DARIO VIALE
Trail de vie
La corsa per vivere, un pioniere degli ultratrail
Introduzione di
Martin e Bernard DEMATTEIS
INTRODUZIONE
LA CORSA IN MONTAGNA TRA IERI E DOMANI
Dialogo con Martin e Bernard Dematteis Nel 1986 Dario Viale correva sulla vetta del Monviso facendo segnare un record di salita che resiste imbattuto da 30 anni. Nello stesso anno, nella vallata accanto, nascevano due future stelle della corsa in montagna: Martin e Bernard Dematteis. Il passato e il futuro della disciplina si incontravano sulla cima del Re di Pietra, una montagna simbolo per chi vive questo territorio. Erano anni in cui la corsa in montagna gettava le basi per diventare il fenomeno di massa che è diventato oggi grazie a trail, ultra-trail e skyrace. Dopo il ritiro dalle gare di Dario Viale, i gemelli Dematteis fanno sognare come allora, con uno stile genuino e un grande amore per la loro terra. Il loro feeling con la corsa in montagna nasce nel 1999, a 13 anni, dopo qualche tentativo con il calcio e lo sci di fondo. Nel 1998 vincono i campionati provinciali di corsa campestre, e grazie alla passione della mamma per la corsa iniziano presto ad allenarsi, a gareggiare, a vincere. «Da bambini giocavamo a guardie e ladri, si vedono ancora le basi che avevamo costruito allora, nel bosco, a un chilometro e mezzo di distanza una dall’altra tra prati, burroni e rocce. Eravamo sempre in movimento per gioco, all’aria aperta». 5
Perchè avete continuato con la corsa in montagna? «Probabilmente è una passione che hai quando nasci. In famiglia alleviamo cavalli, e in estate si portano in alpeggio a 2370 metri. A 8 anni si faceva la mirando, la transumanza, in 6 ore di cammino. Per un bambino non è uno scherzo: era come fare un trail a 8 anni. Quindi la passione per la montagna ti entra nel midollo. Per noi correre era tutto: sul sentiero è il massimo, ma anche in pista andava bene. È stato naturale specializzarsi nella corsa in montagna. Ora se dovessimo metterci a correre tutti i giorni in pista non ce la faremmo: qui hai la componente della natura, del paesaggio». La corsa in montagna ha una componente più epica della corsa su strada: c’è l’ascesa verso una meta ideale. «È una fatica diversa, forse faticano quanto noi però è più monotono. Correre sui sentieri, con l’obiettivo di arrivare in punta, o a un rifugio, è anche sfidare la legge di gravità. L’idea della meta, nella vita, è ciò che ti fa andare avanti. La corsa in montagna è la metafora per eccellenza della conquista di una meta. È uno stimolo grande, quando ci alleniamo non ci possiamo accontentare di arrivare a 100 metri dalla cima. Non è necessario dirlo a nessuno, però una volta tornati a casa sappiamo di aver raggiunto il nostro obiettivo. C’è una componente atletico-agonitica e una spirituale». Come vedete gli anni ‘70/80, l’epoca dei pionieri di questa disciplina? «Abbiamo la fortuna di essere nati in un periodo in cui la corsa è molto diffusa. Erano gli anni del 6
dopo boom economico, c’era ancora la concezione del non professionismo alle olimpiadi. Il professionismo vero e proprio è nato dopo. Dario Viale lo racconta nel libro: per la gente, soprattutto nei paesi montani e pedemontani, chi veniva visto correre era considerato come uno che non ha voglia di lavorare. Il nostro allenatore spesso correva di notte per non essere visto». Come vedete il futuro della corsa in montagna? «Oggi la corsa in montagna non è ancora sport olimpico, e questo chiude molte porte. È il confine tra la possibilità di entrare in un corpo sportivo militare, e quindi diventare professionista, e non poterlo fare. L’interesse però è cresciuto moltissimo: le gare di trail e ultra-trail sono sempre di più, gli iscritti aumentano a ogni edizione. Chi vince è riconosciuto come un campione, ci sono sponsor importanti. È una cosa positiva: forse è un bisogno di ritorno al contatto con la natura, all’essenziale del vivere. Discendiamo dalle scimmie, siamo animali anche noi. Forse è anche una fuga da tutta questa tecnologia. Affascina molto, e anche le aziende del settore se ne accorgono. Se c’è tutto questo interesse le cose potrebbero cambiare. Fra qualche anno sicuramente vedremo la corsa in montagna alle Olimpiadi. Forse per noi sarà tardi, ma saremmo comunque orgogliosi di averci creduto quando non era facile». Chi sono i vostri miti sportivi del passato? Martin: «Inizialmente era Marco De Gasperi. All’epoca, quando noi abbiamo iniziato, lui aveva già vinto 5 mondiali di corsa in montagna. Pensavo: “ci 7
