla a svolgere un ruolo più forte di leadership internazionale per mitigare il cambiamento climatico. Il documento rappresenta un contributo rivolto all’UE e agli Stati membri per incentivare la realizzazione delle iniziative promosse lo scorso marzo dalla Commissione europea nella Roadmap “Per una transizione verso un’economia competitiva a basse emissioni entro

il 2050” (cfr: Regioni&Ambiente, n. 4 aprile 2011, pp. 17-19), quale strumento per raggiungere un taglio del 80-95% delle emissioni di carbonio, assumendo come riferimento i livelli del 1990, necessario a quella data per allontanare i nefasti effetti del riscaldamento globale. Questa transizione può essere messa in atto attraverso l’adozione di un quadro normativo comune, basato sugli obiettivi intermedi fissati nella roadmap. La Commissione ha infatti stabilito che entro il 2030 le emissioni inquinanti dovranno essere ridotte del 54-68%, affinché possa essere raggiunto l’obiettivo definitivo, ossia la riduzione dell’80-95% entro il 2050. “L’Unione europea ha bisogno di stabilire un quadro politico credibile e adeguato per garantire l’attuazione dei piani attuali e guidare la decarbonizzazione del settore energetico dopo il 2020”, si legge nel Report. Già, per soddisfare gli obiettivi al 2020 di tagliare del 20% le emissioni di carbonio e aumentare fino al 20% la quota

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di energia rinnovabile, gli Stati membri dovrebbero aumentare le reti di trasmissione del 14% o di 42 mila km, per una spesa di 628 miliardi di euro nel corso di questo decennio. Una parte sostanziosa di tale somma sarà assorbita dalle centrali elettriche per la produzione “mista” di energia, che includerà per il 50% risorse rinnovabili. Circa 68 milioni di euro dovranno essere investiti per accrescere almeno di 109 GW la capacità di trasmissione delle centrali, il doppio rispetto alla capacità odierna. Perfezionare la rete è cruciale per ottimizzare la disponibilità di energia rinnovabile, che tende a concentrarsi ai margini geografici dell’Europa. Per i successivi 10 anni, il costo salirà a 1.200 miliardi, si afferma nella relazione della ECF, allorché è stato previsto un mix di produzione energetica, il 50% della quale costituita da rinnovabili. Meno urgente, invece, è la situazione relativa alla produzione di gas, i cui consumi rimarranno stabili nel prossimo ventennio, secondo le previsioni,


per cui gli impianti potranno essere adeguati con più calma, fino al 2040. “Per mantenere l’opzione di riduzione delle emissioni tramite il Carbon Capture and Storage (CCS), sia per gli impianti a carbone che per quelli a gas - si legge nel rapporto - c’è ancora molto da fare per guidarne lo sviluppo tecnologico”. La transizione verso un’economia a bassi consumi energetici, hanno concluso i ricercatori, dovrà fondarsi in primis su nuovi investimenti che possano coinvolgere tutti gli attori presenti sul mercato, dalle imprese alle organizzazioni non governative. Questo passaggio dovrà essere accompagnato dall’adozione, da parte degli attori coinvolti, di due elementi fondamentali: trasparenza e informazione, tanto in campo politico “Ciò che questo rapporto rileva è che la rete è il collante che terrà insieme il nostro sistema energetico decarbonizzato - ha dichiarato l’Amministratore delegato di ECF, Johannes Meier - Dobbiamo essere più efficienti per conseguire ciò

nel modo più efficace, la rete ha bisogno di divenire intelligente. Solo impostando una chiara direzione politica al 2030 sarà possibile raggiungere l’obiettivo di decarbonizzazione”. Tra i Paesi europei che dovranno necessariamente investire nelle infrastrutture energetiche c’è l’Italia la cui rete non riesce a sostenere l’energia prodotto dalle fonti rinnovabili, come denunciato dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (AEEG). Nella sua ultima Relazione Parlamento l’Authority ha lanciato l’allarme sulla inadeguatezza delle rete nazionale a prelevare e distribuire l’elettricità prodotta dalle fonti rinnovabili. “Il forte sviluppo delle fonti rinnovabili non programmabili sta comportando il manifestarsi di problematiche di carattere tecnico ed economico. Da attribuire all’aleatorietà della produzione da fonti rinnovabili non programmabili e accentuate dalle carenze infrastrutturali delle aree in cui tali fonti sono prevalentemente localizzate”. Lo sviluppo del settore si concentra

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prevalentemente al Sud e nelle Isole dove la debolezza infrastrutturale e la discontinuità di produzione rischiano di compromettere l’utilizzo dell’energia prodotta. “Gli impianti eolici e fotovoltaici, per lo più collocati nelle regioni del sud, sono cresciuti in modo esponenziale negli ultimi anni. Anche oltre le previsioni, spinti anche dal livello degli incentivi e dal miglioramento delle tecnologie, con una crescita che solo due anni fa era impensabile. Al punto che già l’anno prossimo le fonti rinnovabili saranno in grado di soddisfare tutta la domanda di energia delle regioni meridionali. Il che comporta, però, dei seri problemi dovuti al fatto che le rinnovabili non producono energia in modo continuativo”. Osservando che il contributo alle fonti rinnovabili che pesa sulle bollette dei consumatori viene emarginato in base all’energia prodotta, non già a quella effettivamente utilizzata, vien da pensare che oltre al danno si subisce anche la beffa!


Presentato dal Politecnico di Milano il 1° Energy Efficency Report

LE ENORMI POTENZIALITÀ DELL’EFFICIENZA ENERGETICA IN ITALIA Solo 4 Regioni e le 2 Province autonome hanno introdotto gli obblighi per gli edifici

Nel mese di novembre 2011 è stato presentato a Milano il primo “Energy Efficiency Report”, prodotto dall’Energy & Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, che si concentra in particolare sugli edifici, residenziali e non (uffici, scuole, università, ospedali, alberghi, ristoranti, industrie, strutture della GDO) che sono responsabili del 36% del consumo di energia in Italia. In particolare, il riscaldamento e il raffrescamento pesano rispettivamente per il 48% e il 12% del consumo totale, seguiti dall’illuminazione, con l’11%. Il fatto è che il patrimonio immobiliare italiano conta 13,7 milioni di edifici (12,1 residenziale e 1,6 non residenziale), ma circa il 70% è stato costruito prima che venisse introdotta qualsiasi norma sull’efficienza energetica in edilizia (la prima è stata nel 1976 la Legge n. 373, recante “Norme per il contenimento del consumo energetico per usi termici negli edifici”) e non ha mai subito alcun intervento di riqualificazione o di manutenzione orientato al risparmio energetico. Così, viene sottolineato nel Rapporto, l’Italia è al 1° posto in Europa per quanto riguarda la percentuale di emissioni di CO2 (17,5% su un totale europeo di 550 milioni di tonnellate)

imputabile agli usi energetici nel comparto abitativo. La ricerca ha affrontato il problema di rendere direttamente confrontabili fra di loro le diverse soluzioni per l’efficientamento degli edifici e di comprendere le eventuali reali necessità di incentivazione, mettendone a confronto costi e ritorni. “Sono state valutate più di 35 soluzioni tecnologiche alternative - ha dichiarato Vittorio Chiesa, Direttore di Energy & Strategy Group - un totale di circa 270 scenari di impiego presi in esame per le analisi economiche, quasi 300 imprese profilate su un campione identificato di oltre 1.900 ed un cospicuo numero (oltre 120) di operatori dell’efficienza energetica intervistati direttamente dal Gruppo di lavoro”. Secondo le proiezioni dello Studio, l’impatto dell’adozione delle tecnologie per l’efficienza energetica potrebbe tradursi entro il 2020 in un risparmio di oltre il 30% rispetto a quanto previsto dal Governo italiano nel “Piano d’Azione per l’Efficienza Energetica 2011”, che permetterebbe, tra l’altro, il raggiungimento degli altri due obiettivi UE previsti dal Pacchetto “Clima-Energia” (meglio conosciuto come il “20-20-20”), sul fronte energie rinnovabili ed emissioni di gas serra.

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Nel rapporto viene evidenziato come, nonostante l’impegno preso a livello nazionale in materia legislativa, attraverso il primo Piano d’Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili (PAEE) del 2007 e il successivo, gli strumenti messi in campo per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2020 sembrano non essere sufficienti. Criticità sono state individuate sui due tipi di meccanismi di incentivazione: - i Titoli di Efficienza Energetica (TEE), anche detti Certificati Bianchi, prima esperienza al mondo di applicazione di strumenti incentivanti e di creazione di un apposito mercato di scambio titoli per la promozione dell’efficienza energetica negli usi finali; - le Agevolazioni fiscali che, invece, riducono l’impatto dell’investimento iniziale, permettendone, anche se solo in parte, un recupero ai fini fiscali, nella misura del 55% per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici e nella misura del 36% per gli interventi di ristrutturazione edilizia ed il cosiddetto “Piano Casa” (al momento non è dato sapere se nel 2012 la misura della detrazione del 55% sarà prorogata, rimodulata o abbandonata).

Entrambi i meccanismi, nonostante abbiano esercitato sino ad ora un indubbio ruolo propulsivo, risentono del problema di “incentivare” primariamente interventi relativamente “piccoli” e con tempi di ROI (indice di redditività del capitale investito o ritorno degli investimenti) molto brevi, che rendono difficili quegli interventi strutturali che invece andrebbero messi in atto per raggiungere gli obiettivi che ci si è posti. Il Rapporto prende poi in considerazione le diverse soluzioni per l’efficientamento energetico, le cui conclusioni permettono di suddividere le tecnologie per il risparmio energetico in 3 categorie: - le tecnologie per cui la convenienza assoluta si ha già oggi in qualsiasi contesto di adozione (illuminazione, cioè lampade a basso consumo energetico; caldaie a condensazione, pompe di calore, caldaie a biomassa, ovvero in pratica le tecnologie per la climatizzazione degli edifici); - le tecnologie che risultano convenienti soltanto se adottate congiuntamente alla realizzazione di un nuovo edificio (per es. building automation, chiusure vetrate e gli elettrodomestici del freddo); - le tecnologie per cui, indipendentemente dal contesto di riferimento, non vi è “convenienza assoluta” dell’investimento (le tecnologie di generazione energetica da fonti rinnovabili e le soluzioni di efficienza energetica per gli elettrodomestici del lavaggio). Partendo anche da queste considerazioni e basandosi sulle stime di mercato associate alle diverse categorie tecnologiche, il Rapporto indica che il potenziale teorico di risparmio derivante dall’adozione di soluzioni di efficientamento energetico in Italia, da qui al 2016, è pari complessivamente a circa 44 milioni di TEP (tonnellate equivalenti di petrolio), senza tener conto di quanto fatto fino al 2011. “Così facendo - ha affermato Franco Frattini, anch’egli del Energy & Strategy Group, che ha proposto un’analisi delle soluzioni proposte dal Rapporto - si offrono al lettore gli

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strumenti per valutare dei ragionevoli scenari di sviluppo del comparto dell’efficienza energetica negli edifici in Italia e quindi di pianificare al meglio possibili investimenti e nuove attività di business, ed al legislatore la possibilità di progettare un sistema di supporto che sia coerente con le caratteristiche tecnologiche e di potenziale di ciascuna soluzione tecnologica”. Viene ribadito, inoltre, che la parte più consistente del potenziale di intervento risiede nel nostro parco edilizio residenziale: ben il 73% degli oltre 148 TWh elettrici complessivamente risparmiabili e l’88% dei quasi 654 TWh termici che possono essere il risultato di interventi di riduzione dei consumi sono infatti da imputarsi agli edifici residenziali. Se si guarda alle stime di penetrazione, invece, il Report conclude che l’impatto dell’adozione di tecnologie per l’efficienza energetica potrà ragionevolmente raggiungere i 21,5 milioni di TEP entro il 2016, ovvero un valore superiore di oltre il 30% alla soglia stabilita dal PAEE. In conclusione, quindi, l’Italia si configura come un paese all’avanguardia per l’efficienza energetica negli edifici, sebbene sia necessario superare le logiche di omogenea distribuzione delle risorse, a favore di una maggiore equità, ossia di una corrispondenza quanto più possibile aderente fra il peso della misura e l’effettivo contributo all’obiettivo che si intende realizzare. La presentazione del Rapporto si è chiusa con l’intervento di Davide Chiaroni sulle Energy Service Companies (ESCo), ovvero i soggetti deputati alla promozione dell’efficienza energetica negli usi finali, riconosciute come tali sia a livello europeo dalla Direttiva Europea 2006/32/CE sia a livello italiano dal suo recepimento con il Decreto Legislativo n. 115 del 30 Maggio 2008. A Settembre 2011 risultavano

essere oltre 1.900 le ESCo “accreditate” come tali presso l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (AEEG). Chiaroni ha sottolineato due aspetti in particolare: - l’estrema frammentazione degli interventi, con più del 50% dei progetti realizzati dalle ESCo, per i quali si è chiesta l’emissione di TEE, relativi a risparmi energetici inferiori a 200 tep/an.; - la frammentazione dell’offerta, con il volume d’affari generato che è “equamente” diviso fra un 5% di ESCo di grandi dimensioni ed il restante 95% di imprese medie e piccole (nel 60% con meno di 10 addetti). “Oltre ad evolvere nel loro rapporto contrattuale con il cliente, tuttavia, le ESCo - ha affermato Chiaroni - dovrebbero puntare di più sulla integrazione dei servizi offerti, con un pacchetto di tecnologie e soluzioni che rispondano in maniera sempre più specifica alle esigenze non solo di riduzione dei consumi, ma anche di generazione in loco di energia”. Come far diventare l’Italia un Paese all’avanguardia per l’efficienza energetica degli edifici, traducendo le sue potenzialità in benefici reali? La Commissione UE ha suggerito di procedere su due linee d’intervento: - incentivare il processo di ristrutturazione degli edifici; - promuovere il risultato esemplare della pubblica amministrazione, accelerando il rinnovo dei fabbricati pubblici e prevedendo elevati standard per quelli di nuova costruzione. Già, ma ad oggi, solo 4 Regioni (Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia e Piemonte) e le due Province autonome di Trento e Bolzano hanno introdotto obblighi specifici per la prestazione energetica degli edifici.

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Il risparmio di energia è una “fonte”!

DAL PROGETTO SELINA UNA GUIDA PER I CONSUMATORI

Quella lucina dei computer, dei televisori e degli altri dispositivi elettronici ed elettrodomestici, che ci permette di riaccenderli con un tasto di telecomando o di mouse, avendoli immediatamente funzionanti, non è innocua dal momento che è responsabile dell’11% dei consumi energetici e di un maggior costo sulla bolletta energetica di ogni famiglia di 60-70 euro. Questi consumi, infatti, derivano dagli alimentatori e dai sensori, che sono in attesa di un segnale da tastiere e display a LED e che indicano lo stato dell’apparecchio. È noto che il rapido tasso di crescita della domanda di servizi e di tecnologie di informazione e comunicazione, influenzerà la domanda di potenza elettrica delle apparecchiature e quelle con modalità stand-by e off rappresentano un elemento in rapida crescita (ad esempio le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, l’intrattenimento, i ricevitori digitali). È pure probabile che tutte le apparecchiature domestiche (compresi gli elettrodomestici bianchi) nel prossimo futuro saranno controllate da

apparecchiature elettroniche, e avranno quindi la capacità di comunicare con altre apparecchiature: questa situazione porterà ad un aumento del consumo di energia elettrica in modalità standby e off. La diffusione nell’Unione europea, negli ultimi quindici anni, dell’etichettatura e degli standard minimi di rendimento energetico ha stimolato le vendite di apparecchiature elettriche a maggiore efficienza energetica. Ciò nonostante si nota un rapido aumento dei carichi elettrici ed elettronici costantemente collegati alla rete elettrica. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) stima che, anche con la prosecuzione di tutte le politiche esistenti per l’efficienza degli apparecchi, il consumo di elettricità ad essi associato crescerà del 25% dal 2000 al 2020. La Direttiva europea 2005/32/CE, sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia, comunemente chiamata Direttiva EuP (Energy-using Products), rifusa, poi, nella Direttiva 2009/125/CE, denominata a sua volta Direttiva ErPs (Energy-related

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Products), aveva fissato dal 1° gennaio 2011 la soglia di 1 W di potenza assorbita per il consumo in stand-by degli elettrodomestici (2 W se la modalità stand-by serve ad illuminare un display informativo). Eppure, secondo la Campagna di misurazione SELINA (acronimo di Stand-by and off-mode Energy Losses In New Appliances measured in shops ovvero Misurazione, presso i punti vendita, dei consumi elettrici in stand-by e off-mode per le nuove apparecchiature), c’è circa un terzo dei prodotti oggi in commercio nei Paesi dell’UE che non rispetta quei limiti che, peraltro, dal 1° gennaio 2013 saranno dimezzati! Per l’Italia, al Progetto SELINA, che si e avvalso del supporto dell’European Commission’s Agency for Competitiveness and Innovation (EACI), all’interno del programma Intelligent Energy for Europe (IEE), ha partecipato il Gruppo di Ricerca sull’efficienza degli usi finali dell’energia (eERG) del Politecnico di Milano. Obiettivo principale del Progetto era una trasformazione nel mercato degli apparecchi domestici in modo da ridurne in modo sostanziale i consumi in modalità stand-by e off-mode, in maniera da: - aumentare l’efficienza energetica nel mercato degli apparecchiature; - rimuovere dal mercato le apparecchiature inefficienti; - dare contributi alla progettazione di azioni policy future che rinforzino le limitazioni in modalità off e standby; - incrementare la consapevolezza dell’importanza, per i rivenditori, delle specifiche dei prodotti; - influenzare il comportamento dei consumatori durante la selezione e l’utilizzo delle apparecchiature. A conclusione dei lavori, durati circa 2 anni, è stata redatta una “Guida per i consumatori sui consumi in standby” dal titolo perentorio: “Consumano


la tua elettricità: fermali!”, che contiene consigli utili per fare acquisti consapevoli e per ridurre i consumi delle apparecchiature stand-by. • Se non usi frequentemente un apparecchio, disconnettilo dalla corrente. • Usa una multi presa con interruttore, per raggruppare computer e periferiche o accessori per la TV: in questo modo è possibile spegnere veramente tutto. Ancora meglio, installa una multi presa che sgancia automaticamente gli apparecchi come l’“Auto power off plug”: in Danimarca ne hanno installate un milione. • Affitta o compera un wattmetro a basso costo, misura gli apparecchi di casa tua quando sono in stand-by e agisci di conseguenza per spegnere quelli che consumano di più. Sarai certamente sorpreso dalle tue scoperte. Questo esercizio può valere tanti risparmi quanto costa il misuratore. • Quando compri qualcosa, cerca i prodotti con uno stand-by ridotto (chiedi al rivenditore!). I prodotti EnergyStar® hanno uno stand-by inferiore. • Molti dei nuovi apparecchi audiovisivi sono connessi con la HDMI (High definition Multi media Interface), cavo che porta il segnale digitale audio e video. Negli apparecchi più moderni grazie a queste connessioni è possibile il controllo dello stand-by mediante protocolli sofisticati (Consumer Electronic Control). Questo tipo di apparecchi, grazie alla connessione HDMI CEC, va automaticamente

nella modalità stand-by meno energivora. Niente resta più acceso per sbaglio! Mettendo ad esempio la TV in stand-by, prodotti come lettori DVD, decoder e home theatre connessi con HDMI CEC vanno automaticamente in stand-by, a meno che l’utente li programmi in altro modo. La Guida si concentra principalmente sui consumi elettrici degli elettrodomestici nelle varie modalità di consumo minimo (da spenti, in stand-by attivo, in stand-by passivo). In ogni caso, si precisa che, per la maggior parte degli apparecchi, il consumo da accesi è molto più importante. Per informazioni migliori e continuamente aggiornate, si invita a visitare il sito web TopTen.info, che fornisce una selezione dei migliori prodotti dal punto di vista dei consumi di energia. Le informazioni contenute in TopTen sono rivolte ai consumatori (immagini, funzioni, calcoli semplici, disponibilità nel proprio Paese), sono neutrali (non sono influenzate dai produttori), sono rigorose e trasparenti (il metodo di selezione é spiegato sul sito web). Sono disponibili informazioni per 16 Paesi europei più USA e Cina, per oltre 100 categorie di prodotti. TV e Intrattenimento Consigli principali Spegni le console per i giochi, gli apparecchi audio, i videoregistratori e i registratori DVD se non li utilizzi. Anche se lasciati in stand-by, consumano energia (gli stereo di qualche anno fa

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e i videoregistratori consumano fino a 100 kWh = 20-25 euro l’anno). Le console per i giochi consumano durante il funzionamento tanto quanto in stand-by. Dalle misurazioni effettuate nel corso del Progetto SELINA, è stato riscontrato che ci sono differenze importanti tra il dato medio e il dato minimo di consumo in stand-by degli apparecchi (vedi grafico sottostante). Altri suggerimenti • Se stai per comperare un nuovo televisore, considera un modello LED, che consuma meno da acceso rispetto a modelli LCD e plasma della stessa dimensione. • Se stai per comperare una nuova TV, pensa bene alla sua dimensione: una TV più grande consuma più energia di una più piccola, in proporzione all’area dello schermo. • Assicurati di impostare la tua TV con tutte le possibili modalità automatiche di risparmio, come la sensibilità alla luce ambientale e la possibilità di disattivazione dello schermo, che solitamente non sono impostate dall’inizio. Controlla nel manuale i dettagli che permettono alla tua nuova TV di risparmiare energia. PC e Accessori Elettronici Consigli principali Spegni gli apparecchi di connessione alla rete quando non li utilizzi. Molti pensano che ci voglia molto per riconnettersi a internet dopo uno spegnimento, o che gli apparecchi


si rompano se li si accende e spegne ogni volta: è solo un mito. Spegnendoli, quando non serve la connessione ad internet, si potrebbero risparmiare circa un miliardo di euro in tutta Europa. Si potrebbero risparmiare 7 miliardi di kWh e 3,5 milioni di tonnellate di CO2 emessa. Secondo le misurazioni effettuate, ci sono differenze importanti tra il dato medio e il dato minimo di consumo in stand-by degli apparecchi (vedi grafico sopra). Altri suggerimenti • Usa le dita: spegni il monitor. Spegni il monitor se non lo devi utilizzare per un po’ di tempo. Spegnere il monitor non lo danneggia. • Aggiungi multiprese con interruttore o le cosiddette “stand-by killer”, che spengono tutte le periferiche. Con lo stand-by killer, la comodità per l’utente è massima. • Installa le funzioni di gestione dell’energia. Puoi impostare le funzioni di risparmio nel monitor, che lo mandano in sleep (o ibernazione) quando non lo si utilizza. Metti il computer in sleep, che salva automaticamente nell’hard disk tutti i

programmi aperti senza chiuderli. Grazie a questa opzione un computer usa tanta energia quanta ne consuma quando lo si spegne utilizzando il tasto on/off. Le vecchie versioni dei sistemi operativi hanno alcuni problemi nel ripartire dopo lo stand-by o l’ibernazione: salva sempre i file aperti prima di attivare lo stand-by o l’ibernazione per evitare problemi. Quando acquisti un computer, scegli un portatile, per risparmiare l’80% di energia. Rispetto ad un fisso avrai alcuni svantaggi: una minore potenza di calcolo e la necessità di una docking station per tastiera e mouse e di uno schermo esterno per un maggior comfort visivo nel caso di utilizzo per molte ore. Scegli i computer con etichetta EnergyStar®: potrai ridurre la tua bolletta di oltre 150 euro sull’intera durata di vita dell’apparecchio. Scegli un monitor piatto, e potrai risparmiare oltre il 50% dell’energia consumata. Sostituendo il tuo vecchio monitor CRT, otterrai una migliore qualità visiva. Alcuni schermi piatti non hanno un refresh rate

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adeguato per i giochi, ma è possibile trovare apparecchi per tutte le necessità. Elettrodomestici Consigli principali Le macchine da caffè espresso hanno enormi consumi in stand-by, fino a 60 kWh o 15 euro all’anno. Assicurati che la tua macchina espresso sia realmente spenta quando non la utilizzi (le buone macchine espresso hanno solitamente una funzione di spegnimento automatica). Secondo le misurazioni effettuate nel corso del Progetto SELINA, bisogna fare attenzione ai seguenti elettrodomestici (vedi grafico sotto). Altri suggerimenti • Assicurati sempre che la lavatrice, la lavastoviglie e l’asciugatrice siano spente dopo l’utilizzo e con lo sportello chiuso. In alcuni apparecchi, lasciando lo sportello aperto e l’apparecchio acceso, la modalità di funzionamento alla fine del ciclo assorbe alcuni Watt di potenza in più rispetto alla modalità da spento (in media circa 5 W o più).


AMBIENTE E SALUTE

Pubblicato lo Studio Epidemiologico sulla popolazione prossima ai SIN

S.E.N.T.I.E.R.I.: CONFERMATI INecessario RISCHI PER LA SALUTE e ineludibile il risanamento dei siti contaminati

Coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l’Università di Roma “La Sapienza”, il Centro Europeo Ambiente e Salute OMS, il Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio e l’Istituto di fisiologia clinica del CNR, nell’ambito del Programma Nazionale Strategico “Ambiente e Salute”, promosso dal Ministero della Salute, SENTIERI riporta i risultati dello studio, durato cinque anni, che ha analizzato il rischio per la salute della popolazione residente in prossimità di 44 dei 57 siti contaminati italiani, eufemisticamente conosciuti come Siti di Interesse Nazionale (SIN), localizzati 21 al Nord, 8 al Centro e 15 al Sud, e costituiti per lo più da zone industriali (attive o dimesse), porti, ex miniere, cave e discariche non a norma, compresi nel “Programma Nazionale di Bonifica”, per i quali si è proceduto ad una raccolta di dati di caratterizzazione e, successivamente, ad una loro sintesi.

Yes,’n’how many deaths will it take he knows That too many people have died? Bob Dylan - Blowin’ in the wind

“Sì, quante morti ci vorranno prima che egli [l’uomo] capisca che troppa gente è morta?”. Non sempre è possibile dare un significato compiuto ai testi delle canzoni di Bob Dylan, pertanto è difficile anche dare un senso alle motivazioni che hanno indotto i ricercatori del Gruppo di Lavoro che ha condotto lo Studio “SENTIERI”, di porre in epigrafe allo stesso il passo di una delle prime (1963) e più celebri canzoni di Bob Dylan. Divenuta negli anni ’60 l’inno dei movimenti pacifisti e per i diritti civili, la canzone che mette al centro della visionaria poeticità del settantenne cantautore folk la condizione umana e le capacità dell’uomo di porre fine alle

ingiustizie, accompagnò Martin Luther King nei comizi e le marce di protesta degli anni sessanta negli Stati Uniti. Ci piace credere, tuttavia, che quei versi vogliano riassumere il senso del lavoro svolto, più di quanto non emerga esplicitamente dal testo. Lo Studio, il cui acronimo sta per Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento, è stato presentato il 9 novembre 2011, in una sessione parallela del XXXV Congresso annuale dell’Associazione Italiana di Epidemiologia, svoltosi dal 7 al 9 novembre 2011 a Torino per celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il cui logo (uno stivale incerottato) e l’interrogativo che l’accompagna (Più vicini o più lontani?) sono indicativi del dibattito che si è incentrato a chiarire quali e quante siano le differenze nella salute e nel sistema sanitario dopo un secolo e mezzo di storia nazionale.

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Alcuni dati erano stati anticipati sia dal Rapporto “SIN Italy: la bonifica dei Siti di Interesse Nazionale”, presentato da Greenpeace il 7 ottobre 2011, sia dalla Dott.ssa Loredana Musumeci, Direttore del Dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell’Istituto Superiore di Sanità, nel corso dell’Audizione alla Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, avvenuta il 20 ottobre 2011. Pur, premettendo che in quella circostanza sul Progetto SENTIERI non poteva “rilasciare una documentazione in quanto la stiamo, appunto, per pubblicare. Si tratta di dati sensibili, anche in termini di comunicazione, per cui cerchiamo di andare contestualmente, regione per regione a spiegare il dato”, la Dott.ssa Musumeci forniva “in estrema sintesi le risultanze dello studio SENTIERI”. (ndr: la pubblicazione, infatti, è avvenuta in occasione del Congresso di Torino, come Supplemento n.4 del n. 5-6, settembre-dicembre della Rivista Epidemiologia & Prevenzione).


