Storie dell’Antropologia Percorsi britannici, tedeschi, francesi e americani. Fredrik Barth Andre Gingrich Robert Parkin Sydel Silverman
Edizione italiana a cura di Stefania Pontrandolfo
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COLLANA DI ANTROPOLOGIA
Il corpo dei simboli. Nodi teorici e politici di un dibattito sulle mutilazioni genitali femminili Mila Busoni - Elena Laurenzi Antropologia. Pratica della Teoria nella Cultura e nella Società Michael Herzfeld Vivere l’Etnografia Francesca Cappelletto Comparativa/mente Pietro Clemente - Cristiano Grottanelli Alle radici dell’Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Mediterraneo occidentale. Volume I: secoli XV-XVII Felice Gambin Tutto è relativo. La prospettiva in Antropologia Bruno Barba Alle radici dell’Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Mediterraneo occidentale. Volume II: secoli XVII-XIX Felice Gambin “Umano, troppo umano” Riflessioni sull’opposizione natura/cultura in Antropologia Alessandro Lutri - Alberto Acerbi - Sabrina Tonutti Storie dell’Antropologia. Percorsi britannici, tedeschi, francesi e americani Fredrik Barth - Andre Gingrich - Robert Parkin - Sydel Silverman
Titolo originale: One discipline, four ways: British, German, French and American Anthropology, by Fredrik Barth, Andre Gingrich, Robert Parkin, Sydel Silverman S.A. © Copyright SEID Editori 2010 Via Antonio Giacomini, 26 – 50132 Firenze e-mail: info@seideditori.it Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre, archiviare in un sistema di riproduzione o trasmettere in qualsiasi forma o qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per fotocopia, registrazione o altro, qualsiasi parte di questa pubblicazione senza l’autorizzazione scritta dell’editore. È obbligatoria la citazione della fonte. Edizione italiana a cura di:
Stefania Pontrandolfo
Traduzione: Prefazione e Capitoli 1 e 3, Stefania Pontrandolfo Capitoli 2 e 4, Simona Sidoti con la collaborazione di Stefania Pontrandolfo In copertina: ritaglio da un giornale d’epoca, Sydney, Australia Grafica e editing: gabrielecrobeddu.com Stampa: Tipografia Tappini - Città di Castello (PG) Prima edizione digitale 2013 Isbn 9788889473450
Presentazione della collana
L
’antropologia è stata per tanti decenni una scienza-pattumiera, una scienza che studiava gli scarti delle altre scienze umane; l’oggetto dei suoi studi sugli scarti altrui l’ ha resa per tanti versi una scienza “ impura”, da osservare magari con interesse ma sempre da una debita distanza. A stretto contatto con i pensieri d’altri, essa ha incorporato tanti concetti e tante logiche in seno al proprio corpus teorico, divenendo così una scienza “bastarda”, che accetta suggerimenti e innovazioni dai gruppi umani più ininfluenti, dalle pratiche apparentemente più effimere. Popoli politicamente insignificanti nell’arena mondiale (i Kwatiutl, i Trobiandesi, i Nuer, i Bororo, i Balinesi…) sono entrati nei pensieri delle centinaia di migliaia di studenti che, ormai nelle Università di tutti i continenti, si sono trovati a sostenere un esame di antropologia; i filosofi dogon, guaranì, winnebago ecc. sono stati chiamati nei suoi testi a dialogare con Parmenide o Aristotele, con Russel o Wittgenstein. La sua natura “bastarda” le ha permesso fin dall’ inizio, pur nelle contraddizioni di tutti gli etnocentrismi in cui si trova immersa, di declinare una posizione critica più o meno esplicita verso l’etnocentrismo stesso che la produceva, dimostrando in continuazione con le proprie etnografie che altri mondi sono possibili, sempre. Ipersensibile ai mutamenti nei rapporti di forza internazionali, interculturali, e intraculturali (in primis quelli di genere), così come alle diverse sensibilità nei rapporti tra uomo e ambiente, l’antropologia nel corso dei decenni ha costantemente rielaborato i propri concetti, i propri approcci e i propri dibattiti. La presente collana intende contribuire in modo sistematico a divulgare questi sviluppi, offrendo lavori di studiosi, italiani o stranieri, che contribuiscano con la loro originalità ad illuminare un tema, a proporre una sintesi, a chiarire un dibattito in corso. In seguito all’entrata in vigore del nuovo ordinamento dell’Università italiana, con l’aumento degli insegnanti di materie antropologiche e con la nascita delle prime lauree in Antropologia, l’esigenza di un potenziamento editoriale della disciplina è imprescindibile. Gli studenti e i docenti devono avere accesso a sempre numerosi e aggiornati sussidi didattici. La speranza del direttore della collana e della SEID Editori è di poter contribuire a questo compito.
