La Collina di Saluzzo - Aldo Molinengo

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Il territorio saluzzese

Non si può descrivere Saluzzo e la sua collina senza prendere prima in esame il territorio circostante che ne ha fatto la storia, l’economia e la cultura: il Saluzzese. Molte vicende determinanti per il Marchesato, nell’epoca storica che ha visto nascere e formarsi la città, sono avvenute in questa terra di pianura, ma soprattutto di montagna. Una montagna che parte proprio dalle prime pendici collinari e si prolunga con gli spartiacque tra le vallate circostanti, e che può essere raggiunta salendo le strade della collina e proseguendo poi per antichi sentieri. È infatti possibile iniziare il cammino dal centro di Saluzzo e raggiungere la vetta del Monviso, innalzandosi poco alla volta tra coltivi, boschi, pascoli e rocce, con un paesaggio che cambia con lo scorrere dell’itinerario, incontrando lungo il percorso anche storiche chiese. Dunque, soprattutto per chi non vive in questo territorio, può essere utile conoscere un po’ di storia di questa terra, che ha il suo principale nucleo urbano in Saluzzo. La città si trova ad essere addossata all’ultima propaggine di una collina che, elevandosi, costituisce il punto di incontro delle tre vallate principali di quest’area: le valli Po, Bronda e Varaita, alle quali si aggiunge, più a nord, la Valle Infernotto. Il suo territorio, delimitato a settentrione dalla Provincia di Torino e a sud con l’area che gravita su Cuneo, ad est raggiunge il confine con il Comune di Savigliano, mentre ad ovest, oltre la cresta alpina, dove svetta lo spettacolare massiccio del Monviso (m 3841), vi è la Francia. Con quest’ultima è in diretta comunicazione stradale attraverso il valico del Colle dell’Agnello (m 2748), alla testata della Valle Varaita, percorribile solo in estate. Una varietà territoriale con un ambiente che spazia tra montagne, colline ed una pianura, che per un raggio di circa quindici chilometri comprende vari paesi. In tale contesto si intrecciano paesaggi e genti che in molti anni di storia hanno saputo omogeneizzarsi tra loro, per cui sarebbe difficile pensare a Saluzzo senza considerare tutto il territorio che la circonda e che ne ha anche fatto la storia. Questo coincide con gran parte di quello che è stato, tra il XII e il XVI 9


Il fascino della città storica si svela anche nell’armonia di tetti e colori.

secolo, il Marchesato di Saluzzo, con una storia che, in base a documentazioni d’archivio, risale a mille anni fa. Il nome Saluzzo è, infatti, citato per la prima volta con il termine Salucia in uno scritto del 1028 e, in un altro di poco successivo, con la forma plurale Saluciarum, il che farebbe pensare ad una serie di piccole comunità poste nella zona attorno al castello Soprano. Questo, che si trovava sulle prime pendici collinari, è rimasto come testimone della nascita di questo territorio fino alla sua distruzione, avvenuta nel 1341. Le tracce storiche precedenti ci riconducono ad insediamenti di popolazioni Celto-Liguri, nelle zone più alte delle vallate, e in seguito alla presenza della dominazione romana, come testimoniano le numerose lapidi, soprattutto funerarie, rinvenute in tutta l’area. Ma anche un intero insediamento, datato tra il I e il IV secolo dopo Cristo, portato alla luce a Costigliole Saluzzo con pazienti scavi archeologici iniziati nel 2003. Si trattava probabilmente un’azienda agraria che, posta sull’incrocio di frequentate vie di comunicazione pedemontane, poteva anche fungere da locanda. Poi, verso la fine del primo millennio, sono popolazioni straniere che occupano, spesso con la forza, questa ed altre aree: Longobardi da nord e Saraceni da sud. Di questi ultimi il dialetto locale ne conserva dei 10