arrivassi io a fare un mondiale”. Adesso l’ho conosciuto e siamo amici, non posso più chiamarlo mito. Un mito in sé oggi potrebbe essere la montagna, vista come una specie di divinità. Se ne hai paura e rispetto, quello che ti dà è moltissimo, non ha prezzo». Bernard: «Da piccolo era Massimo Galliano. Nel 2000, un anno dopo il nostro inizio nella corsa, Galliano ha vinto il campionato europeo. Sono cresciuto nel suo mito. La prima volta che sono riuscito a batterlo è passato dal mito all’amico, restando un grandissimo esempio. È bello pensare che magari a tua volta potrai essere considerato un mito; ti responsabilizza perchè vorresti essere un esempio positivo». Dario Viale detiene il record di salita al Monviso, la montagna di casa vostra. Cercherete di batterlo? «Ci piacerebbe molto ma non sappiamo quando e se riusciremo a provarci. Poi riuscirci è un altro discorso. Il Monviso lo sentiamo un po’ come la nostra montagna, essendo nati qui ce l’abbiamo a pochi chilometri in linea d’aria. Abbiamo conosciuto il nome di Dario nel 2002, quando ci hanno regalato il libro dei Guinnes dei Primati. Abbiamo cerchiato il paragrafo che parla di lui sul Monviso. I record sono fatti per essere battuti, prima o poi qualcuno ci riuscirà. Vorremmo essere noi a farlo, chissà quando riusciremo a provarci».
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1978 LA SCINTILLA
Manca poco alla mezzanotte. Ci siamo fatti trasportare da un nostro amico che abita qui, alla frazione Panice Soprana, la stazione sciistica del col di Tenda. Ora ci aspettano sette chilometri a piedi, sia pur in discesa, per ritornare a casa. Come mi sia venuto in mente di concludere la serata in tal modo non lo so, ma questo vano girare la sera per i bar della valle a bere liquori da tempo mi sta stretto e mi insoddisfa profondamente. «A te vengono le idee balorde e noi ti diamo pure retta!» mi dice uno dei due compagni mentre ci incamminiamo verso valle a buon passo «E io ho anche mal di schiena, porc...!» aggiunge. Io invece mi sento bene camminando, mi è sempre piaciuto farlo. Poi questa notte di inizio aprile è relativamente mite, la luna illumina bene il percorso, coadiuvata dalla neve che biancheggia sui monti attorno, non un’auto sulla strada. Non prendo granché parte alla conversazione, sono troppo euforico per conto mio: ho tutto il mondo da scoprire nel mio futuro, penso; una volta raggiunta la maggiore età sarò finalmente libero di andare ben oltre la mia amata, ma angusta valle! L’eccitazione mi fa aumentare il passo e più volte mi ritrovo un bel po’ avanti, per poi fermarmi ad aspettare. Ad un certo punto l’andatura che tengo è così veloce che mi viene spontaneo mettermi a correre: corro con ampie falcate, quasi incredulo di riuscirci così facilmente, senza sforzo. 9
“A la valà tuts gi babi van!” penso sorridendo. Facile scendere a valle, qualunque rospo ci riesce, dice la cruda saggezza popolare limonese! Dopo aver atteso i compagni riprendo a camminare spedito e dinuovo mi viene da passare alla corsa, cosa che mi riesce ancora più spontaneamente della prima volta. Che magnifica sensazione, avrei voglia di continuare, ma devo ovviamente fermarmi ad aspettare ancora. Cerco di camminare, ora, ma quanto mi pesa dopo che le mie gambe han conosciuto il trionfante ritmo della corsa. Abbiamo passato ormai da un pezzo l’antica casa cantoniera di Bragard e il desiderio di correre un altro tratto si fa irresistibile: «Vi aspetto alla Panice» avviso partendo poco prima del tornante che precede la piccola frazione. Qui la strada spiana un po’ ma la mia corsa non ne risente, passo veloce presso le luci della Panice Sottana. Fermarmi ora che ricomincia la discesa? No, mi dispiace troppo, corro ancora un tratto poi mi fermo, del resto non posso certo continuare così, tra un po’ scoppierò certamente, anche se per ora non avverto nessuna fatica. Li aspetto al tornante successivo, mi dico, al Rondò, e intanto mi godo questa inaspettata emozione. Gli scarponcini invernali che indosso ammortizzano bene, la temperatura fresca aiuta a non sudare troppo, e volo verso valle quasi incredulo, seguendo la stella polare in alto sopra la Bisalta. Quando giungo al tourniquet tutto il mio essere si ribella all’idea di fermarmi. Sto troppo bene a correre sotto la luna in questa notte, non voglio ritornare al senso di insoddisfazione di prima, mi fermerò forse al termine dei tornanti, al ponte del Divorzio, forse... 10
