Via A. Giacomini, 26 50132 Firenze Tel. 055 0515943 Fax 055 5047277 Isbn 978-888-9473436 € 19,00
Dio_negro_cover.indd 1
ANTROPOLOGIA
Bruno Barba Dio negro, mondo meticcio
Bruno Barba è Ricercatore di Antropologia del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Genova. Da più di vent’anni studia il meticciato culturale e il sincretismo religioso: in particolare l’analisi delle dinamiche di incontro e sintesi tra popoli, culture e religioni avvenute in Brasile. Si è dedicato allo studio della religione afrobrasiliana del candomblé e dei suoi rituali, simbologie, adattamenti. Altre sue aree di ricerca sono il calcio, e lo sport in generale, come strumento di lettura della società complessa in cui viviamo; il relativismo culturale come corrente antropologica, come atteggiamento, come “postura” metodologica; la città, come laboratorio di esperienze, progetti, visioni partecipate. Tra le sue pubblicazioni, Bahia, la Roma Negra di Jorge Amado, (Le Città Letterarie, Unicopli, Milano, 2004); B.I do Exu e Pombagira, (apenas livros, Lisboa, 2006); Un antropologo nel pallone, (Meltemi, Roma, 2007); Tutto è relativo. La prospettiva in Antropologia (Seid, Firenze, 2008); La voce degli dei. Il Brasile, il candomblé e la sua magia (Cisu, Roma, 2010).
Bruno Barba
Dio negro, mondo meticcio ANTROPOLOGIA
Per il Brasile il marchio “negro” africano è un segno forte, che “colora” culti religiosi, manifestazioni artistiche, folclore e musica; determina “posture” fisiche e ideologiche, alimenta l’idea, bellissima e sconvolgente, della democrazia e del meticciato, appiccando il fuoco della speranza per gli umili e gli ultimi. Sono stati gli orixás, le divinità del sincretismo religioso, a proporre per primi la dinamica dell’incontro. Dinamica che è un aspetto peculiare del Brasile, ma che mostra, a chi saprà coglierla, una via inedita e rivoluzionaria per le sorti del nostro pianeta. Il meticciato, ovvero l’unione di opposti, reinterpretati e “rivissuti”, si propone quindi come l’antidoto più efficace contro ogni forma di razzismo ed esclusione.
Sesso, senso, natura tra Africa e Brasile
10/10/2013 16.09.08
Bruno Barba
Dio negro, mondo meticcio Sesso, senso, natura tra Africa e Brasile
© Copyright Seid Editori 2013 Via Antonio Giacomini, 26 – 50132 Firenze e-mail: info@seideditori.it Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre, archiviare in un sistema di riproduzione o trasmettere in qualsiasi forma o qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per fotocopia, registrazione o altro, qualsiasi parte di questa pubblicazione senza l’autorizzazione scritta dell’editore. È obbligatoria la citazione della fonte. Composizione: www.ilionltd.com
COLLANA DI ANTROPOLOGIA CULTURALE
Il corpo dei simboli. Nodi teorici e politici di un dibattito sulle mutilazioni genitali femminili Mila Busoni – Elena Laurenzi Antropologia. Pratica della Teoria nella Cultura e nella società Michael Herzfeld Vivere l’etnografia Francesca Cappelletto Comparativa/mente Pietro Clemente – Cristiano Grottanelli Alle radici dell’Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Mediterraneo occidentale. Volume I: secoli XV-XVII Felice Gambin Tutto è relativo. La prospettiva in Antropologia Bruno Barba Alle radici dell’Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Mediterraneo occidentale. Volume II: secoli XVII - XIX Felice Gambin “Umano troppo umano”. Riflessioni sull’opposizione natura/cultura in Antropologia Alessandro Lutri – Alberto Acerbi - Sabrina Tonutti Storie dell’Antropologia. Percorsi britannici, tedeschi, francesi e americani Fredrik Barth – Andre Gingrich – Robert Parkin – Sydel Silverman A scuola. Tra antropologia e educazione Leonardo Piasere Alle radici dell’Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Mediterraneo occidentale. Volume III: secoli XIX -XXI Felice Gambin Antropologia Italiana. Storia e storiografia 1869-1975 Enzo Vinicio Alliegro Diritti umani e Diversità culturale. Percorsi internazionali di un dibattito incandescente Giorgia Decarli Scenari dell’antiziganismo. Tra Europa e Italia, tra antropologia e politica Leonardo Piasere Storia dell’Antropologia cinese Hu Hongbao - Wang Jianmin - Zhang Haiyang
Sommario
Prefazione di Reginaldo Prandi......................................................9 Premessa......................................................................................13 Dall’Africa al Nuovo Mondo. Gli dei che raccontano il Brasile: qualche riflessione metodologica..............................................19 Come nasce una religione, come nasce un popolo...................20 La “ricreazione” africana..........................................................28 Il candomblé: “buono da pensare”............................................31 Perdersi e ritrovarsi..................................................................35 La storia: un mondo mistico che affascina...............................41 La trance, la paura, la scelta.....................................................43 L’axé in movimento ................................................................46 Tutto è divino, il divino è dappertutto.....................................49 Tale padre, tale figlio ..............................................................50 Il terzo millennio e gli dei senza tempo...................................54 Vivere il candomblé..................................................................63 Verger e Bastide, la storia di un’amicizia..................................67 5
Dio negro, mondo meticcio