La maggior parte dei dati raccolti proviene dai progetti di bonifica ipotizzati per i diversi siti, da cui si evince che oggetto di caratterizzazione e di valutazione del rischio sono state prevalentemente le aree private industriali, quelle, cioè, ritenute causa delle diverse tipologie di inquinamento (definite in SENTIERI, esposizioni ambientali); mentre le aree pubbliche cittadine e/o a verde pubblico e le aree agricole comprese all’interno dei SIN sono state poco investigate. La mortalità è stata studiata per ogni sito, nel periodo 1995-2002, attraverso indicatori di mortalità calcolati per 63 cause singole o gruppi di cause, tenendo conto della letteratura scientifica internazionale e delle condizioni socio-economiche dei comuni in esame, mettendo a punto un metodo che tiene conto delle complessità e delle specificità ambientali. “SENTIERI conferma i risultati di alcune precedenti indagini relative alla mortalità nelle aree ad elevato rischio di crisi ambientale, mostrando che lo stato di salute delle popolazioni residenti nei siti esaminati appare risentire di effetti avversi più marcati rispetto alle regioni di appartenenza - ha affermato Enrico Garaci, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità - Deve essere tuttavia sottolineato il fatto che le cause di morte studiate, con rare eccezioni, riconoscono una molteplicità di fattori causali, peraltro non tutti noti. La mortalità osservata nei siti contaminati è risultata del 15% più elevata di quella della media regionale per le cause di morte correlate al rischio ambientale, ma sarebbe fuorviante e scientificamente poco valido affermare che ogni incremento della mortalità osservato possa essere attribuito all’inquinamento in uno specifico sito. Per questa ragione, in molti casi, gli elementi emersi dallo studio hanno condotto i ricercatori a formulare raccomandazioni per ulteriori studi di approfondimento”. Nel periodo 1995-2002 nell’insieme dei dodici siti contaminati da amianto (o di fibre asbestiformi) sono stati osservati un totale di 416 casi di tumore maligno della pleura, in eccesso rispetto alle attese. In sei siti con presenza di altre sorgenti di inquinamento oltre all’amianto, la mortalità per tumore maligno della pleura è in eccesso in entrambi i generi.

“La correlazione è certa però solo nel caso del mesotelioma pleurico da amianto. Per le altre malattie l’ambiente è uno dei fattori che ha concorso all’insorgenza della patologia - ha spiegato Pietro Comba, Direttore del Reparto di Epidemiologia Ambientale dell’Istituto Superiore di Sanità, rilevando che “lo studio ha mostrato un eccesso di mortalità complessivo di circa 1.200 casi l’anno, particolarmente evidente nei siti inquinati dell’Italia Meridionale”. Quando gli incrementi di mortalità riguardano patologie con eziologia multifattoriale, si legge nel Rapporto, e si è in presenza di siti industriali con molteplici ed eterogenee sorgenti emissive, talvolta anche adiacenti ad aree urbane a forte antropizzazione, rapportare il profilo di mortalità a fattori di rischio ambientali può risultare complesso. Tuttavia, in alcuni casi è stato possibile attribuire un ruolo eziologico all’esposizione ambientale associata alle emissioni di impianti specifici (raffinerie, poli petrolchimici e industrie metallurgiche). “Nei poli petrolchimici si sono osservati eccessi di morte per tumore polmonare e per malattie respiratorie non tumorali. Per questo dato l’attribuzione alla contaminazione ambientale pur non essendo certa risulta probabile - ha spiegato ancora Comba - sulla base della conoscenza degli specifici siti considerati sono stati inoltre individuati incrementi localizzati di mortalità per malformazioni congenite, malattie renali, malattie neurologiche e oncologiche riconducibili, sempre con criteri probabilistici, alle specifiche emissioni considerate. Altri dati significativi riguardano l’incremento di mortalità per linfomi non Hodgkin nei siti contaminati da PCB, mentre nei siti contaminati da piombo, mercurio e solventi organoclorurati è stato osservato un aumento delle malattie neurologiche”.

Logo realizzato da Linda Fabiani

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Viene, inoltre, ricordato che la presenza di eccessi di mortalità può indicare un ruolo di esposizioni ambientali con un grado di persuasività scientifica che dipende dai diversi specifici contesti; invece, un quadro di mortalità che non si discosti da quello di riferimento potrebbe riflettere l’assenza di esposizioni rilevanti, ma anche l’inadeguatezza dell’indicatore sanitario utilizzato (mortalità invece di incidenza) rispetto al tipo di esposizioni presenti, o dalla finestra temporale nella quale si analizza la mortalità rispetto a quella rilevante da un punto di vista dell’esposizione. Un grado di approfondimento simile sul rischio per la salute all’esposizione ambientale è stato inoltre apprezzato anche a livello europeo. “Questo studio ci ha consegnato uno strumento importantissimo per identificare le priorità sanitarie del risanamento ambientale, ed è molto significativo che questo progetto scientifico nasca da una strategia voluta dalle Istituzioni proprio a tutela della salute collettiva - ha affermato la Dott.ssa Musmeci - il nostro studio è risultato così innovativo, e così scientificamente rilevante che, anche a livello internazionale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ritenuto di adottare l’approccio metodologico da noi scelto per applicarlo a livello europeo. È la prima volta, infatti, che riusciamo ad avere una conoscenza sistematica a livello nazionale della mortalità connessa alle esposizioni ambientali nei siti inquinati italiani”. Senza essere allarmanti, i dati sono lì a testimoniare la necessità che quanto prima ed in modo efficace i SIN vengano bonificati, affinché, oltre a risanare l’ambiente dai danni subiti, si restituisca la tranquillità a quei 9 milioni di persone che vivono nei luoghi circostanti. Non vorremmo che la risposta continuasse solo a soffiare nel vento… Blowin’ in the wind!


In vigore la nuova Direttiva sulla Sicurezza dei Giocattoli

I DONI DI BABBO NATALE QUEST’ANNO SARANNO PIÙ SICURI Una Campagna Europea per sensibilizzare i consumatori

Arriva Natale e “Babbo Natale” è molto indaffarato: deve preparare la slitta, dare da mangiare alle renne, controllare la sua lista per non dimenticare qualche brava bambina o bambino… ma deve anche controllare che i giocattoli acquistati dai suoi folletti non siano solo divertenti, ma anche sicuri! Sicurezza e divertimento sono la combinazione vincente, ma nei fatti tutt’altro che scontata. La sicurezza di un giocattolo non dipende soltanto dal giocattolo di per sé ma anche dal suo utilizzo e dall’età del bambino cui è destinato. Quest’anno, tuttavia, per Babbo Natale sarà più facile: dal 20 luglio 2011 i giocattoli venduti nell’UE devono rispondere ai requisiti di sicurezza più rigorosi del mondo. Lo prevede la Direttiva 2009/48/CE sulla Sicurezza dei Giocattoli, recepita in italia dal D.lgs. 11 aprile 2011 n. 54 (G. U. n. 96 del 27 aprile 2011), definiti “prodotti

progettati o destinati, in modo esclusivo o non, a essere utilizzati per fini di gioco da bambini di età inferiore a 14 anni”. Le disposizioni ivi contenute prevedono di: - aggiornare continuamente i requisiti essenziali di sicurezza a cui devono rispondere i giocattoli immessi sul mercato, in particolare tramite l’applicazione di norme più rigorose per quanto riguarda i pericoli derivanti da alcuni profumi e sostanze chimiche usate nei giocattoli e sul rumore emesso dagli stessi (rispetto al vecchio regolamento che vietava l’uso di 8 metalli pesanti, con la nuova normativa ne vengono messi al bando 19); - introdurre una specifica previsione per i giocattoli contenuti (o incorporati) in alimenti, che devono avere un proprio imballaggio di dimensioni tali da impedirne l’ingestione e/o l’inalazione;

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- rafforzare le disposizioni sulle indicazioni d’uso dei giocattoli. Inoltre, la Direttiva costituisce il primo provvedimento conforme ai principi del nuovo quadro normativo sulla libera circolazione dei prodotti, previsti dalla Decisione quadro 768/2008/CE che comporta, tra l’altro, obblighi più rigorosi per: - i produttori che dovranno garantire che i giocattoli siano progettati e prodotti nel rispetto delle esigenze di sicurezza stabilite dalla Direttiva; - gli importatori che dovranno immettere sul mercato solamente giocattoli che rispettano le specifiche comunitarie; - distributori che dovranno agire con la dovuta diligenza in relazione ai requisiti applicabili. Infine, vengono rafforzate le disposizioni per garantire la sorveglianza sul mercato, dal momento che agli Stati membri viene richiesto di fare controlli adeguati sia alle frontiere dell’UE


che all’interno dell’Unione, comprese le ispezioni nei magazzini dei grossisti g per confiscare immediatamente mente i giocattoli pericolosi. Come già avviene ora, la conformità dei giocattoli immessi sul mercato alle disposizioni della Direttiva sarà evidenziata dall’apposizione della marcatura CE sul prodotto, che deve e essere apposta “in modo visibile, leggibile e indelebile sul giocattolo o su un’etichetta affissa o sull’imballaggio”. Una delle principali novità consiste nel ruolo riconosciuto dalla legge ge all’Organismo nazionale italiano di accreditamento creditamento (Accredia) che viene incaricato cato dell’attività di valutazione degli Organismi ganismi che si occupano di sicurezza deii giocattoli, per la loro successiva “notifica” tifica” alla Comunità Europea da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. mico. In questo modo viene appliplicato il Regolamento Europeo eo 765/08. Se, infatti, è sempre re

ni, realizzando una valutazione di sicurezza e assicurando la tracciabilità dei giocattoli,

il Ministero dello Sviluppo Economico l’autorità competente per il sistema delle notifiche alla Comunità Europea, la valutazione e la vigilanza sugli Organismi di valutazione che operano nell’ambito delle attività propedeutiche alla marcatura CE dei giocattoli da parte dei produttori, spetta ad Accredia. Il riconoscimento di questo ruolo, rappresenta un’ulteriore garanzia per le aziende che per marcare alcuni dei propri giocattoli devono e dovranno rivolgersi ad Organismi Notificati di cui potranno verificare, immediatamente e senza possibilità di errori, l’ambito di applicazione della relativa Notifica direttamente nella Banca dati “Nando”, avendo la certezza di operare in conformità alle regole europee previste per tale tipologia di prodotti. Se produttori, consumatori e distributori “prima di mettere un nuovo gioco sul mercato, dovranno identificare i pericoli e la potenziale esposizione dei bambi-

indicando il nome, l’indirizzo e il numero dell’articolo”, c’è anche un ruolo attivo che deve essere assolto dai genitori e parenti o amici, che devono prestare attenzione per capire se un giocattolo è sicuro o no per il bambino a cui è destinato. A tal fine, la Commissione UE ha presentato il 29 novembre 2011 la Campagna sulla sicurezza dei giocattoli: un videoclip, messo in onda da emittenti televisive europee, spiega il problema e delle cartoline con consigli per la sicurezza distribuite all’acquisto dei giocattoli completeranno l’opera di sensibilizzazione dei consumatori in tutta l’Europa. “Non è un caso che questa campagna venga lanciata durante il periodo natalizio, quando verranno comprati più giocattoli - ha dichiarato il Vicepresidente della Commissione UE e Responsabile di Industria ed imprenditoria Antonio Tajani - Quest’anno i giocattoli vendu-

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ti nell’UE saranno più sicuri che mai e ggrazie a q questa campagna i genitori potranno fare le scelte giuste per i loro figli. Mi rallegro del fatto che i mass media, nonché cen centinaia di negozi sparsi in tutta l’Union l’Unione europea, partecipino alla Campagna. M Ma, ovviamente la sicurezza è importante anche nel resto dell’anno; cerchiamo d dunque di non rendercene conto incide incidentalmente”. Quali sono i consigli utili da ricordare all’acquisto di giocattoli? Innanzitutto, non acquistare giocattoInnanzitutto li sprovvisti della marcatura CE, che garantisce iil rispetto di tutte le norme di sicur sicurezza dell’Unione europea, che ssono tra le più rigorose al mondo; quindi, non acquistare mon per bambini di età inferiore a 3 an anni giocattoli con parti piccole che possano staccarsi e provocare il soffocamento. pro È opportuno, inoltre, prestare attenzione alle avvertenze sulla sicurezza e a quelle relative ai limiti di età. Quando acquistate un nuovo giocattolo, assicuratevi che sia adatto all’età cur del bam bambino cui è destinato, al suo carattere, alle sue abitudini e al suo comportamento. Bisogna, poi, accertarsi che i giocattoli siano impiegati come dovrebbero e che siano adatti all’età e alle capacità del bambino. Tenere d’occhio i bambini mentre giocano garantisce la sicurezza ed è divertente. Si deve sempre acquistare i giocattoli presso rivenditori e siti web di fiducia: questi punti di vendita prestano particolare attenzione alla scelta degli articoli che rivendono e accetteranno eventuali restituzioni. È bene controllare con cura i giocattoli acquistati di seconda mano e quelli ricevuti da amici. Visto che non sono nuovi, rischiano di non soddisfare i requisiti di sicurezza attualmente in vigore. Infine, non si deve esitare a rivolgersi sempre al produttore o al rivenditore presso il quale si è acquistato il prodotto in caso di dubbi relativi alla sicurezza del giocattolo. Forse quest’anno la slitta di Babbo Natale conterrà meno giocattoli economici “cinesi”, ma quelli consegnati risponderanno a criteri di maggior sicurezza e salute.


SERVIZI AMBIENTALI

Consorzio PolieCo

ALLA RICERCA DI TECNOLOGIE E STRATEGIE INTEGRATE PER LA GREEN ECONOMY Dal mondo del Riciclo arriva l’imput per la costruzione di un nuovo modello di sviluppo di Alberto Piastrellini

Fra le risultanze scaturite dal III Forum Internazionale PolieCo sull’Economia dei Rifiuti, c’è stata la presa di coscienza delle Istituzioni, del mondo accademico, del Legislatore e delle Forze dell’Ordine della drammatica situazione che le aziende virtuose di riciclo da anni denunciano: la sistematica posizione di rinuncia che l’Italia ha assunto negli ultimi dieci anni relativamente alla questione dei riciclo dei materiali (siano essi i semplici rifiuti urbani, siano i più difficili e poco tracciabili rifiuti speciali ed industriali). In quell’occasione, uno Studio del PolieCo (Consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene) e condotto dall’Università di Roma “Tor Vergata”, aveva palesato la nuova “geografia del flussi di materiali”, evidenziando come dinamiche poco chiare e borderline rispetto alle norme vigenti, stanno facilitando sempre più la migrazione dei rifiuti verso Paesi in via di sviluppo dove si applicano condizioni di lavoro estreme, ma, di contro, vi sono costi di gestione vantaggiosi quandunque deleteri per l’ambiente, per la salute e la dignità delle persone. Facile immaginare come, in un sistema di sviluppo economico che punta tutto sul guadagno e poco sull’etica, tali prospettive inducano persone poco serie ad approfittare della situazione togliendo materiali e possibilità di guadagno a chi, con fatica, persegue con pervicacia la volontà di riciclare in Italia, garantendo prodotti e processi equi e sostenibili. Sempre in quell’occasione, un secondo Studio del PolieCo ha confermato come è ormai consolidato l’interesse, da parte dei consumatori, verso i prodotti cosiddetti “verdi” e quelli derivanti dal riciclo in generale. Purtroppo, per le dinamiche di cui sopra (tante indagini delle Forze dell’Ordine, della Magistratura e dell’Agenzia delle Dogane lo hanno confermato, così come la stessa stampa nazionale ne ha più volte dato notizia), non si può avere la totale sicurezza

di come e dove molti manufatti derivanti da materiali riciclati siano stati prodotti. “Di qui la necessità di addivenire ad una tracciabilità univoca dei prodotti riciclati – afferma Claudia Salvestrini, Direttore del Consorzio PolieCo – una tracciabilità che evidenzi non solo la bontà dei prodotti e dei processi made in Italy ma che funga altresì da garanzia per il consumatore per il quale quei processi e quei prodotti significano: meno traffico di rifiuti, ottimizzazione degli scarti, valorizzazione dei materiali derivanti da processi locali, minimizzazione dei consumi di materie prime, occupazione e sviluppo nel territorio italiano”. “Non si tratta di invogliare le imprese ed il mercato ad una chiusura autarchica - sentenzia il Presidente PolieCo, Enrico Bobbio - piuttosto di agire a livello locale pensando alla globalità degli effetti, ovvero, costruire un nuovo modello di sviluppo che tenga conto di tutti i valori in gioco, (sociali, economici, ambientali) puntando realmente alla green economy”. Il PolieCo, forte della sua ultradecennale esperienza nel settore del riciclo delle materie plastiche (PE, in particolare), si candida, quindi, ad essere soggetto di stimolo per una green revolution nel comparto del riciclo operando attivamente per costruire un gruppo di imprese, Associazioni, Università interessate veramente alla green economy. Da discussioni e Tavoli di confronto svoltisi presso la Presidenza è emerso il seguente Quadro rispetto alla situazione attuale: • le economie mondiali da un decennio si confrontano con molteplici condizioni di crisi: clima, biodiversità, energia, cibo e, negli ultimi anni, la crisi del sistema finanziario globale; • il modello di sviluppo che ha portato al manifestarsi di tali condizioni di crisi, ha prodotto un impoverimento, spesso irreversibile, delle

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risorse (fisiche, ambientali ed umane) a disposizione delle generazioni presenti e future; a livello globale si è ormai affermata la convinzione che un nuovo modello di sviluppo è possibile, basato sulla utilizzazione responsabile delle risorse e sul rispetto dell’ambiente, all’interno di un approccio “verde” all’economia; tale approccio è condiviso, tra gli altri, dalla Comunità Europea che, nella “Strategia per l’Europa al 2020” adotta un obiettivo di crescita basato sulla conoscenza, sulla sostenibilità e sulla inclusività; l’affermazione di un modello di economia verde richiede però che si promuovano misure economiche, legislative, tecnologiche e di educazione, le quali si pongano come obiettivo la riduzione del consumo di energia e di risorse naturali, l’abbattimento delle emissioni di gas serra, la riduzione dell’inquinamento, la riduzione ed il tendenziale azzeramento di ogni tipo di rifiuto e la promozione di modelli di produzione e consumo sostenibili; il quadro normativo vigente nel nostro Paese non contiene sufficienti elementi di coerenza con le nuove prospettive di sviluppo, e presenta inoltre numerosi elementi di confusione che troppo spesso rimandano ad interpretazioni diversificate, in tal modo generando incertezza nel confronto con i partners del mercato internazionale; le imprese che operano in Italia nei settori produttivi rilevanti per lo sviluppo di un modello economico “verde” hanno interesse ad adottare le misure che mettano in grado le stesse imprese di concorrere nel nuovo mercato globale; i vecchi schemi di aggregazione e rappresentanza industriale, principalmente legati all’economia tradizionale del petrolio, delle materie prime e della finanza, non sono più in grado di veicolare le istanze


delle imprese che intendono operare nella nuova prospettiva verde tracciata dalla UE, né di sostenere i loro bisogni di innovazione. In questo frangente è necessario stimolare la nascita di qualcosa di nuovo che sia di stimolo e rappresentanza nel comparto produttivo del Paese. “Stiamo cercando di mettere insieme il meglio del made in Italy nei settori della ricerca e applicazione di tecnologie e strategie integrate per il conseguimento degli obiettivi della green economy - afferma il Direttore Salvestrini - imprese certificate ed autorizzate che, a pieno titolo sappiano offrire il loro modello quale esempio virtuoso che etica d’impresa, profitto e ambiente possono andare d’accordo”. In questo senso, un primo, interessante stimolo, arriva da una Società consorziata PolieCo, SMP Sas di Sfrecola Gianluca & C.s.a.s. che ha sviluppato una strategia di tracciabilità dei rifiuti attraverso un microchip RFID applicato ad un normale sacchetto per la spazzatura. A parlarcene è il dott. Gaetano Giannini, dell’Ufficio Appalti, Gare e Vendite della Società. “La Società ha conseguito in oltre cinquant’anni di storia un’ottima posizione sul mercato nazionale ed estero nel settore della produzione di sacchi a rotolo per R.S.U. e Raccolta Differenziata, prodotti made in Italy con il valore aggiunto del materiale di partenza riciclato (siamo infatti in possesso della certificazione “Plastica seconda vita” accanto alla UNI EN ISO 9001/2008)”. “Con una produzione annua che supera le 6.000 tonnellate, i nostri prodotti sono acquistati dai Comuni che promuovono la raccolta differenziata, dai Consorzi di raccolta e smaltimento, dalle Municipalizzate e dalla Grande Distribuzione commerciale”. “Tornando all’oggetto di questa breve intervista, vorrei ricordare che nell’ultimo anno abbiamo prodotto un nuovo sacchetto per RD, denominato Radio Bag dotato di un trasponder a tecnologia RFID (Identificazione a radio frequenza) che consente, attraverso un apposito dispositivo portatile, di veicolare tutta una serie di informazioni circa l’utente e monitorare, altresì, il percorso del rifiuto dal deposito in cassonetto, sino all’arrivo presso il centro di sele-

zione/trattamento”. “Dal momento che il tag è collegato ad una utenza specifica, in collaborazione con la società che ha implementato il software di “dialogo”, si è pensato di proporre un meccanismo di incentivazione per i cittadini più virtuosi”. “Il Sistema è già stato felicemente sperimentato nella Regione Marche, nel Comune di Petriolo (MC), grazie al lavoro del locale Consorzio Obbligatorio di Smaltimento Rifiuti della Provincia di Macerata (COSMARI) che, in occasione di ECOMONDO ha presentato i dati della sperimentazione, piuttosto incoraggianti, infatti in pochi mesi un Comune che già aveva superato il 70% di RD, grazie a questo sistema di responsabilizzazione dei cittadini, è arrivato a superare l’83%”. “Ovviamente ci preoccupiamo della produzione dei sacchetti e dell’applicazione del microchip (che viene totalmente recuperato in fase di smaltimento), tuttavia, lavorando in collaborazione con le società che producono i software appositi, possiamo prevedere, per gli Enti che ce lo dovessero chiedere, l’implementazione e l’interazione con i locali sistemi di monitoraggio”. Ndr. Per maggiori informazioni sul sistema RFID e sulla sperimentazione del COSMARI a Petriolo, si veda l’articolo “Innovazione e collaborazione per la crescita del territorio”, pubblicato nel supplemento Ambiente Marche News alle pagg. XIV-XV) “Credo che la disseminazione di informazioni circa le buone pratiche in atto e le innovazioni tecnologiche a supporto di un nuovo modello di sviluppo economico sia la strada giusta per realizzare la vera green economy afferma il Direttore di PolieCo, Claudia Salvestrini - da alcune settimane stiamo lavorando per limare gli ultimi particolari relativi ad un nuovo organismo cui intendiamo dar vita mettendo insieme il meglio dell’imprenditoria green del Paese”. E Regioni & Ambiente, ovviamente, sarà in prima fila per raccontare ai Lettori tutti gli sviluppi al fine di contribuire, attraverso la comunicazione, alla realizzazione di un’idea veramente sostenibile.

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SMP Sas di Sfrecola Gianluca & C. S.a.s. Da più di quarant’anni SMP Sas è un soggetto protagonista nel delicato settore delle materie plastiche e, in particolare, della produzione di sacchettame anche a partire da polietilene riciclato. Dal 1963, grazie alla lungimiranza del Cavaliere del Lavoro, Cosimo Damiano Sfrecola, fondatore dell’Azienda, ad oggi, quando a muovere le fila ci sono i fratelli Damiano e Gianluca, terza generazione Sfrecola alla guida della SMP, la Società di Barletta, ha saputo sempre rinnovarsi grazie a investimenti mirati e all’esperienza maturata dai propri tecnici. Diversificare la produzione per la SMP ha significato offrire maggiori servizi mantenendo inalterata la cura della lavorazione. L’azienda produce, avvalendosi delle tecnologie più avanzate, sacchi in polietilene e in Mater-Bi® di qualsiasi spessore e dimensione; shoppers in bassa o media densità con stampa anche in quadricromia e soprattutto rotolini a strappo per nettezza con maniglie o laccetti laterali in confezioni personalizzabili fino a 10 colori. La capacità produttiva è superiore a 500.000 Kg al mese. SMP è: uno staff giovane e in continua crescita, un gruppo consolidato che ha sposato appieno la missione di un’azienda che ha saputo col tempo scommettere su se stessa, rafforzando la propria posizione sul mercato (in Italia e all’Estero). In SMP affidabilità fa rima con precisione; professionalità fa da controcanto a specializzazione. Nel petto della SMP batte inoltre un cuore “verde”, poiché, da anni, impiega anche materiale “rigenerato” ottenuto dalla lavorazione di scarti industriali in polietilene opportunamente trattati. La produzione di rigenerato è nelle mani di Rigenera, azienda monoprodotto sempre della famiglia Sfrecola: con una capacità produttiva pari a 800.000 Kg mensili, la RIGENERA assicura l’intero fabbisogno della SMP, garantendo una programmazione oculata e indipendente da fattori esterni.


A COME AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE, AMBIENTE

Presentata da Coldiretti l’Indagine sull’impatto della crisi sulla borsa della spesa

ALIMENTARI: MENO SPRECHI, PIÙ PRODOTTI IDENTITARI Novità anche nell’aspetto cromatico

Nella splendida cornice di “Villa d’Este” a Cernobbio sul Lago di Como, si è svolto il 21 e 22 novembre 2011 l’XI Forum internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, organizzato da Coldiretti, in collaborazione con lo Studio Ambrosetti, che costituisce l’appuntamento annuale del settore, riunendo i maggiori esperti, opinionisti, ed esponenti del mondo accademico nonché rappresentanti istituzionali, responsabili delle forze sociali, economiche, sindacali e politiche nazionali ed estere. Al centro dei lavori di quest’anno è stato il contributo del made in Italy agroalimentare alla crescita del Paese, con la presentazione di studi, esperienze concrete ed esposizioni innovative.

to l’impatto della crisi sui consumi, la qualità e la sicurezza dei cibi acquistati dagli italiani. I dati più salienti che sono emersi sono stati che: - gli italiani limitano di poco le spese per i generi alimentari, soprattutto rispetto ad altri acquisti e necessità; - sprecano di meno a tavola; - dedicano maggior tempo per fare una spesa più oculata; - continuano a prediligere i prodotti di qualità.

diretti - se il 49% dichiara di riuscire a pagare appena le spese senza permettersi ulteriori lussi e addirittura un 5-10% non è in grado di garantirsi il minimo indispensabile, c’è un 42% che afferma di vivere serenamente senza particolari affanni”.

Nel corso dei lavori è stata presentata il 21 ottobre 2001 l’Indagine “Gli Italiani e l’Alimentazione al tempo della crisi”, inchiesta realizzata nel mese di ottobre da Coldiretti e da SWG, la società di sondaggi che si occupa di indagini di mercato, che ha verifica-

Sebbene l’89% degli italiani ritiene che la situazione economica del Paese sia negativa, oltre la metà (53%) giudica positivamente il bilancio della propria famiglia. “Una situazione che è confermata dal fatto che - come sottolineato da Col-

dove a causa degli sprechi dal campo alla tavola viene perso cibo per oltre dieci milioni di tonnellate - ha affermato il Presidente della Coldiretti Sergio Marini, sottolineando l’importanza del recupero di sensibilità nei confronti del cibo e del suo valore, soprattutto in un

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Relativamente al fatto che il 57% degli italiani ha ridotto lo spreco di cibo per effetto della crisi, “Si tratta di una tendenza positiva in un Paese come l’Italia


mondo dove - La globalizzazione dei mercati, a cui non ha fatto seguito quella della politica, ha portato a un deficit di responsabilità, di onestà e di trasparenza che ha generato la crisi internazionale e ha drammaticamente legittimato la derubricazione del tema cibo fino a farlo considerare una merce qualsiasi, come fosse un aspirapolvere o un frigorifero”. Dopo anni, invertendo una tendenza che durava da molto a far spesa velocemente, aumenta il tempo dedicato dalla maggioranza degli italiani (55%) alla scelta dei prodotti alimentari, nei

confronti della quale ben il 72% dichiara di prestare una maggiore attenzione rispetto al passato. In Italia, la tavola è una componente importante della spesa familiare con un valore per famiglia che è stato di 467 euro al mese nel 2010, pari al 19% rispetto al 19,1% destinato a trasporti, combustibili ed energia. Se è naturale che in tempo di crisi ben il 61% confronti con più attenzione i prezzi e il 59% guardi alle offerte 3x2, è interessante verificare che ben il 43% si accerta della qualità dei prodotti e una percentuale analoga verifica la provenienza. “Un risultato che mette in evidenza una tendenza alla ricerca del miglior rapporto prezzo qualità per l’alimentazione davanti alla vastità dell’offerta sugli scaffali - ha affermato Marini Non è un caso, infatti, che solo il 16%

degli italiani dichiari di aver ridotto la spesa o rimandato gli acquisti alimentari, una percentuale superiore solo alle spese per i figli [9%]”. Il 25% degli italiani ha aumentato nel 2011 la frequenza dei discount, mentre, all’opposto, ben il 38% ha ridotto la propria presenza nei negozi tradizionali che rischiano un vero crack, mentre tengono sostanzialmente i supermercati. Un fenomeno di riduzione significativa dei negozi tradizionali determina anche evidenti effetti negativi legati alla riduzione dei servizi di prossimità, ma un indebolimento del sistema relazionale, dell’intelaiatura sociale e spesso anche della stessa sicurezza sociale dei centri urbani.

