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Sergio Antognelli
Beverone Parole per ricordare
Breve dizionario di cose e persone
Presentazione Numerose sono le lingue quotidianamente minacciate di estinzione, proprio come molte specie animali e vegetali: ogni giorno rischiamo insomma di rimanere inesorabilmente più poveri di varietà culturali e naturali. Si stima che annualmente muoiano una sessantina di lingue e dialetti, degli oltre seimila parlati dall‟uomo. Nel drammatico calcolo, come è ormai abituale, si può notare che non si fa valere alcuna distinzione tra lingua e dialetto, secondo quanto ormai assodato dalla linguistica moderna che ha riconosciuto nei rapporti di forza, politica o ideologica, l‟unico possibile elemento di divisione delle parlate tra dialetti e lingue. Citando Max Weinreich insomma: “una lingua è un dialetto con un esercito ed una marina”. La perdita di ogni parlata è un grave danno culturale e sociale. Innanzitutto l‟abbandono di una lingua limita la capacità di espressione dei suoi parlanti, riducendo la piena manifestazione del loro pensiero e delle loro conoscenze tradizionali: chi, spesso sotto l‟invadente pressione di una globalizzazione acritica, viene spinto ad abbandonare la propria parlata, difficilmente riesce a ricevere in cambio un‟immediata e piena padronanza del nuovo linguaggio. Così la lusinghiera illusione di condividere orizzonti più vasti nasconde spesso il pericolo concreto di una possibile discriminazione in un mondo più ampio. Secondariamente la perdita di una parlata, semplificando la cultura umana, riduce la ricchezza dell‟umanità intera. Ogni lingua ha un individuale patrimonio di suoni e costruzioni grammaticali, sottolinea sfumature particolari della comunicazione, è capace di suggerire spunti di studio ed offrire suggestioni alla fantasia. La varietà culturale è del resto difesa istituzionalmente dall‟Unesco che, in una dichiarazione universale sulla diversità culturale, adottata dal 2001, proclama solennemente: “La diversità culturale amplia la gamma di opzioni aperte a tutti; è una delle radici dello sviluppo, inteso non semplicemente in termini di crescita economica, ma anche come mezzo per raggiungere 4
un‟esistenza più soddisfacente dal punto di vista intellettuale, emotivo, morale e spirituale” (art. 3). Occorre dunque abituarsi a considerare ogni lingua un bene culturale dell‟umanità, soltanto apparentemente diverso da una scultura o da un palazzo monumentale. All‟interno della vasta categoria dei beni culturali, la lingua infatti, insieme ai miti, ai racconti, alle leggende, al folklore, è parte dei cosiddetti beni “demo etno antropologici” o beni immateriali. Una semplice distinzione tra beni artistici, architettonici, archeologici, da un lato e beni immateriali dall'altro può essere basata sulla considerazione che i primi, a differenza dei secondi, non devono essere riprodotti ogni volta, per la loro fruizione: un quadro è dipinto da un pittore una volta soltanto, poi per sempre ammirabile; una lingua invece vive soltanto se e quando parlata. Tuttavia, nell‟opinione diffusa, i beni immateriali non sono ancora percepiti come beni culturali pari agli altri, forse perché meno “monumentali”, più famigliari. Stesso trattamento è del resto riservato al paesaggio, che siamo solitamente abituati a percepire come un semplice sfondo e quasi mai a leggere invece come il paziente prodotto della razionale attività millenaria dell‟uomo. D‟altronde, purtroppo, si è spesso capaci di riconoscere il valore di quanto ci è vicino soltanto quando, per sventura, ne siamo privati o quando un osservatore esterno riesce ad indicarcene il pregio. Eppure paesaggio e dialetto sono parte integrante della nostra fragile e preziosa cultura in cui, consapevolmente o meno, viviamo immersi. Di riflesso, anche dal punto legislativo l‟interpretazione dei beni immateriali e del paesaggio come beni culturali è conquista recente. Emilio Sereni, autore di una celebre Storia del paesaggio agrario italiano (1961), fu tra i primi ad evidenziare il valore del paesaggio. Da allora soltanto il nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e in particolare il comma 1 dell‟art. 2) ha riconosciuto i beni paesaggistici come parte del patrimonio culturale, superando la vecchia dicotomia che vedeva da un lato i beni culturali e dall’altro i beni paesaggistici e ambientali. 5
Il riconoscimento legislativo di un bene culturale è presupposto necessario ad una sua adeguata conservazione, curata dagli enti pubblici. Particolari vincoli statali infatti proteggono molti dei beni culturali a cui viviamo vicini, cercando di garantirne una corretta trasmissione alle future generazioni (nonostante, a volte, alcuni siano stati comunque vittima di violenze cieche): a Suvero sono beni culturali vincolati il sito archeologico della Pianaccia, il castello malaspiniano e la chiesa parrocchiale; a Rocchetta la parrocchiale di S. Giustina ed il palazzo Vinciguerra; a Veppo la villa dei conti Zanelli, la parrocchiale di S. Michele e l‟oratorio di Bocchignola; l‟oratorio di S. Pietro martire e la chiesa di S. Giovanni Battista a Stadomelli. Inoltre è vincolato l‟intero complesso paesistico di Montefiorito – monte Dragnone “caratterizzato da ampie visuali sulle valli e sull‟appennino tosco-emiliano di non comune bellezza”, come recita il decreto di dichiarazione di notevole interesse pubblico datato 24 aprile 1985. I dialetti purtroppo non sono ancora rigorosamente tutelati, nonostante siano beni culturali come gli altri e come gli altri conservino i segni del passaggio degli uomini che, in tempi precedenti ai nostri, vissero, in modo diverso, i nostri stessi spazi. Il dialetto di Beverone infatti, come quello degli altri borghi limitrofi, non è un imbastardimento della lingua italiana: è invece, in moltissimi vocaboli, il prodotto di un autonomo sviluppo della lingua latina, impreziosito da una fonetica molto più antica, tramandata addirittura dagli antichi liguri. Già il celebre linguista Graziadio Isaia Ascoli, nella seconda metà dell‟Ottocento, aveva del resto attribuito la presenza della vocale turbata ü all’influenza del sostrato celtico prelatino. Questo suono misterioso e gutturale risuona dunque nelle nostre valli, di orecchio in orecchio da millenni: è un‟antichissima eco di vita. Salvare e valorizzare questo suono come, per citare un altro caso, salvare e valorizzare la tradizione dei falò (che, ad esempio a Suvero ed a Stadomelli, si accendono nella notte della vigilia di S. Giovanni), traccia viva, pare, di antichissimi riti liguri, è salvare e valorizzare un reperto archeologico di primissimo valore. 6
Alcuni studiosi collegano infatti i falò accesi nella notte della vigilia di S. Giovanni ai roghi che gli antichi liguri avrebbero incendiato in occasione del solstizio d‟estate. Anche a Beverone si usa accendere un falò in onore di S. Giovanni, ma nella notte del 28 agosto. Ultimamente, per evitare pericoli, la tradizione si è ripetuta in forma molto ridotta. L‟usanza antica infatti prevedeva di allestire alcuni mucchietti di 5 o 6 pigne, distanziati pochi metri l‟uno dall‟altro, lungo l‟esatto percorso che il 29 agosto compie la processione con la statua di S. Giovanni. Al centro del monte quindi si faceva un gran mucchio di rami di legna varia che, terminata l‟accensione delle pigne, veniva incendiato, solitamente per mano del parroco. Dovere di tutti dunque è impegnarsi per la salvaguardia e la valorizzazione della nostra cultura, cioè di noi stessi, in fondo, nella nostra identità: la raccolta di termini del dialetto beveronese, opera amorosa e pazientissima di Sergio Antognelli, è un importante contributo alla salvaguardia ed alla conoscenza di noi stessi.