termini particolari, come il nome Ramassin, dato alle piccole susine tipiche della collina saluzzese, mentre la tradizione vuole che l’antica e pittoresca festa della Baìo, che si tiene ogni cinque anni a Sampeyre, in Valle Varaita, rievochi la cacciata dei Saraceni da parte della gente del posto. Successivamente, l’Alto Medioevo vede l’inizio di un periodo di relativa tranquillità, consentendo la nascita ed il rafforzamento di nuovi paesi, che contribuiscono ad uno sviluppo demografico che dà vita ad un’espansione delle terre coltivate, soprattutto in pianura. In particolare, ciò avviene all’inizio del XII secolo, con l’avvio di un marchesato, le cui radici affondano nel Monferrato, da dove proveniva Bonifacio del Vasto, il cui figlio Manfredo I fu il primo di una lunga serie di marchesi che per quattrocento anni governarono su un territorio che aveva avuto modo di allargarsi fino all’area torinese e cuneese, restringendosi poi essenzialmente all’area alpina delle valli Maira, Varaita (fino a Sampeyre) e Po. Dunque, un territorio di confine con la potente Francia, con la quale scambia merci, solide amicizie, ma anche periodici attriti, fino all’ingerenza francese a metà Cinquecento, a cui fece seguito, nel 1588, l’occupazione da parte di Carlo Emanuele I di Savoia e, con il Trattato di Lione del 1601, la sua definitiva annessione a questa casata. Questa lo detenne, nei secoli che seguirono, passando attraverso l’epoca napoleonica, preceduta dai brevi moti rivoluzionari di Revello del 1797, la Rivolta dei Viton contro l’autorità centrale, quindi la costituzione del Regno italiano, fino all’avvento della Repubblica. All’inizio dell’Ottocento, Saluzzo fu capoluogo dell’allora omonima Provincia e, procedendo verso il XX secolo, vide l’affermarsi dell’industria locale, in particolare nel settore della seta, ed il nascere di un’efficiente rete di trasporto ferroviario, soprattutto con la realizzazione di una tranvia a vapore, che contribuì decisamente alla crescita economica della zona. Il Novecento, con la fondazione dell’importante Cartiera Burgo a Verzuolo, sottolineò lo sviluppo del settore industriale, grazie anche alla realizzazione nelle vallate delle prime centrali idroelettriche. Una di queste fu insediata anche alle porte di Saluzzo, sul confine con il paese di Manta, con una struttura voluta per fornire energia elettrica alla città. Gli ultimi scampoli di storia, infine, non vedono comunque dimenticata l’agricoltura, che non solo ne caratterizzò l’economia nel passato, ma continua ad essere, anche se prevalentemente nella pianura, il motore economico di quest’area. 11


Alla luce delle testimonianze storiche, ma soprattutto artistiche ed architettoniche, il maggior splendore della città e del suo territorio, si ebbe con il marchese Ludovico II, che governò dal 1475 al 1504, e che più di tutti i suoi predecessori seppe arricchire il Saluzzese con pregevole gusto estetico. Il culmine artistico di quell’epoca va indubbiamente attribuito ai pregiati dipinti di Hans Clemer, un raffinato artista proveniente dal Nord Europa, anche conosciuto con il nome di Maestro d’Elva, per gli splendidi affreschi lasciati nella chiesa parrocchiale di questo piccolo paese della Valle Maira, a 1637 metri di quota, a testimonianza di una ricchezza economica di quest’area montana, oggi purtroppo scomparsa. Ludovico II volle anche la realizzazione del Buco di Viso, la galleria, sicuramente la prima dell’arco alpino, che poco sotto il Colle delle Traversette, a 2882 metri di altitudine, metteva in comunicazione diretta la Valle Po con la Francia, per agevolare il passaggio con animali carichi di merci, ancora oggi percorribile a piedi. Importanti interventi architettonici realizzati durante la sua reggenza furono l’edificazione della Cattedrale di Saluzzo, completata nel 1501 e, in questa stessa città, della chiesa di Sant’Agostino, mentre a Revello fece costruire la chiesa della Collegiata, il Palazzo marchionale, con annessa una cappella, e il Palazzo della Dogana. Tutte opere con le quali il Marchesato raggiunse non solo la sua massima espressione artistica, ma anche quella economica e politica. Questo contribuì alla costituzione della Diocesi di Saluzzo, nel 1511, pochi anni dopo la morte di Ludovico II, avvenuta nel 1504, consentendo alla città di trasformarsi da Oppidum a Civitas. L’importante storia del periodo del Marchesato è anche leggibile nelle vicende e nei documenti relativi a due importanti centri religiosi della zona, l’abbazia di Staffarda, a Revello, e il monastero femminile di Santa Maria della Stella di Rifreddo, fondati rispettivamente nel 1135 e nel 1219, entrambi appartenenti all’Ordine cistercense. Attraverso i loro cartari, la fitta corrispondenza raccolta in atti d’archivio, non solo si possono ricostruire ampie pagine di storia medievale saluzzese, ma si colgono anche i profondi intrecci che all’epoca si svolgevano tra il potere politico e quello religioso. Non meno importanti furono quindi le lotte di religione, che videro protagonisti i valdesi, che dalle vicine valli pinerolesi fecero proseliti anche in quelle saluzzesi, in particolare a Prato Guglielmo, sopra Paesana, in Valle Po. I vari episodi di persecuzione contro questi, che culminarono nei primi anni del 1500 sotto la reggenza di Mar12


