Tornare a scuola

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VALENTINA MORO

CHIARA RODOLFI

TORNARE A SCUOLA DOPO UNA GRAVE CEREBROLESIONE


Š Copyright SEID Editori 2012 Via Antonio Giacomini, 26 - 50132 Firenze email: info@seideditori.it I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le fotocopie fotostatiche) sono riservati. Prima edizione digitale 2013 Isbn 9788889473597


INDICE

Prefazione di Renato Avesani

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Introduzione

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PARTE PRIMA I PRINCIPI FONDAMENTALI DI UNA RIABILITAZIONE EDUCATIVA 1

Le basi neurofisiologiche dei processi riabilitativi ed educativi: il contributo delle neuroscienze 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6

La nascita di un concetto: la plasticità cerebrale Dalle sinapsi alle mappe corticali: due livelli di plasticità cerebrale Gli studi sulla plasticità cerebrale nell’uomo Le forme di plasticità cerebrale dopo lesione Contro il danno cerebrale: la “riserva cognitiva” La plasticità cerebrale e i meccanismi di recupero dopo Gravi Cerebrolesioni Acquisite 1.7 La plasticità cerebrale tra geni e cultura: la corticogenesi culturale 1.8 L’educazione come processo di “riciclaggio neuronale” 1.9 La plasticità cerebrale: una responsabilità 1.10 Neuroscienze ed educazione 1.11 I rapporti tra scienze cognitive, neurobiologia e pedagogia: le radici storiche 1.12 Un ponte tra le neuroscienze e l’educazione

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PARTE SECONDA RIPRENDERE GLI IMPEGNI QUOTIDIANI: LA SCUOLA 2

Il ritorno a scuola dopo Gravi Cerebrolesioni Acquisite

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2.1 Le fasi temporali del recupero dopo Grave Cerebrolesione Acquisita 2.2 Dall’ospedale alla scuola: una transizione complessa 2.3 Le conseguenze di Gravi Cerebrolesioni Acquisite nella vita di uno studente 2.3.1 I disordini senso-motori e sensoriali 2.3.2 I deficit cognitivi e neuropsicologici 2.3.3 I disturbi psico-sociali e comportamentali 2.4 Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite: una categoria di disabilità 2.4.1 Le peculiarità delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite 2.5 Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite e il rendimento scolastico 2.5.1 I fattori predittivi di successo e insuccesso scolastico 2.5.2 Gravi Cerebrolesioni Acquisite e prestazioni scolastiche: le ricerche 2.6 La famiglia, le Gravi Cerebrolesioni Acquisite e la scuola 2.6.1 La famiglia: partner e utente 2.7 Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite: il ruolo dell’educatore 2.7.1 L’educatore e la famiglia 2.7.2 L’educatore e il lavoro in équipe 2.8 Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite e i servizi di educazione speciale: il modello statunitense

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Indice

Il reinserimento scolastico dopo Gravi Cerebrolesioni Acquisite in Italia 3.1 Il quadro normativo di riferimento 3.2 Integrazione scolastica degli studenti con disabilità: il percorso da intraprendere 3.2.1 L’individuazione dell’alunno in situazione di handicap 3.2.2 La formulazione della Diagnosi Funzionale 3.2.3 La stesura del Profilo Dinamico Funzionale 3.2.4 L’elaborazione del Piano Educativo Individualizzato 3.2.5 L’organizzazione delle verifiche 3.3 Il ruolo del docente di sostegno 3.4 La valutazione individualizzata 3.5 I Gruppi di Lavoro per l’Integrazione Scolastica 3.6 I servizi di educazione speciale sul territorio

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PARTE TERZA UN INTERVENTO EDUCATIVO NELLA RIABILITAZIONE COGNITIVA 4

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L’approccio metacognitivo: un’impostazione educativo-riabilitativa per il recupero delle funzioni cognitive 4.1 Elementi costitutivi della metacognizione 4.2 Insegnare un metodo di studio 4.2.1 Il metodo di studio: aspetti strategici, metacognitivi e motivazionali 4.2.2 La promozione dello studio strategico dopo Gravi Cerebrolesioni Acquisite 4.3 La metacognizione: le ragioni di una scelta 4.4 La struttura del programma

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Tornare a scuola dopo una Grave Cerebrolesione Acquisita: alcune storie

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5.1 Il caso A. 5.2 Il caso B. 5.3 Il caso C.

