Geopolitica dell'islamismo anteprima

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Anne-Clèmentine Larroque

GEOPOLITICA DELL’ISLAMISMO L’integralismo musulmano nel mondo

Fuoco Edizioni


© Fuoco Edizioni - www.fuoco-edizioni.it Stampa Universal Book - Rende (CS) 1^ Edizione Luglio 2015 ISBN 97-88899301-09-5 Titolo originale dell’opera: Géopolitique des islamismes, Presses Universitaires de France - PUF, Paris, France, octobre 2014 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.


«Questo dovere non si concluderà con la vittoria in Afghanistan; il jihad resterà un obbligo personale finché ogni altra terra appartenuta ai musulmani non ci sarà restituita così che l’Islam torni a regnare; davanti a noi si aprono la Palestina, Bukhara, il Libano, il Ciad, l’Eritrea, la Somalia, le Filippine, la Birmania, lo Yemen del Sud, Tashkent e l’Andalusia.» ʿAbd Allāh al-ʿAzzām, “Difendere la terra dei musulmani è il dovere più importante di ognuno”



Introduzione

Dai Salafiti ai Fratelli Musulmani, dagli Uighur indipendentisti della Cina allo Stato Islamico (ISIS), passando per gli islamisti dell’Indonesia o ancora delle Filippine sino a quelli francesi, inglesi e americani, ciò che viene definito islamismo è una realtà complessa, che è necessario comprendere, in quanto i movimenti islamici costituiscono la principale novità emersa nel mondo musulmano dopo la stagione delle rivoluzioni in Medio Oriente e Maghreb, alla fine del 2011. Tali movimenti non risalgono peraltro alle Primavere arabe; il loro attivismo politico inizia negli anni ’70 e può essere riconnesso alla rivoluzione iraniana e alla guerra che oppose gli Afghani ai Sovietici. Troppo spesso associati dai media al terrorismo jihadista, i movimenti islamisti fanno parlare di sé il mondo intero, sebbene siano ancora poco conosciuti. A differenza dell’islam, l’islamismo è un’ideologia politico-sociale a carattere totalitario, fondata su una visione religiosa fondamentalista. Le sue basi dottrinali affondano nella modernità; in seguito, in epoca contemporanea, esso offrì una lettura politica dell’islam e si impose come alternativa politica al concetto di Stato, importato dai colonizzatori. In quanto ideologia politica, l’islamismo è inserito nella contemporaneità. A partire dal XIX secolo, subì un’evoluzione, simile a quella del socialismo, articolandosi in due frazioni e sperimentando una dialettica interna fra riformisti e rivoluzionari: entrambe le frazioni mirano alla costruzione di uno Stato islamico; i primi però perseguono una trasformazione graduale delle basi della società per arrivare allo scopo, mentre i secondi predicano la distruzione delle strutture statuali 5


esistenti per imporre il proprio modello di Stato islamico dall’alto. Il modo di azione politica degli islamisti è vario: se essi hanno una forte influenza negli Stati teocratici, più di recente hanno assunto la direzione di alcuni governi in maniera democratica (in Turchia o, dopo le rivoluzioni arabe, in Tunisia, Egitto e Marocco). Questa legittimazione politica ha avuto come conseguenza un riconoscimento delle idee islamiste non solo nel mondo arabo-musulmano, ma anche in seno alla comunità internazionale, l’islamismo non è più visto necessariamente con paura; nel 2011, il premio Nobel per la pace fu assegnato a una militante islamista yemenita, appartenente a Al-Islah; insomma l’islamismo fa progressi. L’islamismo si articola dal punto di vista dottrinale e delle sue modalità d’azione in forme diverse. La stessa parola islamismo fa riferimento a più realtà: movimenti ideologici, associazioni di predicazione, soggetti politici, gruppi terroristici e infine individui isolati, che si riconnettono alle teorie wahabite o salafite e possono trovarsi tanto in Paesi musulmani, quanto in terra miscredente. È difficile trovare un minimo comune denominatore fra queste realtà così differenti. Il presente volume nasce nell’intento di offrire una panoramica delle diverse individualità, che compongono l’islamismo, inserendole nel loro contesto politico e geografico di riferimento. Per tale motivo abbiamo scelto una struttura tripartita: studio delle origini e fondamenti delle dottrine islamiste sia sunnite che sciite (Cap. 1); analisi delle relazioni politiche di ciascun movimento (Cap. 2); studio degli islamisti in rapporto al problema della conquista del potere, questione il cui esame offre un campo di studio sui meccanismi dell’attuale geopolitica (Cap. 3).

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Capitolo 1 – Origine e fondamenti delle dottrine islamiste

I – Distinzioni lessicali e prime basi dell’islamismo 1 Precisazioni lessicali: islam, islamismo, islamismo radicale, islam politico e fondamentalismo. A – Gli islam. L’islam è la terza religione monoteista, rivelata dal profeta Maometto, nella prima metà del VII secolo d.C. nella Penisola araba. Con l’islam è nata la civiltà arabo-musulmana: essa si è estesa territorialmente nel corso di un secolo, dal Mediterraneo sino alla Persia, creando il Dar-al-Islam*, la patria dell’Islam. Esiste dunque una differenza fra l’islam (scritto con la lettera minuscola) e l’Islam (scritto invece con la maiuscola): la prima parola fa riferimento alla religione predicata da Maometto, la seconda all’insieme dei Paesi dominati da un potere che si richiama alla legge musulmana, vale a dire ai Paesi islamici. Questa religione è un vettore di creazione culturale e, a livello maggiore, di un insieme di civiltà. La sua espansione ha determinato la diffusione della lingua araba e dei costumi e delle tradizioni legati all’islam. La parola islam significa in arabo volontà di essere obbedienti, di fare la volontà di Dio. Per coloro che professano la religione musulmana, Allah significa unico Dio, creatore dell’Universo. Maometto, mercante itinerante e capo militare del clan dei Qurayshiti – tribù araba della Mecca – è stato scelto per ricevere la parola divina attraverso la mediazione dell’angelo Gabriele. Se l’islam si colloca cronologicamente dopo le altre due grandi religioni monoteiste 7