Il bianco del marmo di Paesana risalta nel portale della Collegiata di Revello.

gherita di Foix, vedova di Ludovico II, lasciarono un segno profondo persino nella gente di questa zona, che ancora oggi, a distanza di cinquecento anni, ne conserva la memoria. Testimonianze storiche, dunque, ma anche artistiche, che fanno di questa terra un modello interessante per lo studio dell’arte dell’ultimo millennio, attraverso i molti edifici civili e religiosi sparsi dappertutto, da Saluzzo e dalla pianura circostante fino ai più alti paesi delle sue valli. La struttura più datata è l’abbazia dei Santi Pietro e Colombano, a Pagno, in Valle Bronda. Nonostante i vari rimaneggiamenti, sono ancora leggibili le tangibili tracce della sua fondazione, voluta attorno al 749 dal re longobardo Astolfo. Venne quindi riedificata attorno ai primi decenni dell’XI secolo e successivamente trasformata fino allo stato attuale nel XVIII secolo. An13


Dall’alto la città di Saluzzo scende con la sua storia urbanistica verso la pianura.

cora all’epoca romanica appartengono la pieve di Sant’Eusebio a Casteldelfino, il campanile della chiesa di San Massimo a Revello e quello di San Martino a Saluzzo. Sempre in questa città sono ancora visibili i resti dell’antica pieve di Santa Maria, incastonati nella sua Cattedrale. Nei secoli che seguirono, importanti architetti lasciarono testimonianze delle loro opere, taluni ispirati ad altri progettisti più famosi, come nel caso della seicentesca chiesa di Santa Maria della Stella, a Saluzzo, la cui architettura riprende i moduli di Carlo di Castellamonte. Nel Settecento si ebbero opere religiose e civili di Francesco Gallo, come la chiesa parrocchiale a Barge, e a Saluzzo il Collegio dei Gesuiti – ora sede del Municipio – e l’antica ala dell’attuale ospedale. Anche altri elementi hanno contribuito alla crescita culturale del territorio, aggiungendo importanti testimonianze artistiche. Portali di edifici religiosi e civili; fonti battesimali, di cui esemplare è quello di Martiniana Po; la torre di avvistamento che svetta sopra l’abitato di Brondello, testimone di un antico castello; e infine ca14


ratteristici portici medievali, i suggestivi Pòrti scur di Saluzzo, e quelli di Sanfront, con una pavimentazione in acciottolato. Ad intervenire su questi gioielli architettonici furono anche maestranze esterne, mentre per esempi di un’arte locale più popolare occorre fare riferimento all’architettura in pietra degli edifici rurali delle vallate, alle chiese campestri, ai semplici affreschi murali ed ai piloni votivi. Il Saluzzese ha dunque visto sempre una mescolanza di arte e cultura tra il piano e la montagna, e quest’ultima, attraverso una lingua comune a gente di altre vallate e d’oltralpe, l’occitano, ha saputo trovare estesi collegamenti in molte altre aree alpine. L’importanza di questo piccolo territorio, infatti, non è mai stata ristretta ai suoi confini locali, ma ha avuto sempre un’ampia diffusione. Giovanni Boccaccio, nella sua novella Griselda, ripresa anche da Francesco Petrarca e dall’inglese Geoffrey Chaucer, narra la bellissima storia di amore e di fedeltà coniugale che lega Griselda, una contadina di Villanovetta, oggi una frazione di Verzuolo, a Gualtieri, marchese di Saluzzo, che la volle in sposa e che la umiliò per mettere alla prova un amore che con lieto fine suggella poi la loro unione. Ma anche alcuni trovatori provenzali, sempre nel campo dell’amore, descrivono, come protagonisti femminili delle loro liriche, nobili donne saluzzesi. Ancora, Leonardo da Vinci, che in un suo manoscritto del 1511 cita questa zona a proposito delle cave di quarzite del Mombracco, l’imponente massiccio montuoso che, posto ai piedi della Valle Po, domina su tutta la pianura sottostante. Mombracho sopra saluzo sopra la certosa un miglio a pié di Monviso a una miniera di pietra faldata laquale e biancha come marmo di carrara senza machule che è della dure za del porfido obpiu_ delle quali il compare mio maestro benedet to scultore a impro messo donarmene una tabulletta x li colori adì 5 di genaro 1511 15