Dott. Riccardo Barotti Assessore alla cultura del comune di Rocchetta di Vara
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BEVERONE DI ROCCHETTA VARA: PICCOLE NOTE STORICHE Si può comprendere la ricchezza di una lingua soltanto conoscendo la storia di chi quella lingua ha parlato e parla: per questo pare opportuno premettere alcune brevi note di storia beveronese. “Il cocuzzolo di Beverone è quasi calvo come la testa di chi ha sfidate le intemperie di numerosi inverni; nell’ampia e calva spianata vi sono tracce evidenti d’antiche capanne, forse abbandonate prima del mille, quando fu eretta la chiesa, una delle più antiche della regione”. Così scrisse Carlo Caselli, il giornalista “viandante” che nel 1930 percorse i sentieri della Lunigiana descrivendone borghi, paesaggi ed abitanti. Le informazioni sono tuttavia generiche e poco verificate. E‟ indubbia comunque l‟antichità dell‟insediamento di Beverone, data l‟importanza simbolica e strategica del luogo. Il nome Beverone è, secondo alcuni studiosi, riconducibile alla base latina “bibere” (bere), con riferimento a località dove si abbeveravano le greggi o ricche di acque sorgive. La chiesa era dipendente dalla rettoria di Stadomelli, antico diretto dominio del vescovo di Luni. Beverone dovette dunque essere un presidio del vescovo di Luni sopra le terre dell‟abbazia di Brugnato. Tra esse Rocchetta e Suvero. Con il declino del potere temporale dei vescovi di Luni, Beverone passò quindi sotto la signoria dei marchesi Malaspina di Villafranca cui rimase sino all’arrivo dei francesi alla fine del XVIII secolo. 8
Dopo la parentesi rivoluzionaria, il Congresso di Vienna attribuì i territori degli ex feudi malaspiniani al duca di Modena, per essere quindi aggregati, con l’unità d’Italia, alla provincia di Massa Carrara. Il Comune di Rocchetta Vara, di cui è parte Beverone, fu inglobato nella neonata provincia della Spezia dal 2 febbraio 1923. La chiesa parrocchiale di Beverone, dedicata alla decollazione di S. Giovanni Battista, smembrata dalla rettoria di Stadomelli, fu eretta in parrocchia tra il 1568 ed il 1584, anno della visita apostolica del vescovo Angelo Peruzzi. La relazione di quella visita (2 maggio 1584) descrive una chiesa trascurata: venne infatti ordinata l‟imbiancatura delle pareti, il rifacimento del pavimento e la costruzione di confessionali. L‟altare maggiore era decorato con un‟immagine adeguata. Fu imposto tuttavia di ornarlo con una croce dipinta e con candelabri. Già esistente in quella data il cimitero. Particolarmente ricca di informazioni la relazione compilata dal parroco Alessandro Malatesta, nativo di Stadomelli, il 7 gennaio del 1822. Egli scrisse: “La chiesa parrocchiale è stabilita sopra d’un alto monte, incomodo all’intervento del popolo e del parroco, in aria però più che salubre ed esposta ai fulmini”. “E’ in buono stato ma esposta molto all’umidità per il vento di mare. E’ soffitata sopra e sotto con buon pavimento di calcina. Essa ha buone e forti mura, ampia e più che sufficiente alla popolazione. Dessa pure è in buon essere riguardo alle finestre, porte e panche. Gli si fanno le dovute riparazioni a tempo, anche per quello [che] spetta gli ornamenti, il che appartiene ai fabbriceri. Il tutto si tiene con la possibile polizia e decenza”.
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“Nella chiesa parrocchiale, oltre il maggiore, v’è unicamente l’altare del Rosario che, sebbene sia senza dote alcuna, è ben tenuto decente ed amministrato dalla fabbriceria a spese di poche elemosine. L’immagine v’è scolpita in quadro quasi nuovo e rappresenta ancora l’immagine di S. Giovanni Decollato”. Nella relazione si leggono anche alcune informazioni sulla vita quotidiana nel borgo: “Niuno avvi in parrocchia che abbia o tenghi libri proibiti, nessuno che sparga o dissemini cattive massime per ciò che sia in cognizione”. “Neppur v’è alcun malvivente o bestemmiatore”. “Fra le persone o famiglie della parrocchia non avvi al presente alcuna inimicizia od odio”. “Tra giovani e figlie non seguono amoreggiamenti che portino scandalo ma vivono onestamente”. “Per essere il vino molto scarso in questa popolazione e molto acerbo non vi sono né osterie né bettole né cantine”. “Le donne vestono tutte onestamente né vi è in ciò alcun disordine”. “Nelle feste, salvo il dì 29 agosto non si tengono né mercati né fiere né altro non essendovi alcuno che abbia bottega”. Erano compresi nella giurisdizione parrocchiale di Beverone l’oratorio di S. Anna a Garbugliaga, costruito dalla famiglia Podestarelli di Cavanella Vara nel 1611 ed eretto in parrocchia l‟11 dicembre 1926 per interessamento di don Giovanni Borsi, e l’oratorio di S. Andrea, posto all‟inizio dell‟abitato di Beverone. Esso fu edificato intorno al 1680 da Andrea Levantini di Forno, frazione di Borseda. Passò poi alla famiglia Beverinotti. Scrive il già citato parroco Malatesta “E’ in ottimo stato e provveduto delle necessarie suppellettili, custodito oltre la detta famiglia, anche dal parroco”.
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In questo oratorio si tenevano le lezioni del piccolo Seminario di Beverone, aperto tra la fine del XVIII secolo e l‟inizio del successivo, diretto dal parroco. La cattedra della scuola era ancora visibile nel 1959. Nel 1810 erano presenti dodici alunni, sei studenti di teologia, sei di belle lettere. Nel 1822 la parrocchia di Beverone passò alla diocesi di Massa per tornare a quella di Brugnato nel 1959. PER SAPERNE DI PIÚ: C. CASELLI, Lunigiana ignota, La Spezia, 1933, anche in edizione anastatica, Bologna, Forni editore. P. TOMAINI, Brugnato, città abbaziale e vescovile, Città di Castello, Unione Arti Grafiche, 1957. E. BRANCHI, Storia della Lunigiana feudale, Pistoia, 1897 (anche edizioni anastatiche Forni). G. FRANCHI – M. LALLAI, Da Luni a Massa Carrara - Pontremoli, Modena- Massa, 2000. G. REPETTI, La politica ecclesiastica napoleonica nel dipartimento del Crostolo (1809-1812), tesi di laurea, Università degli studi di Genova, Facoltà di magistero, anno accademico 1974-75. S. ANTOGNELLI,
Battiventu de Beveun, La Spezia, 2007
DOCUMENTI D’ARCHIVIO: ARCHIVIO VESCOVILE DI LUNI-SARZANA (presso Seminario vescovile di Sarzana). Filze: Visita Peruzzi, Parrocchiali 36, Questionario Scarabelli 36\2.
Dott. Riccardo Barotti 11
Girotondo - 23 marzo 1940
È strano, o forse no, forse è normale. Più passa il tempo e più sento di voler bene a Beverone. È un bene difficile da spiegare, è un bene per le persone, per le cose, per quella chiesetta lassù in alto. È un bene per tutte le persone che ora non ci sono più, anche per quelle che non ho mai conosciuto nemmeno per nome. È un bene incredibilmente forte e grande, che mi fa provare il bisogno di dividerlo con altre persone, come se per me fosse troppo. È un bene che tante persone provavano già. Me ne sono accorto dopo le tantissime dimostrazioni di affetto ricevute da chi ha letto il libretto “Battiventu de Beveun”. Io sono solo il tramite di tanto affetto, il destinatario è, e non può essere che Beverone. È con lo stesso sentimento che ho pensato al “dizionario”.