(ebraismo e cristianesimo) ne riconosce i profeti e colloca Maometto come l’ultimo di loro. I fondamenti della religione sono raccolti in un libro sacro, il Corano* (che in arabo significa recitazione) composto da 114 capitoli, chiamati sure*, divisi a loro volta in versetti. Il testo coranico è la principale fonte della legge islamica o Sharia, vale a dire l’insieme delle regole rivelate da Dio a Maometto, che si applicano alla vita sociale e religiosa dei musulmani all’interno della comunità.1 La Sharia* richiama dunque la duplice identità dell’islam originario: regola il credo, ma contiene anche le norme sociali della vita comunitaria. La Sharia dunque ha un’essenza giuridica. Questo insieme giuridico è composto dal Corano, dai racconti sulla vita del profeta (la Sunna*), e da altre due fonti di diritto: l’Ijma e il Qîvas. Sunnismo e Sciismo. Se l’islam è ormai in procinto di diventare la prima religione monoteista del Mondo, è pur vero che conosce numerose divisioni interne: i Sunniti sono coloro che seguono la Sunna e rispettano la successione tradizionale del Profeta dalle origini. Costituiscono circa il 90% della popolazione musulmana mondiale. Gli Sciiti da parte loro, stimati fra il 10 e il 15% della comunità, si sono opposti alla successione originale e hanno scelto di seguire Alì, cugino e genero del Profeta, in seno al partito dello Shia, non riconoscono la Sunna e considerano l’imam* quale unica fonte dell’autorità spirituale e temporale dell’islam, contrariamente a quanto fanno i Sunniti per i quali egli è un semplice capo preghiera. Gli Sciiti si dividono in più rami, fra i quali gli zaiditi*, i duodecimani* e gli ismaeliti. Correlato con il loro rifiuto di riconoscere la successione del profeta è l’imamato, la considerazione cioè dell’imam quale vera guida spirituale della comunità. Ogni movimento sciita ha stabilito 1

D. Sourdel e J. Sourdel-Thomine, Vocabulaire de l’islam, PUF, «Que sais-je?», p.110.

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Capitolo 1 – Origine e fondamenti delle dottrine islamiste

modalità diverse di successione all’imam. Gli zaiditi sono i meno rigidi, diversamente dai duodecimani i quali credono che il dodicesimo imam (IX secolo) non sia morto. Non avendo capi religiosi, hanno accettato la tutela temporanea dei Sunniti, circostanza che è valsa loro l’integrazione e un maggior successo rispetto agli altri due movimenti. Tuttavia, l’esempio della guerra civile siriana ha mostrato come Sunniti e Sciiti abbiano ancora la capacità di contrapporsi con ferocia. Vedremo inoltre come gli islamisti sciiti e sunniti obbediscano a regole di comportamento e dottrine molto diverse. B – Islamismo, islamismo radicale e islam politico. Islam e islamismo differiscono nella loro natura e per gli obiettivi perseguiti dai rispettivi sostenitori. L’islam è una religione mentre gli islamisti sono degli ideologi politici. I musulmani formano la comunità dei credenti chiamata Umma islamiyya che segue le regole dell’islam e i suoi testi sacri. Gli islamisti aderiscono ai principi islamici, vale a dire ad una serie di regole politiche contenute nell’islam. Il loro scopo è rafforzare l’Umma*. Il suffisso -ismo agganciato a islam sta a indicare la rivendicazione politica dei precetti presenti nel Corano. La dottrina politica deriva dal messaggio religioso ma se ne differenzia, anche se esiste un collegamento fra le due sfere in quanto la religione islamica contiene in sé un’idea di governance. La dimensione politica è parte integrante dell’islam. Tuttavia, gli islamisti spingono il progetto di costruzione politica più lontano: lo Stato islamico deve inglobare tutta la società, le sue leggi, i suoi principi economici, i suoi individui. L’islamismo presenta dunque un aspetto totalitario, sia politico che sociale. La condotta politica degli islamisti è piuttosto varia. Per dare vita a una struttura di potere islamista e assicurarle il dominio sulla società musulmana, si possono seguire tre possibili vie: innanzitutto 9


l’attivismo politico, poi quello religioso, infine la violenza terroristica, chiamata anche jihadismo. I tre sistemi sono all’origine di tre differenti modalità d’azione (azione politica, religiosa e attentati), che a loro volta sono all’origine di tre diverse tipologie di soggetti: alla prima si riferiscono strutture come al-arakât, al-islamiyya e al-siyassiyya, alla seconda le missioni islamiche di conversione come al-da’ wa e alla terza i gruppi di lotta armata islamica come al-jihad. Vedremo tuttavia come alcuni movimenti islamisti possano appartenere contemporaneamente a tutte e tre le tipologie. È il caso, ad esempio, dei Fratelli Musulmani. Il comune denominatore di queste tre correnti è la volontà di imporre un’ideologia fondata sull’islam, sia creando uno Stato islamico, sia rafforzando l’ordine morale interno alla comunità che lottando contro gli infedeli. Tuttavia se gli islamismi traggono la loro origine dall’islam non ne sono la medesima cosa. Islamismo radicale. Il terzo tipo di attivismo, quello che ricorre alla violenza e al terrore, corrisponde a ciò che viene chiamato islamismo radicale o jihadismo. Esso rivendica l’uso della forza per difendere l’Umma ed estendere il Dâr-al-Islam. Si tratta di un islamismo estremista nei suoi proclami antioccidentali, che si oppone con violenza al colonialismo e all’imperialismo (si veda il Cap. 3). Islam politico e occidente. Gli Occidentali d’altro canto hanno avuto un ruolo fondamentale nell’elaborazione di queste definizioni, sia nella creazione della terminologia relativa all’islam, sia nel costruire alcuni neologismi attraverso la combinazione di più termini fra loro. La parola islamismo è stata coniata dai francesi, nel XVIII secolo, e utilizzata specialmente dal filosofo Voltaire, sebbene sia divenuta di largo uso solo negli anni ’70 del ‘900 per definire il 10