Il paesaggio

Un affresco realizzato su una parete del castello di levante di Lagnasco, e più precisamente nella Loggia delle Grottesche, ci restituisce, oltre alla raffigurazione di com’era il paesaggio attorno a questa struttura nella seconda metà del Cinquecento, anche una visione panoramica della collina tra la città di Saluzzo e il castello di Verzuolo. L’opera, risalente al 1570, è dei pittori Pietro e Giovanni Angelo Dolce e in essa risultano ben evidenti edifici saluzzesi – la Torre civica, la Castiglia, il convento di San Bernardino, la chiesa di San Lorenzo –, il castello di Manta e, sopra il paese di Verzuolo, il castello e la chiesa di Santa Cristina. Il momento stagionale raffigurato è l’inizio dell’estate. Le piante sono fogliate, attorno al grande orto del castello di Lagnasco fervono i lavori agrari e nel cortile del maniero si trebbia il grano. Il Monviso, che fa da imponente sfondo a tutta la scena, ha solo più i canaloni della parete est con la consueta ultima neve residua di quel periodo. La collina saluzzese è punteggiata di tanti alberi – tra questi sicuramente tanti fruttiferi – che si distinguono tra un omogeneo verde, mentre i boschi non coprono questo versante se non sporadicamente. Il dipinto è stato realizzato con una tecnica non propriamente raffinata, ma si tratta della prima documentazione artistica che raffigura con precisi dettagli questo territorio. Una citazione scritta della collina saluzzese, forse la prima, si ricava invece da un documento del 5 febbraio del 1464, riguardante un atto di vendita di iornatam unam boschi ad mensuram geometriae sitam supra montanea Saluciarum loco dicto in Bramafarina. Bramafarina, è il nome di una località della frazione di San Lazzaro, poco sopra la strada che da Saluzzo va verso Castellar, in Valle Bronda, quindi in una zona ancora vicina al piano. Con il termine montanea Saluciarum si intendeva la collina di Saluzzo, in quanto un tempo, qui come altrove, la collina, sia nelle sue parti più alte, che in quelle più basse, era considerata montagna. Termine che viene ribadito nell’importante documento del 29 marzo 1604, relativo alla di cessione dei beni del Marchesato al duca di Savoia Carlo Emanuele I. In questo, a proposito di un bosco collinare, si cita la zona come sita nelle 31


montagne di Saluzzo, mentre luoghi montuosi vengono definite le zone collinari in uno dei bandi campestri del 7 marzo 1747. Senza mezzi termini, il rilievo che inizia con la città di Saluzzo veniva considerato come ciò che sarà il suo proseguimento nelle valli Po e Varaita: una montagna. D’altra parte, la prima vista paesaggistica della collina saluzzese si ha arrivando dalla pianura, entrando in città. La sua imponenza si alza quasi bruscamente dal piano circostante, portandosi dietro tutto il centro storico. Dagli ingressi urbani si notano bene gli antichi palazzi, la Torre civica, il campanile della chiesa di San Giovanni. La collina e il centro cittadino storico poggiano su una notevole prominenza rocciosa che avanza solidamente da ovest verso est. Una curiosità geologica, che vede il versante orografico roccioso di sinistra della Valle Po terminare con l’abitato di Revello, e quello destro allungarsi ancora per circa cinque chilometri, costituendo il

Gli alberi spogliati delle foglie lasciano vedere meglio le ville e le case rurali della collina.