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Introduzione Questa idea del dizionario è nata dal desiderio di provare a salvare un po‟ di memoria del mio dialetto, il beveronese. Non una grande pretesa, l‟obiettivo era quello di raggiungere mille vocaboli, ben lontani da una ricerca approfondita. È comunque da tenere presente che il nostro dialetto, come altri, ha un numero abbastanza ristretto di vocaboli, si potrebbe dire semplicemente “quelli che servono”. Possono sembrare pochi, ma scelti opportunamente rappresentano una lingua per comunicare completa. Pare che le varie tribù dei celti sparse per l‟Europa, al di fuori dei vari vocaboli di carattere locale, erano accomunate da un linguaggio composto da un migliaio di parole; tutto sommato, riscontrata questa curiosa analogia, la scelta di questo numero ha perfino un senso logico. E chissà che non abbia un senso logico pure aver citato i celti, se magari un giorno si potesse affermare con certezza che sono stati non solo in Liguria, ma anche in Val di Vara. Allora in questo caso potrebbe essere che alcuni vocaboli dialettali si riconducano alla loro lingua. Prendere in esame un dialetto, nonostante sia il mio dialetto, quello con cui ho imparato a parlare, non è come può sembrare a prima impressione cosa semplice, si potrebbe paragonare a come vedere un quadro, più si osserva e si studia e più se ne scoprono i segreti. Mi sono reso conto che per fare questo tipo lavoro si hanno due possibilità: o si ha studiato diversi anni e si ha una conoscenza e una cultura specifiche, o ci si accontenta del proprio sapere con i propri limiti.
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Appurato che io appartengo alla seconda categoria, non mi è precluso comunque il tentativo di riuscire a combinare qualcosa, e poi comunque è un lavoro che pur con tutti gli errori che può contenere, rimane un documento da poter essere consultato in futuro, e raccoglie una parte di ciò che purtroppo andrà irrimediabilmente perso. Il dialetto ovviamente non era scritto, si imparava a memoria. Il volerne conservare la memoria prevede scriverlo. Naturalmente scriverlo in modo che chi si appresta a leggerlo lo faccia come se fosse italiano, cioè con le stesse regole di pronuncia. Purtroppo ed inevitabilmente ci sono delle eccezioni, fortunatamente non troppe, cioè vocali e lettere di determinati vocaboli che devono essere pronunciate in modo diverso dall‟italiano, e per queste occorre compilare una guida, che per quanto precisa possa essere non permetterà di avere la pronuncia perfetta; per quella servirebbe una scuola di dizione che è poi quella di parlare il dialetto nella vita, ma cercherà di avvicinarvisi. Sembrerà strano ma è tutto lì a disposizione, non c‟è un disordine per cui una volta è in un modo un‟altra nell‟altro, è tutto ordinato, basta interpretarlo, anche se non è un compito semplice. Ciò che sembra un parlare disordinato ha le sue regole precise, basta cercarle. Sostanzialmente, come per gli altri dialetti, vi sono vocaboli che pur se con alcune diversità, sono riconducibili all‟italiano corrente, con radici comuni, cioè il latino dell‟epoca romana, ed altri che hanno origini a carattere più strettamente locali. Per capire e scoprire meglio le regole del dialetto, dato che possiamo fare un confronto, torna meglio rifarsi ai vocaboli citati per primi.
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Cercheremo di ricordare i vocaboli del tempo andato, legati ai lavori svolti in campagna, a mestieri, attrezzi, lavori, attività e a un po‟ tutto il passato.
Un ringraziamento a tutti i paesani che hanno collaborato alla realizzazione di questo dizionario, nella ricerca dei vocaboli, dei racconti, con suggerimenti e con fotografie. Un ringraziamento anche al dott. Riccardo Barotti, ché con la sua „presentazione‟ e „note storiche‟ ha integrato questo lavoro, arricchendone il contenuto. Dovremmo esserne tutti un pò soddisfatti, perchè con questo libretto un pò del nostro dialetto rimarrà, anche quando nessuno lo parlerà più. Sergio Antognelli
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Guida alla pronuncia del dialetto Beveronese Tanti dialetti dei paesi della Val di Vara, Beverone compreso, hanno in comune la caratteristica della mancanza di pronuncia delle vocali doppie, che da paese a paese ma anche da persona a persona, può essere più o meno marcata. Per questo motivo le doppie nel dialetto sono state omesse volutamente, ad esclusione della “s” che è leggermente più marcata delle altre. Siccome la “z”, in quanto singola, in tanti vocaboli, verrebbe logico pronunciarla dolce, per evitare questo dubbio tutte le zeta dolci saranno scritte con la zeta accentata: “ž”. Gli accenti usati sono gli stessi dell‟italiano e cioè: à - è - ì - ò - ù : con la lineetta sopra la vocale che scende, sono accenti gravi, come: pietà, cioè, così, perciò, giù. é : con la lineetta che sale, è un accento acuto, come: perché. Si legge come fosse italiano con alcune eccezioni, che sono state scritte usando caratteri speciali: Ë : chiusa, si legge come “eu” in francese. Ü : chiusa, si legge come “ü ” in tedesco. Ž : dolce, come “zaino”. Č - Ğ seguiti da “i” oppure “e” : hanno una pronuncia abbastanza difficile che è a metà strada fra "ci - chi" e "ce che" la prima, fra "gi - ghi" e "ge - ghe" la seconda. In pratica dipende dal modo in cui si tiene la lingua a contatto con il palato, che non ha eguale nell‟italiano corrente. Per non complicare la vita a coloro che leggendo anche 17
mentalmente le parole che contengono i simboli Č - Ğ, non sapessero proprio che verso dargli, possono leggerli come fossero C e G normali. Ne verrà fuori una pronuncia che assomiglia allo spezzino o al genovese, e pur non essendo la pronuncia corretta, la parola avrà lo stesso significato. Agùčia - ago, agùče - aghi. Conigli - cuniği, bottiglie - butiğe. Prendendo in esame i vocaboli simili all‟italiano, ed analizzando le parti in comune, si scoprono delle particolarità che poi sono delle regole. Indubbiamente questo sarebbe un compito per chi ha una conoscenza specifica, però solo per dare un‟idea proviamo a studiarne alcuni: La “ó” chiusa di bótte non è usata, perché viene trasformata in “u” : cόlore - culue, cόltello - cutèlu, fόntana funtana. La “u” dopo consonante diventa “ü”: muro - müu, duro - düu, maturo - madüu. Il dittongo “uo” diventa “ë”: vuoto - vëitu, nuora - nëa, fuoco - fëgu. La “g” seguita dalle vocali “e” - “i” diventa quasi sempre “ž” dolce: geranio - žeraniu, gelato - želatu, giallo - žalu, Gino - Žinu. Negli ultimi decenni queste “z” si sono un po‟ addolcite fino a diventare delle “g”. Dai vocaboli sopra citati si capisce pure che la “o” finale diventa “u”. Dai vocaboli: cacciatore - cažadue, muratore - müadue, pescatore - pescadue, si nota che se terminano con “tore” cambiano in”due”, cioè la “t” diventa “d”, la solita “o” che diventa “u”, e scompare la “r”. Mentre nei vocaboli: dottore - duture, trattore - trature, la “t” di “ttore” è doppia, in questo caso la “t” non cambia in “d”, e la “r” non scompare. 18
Il dizionario è pronto, e i vocaboli sono lì, ordinati, come tanti soldatini, ognuno al proprio posto con un po‟ di spazio attorno, per non essere confusi. Non aspettano altro che essere passati in rassegna, uno per uno, sembra quasi che ognuno cerchi di alzarsi un pochino, per non passare inosservato, per far bella figura. Saranno tutte in ordine le divise della compagnia? Qualcuno avrà la cravatta fuori posto? Occorrerà guardare con attenzione. Ma perché tutta questa parata? È per qualcosa che non si può e non si deve dimenticare … perché ognuno ha sempre qualcosa da lasciare, forse … delle parole per ricordare.