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Alcuni aspetti specifici del ritorno allo studio

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6.1 6.2 6.3 6.4

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Il Il Il Il

caso caso caso caso

D.: difficoltà attentive e ritorno a scuola E.: apprendimento e metacognizione F.: metacognizione e ragionamento matematico G.: gli aspetti emotivi e motivazionali dell’apprendimento

Conclusioni

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Bibliografia

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Riferimenti legislativi in Italia

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Siti Internet consultati

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Allegati

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I. Integrazione scolastica degli alunni disabili. La legislazione italiana II. Strumenti di valutazione riabilitativa della persona con Gravi Cerebrolesioni Acquisite III. La valutazione neuropsicologica

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PREFAZIONE

Gli argomenti trattati in questo libro mettono in luce quanta strada sia stata fatta, negli ultimi decenni, nella comprensione dei meccanismi di recupero dopo un danno cerebrale. La riabilitazione dopo un trauma cranico ha avuto, nella sua pur breve storia, alcuni cambiamenti di impostazione che sottendono conoscenze diverse, sensibilità legate al momento storico, possibilità differenti legate a scelte di politica sanitaria e alle disponibilità economiche. Dall’atteggiamento fideistico sulla farmacologia, alla rigida identificazione di luoghi e tempi di recupero, a quello altrettanto monolitico degli interventi “figura-professionale-dipendenti”, si è passati gradualmente ad accettare che il recupero dopo trauma cranico abbia bisogno anche d’altro. Tra i cambiamenti culturalmente più forti, anche se spesso non sufficientemente riconosciuti, si è fatto avanti quello che sostiene la necessità che l’intervento riabilitativo si integri, da un certo momento in poi, con i contesti di vita reale. Di più, si può anche immaginare che rinviare eccessivamente il confronto con la vita di tutti i giorni rischi di appiattire la curva del recupero. Questa integrazione tra componente sanitaria e componente sociale vale in modo particolare quando si tratti di persone giovani e quando siano presenti problemi cognitivi e comportamentali. L’interazione con l’ambiente di vita di prima gioca un ruolo fondamentale nel fornire occasioni di confronto, stimoli cognitivi ed emotivi in grado di contribuire al miglioramento dei disturbi cognitivi attraverso la scoperta implicita o guidata di strategie di apprendimento. Il filo conduttore di questo libro fa intravedere come, attraverso il superamento di quel rapporto esclusivo tra recupero e “luoghi sacri” della riabilitazione e attraverso il coinvolgimento di più figure professionali, la riabilitazione stessa ritrova quella valenza educativa che spesso viene messa in secondo piano per il prevalere della componente sanitaria. La prima parte del libro mette tuttavia in guardia dal rischio di pressappochismo che subdolamente può insinuarsi quando si parla di integrazione tra sociale e sanitario. I capitoli dedicati all’approfondimento dei meccanismi di recupero e ai fondamenti della riabilitazione cognitiva dirimono ogni dubbio in proposito: si respira un’aria di profonda conoscenza dei principi e della pratica riabilitativa che trova la massima espressione nella presentazione dei casi trattati nell’ultima parte del libro. Il pregio di questo libro è, poi, quello di non fornire risposte predeterminate, di non cercare ricette per risolvere i problemi. La storia professionale e scientifica delle autrici emerge via via che si scorrono i capitoli e ci conduce a ricercare tra le pieghe dei vari approcci scientifici la strada del progetto individuale, concependo il recupero come un processo di apprendimento mediato dall’ambiente e dall’incontro con gli altri. Ci si accorge come la valorizzazione di volta in volta di professionalità diverse faccia parte di un unico progetto, contraddistinto da una partitura nella quale ognuno ha spazio per esprimere professionalità e creatività. Di questi due elementi si ha bisogno nel momento di passaggio tra il mondo sanitario della riabilitazione e quello scolastico. È sempre un punto critico che esige quella flessibilità di interventi che sono alla base del successo: modalità diverse di ingresso, tempi di permanenza individuali, sostegno programmato e coordinato tra insegnanti, operatori della salute e famiglia, coinvolgimento educativo della classe, formazione ed informazione puntuale degli insegnanti, integrazione tra compiti terapeutici e compiti educativi. Occorre però ricordare che, a fronte di incertezze e fatiche, l’integrazione scolastica della persona con disabilità, sia essa derivante da trauma cranico o da altre forme di menomazione, rappresenta un momento educativo sociale e di crescita per tutti gli attori, studenti ed insegnanti in primis. A monte di tutto questo, come ben sottolineato nel libro, ci deve essere un’analisi ben condotta dei disturbi cognitivi, che metta in luce, accanto alla diagnosi specifica, quell’individualità del problema che sola può condurre ad un vero processo di recupero. L’individualità della va-