Exu. La comunicazione e l’inquietudine......................................71 Exu l’africano..........................................................................74 Tradurre l’intraducibile...........................................................76 Mito e passione........................................................................80 Il Brasile ingannatore...............................................................85 Exu l’americano.......................................................................89 Essere figlio di Exu..................................................................91 Exu e il sesso ...........................................................................92 Exu, il padre nascosto del Brasile.............................................97 Ogum. La forza e il coraggio...................................................... 101 Ogum l’africano.....................................................................102 Il dio guerriero......................................................................105 Ogum il brasiliano.................................................................107 Iemanjá. La madre delle acque e delle genti............................... 111 Iemanjá l’africana ................................................................. 112 Iemanjá in Brasile.................................................................. 114 Il sesso. Il peccato e la poesia..................................................... 119 Pensare, e parlare, differente..................................................121 I sensi neri.............................................................................127 Dal corpo all’atto..................................................................130 Dalla piantagione a Foucault ................................................137 Dal terreiro… .......................................................................144 … Alla spiaggia (parentesi bianca, anzi morena).................... 156 Ipanema, il paradiso ritrovato................................................ 158 Pelle nera, carne bianca. Corpi e corpolatrie.............................. 167 Pensieri e parole (e odori)....................................................... 173
6
Sommario
I sensi e il grande inganno.....................................................180 Un occhio sul mondo............................................................ 183 Un tocco di classe.................................................................. 185 Il suono degli dei...................................................................189 Il corpo di una nazione .........................................................190 La scena madre dell’incontro.................................................196 Sperma, sudore, lacrime.........................................................204 Gilberto Freyre, un dolce mistificatore?................................. 210 Erotismo negro...................................................................... 214 L’eredità indigena................................................................... 217 La linea del colore. Razzismi e dannazioni................................221 Performance e resistenza........................................................226 Parentesi sportiva: discutendo di un tabù..............................230 Potenza nera..........................................................................235 Il nero e il suo destino bianco................................................243 La dannazione degli ultimi....................................................258 La nuova era meticcia. Il futuro dell’uomo sincretico................267 Mondo meticcio....................................................................273 Dalla tristezza all’allegria.......................................................277 Il mulatto si afferma..............................................................284 Orfeu negro: l’olimpo ai tropici ............................................288 La soluzione è il meticciato?...................................................296 Un concetto da rivalutare......................................................300 “Tupy or not tupy, that is the question”.................................304 Arte, grattacieli e paradossi....................................................307 Il nostro meticciato ............................................................... 311 Una riflessione: Brasile e Italia paesi del futuro?..................... 315
7
Dio negro, mondo meticcio
Glossario. IdentitĂ , razza, transculturazione: vocabolario di un mondo in movimento ......................................................325 Un dizionario minimo di termini afro-brasiliani...................... 335 Bibliografia................................................................................339 Riviste...................................................................................350
8
PREFAZIONE Reginaldo Prandi1
Sulla nuda terra del terreiro di candomblé, il tempio tradizionale degli dei neri e africani del Brasile, piedi scalzi danzano nel cuore della notte, piedi di sacerdotesse, che il miracolo della fede trasforma in piedi delle divinità stesse. Dal pavimento in terra si solleva la polvere che sporca questi piedi e minaccia di macchiare le vesti ricamate, di cotone puro, bianchissime e stirate con pazienza e puntiglio, così come amano gli dei. Senza paura di sporcare la veste candida, la filha de santo, la sacerdotessa, si prostra sul pavimento, in segno di rispetto verso gli orixás, in un’offerta di bianco immacolato. La filha de santo è vestita come la sinhazinha, la bianca signora padrona degli schiavi del XIX secolo, quando il candomblé si formò a Bahia: tessuto ricamato, gonna lunga e ampia; fasce strette e lacci fluttuanti che modellano la carne del voluminoso busto. Un turbante le copre la testa, ricordo africano, come africani sono le sue collane di perline e i braccialetti, innumerevoli e multicolori, di porcellana, vetro, terracotta, conchiglie, fibre vegetali, oro e argento.