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Indice Presentazione ………………………… Note storiche ………………………….. Introduzione …………………………... Guida alla pronuncia del dialetto beveronese ………………………….... Un po‟ di grammatica ………………… Suddivisione del tempo ……….……... Tempo atmosferico e cielo ………….. Mestieri e professioni ………………... Corpo umano …………………………. Indumenti ……………………………… Cucito ………………………………….. Parentele ……………………………… Chiesa …………………………………. Colori …………………………………... Casa, attrezzi e altro …………………. Erbe varie, funghi, frutta spontanea ... Prodotti dei campi ……………………. Cibi …………………………………….. Nei campi ……………………………... Animali selvatici ………………………. Animali domestici …………………….. Uccelli …………………………………. Insetti e altri animaletti ………………. Alberi e arbusti ……………………….. Luoghi …………………………………. Verbi …………………………………… Nomi di persone ……………………… I racconti del fusiğiau …………………
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Pag. 2 Pag. 6 pag. 12 pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag.
15 19 22 24 25 27 29 30 31 32 34 35 50 53 54 57 59 61 62 63 64 66 69 75 79
Un po’ di grammatica Me Io
E Le
Nëve Nove
Te Tu
En Uno
Dese Dieci
Lü Lui
Na Una
Zentu Cento
Glié Lei
Ün Uno
Dužéna Dozzina
Nui Noi
Dui Due
Mié Mio
Vui Voi
Tréi Tre
Të Tuo
Luu Loro
Quatru Quattro
Së Suo
Er Il, e in certi casi le
Zinque Cinque
Nostru Nostro
U Lo
Séi Sei
Vostru Vostro
A La
Sète Sette
Daa Dalla
I I, e in certi casi gli
Otu Otto
Dar Dal 21
En tér Nel
Brütu Brutto
Düu Duro
En tà Nella
Busardu Bugiardo
Enaià Imbambolato, incantato
Aa Alla
Busìa Bugia
Au Allo
Caéza Carezza
Ambriagu Ubriaco
Čiarla Discorso gratuito, ciarla
Fëa Fuori
Čiévedu Tiepido
Fréva Febbre
Cresentìn Singhiozzo
Fundu Fondo
Der bèlu Assai
Gavòrnia Cantilena noiosa
Descauzu Scalzo
Grossu Grosso
Dezùn Digiuno
Madüu Maturo
Dréntu Dentro
Marfabén Chi non fa il bene
Dritu Dritto
Matòlicu Stravagante
Arpusà Riposato Asèrbu Acerbo Bagnà Bagnato Basu Bacio Belinùn Fesso Bèlu Bello Brésìn Un pochino
Endré Indietro Fante Bambino
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Pasénzia Pazienza
Schizà Schiacciato
Sütu Asciutto
Pečenìn Piccolo
Sčiafu Schiaffo
Svaséndà Svagato
Pelandrùn Vagabondo
Scutizùn Persona che si lava poco
Tağiasachi Chi le spara grosse
Pizégà Pizzicotto Pogu Poco Pogu de bùn Poco di buono
Spatarà Spappolato Spetenà Spettinato
Tantu Tanto Tocu Pezzo Tuchétu Pezzetto
Stortu Storto
Potamòla Persona lenta, comoda
Stracu Stanco
Utre Avanti
Pügnu Pugno
Strépélùn Detto a sproposito
Frutto che non è giunto a maturazione
Rindritu Dalla parte diritta
Stròlica Strega
Vèčiu Vecchio
Rinvèrsu Dal rovescio
Strùbedu Torbido
Ženučià Ginocchiata
Sauìdu Saporito
Sürve Sopra
Žiandùn Girellone, perditempo
Scapìn Ultimo pezzo di pane o formaggio
Sutu Sotto
Vanèžu
Žùvin Giovane 23
Suddivisione del tempo Secundu Secondo
Venerdì Venerdì
Menütu Minuto
Sabu Sabato
Ua Ora
Dumenega Domenica
Ğiurnu Giorno
Ženau Gennaio
Mese Mese
Frevau Febbraio
Stağiùn Stagione
Marzu Marzo
Anu Anno
Aprile Aprile
Lünedì Lunedì
Mažu Maggio
Martedì Martedì
Žügnu Giugno
Merculedì Mercoledì
Lüğiu Luglio
Žuvedì Giovedì
Agustu Agosto 24
Setembre Settembre
Dumàn Domani
Utubre Ottobre
Dopudumàn Dopodomani
Nuvembre Novembre
Iei Ieri
Desembre Dicembre
Ierdélà L'altro ieri
Primavea Primavera
L'anu che vièn Il prossimo anno
Istade Estate
L'anu passà L'anno scorso
Autϋnu Autunno Invernu Inverno Matìn Mattino Séa Sera Note Notte Enchë Oggi
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Tempo atmosferico e cielo Arsüa Tempo caldo e asciutto
Nüveu Nuvoloso
Àspéu Freddo secco
Nüvua Nuvola
Burasca Burrasca
Piëva Piove
Caudu Caldo
Seén Sereno
Délügu Diluvio
Sòfegu Tempo afoso
Durzüa Stéla Dolciura - quando la tempera- Stella tura si alza e si scioglie la neve Su Fredu Sole Freddo Trun Granžëa Tuono Grandina Trunéža Lampu Tuona Lampo Žeà Lüna Ghiacciato Luna Mainazu Vento di mare 26
Mestieri e professioni Arpin Alpino
Chëgu Cuoco
Avucatu Avvocato
Čiapazu Copri tetto
Barbieu Barbiere
Cuntadin Contadino
Bastrau Bastaio
Curidue Corridore
Brigadieu Brigadiere
Duture Dottore
Buscaiolu Boscaiolo
Falegname Falegname
Bütegau Bottegaio
Farau Fabbro
Campanau Campanaro
Farmazista Farmacista
Carabigneu Carabiniere
Furnau Fornaio
Carbunin Carbonaio
Ğiüdice Giudice
Cazadue Cacciatore
Maestru Maestro 27
Mainau Marinaio
Pessaiolu Pesciaiolo
Umbrelau Ombrellaio
Manuvale Manovale
Prufessue Professore
Uperaiu Operaio
Marescialu Maresciallo
Pustin Postino
Urtulan Ortolano
Maselau Macellaio
Sartu Sarto
Zapìn Zappatore
Mecanicu Meccanico
Scarpau Calzolaio
Merzau Merciaio
Segantìn Sega i tronchi per farne tavole
Mežadru Mezzadro Minadue Minatore Müadue Muratore Pastizeu Pasticciere Pastue Pastore Pescadue Pescatore
Sindicu Sindaco Spazacamin Spazzacamino Stagnin Stagnino Sunadue Suonatore Surdatu Soldato Tripau Trippaio 28
Corpo umano Aséne Ascelle
Didu meninè Dito mignolo
Büži Budella
Figaétu Fegato
Canaozu Trachea
Frunte Fronte
Carcagnu Calcagno
Gua Gola
Cavèi Capelli
Gùmedu Gomito
Chëe Cuore
Labri Labbra
Ciğe Ciglia
Lagrima Lacrima
Colu Collo
Léngua Lingua
Custadìe Costole
Man Mano
Didu Dito
Méntozu Mento
Didu grossu Dito pollice
Nasu Naso 29
Oči Occhi
Tetin Seno
Panza Pancia
Tunsigle Tonsille
Parmu Palmo
Ueče Orecchi
Parpèle Palpebre
Ünğia Unghia
Pèle Pelle
Žénočiu Ginocchio
Péu Pelo
Žénžìe Gengive
Pié Piede
Züchetu Parte posteriore della testa
Purmun Polmone Purpazu Polpaccio Sčéna Schiena Stëmegu Stomaco Südue Sudore
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Indumenti Braghe Mutande
Gurfu Maglione
Zinta Cintura
Camìsa Camicia
Màğia Maglia
Zoculi Zoccoli
Capè Cappello
Mandiletu Fazzoletto
Cauze Calze
Mandilu Foulard
Cauzun Pantaloni
Mànega Manica
Cruvata Cravatta
Müdande Mutande