Leonardo Piasere
III
Sommario
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Prefazione........................................................................................................................» IX Fredrik Barth La Gran Bretagna e il Commonwealth.............................................................................»
1
Andre Gingrich I paesi di lingua tedesca...................................................................................................»
39
Robert Parkin I paesi francofoni.............................................................................................................» 103 Sydel Silverman Gli Stati Uniti..................................................................................................................» 171 Bibliografia.......................................................................................................................» 233 Indice dei nomi............................................................................................................... » 257
Prefazione
I venti capitoli di questo libro derivano da una serie di conferenze intitolate Four Traditions in Anthropology, che furono organizzate in occasione dell’inaugurazione dell’Istituto Max Planck per l’Antropologia Sociale di Halle (Saale), in Germania, nel giugno del 2002. Il nostro istituto aveva avviato il suo lavoro in via preliminare circa tre anni prima, tuttavia nessuno di noi aveva voluto alcun rituale prima del trasferimento nelle nostre sedi permanenti. Associando l’inaugurazione al congresso annuale generale della Società Max Planck, ci assicurammo che un buon numero di nostri colleghi di ricerca sarebbero stati in grado di unirsi a tutti i ministri, i rettori, e le altre cariche istituzionali che avevano giocato un ruolo nella fondazione dell’istituto. Eravamo tuttavia anche determinati a infondere al nostro rito di passaggio collettivo una dimensione antropologica; di qui l’idea di una serie di conferenze. I nostri progetti di ricerca attuali riguardano in gran parte le trasformazioni sociali contemporanee e sono basati sui metodi della ricerca sul campo, ma l’istituzione di un nuovo e ampio centro di ricerca con un ethos esplicitamente internazionale ci sembrò un’eccellente opportunità per rivolgersi con uno sguardo rinnovato alla storia dell’antropologia. Poiché si trattò di un vero e proprio esercizio nel rituale, ci sentimmo liberi di sperimentare e persino di indulgere nelle inversioni di ruolo. Abbiamo pertanto invitato Adam Kuper, meglio noto come storico della disciplina, a tenere il Festvortrag su un argomento contemporaneo in occasione della solenne cerimonia di apertura (egli scelse di trattare delle controversie relative alle rivendicazioni di terra da parte di popolazioni indigene, con il titolo The Return of the Native; per la versione pubblicata si veda Current Anthropology, giugno 2003). Per la serie di conferenze che precedettero le cerimonie inaugurali, decidemmo di rivolgerci a quattro illustri antropologi che, sebbene avessero contribuito alla scrittura della storia della disciplina, non erano specializzati in maniera prioritaria in questo campo. Ogni relatore fu incoraggiato nell’adottare un approccio fondamentalmente cronologico riguardo a una singola “tradizione” ma per il resto gli fu lasciata mano libera del tutto. Sorprendentemente, ogni cosa è andata secondo i piani, in modo tale che per un periodo di dieci giorni un pubblico accresciuto da numerosi ospiti stranieri fu intrattenuto da uno splendido programma. VII
STORIE DELL’ANTROPOLOGIA
Ogni conferenza è stata un cocktail a base di concentrato di erudizione shakerato in vari modi con avvincenti reminiscenze personali, piacevoli digressioni, e una critica scientifica, morale e politica terribilmente seria. Per questa pubblicazione abbiamo deciso di riunire le conferenze di ciascun autore, sebbene nella presentazione di Halle esse fossero separate. Ogni conferenza è stata seguita da un tempo per le domande e le risposte, e ogni ciclo di quattro conferenze da un’ampia sessione di discussione. In questo modo, abbiamo identificato continuamente i legami molteplici tra le quattro tradizioni e abbiamo rammentato a noi stessi l’ovvia inadeguatezza della selezione di soltanto quattro tradizioni, con una forte inclinazione “occidentale”. Esistono oggi stimolanti scuole di antropologia in tutti i continenti. Dato il mio personale punto di vista nel considerare l’Eurasia come un’unità, è stato un peccato che la