Capitolo 1 – Origine e fondamenti delle dottrine islamiste

complesso dei movimenti politici di matrice islamica dell’epoca. La rivoluzione iraniana del 1979 conferisce al termine una dimensione internazionale, mentre gli Americani usano l’espressione islam politico: entrambe le locuzioni nascono in opposizione al cosiddetto islam apolitico, quello del venticinquennio compreso fra il 1945 e il 1970, periodo durante il quale negli Stati arabi è invece dominante il nazionalismo arabo laico. In realtà la presunta apoliticità dell’islam anteriore al 1970 è oggetto di revisione critica, in quanto il controllo del fenomeno religioso era costantemente incluso nelle politiche dei governi nazionalisti dell’epoca. Secondo la lettura tradizionale, l’islam sarebbe divenuto politico quando si sarebbe verificato un addolcimento dell’atteggiamento dei governi arabi nei confronti degli Occidentali e specialmente degli Americani. Il pensiero islamista si è sviluppato in opposizione all’Occidente e come reazione al colonialismo. Inoltre, sebbene i movimenti islamisti siano entrati sulla scena politica internazionale negli anni ’70 del ‘900, la loro costruzione ideologica risale al decennio precedente. Questi movimenti non si sono quindi politicizzati in maniera estemporanea, ma si sono richiamati alle radici culturali dei Paesi musulmani e confrontati con i nazionalismi arabi e con le questioni vecchie e nuove relative alla presenza occidentale. Esisteva già dunque prima degli anni ’70 del ‘900 un contesto favorevole alla nascita di movimenti islamici di matrice sunnita a carattere politico, ma per poter sbocciare pienamente essi hanno dovuto sposare una visione fondamentalista dell’islam. C – Il fondamentalismo sunnita. Il fondamentalismo è un fenomeno che investe tutte le grandi religioni monoteiste, evoca il ritorno ai fondamenti di un messaggio, il cui significato sarebbe stato smarrito nel corso del tempo. Il meccanismo consiste nel proporre una versione 11


letterale dei testi sacri, ignorando i mutamenti nel frattempo intervenuti nella società. Nell’islam, i fondamentalisti pretendono di tornare al messaggio originario contenuto nelle sure del Corano e negli hadit* della sunna. Le prime forme di fondamentalismo appaiono poco dopo il periodo profetico, evolvendosi sino al wahabismo e salafismo attuali. I fondamentalisti contemporanei ammettono l’interpretazione del Corano, vale a dire l’esegesi, chiamata tafsir*. Ciò che differenzia i movimenti islamisti attuali risiede piuttosto nell’applicazione de’ l’itjihad*. 2 La scuola rigorista degli hambaliti: le prime forme dell’islamismo sunnita. Tradizionalmente gli islamisti contemporanei si richiamano alla scuola hambalita, una delle quattro scuole giuridiche sunnite apparse fra la morte del profeta e l’XI secolo.2 Nel corso dell’VIII e del IX secolo l’elaborazione della legge islamica ha dato luogo alla creazione di regole giuridiche non comprese nei tradizionali testi sacri. Lo scopo era quello di orientare i fedeli su questioni quotidiane che non avevano trattazione nel Corano o nella Sunna, e creare così dei principi giuridici musulmani – fikh* – in conformità con i testi sacri. Ciò ha dato il via a differenti interpretazioni da parte degli esperti di diritto provenienti dalle quattro scuole giuridiche sunnite. Lo sviluppo dell’attività interpretativa viene chiamato itjihad. Ogni azione individuale, rituale o della vita quotidiana della comunità viene ormai giudicata sulla base di parametri forniti dagli esperti di diritto di queste scuole. Le radici degli attuali movimenti islamisti si collegano in via maggioritaria alla scuola hanbalita; nonostante il seguito registrato da alcuni movimenti eretici come quello khâridjita* in materia di morale. La dottrina hanbalita si caratterizza per due aspetti: innanzitutto 2

Le quattro scuole sono hanafita, malakita, châféita e hanbalita.

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Capitolo 1 – Origine e fondamenti delle dottrine islamiste

la questione dell’interpretazione delle regole di diritto musulmano modellate secondo i testi sacri ed in secondo luogo la considerazione del contesto in cui questi testi sono nati. All’inizio del IX secolo, sotto il califfato del celebre Al-Mamûn, l’esperto di diritto musulmano, Ahmad Ibn Hanbal (780-855), fondò la scuola hanbalita. Diversamente dagli altri ulema, Ibn Hanbal si opponeva all’islam illuminato imposto con la forza da Al-Mamûn alla comunità dei credenti. Pertanto gli hanbaliti espressero una contestazione frontale nei confronti del potere califfale. Essi tollerano soltanto un’interpretazione molto rigida delle sacre scritture, basata su tre criteri: l’interpretazione è monopolio degli ulema, la fattispecie disciplinata attraverso interpretazione non deve in nessun caso trovare regolazione diretta nel Corano o nella Sunna (nel qual caso non può essere posta in essere alcuna attività di interpretazione), la soluzione interpretativa ipotizzata deve avere unanime consenso all’interno della comunità dei musulmani. Più che una scuola giuridica, quella hanbalita è una scuola religiosa basata sul rifiuto di tener conto del contesto storico e sociale, in cui è maturata la scrittura del Corano e della Sunna, negando ogni possibilità di adattare i testi sacri all’evoluzione sociale nel frattempo intervenuta. Essa propone in via esclusiva un’applicazione letterale del testo coranico – a tale proposito viene usato il termine letteralismo – senza alcuna possibilità di interpretarlo. Qualunque tentativo di inserire i testi sacri in una prospettiva storica è bandito dai suoi adepti. L’ideologia hanbalita si è diffusa sino ai nostri giorni grazie alla ripresa di alcuni suoi principi da parte di wahabiti e salafiti. L’hanbalismo* è quindi il primo islamismo; ha dato risposte radicali alle questioni della comunità in materia di morale; si è opposto ai movimenti più liberali come il mutazilismo*. Ha anche cercato di 13


restringere libertà garantite dal califfato, assumendo quindi un ruolo di difesa dei valori morali anche in opposizione al potere politico, per questo tale movimento fu contrastato, come risulta anche dalle fonti dell’epoca, con molta violenza: lo stesso Ibn Hanbal fu flagellato nella pubblica piazza per il suo rigorismo e la sua mancanza di flessibilità. Questo movimento è dunque rimasto minoritario e combattuto. Oggi però la sua dottrina influenza i movimenti islamisti di diversi Paesi musulmani come l’Iraq, la Siria o l’Arabia Saudita, quest’ultimo Paese è l’erede per eccellenza di questa dottrina.