Ho trovato quasi per magia quest’andatura che mi pare piuttosto veloce ma che riesco a tenere senza gran sforzo, «certo la discesa aiuta» mi ripeto. Negli stretti tornanti successivi in cui bisogna cambiare continuamente di direzione la velocità pare accentuarsi, mi sembra di essere un fulmine, è l’apoteosi! Che piacere! Via via! Via di corsa da tutte le mille cose in cui fatico nella vita, via dalle parole che non mi escono, via dal mio sentimento di inadeguatezza, via dalle serate sempre uguali a bere intrugli alcolici nei bar dell’alta valle, via da una vita a cui non mi so adattare, via da tutto! Mi torna in mente un racconto letto su un’antologia ai tempi della scuola media in cui il protagonista, un ragazzo di paese, partecipa ad una corsa podistica staccando gli avversari e involandosi verso il traguardo in modo naturale, correndo da solo, totalmente felice. Potrei riuscirci anch’io? Ah, è un sogno soltanto, certo. In realtà il racconto si chiude in modo amaro, l’effimera gloria non gli porta che due righe nascoste tra le pieghe di un giornale nella pagina della provincia e una medaglietta, poi il ritorno nella sua amara quotidianità. Ma che importa, penso io ingenuamente, simili emozioni valgono da sole la pena, senza bisogno di ricompense materiali importanti. Ad un certo punto dovrò rallentare bruscamente la mia corsa? Possibile che io riesca ad arrivare a Limone sempre correndo così spedito? Correre mi ha sempre attratto, è vero, quando si giocava a guardie e ladri o a pallone; una volta poi, piccolissimo, giunsi secondo dietro l’imprendibile Tonino “Meme” in una corsa di classe nell’ora di educazione fisica, il 11
primo anno delle medie, lo ricordo bene. Confusamente in me c’è sempre stato il pensiero che un giorno avrei corso, e questo momento che sto vivendo sembra confermarlo. Giunto al ponte mi rendo conto che non ho più alcuna intenzione di fermarmi ad attendere gli amici, e continuo con la stessa andatura, sempre più stupito di non fermarmi sfiatato accanto ad un paracarro. Adesso mi sto avvicinando a Limone, spero solo che non mi veda nessuno; ormai sono certo di avercela fatta, affronto un tratto in piazza accelerando ancora, poi per i vicoli raggiungo casa, felice, inebriato. Non mi sento stanco neppur dopo la volata finale, è proprio una notte di grazia. Confusamente, mi accorgo che stanotte è scoccata una scintilla, non so in che modo, non so quando, né come, ma questo gesto diventerà importantissimo nella mia vita. Lo pensavo da tempo, ma ora ne ho davvero presa coscienza. La sera appresso, dopo la giornata di lavoro agli impianti da sci, mi prendo una giusta lavata di capo da uno dei compagni «Bel tipo che sei, non si piantano in asso gli amici così!». Ha ragione ma il fatto è che si è trattato di una forza irresistile, un impulso folle a cui non ho saputo resistere. Ho le gambe lievemente indolenzite, nulla di più, e persiste la senzazione di benessere, del sentimento benefico della scoperta: mi sento più ricco. Correrò molto occasionalmente nei prossimi due anni, a volte a distanza di mesi, ma grande è la consolazione che questo nuovo sogno esiste, questa nuova possibilità sia lì e mi attenda: il seme è gettato. 12
LIMONE-VENTIMIGLIA