Fanèla Canottiera
Scarpun Scarponi
Fassëa Scialu Fascia - striscia di Scialle tessuto per avvolgeScusadu re i neonati Grembiule Ğiülècu Staca Giacca Tasca Gunèla Zavate Gonna Ciabatte 31
Cucito Agučià Gugliata
Machina da cüsìe Macchina per cucito
Agùčia Ago
Pèza Toppa
Àsticu Elastico
Ruca Canna sopra cui si mette la lana da filare
Butun Bottone Càneva Canapa Cutun Cotone Didà Ditale Drapu Panno Fì Filo
Ruchetu Rocchetto di legno per il filo Sigareta Cilindretto di cartone per il filo Spečeti Occhiali Tesùa Forbice Velüdu Velluto Zinzùn Straccio
Füsu Fuso Ğiümè Gomitolo 32
Parentele Pa Padre
Nevuda Nipote - donna
Cumpagnu Compagno
Ma Madre
Cüsìn Cugino
Amigu Amico
Frè Fratello
Cüsina Cugina
Padrin Padrino
Suèla Sorella
Cügnadu Cognato
Madrina Madrina
Maì Marito
Cügnada Cognata
Ghiazu Padrino di battesimo
Muğée Moglie
Žéneu Genero
Ghiaza Madrina di battesimo
Fiğiu Figlio
Nëa Nuora
Fiğia Figlia
Sësuu Suocero
Ziu Zio
Sësua Suocera
Zia Zia
Nonu Nonno
Nevudu Nipote - uomo
Nona Nonna
Cumpae Compare Cumae Comare Testimoniu Testimone Paénte Parente
33
La Chiesa Autau Altare
Cruse Croce
Sagrestàn Sacrestano
Bardachìn Baldacchino
Ğese Chiesa
San Ğiuane San Giovanni
Batağiu der campane Batacchio delle campane
Inčénsu Incenso
Stendardu Stendardo
Lampiùn Lampione
Tùnega Tonaca
Limòsina Elemosina
Zéu Cero
Campana Campana Campanèla Campanella Campanin Campanile Campusantu Cimitero Candea Candela Candelieu Candeliere Cou Coro
Lüme Lume Lümìn Lumino Müağiùn Muraglione Munte da ğese Monte della chiesa Prete Prete Prucessiùn Processione 34
San Giovanni Decollato 29 agosto 1924
Colori Aranzùn Arancione
Russu Rosso
Biancu Bianco
Scüu Scuro
Čiau Chiaro
Verdu Verde
Culue Colore
Verdulìn Verdolino
Grižu Grigio
Viola Viola
Marùn Marrone
Žalu Giallo
Negru Nero
Zélèste Celeste
Rësa Rosa
Zéndea Cenere
36
Casa, attrezzi e altro Aadu de fèru Aratro di ferro
Baànza Bilancia
Aadu de legnu Aratro di legno
Baga Baccello
Ambüdu Imbuto
Bambasu Bambagia
Ančiostru Inchiostro
Banca Cassapanca
Ancüžena Piccola incudine su cui rifare il filo alle falci
Bancà Grossa cassa con due o tre divisori, dove si conservano granaglie e farina
Anè Anello Aradiu Radio Arbiu Vasca costruita con un tronco di legno per contenere il cibo dei maiali Arloğiu Orologio Armonica Fisarmonica
Banchéta Panca senza schienale Barì Soma, antica misura per il vino, 40 litri Batilardu Tagliere Bàtua Doppio bastone per battere mais, lana, fagioli Batüdu Pavimento 37
Baülu Baule
Brustulìn Tostino per segale e orzo
Bazile Catino
Büatu Buratto, setaccio molto fine
Bècu Bècco
Bucà Vaso da notte
Béna Simile alla traža, con sopra un grosso cesto fatto di salici
Büda de vaca Sterco di mucca
Bëra Fosso Bičéu Bicchiere Biédu Fossetta per incanale l'acqua dal rebuccu al mulino Boža Vasca fatta di zolle di terra, in cui raccogliere l'acqua Brase Brace Brazalétu Braccialetto Brunžu Paiolo in bronzo che si appende alla catena nel focolare
Bügada Bucato fatto nel cuncun Büsancu Buco Butazu Uovo che durante la cova è andato a male Bute Botte Butiğia Bottiglia Butiğiùn Bottiglione Ca Casa Cadena Catena 38
Cadenina Catenina Cagàğiue Sterco di pecora o coniglio Cağiàda Cagliata Caìžena Fuligine Campanè Campanello Canà Fiume Canèla Rubinetto in legno per la botte Canèla Matterello Cantau Stadera per grandi pesi Caratè Botte di media dimensione Carbùn Carbone Caréga Seggiola
Carégùn Seggiola un po più grossa, con i braccioli Cauzina Calcina Cavagnu Cesto con il manico Cavana Capanna Cazarola Casseruola Cazëa Cazzuola Čiapa Lastra di ardesia locale per coprire il tetto Čiave Chiave Čiodu Chiodo Corba Cesta portata dagli uomini Credenza Mobile da cucina Crépia Mangiatoia 39
Crévèlu der gran Setaccio per ripulire il grano
Cutèla Coltello per tagliare i tağiaìn
Crévèlu der mergùn Setaccio per ripulire il mais
Cutèlu Coltello
Cua Coda
Cutra Coltre
Cüčiau Cucchiaio
Cuvèrčiu Coperchio
Cugùn Tappo grosso centrale della botte
Cuvèrta Coperta
Cuìn Colino
Daa séčia Luogo dove si teneva il secchio con l'acqua da bere
Culana Collana
Duga Doga
Cumò Comò
Fauzin Falcino
Cumudina Comodino
Fëgu Fuoco
Cuncùn Grossa conca in terracotta usata per il bucato
Fén Fieno
Cupéta Tazza Cüsìna Cucina
Fénèstra Finestra Fiascu Fiasco 40
Filùn Fil di ferro Fissadüa Fessura Foğia Fascine di rami con le foglie, foraggio per l'inverno Fòrbesa Forbice Frudéta Federa Fùndegu Fondo Furcùn Forca Furnasa Fornace dove si cuoceva la calce Furnélétu Fornello a carbone Furnu Forno Furzigna Forchetta
Fusiğiau Focolare, ripiano in pietra o mattoni per accendervi il fuoco Grade Soffitto di travicelli sopra cui si mettevano le castagne ad essiccare Gramofunu Grammofono Grana Chicco, es. grano, mais, fagiolo Grèsta Crèsta Grüpu Nodo Gumiéa Vomere dell'aratro Güssa Buccia, es. noce Lavadùa Pezzuola di stoffa con cui si lavavano i piatti Lénzë Lenzuola Lérpegu Erpice 41
Lìntima La stoffa del materasso
Màsina Màcina del mulino
Lüse Energia elettrica
Masinìn Macinino per l'orzo o caffè
Machina dee castagne Macchina a motore per sbucciare le castagne
Mastra Madia
Machina der gran Trebbiatrice Machina du zurfatu Irroratrice per il verderame, con stantuffo interno azionato a mano Machina du zurfeu Macchina con mantice interno azionato a mano, per lo zolfo in polvere Maghétu Stomaco della gallina Mandulin Mandolino Manéčia Maniglia Mànegu Manico
Maza de mérgùn Pannocchia di mais Medağéta Medaglietta Mésčiua Schiumarola Mésčiuìn Mescolino Messùa Falce Mòğiua Molle per la brace Müağia Parete Muìn Mulino Murağia Museruola per i buoi
Martè Martello 42
Murtà Mortaio
Picu Piccone
Müu Muro
Picùlu Picciolo
Nòčiua Nocciolo tipo pesca
Pindàna Piccolo tralcio di vite con grappoli di uva da conservare