Tengono, comunque, i prodotti di qualità: quasi un italiano su tre (29%) acquista regolarmente prodotti a denominazione di origine; il 14% quelli biologici e il 15% direttamente dal produttore. Questi dati confermano che “la crisi non incide sul bisogno di sicurezza alimentare dei cittadini che continuano ad esprimere un forte interesse per le produzioni ad elevato contenuto salutistico, identitario e ambientale - ha affermato il Presidente di Coldiretti, precisando che - esiste in realtà una polarizzazione nei comportamenti. Chi ha disponibilità di reddito ed è un consumatore attento alla qualità e alla tipicità consolida i propri stili mentre

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chi si trova in difficoltà è spesso costretto a rinunciare”. Resta alta, nonostante la crisi, l’opposizione agli organismi geneticamente modificati (OGM) che sono considerati meno salutari dal 60% degli italiani (il 16% non risponde o afferma di non essere informato) che per il 43% dichiarano pure di controllare abitualmente le etichette per accertarsi della qualità e della provenienza dei prodotti. “La cucina e i piatti della tradizione italiana sono l’aspetto più rappresentativo dell’identità nazionale per il 46% degli italiani che li ritengono più significativi della cultura (37%), della moda (9%), del calcio (5%) e della scienza e tecnologia (3%) - ha sottolineato Marini, ricordando che - L’Italia è l’unico Paese al mondo che può contare anche sulla leadership nel numero di imprese biologiche e nell’offerta di prodotti tipici con ben 229 denominazioni di origi-

ne, riconosciute a livello comunitario, e 4.606 specialità censite dalle regioni, mentre sono 511 i vini a denominazione di origine controllata (DOC),


Ma c’è stata un’altra verifica delle modifiche intervenute nei comportamenti degli italiani, che hanno introdotto nelle borsa della spesa e sulle tavole una “rivoluzione cromatica”. Infatti, la mattina del 22 novembre a “Villa d’Este” è stata inaugurata l’esposizione “Dalle patate blu al peperone nero, la spesa degli italiani cambia colore” che ha messo in Mostra alcuni prodotti di colore diverso da quello a cui siamo abituati a vedere, del tutto naturali che non sono il frutto di una selezione biotech, ma simboli della ricchezza di biodiversità presente nel territorio nazionale, dei quali il famoso nutrizionista Giorgio Calabrese ha spiegato le esclusive caratteristiche e proprietà salutistiche e nutrizionali, legate proprio al loro differente ed insolito colore.

dei radicali liberi e quindi l’invecchiamento; - il basilico rosso che, grazie alle piccole foglie purpuree, ha notevoli proprietà antistress ed è un potente stimolante e risulta ottimo per aromatizzare pesce e verdure o per fare un pesto un po’ inconsueto; - le spiritose coste di bieta colorate dalle sfumature gialle, rosse, arancioni e fucsia, che durante la cottura non perdono la colorazione e possono rallegrare anche i piatti più monotoni; - il cavolfiore viola dalle notevoli proprietà antiossidanti utilissimo per contrastare l’invecchiamento cellulare di grande impatto visivo e quello verde, parente del cavolfiore bianco, che non essendo stato racchiuso tra le foglie ha sviluppato la clorofilla, importantissima per la produzione di emoglobina;

altamente digeribili ed ha anche un basso indice glicemico, straordinario se cucinato in insalata con il pesce e l’insolito riso rosso che grazie al suo colore contiene un’ottima percentuale di ferro, di magnesio e di fosforo; - il mais bianco perla con granella vitrea dal quale si ricava una farina bianco candido, ottima se abbinata a formaggi e salumi o fritta, ma anche mangiata qualche giorno dopo rafferma al posto del pane e il mais nero dalle pannocchie molto piccole e ricoperte da grani di colore nero che risultano ricchissimi di preziosi antiossidanti come la zeaxantina; - il sedano rosso che si distingue dagli altri sedani per il caratteristico color rubino alla base delle coste; - il cece nero che grazie alla sua buccia sottile, vellutata e nera risulta altamente proteico e ricco di ferro;

Sono stati così offerti alla vista dei partecipanti al Forum: - il peperone nero, dal particolarissimo color notte e dalla forma quadrata, molto ricco di capsicina, vitamine e antiossidanti; - la patata blu del Trentino che grazie alla sua polpa blu mare è ricchissima di antociani che migliorano la vista e prevengono il deposito di colesterolo sui vasi sanguigni e risulta di grande effetto se trasformata in un divertente purè blu; - la carota bianca dal color latte e sapore dolciastro, considerata un reperto di archeologia orticola e quella viola dal colore scuro, quasi nero che ha un contenuto di antociani 28 volte maggiore di quelli contenuti nelle carote arancioni, importantissimi per contrastare l’azione

- il pomodorino giallo, poco più grosso di una ciliegia, che è saporitissimo e dolcissimo e che grazie al suo giallo intenso risulta ricchissimo di vitamina C, utile per rafforzare le difese del sistema immunitario; - la melanzana rossa della Basilicata piccola e tondeggiante come un pomodoro, di colore arancio tendente al rosso ricchissima di licopene e antocianine che prevengono le malattie cardiovascolari e limitano lo sviluppo dei tumori e quella bianca che, non avendo i pigmenti color viola tipici dell’ortaggio, può essere tranquillamente mangiata con la buccia che risulta poco coriacea, più morbida e quindi più digeribile; - il riso venere dal colore viola scuro, quasi nero e dal profumo di pane appena sfornato, che contiene amidi

- il peperoncino giallo che somiglia ad una piccola mela, ha effetto depurativo ed è estremamente piccante, esattamente come il peperoncino nero.

controllata e garantita (DOCG) e a indicazione geografica tipica (IGT)”.

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Questi prodotti sono stati abbandonati per la minor resa, ma potrebbero essere riscoperti se ci fosse interesse del mercato. Tra l’altro sono prodotti “rustici” più resistenti ai parassiti, e quindi coltivabili con i soli concimi naturali “È possibile rispondere alle nuove esigenze del mercato senza ricorrere a metodi innaturali - ha osservato Marini - Questo trasferimento delle innovazioni dal campo alla tavola è più facile quando è più diretto il rapporto tra produttori e consumatori”.


POLITICA AGRICOLA COMUNE: ITALIA A RISCHIO RISORSE Dalla proposta della Commissione emergono più ombre che luci di Paolo Russo Presidente della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati

Lo scorso 12 ottobre 2011 la Commissione europea ha presentato un progetto di riforma della Politica Agricola Comune (PAC) per il periodo 2014-2020 nel quadro della strategia Europa 2020. Per l’agricoltura italiana si tratta di luci ed ombre: a risorse invariate si tratta di un congelamento dello stanziamento del periodo 2007-2013, quindi di una riduzione a prezzi costanti anche se, così intesa, la riduzione secca del 12,5% sarebbe mitigata da 15,5 miliardi aggiuntivi per l’agricoltura, ma allocati in altre “rubriche”. La prima criticità è evidentemente rappresentata dal pagamento per ettaro con un meccanismo di allineamento che in modo graduale, ma a partire comunque dal 2014, consentirà agli Stati che sono sotto il 90% della media europea di recuperare il gap a scapito dei Paesi che, come l’Italia, sono invece sopra la media. A conti fatti il meccanismo proposto comporterebbe una riduzione di circa 200 euro per ha: un risultato migliore rispetto a Grecia, Olanda e Belgio, ma sicuramente peggiore di Francia e Germania, Paesi questi ultimi che rappresentano i nostri maggiori competitori su molti prodotti agroalimentari. In termini complessivi si avrebbe, dunque, un calo di risorse corrispondente al 17% ripartito tra il 12% del mancato adeguamento all’inflazione e il 5% derivante dai meccanismi di convergenza dei pagamenti diretti del primo pilastro. Quello di cui non si tiene conto è il valore delle produzioni e quello spendibile per ha, misconoscendo così gli investimenti in innovazione, tecnologia, ricerca e, soprattutto, la sapiente azione dell’uomo, dell’agricoltore. Non si considera che, a furia di divaricare eccessivamente la contribuzione dal rientro di risorse nel Paese, si rischia un affievolimento dello spirito europeista. L’Italia è un Paese contributore netto, oltre che fondatore dell’Unione europea. La riforma prevede, poi, aiuti al reddito più mirati e destinati ai soli agricoltori attivi: anche in questo caso sarà necessario introdurre un criterio oggettivo per individuarne le caratteristiche. Il

progetto di modifica della PAC si concentra su: strumenti di gestione delle crisi, prevedendo una riserva del 30% dei pagamenti diretti alle pratiche che consentono la diversificazione delle colture e la conservazione dei pascoli permanenti; salvaguardia delle riserve ecologiche e del paesaggio; ulteriori finanziamenti per la ricerca e l’innovazione; interventi di sostegno per le organizzazioni di produttori e sviluppo delle filiere corte; incentivi per l’insediamento di giovani agricoltori e per l’occupazione rurale, con particolare riguardo alle iniziative di sviluppo locale; semplificazione di diversi meccanismi della PAC, in particolare i requisiti di condizionalità e i sistemi di controllo. Presupposto della riforma è la definizione delle risorse assegnate alla politica agricola, sia come ammontare complessivo, sia dal punto di vista dei tempi in cui questi fondi saranno effettivamente disponibili. L’Italia potrà da una parte ragionevolmente sostenere che il numero di ettari considerati è inferiore di circa il 5% di quelli reali e, al contempo, saprà al meglio valorizzare le potenzialità intrinseche alle procedure decisionali, a seguito del trattato di Lisbona, a partire dalle precipue competenze del Parlamento Europeo. Il 20 ed il 21 ottobre il Consiglio dell’agricoltura ha affrontato il tema, ma si è ben lontani dal trovare una soluzione condivisa o largamente accettata. Le questioni oggetto di valutazione, trattativa o braccio di ferro, indispensabili per la nostra agricoltura rimangono, a cominciare dalla regionalizzazione dei pagamenti diretti, che comporterà per l’Italia marcate difficoltà nella definizione delle aree omogenee e della conseguente redistribuzione tra i propri agricoltori. Anche il cosiddetto greening e il connesso obbligo di diversificazione delle colture, appare concepito in modo non coerente con l’agricoltura intensiva e mediterranea e con i valori ambientali ad essa propri. Sarei curioso di capire come si concili questo strumento, per esempio, con le colture arboree tipiche del Mezzogiorno, come si applichi a determinati tipi di agricoltura, come quella biologica ovvero come sia stato valutato l’impatto sulle piccole aziende. Per quanto riguarda la definizione di agricoltore attivo, mentre appare condivisibile la scelta di riservare le risorse a chi fa agricoltura sul serio, è opportuno lasciare agli Stati membri la possibilità di rendere la definizione coerente con l’assetto della propria agricoltura, come già previsto in precedenza in via facoltativa; In ogni caso la misura che l’Italia avverte in misura molto sensibile è sicuramente rappresentata dalla necessità di prevedere strumenti capaci di incentivare l’aggregazione delle imprese e, per questa via, la loro capacità di stare sul mercato e di competere in condizioni adeguate. L’imperativo, insomma, sarà uno soltanto: un’agricoltura non arcaica, rispettosa del passato e delle tradizioni, ma anche moderna ed innovativa soprattutto nella capacità di fare utile di impresa e di salvaguardare la qualità.

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Pubblicato il nuovo Regolamento UE sull’Etichetta Alimentare

MIGLIORI INFORMAZIONI SUGLI ALIMENTI PER I CONSUMATORI Cambiano, seppur con gradualità, le norme comunitarie

Renato Guttuso. Vucciria (1974) olio su tela, dimensioni 300×300 cm Dopo un braccio di ferro tra le istituzioni europee durato ben 4 anni, è stato pubblicato sulla GUUE del 22 novembre 2011 il nuovo Regolamento (UE) n. 1169 del 25 ottobre 2011 sulla “Fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori”. Di certo le ultime emergenze alimentari verificatesi nel 2011 hanno dato un contributo per giungere ad un compromesso, ma ci piace pensare che la decisione italiana di promulgare la Legge n. 4/2011 “Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari” (cfr: “Finalmente è legge l’etichettatura degli alimenti!”, in Regioni&Ambiente, n. 3 marzo 2011, pagg. 34-41) abbia in qualche modo sollecitato

Parlamento europeo, Consiglio e Commissione UE a giungere ad una conclusione sull’annosa questione. La nuova normativa, sostitutiva della vecchia Direttiva del 1979, intende fornire risposte e soluzioni per permettere ai consumatori di prendere decisioni con maggior consapevolezza allorché acquistano i prodotti alimentari, anche se si deve osservare che i produttori avranno un periodo transitorio di 3 anni per adeguarsi e addirittura la dichiarazione nutrizionale obbligatoria dovrà essere applicata entro un periodo di 5 anni dall’entrata in vigore del Regolamento (12 dicembre 2011). Le novità sono rilevanti, a cominciare proprio dalla Tabella

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nutrizionale che dovrà essere presentata in etichetta, in un unico campo visivo e, ove lo spazio lo consenta, in forma tabulare. Essa comprenderà le informazioni sulle caratteristiche di sette elementi: valore energetico; grassi; acidi grassi saturi; carboidrati; proteine; zuccheri e sale. I valori dovranno essere espressi in 100 gr. o 100 ml. di prodotto e potranno, inoltre, essere espressi come percentuale dell’assunzione di riferimento (quantità giornaliera indicativa o GDA). Si potrà utilizzare altri schemi come i semafori, attualmente diffusi in Gran Bretagna, solo se di facile comprensione. Viene introdotto l’obbligo di garantire la leggibilità dei caratteri che non dovranno essere inferiori ad una dimensione standard (minimo 1,2 mm. con riferimento alla x minuscola e 0,9 mm. per le confezioni più piccole, con una superficie inferiore a 80 cm2). La nuova legislazione, inoltre, rende più severe le disposizioni in tema di informazione su sostanze che causano allergie e intolleranze, per maggior protezione della salute dei consumatori allergici, visto che tali sostanze dovranno essere evidenziate in grassetto o con colori. Le informazioni relative alle sostanze allergizzanti andranno fornite sia per i cibi confezionati che per quelli non preconfezionati, compresi gli alimenti venduti nei ristoranti e caffè, visto che dai dati in possesso della Commissione UE risulta che il 70% degli shock anafilattici si verifica quando si consumano pasti fuori casa. Nel caso in cui gli alimenti siano venduti a distanza, è fatto obbligo di rendere disponibile prima della conclusione della transazione la maggior parte delle informazioni richieste in etichetta e di riportarle, comunque, in etichetta e di riportarle sui supporti alla base della vendita a distanza (pagina web o catalogo) o diffonderle in altri modi appropriati. Se l’imballaggio del prodotto alimentare è di dimensioni molto ridotte (meno di 25 cm2), la dichiarazione non è richiesta; tuttavia, il nome, gli allergeni, la quantità netta e la data, entro la quale il prodotto va consumato, devono vono sempre essere indicati sull’imballaggio, indipendentemente mente dalle sue dimensioni. Per quanto riguarda, invece, i prodotti di pasticceria, a, panetteria e gelateria, l’elenco degli ingredienti può essere ssere riportato su un unico e apposito cartello tenuto ben in vista. Lo stesso vale per le bevande vendute a spillatura; anche in questo caso il cartello identificativo può essere applicato licato direttamente sull’impianto o a fianco dello stesso. Perr evitare le contraffazioni di alimenti e bibite, nel caso in cui ui un prodotto può essere diluito o addizionato con ingredienti dienti di bassa qualità o la relativa origine può essere falsificata, icata, gli ingredienti integrativi o sostitutivi verranno indicati ati in modo evidente sull’etichetta e non solo riportati sullaa lista degli ingredienti. Le bevande diverse da tè, caffè e dai drink a base dii tè e caffè con un tenore di caffeina maggiore di 150 mg/l, l, devono indicare, oltre la scritta “Tenore elevato di caffeina” feina” come già in vigore, anche l’avvertenza “Non raccomandato ndato per bambini e donne in gravidanza o nel periodo di allattamento”. Le bevande alcoliche sono escluse soltanto provvisoriamente mente dall’obbligo di riportare un elenco degli ingredienti e informazioni nutrizionali, perché la Commissione UE si è data 3

anni di tempo per studiare la questione in modo specifico e apportare le eventuali rettifiche e/o integrazioni. Attualmente, l’indicazione del Paese d’origine e il luogo di provenienza è obbligatoria, oltre che per miele, frutta e olio d’oliva, per la carne bovina; mentre con il nuovo regolamento l’obbligo viene esteso a tutti i tipi di carne fresca: dal maiale al pollame, dalla pecora alla capra. Per le carni trasformate in salumi o altro, l’estensione dell’obbligatorietà di indicare l’origine in etichetta scatterà tra 2 anni e 3 anni per latte e derivati. Entro 5 anni la Commissione UE valuterà l’opportunità di estendere l’origine al latte nei prodotti lattiero-caseari e la carne nella preparazione di altri cibi, quando rappresentano più del 50% dell’alimento. Carni e prodotti ittici surgelati o congelati, non lavorati, devono indicare il giorno, il mese e l’anno di surgelazione o congelamento. Quando un alimento congelato o surgelato viene venduto “scongelato” tale condizione deve essere indicata in etichetta; mentre carni e prodotti ittici devono specificare l’arricchimento di acqua (se superiore al 5%) e di addittivi o enzimi. Gli “oli e grassi vegetali” dovranno indicare la tipologia utilizzata (per es. arachide, soia, palma, ecc.); per le miscele si può usare la dicitura “in proporzione variabile”. Entro 3 anni dall’entrata in vigore del regolamento verrà valutata la possibilità di inserire in etichetta la presenza di acidi grassi trans (TFA), ovvero quei grassi insaturi presenti nella carne bovina, nel grasso di agnello e montone e nei prodotti derivati dalla loro carne e latte, e contenuti pure in alcune creme grasse da spalmare in prodotti da forno, come cracker, torte, dolci e biscotti, nonché nei cibi fritti. Sul sito del Consiglio dell’Unione Europea (www.consilium. europa.eu) è disponibile in inglese “Domande e risposte sull’etichettatura dei prodotti alimentari” che offre utili informazioni sul nuovo regolamento.


In calo la produzione del 2011

MENO OLIO MA DI QUALITÀ di Silvia Angeloni

L’olio di oliva è un alimento importantissimo sia per la nostra alimentazione sia in termini di salute, ovvero per la preparazione dei cibi più svariati. Percorrendo alcune strade di campagna nel nostro Paese si possono vedere enormi distese di ulivi con le loro inconfondibili foglie verdone scuro. Da regione a regione, le varietà della tipologia del frutto cambia notevolmente. Solo nelle Marche si riscontrano 22 tipi diversi di varietà di olive, in Liguria si ricorda la taggiasca, mentre in Toscana si trova la pendolino e la frantoio, in Abruzzo la gentile di Chieti e la dritta. Per le origini dell’olivo bisogna risalire a circa 6000 anni fa all’Età del Rame, quando le prime tracce di spremitura della drupe di questa pianta si possono trovare tra le popolazioni che si erano stanziate nelle attuali Palestina e Siria. Furono in seguito i Fenici ad esportare l’olio verso il Mediterraneo facendolo conoscere agli Egizi, i quali lo usarono principalmente per il culto dei morti. I Greci lo usavano come medicamento, per la cura della pelle, per la cosmesi, mentre i Romani la utilizzavano come “moneta” negli scambi commerciali ed in ambito religioso. L’Italia è da sempre un importante produttore ed esportatore di olio, insieme agli altri Paesi del bacino Mediterraneo ed è per questo famosa in tutto il mondo. Quest’anno vi è una flessione nella produzione di olio di oliva. Secondo l’ISMEA (Istituto Servizi per il Mercato Alimentare), CNO (Consorzio Nazionale degli Olivicoltori) e l’Unaprol (Consorzio Olivicolo Italiano), la riduzione è stata del 5% per una produzione a pressione al di sotto delle 502.0000 tonnellate. I frutti ne hanno però guadagnato a livello qualitativo, poiché l’alta siccità che ci ha accompagnato in questi mesi ha scoraggiato il proliferare di alcuni patogeni dell’olivo. Tuttavia, se nel complesso nazionale si è riscontrata una contrazione di produzione, a livello territoriale in alcune Regioni del sud si è registrato un incremento fino ad un 3% in più. In Calabria l’incremento della produzione si è avuto in quelle aree ovviamente che sono state maggiormente irrigate o che sono state raggiunte da precipitazioni: un’ottima annata, quindi, per la Valle di Crati e la zona Pre-Pollinica, positivo anche l’incremento riguardante la zona di Catanzaro, diminuzioni invece in provincia di Crotone. Per la Sicilia, va segnalata la zona del messinese sia sul piano qualitativo che quantitativo, ed inoltre un discreto aumento si è registrato anche nella provincia di Agrigento. Come evidenziato

sopra, oltre alle problematiche legate al clima, ciò che ha causato la flessione è il cosiddetto fenomeno dell’abbandono degli oliveti o di non raccolta, un fattore determinato dalla perdita di utili da parte degli olivicoltori. Dopo la diffusione delle stime elaborate da ISMEA, Gennaro Sicolo Presidente CNO, ha da un lato lodato la primissima qualità dell’olio di questa campagna ma ha pure espresso preoccupazioni: “ Il settore sta soffrendo da alcuni anni di una crisi di mercato dura e persistente. L’olivicoltura è un patrimonio nazionale importante dal punto di vista economico e occupazionale, ma anche in termini paesaggistici, ambientali e sociali. Da qualche tempo denuncio la criticità della situazione chiedendo interventi adeguati e in linea con le esigenze, primo fra tutti la tutela della qualità e del lavoro degli olivicoltori italiani”. È altresì importante sottolineare che la quota di esportazione di questo prodotto nella campagna 2010/11 è aumentata del 3%. “Il dato dimostra che l’olio d’oliva è sempre più un prodotto globale capace di catturare nuovi consumatori in mercati ricchi e in espansione - ha dichiarato Elia Fiorillo Presidente Ceq (Consorzio di garanzia dell’olio extravergine di oliva di qualità) - anche fuori dell’abituale contesto di consumo si assiste ad una domanda crescente. Sta all’Italia lavorare affinché questa richiesta sia diretta soprattutto verso un prodotto extra vergine italiano di alta qualità. Un obiettivo intorno al quale vanno concentrati gli sforzi di tutti gli attori della filiera, se vogliamo presidiare come Paese questo processo di espansione. I margini di sostituzione delle quote di consumo dei grassi con l’olio d’oliva sono talmente elevate da consentire a tutti gli imprenditori del settore italiano di occupare posti in prima fila. Il Consorzio Ceq è da tempo impegnato in Italia, e ora anche all’estero, per diffondere una cultura del prodotto che possa supportare l’espansione e la competizione delle imprese italiane sui mercati più promettenti”. Nella Campagna 2010/2011 siamo stati battuti dalla Spagna che si è aggiudicata, il primato di leader mondiale nelle esportazioni. “Sugli scaffali dei Paesi emergenti i colori spagnoli sono sempre più frequenti. I produttori iberici, forti anche di un programma promozionale unitario coordinato dalla propria organizzazione interprofessionale, possono contare su una comunicazione che tocca ben 15 mercati di consumo. In Italia le ataviche divisioni ideologiche ci stanno facendo ignorare quello che sta avvenendo sui mercati. O faremo seriamente squadra per difendere il Made in Italy o il declino ci travolgerà”, ha affermato in ultima battuta Fiorillo.

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sulle emissioni. Le azioni di questo tipo devono essere innovative e non devono influenzare negativamente la produzione delle merci e l’impiego della forza lavoro. - Azioni comuni di apprendimento: per aumentare la conoscenza nel settore della logistica del trasporto merci, incoraggiando metodi e procedure avanzate di cooperazione nel mercato del trasporto merci e fornendo soluzioni sostenibili ed efficienti di gestione della crescente complessità dei trasporti.

COMMISSIONE UE Bando Programma “Marco Polo” II Invito a presentare proposte per azioni di trasferimento fra modi, azioni autostrade del mare, azioni di riduzione del traffico, azioni catalizzatrici e azioni comuni di apprendimento (G.U.U.E. C 309 del 21.10.2011)

Il Programma “Marco Polo II” è il programma comunitario volto a finanziare progetti che contribuiscono alla riduzione della congestione stradale e al miglioramento del sistema di trasporti, incentivando il trasporto intermodale. Obiettivi Il Programma (2007-2013), continuazione della prima versione, attiva negli anni 2003-2006, è in linea con gli obiettivi di crescita sostenibile contenuti nella Strategia Europa 2020. L’obiettivo è di favorire la creazione di una rete di trasporti efficace e sostenibile che possa dare un valore aggiunto all’Unione europea, senza implicazioni negative per la coesione economica, sociale e territoriale Budget finanziario Il bilancio complessivo di Marco Polo II per il 2011 è di 67,5 milioni di euro. Progetti Le proposte di progetto, nell’ambito di questo Bando, devono rispondere alle seguenti priorità tematiche: - Azioni di trasferimento modale: volte a trasferire il trasporto delle merci dal trasporto stradale al trasporto marittimo, ferroviario e vie d’acqua interne o ad una combinazione di modi di trasporto. - Azioni catalizzatrici: rivolte a cambiare la modalità di gestione del trasporto delle merci non stradale nell’Unione Europea, contribuendo a superare le barriere strutturali presenti nel mercato del trasporto merci comunitario, come la scarsa velocità dei treni merci o i problemi di interoperabilità tecnica fra i modi di trasporto. - Azioni per le autostrade del mare: finalizzate a trasferire il trasporto merci dalla strada al trasporto marittimo a corto raggio o a una combinazione di quest’ultimo con altri modi di trasporto, con l’obiettivo di offrire un servizio di trasporto marittimo intermodale di grande volume e a frequenza elevata; - Azioni per la riduzione del traffico: miranti ad integrare la problematica del trasporto nell’ambito delle logistiche di produzione, con l’obiettivo di ridurre la domanda di trasporto delle merci su strada con un impatto diretto

Contributo comunitario Relativamente ai progetti del servizio di Short Sea Shipping (SSS), nell’ambito delle prime tre azioni, il Programma Marco Polo 2011 finanzia soltanto progetti con forti caratteristiche di innovazione e che contribuiscono alla riduzione dell’inquinamento dovuto al trasporto marittimo. Il contributo finanziario comunitario varia tra le azioni. - Per le azioni di trasferimento fra modi il contributo è limitato ad un massimo del 30% dell’importo totale delle spese necessarie per il raggiungimento degli obiettivi dell’azione e generate nell’ambito dell’azione stessa, per una durata massima dell’azione coperta da contributo comunitario di 38 mesi e soglia minima indicativa della sovvenzione per ogni azione di trasferimento fra modi di 500.000 euro, corrispondenti al trasferimento modale di 250 milioni di tonnellate/km o suo equivalente volumetrico. - Per le azioni catalizzatrici il contributo è limitato ad un massimo del 35% dell’importo totale delle spese necessarie per il raggiungimento degli obiettivi dell’azione e generate nell’ambito dell’azione stessa, comprese le misure preparatorie, per una durata massima dell’azione coperta da contributo comunitario di 62 mesi e soglia minima indicativa della sovvenzione per ogni azione catalizzatrice di 2.000.000 euro. - Per azioni per le autostrade del mare il contributo è limitato ad un massimo del 35% dell’importo totale delle spese necessarie per il raggiungimento degli obiettivi dell’azione e generate nell’ambito dell’azione stessa, comprese le misure preparatorie e le infrastrutture ausiliarie, per una durata massima dell’azione coperta da contributo comunitario di 62 mesi e soglia minima indicativa della sovvenzione per ogni azione di 2.500.000 euro, corrispondenti al trasferimento modale di 1,25 miliardi di tonnellate/km o suo equivalente volumetrico. - Per azioni di riduzione del traffico il contributo è limitato ad un massimo del 35% dell’importo totale delle spese necessarie per il raggiungimento degli obiettivi dell’azione e generate nell’ambito dell’azione stessa, comprese le misure preparatorie, le infrastrutture ausiliarie e gli impianti, per una durata massima dell’azione coperta da contributo comunitario è di 62 mesi e soglia minima