nostra formula non ci lasciasse alcuna possibilità di considerare in particolare le ricche tradizioni dell’antropologia russa, o i più recenti sviluppi in Cina o in India. Cosa forse più importante, abbiamo costantemente messo in discussione l’idea stessa di presentare la storia della disciplina in questo modo. Limiti di spazio ci impediscono di includere qualsiasi registrazione di tali animate discussioni in questo volume, ma il lettore dovrebbe essere consapevole che ci sono state. Gli autori hanno ripreso di tanto in tanto alcuni dei punti chiave delle discussioni nelle loro revisioni dei testi. Mi sembra innegabile che le diverse traiettorie dell’antropologia (che, certamente, consideriamo come un concetto generale, in quanto sussume campi quali l’etnologia e l’etnografia, oltre che il folklore, gli studi museali, e così via) siano state in verità profondamente segnate dalle loro cornici “nazionali”, cioè dai diversi contesti intellettuali così come dai diversi ambienti sociali e politici. In nessun luogo ciò risulta più evidente come nell’Europa centro-orientale, dove è collocato il nostro istituto. Gli studiosi tedeschi hanno sviluppato programmi di ricerca pionieristici e coniato nuomerose parole chiave nel diciottesimo secolo, molto tempo prima della costruzione di uno stato tedesco unificato. Qui, come altrove in Europa, il campo antropologico è stato fortemente marcato dal nazionalismo. Persino dove questo lascito fu in seguito modificato dall’imposizione delle teorie marxiste sovietiche, le continuità restano sostanziali. Queste conferenze sono in primo luogo consacrate a quattro varianti dell’impresa comparativa della Völkerkunde piuttosto che alla Volkskunde, lo studio del proprio popolo , ma dobbiamo riconoscere che le cornici nazionali hanno influenzato entrambi questi filoni dell’antropologia sin dalle origini. Eppure sembra altrettanto evidente che almeno alcune differenze siano state ridotte nei decenni più recenti. Proprio la fondazione dell’Istituto Max Planck per l’Antropologia Sociale (in tedesco, Max-Planck-Institut für ethnologische Forschung – letteralmente, “per la ricerca etnologica”) e il mio reclutamento dalla Gran Bretagna come uno dei direttori fondatori sono piccoli segnali di queste tendenze alla convergenza. Il nostro istituto rispetta le differenze nelle tradizioni di studio esattamente come noi le rispettiamo in altri campi. Non abbiamo alcun desiderio di promuovere la dominazione anglosassone o una blanda uniformità di stile; al contrario, desideriamo incoraggiare migliori contatti attraverso tutte le frontiere nazionali e ideologiche. In breve, ci piacerebbe alimentare il cosmopolitismo in un campo che, dopo tutto, è stato uno dei meno cosmopoliti fino a questo momento. João de Pina-Cabral, in una recensione sull’evento di Halle (pubblicato nella Newsletter n. 33 dell’European Association of Social Anthropologists nell’ottobre del 2002), ha messo in luce i diversi retroterra dei partecipanti e ha concluso in maniera ottimistica che
Nella tradizione tedesca dell’antropologia Völkerkunde corrisponde allo studio comparativo di popolazioni extraeuropee, mentre Volkskunde corrisponde allo studio delle popolazioni europee (di solito denominata in Italia Storia delle tradizioni popolari), N.d.T.
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Prefazione
Il momento della discussione […] ha dimostrato che, oggi, l’antropologia socio-culturale condivide un inventario comune di conoscenza e un insieme di concetti operativi e formulazioni metodologiche reciprocamente disponibili. Questi costituiscono una cornice comune, globale, per il dibattito e la fecondazione intellettuale che è rivendicata dagli antropologi molto al di là dei confini delle nazioni imperialiste del ventesimo secolo. Non potrebbe ciò essere pensato come una quinta tradizione che, uscendo dal periodo imperialista, ci offre oggi uno strumento più ampiamente globalizzato, non nazionale, per la ricerca scientifica?
Non mi resta, in quanto ospite responsabile e coordinatore del progetto, che ringraziare tutti e quattro gli autori per aver scritto seguendo i limiti editoriali, per aver cooperato nella fase di progettazione, per aver interpretato eroicamente i nostri rituali, per aver prodotto in maniera puntuale i loro testi rivisti per questo libro, e in generale per esser stati una squadra meravigliosa.
Chris Hann Istituto Max Planck per l’Antropologia Sociale
Halle (Saale), Marzo 2003
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