Nučiuìn Nocciolo piccolo tipo ciliegia Padèla Padella Paë Paiolo Pagliéu Palero Pagnéa Cesta piatta portata dalle donne Pendin Orecchini Pentulìn Piccola pentola Piatu Piatto Pìčia Macchia - di inchiostro, o della pelle
Pisàn Ciotola in terracotta smaltata Pizétu Stecca di ferro per muovere la brace Porte Porta Preda Vasca in arenaria Présùe Presame, caglio Püa Polvere Pügnata Pentola Püma Piuma Pümazu Guanciale 43
Ramisana Damigiana Rampìn Piccola zappa con due denti Rampùn Zappa con due denti Rapu Grappolo Rebucu Grande vasca al lato del ruscello in cui raccogliere l'acqua per il mulino
Rüscu Pula, involucro dei chicchi di grano Rusìğiu Torsolo Rüžena Ruggine Sacùn Antico materasso di vegetali, anche di mais Saréta Sega
Rëda Ruota
Saùn Sapone
Rèsca Lisca
Scaa Scala
Revègnu Giocattolo, o oggetto di poco conto
Schëa Scuola
Rožu Scompartimento del bancà Rübu Antica misura, 8 Kg, usata prevalentemente per il peso dei maiali
Scorza Buccia - di patata o frutta, e scorza di alberi Scùdesa Striscia piatta di legno da intrecciare per costruire cesti Secadùe Locale con il fusiğiau nel mezzo, e sopra la grade 44
Séčè Secchio zincato, usato per mettere l'acqua della fontana
Strédu Piano superiore della stalla dove si mette il fieno
Següa Accetta
Strùpiu Stoppia
Seradüa Serratura
Stüa Stufa
Sguapasta Colapasta
Stücu Stucco
Soğiu Contenitore di legno per il vino
Suau Solaio o pavimento di tavole
Soma Sudazu Soma, antica misura per il vino, Setaccio 80 litri Sufietu Spazu Soffietto per zolfo in polvere Scopa per pulire il forno Suga Spilùn Lunga corda con cui si Spilla guidavano i buoi Stàbiu Piccola stalla per il maiale
Sügaman Asciugamani
Stala Stalla
Sügheétu Accetta piccola
Stanza Camera
Sughétu Corda
Strapünta Trapunta
Sünža Sugna del maiale 45
Suracu Saracco
Televisiun Televisione
Sveğia Sveglia
Tèstu Grosso coperchio ricoperto di cenere, per cottura al testo
Tağëa Cuneo per spaccare la legna Talu Stelo con i semi delle cipolle o porri Tanağe Ferro a forma di tenaglia, applicata al naso dei buoi Tanağia Tenaglia Tasca Sacco di canapa Taulìn Tavolino Taulùn Tavolone Tèčia Roccia Téčiu Tetto Téğia Teglia
Tiabrase Atrezzo per togliere la brace dal forno Tiabüssùn Cavatappi Tiétu Cassetto del tavolo in cui si tengono le posate Tizùn Tizzone Toa Tavolo Torčiu Torchio Tramežàna Parete divisoria Travu Trave Traža Treggia - slitta con aste di legno al posto delle ruote, che si attacca al giogo dei buoi 46
Trempelada Ferraglie e scatole vecchie usate l'ultimo dell'anno per scacciare l'anno vecchio Trépié Treppiede Trumba Tromba Truvelina Verrina Tuağia Tovaglia Tübu Tubo Urganetu Armonica a bocca Valu Vaglio Vanga Vanga
Viulin Violino Zapa Zappa Zapë Zappa piccola Zéndea Cenere Zérzi Cerchi della stufa Zuféè Zuffolo di scorza di castagno Züpiéa Zuppiera Zurfatu Solafato di rame Zurfeu Zolfo Žuvu Giogo per i buoi
Védru Vetro Véğia Veglia - andare a veglia Vérčiùn Chiavistello 47
A bàtua Sarebbe interessante spiegare ed illustrare l‟uso di tutti gli attrezzi ricordati, ma sarebbe anche un lungo lavoro. Per ora ci accontenteremo di provare a spiegarne uno “ a bàtua”. Questo attrezzo svolge il compito di un comune “bastone” di legno usato per “battere” i vari prodotti secchi da sgranare, come fagioli e mais, inoltre anche per rendere soffice la lana dei materassi. La “bàtua” è composta da due legni, uno dei quali va tenuto in mano, l‟altro si fa roteare in aria, ed a ogni rotazione viene dato il colpo sul prodotto interessato. Il bastone che si tiene in mano si chiama “antunìn”, ed è fatto di legno leggero tipo l‟olmo o il sambuco. Il bastone che rotea e da il colpo si chiama “verghétu”, deve essere di un legno pesante e deve resistere ai colpi, tipo il frassino. Ad una estremità del legno che si tiene in mano vi è un anello libero di ruotare come un moschettone, collegato all‟estremità del legno che batte, con una striscia di cotenna di maiale, molto resistente per questo uso. Il colpo che si da con la “bàtua” è molto più forte che con un bastone comune, è un attrezzo semplice ma anche molto robusto, perchè deve resistere a colpi e contraccolpi, ed anche a eventuali colpi sbagliati che invece di finire sui prodotti, colpiscono il cemento dell‟aia, dove comunemente vengono stesi ad essiccare.
48
A bàtua
Gli attrezzi
L’ancüžena
A traža
A béna
Erbe varie, funghi, frutta spontanea Buniaga Ononide - erba con spine pungenti Buràžena Borragine - erbetto
Erbu spigu Lavanda Farana Erba infestante
Burnisòtu Fungo - Mazza di tamburo
Farùn Fungo non commestibile, simile al porcino
Camamila Camomilla - erba medicinale
Férsa Felce
Castagna Castagna
Finočiu sarvàdegu Finocchio selvatico
Ceesa sarvàdega Ciliegia selvatica
Frola Fragola
Còcu Fungo - Ovolo
Fünžu de pin Fungo - Pinerolo
Cresùn Crescione
Gağinè Fungo - Giallarello
Culumbina Fungo commestibile
Gamba russa Vetriola o parietaria
Didèla Fungo - Manina
Gavaza Fungo commestibile
Erbi - erbeti
Ğianda Ghianda
Erbetti vari in genere, da lessare
52
Gramigna Erba infestante
Pignë Pinolo
Lampùn Lampone
Pissalètu Tarassaco - erbetto
Léngua de can Lingua di cane - fungo
Ramelòtu Erbetto
Lofa Fungo non commestibile
Russuèla Papavero non ancora fiorito - erbetto
Lòğiu Loglio - erba infestante del grano
Russuèla Fungo - Rossola
Marcuèla Mercorella - erba infestante
Sanguina Fungo commestibile
Mora Mora
Sérvu Porcino
Naspéùn Asperella - erba con foglia e tronco pungenti
Sésérbua Erbetto
Pağia Paglia Paléte d'armotu Frutto del corbezzolo Pastunàga Varietà di carota selvatica Pèrčiua Mirtillo
Simunìn Fungo commestibile Smarva Malva - erba medicinale Susénè Frutto del prugnolo Trefoğiu Trifoglio 53
Ueče d'àsin Erba con fiori somiglianti alle orecchie di asino Urdenau Fungo - Cortinaro