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indicativa della sovvenzione per ogni azione per la riduzione del traffico è di 1.000.000 di euro, corrispondenti a una riduzione di traffico di 500 milioni di tonnellate/ km o di 25 milioni di veicoli/km. - Per azioni comuni di apprendimento è limitato ad un massimo del 50% dell’importo totale delle spese necessarie per il raggiungimento degli obiettivi dell’azione e generate nell’ambito dell’azione stessa per durata massima dell’azione coperta da contributo comunitario è di 26 mesi e soglia minima indicativa della sovvenzione per ogni azione comune di apprendimento è di 250.000 euro. Beneficiari Consorzi di due o più imprese (pubbliche o private) legalmente costituite e registrate aventi la capacità tecnica e operativa per completare l’azione, stabilite in almeno due diversi Stati membri o in almeno uno Stato membro e un Paese partecipante (Croazia o Paesi EEA). Le persone fisiche non sono ammissibili. I partner di progetto devono dimostrare lo status di impresa commerciale (ad es. fornendo un numero di partita IVA). Condizioni di finanziamento e requisiti Le azioni di trasferimento fra modi sono ammissibili ai finanziamenti previsti dal programma purché siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) l’azione di trasferimento modale raggiunga i propri obiettivi entro 36 mesi al massimo e risulti in seguito autonomamente redditizia, come previsto da un piano d’impresa realistico; b) l’azione di trasferimento modale non comporti distorsioni di concorrenza nei mercati interessati, in particolare fra modi di trasporto alternativi al solo trasporto su strada o nell’ambito di ciascuno di essi, in misura contraria all’interesse comune; c) l’azione di trasferimento modale proponga un progetto realistico che fissi tappe precise per il raggiungimento degli obiettivi; d) qualora l’azione si avvalga di servizi forniti da terzi che non fanno parte del consorzio, il proponente fornisca la prova di una procedura trasparente, obiettiva e non discriminatoria di selezione dei servizi pertinenti. Le azioni catalizzatrici sono ammissibili ai finanziamenti previsti dal programma purché siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) l’azione catalizzatrice raggiunga i propri obiettivi entro 60 mesi al massimo e risulti in seguito redditizia, come previsto da un piano d’impresa realistico; b) l’azione catalizzatrice sia innovativa a livello europeo, in termini di logistica, tecnologia, metodi, attrezzature, prodotti, infrastrutture o servizi forniti;

c) l’azione catalizzatrice realizzi un trasferimento modale effettivo misurabile e sostenibile dal trasporto su gomma a quello marittimo a corto raggio, al trasporto ferroviario e per vie d’acqua interne; d) l’azione catalizzatrice proponga un progetto realistico che fissi tappe precise per il raggiungimento degli obiettivi e determini la necessità degli interventi di indirizzo e controllo della Commissione; e) l’azione catalizzatrice non comporti distorsioni di concorrenza nei mercati interessati, in particolare fra modi di trasporto alternativi al solo trasporto su strada o nell’ambito di ciascuno di essi, in misura contraria all’interesse comune; f) qualora l’azione si avvalga di servizi forniti da terzi che non fanno parte del consorzio, il proponente fornisca la prova di una procedura trasparente, obiettiva e non discriminatoria di selezione dei servizi pertinenti. Le azioni per le autostrade del mare sono ammissibili ai finanziamenti previsti dal programma purché siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) l’azione delle autostrade del mare (AdM) raggiunga i propri obiettivi entro 60 mesi al massimo e risulti in seguito redditizia, come previsto da un piano d’impresa realistico; b) l’azione AdM sia innovativa a livello europeo, in termini di logistica, tecnologia, metodi, attrezzature, prodotti, infrastrutture o servizi forniti; saranno tenuti in considerazione anche l’alta qualità del servizio, la semplificazione delle procedure e delle ispezioni, la conformità con le norme di sicurezza tecnica-operativa e del personale, la facilità di accesso ai porti, l’efficienza dei collegamenti con l’hinterland e la flessibilità e l’efficienza dei servizi portuali; c) l’azione AdM si prefigga di incoraggiare il trasporto marittimo a corto raggio delle merci mediante servizi intermodali molto frequenti capaci di movimentare volumi molto elevati di merci, compresi, ove opportuno, i servizi combinati di trasporto merci passeggeri o una combinazione tra trasporto marittimo a corto raggio e altri modi di trasporto in cui i percorsi stradali siano i più brevi possibili; l’azione dovrebbe preferibilmente comprendere servizi integrati interni di trasporto merci su ferrovia e/o lungo le vie d’acqua interne; d) è previsto che l’azione AdM realizzi un trasferimento modale effettivo misurabile e sostenibile dal trasporto su gomma al trasporto marittimo a corto raggio, alle vie d’acqua interne o al trasporto ferroviario; e) l’azione AdM proponga un progetto realistico che fissi tappe precise per il raggiungimento degli obiettivi e determini la necessità degli interventi di indirizzo e controllo della Commissione; f) l’azione AdM non comporti distorsioni di concorrenza

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nei mercati interessati, in particolare fra modi di trasporto alternativi al solo trasporto su strada o nell’ambito di ciascuno di essi, in misura contraria all’interesse comune; g) qualora l’azione AdM si avvalga di servizi forniti da terzi che non fanno parte del consorzio, il proponente fornisca la prova di una procedura trasparente, obiettiva e non discriminatoria di selezione dei servizi pertinenti. Le azioni di riduzione del traffico sono ammissibili ai finanziamenti previsti dal programma purché siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) l’azione raggiunga i propri obiettivi entro 60 mesi al massimo e in seguito resti redditizia, come previsto da un piano d’impresa realistico; b) l’azione sia innovativa a livello europeo, in termini di integrazione della logistica di produzione nella logistica dei trasporti; c) l’azione abbia il fine di incoraggiare una maggiore efficienza del trasporto internazionale di merci nei mercati europei, senza ostacolare la crescita economica, focalizzandosi sulla modificazione della produzione e/o dei processi di distribuzione; per dar luogo a distanze minori, a carichi più elevati, a un minor numero di viaggi a vuoto, a una riduzione dei flussi di rifiuti, a una riduzione del volume e/o del peso e a qualsiasi altra iniziativa idonea a ridurre significativamente il traffico merci su strada, senza compromettere le capacità generali di produzione o di impiego; d) l’azione abbia il fine di condurre a una riduzione del traffico effettiva, misurabile e sostenibile pari almeno al 10 % del volume attuale di merci misurato in tonnellate/ chilometro o veicoli/chilometri; e) l’azione proponga un piano realistico precisando le tappe concrete previste per raggiungere i suoi obiettivi e determinare la necessità degli interventi di indirizzo e controllo della Commissione; f) l’azione non comporti distorsioni di concorrenza nei mercati interessati, in particolare fra modi di trasporto alternativi al solo trasporto su strada o nell’ambito di ciascuno di essi, in misura contraria all’interesse comune; g) qualora l’azione di riduzione del traffico si avvalga di servizi forniti da terzi che non fanno parte del consorzio, il proponente fornisca la prova di una procedura trasparente, obiettiva e non discriminatoria di selezione dei servizi pertinenti. Le azioni comuni di apprendimento sono ammissibili ai finanziamenti previsti dal programma purché siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) l’azione comune di apprendimento porti ad un miglioramento dei servizi commerciali offerti sul mercato, in particolare promuovendo e/o facilitando la riduzione del traffico e il trasferimento modale dalla strada al trasporto marittimo a corto raggio, al trasporto ferroviario

e per vie d’acqua interne migliorando la cooperazione e condividendo le conoscenze con durata massima di 24 mesi; b) l’azione sia innovativa a livello europeo; c) l’azione non comporti distorsioni di concorrenza nei mercati interessati, in particolare fra modi di trasporto alternativi al solo trasporto su strada o nell’ambito di ciascuno di essi, in misura contraria all’interesse comune; d) l’azione comune di apprendimento proponga un progetto realistico che fissi tappe precise per il raggiungimento degli obiettivi e identifichi la necessità dell’intervento regolatore della Commissione. Presentazione delle domande e scadenza Le domande possono essere presentate: (a) mediante lettera raccomandata o servizio di corriere con timbro postale entro e non oltre la data limite fissata per la presentazione; (b) o mediante consegna a mano al servizio postale centrale della Commissione europea (consegna a mano o consegna da parte di un rappresentante autorizzato del richiedente) al seguente indirizzo indicato sulla busta esterna: European Commission Executive Agency for Competitiveness and Innovation - EACI avenue du Bourget 1 BE-1140 Brussels Le proposte devono pervenire entro le ore 16,00 (ora locale di Bruxelles) del 16 gennaio 2012. Per ulteriori informazioni e documentazione, collegarsi al sito web della DG Trasporti dell’Unione europea: ec.europa.eu/ transport/marcopolo/getting-funds/call-for-proposals/2011/ index_en.htm.

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i quesiti dei lettori: L’ESPERTO RISPONDE a cura di Leonardo Filippucci

In materia ambientale a quali condizioni è ammesso l’affidamento in house dei servizi pubblici? Per effetto del referendum popolare del 13 giugno 2011 è stato abrogato, con decorrenza dal 21 luglio 2011 (data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del D.P.R. 18 luglio 2011 n. 113) l’art. 23-bis del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 convertito con modificazioni dalla Legge 6 agosto 2008 n. 133, il quale disciplinava l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. A seguito dell’abrogazione del citato art. 23-bis D.L. 112/2008 e del connesso regolamento attuativo approvato con D.P.R. 7 settembre 2010 n. 168, si è determinato, secondo la prevalente opinione, un vuoto normativo colmabile con la diretta applicazione dei principi e delle disposizioni comunitarie in materia di affidamento di servizi pubblici di rilevanza economica. Peraltro, siffatto vuoto normativo è stato repentinamente colmato dal legislatore nazionale mediante l’art. 4 del D.L. 13 agosto 2011 n. 138 (c.d. decreto di ferragosto), convertito con modificazioni dalla Legge 16 settembre 2011 n. 148 e successivamente modificato dall’art. 9 della Legge 12 novembre 2011 n. 183 (c.d. legge di stabilità 2012). Le disposizioni contenute nell’art. 4 del D.L. 138/2011 si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili. Tuttavia, sono esclusi dall’applicazione dell’articolo in questione il servizio idrico integrato (ad eccezione di quanto previsto dai commi da 19 a 27), il servizio di distribuzione di gas naturale, il servizio di distribuzione di energia elettrica, il servizio di trasporto ferroviario regionale, nonché la gestione delle farmacie comunali. L’art. 4 si applica al trasporto pubblico regionale e locale, anche se, con riguardo al trasporto pubblico regionale, sono fatti salvi gli affidamenti già deliberati in conformità all’art. 5, par. 2 del Regolamento CE 1370/2007. Attualmente, quindi, l’art. 4, comma 13 del D.L. 138/2011 stabilisce che,

agenda

in deroga a quanto previsto dai commi 8, 9, 10, 11 e 12 (disciplinanti l’affidamento del servizio mediante gara o a società mista pubblico-privata), se il valore economico del servizio oggetto dell’affidamento è pari o inferiore alla somma complessiva di 900.000 euro annui, l’affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento europeo per la gestione cosiddetta in house (vale a dire il controllo analogo e la destinazione prevalente dell’attività); la stessa disposizione prosegue stabilendo che, al fine di garantire l’unitarietà del servizio oggetto dell’affidamento, è fatto divieto di procedere al frazionamento del medesimo servizio e del relativo affidamento. Con riguardo alle società affidatarie di servizi in house, l’art. 4 D.L. 138/2011 prevede, inoltre, che esse: - siano assoggettate al patto di stabilità interno secondo le modalità definite in sede di attuazione dell’art. 18, comma 2-bis del D.L. 112/2008 (la vigilanza sul rispetto dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno spetta agli enti locali partecipanti); - applichino, per l’acquisto di beni e servizi, le disposizioni di cui al D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni (codice dei contratti pubblici); - adottino, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui all’art. 35, comma 3 del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165; fino all’adozione dei predetti provvedimenti, è fatto divieto di procedere al reclutamento di personale ovvero di conferire incarichi. La disciplina transitoria degli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del D.L. 138/2011 è contenuta al comma 32 dell’art. 4 ed il controllo sul rispetto di tale disciplina è affidato ai Prefetti. Va ricordato, infine, che contro l’art. 4 del D.L. 138/2011 è stato proposto, da parte della Regione Marche, ricorso in via principale alla Corte Costituzionale sull’assunto che tale disposizione neutralizzerebbe e sovvertirebbe l’esito del referendum popolare del 13 giugno 2011.

Eventi e Fiere

Verona, 2-5 febbraio 2012 BIOENERGY EXPO - Energie dalla Terra: Mostra Convegno Internazionale specializzata su biomasse, biogas e biocarburanti, in contemporanea a Fiera Agricola Sede: Verona Exhibition Centre Organizzazione: Veronafiere - Viale del Lavoro, 8 - 37135 Verona Informazioni: Tel. 045 8298111 - Fax 045 8298288 www.fieragricola.it/bio_energy_expo/exhibitions_it_2485.aspx/ Carrara - Marina, 8-10 febbraio 2012 COMPOTEC - Rassegna Internazionale Materiali Compositi e Tecnologie correlate - All’interno di SEATEC Sede: Fiera di Carrara Organizzazione: CarraraFiere Srl, V.le G. Galilei, 133 54033 Marina di Carrara (MS) - Tel. 0585 787963 Fax 0585 787602 info@carrarafiere.com www.compotec.it

Norimberga (Germania) 15-18 febbraio 2012 BIOFACH - Salone Internazionale dei Prodotti Biologici Sede: Nürnberg Messe Organizzazione: NürnbergMesse GmbH - Messezentrum 90471 Norimberga Informazioni: Tel +49 (0) 9 11. 86 06-0 - Fax +49 (0) 9 11. 86 06-82 28 info@nurbergemesse.de - www. nurbergemesse.de Milano, Rho-Pero 28 feb.- 3 mar. 2011-12-06 IPACK-IMA - Processing, Packaging and Material Handling Fiera internazionale per soluzioni tecnologiche per il settore alimentare e non alimentare Sede: Fiera Milano Organizzazione: Ipack-Ima spa - C.so Sempione ,4 - 20154 Milano Tel. 02 3191091 Fax 02 33619826 Informazioni: ipackima@ipackima.it www.ipackima.it

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Le istituzioni comunicano

ambiente Abruzzo

Marche


Sede Legale: Via Arco della Posta, 1 Sede Operativa: Via S.P. Pedemontana Loc. Cerratina - 66034 Lanciano (CH)

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indice Abruzzo

foto retro copertina di Massimo Fraticelli

pag.

Regione Abruzzo Incontrarsi e confrontarsi per migliorare insieme L’Assessore all’Ambiente della Regione Abruzzo presenta il quadro regionale della gestione dei rifiuti e lancia l’obiettivo di ECOMONDO 2011. a cura di Alberto Piastrellini

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Informazione e aggiornamento Arriva all’interno del Centro di Raccolta di Pineto una “scuola ambientale”. Regione Abruzzo e Comune insieme per promuovere un nuova “cultura del rifiuti”. “Eco”, “bio”, “edu”: il valore aggiunto dell’ecocentro di pineto Modello di bioedilizia e bioarchitettura, il nuovo Centro di Educazione Ambientale all’interno dell’Ecocentro di Pineto verrà inaugurato il prossimo 18 novembre. di Silvia Barchiesi

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Assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani: i Comuni invitati ad adeguare i regolamenti Dal Servizio Gestione Rifiuti - Osservatorio Regionale Rifiuti una Circolare rivolta a tutti i Comuni abruzzesi di Agnese Mengarelli

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Gestione dei rifiuti “Rapporto sul sistema regionale di smaltimento Rifiuti Urbani-10.08.2011” Smaltimento dei rifiuti urbani: come evitare l’emergenza La fotografia delle criticità Provincia per Provincia e e proposte per scongiurare il collasso, nell’analisi del Servizio Gestione Rifiuti della Regione. di Silvia Barchiesi

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COGESA srl Breve viaggio nel sistema integrato di gestione dei rifiuti di Oreste Federico

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ECONEWS “Direttiva regionale per la gestione dei rifiuti accumulatisi sulle spiagge marittime” Rifiuti spiaggiati: selezionare,riciclare e preservare la risorsa “sabbia”!! Emanate linee guida per i Comuni per una migliore gestione dei rifiuti spiaggiati. di Silvia Barchiesi

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ACIAM SPA Dal rifiuto alla terra: il Fucino fa il pieno di compost Il compost di ACIAM SpA commercializzato con il marchio “Compost Abruzzo”, conquista gli agricoltori di Germano Contestabile

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REGIONE ABRUZZO

INCONTRARSI E CONFRONTARSI PER MIGLIORARE INSIEME L’Assessore all’Ambiente della Regione Abruzzo presenta il quadro regionale della gestione dei rifiuti e lancia l’obiettivo di ECOMONDO 2011. a cura di Alberto Piastrellini

Inoltre sono ancora insufficienti le percentuali di RD della maggior parte dei Comuni. Ad esempio, nei comuni medio grandi della nostra Regione, 13 comuni che hanno un popolazione superiore ai 20.000 abitanti e nei quali si realizza il 49% dell’intera produzione dei rifiuti urbani della Regione (Chieti, L’Aquila, Pescara, Teramo, Montesilvano, Giulianova, Roseto degli Abruzzi,Vasto, Lanciano ,Ortona, Francavilla al Mare, Sulmona ed Avezzano) a fronte di alcune eccellenze come Ortona e Teramo che registrano percentuali molto al disopra del 40%, si realizzano basse performance di raccolta, con percentuali al di sotto della media abruzzese, addirittura anche sotto al 20%. è necessario che i grandi comuni abruzzesi ed i capoluoghi di provincia pongano un maggiore impegno alla gestione dei rifiuti. Le situazioni di criticità nelle attività di smaltimento dei rifiuti urbani interessano sopratutto i territori delle Province di Teramo e L’Aquila, a causa della nota “non autosufficienza” impiantistica e della Provincia di Pescara a causa della prossima saturazione della discarica. A pochi giorni dalla partecipazione della Regione Abruzzo (Assessorato Sviluppo del Turismo, ambiente, energia e politiche legislative - Servizio Gestione Rifiuti) alla 15° edizione di ECOMONDO - Fiera Internazionale del Recupero di Materia e di Energia e dello Sviluppo Sostenibile, abbiamo ritenuto doveroso dare voce a chi, quale massima istituzione regionale, rappresenta l’ambiente in molte delle sue declinazioni. Pertanto, onde presentare lo stato dell’arte della gestione dei rifiuti nel territorio, abbiamo intervistato Mauro di Dalmazio, Assessore allo Sviluppo del Turismo, ambiente, energia e politiche legislative, con delega anche all’Incentivazione dell’economia turistica; Sviluppo del turismo; Demanio marittimo a finalità turistico-ricreative; Regolamentazione turistica e organizzazione; Gestione dei rifiuti; Politiche per lo sviluppo sostenibile; Politica energetica, qualità dell’aria e SINA; Legislativo.

Assessore, qual è il quadro attuale della gestione dei rifiuti in Abruzzo? L’Abruzzo sta lavorando per trasformare i rifiuti da problema in opportunità. I dati 2010 ci raccontano un Abruzzo in corsa, con alcuni dati positivi: buona performance di raccolta differenziata con un aumento di oltre il 4% sul dato 2009 ed una percentuale di RD regionale che si attesta a circa il 29% ed una diminuzione della produzione dei rifiuti del 3%. Ciò però non ci fa stare tranquilli. L’Abruzzo vive una crisi impiantistica importante che, se non affrontata, in tempi brevi, può rischiare di vanificare i buoni risultati realizzati.

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Quali risultati sono stati conseguiti negli ultimi mesi e quali sono i punti nodali ancora irrisolti? Negli ultimi mesi abbiamo concentrato le attività del servizio su due direttrici: affrontare la crisi impiantistica ponendo sul territorio le condizioni per attivare in tempi brevi impianti di smaltimento e stimolare, incentivare e supportare tutti gli attori pubblici e privati, comuni e consorzi nel migliorare la quantità e la qualità della raccolta differenziata e nella riduzione della produzione dei rifiuti. L’aumento della percentuale di RD (+4%) pur se ancora insufficiente, è un indicatore positivo che ci indica la bontà della strada che stiamo percorrendo. Negli ultimi mesi c’è stato un impegno notevole dell’assessorato tutto, impegno tutt’ora in atto, nel reperire le risorse economiche da destinare al miglioramento della situazione impiantistica ed all’ incentivazione di sistemi di raccolta differenziata domiciliari. Inoltre attraverso l’attuazione di alcuni accordi volontari siamo impegnati nella diffusione della pratica di compostaggio domestico fra i comuni abruzzesi, un’azione, questa, che non solo ci permette di intervenire sulla riduzione dei rifiuti ma di coinvolgere i diversi attori impegnati nel sistema regionale della gestione dei rifiuti. Quali strategie intende perseguire la Regione Abruzzo per allineare performance e governance nella gestione dei rifiuti agli standard nazionali ed europei? Avviare le politiche di prevenzione e riduzione della produzione dei rifiuti urbani secondo i nuovi indirizzi europei. A tal proposito sarà necessario attuare le azioni finalizzate alla prevenzione e riduzione della produzione dei rifiuti come


dal Programma sulla riduzione dei rifiuti i già approvato con la DGR n. 1012 del 29.10.2008 e come segnalati a tutti i comuni abruzzesi con una la Circolare n. 2/2011, con la quale abbiamo dato indirizzi chiari e concreti per attuare, in ambito comunale, azioni di riduzione della produzione dei rifiuti. Riorganizzare e potenziare i servizi di RD secondo modelli domiciliari (porta a porta e/o di prossimità) da parte dei Consorzi e/o Comuni, per conferire meno rifiuti in discarica ed avviare più materiali a riciclo (Filiere CONAI e filiera CIC dell’organico). A tal proposito si è varato un documento nell’ambito del Programma regionale FAS-PAR per la definitiva predisposizione del 1° Programma straordinario per la riorganizzazione delle RD e completamento dei programmi in materia di raccolta differenziata ai sensi della normativa regionale. Attuare altre iniziative in materia di promozione dell’ utilizzo degli “ammendanti compostati” (compost qualità). È necessaria una responsabilità condivisa. La Regione ha fatto e farà la sua parte, ora tutte gli altri attori:Provincie,Consorzi, Comuni e cittadini devono fare altrettanto, secondo le proprie funzioni e compiti. Alla Regione manca un’autosufficienza nello smaltimento e per realizzare una nuova impiantistica è necessario che la programmazione dei consorzi intercomunali proceda in modo più spedito e più rapido. Attraverso l’utilizzo dei fondi FAS-PAR la Regione metterà a disposizioni fondi necessari, poi, però, ci vogliono progetti credibili, ben fatti nel pieno rispetto dell’ambiente e di rapida realizzazione. La necessità del Paese di razionalizzare spese e servizi, ancor più nel rispetto delle regole comunitarie legate alla concorrenza, ha indotto da tempo un processo di riforma dei nuovi Ambiti Territoriali in materia di servizi idrici e gestione dei rifiuti, che non ha mancato di sollevare pareri discordanti. Cosa succede in Abruzzo? In Abruzzo abbiamo avviato un processo di riforma nel rispetto di quel principio di economicità e riduzione dei costi che sta caratterizzando l’azione politica di questo governo. Che tradotto in cifre sta a significare la soppressione e la cancellazione degli Ato, con un unico ambito regionale, in materia di servizi idrici e la riforma degli enti e società che gestiscono il ciclo dei rifiuti sul territorio. Al di là delle riserve sollevate da qualcuno, posso dire che le riforme in questo settore erano attese da tempo e sono state accolte e valutate positivamente. Bisogna poi leggere queste riforme nell’ottica di chi, come amministratore, deve affrontare i costi di un ente regionale che è alle prese con difficoltà di bilancio e che ha concentrato le forze sul risanamento finanziario della sanità regionale. Sul piano pratico i risultati sono da considerarsi positivi perché la razionalizzazione dei

servizi ha permesso alla Regione di avere un numero ristretto di interlocutori e con loro essere in grado di organizzare insieme politiche ambientali. Fra le sue competenze figurano anche l’incentivazione dell’economia turistica e lo sviluppo del turismo. Il territorio abruzzese è fortemente caratterizzato dalla presenza, nell’interno, di Parchi Nazionali di rilevanza strategica eccezionale, e da una fascia costiera peculiarmente vocata al turismo marino, eppure molto urbanizzata ed industrializzata. Come intende favorire e rilanciare l’accesso turistico nel rispetto del territorio e nell’ottica del minor impatto delle attività umane? Sulla promozione turistica è partito in Abruzzo un’impostazione programmatoria diversa rispetto al passato e alle altre regioni. Il turismo, cioè, non è più inteso come un comparto a se che produce un proprio Pil, ma lo si è inserito in un contesto produttivo, nel senso che il comparto è in grado di camminare e produrre ricchezza solo se si rapporta con gli altri comparti produttivi della regione. In una parola, non si può pensare di fare turismo in una regione senza avere un’adeguata rete infrastrutturale sui trasporti in grado di rispondere alla domanda che viene da fuori regione. In questo senso, e cioè nella direzione di una continua collaborazione, con i tre Parchi nazionali e l’unico regionale presenti sul territorio abbiamo avviato un’intesa che parte dalla promozione del territorio e passa attraverso progetti di sviluppo comuni. Quest’anno, per la prima volta, l’Abruzzo è stato presente a Parigi alla fiera del turismo natura dove abbiamo presentato il prodotto turistico ma anche quello di tutela del territorio in una regione che ha fatto del turismo verde una delle voci più importanti e rilevanti della propria economia. Assessore, qual è il suo messaggio per la 15a Fiera Internazionale del Recupero di Materia ed Energia e dello Sviluppo Sostenibile? La fiera di Ecomondo rappresenta un punto di riferimento per tutto il mondo italiano ed europeo che si occupa di ambiente ed in particolare di energia e rifiuti. La nostra partecipazione ha l’obiettivo di offrire agli Enti pubblici (Province, Comuni, Consorzi comprensoriali, .. etc.), ai soggetti pubblici e privati impegnati nella gestione del ciclo dei rifiuti, un momento di confronto ed informazione per avviare e migliorare le azioni sul territorio finalizzate alla realizzazione di un migliore sistema integrato delle gestione dei rifiuti, ma anche offrire alle nostre imprese un’occasione per conoscere le applicazioni tecnologiche e strutturali, proposte dal mondo dell’impresa e della ricerca.

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INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO Arriva all’interno del Centro di Raccolta di Pineto una “scuola ambientale”. Regione Abruzzo e Comune insieme per promuovere un nuova “cultura del rifiuti”.

“ECO”, “BIO”, “EDU”: IL VALORE AGGIUNTO DELL’ECOCENTRO DI PINETO Modello di bioedilizia e bioarchitettura, il nuovo Centro di Educazione Ambientale all’interno dell’Ecocentro di Pineto verrà inaugurato il prossimo 18 novembre.

di Silvia Barchiesi

È molto più che una semplice stazione ecologica in cui poter conferire rifiuti. L’Ecocentro comunale realizzato nel Comune di Pineto, nella frazione Scerne è infatti anche una “scuola ambientale”, oltre che un esempio di bioarchitettura e di bioedilizia. Insomma, quello che verrà inaugurato il prossimo 18 novembre è un modello virtuoso da imitare e da replicare sotto tutti i punti di vista, un primo passo verso la diffusione di una nuova “cultura del rifiuto”. Prosegue, infatti, la marcia della Regione Abruzzo lungo la strada che porta alla prevenzione e il nuovissimo centro di educazione ambientale annesso alla stazione ecologica di Pineto non ne è che la dimostrazione. Lungo e tortuoso è stato l’iter che ha portato alla sua realizzazione definitiva: nato come idea all’inizio del 2000

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e concretizzatosi in opera di pubblica utilità intorno al 2004, il centro, costruito secondo i canoni dettati dalla Regione Abruzzo in materia di stazioni ecologiche, è stato osteggiato proprio dalla cittadinanza, perché percepito come “discarica”, un elemento quindi deturpante per il territorio circostante, piuttosto che un valore aggiunto, una risorsa o un’opportunità. Di qui l’idea di dotare il centro di un “surplus di valore” che potesse esplicitare in maniera chiara ed univoca la sua forte connotazione positiva. Nel 2008 il progetto originario del centro viene così arricchito, nelle funzioni e nella struttura: nasce così l’idea di un edificio sostenibile, perché progettato con moderne tecniche di bioarchiettura e bioedilizia, oltre che “virtuoso” dal punto di vista ambientale, perché destinato ad accogliere una vera e propria “scuola ambientale”.