Il primo islamismo: l’hanbalismo reazionario a Baghdad nel X secolo

Nel 935, l’attività degli hanbaliti divenne grande e la loro influenza più estesa: penetravano con la

forza nelle case dei capi militari e del popolo minuto e se vi trovavano del vino lo versavano per terra; se vi trovavano una cantante la picchiavano e ne bruciavano gli strumenti; si intromettevano nelle

operazioni di compravendita, si intromettevano anche quando gli uomini mercanteggiavano in

compagnia di donne o ragazzi: quando essi vedevano qualcosa del genere, interpellavano gli uomini

domandando loro chi fossero le persone che li accompagnavano e se questi rifiutavano di rispondere, essi li afferravano e li conducevano dal prefetto di polizia denunciandoli per immoralità. Causarono un grande tumulto a Baghdad. (…)

Nel 935, il prefetto Badr al-­‐Karashi (…) fece un proclama valido per l’intera Baghdad e relativo agli

hanbaliti (…), attraverso il quale si impediva loro di riunirsi anche nel solo numero di due persone e di discutere della loro dottrina (…). Tale misura non ebbe successo e i loro misfatti e le loro violenze

non fecero che aumentare.

Un editto del califfo al-­‐Radî ne riprovò i comportamenti: «Voi attaccate le migliori persone della

comunità, accusate di empietà i membri della famiglia di Maometto, invitate i musulmani a introdurre manifeste novità in fatto di religione e dottrine perverse di cui il Corano non fa menzione. (…) L’Emiro

dei Credenti giura davanti a Dio, attraverso una solenne promessa, che se non abbandonerete la vostra dottrina biasimevole e la vostra condotta erronea, vi colpirà, disperderà, ucciderà, seppellirà e incendierà le vostre case».

Ibn Al-­‐Athîr (storico curdo sunnita dell’XI – XII secolo), Al – Kamil fi al-­‐Târikh, ed. Tornberg, t. 8, pp. 307-­‐309.

3 Le basi dell’islamismo sciita. L’islamismo sciita differisce da quelli sunniti per diversi aspetti. Dopo la loro scissione, avvenuta verso il VII secolo con gli Omeyyadi sunniti, i duodecimani, in maggioranza 14


Capitolo 1 – Origine e fondamenti delle dottrine islamiste

sciiti, sono stati tollerati dai governi sunniti. Generalmente i Sunniti considerano gli Sciiti come appartenenti a una setta priva di qualsiasi legittimità. Ciò ha avuto due conseguenze: rimasto minoritario, in seno al mondo islamico, il movimento sciita ha comunque mantenuto la sua unità al contrario dei seguaci della Sunna divisi in una miriade di scuole diverse. Tale caratteristica è alla base del forte senso comunitario degli Sciiti; la seconda conseguenza derivante dal loro stato di minorità è l’autonomia dei capi religiosi sciiti rispetto al potere politico sunnita. Ciò ha favorito l’emergere di un potere politico molto attivo in seno alla stessa comunità. Questo fenomeno trova riscontro nell’importante ruolo conferito all’interpretazione. Diversamente dai Sunniti, gli Sciiti assegnano un posto di rilievo agli intellettuali religiosi: secondo la loro dottrina il bene si fonda sulla forza della conoscenza, il male sull’ignoranza. Dopo sei anni di studio della religione, gli ulema sciiti sono capaci di adottare una itjihad*, pratica mai estinta nella loro religione contrariamente a quanto avvenuto invece presso il movimento sunnita, in cui fu messa al bando nell’XI secolo per volontà del califfo, al fine di evitare disordini religiosi, e in consonanza con il responso degli ulema delle quattro scuole sunnite di mettere fine ad interpretazioni illegittime. Gli Sciiti hanno fatto perdurare l’interpretazione; l’idea di innovazione (bidâa), che ne è alla base, ha sempre fatto parte della loro ideologia, in cui ha anzi un ruolo centrale: un’ininterrotta attività interpretativa ha permesso loro di attualizzare i testi sacri, mentre la dottrina sunnita, dopo le innovazioni iniziali, si è sclerotizzata. Il maggiore dinamismo della dottrina sciita è stato favorito dall’autonomia dei suoi ulema* – soggetti dell’attività interpretativa. Tale attività è stata svolta senza contravvenire alle leggi dei califfi sunniti. Scopo di tali ulema è diventare mujtahid*, mullah*, o addirittura 15


ayatollah*. La gerarchia ecclesiale sciita pone i religiosi come guide spirituali, ma anche come figure sociali di primo piano, inizialmente sempre con il tacito accordo del potere politico sunnita. Il clero ha dunque assunto una posizione di potere all’interno delle comunità che ne finanziavano l’attività; esso ha acquisito una funzione sociale di crescente importanza più tardi trasformatasi in ruolo politico. La dottrina sciita costituisce dunque un islamismo di tipo missionario, per il ruolo sociale, ma anche politico acquisito dagli ulema, nella misura in cui l’attivismo politico è uno strumento di esistenza, oltre che di sopravvivenza, per comunità minoritarie. Islamismo e sciismo sono strettamente intrecciati; in effetti pensiero religioso e dottrina politica sono storicamente mescolati nel movimento sciita. Nondimeno, l’islamismo sunnita e sciita hanno un punto in comune: la loro ideologia e il loro messaggio si sono affermati e strutturati nella modernità. II – La nascita delle dottrine islamiste: dalla modernità ai nostri giorni La modernità è tanto un concetto filosofico, quanto una realtà sociologica, che rompe con la tradizione, che un periodo di passaggio della storia europea (l’età moderna). È il momento in cui – dalla metà del XV secolo alla fine del XVIII – la Ragione diviene lo strumento privilegiato per interpretare la realtà da parte prima degli Europei e poi più in generale degli Occidentali. La Modernità ha trovato anche eco in Oriente e nel Mediterraneo. Se è opinione comune interpretare la nascita degli islamismi come reazione alla modernità, è anche vero che essi – siano di derivazione sunnita o sciita – hanno incarnato un soffio di modernità nel Medio Oriente, influenzando i movimenti islamici attuali. 16