Vezùn Veccia Zimi de güzarna Cimi di vitalba - erbetto Žìžula Frutto della rosa canina
Urtìga Ortica Vezéti Erba rampicante, che si attorciglia come i fagioli
Žüncu Giunco
Mais e fagioli al sole nell’aia
54
Prodotti dei campi Ağiu Aglio
Mergun Mais
Üva Uva
Basércu Basilico
Patata Patata
Zigùla Cipolla
Bieda Bietola
Pésèla Pisello
Züca Zucca
Bràssega Tipo di cavolo rustico
Peveùn Peperone
Césu Cecio Cou Cavolo Fasë Fagiolo Gnifra Tipo di carota per animali Gran Grano Lupìn Lupino
Pumata Pomodoro Purdessému Prezzemolo Ravu Rapa Rusumaìn Rosmarino Sàrbia Salvia Ségre Segale Sèlu Sedano 55
Cibi Aigua Acqua
Coi strizà Cavoli lessati e poi strizzati
Asédu Aceto
Cundidu Pezzetto di lardo salato e pepato
Bacaà Baccalà
Curdèle Tagliatelle
Baléti Castagne bollite senza togliere la buccia, ballotte
Destrütu Strutto
Bescoti Biscotti
Ëvu Uovo
Brodu Brodo
Faina Farina
Buğì Lesso
Fainada Farinata
Bùrdeghi Castagne bollite, sbucciate in parte, con alloro e sale
Frità Frittata
Castignazu Castagnaccio Coi a zimu Cavoli lessati, colati grossolanamente
Fügazeta Focaccetta di mais Furmağiu Formaggio Grusta Sfoglia 56
Late Latte
Panigazu Testarolo
Levàda Pane cotto in una teglia al testo
Patùna Panetto di farina di castagne, avvolto da foglie di castagno, cotto al forno
Levadùe Lievito Menestrina Minestrina Menestrun Minestrone Mesčiada Pane di farina mista di grano e castagne, cotto in teglia al testo Miéa Miele Mundine Caldarroste Oliu Olio Padéléti Frittelle Pan Pane
Peve Pepe Pulenta Polenta Recota Ricotta Repién Sformato di riso, ripieno di fegatini, cotto al forno in un recipiente semisferico Risu Riso Sa Sale Sangunazu Sanguinaccio Sausiza Salsiccia Stucafissu Stoccafisso 57
Sügu Sugo
Turùn Torrone
Tağiain Tagliolini
Vin Vino
Ti Tè
Vinèla Vino leggero, ottenuto con l'aggiunta di acqua al raspo
Turdè Raviolo Turta Torta
Zücheu Zucchero Züpa Colazione di pane e caffelatte
58
Nei campi Antorta Vegetale di vario tipo, ritorto, che fa le veci di una corda Autedu Pergolo Brasu Porzione di terreno seminato Broca Tutore di legno o canna per i fagioli Čiudéntena Siepe fra i campi e le strade, come un recinto Frëdà Solco fatto mentre si vanga Funtana Fontana Funtanèla Fontanella Ledame Concime stallatico
Manè Fascina di legna, fieno o altro Maséa Muro a secco Maseùn Mucchio di sassi tolti dai campi Pağiau Pagliaio Passùn Palo per la vite Pèrtega Palo per il pagliaio, o lungo palo in genere Piana Campo di dimensioni grandi Pianè Campo di dimensioni medie Pianélétu Piccolo campo Požu Poggio
Malùn Zolla 59
Ranganè Tronco di legno portato in spalla Résa Radice Scàğiu Ramo a cui si aggrappano i tralci della vite Sčéa Filare di viti
Scürtùn Scorciatoia Surcu Solco Tiadè Piccolo palo a cui si lega un tralcio di vite Žiùn Margine del campo incolto Zoca Ciocco di albero o di erica
60
Animali selvatici Anguila Anguilla
Lighë Ramarro
Bèlua Donnola
Luvu Lupo
Bissa Serpe
Parpağiùn Pipistrello
Bissa dar culaìn Serpe con un disegno nel collo simile a un collare
Pessu Pesce
Bissa guërza Orbettino Fuìn Furetto Gatu spüzu Molto raro - probabilmente una varietà di gatto selvatico Gliésua Lucertola Gliévua Lepre Gurpe Volpe
Ràina Rana Ratu Topo Rizu Riccio Rospu Rospo Ruspàa Biscia di colore scuro che mangia anche i rospi Sansügua Sanguisuga Sghiu Ghiro 61
Tassu Tasso
Žarla Scoiattolo
Vaca vaëa Salamandra
Zavatùn Rospo grosso
Verdùn Biscia di colore chiaro tendente al verde
Zìlua Simile al topo - Moscardino
Vipua Vipera
I bë
62
Animali domestici Agnè Agnello
Galu Gallo
Védè Vitello
Ànitra Anatra
Gatu Gatto
Zoza Chioccia
Àsin Asino
Mülu Mulo
Bë Bue
Muntun Ariete
Bécu Bécco
Oca Oca
Can Cane
Piegua Pecora
Cavalu Cavallo
Pitu Tacchino
Crava Capra
Porcu Maiale
Cravetu Capretto
Pulìn Pulcino
Cuniğiu Coniglio
Tou Toro
Gağina Gallina
Vaca Mucca 63
Uccelli Àgučia Poiana
Farchetu Falco
Picarazu Picchio
Bécaza Beccaccia
Fringuè Fringuello
Reatìn Scricciolo
Bécazìn Beccaccino
Galetu marzë Upupa
Sturlengu Storno
Crovu Corvo
Güfu Gufo
Testa negra Capinera
Cua russìn Codirosso
Lodua Lodola
Tetavaca Succiacapre
Cua russùn Codirossone
Lucu Allocco
Turdu Tordo
Cucü Cuculo
Merlu Merlo
Turtuèla Tortora
Culumbu Colombo
Pàssua Passero
Üsè Uccello in genere
Dügu Animale con grandi ali e artigli - fantasia popolare. Potrebbe essere stato il Grifone.
Pernìsa Pernice
Usignë Usignolo
Pèturussu Pettirosso
Zivétua Civetta
64
Insetti e altri animaletti Apia Ape
Lümaga Lumaca
Vespua Vespa
Babòla Mùscua Dorifora delle patate Mosca
Žanè Verme delle Castagne
Barbàtua Farfalla notturna
Muscuìn Moscerino
Bigu Verme
Muscùn Moscone
Bisacan Bruco
Pinzocu Tonchio
Càmua Camola
Piòčiu Pidocchio e afide
Cavaléta Amantide religiosa
Pürsa Pulce
Farfala Farfalla
Schinzétu Verme del Formaggio
Gavarèla Maggiolino Gavarùn Calabrone
Zelizùn Parassita dei polli Zétega Zecca Zigàa Cicala
Scurpiùn Scorpione Tavan Tafano
Grilu Grillo 65
Zìmesa Cimice
Alberi e arbusti Anüdàn Ontano
Fràssan Frassino
Arbaèla Pioppo
Fuacü Varietà di carciofo selvatico
Arfoğiu Alloro
Glénea Edera
Armotu Corbezzolo
Guerza Quercia
Bocu - fuscu Prugnolo
Güzarna Vitalba
Bussu Bosso
Liza Leccio
Cacu Caco
Muru Gelso
Carpanìn Carpino
Nizëa Nocciolo
Castagnu Castagno
Nuse Noce
Custu Erica
Pèrsegu Pesco
Figu Fico
Petalengua Rosa canina 66
Péu Pero
Scorzasangue Sanguinella
Pin Pino
Susena Susino
Pin dumèstegu Pino domestico
Uiva Olivo
Pumu Melo
Urmeu Olmo
Pünžaratu Agrifoglio e Pungitopo
Vigna Vite
Raisùn Varietà di erica bassa ad arbusto
Zeesa Ciliegio
Raža Rovo Rubina Acacia Rùvea Rovere Sambügu Sambuco
Zeesa maina Ciliegio amareno Žénèstra Ginestra Ženéveu Ginepro Zèru Cerro
Sarsu Salice
67
Luoghi Ai custè
Carmu
Ar bastardu
Càrpena
Ar božu
Cava
Ar požu
Cavanà
Arbaèle
Cave