L’obiettivo del nuovo progetto è dunque quello di infondere nella cittadinanza un segnale di ottimismo e di fiducia verso la struttura e verso una corretta gestione dei rifiuti. Su invito della Regione Abruzzo, la stazione ecologica del Comune di Pineto si arricchisce così di una nuova funzione e da mero centro di raccolta in cui poter conferire rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, diventa un vero e proprio centro di educazione ambientale, volto a promuovere una corretta “cultura del rifiuto”, una sorta di laboratorio didattico in cui sperimentare i vantaggi della raccolta differenziata, oltre che una vera e propria “scuola ambientale di buone pratiche”. A sancire la funzione educativa e didattica del Centro è un Protocollo d’Intesa che verrà siglato dalla Regione Abruzzo e dal Comune di Pineto proprio in oc-


casione dell’inaugurazione del Centro, il prossimo 18 novembre. Scopo della struttura adibita a Centro di Educazione Ambientale, si legge nel testo dell’Accordo, sarà quello di “avviare progetti sperimentali di educazione e comunicazione ambientale per la sensibilizzazione degli studenti e delle loro famiglie nel settore della gestione integrata dei rifiuti per incentivare la raccolta differenziata/riciclo e la riduzione della produzione dei rifiuti con l’obiettivo di diffondere tra le nuove generazioni e le famiglie le buone pratiche ambientali”. Alla vigilia della sua inaugurazione, l’Ecocentro risulta così strutturato in due sezioni: quella costituita dal centro di raccolta vero e proprio, che si estende sulla quasi totalità del lotto di 3.500 m2, riservato ad accogliere i rifiuti urbani differenziati, conferiti dagli stessi cittadini o tramite il servizio pubblico che li ritira a domicilio su prenotazione

e quella riservata al polo formativo, che con l’aula didattica e l’ufficio sarà la sede della nuova “scuola ambientale”. Ma il virtuosismo dell’Ecocentro di Pineto non si esaurisce nella sua funzione educativa, ma ne contagia anche la struttura. Progettato e realizzato all’insegna della biosostenibilità, l’edificio di Educazione Ambientale è infatti un esempio tecnologicamente all’avanguardia di architettura ed edilizia ecosostenibile, un modello concreto da imitare anche per altre amministrazioni locali per quanto riguarda l’utilizzo dei materiali costruttivi (naturali, atossici, certificati e garantiti), ma anche per l’impiantistica, finalizzata al risparmio energetico (con la produzione di acqua calda con captatori solari, riscaldamento degli ambienti con il sistema radiante a pavimento unito ai sistemi passivi, al recupero delle acque piovane immagazzinate e riutilizzate per i wc e per

l’innaffiamento delle aiuole), oltre che per le soluzioni bioclimatiche adottate (orientamento dell’edificio, sfruttamento dell’illuminazione naturale). Ogni scelta, dal progetto alla realizzazione pratica, guarda alla sostenibilità e si configura come “bio” ed “eco” perchè punta alla minimizzazione degli impatti ambientali e al risparmio energetico. Tutt’altro che deturpante, il nuovo Ecocentro che punta ad integrarsi culturalmente e ambientalmente con il territorio, è in realtà un valore aggiunto per lo stesso. “L’obiettivo fondamentale da raggiungere - ha sottolineato il Dott. Stanislao D’Argenio, responsabile del Servizio Tutela Ambientale del Comune di Pineto - è innanzitutto quello di consegnare alla cittadinanza un luogo in cui possano volontariamente consegnare al gestore del servizio pubblico di igiene qualunque rifiuto prodotto in ambito

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domestico; parliamo di materiali tipici della raccolta differenziata quali la plastica, la carta, il vetro, ma soprattutto di quei beni cosiddetti “ingombranti” quali i RAEE (frigoriferi, congelatori, cucine, forni, computer, lampade, ecc.), materassi, mobili in legno o metallo, scarti delle manutenzioni di giardini, pneumatici, rifiuti pericolosi quali pile, batterie per auto, vernici, oli minerali e vegetali, ecc. Il passo successivo sarà dotare il centro di un sistema di pesatura per piccoli conferimenti che attraverso un software gestionale, con funzionamento mediante identificazione con tessera sanitaria, permetterà di accreditare al singolo cittadino un numero di punti variabile per tipologia di materiale conferito”. L’obiettivo del conferimento mediante sistemi di pesatura singola è quello di avviare un meccanismo premiante di “ecofiscalità” volto ad incentivare ed incrementare la raccolta dei materiali

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riciclabili da avviare ad effettivo recupero, come previsto dal sistema Ecocard, di cui alla L.R. 19.12.2007, n. 45 “Regolamento tipo per la gestione di una Stazione Ecologica e/o Centro di raccolta”. Tra i benefici economici da riconoscere ai cittadini sono al vaglio diverse ipotesi: da veri e propri rimborsi monetari, a buoni spendibili presso le attività economiche convenzionate con il Comune, fino a ricariche telefoniche per i giovani. Insomma, proprio grazie al vantaggio economico, il nuovo sistema di pesatura punta ad innescare un circolo virtuoso sotto il profilo ambientale. Intanto viaggerà di pari passo l’attività formativa della “scuola ambientale” che, grazie alla collaborazione della Regione Abruzzo e di altri organismi operanti nel settore della gestione dei rifiuti, avrà il compito di educare insegnanti e alunni e di sensibilizzare operatori pub-

blici e privati verso le buone pratiche in materia di gestione dei rifiuti, tramite iniziative mirate alla prevenzione e quindi alla riduzione della quantità dei rifiuti, oltre che alla promozione della raccolta differenziata. “Il progetto avviato nel Comune di Pineto – ha sottolineato Mauro Di Dalmazio, Assessore all’Ambiente della Regione Abruzzo - è un progetto innovativo, sperimentale e all’avanguardia che apre la strada alla diffusione sul territorio di una nuova cultura del rifiuto e del riciclo, un ulteriore passo avanti nel cammino da tempo intrapreso dalla Regione che guarda alla prevenzione, verso la gestione integrata del ciclo dei rifiuti”.


ASSIMILABILITÀ DEI RIFIUTI SPECIALI AI RIFIUTI URBANI: I COMUNI INVITATI AD ADEGUARE I REGOLAMENTI Dal Servizio Gestione Rifiuti - Osservatorio Regionale Rifiuti una Circolare rivolta a tutti i Comuni abruzzesi di Agnese Mengarelli

La Regione Abruzzo da tempo è impegnata a realizzare una moderna politica ambientale strettamente connessa con il territorio, sviluppando azioni che interessano l’intera filiera della gestione integrata dei rifiuti, sulla base delle priorità di intervento definite dalla normativa comunitaria e nazionale. Di recente è stata pubblicata una Circolare rivolta a tutti i Comuni abruzzesi per inquadrare meglio alcune problematiche riferite alla disciplina della assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani. Con l’approvazione del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”, successivamente novellato con il D.Lgs. 4/2008, sono state introdotte alcune specifiche disposizioni che prevedono la classificazione dei rifiuti, le competenze dello Stato e in particolare le competenze dei comuni. Secondo il Decreto, infatti, le Amministrazioni comunali concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che definiscono “l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani secondo i criteri fissati dalle norme statali”. Il Regolamento comunale non può

discostarsi dai criteri di cui all’art. 195, comma 2, lett. e), che stabilisce esplicitamente il divieto di assimilabilità dei rifiuti che si formano: • nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico; • nelle strutture di vendita con superficie due volte superiore ai limiti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 114/1998. Per “aree produttive”, si intendono le aree dove avvengono attività di trasformazione industriale o artigianale, mentre per “strutture di vendita”, ci si può ragionevolmente riferire a superfici dove si svolgono attività di vendita: dal negozio al supermercato, al salone di vendita di un mobilificio o di un concessionario. Il D.Lgs. 114/1998 prevede i limiti di 150 mq nei comuni con meno di 10.000 abitanti. L’espressione “due volte superiore” contenuta nell’art. 195, comma 2, lett. e) del D.Lgs. 152/06 e s.m.i. induce a ritenere che i limiti da prendere in considerazio-

ne per il divieto di assimilazione nelle strutture di vendita siano rispettivamente di 450 m2 e 750 m2. Nella tabella seguente è illustrata la corretta applicazione del quadro normativo vigente in materia di assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani in riferimento alla tipologia di rifiuti, alle superfici interessate ed alla loro estensione. “La Regione Abruzzo ha ritenuto necessario ribadire che siano attivate, da parte di ogni Comune del territorio, tutte le iniziative finalizzate alla rispondenza dei regolamenti comunali vigenti alle norme sopra richiamate” - ha dichiarato l’Assessore regionale all’Ambiente, avv. Mauro Di Dalmazio. “Vi era la necessità di chiarire, come richiesto da alcune Province, anche l’effettiva entrata in vigore delle disposizioni previste dall’art. 195 del D.Lgs. 152/06 e s.m.i., un aspetto per certi versi non del tutto chiarito anche per diversi pronunciamenti giurisprudenziali in materia, oltre alla atavica mancanza di un decreto attuativo del MATTM che fissi i criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani” - ha dichiarato il dott. Franco Gerardini, dirigente del Servizio Gestione Rifiuti della Regione Abruzzo.

Tab. 1 - Criteri applicativi per l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani. Rifiuti assimilabili di servizi

Rifiuti prodotti da attività

sanitarie agricole commerciali con superficie inferiori a: - 450 mq nei comuni con popolazione < 10.000 ab.

Criteri di assimilazione Rifiuti non assimilabili Aree produttive (tutte le aree dove avvengono attività di trasformazione industriale e artigianale) Fino all’emanazione del decreto sui criteri qualitativi e qualiquantitativi di assimilazione continuano ad applicarsi i criteri di cui alla delibera 27 luglio 1984

Rifiuti prodotti in

Strutture di vendita con superfici superiori a: - 450 mq nei comuni con popolazione < 10.000 ab. - 750 mq nei comuni con popolazione > 10.000 ab.

- 750 mq nei comuni con popolazione > 10.000 ab. Fonte: Servizio Gestione Rifiuti.

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GESTIONE RIFIUTI

“Rapporto sul sistema regionale di smaltimento Rifiuti Urbani-10.08.2011”

SMALTIMENTO DEI RIFIUTI URBANI: COME EVITARE L’EMERGENZA La fotografia delle criticità Provincia per Provincia e le proposte per scongiurare il collasso, nell’analisi del Servizio Gestione Rifiuti della Regione. di Silvia Barchiesi

È un Abruzzo in forte sofferenza, alle prese con criticità croniche nella gestione dei rifiuti e che arranca nello smaltimento. A scattare la fotografia del “problema rifiuti”, che in Abruzzo sfiora l’emergenza, è il “Rapporto sul sistema regionale di smaltimento RU”, elaborato dal Servizio Gestione Rifiuti (SGR) della Regione che disegna la mappa delle criticità regionali in fatto di smaltimento e delinea le soluzioni per uscire dalla crisi ed evitare il collasso. Tra le “zone rosse”, a ridosso dell’emergenza, figurano le Province di Teramo e L’Aquila, dove la situazione dello smaltimento dei rifiuti è molto problematica a causadella saturazione delle discariche e della “non autosufficienza” impiantistica in grado di colmare il gap. Il conto alla rovescia è già inziato e lo smaltimento in discarica nelle Province di Teramo e L’Aquila ha davvero i giorni contati. A “soffrire” del problema è, però, l’intera Regione su cui pesano ancora forti ritardi e gravi mancanze infrastrutturali. Tra i problemi segnalati dal Servizio Gestione Rifiuti figurano: - le ridotte capacità volumetriche delle discariche in esercizio; - la mancata attivazione di impianti di trattamento e/o smaltimento già da tempo autorizzati dalla Ragione; il continuo stop dell’attività di impianti di trattamento RU; - l’insufficiente impegno della maggior parte dei Comprensori Rifiuti nell’implementazione della programmazione regionale (PRGR) e provinciale (PPGR), soprattutto per quanto riguarda le politiche di minimizzazione della produzione dei rifiuti e del conferimento dei rifiuti biodegradabili in discarica; - le ancora insufficienti percentuali di raccolta differenziata che nella maggior parte dei Comuni sono ancora molto al di sotto degli obiettivi di legge e che ritardano il raggiungimento da parte dell’Abruzzo degli standard nazionali. Teramo con il 36,73% è la Provincia più “virtuosa”, seguita da quella di Chieti (29,28%), Pescara (25,86%) e L’Aquila (19,26%). Insomma, ferma al 28,4% e ben lontana dal traguardo del 60% fissato dalla legge, la raccolta differenziata in Abruzzo ancora non decolla. Ma la raccolta differenziata non è l’unica lacuna del più ampio problema rifiuti, da tempo ormai al centro della programmazione della Regione, da tempo impegnata a delineare proposte e soluzioni, oltre che a lanciare iniziative, richiami e solleciti verso i soggetti e gli enti competenti, rimasti nella maggior parte dei casi disattesi. Con la DGR 2.01.2007, n. 1190 “L.R. 28.04.2000, n. 83 e s.m.i. - art. 32. Attività di smaltimento dei rifiuti urbani. Provvedimenti regionali straordinari”, la stessa Regione aveva delineato un “pro-

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gramma-quadro” di azioni ed interventi per scongiurare l’emergenza, provvedimento che è rimasto praticamente inattuato dai soggetti territoriali competenti (Province, Consorzi, Comuni), salvo qualche rara eccezione rappresentate dai Comuni di Teramo e Bellante, che avevano individuato siti per la realizzazione di nuove discariche. La lista degli inadempimenti e delle scadenze non rispettate da parte di Province, Comuni, Consorzi e Gestori dei Servizi che avrebbero dovuto, invece, implementare sul territorio le linee e gli indirizzi della programmazione regionale, è ancora lunga. Così come è altrettanto lunga la lista dei provvedimenti regionali emanati per far fronte alle situazioni di insufficiente autonomia in fatto di smaltimento dei rifiuti di alcune aree territoriali: da quelli volti ad autorizzare il conferimento extra-ATO agli “Accordi di programma” con le Regioni limitrofe (Molise e Marche) per interventi di sussidiarietà nelle attività di smaltimento dei rifiuti, fino all’attivazione di collaborazioni sinergiche tra operatori pubblici e privati regionali ed extra-regionali. Eppure, le criticità permangono, soprattutto in Provincia di Teramo e in quella de L’Aquila, dove le discariche sono sature o in via di saturazione, dove lo smaltimento d’urgenza avviene fuori dal comprensorio e dove nuovi impianti stentano a decollare. La “non autosufficienza” nello smaltimento delle Province di Teramo e L’Aquila, pesa sull’intera Regione. A pagare lo scotto, infatti, sono anche le Province di Chieti e Pescara che hanno assistito ad un repentino accorciamento dei “tempi di vita” delle discariche in esercizio e che hanno finito per ridurre drasticamente la loro autonomia di smaltimento. Di qui la necessità di delineare un quadro di azioni e iniziative di breve e lungo periodo in grado di sanare le criticità e consentire il superamento dello stato di emergenza. Tra quelle più urgenti, da realizzare in Provincia di Teramo il Rapporto segnala: - il rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per le discariche di Notaresco e di Atri per porre fine ai ritardi delle procedure tecnico-amministrative e ripristinare così “un’autosufficienza” delle attività di smaltimento per un periodo di almeno 5-6 anni; - la riattivazione, tramite interventi di bonifica e messa in sicurezza, della discarica di Tortoreto, attualmente sotto sequestro; - la riattivazione degli impianti del polo tecnologico del Consorzio Intercomunale Rifiuti Solidi Urbani SpA di Notaresco. In Provincia de L’Aquila invece risulta necessario individuare e realizzare per il comprensorio di “L’Aquila capoluogo” un invaso a servizio dei Comuni interessati, soprattutto alla luce delle esigenze di smaltimento dei residui derivanti dal


trattamento delle macerie e in vista della chiusura definitiva delle discariche dei Comuni limitrofi (Navelli, Ofena, Villa S. Lucia, Castelvecchio Subequo, ecc.). In Provincia di Pescara, invece, in vista della saturazione della discarica di “Colle Cese”, il cui ampliamento autorizzato potrà garantire un’autosufficienza di circa 6-8 mesi, occorre attivare urgentemente l’iter amministrativo per la realizzazione di un nuovo sito di smaltimento di iniziativa pubblica per garantire le attività di smaltimento per i prossimi 8-10 anni. Tra le priorità per la Provincia di Chieti, il Servizio Gestione Rifiuti della Regione segnala l’ampliamento della discarica di “Cerratina” di Lanciano (incremento delle volumetrie del 10%), la realizzazione di un nuovo impianto di smaltimento e il potenziamento delle linee di trattamento della FORSU (per compost di qualità) e dei fanghi da depurazione. Ma il quadro di azioni delineati dal Servizio Gestione Rifiuti non si compone solo di interventi “tampone”, ovvero di misure urgenti per far fronte all’emergenza, ma di vere e proprie iniziative strategiche di più ampio respiro e di lungo periodo. Numerose sono le linee d’azione della programmazione regionale, tra queste: - la prevenzione e la riduzione della produzione dei rifiuti; - la riorganizzare e il potenziamento dei servizi di Raccolta Differenziata secondo modelli domiciliari (porta a porta e/o di prossimità) per conferire meno rifiuti in discarica ed avviare più materiali a riciclo; - la diffusione del compostaggio domestico (autocompostaggio); - la promozione dell’utilizzo degli “ammendanti compostati” (compost qualità); - l’attuazione di Piani e programmi volti a promuovere le attività di riuso, riciclo e recupero energetico dei rifiuti. Nella previsione di una progressiva diminuzione dei conferimenti in discarica, occorre, tuttavia, lavorare anche sul versante dello smaltimento. La prospettiva ideale, tratteggiata dallo stesso Servizio Gestione Rifiuti, sarebbe quella di un sistema di smaltimento basato su pochi e medio- grandi bacini, in grado di garantire un’autosufficienza decennale per Provincia/ATO. Ma la strada verso l’autonomia di smaltimento è ancora lunga, mentre l’emergenza è dietro l’angolo: “la situazione regionale relativa alle attività di smaltimento dei RU è preoccupante – si legge nel Rapporto - da monitorare giornalmente e per la quale necessita proporre soluzioni operative concrete, efficaci ed a breve-medio termine per evitare possibili emergenze ambientali”. Di fronte alla gravità della situazione occorre una mobilitazione massiccia e tempestiva. L’invito è ai Comuni, ai Consorzi, alle Province e ai Gestori del Servizio che ancora stentano o non dispiegano sufficienti politiche continuative e

adeguate a scongiurare l’emergenza e arginare le criticità. Di fronte allo scarso e insufficiente impegno e ai ritardi accumulati da parte degli enti interessati, il monito del Servizio Gestione Rifiuti è anche un invito “ad attrezzarsi per dispiegare attività costanti e non episodiche, sui territori interessati, per una migliore gestione del ciclo integrato dei rifiuti, per esempio creando appositi ‘eco-uffici’, promuovendo le esperienze degli ‘amici del riciclo’, applicando politiche di eco-fiscalità a favore delle buone pratiche ambientali dei cittadini ‘Ecocard’, ecc., con personale qualificato che sviluppi e proponga quotidianamente iniziative di informazione, comunicazione ambientale e formazione, agli operatori ed agli utenti sui temi della riduzione della produzione dei rifiuti e riciclo e altro recupero degli stessi. Le risposte ad oggi sono state e sono molto deboli se non assenti”. “Si ribadisce, altresì, la necessità di prendere urgenti e definitive decisioni, da parte delle Autorità preposte ai vari livelli, istituzionali ed operativi non più rinviabili, in merito ad una più stringente e funzionale attività programmatoria nel settore, in particolare per la previsione e realizzazione di nuovi siti di smaltimento e/o loro ampliamento, come proposto anche con la DGR n. 1190/2007 e/o dai PPGR”, si legge ancora nel Rapporto. Senza nuovi impianti, stante l’attuale ritmo di produzione di rifiuti urbani e gli scarsi livelli di raccolta differenziata, nonostante gli aumenti del 10% delle volumetrie, autorizzati dalla Regione Abruzzo, gli impianti attivi hanno i giorni contati: il “fine vita” delle discariche è alle porte e la loro saturazione è prevista tra il 2011 e il 2012. Gli ampliamenti straordinari di siti esistenti e l’utilizzo di impianti extra-regionali non sono altro che misure “tampone”, temporanee e provvisorie, tutt’altro che risolutive. L’appello del Servizio Gestione Rifiuti è rivolto a tutti soggetti interessati “ad un impegno straordinario ed alla attivazione di ogni azione ed intervento necessari per ricostituire al più presto le condizioni di autosufficienza, su base provinciale e regionale delle attività di smaltimento dei rifiuti urbani - si legge nel Rapporto - al fine di eliminare il costante ricorso al ‘turismo dei rifiuti’, che può rappresentare una modalità straordinaria e non costante, anche per i riflessi negativi sul sistema tariffario che pesa sempre più sugli utenti che hanno il diritto ad avere servizi moderni ed efficienti”. “C’è bisogno di una piena assunzione di responsabilità di tutti gli attori del sistema a cui abbiamo richiesto di rafforzare tutte le azioni finalizzate alla riduzione della produzione e riciclo dei rifiuti urbani oltre ad accelerare la realizzazione degli impianti di smaltimento e trattamento già autorizzati”, ha dichiarato l’Assessore regionale all’Ambiente, avv. Mauro Di Dalmazio.

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COGESA srl

BREVE VIAGGIO NEL SISTEMA INTEGRATO DI GESTIONE DEI RIFIUTI di Oreste Federico Responsabile R&S di COGESA Srl

Ci sono tanti modi per rappresentare un sistema complesso qual è il COGESA S.r.l. Un modo consiste nel fornire una lista di indicatori e di valori, una sorta di cruscotto, quale esempio: Comuni Soci

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Popolazione residente nel territorio dei Comuni Soci COGESA (31/12/2010)

53.680 abitanti

Superficie totale del territorio dei Comuni Soci

899.69 kmq

Comuni non Soci che conferiscono agli impianti COGESA (a ottobre 2011)

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Rifiuti trattati nella piattaforma di tipo A (stima al 31/12/2011)

4.200 t/anno

Rifiuti conferiti all’impianto di trattamento meccanico biologico (stima al 31/12/2011)

48.000 t/anno

Fatturato anno 2011 (stima al 31/12/2011)

7.600.000 €

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Petunie sulla gradinata dell’Annunziata

Ma il potere di sintesi di una tabella si paga con la cancellazione di molteplici dati, attori e interazioni. Un altro modo, più alla buona, è quello di un turista che raccoglie immagini e impressioni dei luoghi che visita. Ogni foto cattura tratti di paesaggio, di popolo, di cultura. Studiando ciascuna foto, il turista ha modo di cogliere i dettagli, gli insiemi di dettagli e le relazioni tra i dettagli. Non solo; osservando le foto disposte su un tavolo può costruire relazioni tra cose apparentemente diverse. E da questo incessante lavoro di collegamento nasce e si rafforza l’idea che ogni cosa è in relazione con molte altre, forse con tutte le altre cose del Mondo. Provo a imitare il modus operandi del turista. Foto 1: Sinergie Questa estate, a Sulmona, sui gradini del Palazzo dell’Annunziata e nei suoi cortili interni, c’era una novità: tanti vasi di petunie policrome. Nei vasi, oltre ai fiori, anche dei cartellini che ne raccontavano una storia: quei vasi erano stati posati là da Link Futuro (Associazione di cittadini); i fiori erano stati coltivati dagli allievi dell’Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente (l’IPAA) di Pratola Peligna in serra e con compost forniti da COGESA, società che opera nel settore dei rifiuti. Dunque, un’associazione di cittadini, una scuola e un’azienda che gestisce rifiuti urbani hanno mostrato come, con un po’ di fantasia, il rifiuto organico diventi compost, il compost costituisca materiale didattico e le esercitazioni svolti all’interno di una serra scolastica possano diventare ornamento di un centro storico.

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Analizzando ulteriormente in dettaglio il “compost”, si appura che esso è prodotto dall’impianto ACIAM SpA di Aielli e certificato col marchio Compost Abruzzo dal Consorzio Italiano Compostatori, valido per ogni pratica agricola, ma soprattutto in agricoltura biologica. In questo modo un altro link parte dal sistema di gestione rifiuti e stavolta va in direzione del settore agricolo. Per produrre quel compost, però, occorre partire da rifiuto organico con elevato grado di purezza, criterio valido per tutti i materiali che si vogliono sottrarre alla discarica (l’infame sorte dell’inutile) per dar loro la dignità di materia prima seconda, cioè di cosa utile alle attività umane. Ora, per ottenere materie prime seconde in maniera sostenibile è necessario che i materiali siano tenuti separati sin dal momento della produzione, cioè tra le mura domestiche e negli esercizi commerciali. Operando questa separazione, l’utente si viene a trovare nella duplice veste di cliente e di co-produttore del servizio, ruolo quest’ultimo a cui ci stiamo avvezzando: lo scaffale del supermercato, il bancomat, il distributore automatico del carburante ... Sulla via della co-produzione gli utenti possono andare ancora oltre: possono diventare trasformatori del rifiuto e utilizzatori dei prodotti originati dal trattamento, allorché praticano il compostaggio domestico e utilizzano il compost nel loro orto, o giardino ovvero nei vasi con piante ornamentali. Questo comportamento ha indubbi vantaggi ambientali ed economici. Nei Comuni Soci, COGESA diffonde, dovunque possibile, il compostaggio domestico, nell’ambito dell’iniziativa “Dalla Natura … alla Natura – la buona pratica del compostaggio domestico,” progetto attuato in collaborazione con Ecogest nell’ambito di un Protocollo d’Intesa tra Regione Abruzzo e COGESA, per mezzo del quale gli utenti, sotto forma individuale oppure associata, diventano promotori del cambiamento verso modelli e stili di vita sostenibili, come fa l’Associazione Terra di Domani nei Comuni dell’Alto Sangro.


L’obiettivo di mantenere separati i materiali fa spostare la nostra attenzione sul modo in cui avviene la loro raccolta. Passiamo, quindi, alla successiva foto. Foto 2: le Raccolte domiciliari Nei Comuni serviti da COGESA si va diffondendo un sistema integrato di gestione dei rifiuti finalizzato a minimizzarne la produzione e a massimizzare il recupero di materiali. Il modello è centrato sui servizi di raccolta porta a porta e sulla apertura di ecocentri. La modalità domiciliare dei servizi crea e attiva sul territorio una rete estesissima di attori, i cui gangli sono tanti quanti gli utenti. Raccolta porta a porta C’è da osservare che la qualità dei materiali raccolti dipende anche dalle indicazioni fornite agli utenti, perciò comunicazione, formazione e informazione assumono un ruolo strategico. Di qui la necessità di allargare la rete, connettendosi alle varie agenzie formative e utilizzando tutti i media disponibili. In merito, COGESA, attraverso iniziative che vanno dalle comunicazioni sui periodici locali, agli incontri con la popolazione, alla partecipazione a conferenze, ai suggerimenti degli operatori, scambia incessantemente informazioni tra e con gli utenti. Di conseguenza si modifica e amplia anche il ruolo del personale aziendale, sia operativo che di supporto. Così, la chiave del successo del sistema integrato di gestione dei rifiuti attuato da COGESA è insita nei valori, negli schemi mentali e nei comportamenti che vengono assunti dagli utenti e dal personale dell’azienda. Con il “porta a porta” si hanno altri benefici, tra cui la migliorata qualità ambientale dei comuni serviti, dovuta anche all’uscita di scena dei cassonetti stradali, fattore critico per tanti graziosi borghi antichi abruzzesi con vocazione turistica. In questo modo, in sordina, il sistema di gestione ambientale opera in sinergia con il sistema turistico. La diffusione delle raccolte domiciliari deve, perciò, confrontarsi con le caratteristiche del territorio abruzzese su cui opera, caratterizzato per lo più da una bassa densità abitativa e da notevoli distanze su una rete stradale prevalentemente di montagna. Da questa circostanza, dalla stagionalità dei cicli di produzione dei rifiuti e dall’ampio ventaglio di materiali da movimentare (carta e cartone, vetro, plastica, alluminio, banda stagnata, legno, RAEE, ingombranti, ecc .) nasce la necessità di ottimizzare l’intero sistema logistico, di cui diamo di seguito qualche indicazione, osservando la successiva foto. Foto 3: Logistica inversa, Ecocentri e SIT La raccolta dei rifiuti è un tipico esempio di logistica inversa, ovvero di un modo di pianificare, controllare l’efficienza delle risorse dal punto di vista di raccolta e recupero al punto di origine, al fine di ridare valore ai materiali che hanno esaurito il loro ciclo di vita. Nel caso dei Comuni serviti da COGESA (dove i bacini di raccolta sono determinati dalla configurazione plano-altimetrica del territorio) il modello più funzionale è risultato quello per hub and spokes (modello a rete integrata): i nodi di più basso livello sono i

luoghi di produzione dei rifiuti; i nodi terminali sono le attività che riutilizzano i materiali recuperati o i siti di smaltimento, i nodi intermedi sono prima gli ecocentri e, a seguire, gli impianti di trattamento. L’ottimizzazione delle raccolte richiede più operazioni. In primo luogo vanno ottimizzati i circuiti di raccolta, operazione agevolata da strumenti GIS per la localizzazione dei nodi e la determinazione dei circuiti ottimali. I Sistemi Informativi Territoriali (SIT) fanno parte, da anni, dell’armamentario COGESA. In secondo luogo serve l’uso di veicoli di ingombro limitato e buona capacità di carico (satelliti a vasca con sistemi di compattazione) cioè idonei sia alla raccolta del rifiuto organico e vetro che alla raccolta di materiale a basso peso specifico (cartone, plastica e residuo). In terzo luogo, e qui siamo sul versante dei controlli delle operazione, serve l’uso di sistemi RFID installati sui contenitori e di sistemi GPS installati sui mezzi di raccolta. I flussi delle informazioni transitano per le reti telematiche e, in parallelo, i flussi di materiali transitano per la rete degli ecocentri. Questi, previsti in numero di 5, sono così localizzati: 3 nella Valle Peligna; 1 nella Valle del Sagittario; 1 nella Valle Subequana. Gli ecocentri già attivi sono attrezzati con contenitori idonei ai diversi tipi di rifiuti che l’ecocentro può ricevere e che generalmente sono cassoni scarrabili semplici o compattanti.

L’ecocentro di Raiano I trasporti in uscita dagli ecocentri è effettuato con veicoli ad alta capacità di trasporto, cioè complessi veicolari idonei alla movimentazione di cassoni scarrabili. Le mete dei trasporti sono gli impianti di trattamento per il recupero o per lo smaltimento e il principale impianto per il trattamento dei materiali secchi è rappresentato nella foto successiva. Foto 4: la Valorizzazione dei materiali I materiali secchi recuperabili sono selezionati e, in certi casi, pressati all’interno della Piattaforma di tipo A, localizzata a Sulmona, che ha una capacità di 20.000 t/anno, parzialmente impegnata dai conferimenti dei Comuni Soci e di Comuni della provincia di Chieti. I flussi in ingresso sono sia monomateriale che multimateriale ( leggero o pesante).