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Prefazione

lutazione ed il saper andar oltre i valori numerici dei test rappresentano due elementi di specificità del buon rieducatore e sono una conditio sine qua non per la buona riuscita del rientro a scuola. Sullo sfondo di molti capitoli del libro si intravede il ruolo fondamentale della famiglia. Le molte domande che assillano i genitori fin dal primo giorno dopo il trauma, si estrinsecano con sfumature diverse, ma non per questo con minor angoscia, nel momento del rientro a scuola. È certo che una famiglia ben informata e partecipe del progetto riabilitativo in tutte le sue fasi, pur non essendo una garanzia di successo, rappresenti una preziosa alleata in questo lungo e difficile cammino. Quando questa unione di intenti non si verifica , vuoi per incomprensioni, per incapacità tecnica o per scarso tempo dedicato al dialogo, si innesca il più delle volte la ricerca di soluzioni le più disparate che non fanno altro, perdendo di vista il filo conduttore del progetto, che allungare i tempi del recupero e del reinserimento. A questo ruolo va aggiunto quello prezioso dei compagni di classe e degli amici. È noto come le difficoltà cognitive, anche se sfumate, ed ancor piu’ quelle comportamentali, siano facilmente sottolineate dai coetanei. Se amici e compagni non vengono adeguatamente compresi nel progetto educativo di reintegro a scuola, educati al rispetto dell’improvvisa diversità, formati ad accettare i limiti ma, al tempo stesso, a contribuire alla possibile crescita cognitiva del ragazzo, quello che potrebbe essere un prezioso elemento di stimolo rischia di diventare motore di emarginazione e sottolineatura della diversità. Al termine del libro sorge nel lettore la sana domanda su come sia possibile, oggi, in un momento storico non favorevole alla elargizione di fondi per l’integrazione sociale e scolastica, e anzi, in presenza di tagli delle figure preposte al sostegno scolastico, realizzare progetti individuali di recupero e reinserimento così raffinati. Credo che la risposta andrebbe suggerita immaginando un ripensamento dell’organizzazione e dei fondi del sistema socio-sanitario, che dovrebbe tenere in più debita considerazione la fase della cronicità. Se è vero, come molti già da tempo sostengono, che il momento più critico di tutto il processo di recupero delle persone con esiti di trauma cranico sia quello della dimissione dall’ospedale (momento nel quale, paradossalmente, le risorse si riducono drasticamente) allora una riflessione che induca a ridistribuire le risorse a favore della cronicità permetterebbe di ottimizzare tutto il lavoro svolto da quanti a vario titolo hanno contribuito al salvataggio prima, e alla rieducazione poi, di queste persone e delle loro famiglie. Renato Avesani Direttore del Dipartimento di Riabilitazione Ospedale Sacro Cuore-Don Calabria Negrar (Verona)


INTRODUZIONE

Secondo una delle definizioni esistenti, la “Grave Cerebrolesione Acquisita” è un Danno cerebrale, dovuto ad un trauma cranio-encefalico o ad altre cause (anossia cerebrale, emorragia/ ischemia cerebrale...), tale da determinare una condizione di coma non inferiore alle 24 ore, e menomazioni sensori-motorie, cognitive o comportamentali permanenti, tali da comportare disabilità. Da questa condizione vengono escluse le situazioni di danno cerebrale congenito o ad insorgenza perinatale, o a carattere degenerativo-progressivo. (Apolone et al., 2007, pp. 33-34)