1
Reginaldo Prandi, sociologo e scrittore, è autore di più 30 libri, tra opere di Sociologia, mitologia, letteratura per l’infanzia e fiction.
9
Dio negro, mondo meticcio
Collane di perline importate dall’Europa per testimoniare la presenza dell’Africa nel collo e nei polsi brasiliani... mescolanza, sempre mescolanza, persino nel corpo della filha de santo, che danza per trasformarsi nel suo orixá, il suo dio, la sua origine, il suo marchio. Essere africano per essere brasiliano, o brasiliano perché africano, come un sentimento, nella maggior parte dei casi nascosto, mascherato, da rifiutare o di cui avere vergogna. Dovunque vadano, in qualunque parte del mondo, i brasiliani si riconoscono tra di loro, anche senza udire la voce traditrice della lingua, anche senza sapere chi si ha davanti, né come si chiama, e neppure dov’è nato. Senza nemmeno essere stati presentati. Basta osservare l’andatura, basta il movimento, l’espressione corporale. Il brasiliano tem ginga. Quando passa non può nascondere che la cultura negra ha plasmato il suo modo di camminare. La maggior parte dei brasiliani non è consapevole di questa eredità, e neppure amerebbe scoprirla, e se ne fosse consapevole, negherebbe che tutti i brasiliani di ogni origine e colore si “agitano” come i negri trasportati qui dall’altra parte dell’oceano. Il Brasile è un paese bianco e nero, ufficialmente bianco, culturalmente meticcio. Ogni aspetto della cultura possiede un marchio africano: la musica, il teatro, il cinema, la televisione, il carnevale, la letteratura, la culinaria, l’estetica. Le religioni sono molte: candomblé, umbanda, tambor de mina, batuque. È qui che vivono, sincretizzati o no con i santi cattolici, gli orixás, i voduns e gli inquices che, oggi quasi dimenticati nei loro paesi d’origine, danzano in tutto il territorio brasiliano, e, in più, si diffondono in altre terre d’America. Sì, gli dei africani scendono sulla terra per danzare, perché danzare è la cosa migliore che gli umani possono fare per glorificare gli dei, oltre che dividere con loro cibo e bevande. E gli dei, a mo’ di risarcimento, allegri e riconoscenti, danzano insieme agli umani. Questa è religione? Qualcuno dice che questo è carnevale. Ed è lo stesso, perché una cosa non esclude l’altra, è poi così difficile da capire? Vediamo cosa dice Bruno Barba in merito. Lui conosce bene questi argomenti, meglio della maggior parte dei brasiliani, che “sentono” nell’intimità, ma non ne hanno coscienza. Bruno Barba ha coscienza e “sente”. Quasi un brasiliano? Più di un brasiliano? Chissà. Lui sa che i bianchi hanno smesso di essere, negli ultimi anni, l’elemento maggioritario della popolazione. 10
Prefazione
Nel censimento del 2010, il 47,5% dei brasiliani si è dichiarato bianco, il 7,5% nero, il 43,4% pardo (meticcio), l’1,1% giallo, lo 0,4% indigeno. Il termine pardo viene usato per designare i meticci di origine bianca e negra. Sommati a coloro che si proclamano “di colore nero”, rappresentano oggi la maggioranza con il 50,9%, e vengono chiamati negri o afro-discendenti. La loro crescita, o meglio la crescita certificata dall’autodichiarazione nel censimento, non è una semplice questione demografica, ma soprattutto sociale. Significa principalmente l’aumento dell’autostima del negro brasiliano, risultato – tra le altre cause – di politiche pubbliche di “azione affermativa”, come ad esempio la recente istituzione di quote riservate agli afro-discendenti nelle università e l’obbligo dell’insegnamento della cultura tradizionale africana in tutte le scuole del paese. E la crescita è anche culturale. Fin dagli anni