Capitolo 1 – Origine e fondamenti delle dottrine islamiste

1 I movimenti islamisti alle origini della modernità dei Paesi islamici: wahabismo (XVIII secolo) e salafismo (XIX secolo), sino ai nostri giorni. Due movimenti islamisti sono emersi fra il XVIII e i XIX secolo, nel mondo arabo-musulmano: il salafismo e il wahabismo. Questi due movimenti sono legati l’uno all’altro, alcuni elementi del salafismo si ritrovano infatti nella tradizione wahabita. A – L’emersione della corrente fondamentalista wahabita: l’islamismo degli antichi. Il wahabismo rappresenta il legittimo erede dell’hanbalismo e come esso prende il proprio nome dal suo fondatore: Mohammed Ben Abd Al-Mohhab (1703-1792). Un continuatore di Ibn Hanbal aveva già portato al successo il movimento hanbalita, nel XII secolo: Ibn Taymiyya (1263-1327), giurista reso celebre per la sua estrema intransigenza e il suo rigore nei confronti di coloro che non seguivano la sua linea e per la sua avversione nei confronti delle religioni degli infedeli, fossero religioni del libro – ebrea o cristiana – o d’origine pagana. Cinque secoli più tardi, Mohammed Ben Abd Al-Wahhab contrasterà con eguale violenza la presenza di miscredenti nell’Impero Ottomano e in Arabia Saudita, sua terra natale, all’epoca facente parte dell’impero. Cresciuto in una famiglia di giudici musulmani – cadis – che seguivano la dottrina hanbalita, peregrinò per diversi Paesi dell’Impero prima di scrivere un’opera sull’unicità di Dio.3 È a partire da quest’opera, oltre che dalla lotta intrapresa dal suo fondatore, che si sviluppò il movimento wahabita. A differenza dell’hanbalismo questo movimento non è soltanto dottrinale; ha anche una dimensione politica e pratica. In effetti, per dare un braccio armato alle proprie idee, Al-Wahhab concluse un patto con il conquistatore arabo, Mohammed Ibn Saoud, il quale favorì 3

Ki- tâb al - tawhîd.

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la diffusione del wahabismo in concomitanza con le conquiste proprie e dei suoi discendenti, a partire dalla sua regione d’origine il Nejd.4 Lo Stato saudita contemporaneo ha ancora le proprie radici culturali nelle dottrine wahabite. Nel wahabismo convergono una dottrina religiosa e una istituzionale. Sul piano giuridico, il wahabismo non è innovativo: si rifà ai principi di diritto elaborati dalla dottrina hanbalita e codificati dopo l’XI secolo. Le pratiche sociali tratte dall’eredità hanbalita sono state peraltro radicalizzate: gli wahabiti hanno emanato regole ferree e restrittive riguardo alle donne e ai costumi morali. Esiste peraltro un paradosso: sebbene il wahabismo delle origini affermasse di voler dare un ruolo rilevante all’itjihad, in realtà l’importanza dell’interpretazione all’interno di questa dottrina ultratradizionalista è piuttosto scarsa. Nel corso del XIX secolo, il wahabismo, considerato corrente settaria all’interno del mondo musulmano, beneficiò del connubio con il salafismo per acquisire nuova popolarità ed espandersi in Asia, Africa e ben presto anche in Europa. In epoca contemporanea, il wahabismo originale e tradizionale è stato oggetto di numerose critiche. Condivide con l’islamismo contemporaneo sunnita alcuni elementi comuni, ma si caratterizza per il suo conservatorismo, mentre i movimenti islamisti possono essere sia riformatori che conservatori. A partire dagli anni ’70 del ‘900, tre nuovi movimenti sorti dal wahabismo originale hanno formulato critiche nei suoi confronti: gli islamo-liberali denunciano l’ingerenza degli wahabiti tradizionali nella sfera sociale; i giovani intellettuali, ieri radicali oggi moderati e aperti a idee di tolleranza, ne rigettano l’eccessiva rigidità. Esistono infine gruppi salafiti, nati dal wahabismo, emersi negli anni ’70 del XX secolo, sotto l’influenza di Hassan Al-Maliki che denunciano la mancanza di coesione dei Sunniti 4

Al centro dell’attuale Arabia Saudita.

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Capitolo 1 – Origine e fondamenti delle dottrine islamiste

di cui il wahabismo tradizionale sarebbe una delle cause. La sua visione troppo simile a quella hanbalita avrebbe creato linee di frattura piuttosto che legami di solidarietà all’interno della Umma. La totalità di queste critiche proviene dall’Arabia Saudita, la casa madre del wahabismo, al punto che oggi la monarchia saudita è più orientata al salafismo che al wahabismo classico. In ragione della sua storia la corrente wahabita si è evoluta seguendo la storia della monarchia del Golfo, essa tuttavia ha anche superato i confini sauditi e dato vita a movimenti islamisti differenti nei loro scopi e nella loro forma, che sebbene si richiamino al wahabismo presentano rispetto ad esso significative divergenze. B – La salafiyya: emersione del movimento salafita. Malgrado i salafiti si richiamino ai pensatori wahabiti e hanbaliti, il loro movimento non nacque in Arabia Saudita e non deve essere confuso con il wahabismo. In effetti, il salafismo prese forma all’interno di un contesto geografico ampio e variegato (Egitto, Siria, Iraq e India) a partire dal XVIII. Esso non riuscì a trovare espansione tuttavia che nel XIX secolo, un secolo dopo la nascita del wahabismo. Dall’arabo salaf ancestrale, il salafismo propone in effetti un ritorno ai principi originali dei fondatori della dottrina islamica del VII secolo. Un ritorno al Profeta ovviamente, ma anche ai suoi primi quattro successori: i califfi Rashidun le buone guide che hanno regnato sul neonato Dâr-al-Islam: Abu Bakr, Omar, Othman e Alì. Per i Salafiti, la Sunna e il Corano devono essere appresi e letti senza fare appello alla ragione individuale, al contrario le parole e i gesti del Profeta vanno applicati e imitati. È per tale motivo che di tutti gli islamisti, i salafiti sono coloro la cui lettura dei testi sacri è la più letterale. Inizialmente, nata da una riflessione molto moderna, la dottrina salafita ha virato 19