Di conseguenza, le Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA) si distinguono, in base all’origine eziologica, in GCA di origine traumatica (il grave Trauma Cranio-Encefalico) e non traumatica (il danno vascolare emorragico, ischemico, ipossico-anossico), ma anche in relazione alla durata della perdita di coscienza correlata al danno cerebrale (coma), ai danni funzionali (menomazioni multiple) e agli esiti a distanza (disabilità). Questa definizione comporta in realtà alcune difficoltà tassonomiche che si ripercuotono sulle stime di frequenza e di impatto del fenomeno su una data popolazione. Innanzitutto, la corretta identificazione di GCA richiederebbe la raccolta di informazioni provenienti da fonti diverse (dall’accettazione del Pronto Soccorso ai diversi reparti di ricovero in unità chirurgiche ed ospedaliere specializzate, fino alle strutture di riabilitazione e ai servizi socio-sanitari del territorio). Tali informazioni dovrebbero inoltre raccogliere tutti i dati critici relativi ai periodi specifici del processo di recupero (fase acuta, post-acuta e degli esiti), che sono di fatto di durata assai variabile nel tempo. Infine, per essere comparabili, le notizie dovrebbero derivare dall’applicazione di strumenti di valutazione e di classificazione ampiamente condivisi. Al di là delle difficoltà pratiche ed organizzative, risulta di difficile definizione anche il concetto di “menomazione permanente” che, se facilmente individuabile per i deficit motori e sensoriali, diventa assai più difficile da quantificare per i disturbi cognitivi o per la sintomatologia di tipo comportamentale e relazionale. In Italia, in assenza di programmi (locali, regionali o nazionali) di monitoraggio epidemiologico sistematico delle GCA a lungo termine, le stime di frequenza, sia in termini di incidenza sia di prevalenza, sono attualmente possibili solo tramite un utilizzo combinato di dati tra loro eterogenei per origine (locale, nazionale o internazionale), valore (validità e affidabilità), rappresentatività e generalizzabilità (Apolone et al., 2007). A livello nazionale, alcuni dati utili possono essere ricavati dallo studio prospettico multicentrico GISCAR (Zampolini, 2003)1 che, tuttavia, considera solo i casi seguiti presso centri di riabilitazione (Zampolini e Mazzucchi, 2004). A livello regionale, evidenze interessanti, ma attualmente non ancora utilizzabili, potranno essere desunte dai registri di malattia, quale ad esempio il Registro Regionale Gravi Cerebrolesioni Acquisite, attivato nella regione Emilia-Romagna nel contesto del progetto GRACER2 1 GISCAR è l’acronimo di Gruppo Italiano per lo Studio delle gravi Cerebrolesioni Acquisite e Riabilitazione, il quale ha lo scopo di sviluppare una serie di studi sulla riabilitazione delle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita. 2 GRACER è l’acronimo di Gravi Cerebrolesioni Emilia-Romagna. Il Servizio Sanitario Regionale dell’Emilia-Romagna ha attivato, a partire dall’anno 2001, il progetto GRACER per dare una risposta adeguata al bisogno riabilitativo delle persone con Gravi Cerebrolesioni Acquisite e alle loro famiglie. GRACER è inserito all’interno del modello organizzativo a rete “Hub & Spoke” dedicato alle alte specialità di riabilitazione, che prevede l’individuazione di strutture ospedaliere altamente specializzate (Centri Hub) a cui gli ospedali del territorio (Spoke) possono inviare i pazienti quando le condizioni lo richiedono. Il progetto GRACER è rivolto alle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita che risiedono nel territorio regionale o sono ricoverate in strutture sanitarie dell’Emilia Romagna. Attraverso il collegamento in rete dei servizi, GRACER ha l’obiettivo di garantire tempestività nella presa in carico dei pazienti, garanzia di adeguati livelli di cura e di continuità di cura, equità nelle condizioni di accesso e di fruizione. Servizio Sanitario Regionale Emilia-Romagna, GRACER (Gravi Cerebrolesioni Emilia-Romagna). La rete GRACER. In Emilia Romagna una rete riabilitativa “Hub and Spoke” per le Gravi Cerebrolesioni Acquisite. <http://www.gracer.it/> (23.09.2011).