Sessanta, il Brasile ha visto sorgere negli ambienti artistici e intellettuali un forte movimento di rivalutazione della cultura negra, con l’assimilazione di molti elementi preservati da un secolo nei terreiros di candomblé e in altre manifestazioni della tradizione negra. Non a caso il poeta e compositore Vinícius de Moraes, diplomatico, figlio dell’élite bianca, maggiore stella di questo movimento, si definiva o branco mais negro da Bahia, “il bianco più nero di Bahia”. Così come il romanziere Jorge Amado affermava che, prima di essere uno scrittore, era un ogã, ovvero un notabile, una sorta di “ministro” del candomblé. E fu il Brasile stesso ad apprendere, ogni giorno di più, di essere negro, e ad accettare questo fatto. Non senza, tuttavia, doversi confrontare, in ogni momento e in ogni luogo, con le terribili barriere, gli assurdi attentati del pregiudizio razziale, che avrebbe voluto ripulire il Brasile da tutto ciò che era di origine africana. Pregiudizio che in Brasile assume una delle forme più perverse, in quanto è capace di agire mascherato, camuffato, coperto sotto la definizione, falsa, di “democrazia razziale”. È di questo Brasile che ci parla Dio negro, mondo meticcio di Bruno Barba. Per mostrarci cosa significa essere brasiliano, cioè essere portatore di un’eredità che riguarda la pelle, il sentimento, l’eccitazione, il sesso, la parola, il credo. E certo, anche la maneira di camminare. Tra i brasiliani, quelli consapevoli di questa origine culturale africana, sono soliti prestare attenzione agli dei. Si crede che ognuno 11
Dio negro, mondo meticcio
di noi abbia origine da un determinato orixá, orixá che è divinità e natura allo stesso tempo, in un grande trionfo della diversità. Si crede anche che ogni persona si comporti come il proprio antenato mitico, il cui modo d’essere arriva fino a noi attraverso un vastissimo corpus mitologico, che contiene innumerevoli riferimenti alla produzione culturale, popolare oppure erudita. Gli orixás venerati in Brasile sono circa una ventina: specchi numerosi e diversificati per soddisfare l’ego di ognuno. Quel che si coglie nell’orixá, tuttavia, non è semplicemente l’uomo o la donna dal quale si discende miticamente, ma la stessa cultura brasiliana, lo stesso paese in quanto insieme coerente. Bruno Barba ha scelto tre di loro – Exu, il movimento, Ogum, la forza, e Iemanjá, la madre africana del Brasile – e li fa parlare, usando il suo arsenale teorico di antropologo competente e vissuto. Il suo lavoro illustra come si fabbrica un paese, una gente, un mondo. L’autore arriva dove molti brasiliani non sono arrivati: aiuta il Brasile a conoscersi meglio e ad amarsi di più. Aiuta il mondo a conoscere questa gente meticcia che ama danzare, che folleggia nel carnevale pensando che questa non sia follia, che si immagina come se fosse essa stessa divinità di pelle umana. Ma che, nonostante questo, quer ser gente como qualquer outra gente “vuole essere considerata un popolo come tutti gli altri”. Si può dire che Dio negro, mondo meticcio sia un libro indispensabile, e gradevole a leggersi. Un veicolo ingegnoso e ricco, adeguato a portarci fino al luogo della tradizione che si riproduce in un mondo moderno in costante trasformazione; da qui nasce la comprensione del senso di questa modernità, sì, perché il Brasile non può esistere al di fuori della modernità. Di Bruno Barba si può dire che ha capito perfettamente cos’è il Brasile. Si è conquistato il diritto a sfilare per le vie del Carnevale di Salvador, addirittura indossando le vesti dell’afoxé Filhos de Gandhy, e senza sentirsi uno straniero.