verso un fondamentalismo puritano, confondendosi con il wahabismo saudita. I salafiti obbediscono tuttavia a logiche storiche differenti rispetto a quelle dei wahabiti. Tre differenti fasi evolutive hanno contraddistinto l’evoluzione dottrinale della salafiyya: dal XIX secolo agli anni ’90 del ‘900. Alle origini, diversamente dagli wahabiti, i salafiti non basarono la propria dottrina sul pensiero hanbalita, ma si fecero promotori di un’interpretazione aperta ai contributi delle quattro scuole giuridiche sunnite: si rifecero al rigore giuridico della scuola hanbalita ma non al suo radicalismo. Ancora nel XIX secolo, due grandi pensatori e fondatori del movimento promossero la creazione del movimento riformista salafita: Jamal al-Din detto al-Afghani (1838-1897) e Muhammad Abdhu (1849-1905).5 Si trattò della prima fase del salafismo. Questa prima ondata non si qualificò come salafita, ma riformista, in quanto l’elaborazione di una corrente propriamente salafita si articolerà soltanto verso il XX secolo. Il loro obiettivo era preparare il mondo musulmano alle sfide poste al mondo intero dall’Occidente, in epoca industriale. L’arrivo degli Occidentali, specialmente nell’Impero Ottomano, impose naturalmente all’Umma una riflessione introspettiva sulle sue strutture e sui suoi valori. Sulla sua cultura, la sua identità, i suoi fondamenti spirituali e intellettuali. Il movimento riformista incarnò una rivoluzione nell’ideologia islamista: segnò il risveglio dello spirito dell’islam a livello sociale e politico. I fondatori del salafismo stimarono che la società musulmana dovesse riformarsi e imporre un ritorno ai valori originari, in quanto, secondo loro, la società ottomana era sul punto di morire spiritualmente e intellettualmente. Il salafismo fu dunque una sorta di compromesso fra un ritorno ai valori fondativi dei padri 5

Anche Rachid Rida (1865-1935) è una figura da scoprire del riformismo islamico. Ha operato in Siria e in Egitto.

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Capitolo 1 – Origine e fondamenti delle dottrine islamiste

dell’islam e l’integrazione rispetto alle novità apportate dall’Occidente: l’apertura ai progressi tecnologici o l’assimilazione di un sistema costituzionale erano, ad esempio, compatibili con la visione del mondo dei salafiti del primo periodo. L’Occidente non rappresentava una minaccia, ma piuttosto un modello di cui servirsi per riformare il mondo musulmano. Solamente a seguito della caduta dell’Impero Ottomano, allorquando gli Occidentali tentarono di espandersi in quello spazio geografico, i salafiti cominciarono a inglobare nella loro dottrina elementi di resistenza alla modernità, ricollegandosi ai movimenti fondamentalisti wahabiti dell’Arabia centrale. Questo momento corrisponde alla seconda ondata del salafismo, che trovò espressione in particolare nella figura di Hassan Al-Banna (1906-1949), fondatore egiziano della confraternita dei Fratelli Musulmani. Per lui la presenza occidentale in Egitto generava delle pratiche contrarie ai valori dell’islam e si fece partigiano di un nuovo tipo di salafismo. I salafiti di questa seconda ondata assimilarono la cultura religiosa sufista, una corrente mistica dell’islam al contrario rigettata dagli wahabiti Un’altra differenza fra i primi e i secondi consiste nel fatto che mentre gli wahabiti collegano storicamente il potere politico dei monarchi sauditi alla religione, per i Fratelli Musulmani questo passaggio non è così automatico. Salafismo e wahabismo tuttavia cominciano dagli anni ’50 del XX secolo a saldarsi: i Fratelli Musulmani perseguitati in Egitto e Siria furono accolti in Arabia Saudita e incaricati di diffondere i valori islamici presso i giovani nelle scuole e nelle università. I Fratelli Musulmani assicurarono dunque la moralizzazione della società, occupandosi dell’educazione giovanile; si trattava di un islamismo basato su una predicazione dal basso. Islamismo politico e islamismo predicativo trovarono un punto di incontro e si completarono a 21


vicenda. Il loro avvicinamento non fu tuttavia completo, in quanto i Fratelli Musulmani, salafiti riformisti, non entrano nell’orbita della classe di governo saudita. L’arrivo degli Americani in Arabia Saudita li spinse rapidamente verso l’Iraq; emerse allora una nuova corrente del salafismo sulla base di una radicalizzazione delle tesi delle due generazioni precedenti. La politica ebbe dunque un ruolo fondamentale nel matrimonio ideologico fra wahabismo e salafismo di seconda generazione. A partire dagli anni ’80 del ‘900, wahabiti e Fratelli Musulmani non si considerarono più alleati. Fautori di un islam politico, i Fratelli si opposero da allora alle pratiche saudite. Il salafismo non si risolve, tuttavia, soltanto nella versione che ne danno i Fratelli Musulmani. La terza generazione del salafismo si rifà alle tesi dell’intellettuale saudita Sayyd Qoth (1906-1966), la cui popolarità fu accelerata dalla rivoluzione sciita iraniana: a partire dal 1979, il salafismo attinge in sempre maggiore misura dalle tesi wahabite più puritane. Apparse negli anni ’50 del ‘900, le idee di Sayyd Qoth influenzarono fortemente i gruppi islamisti compresa Al-Qaida. Il suo pensiero è improntato all’estrema intransigenza: i sufi sono considerati eretici perché credono al culto dei Santi; cristiani ed ebrei – seguaci delle religioni del Libro – sempre rispettati nella tradizione musulmana vengono ora trattati da miscredenti o infedeli. Al di là di ciò il discorso di Sayyd Qoth andava oltre: egli propose un islamismo radicale che difendeva l’uso della jihad nelle terre dei miscredenti, ma anche in territorio musulmano quando i valori dell’islam erano minacciati da idee contrarie alla Legge islamica vale a dire dall’influenza occidentale. Oppone veri musulmani a apostati; impone ad ogni buon musulmano l’obbligo del takfir di denunciare cioè i non musulmani. Accettando compromessi con gli Americani, i sovrani sauditi fanno 22