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confine tra la zona del paese di Castellar denominata Morra e l’inizio della Valle Bronda. Il versante di destra di questa piccola valle prosegue ancora verso est, costituendo l’avvio della collina di Saluzzo. Un avamposto naturale, che non poté non essere notato da chi, circa mille anni fa, decise di realizzare un insediamento umano in questa terra. Un nucleo ben difendibile, con una vista notevole dall’alto su tutto il circondario, che vide la città storica, a partire dal XII secolo, allargarsi su questo solido e strategico sperone roccioso. Senza quasi accorgersene, l’osmosi tra collina e città si compie armonicamente. Non ci sono confini netti, e sugli alti bordi urbani gli edifici si sfilacciano in mezzo al verde di coltivi, giardini e boschi. Camminando per le strade collinari, si percepisce dunque quello che comunemente si chiama verde, che in effetti è, soprattutto tra primavera ed estate, il colore diffuso che avvolge le case. Il verde della

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collina, dove oggi si distinguono i tanti elementi che lo costituiscono, prati, frutteti, vigneti, boschi, insieme ai vari edifici è la risultanza di quello che più propriamente è definito con il termine paesaggio. Paesaggio non è il semplice panorama, la vista di ciò che ci circonda, più o meno vicino. Paesaggio è l’uomo, con la sua storia, fatta di azioni quotidiane che hanno come obiettivo la sopravvivenza. Fin dalla loro comparsa, i nostri antenati hanno riflettuto saggiamente sull’ambiente naturale che li ospitava, cercando i modi e le tecniche migliori per trarne sostentamento, riparo e materiali. Ogni azione quotidiana, come un lento ma continuo gocciolio, ha plasmato la natura a nostro vantaggio. Gutta cavat lapidem, la goccia scava la pietra, dicevano i Romani, e ogni goccia, fatta di piccoli gesti, ha restituito nei millenni una visione dell’ambiente che definiamo paesaggio. Ogni epoca ha avuto il suo, fin da quando, circa diecimila anni fa, l’uomo ha imparato a coltivare e si è circondato di campi, ma anche di boschi razionalmente governati. Le varie situazioni climatiche, le caratteristiche del terreno e la sua giacitura, hanno determinato potenzialità di vario genere, facendo adattare ad ogni spazio, ad ogni area, ciò che meglio si confaceva. L’uomo ha anche forzato la natura, modellando con terrazzamenti il suolo eccessivamente declive, e ha tratto dalla terra ciò che gli consentiva di vivere. Nella nostra area, poco alla volta, alla foresta planiziale che ricopriva la Pianura Padana si è sostituita la campagna, con innumerevoli fazzoletti di terra che con un verde mosaico hanno reso vario uno spazio dapprima occupato solo da alberi. Il concetto di paesaggio è ormai acquisito da tempo anche a livello politico, soprattutto in base alla Convenzione europea del Paesaggio, firmata il 20 ottobre 2000 a Firenze da quasi tutti gli stati membri dell’Unione Europea. Questa, nell’articolo uno del primo capitolo, afferma che paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. E poco più avanti, nell’articolo due del secondo capitolo, precisa che ogni parte si impegna a riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento delle loro identità. Il paesaggio, particolarmente quello storico, che va quindi studiato, conservato e tutelato, deve essere considerato come un tessuto territoriale sempre vivo che è stato modellato dalla storia dell’uomo, 34


testimoniandola esso stesso. Una storia che continua, modificando in ogni epoca la terra dell’uomo, un’entità che soprattutto oggi, che subisce interventi sempre più rapidi, deve essere pianificata attentamente, non solo per conservare le tracce del passato, ma soprattutto per progettare armonicamente con queste il futuro. Possiamo immaginare il paesaggio agrario iniziale della collina saluzzese con pochi nuclei abitati, circondati da piccoli campi coltivati, prati e sicuramente piante di vite lasciate crescere dapprima liberamente, costituendo la vinea, la vigna, e in seguito fatte arrampicare su alberi anche da frutto – la vite cosiddetta maritata o anche alberata – per avere diversi tipi di produzione agraria. Solo verso il Trecento, per coltivare meglio questa pianta, la si fa crescere su un tutore fatto di pali di castagno, probabilmente incrociati in alto a forma di T. Si costituiscono lunghi filari che normalmente erano distanziati tra loro sei, otto metri, lo spazio che consentiva una colti-

Tra ville storiche e residenziali l'agricoltura collinare continua le sue attività.