L’estate del 1980 è quasi al termine: ora o mai più! Da alcune sere controllo il percorso del mio progetto sulla cartina “Alpi Liguri e Marittime” di mio fratello Toni. In realtà ne visiono una parte soltanto, sin dove arriva la mappa e cioè un po’ dopo il paese di Fontan, nella francese valle Roia. Il sogno è di arrivare di corsa dal mio paese, Limone, al mare. Il resto del tragitto lo cerco su una carta stradale di Francia 1:800.000, dunque non ne ho una idea così precisa. Ovviamente il tunnel stradale non è transitabile a piedi, e allora tocca valicare il colle alto, a 1871 metri di quota. Quanti sono i chilometri? Mah, non ho trovato dati precisi anche perché la strada dal versante francese è interrotta da tempo da una frana, dunque nessuno l’ha più percorsa con contachilometri in azione. Più o meno ottanta comunque. Dall’inizio dell’estate corro con buona regolarità ed ho acquisito un discreto allenamento, così mi pare almeno. Ce la potrò fare? La parte più dura è all’inizio, la quindicina di chilometri che da casa conducono al colle di Tenda, con quasi novecento metri di dislivello. Il resto in fondo è una discesa, sia pur eterna, sino a Ventimiglia. Almeno questo è il mio ingenuo pensiero. Quasi ogni sera percorro una dozzina di chilometri: dalla stazione turistica 13
del col di Tenda, dove lavoro come manovale in un cantiere edile, sino al valico e ritorno. Dunque un tratto di percorso lo conosco a memoria. Conosco bene la soffocante polvere di questa strada bianca quando passan le auto, per fortuna rare in settimana, la domenica è quasi impraticabile per un pedone, un nuvolone perpetuo, ma io conto di partire all’alba, quando il traffico è ancora assente. Mi arrovello sui possibili effetti della stanchezza sul mio fisico. Ho corso un paio di volte la domenica circa venti, venticinque chilometri sulle ex strade militari del colle, eccedendo in velocità e quindi arrivando piuttosto provato. L’allenamento clou è stata la salita alla vetta massima della mia valle, la Rocca dell’Abisso, raggiunta tramite strade ed ex rotabili militari sin oltre forte Giaura. Da qui in poi non rimangono che erti sentieri e pur salendo ad un passo molto sostenuto non sono riuscito a correre. Un po’ mi è dispiaciuto, ma intuisco pure che forse è solo questione di andature adatte, su certe pendenze occorre rallentare. Dalla cima osservo la prima parte del mio progetto, vedo i numerosissimi tornanti del versante francese e poi le contorte pieghe orografiche della valle Roia che attraverso vertiginose gole e dirupi conducono al mare, visibile nella limpidezza trionfante di questa magnifica giornata piena di promesse. Confido ad un giovane escursionista sconosciuto il mio progetto sportivo. Sarà l’unica eccezione, non ne farò parola con chicchesia. E se poi non avessi la grinta e la forza per farlo? Avrei parlato inutilmente a vanvera come un volgare fanfarone, non sono affatto sicuro circa le mie qualità atletiche. Le cose è meglio farle e poi eventualmente divulgarle se fa pia14
cere, mi vien da pensare. Del resto non conosco nessuno che abbia corso così a lungo, meglio andarci cauti. Sarà una grande avventura. Infine in caso di fallimento potrei sempre mollare e prendere il treno da una delle stazioni dei paesi intermedi. Certo sarebbe una sconfitta, inutile negarlo. Questa lunga corsa nel mio animo ingenuo e romantico ha assunto l’aspetto di un evento catartico, trasfigurante. Mentre riprendo a scendere di corsa dalla Rocca verso Limone, la fiducia aumenta: facile correre in discesa, e dal colle in poi tutto sarà agevolato dalla pendenza favorevole. Devo controllarmi all’inizio, penso, salire lentamente per conservare energie preziose in seguito. E poi, a ben pensarci, dopo il mio allenamento serale di dieci-dodici chilometri sarei ben in grado di continuare. Si tratta solo di sovrapporre le sedute, penso: dopo dieci chilometri comincio un’altra tappa simile. E dopo dieci chilometri ne ricomincio un’altra, e poi un’altra ancora, e così via. Si tratta solo di incollarne sei o sette, mi dico. Anche se, in alcuni momenti ho la sensazione che la mia analisi pecchi di faciloneria, o almeno di ottimismo esagerato. Inutile preoccuparsi troppo: se ho fatto qualche errore di valutazione, lo constaterò a tempo debito sul campo. E sono pronto a partire dunque. Maglietta mezze maniche in cotone, calzoncini, scarpe. Poi un piccolo marsupio in cui metto poche migliaia di lire per il biglietto di ritorno in treno e ovviamente la carta d’identità per passare i controlli alle dogane. Non si può certo dire ch’io abbia del peso superfluo! 15