Interno della piattaforma di tipo A Come le altre parti del sistema integrato, anche la Piattaforma di tipo A è nodo di una rete molto estesa e la sua vita dipende da molte sinergie: da una parte la rete degli utenti, che si impegna a conferire i rifiuti in maniera dif-

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ferenziata; dall’altra la rete delle cartiere, delle vetrerie, delle fonderie, ecc., cioè il mondo del recupero composto dai Consorzi di filiera CONAI. All’interno della piattaforma di tipo A avviene la selezione dei materiali, al fine di renderli idonei alle successive fasi di recupero, e lo stoccaggio dei materiali, prima del loro conferimento agli impianti di successivo trattamento. Ciò che residua dalle raccolte differenziate (per questo è chiamato rifiuto residuo) si presenta sotto forma di miscuglio di materiali che viene conferito presso l’impianto della prossima foto.

COGESA nel corso degli anni ha progressivamente sviluppato le sue attività, attivando, fin dagli anni ’90, raccolte stradali e con lo smaltimento in discarica, sviluppandole in seguito lungo il percorso che conduce alle raccolte domiciliari e al recupero dei materiali. Gli effetti del progressivo sviluppo delle attività ha prodotto un aumento del volume di affari come mostra il grafico 1 del fatturato.

Foto 5: Il Trattamento meccanico biologico del rifiuto residuo I rifiuti residui costituiscono l’input dell’impianto di trattamento meccanico biologico, localizzato a Sulmona e gestito da Daneco Impianti Srl e, al presente, la cui capacità di trattamento attualmente è saturata per intero dai rifiuti conferiti dai Comuni soci e da Comuni terzi tra i quali L’Aquila, parte dei Comuni dell’Aquilano e da Comuni dell’area Alto Sangro - Piano delle Cinquemiglia. Gli output dell’impianto sono metalli ferrosi, Frazione Organica Stabilizzata (FOS) e sovvallo.

Grafico 1: fatturato COGESA anni 2001 - 2010

Il ragno del TMB mentre carica rifiuto residuo Allo smaltimento in discarica è assegnato un ruolo residuale (per questo non c’è una foto). Mi limiterò, quindi, a dire che l’impianto di discarica di COGESA è autorizzato per una capacità totale pari a 300.000 mc, suddiviso in quattro lotti, di cui uno è saturo; uno è in coltivazione; due sono ancora da realizzare. Per un argomento residuale è già troppo. Per passare dalle istantanee al quadro d’insieme e abbozzare una parte delle Aree Strategiche di Affari (ASA) può essere utile una matrice offerta/clienti di tabella 1. CLIENTI

RD autocompostaggio RD stradale RD domiciliare RD ecocentro Sanificazione contenitori Spazzamento

ASA 9

Valorizzazione RD

ASA 10

Selezione stabilizzazione rifiuto residuo Smaltimento Materie Prime Seconde Compost

ASA 11 ASA 12

ASA 13

Tabella 1: matrice offerta/clienti

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Settore agricolo

ASA 4 ASA 6 ASA 8

Settore recupero MPS

ASA 1 ASA 2 ASA 3 ASA 5 ASA 7

privati

collettività

Raccolta presso utenze non domestiche

SERVIZIO/PRODOTTO

Raccolta presso utenze domestiche

Comuni

ASA 14 ASA 15 ASA 17

Il grafico mostra una traslazione verso il basso a partire dal 2008, dovuta alla riduzione della tariffa di conferimento per i Comuni Soci, resa possibile dall’apertura degli impianti COGESA ai rifiuti di Comuni non Soci. Ma i fattori che hanno determinato lo sviluppo di COGESA sono molteplici. Per citarne alcuni: - l’allineamento alle pianificazioni regionale e provinciale e la collaborazione con gli Enti Locali; - la definizione di una strategia aziendale coerente sia con la forte richiesta di tutela ambientale necessaria ad un territorio denso di Aree Protette e di prestigiosi centri storici, sia alla domanda di occupazione determinata da un progressivo smantellamento degli insediamenti industriali; - la capacità di collegamento con le imprese e i soggetti funzionalmente connessi alle attività di COGESA; - l’interazione serrata con gli stakeholders. L’attenzione è stata rivolta a costruire e ottimizzare l’intero sistema di gestione dei rifiuti dal conferimento da parte degli utenti fino alle attività terminali di avvio a recupero o smaltimento passando per le fasi intermedie di raccolta, trasporto e trattamento. Il sistema integrato di COGESA cambia nel tempo, evolvendosi insieme all’ambiente con cui interagisce. Pertanto, se la rappresentazione fornita vi è sembrata mossa o sfocata, questo dipende non solo dai miei limiti di fotografo, soprattutto dalla rapidità con cui il COGESA si muove, che è appunto un indicatore della complessità, dinamicità e vitalità dell’azienda.


ECONEWS

“Direttiva regionale per la gestione dei rifiuti accumulatisi sulle spiagge marittime”

RIFIUTI SPIAGGIATI: SELEZIONARE,RICICLARE E PRESERVARE LA RISORSA “SABBIA”!! Emanate linee guida per i Comuni per una migliore gestione dei rifiuti spiaggiati. di Silvia Barchiesi

L’impegno della Regione Abruzzo verso la corretta gestione dei rifiuti non risparmia neanche le spiagge e i litorali, visto che tonnellate e tonnellate di rifiuti finiscono anche nel mare. Ecco allora che plastica, gomma, vetro, legno, metalli e detriti di ogni tipo, dai fiumi (eventi alluvionali) e dal mare (soprattutto a seguito di mareggiate), si riversano e si accumulano anche sulle spiagge che finiscono per diventare vere e proprie “discariche a cielo aperto”, in particolare in inverno quando gli arenili non vengono puliti. Capita così che a ridosso dell’apertura della stagione balneare l’urgenza della pulizia e la fretta della bonifica della spiaggia finisca per produrre una mole di rifiuti indifferenziati che sacrifica, invece, la risorsa “sabbia”, oltre che la raccolta differenziata. Di qui la necessità di emanare delle linee guida e di indirizzo, rivolte ai Comuni, per una corretta gestione dei rifiuti spiaggiati. Sono quelle emanate dalla Regione Abruzzo con la Circolare n.1/2011, “Direttiva regionale per la gestione dei rifiuti accumulatisi sulle spiagge marittime”. Tra gli scopi della Circolare: - migliorare l’organizzazione dei servizi di igiene urbana dedicati alle spiagge marittime; - preservare prioritariamente la risorsa naturale “sabbia”; - garantire una distinta gestione delle diverse frazioni di rifiuti e promuovere il recupero/riciclo degli stessi per contribuire al raggiungimento degli obiettivi definiti dalla normativa regionale (PRGR) e dagli strumenti di pianificazione provinciali (PPGR). Nel dettaglio, la Circolare fornisce ai Comuni e agli operatori del settore indicazioni sull’opportuna selezione dei rifiuti spiaggiati e sulla loro corretta e preventiva differenziazione. L’obiettivo è duplice: avviare prioritariamente al recupero e al riciclo la maggiore quantità di rifiuti (materiali riciclabili) e allo stesso tempo tutelare e preservare la “risorsa naturale” per evitare che quantità consistenti di sabbia finiscano in discarica e vengano smaltite assieme ai rifiuti, ottenendo così anche consistenti economie di spesa per i servizi d’igiene dei Comuni. In attuazione alla Circolare, gli operatori incaricati della pulizia del litorale, dovranno pertanto: 1. provvedere a effettuare una preventiva selezione delle frazioni omogenee riciclabili (es. plastiche, vetro, legno, metalli, ecc.) per promuovere ed incentivare le operazioni di raccolta differenziata/trasporto/recupero degli stessi e contribuire al raggiungimento degli obiettivi definiti dalla normativa nazionale, regionale e dagli strumenti di pianificazione provinciale (PPGR);

2. effettuare la raccolta e l’eventuale trattamento dei quantitativi di rifiuti residui dalle operazioni di selezione, mediante operazioni (es. “vagliatura”), con adeguati automezzi ed attrezzature che dovranno assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e consentire il permanere in loco del maggior quantitativo possibile della risorsa naturale “sabbia”. Per eventuali presenze di “ghiaie”, anche in relazione alla loro quantità, queste dovranno essere gestite secondo le disposizioni impartite dalle Autorità competenti. Per ottimizzare le operazioni di raccolta e di trasporto dei rifiuti spiaggiati, la Circolare prevede anche la possibilità per i Comuni di istituire, tramite apposite ordinanze, “punti temporanei di raccolta e/o centri di trasbordo”, in cui poter “parcheggiare” in via provvisoria i rifiuti, ma in cui questi non possano sostare oltre le 48 ore (D.Lgs. 152/2006). Oltre a frazioni omogenee di rifiuti (vetro, plastica, legno, ecc.), tra i materiali spiaggiati che si accumulano lungo i litorali ci sono, però, anche alghe, posidonie, foglie o altri fenomeni naturali che finiscono per ricoprire gli arenili di vere e proprie “coperte vegetali” , la cui rimozione comporta anche il successivo avvio allo smaltimento/recupero in impianti autorizzati. Recentemente, infatti, oltre all’interramento e al conferimento in discarica delle alghe, sono applicabili misure innovative per il recupero delle biomasse di origine algale spiaggiate come, ad esempio il loro utilizzo in processi basati su frazioni legno-cellulosiche per la produzione di carta, in processi aerobici per la produzione di compost e in processi anaerobici per la produzione di biogas, oltre che la possibilità del loro recupero energetico, di fronte all’impossibilità del recupero di materia: processi di recupero energetico indiretto (pirolisi, gassificazione e digestione anaerobica della biomassa algale) e processi di recupero energetico diretto (termovalorizzazione). La Circolare, che “fornisce indirizzi operativi ai Comuni, secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, per una corretta gestione dei rifiuti spiaggiati sul demanio marittimo”, è un ulteriore passo in avanti della Regione Abruzzo nella realizzazione di una gestione integrata dei rifiuti urbani: “questo provvedimento - ha dichiarato il Dirigente del Servizio Gestione Rifiuti, Franco Gerardini - in linea con le politiche regionali di massimizzazione del recupero dei RU e in conformità con gli obiettivi della normativa regionale (PRGR), sta dando dei buoni risultati per i Comuni, in termini ambientali ed economici. I dati saranno pubblicati nel ‘6° Rapporto sulle Raccolte Differenziate’, in fase di elaborazione”.

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ACIAM S.p.A.

DAL RIFIUTO ALLA TERRA: IL FUCINO FA IL PIENO DI COMPOST Il compost di ACIAM SpA commercializzato con il marchio “Compost Abruzzo”, conquista gli agricoltori di Germano Contestabile

A quasi 3 anni dall’attivazione, l’impianto di selezione RSU e stabilizzazione della frazione organica sito in Aielli (AQ) procede a pieno regime; le due linee di lavorazione, una di rifiuto tal quale, l’altra di matrici organiche selezionate, soddisfano le esigenze di trattamento di tutti i Comuni soci di ACIAM S.p.A., con un bacino di utenza di circa 200.000 abitanti. LINEA TAL QUALE La linea tal quale lavora 70.000 tonnellate di rifiuti indiffe-

renziati all’anno che sono sottoposti ad un trattamento di selezione ed stabilizzazione biologica, prima di essere avviati nelle discariche dentro e fuori regione. Il trattamento di stabilizzazione, obbligatorio per legge, dà luogo ad una riduzione in peso del rifiuto di circa il 20% ed in volume del 5-10%. LINEA DI COMPOSTAGGIO Ancora più rilevante è la funzione ambientale svolta dalla linea selettiva dell’umido per la produzione di compost di qualità. Dal settembre 2010 all’agosto 2011 sono state 11.626 le tonnellate di materiale organico, derivanti da raccolta differenziata introdotte nell’impianto. Si è trattato di scarti di cucina, avanzi di cibo, sfalci, potature e altri rifiuti vegetali provenienti dagli oltre 50 Comuni conferenti di tutta la Regione Abruzzo. La trasformazione aerobica delle matrici organiche, attraverso la maturazione in biocelle, la successiva stabilizzazione in aie insufflate e la raffinazione finale, ha prodotto nel medesimo periodo circa 3.000 tonnellate di compost di qualità.

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Durante le fasi di trattamento il materiale organico perde gran parte del contenuto di umidità e subisce una consistente riduzione sia in peso che in volume. Gli scarti di raffinazione finale, costituiti da materiali organici non ancora completamente compostati, vengono reinseriti nel ciclo di lavorazione per compiere un ulteriore periodo di biodegradazione. Il compost finale ottenuto è un materiale certificato che può fregiarsi del marchio “Compost Abruzzo” in virtù di uno specifico protocollo operativo siglato tra CIC (Consorzio

Italiano Compostatori), Regione Abruzzo e ACIAM S.p.A.. Esso è utilizzato nelle lavorazioni agricole in sostituzione o integrazione dei tradizionali concimi di origine chimica o anche in quelle floro-vivaistiche, in combinazione con la torba. Tutto il compost prodotto nell’impianto di Aielli viene ceduto alle aziende agricole del Fucino con risultati molto soddisfacenti a detta degli stessi agricoltori. Sono circa 50 le aziende agricole e florovivaistiche che nel corso del 2011 hanno acquistato il compost direttamente presso l’impianto. L’agronomo Liberato Iacobacci titolare, di una delle migliori realtà aziendali del Fucino è stato uno dei primi a scommettere sul Compost di qualità prodotto nell’impianto ACIAM di Aielli. Avendo richiesto di una sua valutazione circa l’efficacia del “Compost Abruzzo”, introdotto nei suoi campi, ha risposto che: “da agronomo sono sempre stato fermamente convinto dell’efficacia dell’ammendante compostato misto purché sia di buona qualità; d’altro canto, però, non avevo mai avuto modo di testarne personalmente


la validità. Così, nel 2009, con l’attivazione dell’impianto di Aielli e la successiva assegnazione al prodotto del marchio di qualità “Compost Abruzzo”, ho deciso di implementare sui terreni della mia azienda questa tecnica di concimazione del tutto nuova per la zona, confortato dalle garanzie offerte al progetto dall’ARSSA (Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo Agricolo della Regione Abruzzo), dal CIC e dalla Regione stessa. L’impiego di ammendante compostato misto, mi ha consentito di ridurre significativamente l’utilizzo dei fertilizzanti chimici tradizionali con risultati molto soddisfacenti; su una superficie di circa 3 ettari coltivati a patate, ho sperimentato le differenze di resa tra l’utilizzo di concime minerale chimico e quello trattato con il compost di qualità. Ebbene, l’uso del compost combinato con i tradizionali fertilizzanti chimici, mi ha consentito una considerevole riduzione di questi ultimi (-30 unità per ettaro di azoto; -15 di fosforo; -40 di potassio). I risultati sono stati, quindi, a dir poco soddisfacenti: la produttività dell’area sottoposta a trattamento combinato (compost + concime minerale) è stata di circa il 20% superiore a quella dell’area trattata

za ancora maggiore in un periodo in cui la disponibilità di impianti di smaltimento costituisce una forte criticità per il ciclo integrato dei rifiuti nell’intera regione Abruzzo. In termini di emissioni di CO2, poi, il trattamento dei terreni con ammendante di origine organica favorisce il progressivo accumulo di carbonio nel suolo, contribuendo a ridurre la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera e adempiendo ad una funzione fondamentale nella lotta all’effetto serra. A ciò va aggiunta la mancata emissione di CH4 in atmosfera, che si sarebbe generata con la fermentazione dei rifiuti organici all’interno delle discariche.

esclusivamente con concime minerale chimico. Vantaggi ulteriori potrebbero derivare dall’utilizzo del compost di qualità prodotto da ACIAM S.p.A. sui campi nei campi riservati a coltura biologica, per i quali, sussistono restrizioni per i fertilizzanti chimici. In ogni caso, l’utilizzo di ammendante organico (che sia compost o letame), serve al terreno per mantenere nel tempo la giusta combinazione di sostanze nutritive, mentre, al contempo, il minor utilizzo di fertilizzanti chimici, unito all’approvvigionamento di compost a buon mercato, comporta una sensibile riduzione dei costi di processo”.

opera dei camion che trasportano rifiuti, si è rivelata di scarso impatto, così come non hanno trovato fondamento le iniziali preoccupazioni di inquinamento olfattivo che potessero pregiudicare la qualità dell’aria nelle vicinanze della struttura. Anche le supposte ripercussioni sulle riserve idriche sotterranee si sono rivelate prive di fondamento, a tutto vantaggio degli agricoltori che hanno potuto continuare tranquillamente ad usare quell’acqua per l’irrigazione dei terreni della zona.

Da un primo bilancio ambientale si evidenziano rilevanti benefici sull’ambiente sia in termini di minore conferimento in discarica che di riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera: il mancato conferimento in discarica delle circa 11.626 tonnellate di rifiuto organico lavorate in un anno da ACIAM S.pA. ha dato luogo ad un risparmio di quasi 15.000 m3 di volumetria disponibile. Tale dato assume una rilevan-

Si stima che la lavorazione del solo rifiuto organico nell’impianto di ACIAM S.p.A. ed il conseguente utilizzo del compost di qualità sia in agricoltura che nel florovivaismo, generi ogni anno una riduzione totale di CO2 equivalente in atmosfera pari a circa 200.000 kg. Infine, occorre segnalare come la paventata congestione della viabilità extraurbana che conduce all’impianto, ad

Azienda Consorziale Igiene Ambientale Marsicana Via Edison 25 (N. Ind.le) 67051 Avezzano (AQ) Tel 0863 441345 - Fax 0863 440651 info@aciam.it - www.aciam.it - Numero Verde: 800 220403

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DIREZIONE PROTEZIONE CIVILE - AMBIENTE - Servizio Gestione Rifiuti Via Passolanciano, 75 - Pescara - Tel. 085.7671 - Fax 085.767.2585 - www.regione.abruzzo.it Regione Abruzzo


indice Marche

pag.

Manifestazioni econvegni Convegno a Ecomondo sulla prevenzione dei rifiuti Il Progetto “Pre-waste” Le best practices del territorio a confronto di Silvia Angeloni

II

Green Economy L’economia verde per uscire dalla crisi Convegno e presentazione del Rapporto Green Italy 2011 di Unioncamere e Fondazione Symbola ad Ancona di Agnese Mengarelli

V

Settimana Europea per la riduzione dei rifiuti 2011 Comuni ricicloni. speciale prevenzione ii edizione Classifica delle migliori esperienze marchigiane di prevenzione nella produzione dei rifiuti di Agnese Mengarelli

VIII

ASSAM Energia e agricoltura nella terza rivoluzione industriale Ad Ancona, l’ASSAM ha promosso un interessante pomeriggio di confronto ed aggiornamento con la partecipazione del noto economista Jeremy Rifkin

XII

COSMARI Innovazione e collaborazione per la crescita del territorio Ad ECOMONDO presentati i dati del 5° Rapporto sul “porta a Porta” e il nuovo sistema di identificazione e misurazione dei sacchetti conferiti “Riciclochip” di Alberto Piastrellini

XIV

A 5 mesi dal referendum, sull’acqua pubblica “piovono” ancora minacce: a rischio tariffe, investimenti e qualità del servizio L’acqua pubblica? “zampilla” ancora, ma “naviga” nell’incertezza La fotografia e gli scenari dell’acqua post-referendum nell’analisi dell’Autorità d’Ambito Ottimale n. 2 “Marche Centro - Ancona”. di Silvia Barchiesi

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MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

Convegno a ECOMONDO sulla prevenzione dei rifiuti

IL PROGETTO “PRE-WASTE” Le best practices del territorio a confronto

di Silvia Angeloni

Il 10 novembre 2011 nella Sala Convegni “Regioni & Ambiente”, all’interno della fiera” ECOMONDO” di Rimini, si è tenuto il Convegno “Il progetto Pre-waste e la prevenzione dei rifiuti”. Ad iniziare i lavori e a moderare gli interventi è stato Piergiorgio Carrescia, Dirigente Green Economy, Ciclo dei rifiuti, AERCA e rischio industriale Regione Marche, il quale è entrato subito nel vivo del problema:”Perché prevenire? La risposta è nel IV Programma Quadro dell’Unione Europea che da quasi un decennio ha fornito delle indicazioni”. È stato chiarito in modo molto esplicito che le misure di prevenzione possono essere applicate in tutte le fasi di produzione del bene, dalla progettazione, alla produzione, al marketing, alla distribuzione e alla vendita. Quindi, la minor produzione dei rifiuti è la nuova sfida che

produzione dei rifiuti soprattutto nelle componenti più pesanti; - valutare la trasferibilità delle buone pratiche nei territori di ogni partner attraverso studi di fattibilità; - definire una strategia condivisa, una metodologia comune di monitoraggio; - migliorare la conoscenza e la capacità delle autorità locali e regionali per una piena consapevolezza da parte della componente politica.

la Regione Marche si è posta nell’ottica dell’economicità e dell’efficacia del servizio reso ai cittadini. L’Unione Europea in materia rifiuti prevede che gli Stati Membri adottino programmi di riduzione dei rifiuti individuando degli specifici obiettivi, in base a parametri di prevenzione. Partendo da questi presupposti, gli obblighi della Direttiva 2008/98/CE, la Regione Marche insieme con i partner, li ha sviluppati nel progetto: PRE-WASTE il cui scopo è quello di elaborare programmi, e misure più idonei per prevenire.

Un incremento dell’accessibilità alle buone pratiche che sono state attuate o in corso nelle varie realtà e una maggiore consapevolezza del ruolo che possono avere le realtà locali per promuovere attività di prevenzione dei rifiuti. Inoltre, serve la definizione di indicatori condivisi per valutare l’efficacia dei vari interventi e, punto molto importante, la formazione di dirigenti ed operatori che a vario titolo siano coinvolti nella gestioni dei rifiuti e sensibili alla prevenzione. Delle 105 buone pratiche individuate, ne sono state implementate 56 tra cui:

Gli obiettivi più specifici di questo progetto sono : - identificare e scambiare la buone pratiche in materia di politiche regionali e locali per la riduzione nella

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I Partner della Regione Marche in questo progetto sono tutti soggetti di Paesi europei coinvolti nella pianificazione come: Spagna, Romania, Francia, Malta etc. Il costo totale del progetto è di un milione e 866 mila euro, circa 400 mila provengono della Regione Marche. Cosa si attende la Regione dal “Pre-waste”?

- promozione del compostaggio domestico; - minimizzazione degli imballaggi in plastica non biodegradabile - recupero dei prodotti freschi invenduti;


-

borse ecologiche per la spesa; azione per incentivazione per il vuoto a rendere vendita dei prodotti alla spina o sfusi; sostenibilità ambientale nei convegni nelle sagre negli eventi - acquisti verdi da parte della PA - minimizzazione della produzione della carta negli uffici.

È seguito l’intervento di Riccardo Viselli, Rappresentante Servizio Tecnico Federambiente che ha illustrato l’impegno dell’Associazione sulle tematiche della prevenzione, concentrandosi nell’illustrazione delle Linee Guida per la prevenzione dei rifiuti urbani realizzate in due edizioni (la prima nel 2006) insieme all’Osservatorio Nazionale dei Rifiuti. “Federambiente è l’associazione di categoria delle imprese che svolgono servizi di igiene ambientale, essenzialmente urbani”, ha precisato Viselli che gestisce ogni anno circa 20 milioni delle 32 milioni tonnellate dei rifiuti prodotti in Italia, un servizio che riguarda 3500 Comuni con le imprese associate. Nel novembre del 2009 Federambiente ha stipulato un Protocollo d’intesa con la Regione Marche, ANCI e Legambiente Marche nell’ambito della riduzione dei rifiuti. Nel 2010 sono state pubblicate le nuove Linee Guida le quali sono realizzate con l’obiettivo di fornire idee e stru-

menti utili, inoltre diffondere quanto è stato fatto per poter essere replicato in un territorio il più vasto possibile. Le Linee guida si articolano in questo modo: c’è prima un inquadramento normativo con particolare riferimento alle politiche europee; si passa quindi, alla descrizione di tutti gli strumenti utili per attivare azioni di prevenzioni sia di tipo normativo che economico; in seguito si attua un’analisi del territorio che aiuti a definire le metodologie operative, infine, c’è l’analisi di 12 flussi di beni. Per ogni flusso vengono analizzate nel dettaglio le azioni che possono essere messe in pratica, chi deve agire, i contesti dove si può agire (casa, ufficio, sagre paesane, alberghi) e come si può agire. Per alcuni flussi sono presenti nelle Linee guida azioni utili che si possono svolgere. Ad esempio per gli imballaggi per acqua è in atto nel

bacino di Venezia un’azione importante quella di ridurre gli imballaggi in plastica. Per reclamizzare questa iniziativa i sindaci di tutti i Comuni coinvolti si sono fatti fotografare con una caraffa mentre versano l’acqua nel bicchiere, sono state distribuite 120 mila caraffe, il risultato è stato ottimo con una diminuzione del 10% del consumo di bottiglie di plastica. Per quanto riguarda le stoviglie usa e getta, c’è un’attività interessante svolta dall’APPA di Bolzano che offre un servizio di autonoleggio di stoviglie da campo e kit lavastoviglie riutilizzabili per sagre e feste paesane a cui hanno fatto ricorso nell’ultimo anno 50 manifestazioni. Per quanto concerne i contenitori per detersivi, c’è l’azione messa in atto dalla Regione Piemonte per la diffusione della vendita di detersivi alla spina negli esercizi commerciali, a cui nel 2010 hanno aderito 46 punti vendita. Per gli alimenti, è stata citata una società, l’AMIAT di Torino nell’ambito del Progetto “Buon samaritano” che si è occupata delle derrate alimentari, quelle ancora commestibili, ma che non possono essere vendute, per evitare che diventino rifiuto organico, destinandole a persone in difficoltà o ad associazioni assistenziali. Per quanto riguarda la situazione attuale, va detto che il decreto legislativo 205/2010 ha rafforzato la gerarchia di gestione dei rifiuti con l’obbligo della redazione del Programma Nazionale di Prevenzione entro il 12 dicembre

2013, prevedendo l’impossibilità di una gestione integrata dei rifiuti senza l’attuazione piena e diffusa della prevenzione. Per questo è importante che le istituzioni intervengano in maniera strategica. Le buone pratiche locali funzionano, ma è necessario comunicarle perché solo una diffusione capillare può cambiare i numeri in gioco, e sottrarre la produzione dei rifiuti ai parametri economici. Dopo aver ringraziato per l’invito rivoltogli a partecipare, Roberto Cavallo Presidente ERICA Soc. Coop. ha esordito col dire che: Pre-waste è un progetto molto interessante perché pone l’accento su quello che è la prima attività della gestione dei rifiuti”. La prevenzione non deve essere solo un enunciato di buoni principi nelle norme di riferimento,

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bisogna prevenire i rifiuti, evitando il rischio che rimanga una questione culturale”. Ha ricordato, quindi come sia importante uscire dal semplice approccio culturale della prevenzione, per entrare direttamente all’interno della programmazione vera. Se oggi produciamo 532 kg di rifiuti per abitante annuo a livello nazionale, visto che l’Italia dovrebbe entro fine 2013 emanare un Piano Nazionale di Prevenzione è importante come chiede l’Unione Europea che vengano fissati dei parametri di riferimento. Cavallo ha poi citato un suo recente libro che parla di rifiuti, dove si racconta la storia di un certo tipo di acqua minerale e delle bottiglie in plastica. Dalla fabbricazione della bottiglia al suo imbottigliamento si percorrono diversi Paesi, dal Brasile alla Polonia, all’Italia e si finisce con la raccolta differenziata. In tutto questo lungo tragitto c’è un’altissima produzione di emissioni inquinanti che si diffondono nell’atmosfera e vanno considerate. Ecco perché la prevenzione è importante ed è stata inserita in modo sempre maggiore nelle nuova direttiva comunitaria. Insomma, è economicamente più vantaggioso non consumare la bottiglia in plastica che produrla. Ma la prevenzione è una cosa seria? L’Unione Europea ha posto come traguardo la dissociazione tra la crescita economica e la crescita dei rifiuti. L’Inghilterra e la Germania sono i due unici Paesi in Europa che hanno diminuito i rifiuti tra il 2002 e il 2008, mentre l’Italia li ha aumentati. In merito al potere d’acquisto familiare, nel 1998 un tedesco aveva un potere d’acquisto familiare pro/capite di circa 31 mila dollari, che nel 2010, è arrivato a poco meno di 34 mila dollari, mentre un italiano è cresciuto e ha chiuso nel 2010 con un potere d’acquisto di 28.500 dollari. Ebbene, noi siamo riusciti a dissociare la crescita economica dalla produzione dei rifiuti, ossia non cresciamo e produciamo più rifiuti, il contrario di quello che è l’obiettivo dell’UE. Perché la Germania ha un potere d’acquisto che cresce e producono meno rifiuti? Perché finché non si fa una politica seria sulla prevenzione dei rifiuti come il progetto pre-waste, non si ottengono risultati. Nelle Fiandre hanno diminuito i loro rifiuti, avevano 6 inceneritori ne hanno spenti 3, e si vuole trasformare le discariche in centri di stoccaggio. In questa parte dell’Europa si sta pensando di attivare un numero verde per le riparazioni inviando direttamente il tecnico a casa a ripristinare un elettrodomestico oppure a cambiare il pezzo, evitando mezzi che solcano la strada, producendo meno rifiuti. Sempre nella regione sopra citata va ricordato che i cittadini pagano in rapporto alla loro produzione dei rifiuti che può essere a peso o a volume. Laddove si ha una tariffa, va da sé che un produttore è stimolato a ridurre la quantità di rifiuti. Non è così che funziona in Italia dove alla fine si è scelto che i rifiuti siano a carico del produttore.