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Gli edifici storici

La collina saluzzese ci abbraccia con il suo paesaggio, fatto di ordinati vigneti e frutteti, di scorci visivi che si allargano su pianure e montagne, ma anche di edifici rurali e storiche ville, queste in prevalenza di epoca ottocentesca, con alcune edificate in secoli precedenti. Fu soprattutto tra Settecento e Ottocento che venne percepita anche a Saluzzo la moda torinese di realizzare sulla collina, da parte delle famiglie nobili e della ricca borghesia, un elegante edificio nelle terre di loro proprietà per soggiornarvi la domenica e in estate, la cosiddetta villeggiatura. Dove invece l’edificio, pur elegante, era più modesto, la proprietà, sia di questo che del terreno, veniva detta vigna, come avveniva anche per la collina torinese, e come si può leggere sui vari pilastri posti negli storici ingressi alle varie proprietà che fiancheggiano le strade collinari. Sovente queste ville si nascondono agli occhi, immerse in parchi e giardini che le circondano con la loro eleganza, e non ci rimane che un po’ di fantasia per poterle immaginare. Osservate dal basso, svettano imponenti, solide nelle loro antiche architetture e con un’invidiabile vista panoramica, circondate da una giustificata riservatezza. Sono rare le immagini che ce le raccontano nelle loro vicende, che in molti casi hanno visto i proprietari cambiare nel corso del tempo. Possiamo solamente godere di una loro pertinenza che segna con rilevante frequenza tutte le strade collinari: l’ingresso. La camminata in collina può avere anche solo lo scopo di farsi stupire dai tanti segni posti all’inizio di una proprietà. Semplici pilastri in mattoni, sormontati da una lastra di pietra. Un cancello in ferro battuto sostenuto da questi. Un teatrale insieme di brevi muri che fanno da ala alla strada che conduce alla villa. Archi in mattoni. Pilastri sormontati da guardinghi leoni, immobili ma artistici custodi. Di questi segni architettonici se ne possono contare a decine, alcuni amalgamati con il disegno dell’edificio, altri isolati nella loro forma. A volte non c’è nessun cancello e la strada è aperta, soprattutto quando introduce in un terreno agricolo. In altri casi non c’è un forte anonimato, e una lastra in marmo murata sui pilastri ci 69


Ogni ingresso affascina per la sua inconfondibile originalitĂ , e propone un interessante percorso paesaggistico tra questi segni architettonici della collina di Saluzzo.

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dice il nome dell’antica residenza, probabilmente vecchio di secoli. Per tutti, quel nome è già sufficiente, anche perché spesso è quello di una nobile e storica famiglia saluzzese che qui in origine faceva semplicemente la villeggiatura estiva. Andare in villeggiatura non era solamente sinonimo di andare in vacanza, ma proprio quello di trasferirsi per qualche giorno o settimana nella casa che si abitava generalmente solo d’estate, ricevendo anche amici o vari altri ospiti, come ci ricordano molte opere di letteratura o cinematografiche. Dalla città si spostava anche la servitù, per avere ogni gradito comfort, mentre vicino alla villa, nel rustico, viveva la famiglia contadina, spesso affittuaria, che curava le varie coltivazioni e gli animali allevati, traendo non solo il necessario per vivere, ma anche alcune provviste alimentari da destinare alla ricca famiglia proprietaria. Frutta, ma soprattutto vino per i pasti quotidiani, mentre solo per le occasioni importanti ci si concedeva qualche bottiglia delle Langhe. Per molti secoli la villeggiatura l’hanno fatta solo i signori, neanche tanto lontano dalla casa di residenza, che magari era solo nell’abitato di Saluzzo, o tutt’al più a Torino. L’ingresso diventava il confine tra due realtà, tra la quotidianità e l’eccezionalità; il cambiare ritmi e rapporti di vita per qualche giorno, imparando anche un po’ della ben più povera vita contadina. Per i bambini soprattutto era il contatto tra chi aveva tutto, i figli dei signori, e chi invece aveva poco, i figli dei contadini. Ma quando si giocava insieme, in molti casi, si era tutti uguali. A noi rimane la fantasia di pensare, passando davanti a questi storici ingressi, che cosa e chi possono avere visto nei tanti anni della loro esistenza. Immaginare cosa c’è oltre il loro segno di confine. Tra i tanti suggestivi edifici che si possono incontrare lungo le strade della collina di Saluzzo vi sono, oltre all’imponente e ricca di storia Villa Belvedere, Villa Santa Chiara, Villa San Lorenzo, poi detta Villa delle Orfane, Villa Lagoutaine, anticamente detta La Fabbrica, realizzata dai frati Domenicani, che avevano in proprietà anche la chiesa di Santa Cristina di Verzuolo. Sul versante collinare che guarda sulla Valle Bronda, si trova Villa Bramafarina, dove abitò il conte Angelo Saluzzo di Monesiglio (1734-1810), dedicandosi a vari sperimenti scientifici, passione che lo vide, nel 1757, tra i fondatori dell’Accademia delle Scienze di Torino, insieme al medico Gianfrancesco Cigna e al matematico Luigi Lagrange. All’epoca, l’associazione scientifica non aveva ancora questo nome, ma si trattava di una società che aveva 74