12
PREMESSA
È dall’Africa che viene quel suono assordante di tamburi che ravviva
e impaurisce le notti di festa a Rio, a San Paolo, a Salvador. Viene dall’Africa l’afrore, il profumo di quei corpi seminudi e sudati che si contendono, affamati di fede, l’attenzione degli dei. Dall’Africa viene questo Brasile post-moderno, che oggi è anche ricco, ma che è sempre stato vivo, coinvolgente, diverso. Trasportato dal chiarore delle stelle, arriva dal continente dei neri il seme della contaminazione più pura, quello dello sperma. Seme che modifica, inquina, contamina, sfregia, sporca ogni sensazione, ogni sentimento, ogni illusione di purezza. Altro che “imbiancamento”, altro che progetto di pulizia, del gene e della tradizione. Pelle olivastra, camicie di una taglia più grande, cappellacci di paglia, piedi neri, e nudi, e sporchi, piantati sulla terra polverosa, rossa, calda quasi come quella d’Africa: il Brasile è stato fondato così, negli immensi engenhos per la raccolta della canna da zucchero, dove elegantoni, malinconici e lascivi portoghesi si univano spudoratamente alle schiave negre. Belle, altere, dalla pelle liscia e dagli occhi grandi. Vicini, schiave e padroni. Un coito, tanti coiti hanno fondato il Brasile, la sua cultura, la sua anima. Anche stupri, certamente. Qualche relazione romantica, forse. Ma è stato più, molto di più, un fatto di pelle, di senso, di sesso. Di emozioni. 13
Dio negro, mondo meticcio
Dio è negro perché, cristiano o feticista che fosse (che sia?), qui, in queste assolate plaghe brasiliane, che tanto assomigliano a quelle dell’Africa, ha deciso che fosse il sesso a salvare gli africani. Che l’ottimismo dello spirito, dell’emotività e della speranza prevalessero sulla ragione pessimista. Per il nostro Dio amare è conoscere, per il Dio negro – che è lo stesso Dio, c’è ne uno, è la percezione degli uomini che lo fa sembrare diverso – amare è perpetuarsi, riprodurre la forza vitale che scorre dentro e fuori dalla cose e dalle persone. Dio è procreare. Quel Dio ha permesso, anzi ha voluto, che si cercasse il calore della vita, piuttosto che il nulla. Partecipazione, unione, comunità, i concetti africani portati nel Nuovo Mondo. Risultato: il kitsch tropicale e meticcio, impossibile da spiegare, ma amabile, forte e saporito se assaggiato con i sensi. Persino armonico, pur nella sua costituzione barocca e ridondante. Biologia e cultura, legate indissolubilmente. Per le strade, le piazze, i mercati. Uomini e pensieri meticci, a spasso nella modernità. Eppure le vie brulicanti di San Paolo, Rio, Bahia rimandano alla visione – tutt’altro che immobile, ma arcaica – del mercato africano, il luogo da dove tutto nasce, e che metaforicamente illustra cos’è davvero l’Africa. Vista, olfatto, udito fanno a gara per segnalarci odori, profumi, posizioni, provenienze, sessi differenti. Sollecitati tutti i sensi, colorati, eccitati, frastornati da questo tripudio. Si cammina, si osserva, “si sente”, tutto si fa, ogni azione si compie “sopra le righe”. Sorprende la contraddizione: loro, gli africani, naturali, disinvolti, sorridenti. A casa loro, davvero a casa. Noi, occidentali, tesi, circospetti, curiosi, troppo curiosi. Non si attraversa un mercato africano distratti, malinconici, maldisposti. Non si può fare. Questa Africa farebbe senso, forse schifo, provocherebbe orrore, paura. Ad Abomey come a Lagos, a Dakar come a Luanda, un mercato africano è il microcosmo attraverso il quale l’uomo può osservare come, quando e in quanto noi e loro ci sentiamo diversi, vogliamo apparire diversi, andiamo fieri di questa diversità supposta, artefatta, pretestuosa. Culturale, certo, e non naturale, come troppo spesso abbiamo voluto credere. Semmai i sorrisi che ci scambiano, quelli sì, sono naturali. Il mercato è il contrario della guerra, il luogo dove le etnie che si incontrano si confondono e si rendono conto della loro complemen14
Premessa