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Introduzione

relativo alla realizzazione di una rete integrata di servizi per la riabilitazione delle persone con esiti di GCA. Con queste premesse e nonostante le limitazione sopra esposte, viene stimato che annualmente in Italia vi siano almeno 10-15 nuovi casi di GCA su 100.000 abitanti che rientrano nei criteri forniti dalla definizione. Questa stima è considerata corretta escludendo dal conteggio le GCA che, pur manifestando menomazioni permanenti, comportano disabilità lievi. I progetti di ricerca prospettici su base nazionale e regionale sembrano indicare la tendenza ad un progressivo aumento di incidenza delle GCA di origine non traumatica. In termini di prevalenza, si può ipotizzare che un numero compreso tra i 300 e gli 800 su 100.000 abitanti presenti una GCA, suggerendo un numero totale a livello nazionale di almeno 150.000 casi (Apolone et al., 2007). A livello europeo, un’indagine epidemiologica compiuta da Tagliaferri e colleghi (2006), sulla base dei risultati riportati in ricerche effettuate in Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia, Irlanda, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Svizzera e Italia, ha calcolato che approssimativamente ogni anno 235 persone su 100.000 abitanti sono vittime di Trauma Cranio-Encefalico (TCE), includendo tutti i pazienti ricoverati in ospedale per lesioni cerebrali e i decessi avvenuti prima del ricovero. Il tasso di incidenza è fortemente influenzato dalle politiche di ricovero ospedaliere, soprattutto nei casi di TCE lieve. Questo dato va interpretato con cautela dal momento che esistono grandi differenze tra i Paesi europei, sia nella scelta della metodologia di ricerca sia nei criteri di inclusione adottati. Negli Stati Uniti d’America, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) stimano che ogni anno 1.700.000 tra bambini e adulti subiscano un Trauma Cranio-Encefalico (TCE) e altri 795.000 siano colpiti da una lesione cerebrale di origine non traumatica. Nello specifico, di questi 1.700.000 individui con TCE, 52.000 muoiono (corrispondenti al 3%), 275.000 vengono ricoverati in ospedale (corrispettivo del 16,7%) e 1.365.000 (pari all’80,7%) sono curati e dimessi dai Pronto Soccorso. Non si conosce invece il numero di persone che, seppur vittime di un trauma cerebrale, non si presentano ad una struttura ospedaliera e non ricevono cure. Le stesse stime suggeriscono che oggi il TCE è il fattore che contribuisce ad un terzo di tutte le morti per infortuni (pari al 30,5%, su un totale di 169.055 decessi) e che attualmente più di 3.100.000 tra bambini e adulti vivono negli USA con una disabilità permanente in conseguenza di una GCA (Centers for Disease Control and Prevention, 2011; Faul et al., 2010). I bambini di età compresa tra zero e quatto anni, gli adolescenti tra i quindici e i diciannove anni e gli adulti con più di 65 anni sono le categorie più colpite da GCA. Di fatto, i bambini tra zero e quattro anni hanno il più alto tasso di visite correlate a GCA nei servizi di Pronto Soccorso (1.256/100.000 abitanti), seguito dagli adolescenti dai 15 ai 19 anni (757/100.000 abitanti) (Centers for Disease Control and Prevention, 2011; Faul et al., 2010). La lesione cerebrale è stata definita un’“epidemia silenziosa” a causa del numero impressionante di persone che ne viene colpito ogni anno. Nello specifico, in riferimento al TCE, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che 10 milioni di persone nel mondo siano soggette ogni anno a lesioni cerebrali di tipo traumatico (Hyder et al., 2007), con una frequenza di incidenza, seppure ipotetica e sottovalutata, pari a 200 persone su 100.000 abitanti (Bryant-Hancock e Harrison, 2010). Ad oggi, resta difficoltosa una previsione del numero di bambini e ragazzi colpiti da TCE o da una GCA. Esiste infatti la possibilità che bambini con lesioni cerebrali lievi o moderate non vengano ricoverati in ospedale. Spesso, effettivamente, non c’è alcuna necessità di ricovero, ma in altri casi le famiglie non sono consapevoli del fatto che il piccolo possa avere bisogno di particolari cure. In realtà i famigliari, il personale scolastico, e anche i medici possono trovare difficile capire le ragioni del cambiamento di un comportamento o delle abilità di un bambino, se non quando i sintomi diventano assolutamente evidenti. Questo tipo di lesione è denominata “silenziosa” anche perché la maggior parte dei ragazzi mostra un aspetto fisico “normale” e nessuna evidente conseguenza. Come dimostrato da alcuni studi riportati nel Capitolo 2 di questo lavoro, infatti, alcune difficoltà possono manifestarsi solo quando lo studente raggiunge una determinata fase dello sviluppo che richiede l’utilizzo di abilità complesse prima non esercitate. La tempestività dei soccorsi e l’avvento di nuove tecniche rianimatorie e chirurgiche hanno notevolmente aumentato i tassi di sopravvivenza dopo trauma cranico o grave cerebrolesione vascolare. Sempre più frequentemente, anche i bambini e i ragazzi con lesioni cerebrali gravi fanno ritorno a casa e ai loro impegni quotidiani, tra i quali la scuola.


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