A volte oltre uno storico ingresso si svela l’antica nobile residenza.

lo scopo di studiare a fondo il mondo delle scienze, e che aveva scambi di conoscenze con personalità importanti del mondo scientifico italiano e europeo dell’epoca, come Lazzaro Spallanzani, Benjamin Franklin e Carl von Linné. Fu Vittorio Amedeo III di Savoia a riconoscerne l’importanza, nominandola Reale Accademia delle Scienze. Buon sangue non mente, e anche la figlia di Angelo Saluzzo di Monesiglio, Diodata Saluzzo Roero, ebbe modo di distinguersi, in questo caso nel campo letterario: un fatto ancora inconsueto a quei tempi per una donna. Fu proprio il padre a contattare mediante lettere il tipografo Giovanni Battista Bodoni – che operava a Parma ma era di origini saluzzesi – per fare stampare la prima edizione delle sue opere. Oggi, questa storica villa è sede di una parte della Comunità Cenacolo. 75


Il terreno di Vigna Ariaudo visto dalla sommitĂ della Torre civica.

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Altri segni della storia

Vigna Ariaudo, l’antico giardino del castello Appena fuori dalla piazza che si trova davanti alla Castiglia, quindi subito fuori dalle antiche mura, al di sotto di via San Bernardino vi è l’ampio terreno denominato Vigna Ariaudo, dal nome della famiglia che da circa cinquant’anni ne è proprietaria. Si tratta di un’area, che si estende per quasi tre ettari, che riveste una rilevante importanza storica in quanto era il giardino del castello. Così, infatti, viene definita nel documento del 29 marzo 1604 con cui veniva ceduta la città di Saluzzo e tutti i suoi beni al duca Carlo Emanuele I di Savoia: il giardino del castello reduto a vigna di giornate otto in circa, qual’altra volta era de Sig.ri Biraghi nuovamente acquistato da S.A., coerenti le muraglie della città, la strada pubblica, qual va a santo Bernardino, e il Sig.r Ludovico della Chiesa, con sua casa, e fontanna dentro. Il duca sabaudo, con atto del 4 ottobre 1611, lo vendette poi al nobile saluzzese Gerolamo Vacca. Un antico muro, realizzato in epoca medievale e costituito da pietre frammiste a mattoni, delimita l’appezzamento. Questo, pur mantenendo il vecchio nome di Vigna, come è stata fino a qualche decennio fa, al momento è costituito da un prato stabile polifita in cui crescono due lunghi filari di querce, dell’età di poco più di quarant’anni, che delimitano due ampi terrazzamenti posti nella sua parte superiore. L’attuale stato della vegetazione sembra riproporre oggi, curiosamente, quello che si può dedurre dal dipinto realizzato nel 1535 da Oddone Pascale, che si trova nella chiesa di San Giovanni a Saluzzo, raffigurante l’assedio della città avvenuto nel 1487 ad opera delle truppe di Carlo I di Savoia. La storia di questo vasto terreno è documentata a partire dal Quindicesimo secolo, con la citazione viridarium castri nel documento relativo alla fontana della Drancia del 6 giugno 1481. Successivamente, in un atto di vendita, redatto a Saluzzo il 17 aprile 77


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