tarietà in ordine economico. D’altra parte “separa” i membri della famiglia. L’uomo produce e crea valore, sedentario, saggio, esperto, affidabile; la donna vende, mobile (“la donna è mobile”, anche in Africa?), così favorendo la rete tradizionale dei 4 mercati, soprattutto sviluppa i lombi, la cosce, “il culo”, la bunda brasiliana. Sì, meglio che la parola che definisce questo universo di significati sia femminile. Il mercato diventa così, anche (soprattutto) il luogo della bellezza, delle sfilate della bellezza. Il mercato, anche per questo, è il luogo pubblico per eccellenza, meglio è il luogo di “pubblicazione”, è il momento del passaggio dal privato, dal segreto, dal celato, al pubblico, all’ostentato, al condiviso. Il luogo dove l’Africa si svela e promette quel che sarà in America, quel che sarà, in un futuro prossimo, il mondo intero. Viene in mente l’incedere regale di quelle donne africane così simili, loro nere, lei bianchissima, a quella della garota più famosa del mondo, Heloisa Pinheiro, “La ragazza di Ipanema” celebrata dal poeta Vinicius de Moraes, “il bianco più nero di Bahia”. E che c’entrano gli dei, in tutto questo? Che c’entra il piano spirituale se si parla di senso, di sesso, di passioni? C’entra eccome, perché le divinità africane che gli schiavi africani si sono portate appresso e addosso nel Nuovo Mondo sono umanissime, volubili e forti, irose e pacate, materne e infantili. Proteggono, ma prima ancora amano e odiano. Nel candomblé, nell’umbanda, nel tambor de mina, nella macumba e in tutte quelle religioni accumunabili nella generica definizione di “culti afro-brasiliani”, l’uomo si rispecchia, si ispira, si identifica con gli dei. Entità che durante i riti scendono a “cavalcarlo”, che esigono devozione, attenzioni, offerte, ma che regalano forza, fiducia, convinzione. L’uomo brasiliano, rispecchiandosi in queste divinità di origine africana che hanno difetti, qualità e sembianze umane, definisce la propria personalità. La partecipazione a questi culti rappresenta per la comunità afro, ovvero per i negri e mulatti, la possibilità di ritrovare orgoglio e passioni che sembravano sopite, se non perdute per sempre. All’interno del terreiro, il luogo del culto, si osserva un microcosmo straordinariamente interessante: per la rete di relazioni che si creano, per l’analisi del rapporto sacerdote-adepti, per le differenze nel modo di comportarsi tra ricchi e poveri, uomini e donne, etero e omosessuali. 15
Dio negro, mondo meticcio
Ecco che corpo, sangue, cultura, percezione, fede, diventano valori e fattori che determinano differenze, adesioni, partecipazioni. Ecco che evidenziare alcune figure di orixás, (Exu, Ogum, Iemanjá), come è stato fatto in questo testo, non vuole certo rappresentare un atto di forza, prevaricazione o troppo disinvolta interpretazione: come sa chiunque si accosti, anche solo marginalmente al fenomeno candomblé, e impara fin da subito che non esistono divinità di serie A e di serie B, entità più importanti di altre. Ma più marcanti, caratterizzanti e significative, per quella che è la storia culturale, l’identità etnica, la prospettiva di auto percezione, quello, sì. Se Ruth Benedict nella sua analisi, finalizzata in Modelli di cultura, si fosse accostata anche al Brasile negro, mulatto, meticcio, avrebbe potuto scoprire come questo paese si riconosca non tanto e non solo nel suo Dioniso, dio dell’ebbrezza e della sregolatezza, ma anche, se non soprattutto, nella sfrontatezza di Exu; nella sensualità virile, fisica, africana di Ogum e nella sua curiosità (che è sete di sapere, di scoprire, di esplorare frontiere dinamiche e sincretiche); nella bontà sterminata, protettrice, carinhosa, affettuosa di Iemanjà, la grande madre (la matrona negra, la tata, la balia…). Allora sta a noi, che ci sentiamo moderni, al passo con i tempi, fortunati nel poter conoscere il mondo, le culture del mondo, gli uomini del mondo, individuare quali tracce il passato – anche mitico – ci abbia lasciato. Per credere nel futuro è necessario riscoprire i valori antichi. E il principale di questi valori, a parer mio, è la capacità, anzi la tentazione, di dialogare. Le culture crescono, fioriscono, acquistano continuamente valore soltanto mescolandosi, contaminandosi, unendosi e parlandosi. Scambiandosi doni: la pelle, il sangue, le conoscenze. Di meticciato si parla da poco e con troppa fatica, e con immenso sospetto. Eppure, basterebbe pensarci un po’: è questa la legge più antica e diffusa nella storia dell’umanità. Quella che ha avuto più successo.
16
Premessa
Nota Per non appesantire ulteriormente il testo, alla fine del volume è stato inserito un glossario di termini che, se usati disinvoltamente e non contestualizzati, si potrebbero prestare a interpretazioni fuorvianti o pericolose. Ogni parola, ogni aggettivo, ogni espressione ha il proprio contesto, la propria storia, la propria “geografia”. Parole quali “negro”, “razza” o “meticcio” possono suonare offensive, sconvenienti, vietate dal politically correct oppure persino soavi e commoventi a chi le pronuncia e a chi le ascolta. Ognuno, scorrendo le righe di questo scritto, potrà farsi la propria idea, rimandando alla fine di questa lettura la riflessione definitiva sull’uso, proprio o improprio, di questi termini.
17