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L’industria funziona se c’è un sistema, se c’è l’ente pubblico, è di questo che si ha bisogno. Siamo in uno Stato che delega alle Regioni la pianificazione, quindi bisogna che vengano presentati i Piani Regionali nei quali si dica quante tonnellate di umido si possono ridurre nella singola regione e come si possono ottenere questi risultati. Ad esempio chi possiede un orto di 20 m² potrà smaltire l’umido all’interno dello stesso. La teoria degli interventi è proseguita con Luigino Quarchioni Presidente Legambiente Marche :“ Noi di Legambiente sono anni che ci occupiamo di “Comuni Ricicloni”, il cui primo obiettivo è sempre stata sempre stata la prevenzione”. La prevenzione è un valore ambientale, ma anche sociale ed economico che per essere messa in atto ha bisogno di quella che viene chiamata “narrazione convincente”. Quella narrazione convincente che Jeremy Rifkin, in una recente intervista ha dichiarato essere l’anello mancante in Italia e in Europa, mentre è assai diffusa negli USA. Oltre a questa azione di convincimento, va detto che negli ultimi anni si sono messe in moto tante esperienze di cui la Regione Marche è stata l’artefice. Per esempio, il gruppo FAAM di Monterubbiano, ha stipulato un accordo a Torino con Magneti Marelli e Pininfarina, per rigenerare vecchi autobus euro 0. Si ritireranno gli autobus, Pininfarina farà il restyling, la Magneti Marelli sostituirà il motore diesel con il motore elettrico e la FAAM si occuperà delle batterie. Ognuno inserirà la migliore tecnologia, di cui può disporre, rinnovando, ma non sostituendo l’intero autobus. Per ultimo Giuseppe Giampaoli Direttore COSMARI ha ricordato come il Consorzio rappresenti l’ultimo segmento di gestione dei rifiuti, ma di certo non meno importante della programmazione. Come Consorzio pubblico non sa se lo stesso continuerà ad esistere in questa veste, poiché come altri Consorzi potrebbe essere privatizzato. Molti Enti Gestori che sono stati privatizzati hanno peggiorato la loro qualità, perché il privato quando vede la diminuzione del rifiuto non ha molto interesse a vedere ridotto l’oggetto di lavoro, perché deve realizzare dei profitti. Quando il COSMARI ha introdotto i cambiamenti nei sistemi di raccolta, l’ha fatto senza tensioni, diminuendo anche gli introiti, pensando però alla qualità del servizio. Ora ci si chiede: sarà così anche domani? Ha ricordato infine che le esperienze esemplari della gestione dei rifiuti in Italia, sono tutte gestite dal servizio pubblico sulla base di modelli avanzatissimi. A conclusione della giornata si può affermare che prevenire la produzione dei rifiuti è lo snodo per una gestione maggiormente proficua degli stessi.


Green Economy

L’ECONOMIA VERDE PER USCIRE DALLA CRISI Convegno e presentazione del Rapporto Green Italy 2011 di Unioncamere e Fondazione Symbola ad Ancona di Agnese Mengarelli

Disoccupazione, crisi, debito pubblico, crescita zero: il periodo storico che l’Italia sta attraversando, pone la nostra nazione di fronte a una sfida per la quale è necessario ricostruire il futuro dalle basi, in modo da ritrovare il nostro posto nella comunità internazionale. Non si può più aspettare, si deve partire dall’Italia attuale, quell’Italia che ha sempre affrontato le crisi in modo coraggioso, la cui capacità di rialzarsi e lottare viene invidiata da tutto il mondo. La sfida è hic et nunc, basta cogliere le opportunità del cambiamento e coniugare sviluppo economico, territorio, comunità e ambiente, individuando e valorizzando le caratteristiche migliori del nostro tessuto produttivo. La green economy da tempo è considerata un volano per uscire dalla crisi e i numeri nel nostro Paese, in particolare nelle Marche, parlano chiaro: alla fine di quest’anno il 23,9% delle imprese italiane avrà fatto investimenti riconducibili all’economia verde, mentre il 38% delle assunzioni sarà imputabile

proprio a questo comparto. In numeri assoluti si parla di 227.000 nuovi occupati su un totale di 600.000. Di ciò si è discusso ad Ancona durante la presentazione del Rapporto Green Italy 2011, il dossier realizzato da Unioncamere in collaborazione con la Fondazione Symbola e durante il Convegno nazionale “L’economia verde per uscire dalla crisi”, promosso da Legambiente, nell’ambito dei convegni nazionali che hanno preceduto il suo congresso nazionale che si sarebbe svolto a Bari dal 2 al 4 dicembre, insieme alla Fondazione Symbola e alla Camera di Commercio di Ancona e con il contributo delle aziende marchigiane Brandoni Solare ed Energy Resources. Dal Rapporto Green Italy 2011 è emersa una vera rivoluzione verde, in quanto gli effetti della crisi hanno posto in essere un ripensamento radicale del modello di sviluppo italiano. In Italia, quasi un’impresa su quattro, cioè il 23,9% del totale, quantificabile in 370.000 imprese, di cui 150.000 in-

dustriali e quasi 220.000 nei servizi, ha realizzato investimenti verdi negli ultimi tre anni, o realizzerà entro il 2011, creando nuova occupazione. Si calcola, infatti, che il 38% della domanda di assunzioni da parte delle imprese sia collegato direttamente o indirettamente all’ambiente, vale a dire più di 220.000 assunzioni, sulle quasi 600.000 totali, previste dalle aziende nell’anno in corso. Questi numeri rappresentano un forte segnale, considerando che il nostro tessuto produttivo è composto da piccole e micro imprese, dove la realizzazione di investimenti green risulta più difficile e contenuta per cause di natura strutturale o legate al basso impatto ambientale delle loro attività. Dal Rapporto GreenItaly 2011, inoltre, è emerso che un terzo delle imprese che investono in tecnologie green vantano una presenza sui mercati esteri (34,8%), quota quasi doppia rispetto a quella rilevata per le imprese che non puntano sulla sostenibilità ambientale (meno di due su cinque, pari al 18,6%). Questa tendenza all’internazionalizzazione, indispensabile per anticipare la concorrenza e crearsi nicchie qualificate di mercato, è più diffusa nella manifattura, dove la quota di imprese che realizzano investimenti green sfiora il 28% a fronte di un più ridotto 22% nel terziario. Tra le attività manifatturiere, oltre alla chimica e alle attività connesse sostanzialmente all’energia, come prodotti petroliferi e public utilities, spicca la filiera della meccanica, mezzi di trasporto, elettronica e strumentazione di precisione, assieme alla lavorazione dei minerali non metalliferi, dove un’impresa su tre si dedica alla realizzazione di investimenti tesi a ridurre l’impatto ambientale delle proprie produzioni. Tabella 1: Incidenza percentuale delle imprese che hanno investito o investiranno tra il 2008 e il 2011 in prodotti e tecnologie green* sul totale, per settore di attività.

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Per quanto riguarda la diffusione geografica, il fenomeno attraversa il Paese da nord a sud: le prime dieci posizioni della classifica regionale per diffusione delle imprese che investono in tecnologie green sono occupate equamente da cinque regioni settentrionali e cinque meridionali. Il Trentino-Alto Adige guadagna il primo posto con il 29,5% di imprese che investono in tecnologie verdi, seguito dalla Valle d’Aosta (27,3%). Seguono le cinque regioni meridionali con valori tra il 27,2% del Molise e il 25% dell’Abruzzo, passando per la Basilicata, la Puglia e la Campania. Con valori di poco superiori al 24% si posizionano poi la Lombardia, il FriuliVenezia Giulia, il Veneto e il Piemonte. In valori assoluti, invece, è la Lombardia a guidare la classifica con 69.330 imprese, seguita da Veneto (32.250 imprese) e Lazio (30.240 imprese). Tabella 2: Graduatoria decrescente delle regioni italiane per incidenza percentuale delle imprese che hanno investito nel 20082010 e/o investiranno nel 2011 in prodotti e tecnologie green sul corrispondente totale nazionale (Valori assoluti e percentuali).

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Incoraggianti i dati che riguardano l’occupazione: nel 2011 il 38% della domanda di assunzioni delle imprese è collegata direttamente o indirettamente all’ambiente. Si tratta di più di 220.000 assunzioni sul totale di quasi 600.000 previste dalle imprese nel 2011. Di queste, circa la metà (97.600 assunzioni) è legata a professioni green in senso stretto, ovvero agli ambiti delle energie rinnovabili, di gestione delle acque e dei rifiuti, di tutela dell’ambiente e di mobilità sostenibile. Positivi anche i dati che riguardano in particolare le Marche: ben 11.010 imprese investiranno in tecnologie e prodotti verdi, pari al 23,1% di quelle regionali. Tra le province, si colloca al primo posto Pesaro Urbino, con il 24,21% di aziende verdi su quelle presenti nel suo territorio (2.760 imprese), seguita da Ancona al 23,2% (3.180 imprese), Macerata al 22,5% (2.240 imprese), Fermo al 22,4% (1.400 imprese) e Ascoli Piceno al 22,1% (1.430 imprese). Sei delle otto imprese leader della green economy marchigiana si trovano in provincia di Ancona. Nel 2005, prima

della rivoluzione verde, queste totalizzavano un fatturato di poco più di 120 milioni di euro con un occupazione di 673 unità. Alla fine del 2011, nonostante sia stato un anno particolarmente segnato dalla crisi, è previsto un fatturato più che quadruplicato a 490 milioni di euro, mentre il numero dei dipendenti è salito a 1.214, composto in prevalenza da personale giovane e altamente scolarizzato. “Sotto le ceneri depositate dalla crisi arde la brace della green economy. - ha spiegato Ermete Realacci, Presidente della Fondazione Symbola - Quello che emerge nella ricerca ci dice che la green economy, a maggior ragione nel grave periodo che stiamo vivendo, è una delle strade principali per rilanciare, su basi nuove e più solide, l’economia italiana. Una prospettiva che nel nostro Paese si incrocia con la qualità, la coesione sociale, il talento, l’innovazione, la ricerca, fattori fondamentali per rendere competitivi i territori e le nostre imprese. Quanto emerge oggi è un’indicazione importante anche per il Governo Monti.” Il Convegno, al quale hanno preso parte importanti realtà imprenditoriali e istituzionali, sia nazionali che regionali, è stato un momento di riflessione per fare il punto sulle opportunità di crescita e per mettere in rete conoscenze e soluzioni per risollevarsi dalla crisi. Nella sua introduzione il Presidente della Camera di Commercio di Ancona, Rodolfo Giampieri, ha ricordato che l’ente da lui guidato lavora da anni alla sostenibilità essendo registrato EMAS già dal 2008 e che intende sostenere l’operato delle imprese locali in questo settore, anche con la concessione di contributi economici, in quanto la green economy “rappresenta un’evoluzione del nostro saper fare, per essere più competitivi sul mercato e per risollevare il settore turistico, grazie all’impronta sostenibile del sistema produttivo sul territorio marchigiano” Gli ha fatto eco Fabio Renzi, Segretario generale di Symbola, secondo il


quale è necessario saper cogliere le prospettive che l’economia verde offre, come irrinunciabile driver di crescita, competitività ed innovazione del sistema. “Se riusciremo a farcela dipenderà anche e soprattutto da noi. - ha dichiarato Renzi - Superare le paure e puntare con più coraggio sulle politiche di accompagnamento alla green e soft economy ci sembra l’unica strada praticabile”. Alla prima Tavola Rotonda, dal titolo “La sfida delle imprese e delle istituzioni” e moderata dal Presidente di Legambiente Marche, Luigino Quarchioni, hanno preso parte Luciano Brandoni, Presidente Brandoni Solare Spa; Giovanni Emili, Presidente Energy Resources Spa; Giuseppe Giampaoli, Direttore COSMARI; Sergio Lupi, Presidente Revolution Spa; Pinuccia Montanari, Assessore all’Ambiente del Comune di Genova e Roberto Mosca, AD Spring Color Srl. Le esperienze imprenditoriali ed istituzionali hanno raccontato quanto la green economy sia già una realtà molto

consolidata e una concreta possibilità di riconversione per affrontare la crisi. Non sono mancati, però, i punti dolenti, gli imprenditori, infatti, hanno lamentato un’evidente instabilità del quadro normativo e una burocrazia troppo pesante, che non permettono una serena programmazione per il futuro e rischiano di ritardare la ripresa dalla crisi. Alla seconda Tavola Rotonda, dal titolo “Quali politiche per l’economia verde?” e moderata dal giornalista Antonio Cianciullo, hanno partecipato: Gianluigi Angelantoni, AD Angelantoni Industrie Spa e Vicepresidente Kyoto Club; Valerio Caramassi, Presidente Revet Spa; Vittorio Cogliati Dezza, Presidente nazionale Legambiente; Francesco Ferrante, Vicepresidente Kyoto Club; Pietro Marcolini, Assessore al Bilancio e alla Cultura della Regione Marche; Ermete Realacci, Presidente Fondazione Symbola; Massimo Sapienza, Presidente SOS Rinnovabili; Oriella Savoldi, Dipartimento Ambiente e Territorio CGIL.

Dalla discussione è emerso che in Italia ci sono stati pochi investimenti per l’innovazione, quindi va riconosciuto a molte piccole e medie imprese il merito e il coraggio di aver fatto ricerca in house e i risultati, se pur positivi, sarebbero stati migliori se ci fosse stata una politica nazionale di accompagnamento. Lo stesso Presidente nazionale Legambiente,Vittorio Cogliati Dezza, ha ribadito la necessità di un Green New Deal, formato da politiche pubbliche coraggiose e lungimiranti, enti locali protagonisti, burocrazia più leggera e welfare e lavoro sicuri “La green economy non è, infatti, una nicchia innovativa e sostenibile del sistema industriale italiano - ha concluso Cogliati Dezza - ma una direzione di cambiamento che punterà a far prevalere gli investimenti in ricerca, qualità, innovazione, attenzione al territorio e, attraverso questo, rilanciare un’occupazione qualificata e rendere l’intero sistema produttivo più moderno e competitivo”.

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Settimana Europea per la riduzione dei rifiuti 2011

COMUNI RICICLONI. SPECIALE PREVENZIONE II EDIZIONE

Classifica delle migliori esperienze marchigiane di prevenzione nella produzione dei rifiuti di Agnese Mengarelli

L’adozione di misure di prevenzione, finalizzate a ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti prodotti, non è solo un principio dettato dai programmi europei e dalle conseguenti direttive, ma è una opportunità economica e ambientale. La nuova Direttiva Europea 2008/98/CE in materia di rifiuti, recepita nella normativa italiana con il D.Lgs 205/2010, infatti, prevede incentivi al riutilizzo, al riciclaggio e al recupero e con l’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali negativi legati all’utilizzo delle risorse naturali. Con l’iniziativa Comuni Ricicloni, nata nel 1994, Legambiente ogni anno premia le comunità locali, gli

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amministratori, le aziende e i cittadini, che si sono distinti con ottimi risultati nella gestione dei rifiuti: dalla raccolta differenziata alla gestione dei rifiuti urbani, ma anche acquisti di beni, opere e servizi, che abbiano valorizzato i materiali recuperati da raccolta differenziata. Nell’ambito della Settimana Europea per la riduzione dei rifiuti 2011, anche nelle Marche sono state premiate le dieci migliori esperienze locali di riduzione nella produzione dei rifiuti, con una premiazione promossa nell’ambito della seconda edizione di “Comuni Ricicloni. Speciale prevenzione”.


Nel 2009, Regione Marche, UPI Marche, ANCI Marche, Federambiente, Unioncamere Marche e Legambiente Marche, hanno siglato un Accordo di Programma Quadro con l’obiettivo di sensibilizzare enti locali, aziende e cittadini verso un contenimento ed un’effettiva riduzione della produzione di rifiuti e verso acquisti sostenibili, volto a diffondere esperienze e buone pratiche tra i diversi soggetti. I componenti del Tavolo di lavoro sulla prevenzione hanno quindi promosso il primo monitoraggio e la premiazione “Comuni Ricicloni- Speciale Prevenzione” delle attività già in essere ritenute più meritevoli. Quest’anno sono pervenute alla Segreteria Tecnica di Legambiente Marche, 30 diverse esperienze diffuse sul territorio e molto variegate tra loro, che hanno raccontato il loro progetto di prevenzione. Le realtà più significative sono state valutate dal Tavolo Tecnico e le migliori sono state valorizzate con l’attribuzione del Premio “Meno Rifiuti” nella premiazione di “Comuni Ricicloni. Speciale Prevenzione”, alla quale hanno partecipato l’Assessore all’Ambiente della Regione Marche Sandro Donati; il dirigente della PF Piergiorgio Carrescia; il Presidente di Legambiente Marche Luigino Quarchioni; il Responsabile scientifico di Legambiente Marche Franca Poli; Marinella Topi per ANCI Marche; Giorgio Marchetti Componente del Comitato direttivo di Federambiente, e Antonella Fuselli dell’UPI Marche.

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CONSULENZE IN: AMBIENTE - SICUREZZA SUL LAVORO - ALIMENTI

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LABORATORIO ANALISI CHIMICHE FISICHE E MICROBIOLOGICHE ACCREDITATO SINAL

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CONSULENZA PER LA CERTIFICAZIONE ISO 9000 - ISO 14000 - OHSAS 18001

Tra i vincitori ci sono aziende, istituzioni, associazioni e istituti scolastici. Tra le imprese è stata premiata la FAAM spa di Monterubbiano (FM) per il progetto “Revamping autobus”, con il quale l’azienda propone la riconversione e la rigenerazione di autobus con età superiore ai 15-20 anni con motori euro 0 - 1 e 2 in autobus a trazione ibrida seriale, oltre al restyling di parti di carrozzeria esterna-internail. Il progetto permette di riusare in maniera assolutamente innovativa i mezzi di trasporto altrimenti obsoleti, consentendo anche un elevatissimo risparmio economico. Premiato anche il Consorzio Solidarietà - Cooperativa sociale Onlus di Senigallia per il progetto “Salvarisorse” nell’ambito del pacchetto “Salvamondo”. In questo progetto, il Consorzio ha dedicato un’intera parte alla prevenzione dei rifiuti, presentando una serie di proposte per i Comuni, alcuni dei quali stanno già lavorando. La sezione delle aziende premiate si chiude con l’IKEA di Ancona, con diverse iniziative per la prevenzione dei rifiuti, come il mercatino dell’usato “Usa e riusa”, “Tutta un’altra scelta” per la promozione dei pannolini lavabili, “Rileggimi” e il laboratorio di cucito creativo “Cucito e Creatività”. L’IKEA è da tempo impegnata in progetti ambientali e sociali e continua ad ampliare le iniziative come il riuso dei libri, di mobili e stoffe.

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Tra gli enti locali, è stato premiato il Comune di Monsano (AN) per la diffusione dei pannolini lavabili e del detersivo naturale lava-noci. L’amministrazione ha inoltre inaugurato il Centro del Riuso nella scorsa primavera e sta realizzando degli incontri con la cittadinanza sui temi della sostenibilità. Un premio è stato assegnato anche al Comune di Camerano (AN) che si è aggiudicato la Targa-premio con il progetto “feste sostenibili” con il quale ha promosso l’utilizzo dell’acqua spinata nelle tre principali manifestazioni del Comune con la conseguente eliminazione delle bottiglie in PET.

L’ultima targa, infine, è stata aggiudicata dall’Associazione Il Ponte Onlus di Fermo per il progetto “Abbasso lo spreco”, promosso e sostenuto dal CSV Marche. L’associazione aiuta gli indigenti della provincia di Fermo, distribuendo pasti e abbigliamento. Gran parte dei pasti forniti, ben 20.354 solo nel 2010, provengono dal recupero degli scarti della grande distribuzione organizzata, grazie alla Legge “Buon samaritano”. Nel 2011 l’Associazione, che ha vinto il premio “Volontariato e Imprese”, ha rafforzato il rapporto con 13 aziende agroalimentari del fermano coordinate da Confindustria Fermo.

Anche le scuole sono state premiate per l’ottimo lavoro svolto. Si è aggiudicato il premio la Direzione didattica statale del 3° Circolo di San Benedetto del Tronto (AP) con l’iniziativa “Scuola amica… in una città sostenibile” con la quale vengono realizzate molte attività sull’educazione alla gestione dei rifiuti, con un’apposita sezione sulla prevenzione e un laboratorio in cui sono state realizzate borse in stoffa dai genitori dei bambini. Da pochi giorni, inoltre, è stata inaugurata una fontanella dell’acqua pubblica. La giuria ha premiato anche l’Istituto comprensivo “Luigi Pirandello” di Pesaro per il progetto “Riciclomondo” che ha installato due distributori di acqua nell’ambito di un progetto educativo molto articolato e ricco di contenuti ambientali, con un meticoloso risvolto educativo sulle risorse risparmiate. Anche il Circolo didattico Fano-San Lazzaro rientra nella rosa dei vincitori per il progetto “Acqua in brocca”, un’iniziativa di sensibilizzazione sui temi dell’acqua in cui la parte della prevenzione è legata alla riduzione dell’utilizzo dell’acqua in bottiglia, a favore dell’utilizzo dell’acqua del rubinetto all’interno della scuola stessa.

Accanto alle iniziative premiate, vanno anche ricordate le buone pratiche della filiera corta, dell’abolizione delle monodosi igieniche e alimentari nelle aziende turistiche, dell’acquisto responsabile dei partecipanti ai GAS (Gruppi di Acquisti Solidali), delle casette per spinare il latte, che i produttori stanno diffondendo un po’ ovunque nel territorio, e dei tanti negozi per lo spinaggio dei detersivi. Anche la Regione Marche si è distinta negli anni in materia di prevenzione, adottando un apposito atto di indirizzo per disciplinare i Centri del Riuso, costituiti da locali o aree coperte presidiati ed allestiti dove si svolge la sola attività di consegna e prelievo di beni usati ancora utilizzabili e non inseriti nel circuito della raccolta dei rifiuti urbani ed assimilati. Esistono esperienze già consolidate di particolare interesse, come quella avviata dal Comune di Serra de’ Conti. Lo scopo è di contrastare e superare la cultura dell’ ”usa e getta” e di sostenere quella del riuso dei beni usati, prolungandone il ciclo di vita attraverso successivi utilizzatori, in modo da ridurre la quantità di rifiuti da avviare a trattamento e smaltimento. La grande partecipazione ad iniziative come “Comuni Ricicloni” dimostra come le buone pratiche si stiano diffondendo rapidamente tra cittadini, aziende e istituzioni, grazie a una maggior sensibilizzazione e a motivazioni di tipo economico. Produrre beni, consumando meno materie o acquistare con meno o senza imballaggi, costa meno e la riduzione dei rifiuti rappresenta una strada obbligata per risolvere il problema delle discariche.

È stato assegnato un premio al gestore di rifiuti Picenambiente Spa di San Benedetto del Tronto per l’iniziativa “Riciclandia Show” che coinvolge circa 20.000 bambini e ragazzi dei 29 Comuni del territorio con un progetto educativo originale nella tecnica comunicativa, simpatico e accattivante. Si tratta di un DVD, che racconta con personaggi inediti e muti, la corretta gestione dei rifiuti attraverso le 4 R (Riduci, Riusa, Ricicla e Risparmia Energia ) con particolare attenzione alle due R relative alla prevenzione, ovvero riduzione e riuso.

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ASSAM

ENERGIA E AGRICOLTURA NELLA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Ad Ancona, l’ASSAM ha promosso un interessante pomeriggio di confronto ed aggiornamento con la partecipazione del noto economista Jeremy Rifkin

L’ASSAM (Agenzia per i Servizi nel Settore Agroalimentare della Regione Marche), costituisce nel territorio marchigiano, lo strumento di riferimento e di raccordo tra il sistema produttivo ed il mondo della ricerca nel settore agroalimentare. Si consideri che l’evoluzione occorsa in meno di cento anni ha portato il territorio regionale da una situazione originale caratterizzata da attività prevalentemente agricole ad una delle aree più industrializzate d’Italia, con un distretto manifatturiero leader nel Paese (per quanto parcellizzato). Tuttavia, si è riusciti a conservare il patrimonio agricolo preesistente, puntando vieppiù sulle produzioni agroalimentari di qualità. Pertanto, con lo spirito di proporre ad Istituzioni ed Imprese locali un nuovo modello di agricoltura multifunzionale capace di coniugare le opportunità della green economy al comparto agroalimentare, l’ASSAM ha inteso organizzare la Conferenza: “Energia e agricoltura nella terza rivoluzione industriale” al fine di raccogliere spunti per tracciare lo scenario di un nuovo modello di sviluppo alternativo e sostenibile in grado di garantire una riconversione ecologica dei tessuti produttivi tradizionali, partendo proprio da quello agricolo. L’evento si è svolto presso l’Aula Magna dell’Ateneo dorico, lunedì 14 novembre alla presenza di numerosi esponenti dell’amministrazione locale, provinciale e regionale, senza contare la grande affluenza di pubblico e studenti delle varie facoltà anconitane. Ad introdurre i lavori, Luca Bonaccorsi, Direttore del Quotidiano ecologista, “TERRA”, che ha illustrato brevemente la cornice entro la quale si sarebbero sviluppati i lavori del pomeriggio. Il saluto dell’autorità locale è arrivato da Fiorello Gramillano, Sindaco di Ancona che, nel ringraziare i numerosi presenti ha voluto omaggiare con particolare calore il Prof. Rifkin per aver accettato di porgere la sua lectio alla città di Ancona.