Capitolo 1 – Origine e fondamenti delle dottrine islamiste

parte della schiera degli apostati. Concretamente i salafiti sono pronti a proclamare la jihad in qualsiasi luogo e non concepiscono l’idea di dover fare riferimento a un’autorità politica, che non accetta questo principio, mentre disconoscono il concetto di autorità nazionale, ritenuto un’importazione dall’Occidente. Il bagaglio ideologico di questa terza generazione del salafismo era un mix fra una ripresa delle tesi wahabite e una radicalizzazione indotta dai principi qotbisti. Tuttavia, questo nuovo riavvicinamento fra wahabiti e salafiti non durò a lungo; all’inizio degli anni ’90 del ‘900, la rivalità fra ulema sauditi generò nuove divisioni e la nascita di un nuovo movimento saudita riformista, al-Sahwa al-Islamiyya (il risveglio islamico), che si allontanava dal wahabismo tradizionale. Questo movimento, nato negli anni ’80 del ‘900, influenzato dai Fratelli Musulmani, assimilava l’idea di Stato nazionale e si volgeva verso un tipo di islamismo più politico. I suoi membri erano maggiormente tolleranti verso gli Sciiti. Se in passato si era consumato un matrimonio ideologico fra wahabismo e salafismo, i loro legami si sono oggi dissipati. Ripercorrere le tre tappe del percorso storico del salafismo ci permette di coglierne la complessità: il costante richiamo all’islam delle origini, trova una diversa declinazione a seconda dei contesti politici, locali o internazionali, generando più correnti ideologiche. Più che parlare di salafismo, sarebbe dunque opportuno parlare di salafismi al plurale. Bernard Rougier li ha classificati in tre categorie.6 Dall’inizio degli anni ’90 del ‘900, i salafiti si sono infatti divisi sui mezzi da utilizzare per imporre la loro dottrina. Questi tre approcci variano a seconda del grado di attivismo imposto in seno alla Umma e nei confronti dei non musulmani. 6

Bernard Rougier, Qu’est-ce que le salafisme?, Parigi, PUF, 2008, pp. 15-18.

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Il salafismo originale, basato su una lettura letterale dei testi sacri e missionario. Non ammette che i suoi adepti partecipino al potere politico, né l’uso da parte loro dei moderni mezzi di comunicazione. Questo movimento propone una trasmissione diretta del messaggio coranico all’insieme dei musulmani, senza alcuna mediazione. Il salafismo riformista è rappresentato dalla corrente della Sahwa. Diversamente dai salafiti integralisti, essi concepiscono in modo diverso la propria funzione di missionari: vogliono diffondere la loro visione dell’islam e del mondo al numero più grande possibile di persone. Condannano l’influenza degli Occidentali sulla classe politica mediorientale, poiché è un fattore di destabilizzazione dell’Umma. È il potere temporale a dover seguire i precetti del clero e non l’inverso. I salafiti riformisti sono la corrente maggioritaria e praticano un itjihad orientata dall’uso della ragione. Infine, abbiamo il salafismo jihadista, diviso a sua volta in più movimenti. Esso impone a tutti i credenti l’obbligo della jihad. È questo il cuore della dottrina. Esistono jihadisti locali, come in Palestina, che non hanno alcuna vocazione all’imposizione di un califfato mondiale, e jihadisti internazionalisti, di cui fanno parte i membri di Al-Qaida e che lottano per l’imposizione della religione musulmana nel mondo. Tutti gli islamisti, siano essi maggiormente influenzati dal wahabismo saudita, dal pensiero dei Fratelli Musulmani o dalle attuali idee salafite, si iscrivono all’interno di un movimento determinato, siano essi partigiani di un islamismo politico, di una predicazione di tipo missionario o siano fautori del jihadismo. 2 Finalità e mezzi d’azione degli islamisti. Gli islamisti non impiegano gli stessi mezzi, ma condividono gli stessi scopi. La finalità principale dei loro movimenti risiede nell’islamizzare in profondità 24


Capitolo 1 – Origine e fondamenti delle dottrine islamiste

alcune società musulmane e assicurare l’unità della Umma. La ricerca e la creazione di un califfato mondiale così come diffusa dai media mondiali sono affermate solo dai gruppi jihadisti e non costituiscono una finalità condivisa da tutti gli islamisti. Per gli islamisti favorevoli all’instaurazione di un ordine politico foriero di un’islamizzazione dall’alto, l’instaurazione di uno Stato islamico, dawla islamiyya, è la finalità principale. È l’applicazione della sovranità divina e la sharia ne diviene uno dei fondamenti. La sharia è sia uno strumento che uno scopo per gli islamisti. In quanto Legge divina risponde alle domande e ai bisogni dei musulmani, ne ordina la società e la regola attraverso norme di origine sacra. L’interpretazione della sharia varia sensibilmente nei diversi gruppi islamisti. Sebbene siano tutti concordi nel sostenere una restaurazione dell’ordine normativo musulmano, l’interpretazione dei giuristi conferisce necessariamente un contenuto diverso a tale scopo. La sharia può essere intesa sia come semplice norma morale che orienta la condotta dei fedeli, sia come regola di condotta suprema da applicare con l’insieme dei fikh. Così in Iran, in Yemen o in Siria, la pratica della sharia differisce e si basa su criteri interpretativi differenti. I suoi settori di applicazione possono comprendere: il diritto di famiglia, il diritto penale, il diritto economico e la sfera politica.

L’applicazione della sharia

L’applicazione della sharia significa che il diritto musulmano è utilizzato in seno alle istituzioni

di uno Stato che può essere una monarchia (Arabia Saudita) o una Repubblica islamica

(Mauritania, Pakistan, Iran, Afghanistan). Essa può essere esclusiva, nel senso che la sharia è

l’unica fonte di diritto (come in Iran, Arabia Saudita, Yemen, Sudan, Nigeria, Somalia, Mauritania) o

utilizzata in parte: nel diritto di famiglia o nel diritto penale a completamento di altre fonti

giuridiche (Stati del Golfo, Siria, Iraq, Marocco, Pakistan…) o ancora soltanto in alcune giurisdizioni di uno Stato federale (India e Indonesia).