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“La democratizzazione dell’energia è un percorso logico e perseguibile - ha dichiarato Gramillano - perché l’aumento del costo del petrolio provocherà in futuro, e già adesso ne stiamo vivendo gli effetti, numerosi corto-circuiti sociali”. Nel ribadire il “no” della popolazione marchigiana alla soluzione del nucleare, il Sindaco di Ancona ha voluto ricordare come: “439 impianti nucleari al mondo producono solo il 5% dell’energia disponibile sul mercato, con conseguenze ambientali piuttosto pesanti per quanto riguarda la sola gestione delle scorie. Figuriamoci poi quando si debbono affrontare drammi come il recente giapponese di Fukushima” “Si consideri - ha aggiunto - che agli standard di produzione attuale sarebbero necessari 3 nuovi impianti nucleari al mese nella sola Europa per arrivare all’obiettivo target del 20% di energia prodotta da fonti rinnovabili”. “La nostra è una regione a forte vocazione agricola - ha concluso - ed è tangibile, qui, la voglia di green economy. Quindi ben vengano tutte le iniziative volte allo stimolo di una maturazione culturale che abbia come obiettivo lo sviluppo sostenibile e la tutela del territorio”. Rimarcando come “Il tema del fabbisogno e della produzione energetica da fonti rinnovabili sia da anni nell’agenda di molti”, il Prof. Giovanni Latini, Preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università Politecnica delle Marche ha voluto rimarcare quanto sia stata opportuna, da parte degli organizzatori, la scelta della location della Conferenza per sottolineare “la necessità di favorire snodi e momenti di confronto fra Accademia e Ricerca, Istituzioni deputate all’amministrazione e alla pianificazione del territorio e comparto industriale e produttivo”. Roberto Oreficini, DG ARPAM, nonché Direttore Dipartimento per le politiche integrate di sicurezza e per

la Protezione Civile della Regione Marche, nel porgere i saluti del Presidente del Consiglio Regionale, Gianmario Spacca, ha espresso “vivo compiacimento per lo stimolo offerto dall’ASSAM con questo appuntamento dal quale, sicuramente potranno emergere indicazioni importanti per il lavoro futuro del governo regionale”. “Realizzare l’obiettivo della green economy nelle Marche a partire da un utilizzo intelligente delle produzioni agricole, anche nell’ottica di filiere agroenergetiche, o comunque integrate” è stato il succo dell’intervento di Gianluca Carrabs, Amministratore unico ASSAM, il quale ha espresso pieno convincimento circa la bontà di perseguire, anche nelle Marche, la strada di “imprese agricole multifunzionali in grado di autoprodurre l’energia necessaria all’esercizio d’impresa senza pesare sulla bolletta energetica della collettività; anzi, agendo da protagoniste della filiera energetica senza per questo tralasciare la vocazione di produttori alimentari”. “Dal settore agricolo deve necessariamente giungere lo slancio per l’economia del futuro - ha concluso Carrabs - Risparmio idrico ed equo utilizzo della risorsa acqua; diffusione nel territorio di piccole centrali a biomassa; moltiplicazione del minieolico, soprattutto tecnologie a basso impatto estetico e paesaggistico come quelle che utillizzano pale o vele ad asse verticale, sono tutte strategie sulle quali puntare per difendere l’ambiente e la qualità delle produzioni da scelte industriali ed energetiche scellerate e legate ad un concetto di sviluppo non più perseguibile”. Nell’introdurre la lectio magistalis del Prof. Rifkin, il dott. Buonaccorsi ha puntualizzato: “La crisi in atto ci sta rivelando come la continua distruzione dell’ambiente e delle risorse naturali ci porti inevitabilmente ad una lenta estinzione”. “L’equazione produzione = sviluppo si sta rivelando un fallimento - ha prose-


guito - e servono idee nuove per pilotare l’umanità verso un futuro realmente sostenibile”. A questo punto, con l’auspicio di ascoltare tali idee dalla viva voce di chi da anni le veicola attraverso saggi, articoli, libri e conferenze, la parola è passata al Prof. Jeremy Rifkin, economista, saggista, fondatore e presidente della Foundation on Economic Trends e presidente della Greenhouse Crisis Foundation. “Quello che stiamo vivendo non è solo una crisi economica o di civiltà - ha iniziato Rifkin - bensì di specie!” “In un sistema pianeta basato sulla fotosintesi, la nostra specie, che si è evoluta in appena 2 milioni di anni e che rappresenta l’1% dell’intera biomassa della Terra, da sola consuma il 31% dell’energia prodotta dalla fotosintesi attingendo a risorse accumulate nel pianeta in più di 200 milioni di anni”. “Quando nel luglio del 2008, per la prima volta, il prezzo del petrolio grezzo ha raggiunto i 147 dollari al barile, il mondo ha subìto i primi effetti della grande scossa alla II rivoluzione industriale, quella del petrolio, appunto, dopo la prima basata sul carbone”. “L’attuale crisi finanziaria è la seconda grande scossa di assestamento al sistema e che interviene al termine di un periodo durante il quale tutti Paesi industrializzati hanno esercitato il loro potere per riabbassare il prezzo del greggio” “Perché, questo sforzo? - si è chiesto il professore, rispondendosi retoricamente da solo - perché è chiaro che il prezzo del petrolio tornerà a salire vertiginosamente mandando in cortocircuito tutta l’economia del pianeta, basata tutta sulle risorse energetiche rappresentate dal petrolio”. Ricordando la Conferenza mondiale sul clima di Copenhagen del 2009, Rifkin è passato ad illustrare cosa significhi per il pianeta un aumento di CO2 e CH4 ai ritmi attuali: “L’aumento di 3 ° C di temperatura conseguente alle concentrazioni di gas-serra attuali ci riporterà alle medie climatiche di 3 milioni di anni fa con conseguenze spaventose sulla biologia e la sopravvivenza delle specie così come le conosciamo ora. Si consideri, infatti che nello scenario di un aumento della temperatura media a soli 3° C, corrisponde un assorbimento del 70% in più di acqua dall’atmosfera da parte della terra che si traduce in

maggiore siccità, maggiori fenomeni metereologici estremi, proliferazione di insetti…”. Lo scenario prospettato, quindi, secondo il Professore, è quello della VI grande estinzione su scala planetaria “dalla quale, poi, dovranno passare ben 10 milioni di anni prima che sia ripristinata una nuova biodiversità”. Sconfortante la presa di coscienza, quindi che: “Troppi politici del mondo, di fronte a questi dati, non sono riusciti a mettersi d’accordo su una strategia d’uscita”. Urge, secondo Rifkin, una presa di coscienza globale su una nuova visione economica che sia rapida e condivisa e che punti ad una diffusa democratizzazione dell’energia. “Sole, vento, geotermia, biomasse, sono patrimonio comune e sono tutti vettori democratici - ha detto il professore - non si può più gestire l’economia globale con la centralizzazione della produzione, bensì attraverso la sfida della microdiffusione”. In questo senso, le prospettive per la ricerca e la pianificazione sono più che tracciate: “ogni manufatto edile dovrà essere una piccola centrale di produzione e risparmio; come l’informazione libera viaggia in rete, così pure l’energia dovrà essere un bene condiviso… in materia energetica tutti dovranno essere imprenditori di se stessi”. La lezione del Prof. Rifkin si è quindi conclusa con un passaggio sul progetto di fare della città di Roma il primo esempio di “biosfera” in grado di dimostrare al mondo come il passaggio dalla geopolitica del consumo alla “biosfera sostenibile” sia in grado di riportare l’umanità al “ritmo perduto della Terra”. A ribadire un concetto già espresso dal professore, ovvero, quello della liberalizzazione dell’energia contro lo strapotere dei grandi gruppi industriali è stato l’On. Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente Fondazione UniVerde, il quale ha vieppiù rimarcato come: “Ciò che ha appena detto Rifkin è quello che viene percepito dai più altrove; non a caso l’obiettivo di raggiungere nel tempo il 100% dell’energia prodotta a partire da fonti rinnovabili è alla base della strategia europea volta allo sviluppo sostenibile”. Nel ricordare che: “Nel settore agricolo e in quello energetico vi sono già positive esperienze di compenetrazione - Pecoraro Scanio ha ribadito - No al

solare fotovoltaico nei terreni vocati alle produzioni alimentari; no agli impianti a biomasse che non utilizzano biomasse a Km 0; no, alla logica dei potenti gruppi industriali che puntano alla costruzione di potenti rigassificatori”. Proseguendo con gli interventi in programma, la parola è passata a Katya Mastantuono, Presidente REES Marche (Rete di Economia Etica e Solidale) che ha sottolineato come: “Sin dal 2004 esistono, nelle Marche, associazioni di cittadini e piccole/medie imprese che cercano di costruire percorsi economici alternativi”. “Sempre più - ha dichiarato la Mastantuono - il consumatore diventa soggetto attivo dell’esercizio di imprese eticamente orientate”. Accennando a 4 progetti di ricerca che REES Marche ha attivato in collaborazione con altrettanti Atenei marchigiani per addivenire ad una fotografia reale dello stato dell’arte della Rete di aziende e GAS marchigiani, la Mastantuono ha concluso affermando: “Green Economy è solo una parola vuota se non si applica un nuovo modello di sviluppo su base di distretti e non già di semplici filiere”. A sottolineare nuovamente: “Le grandi potenzialità economiche rappresentate dalla filiera corta in agricoltura, tanto più nel settore energetico” è stato, infine, Francesco Caprioli, vicepresidente ANIEM Marche (Associazione Nazionale Imprese Edili e Manifatturiere) che ha ricordato come: “Gli agricoltori, da sempre sono in prima linea nell’adozione di tecnologie e strategie a favore dell’ambiente”. “Ciò che ha ribadito oggi il Prof. Rifkin - ha quindi concluso - ci dimostra quanto alcuni di noi siano sulla strada giusta”. Più che un Convegno è risultato, un vero e proprio Seminario, l’evento svoltosi il del 14 novembre, che ha riscosso certamente un sincero successo mediatico vista la notorietà del principale relatore invitato. Si auspica che la disseminazione di istanze e proposte trovi nelle Marche, un terreno fertile ove fruttificare, altrimenti, avremo solo assistito alla ennesima celebrazione di personaggi ed intenzioni.

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COSMARI

INNOVAZIONE E COLLABORAZIONE PER LA CRESCITA DEL TERRITORIO Ad ECOMONDO presentati i dati del 5° Rapporto sul “Porta a Porta” e il nuovo sistema di identificazione e misurazione dei sacchetti conferiti “Riciclochip” di Alberto Piastrellini

Dopo gli ottimi risultati raggiunti nella raccolta differenziata, grazie al servizio “Porta a Porta”, il COSMARI (Consorzio Obbligatorio Smaltimento Rifiuti della Provincia di Macerata), raccoglie la sfida della qualità per conseguire maggiori risultati nel recupero e nell’avvio al riciclaggio del maggior numero di RSU. L’intenzione è sempre quella di tutelare l’ambiente attraverso la condivisione delle responsabilità fra soggetti portatori di interesse: cittadini, Comuni consorziati ed Ente gestore. Dei risultati raggiunti, delle prospettive di futuri ampliamenti impiantistici e strutturali, del nuovo portale raccoltaportaporta e dell’originale sistema di identificazione e misurazione dei sacchetti conferiti “Riciclochip” (partito in via sperimentale nel Comune di Petriolo), si è discusso a Rimini, durante la XV edizione di ECOMONDO, venerdì 11 novembre, in occasione del Convegno: “L’evoluzione della raccolta porta a porta: qualità ed innovazione, Ente gestore e Comuni a confronto” A portare i saluti istituzionali, Daniele Sparvoli, Presidente FF COSMARI, che ha elogiato il lavoro svoltosi nel territorio, rimarcando come: “impegno, passione, professionalità, a favore dell’ambiente e dei cittadini sono caratteristiche del nostro lavoro quotidiano testimoniate e veicolate meglio di qualsiasi slogan dalla sincera fiducia accordataci dalla citta-

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dinanza dei Comuni consorziati che, nel tempo, hanno visto crescere i semi dei loro impegni profusi in una rivoluzione culturale che partendo dalla base si è radicata su tutto il territorio della provincia, non a caso la più riciclona delle Marche e ai vertici del panorama nazionale”. In questo senso entusiasmante il risultato raggiunto del 70% di Raccolta Differenziata (ndr: di seguito RD) raggiunto già a marzo 2011 nel bacino servito dal COSMARI e che anticipa di quasi un anno l’obiettivo target di RD previsto per il 31 dicembre 2012 dal D. Lgs. n. 152/2006 e dalla Legge Finanziaria 2007. Su questa premessa, Giuseppe Giampaoli, Direttore COSMARI ha ricordato come: “Il Gruppo COSMARI e la partecipata Sintegra si confermano fra le più importanti realtà nel settore della gestione rifiuti, del territorio regionale, con un valore di produzione che solo nell’ultimo anno ha superato i 32 milioni di euro”. “Dopo anni di sperimentazione e miglioramento continuo del servizio porta a porta - ha concluso Giampaoli - sappiamo di aver stimolato la crescita culturale dei cittadini che oggi sono molto più attenti alle problematiche ambientali ed orgogliosi dei risultati raggiunti nel territorio. Insieme abbiamo aumentato il recupero dei materiali e ridotto sensibilmente lo smaltimento in discarica, dimostrando, altresì, l’economicità


e l’efficacia del servizio di raccolta domiciliare”. Ma rilassarsi, gongolando dei risultati raggiunti non è possibile per una struttura che vuole orgogliosamente continuare ad essere un esempio virtuoso del PANORAMA nazionale; ecco quindi che COSMARI continua a proporre nuove iniziative finalizzate: all’aumento della RD; al miglioramento della qualità dei prodotti riciclabili, alla maggior responsabilizzazione degli utenti nell’adesione al servizio e all’ottimizzazione dell’uso dei sacchetti. In questo senso è stato presentato dall’Ing. Michela Bussolotto del COSMARI il nuovo progetto sperimentale di identificazione dei rifiuti: “Riciclochip”, basato sulla tecnologia RFID (Ndr. Per maggiori informazioni si veda il box a fianco). “Con questo progetto - ha dichiarato l’Ing. Bussolotto - si punta sul senso civico dei cittadini per implementare l’efficienza nella differenziazione dei RSU”. A riconoscere l’impegno profuso dal COSMARI per la valorizzazione e la tutela dell’ambiente a partire dal coinvolgimento dei cittadini è stato Luigino Quarchioni, Presidente Legambiente Marche che ha dichiarato: “Innovazione tecnologica e rapporto di fiducia con i cittadini sono sempre stati i punti di forza di una dinamica di crescita virtuosa in termini di consapevolezza ed impegno ambientale; COSMARI lo ha dimostrato nel tempo, proiettando la provincia di Macerata verso il futuro della sostenibilità e della green economy”. “Tuttavia - ha aggiunto - il vantaggio accumulato nel tempo, impone alla struttura consortile di colmare i gap impiantistici e lavorare ulteriormente sulla prevenzione e la riduzione alla fonte dei rifiuti”. Note di plauso per la sperimentazione Riciclochip sono giunte dal rappresentante del CONAI, Luca Piatto, che ha vieppiù ribadito l’efficacia del lavoro svolto dal COSMARI sottolineando: “L’entità dei finanziamenti che arrivano ai Comuni serviti sotto forma dei corrispettivi CONAI”; mentre, Samuela Scuppa, referente COMIECO ha rilanciato la sfida della qualità, ricordando come: “Dai primi obiettivi di quantitativi da raggiungere, oggi è giocoforza migliorare in termini di qualità del conferito, perché è questa che influenza i costi del riciclo”. “Tuttavia - ha riconosciuto - il lavoro del COSMARI è ottimo e l’entità del contributo lo dimostra”.

I Comuni premiati al termine del Convegno Hanno ricevuto una targa per aver avviato il Porta a Porta i Comuni di: Pioraco, Gualdo, Monte San Martino, Penna San Giovanni, Sant’Angelo in Pontano Una targa per la sperimentazione del sistema RicicloChip è andata al Comune di Petriolo Una Targa come Comuni Ricicloni ai cittadini virtuosi di: Apiro, Appignano, Belforte del Chienti, Camporotondo, Caldarola, Serrapetrona, Camerino, Castelraimondo, Civitanova Marche, Colmurano, Corridonia, Esanatoglia, Fiordimonte, Gagliole, Loro Piceno, Matelica, Mogliano, Monte San Giusto, Montecosaro, Montefano, Morrovalle, Petriolo, Pievebovigliana, Porto Recanati, Potenza Picena, Montecassiano, Recanati, Ripe San Ginesio, San Ginesio, San Severino Marche, Sarnano, Tolentino, Treia, Urbisaglia.

Riciclochip Il progetto, all’avanguardia per tecnologia utilizzata e risultati attesi, è stato realizzato per COSMARI dalla Società Strim ed è stato brevettato con GarBage utilizzando la tecnologia RFID (acronimo di identificazione a radio frequanza). La tecnologia RFID utilizzata per l’identificazione di oggetti, animali o persone, è basata sulla capacità di memorizzare e accedere a distanza ai dati usando dispositivi elettronici (chiamati TAG o transponder) che sono in grado di rispondere, comunicando le informazioni in essi contenute, quando “interrogati”. In funzione delle potenze di alimentazione e delle frequenze operative il campo di lettura può variare da pochi centimetri al metro. L’elemento che caratterizza un RFID è il transponder o tag ed è costituito da un microchip che contiene dati e un’antenna che riceve un segnale che alimenta il microchip. Il chip, quando attivato, trasmette i dati in esso contenuti tramite l’antenna (circuito di trasmissione del segnale) all’apparato che riceve i dati. In fase di distribuzione, si effettua la lettura della carta di riconoscimento magnetica/ottica (tessera sanitaria - codice fiscale) e del rotolo di sacchetti; questa operazione permetterà al sistema di effettuare l’associazione utente-sacchetti. Il lettore immagazzinerà queste informazioni in modo da poterle successivamente comunicare al sistema centrale. I sacchetti potranno essere ritirati fornendo la propria tessera sanitaria, da ciascun componente del nucleo residenziale. In altri termini, considerando che ad ogni residenza è necessariamente associata una utenza, e conseguentemente, tutte le persone che hanno la stessa residenza fanno capo alla stessa utenza, in base alla relazione Utenza-Residenti, il ritiro dei sacchetti può essere effettuato da tutti coloro che hanno la stessa residenza dell’intestatario dell’utenza. Utilizzando i dati anagrafici presenti in archivio e la relazione di cui sopra, il sistema sarà in grado di risalire all’utenza vera e propria. Nella fase del raccolta dei sacchetti, i tags verranno letti dalle antenne posizionate sulla “bocca posteriore” degli automezzi, le quali invieranno, in tempo reale, i dati al lettore collocato all’interno della cabina. Le due antenne saranno collegate ad una centralina che effettuerà la lettura contemporanea di tutti i nuovi sacchetti introdotti e ne memorizzerà i rispettivi codici. Al rientro del mezzo in sede, i dati contenuti nella centralina verranno scaricati dall’operatore nel server centrale, collegandola, tramiteWiFi, alla rete dati. Il server permetterà l’accostamento ed il confronto dei dati raccolti nella fase iniziale con quelli della fase finale (data/ora/ quantità ricezione e restituzione sacchetti). La fase successiva del progetto porterà alla quantizzazione dei rifiuti prodotti dall’utenza, attraverso l’applicazione di un sistema di pesatura dei rifiuti (fase ancora in ambito di studio per le problematiche connesse alla tolleranza e sensibilità della bilancia di pesatura, quindi alla modalità di rilevamento del peso del sacchetto. La metodologia garantisce la totale privacy dell’utente, poiché al sacchetto non sarà abbinato il nome dell’utente bensì un codice univoco. Pertanto, soltanto la persona preposta, e sempre dietro autorizzazione di una commissione adibita per l’occasione, potrà accedere al server ed identificare nominalmente il codice richiesto. L’innovazione sta nell’aver associato questa tecnica al sacchetto: sia per quanto riguarda la possibilità di leggere il chip in modo veloce senza aggravare le mansioni dell’operatore (i sacchetti dotati di RFID, saranno letti automaticamente dalle apparecchiature presenti nell’automezzo); sia per quanto riguarda la durata del chip.

Consorzio Obbligatorio Smaltimento Rifiuti Sede legale e operativa Loc. Piane di Chienti - 62029 Tolentino (MC) Tel. 0733 203504 - fax 0733 204014 cosmari@cosmari.sinp.net - www.cosmari.sinp.net www.raccoltaportaaporta.it

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A 5 mesi dal referendum, sull’acqua pubblica “piovono” ancora minacce: a rischio tariffe, investimenti e qualità del servizio

L’ACQUA PUBBLICA? “ZAMPILLA” ANCORA, MA “NAVIGA” NELL’INCERTEZZA La fotografia e gli scenari dell’acqua post-referendum nell’analisi dell’Autorità d’Ambito Ottimale n. 2 “Marche Centro - Ancona”. di Silvia Barchiesi

L’acqua pubblica “zampilla” ancora, ma “naviga” in un mare di incertezze. Sono quelle dettate da un quadro normativo ancora indefinito che pone il servizio idrico “post-referendum” in una grave situazione di stallo. Dopo il referendum che ha “proclamato” l’acqua pubblica e che ha “cassato” in via definitiva la remunerazione del capitale investito, alla vigilia della soppressione delle Autorità d’Ambito, prevista per il 31 dicembre, per l’acqua pubblica si aprono nuove sfide: quale sarà la tariffa idrica del futuro? Quanto pagheranno i cittadini per l’acqua e, soprattutto, chi farà gli investimenti necessari a migliorare la rete idrica? Sono questi gli interrogativi sull’acqua pubblica, che sono stati lanciati come spunti di riflessione dall’Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale n. 2 “Marche Centro-Ancona”, in occasione della presentazione della 9° edizione della “Relazione sullo stato del Servizio Idrico Integrato nell’A.T.O. n.2 Marche Centro-Ancona”, il report annuale che fotografa

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la “filiera acqua” nei 43 Comuni della Provincia di Ancona e nei 2 comuni maceratesi di Matelica ed Esanatoglia. Tra pubblico e privato, lo scorso 12 e 13 giugno gli elettori hanno scelto: la gestione dell’acqua rimane pubblica. Abrogato l’art. 23 della legge 133/2008 che apriva la gestione del servizio idrico al libero mercato con l’obbligo della gara per l’affidamento o la vendita di quote azionarie per mantenere gli affidamenti in essere, la gestione in house da parte di Multiservizi Spa, nell’Ambito Territoriale Ottimale n. 2, è stata confermata. Dalla sorgente al depuratore, l’acqua dell’Ambito Territoriale Ottimale n.2, è “pubblica, buona e sufficiente”, ha dichiarato il Direttore dell’A.A.T.O n. 2 Marche Centro-Ancona, Massimiliano Cenerini: le fonti di approvvigionamento sono di ottima qualità, la copertura del servizio acquedotto è pressoché totale, quella del servizio di fognatura è in crescita e comunque superiore alla media nazionale, quella del servizio di depurazione conforme

ai valori medi nazionali e in via di potenziamento. A preoccupare non è la qualità dell’acqua che esce dai nostri rubinetti e nemmeno la quantità. Il territorio dell’A.T.O. n. 2 è pressoché autosufficiente dal punto di vista idrico: il volume d’acqua acquistata nel 2010 è, infatti, inferiore allo 0,7% di quello prelevato nell’Ambito ed immesso in rete. Inoltre, si stanno eseguendo studi ed indagini idrogeologiche per individuare nuove fonti di approvvigionamento più affidabili dal punto di vista qualitativo e quantitativo e che potrebbero essere di supporto all’attuale sorgente principale dell’ATO, quella di Gorgovivo, nei momenti di maggior richiesta. “Tali studi - ha dichiarato il Direttore Cenerini - si concentrano tra Esanatoglia e Matelica, nel Comune di Arcevia e nel Comune di Fabriano (zona di Capodacqua e Montenegro). Nel Comune di Genga, invece, si sta realizzando una nuova condotta e un


nuovo serbatoio che consentiranno la dismissione di alcune fonti poco affidabili e la modifica della circuitazione dell’acquedotto”. A preoccupare, piuttosto, sono le tariffe e gli investimenti. Il secondo quesito del referendum ha, infatti, abrogato la norma relativa alla determinazione della tariffa del Servizio Idrico Integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Grazie al referendum che ha eliminato una delle voci di costo riconosciute nella determinazione della tariffa, i capitali investiti nel settore idrico non potranno più essere remunerati per legge al 7% del loro valore attraverso le bollette. “Cassata” così la remunerazione delle tariffe, l’esito del referendum che colpisce duramente il “profitto”, apre però al problema del finanziamento degli investimenti e alla fuga di capitali nel settore. Senza remunerazione potrebbe, infatti, venire meno l’interesse a investire nel servizio idrico. “Fino a quando non si saranno sciolti i nodi, vi saranno forti incertezze per i finanziatori - ha dichiarato Marisa Abbondanzieri, Presidente dell’A.A.T.O. n. 2 - Pertanto, se non si interviene in fretta, nel prossimo futuro c’è da aspettarsi un forte rallentamento, se non la paralisi totale dei nuovi investimenti necessari sulla rete e soprattutto nella depurazione, per non incorrere nelle

procedure di infrazione europea e nelle sanzioni civili e penali”. A sottolineare i rischi dovuti alla scarsa appetibilità del settore per gli investitori è stato anche il Direttore dell’A.A.O. 2, Massimiliano Cenerini: “Si è in attesa di un provvedimento normativo che definisca le componenti di costo per la determinazione della tariffa del SII. Senza la definizione di un nuovo metodo tariffario, la realizzazione degli investimenti sugli impianti e sulle reti non potrà che essere ardua come arduo è l’accesso al credito bancario da parte dei gestori o ad altre forme di finanziamento da parte degli enti locali, richiamando anche il fatto che il ricorso a contribuzioni pubbliche e, in quanto tali, alla fiscalità general,e è assolutamente residuale”. D’altronde, lo scostamento tra investimenti pianificati e quelli realizzati è già una realtà, così come lo scollamento tra i finanziamenti pubblici previsti e quelli riscossi: nel corso del 2010, infatti, sono stati percepiti un totale di 648.902 euro di finanziamenti pubblici in meno rispetto a quanto previsto (-48% rispetto al 2009), mentre gli investimenti realizzati hanno potuto contare su circa 14 milioni di euro (- 42% rispetto a quanto pianificato). L’equazione è così presto fatta: meno investimenti, meno qualità del servizio. Ma non solo. Sono a rischio anche le tariffe.

Il peso dell’acqua sulle spese annuali di una famiglia di 3 persone, oggi inferiore all’1%, potrebbe aumentare. A fronte del restringimento della coperta della fiscalità pubblica, l’aumento delle tariffe per rilanciare la qualità del servizio, sarà, infatti, inevitabile. Pena una sanzione dell’Unione Europea che ha già chiesto all’Italia di conformarsi alla normativa per la depurazione. Secondo il Rapporto “Blue Book 2011”, realizzato da Utilitatis ed ANEA (Associazione Nazionale Autorità e Enti di Ambito), per l’adeguamento del servizio idrico italiano agli standard europei mancherebbero, infatti, all’appello 65 miliardi di euro. Di questi, secondo il Rapporto, solo 10% sarebbe coperto da fondi pubblici. Perché la corsa al raggiungimento degli obiettivi di qualità delle acque, fissati dall’Unione europea per il 2015, non arrivi a pesare solo sulle tasche dei cittadini, occorre quindi rilanciare gli investimenti. Come? A lanciare la “ricetta” contro lo scarseggiare degli investimenti, lo scadere del servizio e l’aumento delle tariffe è l’ANEA: “Serve una nuova politica nazionale di settore e un nuovo metodo tariffario, per favorire gli investimenti e fornire servizi di qualità al giusto prezzo - ha dichiarato Luciano Baggiani, Presidente dell’ANEA - occorre

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una regolazione pubblica, autorevole e credibile per ridare slancio al settore e scongiurare abusi”. Occorre pertanto rendere subito operativa la nuova Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua a cui spetterà la predisposizione di un nuovo metodo per la determinazione delle tariffe. Sulla nuova Agenza, già istituita, ma non ancora entrata a regime, pesa infatti il ritardo nelle nomine. “Non dobbiamo permettere che i problemi di finanza pubblica e la crisi politica che il Paese sta attraversando distolgano l’attenzione dal riassetto istituzionale indispensabile nel settore idrico. Facciamo appello al nuovo Governo e a tutte le Regioni affinché si riprenda in fretta il percorso di riforma della regolazione avviato in questi anni e si apra il confronto con gli operatori. Attendiamo pertanto con impazienza - ha continuato Baggiani – risposte concrete sulle due questioni più urgenti: i criteri di calcolo della tariffa dopo l’abrogazione del rendimento sul capitale e, soprattutto, la designazione dei componenti dell’Agenzia nazionale, che avrà l’arduo compito di elaborare il nuovo metodo tariffario. Se non si sciolgono questi nodi, e in fretta, c’è da aspettarsi un ulteriore rallentamento, se non il blocco totale, degli investimenti”. Ma le sfide dell’acqua post-referendum non finiscono qui. A “pesare” sull’acqua non è solo l’incertezza del quadro normativo nazionale, ma anche quella del quadro normativo locale e regionale. Le Autorità d’Ambito, gli enti ad oggi incaricati di regolare e controllare il servizio idrico hanno, infatti, i giorni contati. La loro soppressione, prevista dalla Legge n. 42 del 26 marzo 2010, per il 31 dicembre di quest’anno, è ormai imminente e sul vuoto da loro lasciato ancora, in molte Regioni, non si profilano soluzioni. “Il rischio è che il settore evolva senza

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alcuna possibilità di governo da parte della pubblica amministrazione”, ha dichiarato il Direttore dell’A.A.T.O. n.2, Massimiliano Cenerini. Eppure, contro la deriva “s-regolata” del settore, la Regione Marche si è già attivata, approvando in Giunta, lo scorso 21 novembre, una proposta di legge (“Disposizioni in materia di risorse idriche e di servizio idrico integrato”) che prevede il conferimento delle attività delle Autorità d’Ambito, in via di soppressione, agli enti locali, mediante convenzione obbligatoria fra Comuni e Province. “Tale scelta - ha dichiarato l’Assessore alle Risorse idriche, Sandro Donati oltre ad essere in linea con i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, richiamati dalla normativa statale, è il frutto di una valutazione complessiva del quadro normativo vigente, tenendo conto del fatto che la convenzione tra enti locali appare ormai l’unica forma associativa in grado di assicurare il pieno coinvolgimento e la diretta partecipazione dei Comuni alle scelte fondamentali del settore”. La legge, che organizza il servizio in 5 Ambiti Territoriali Ottimali (ATO 1 denominato “Marche Nord - Pesaro e

Urbino”, ATO 2 “Marche Centro – Ancona”, ATO 3 “Marche Centro-Macerata”, ATO 4 “Marche Centro Sud- fermano e maceratese” e ATO5 “Marche Sud -Ascoli Piceno e Fermo”), prevede anche la costituzione dell’Assemblea di Ambito quale organo comune dotato di autonomia, di bilancio e di coordinamento. Costituita dai Sindaci dei Comuni e dai Presidenti delle Province compresi nell’ATO a cui sono attribuite le funzioni già esercitate dalle soppresse Autorità d’Ambito, senza che sia previsto alcun compenso per gli amministratori che ne fanno parte, l’Assemblea “garantirà la partecipazione dei Comuni alle decisioni strategiche sulla gestione integrata del servizio idrico e dei relativi interventi su investimenti e tariffe”, ha dichiarato l’Assessore Donati. “Il rischio - ha precisato, invece, la Presidente dell’AATO2, Marisa Abbondanzieri – è che non venga garantita la terzietà del soggetto regolatore, l’unico che può dare garanzie. Mettendo, invece, in mano a un Sindaco o a un Presidente di Provincia le funzioni delle Autorità d’Ambito, il controllore andrebbe a coincidere con il controllato”.

Riepilogo importi investiti nel 2010 ripartiti per servizio con i relativi scostamenti CONSUNTIVO

PIANO

SCOSTAMENTO

ACQUEDOTTO

9.399.448

12.449.495

-3.050.047

FOGNATURA E DEPURAZIONE

8.930.450

19.694.055

-10.763.605

883.472

1.033.490

-150.018

19.213.370

33.177.040

-13.963.670

GENERALE TOTALE

Scostamento fra i finanziamenti pianificati e quelli ottenuti CONSUNTIVO

PIANO

SCOSTAMENTO

FINANZIAMENTI C/CAPITALE

509.814

1.068.693

-558.879

FINANZIAMENTI C/ESERCIZIO

70.281

160.304

-90.023

TOTALE

580.095

1.228.997

-648.902


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n°11/12 Novembre-Dicembre 2011 Anno XII

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