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Secondo i teorici islamisti, la sharia implica l’esistenza di due strutture: l’Amir e la Shura. In effetti, le istituzioni politiche di un regime islamista devono dotarsi di un capo politico e di uno religioso – l’Amhir – chiamato khalifa o murshid secondo i movimenti.7 L’Amir può essere eletto da un consiglio consultivo, la Shura, che ha il compito di consigliare e aiutare l’Amir, il quale occupa comunque rispetto a esso una posizione gerarchicamente superiore. La Shura può essere composta da ulema, intellettuali islamici, o anche membri dell’Umma se lo Stato riconosce il principio democratico e il suffragio universale. Gli islamisti fautori dell’azione politica pensano sia fondamentale organizzarsi all’interno di un partito (al-hizb), che segue le forme tipiche di quelli occidentali: in Turchia abbiamo l’AKP, in Tunisia, Egitto o Marocco i Fratelli Musulmani. Esistono associazioni militanti che operano nella società, senza partecipare alle elezioni: è il caso dei Fratelli Musulmani prima delle rivoluzioni arabe o ancora oggi di Jamaat-i Islami in Pakistan o del partito indiano Tabligh. Il mezzo principale per assicurare l’unità della comunità dei fedeli è l’applicazione della da’wa, la predicazione, che consente di diffondere i principi dei testi sacri (Corano e Sunna) attraverso un’interpretazione letterale e fondamentalista. Tale attività educativa avviene in età scolare contestualmente all’alfabetizzazione ed ha luogo nelle scuole religiose (madrasa*) del mondo intero. Tale missione non deve avvenire attraverso mezzi di comunicazione moderni come internet e la televisione. Il lancio della televisione del Qatar Al-Jazira, creata nell’ambito di uno Stato a maggioranza wahabita, rappresenta per esempio una “novità da biasimare” per i salafiti, a dispetto dell’opinione degli Occidentali, per cui essa sarebbe la voce degli islamisti. L’ultimo strumento a disposizione degli islamisti più radicali per 7

Olivier Roy, L’Échec de l’islam politique, Parigi, Seuil, 1992, pp. 62-63.

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Capitolo 1 – Origine e fondamenti delle dottrine islamiste

salvaguardare l’unità della Umma o lottare contro le forze miscredenti è la jihad, la guerra santa. Il Corano evoca due tipi di jihad: la grande jihad – la lotta interiore per divenire migliori – e la piccola jihad o jihad della spada. La radice della parola è jhd, che in arabo significa sforzo. Sforzo su sé stessi, per il Profeta l’intera vita è una jihad e sforzo dell’Umma per difendere il proprio territorio o per conquistarne degli altri; la piccola jihad può dunque avere un carattere difensivo o offensivo. La jihad diviene difensiva se esiste un pericolo per l’Umma e ogni musulmano dovrebbe parteciparvi. La jihad offensiva è utilizzata nel quadro della conquista del Dâr-al-Islam.

Esempi di versetti di sure che evocano grande e piccola jihad

Djihâd a-­‐nafs, la grande jihad

Sura 29, Al-­‐Ankabut (il ragno)

«6 Chiunque lotti per la causa di Allah, lotta per sè stesso».

«69 Coloro che combattono (jahadu) per la Nostra Causa, saranno da Noi accolti sui Nostri

sentieri, poiché Allah è a fianco di coloro che si accingono a opere salutari».

Djihâd a-­‐sghîr, la piccola jihad: lotta per legittima difesa Sura 2 Al-­‐Baqarah (la vacca)

«190 Combattete nei sentieri di Allah contro coloro che vi combattono, e non trasgredite!

Siatene certi Allah non ama i trasgressori!»

«191 E uccideteli, ovunque li incontriate; scacciateli da dove essi vi hanno scacciato:

l’associazione è più grave dell’omicidio. Tuttavia non aggrediteli mai nei pressi della santa

Moschea, prima che essi vi abbiano aggredito. Se essi vi combattono, uccideteli. Questa è la ricompensa per i miscredenti.»

Le Noble Coran et jihadisti la traduction en langue française, trad. Muhammad Hamidullah Michel Gli islamisti sono sunniti, fautori della guerra santae contro i Letourmy, revisione di Mouhammed Ahmed LO, Mohammed ash-­‐Shanqîtî e Fodé Soriba Camara, regimi empi all’interno del Dâr-al-Islam o all’esterno quando essi Edizioni Complexe di re Fahd, 2005. considerano che il territorio è occupato da una potenza non musulmana minacciosa (Palestina, Cachemire, Afghanistan, ad esempio). La jihad è dunque il principale strumento di conquista o riconquista del potere. È una manifestazione del diritto della Umma di difendersi con le armi.

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Le vecchie tesi di Ibn Tamiyya e quelle si Sayyd Qotb formano il sostrato ideologico dei jihadisti. La jihad dipende chiaramente dalla presenza occidentale nel mondo musulmano; all’inizio della conquista coloniale nel XIX secolo, ebbe luogo una jihad di resistenza in Algeria, Sudan e Libia. Un esempio più recente è costituito dalla lotta dell’ISIS contro le forze sciite irachene e siriane. 3 Il pensiero sciita, l’islamismo degli ulema. Come accennato, nella prima parte del capitolo, una delle differenze fra il mondo sciita e quello sunnita è costituita dall’unità del primo. La persistenza dell’ijtihad ha permesso allo sciismo di mantenere la propria compattezza. A cavallo fra il XVII e il XVIII secolo, una controversia ha opposto due scuole di pensiero sciita: la scuola usulita e quella akhbarita, quest’ultima proponeva un ridimensionamento del ruolo degli ulema, al fine di limitare l’eccessivo divario gerarchico all’interno della società fra clero e laici, avvicinandosi in questo agli hanbaliti sunniti. La vittoria degli usuliti ha tuttavia preservato il ruolo degli ulema nella comunità sciita e il loro monopolio nell’interpretazione delle scritture. Circostanza che ha permesso agli Sciiti di rimanere uniti, appoggiandosi agli ulema, i quali ancora oggi assicurano il collante politico, morale, intellettuale e sociale della comunità islamica sciita. L’attivismo rivoluzionario e sciita dell’ayatollah Khomeini – l’uomo che ha instaurato la teocrazia* in Iran nel 1979, rovesciando lo Scià di Persia sostenuto dagli Americani – si richiamava alla scuola usulita. I dettami di questa scuola costituiscono oggi l’ideologia nazionale dell’Iran, ma sono maggioritari all’interno di tutti i movimenti islamisti sciiti. Gli Sciiti hanno inoltre assimilato maggiormente rispetto ai Sunniti il concetto di nazionalità, ciò a motivo della vicinanza geografica dei territori in cui si sono storicamente insediati e del maggiore senso comunitario 28


Capitolo 1 – Origine e fondamenti delle dottrine islamiste

sviluppato. Gli schemi teorici e ideologici del pensiero islamista sono molti e in evoluzione. Nella parte che segue ci concentreremo sul radicamento territoriale e geopolitico degli islamismi, in quanto esso costituisce una chiave interpretativa importante, per capirne oggi l’organizzazione nel mondo.

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