Au lagu
Čiosa
Bandida
Costa
Basa pié
Costa da sèra
Bastiàn
Costa der frëde
Bëra der božu
Costa du lagu
Bëra der patà
Cùbiu
Bëra der piàn
Cücheu
Bëra du sartu
Culaéza
Bulugnu
Culéta
Büscàa
Curniëa
Bužéti
Custè russu
Campebùn
Daa cruse
Campi
Daa ğese
Campu
Daa puza
Campuìn
Daa tana
Canè
Daa teleferica
Cantunzè
Dai cavaleti 68
Dar muìn
Lazàa
Dar pin dumèstegu
Mağë
De la daa fauza
Moğe
Fauza
Munte Negru
Figu de Želantognu
Nuséta
Fossu
Ortu da canùnega
Fòssua
Ortu da Milieta
Frédàn
Ortu di Beveinoti
Fua cü
Péarbeu
Funtana
Péna
Funtana del'àsin
Piana
Funtane
Piana da Delina
Funtanédu
Piana de Biasìn
Funtanèla
Piana de Nastasìa
Ğiambrétu
Piana de Pieu
Ğiardìn
Piana deği'orti
Grüža
Pianèla
Grüža der farau
Piažu
La da frate
Piò
L'aa de Tumìn
Pissàa
L'aéta
Pissaùn
Lama bianca
Pitùn
Lama de Zalàn
Pitunétu
Lamàie
Pradeschè
Lame bianche
Pradi 69
Puzàqui
Strenà
Quadri
Surchétu
Quelu de Vepu
Surcu da vale
Ratuìn
Téčia da fusìna
Rebucu
Uive
Rëta
Umbrelìn
Runchètu
Vaisèla
Sabiùn
Vale
Sarvàdegu
Vazì
Sassu pau
Vignasenta
Scainada
Vigne
Segàu
Vile
I cerri
Sérva
70
Verbi Acavezae Fare fascine di erba o fieno
Amprestae Prestare
Adacquae Innaffiare
Amuae Affilare, arrotare
Ağiüstae Aggiustare
Amüčiae Ammucchiare
Ağiütae Aiutare
Ančiudae Inchiodare
Aizasse Alzarsi
Anfiascae Infiascare
Ambiancae Imbiancare
Anfrizae Infilzare
Ambrucae Piantare nei solchi i tutori di canna o legno per i fagioli
Anfurnae Infornare
Ambutae Togliere il vino dalla botte Ampağiae Impagliare Ampastae Impastare Ampilae Impilare
Angavetasse Impigliarsi Arampigasse Arrampicarsi Arbechelasse Bisticciarsi Arbütelasse Dimenarsi 71
Arcauzae Rincalzare
Bağiae Abbaiare
Arcuntae Raccontare
Basae Baciare
Arevie Aprire
Bàte Battere
Arğiümelae Raggomitolare
Beàe Belare
Argusae Urlare
Beve Bere
Armesčiae Rimescolare
Bisutae Bisbigliare
Arpusasse Riposarsi
Brüsae Bruciare
Arsuae Risuolare
Brustulie Abbrustolire
Asetasse Sedersi
Buğìe Bollire
Avée Avere
Caminae Camminare
Azende Accendere
Cantae Cantare
Ažüntae Congiungere, unire
Cavae Levare
72
Chinae Scendere
Destetae Svezzare
Čiamae Chiamare
Die Dire
Cruvìe Coprire
Durmie Dormire
Cuğie Raccogliere
Ésse Essere
Cundie Condire
Fae Fare
Cuntae Contare
Fiae Filare
Cüsìe Cucire
Fisčiae Fischiare
Dasse a gavartèla Essere talmente stanchi da inciampare nei propri piedi, avere la fiacca
Fregae Fregare
Descargae Scaricare Descruvie Scoprire Desligae Slegare
Frize Friggere Gratae Grattare Guardae Guardare Lavuae Lavorare
Desmüčiae Smucchiare 73
Lèze Leggere
Piantae Piantare
Ligae Legare
Pistae Picchiare
Manğiae Mangiare
Pregae Pregare
Mete Mettere
Pudae Potare
Mügnae Muggire
Pulìe Pulire
Muntae Salire
Purtae Portare
Mùnže Mungere
Rancae Sradicare
Nusuae Annusare
Rastelae Rastrellare
Parlae Parlare
Rempie Riempire
Pesae Pesare
Runcae Sarchiare
Petenae Pettinare
Sbagae Togliere dal baccello
Petüae Pitturare
Sbagliae Sbagliare
74
Scanzelae Cancellare
Sfuğiae Sfogliare
Scarfuğiae Scartocciare il mais
Sgnaurae Miagolare
Scarmignae Strigare, allargare la lana
Sgranae Sgranare
Scaudasse Scaldarsi
Smurzae Spegnere
Scrive Scrivere
Spacae Spaccare legna, sassi ecc.
Scuzae Rompere
Spazae Scopare
Secae Essiccare
Sperlenghie Bramare, desiderare ciò che si vede mangiare da altra persona
Segae Segare Semenae Seminare Serae Chiudere Sfrascae Sfrascare Sfregae Sfregare
Spianae Spianare Spinže Spingere Strabücae Inciampare, cascare Stranguàsse Ingozzarsi Strassinae Trascinare 75
Stravarcae Scavalcare
Tiae Tirare
Stremenae Vuotare accidentalmente
Tunde Tosare
Stribiae Tritare
Vande Usare il vaglio
Sudazae Setacciare
Vede Vedere
Sunae Suonare
Vëitae Vuotare
Surcae Solcare
Vendegnae Vendemmiare
Svëitae Vuotare
Vestisse Vestirsi
Tağiae Tagliare
Zapae Zappare
Tağiae er gran Mietere
Zernìe Scegliere
76
Nomi di persone Come per ogni raggruppamento di vocaboli, anche in quello dei nomi potrà esserci più di una dimenticanza, inoltre in questo caso è stato posto il limite di non mettere i nomi di persone nate dopo il 1940. I nomi in dialetto possono subire delle storpiature, che a seconda di come e in che contesto vengono usate, possono assumere un carattere: affettuoso, spregiativo, di richiamo, complimentoso, di rimprovero, canzonatorio. Per non fare torto a nessuno, userò il mio nome “Sergio”: Seržu - Seržìn - Seržétu - Seržinè - Seržèi Seržè - Seržò - Seržùn - Seržazu.
Andra Andrea
Arvira Elvira
Andrea Andrea
Bačè Battista - da Gio: Batta
Anğiulìn Angelo
Bačičiu Battista - da Gio: Batta
Ardinu Aldo
Bačìn Battista - da Gio: Batta
Arfrédu Alfredo
Basiliu Basilio
Arnèstu Ernesto
Carmela Carmela 77
Carola Carolina
Dumenega Domenica
Ğiuanìn Giovannino
Chiletu Achille
Durfu Adolfo
Ğiüsepe Giuseppe
Culurinda Clorinda
Elena Elena
Guerinu Guerrino
Custantìn Costantino
Elsa Elsa
Ìnesse Ines
Cutìrda Clotilde
Eture Ettore
Italina Italina
Dalia Dalia
Eusebiu Eusebio
Ivana Ivana
Dante Dante
Fedelina Fedelina
Lavigna Lavinia
Delina Adele
Francu Franco
Lidia Lidia
Dina Dina
Franzescu Francesco
Lina Lina
Dinu Dino
Gabriela Gabriella
Linda Linda
Dora Dora
Ğiacumìn Giacomo
Linu Lino
Driana Adriana
Ğiuàn Giovanni
Lissandrìn Alessandro
78
Lissandru Alessandro
Màlia Amalia
Nelu Nello
Lissè Alessandro
Manuèlu Emanuele
Norma Norma
Lisseu Alessandro
Maria Maria
Paulina Paola
Lissò Alessandro
Marisa Marisa
Pierina Pierina
Lucianu Luciano
Mariu Mario
Pietrìn Pietro
Luenzu Lorenzo
Mèlia Amelia
Pinetu Pino
Lüviğetu Luigi
Meri Meri
Renatu Renato
Lüviğina Luigia
Miliéta Emilia
Rina Rina
Lüviğiu Luigi
Miliétu Emilio
Savelìta Savelìta
Mabile Amabile
Miliu Emilio
Sirvanu Silvano
Maiana Marianna
Minghetu Minghetu
Sufia Sofia
Maiéta Maria
Nastasìa Anastasia
Suntina Assunta
79
Tanibèrtu Tanibèrtu
Veržiliu Virgilio
Žènia Eugenia
Teofilu Teofilo
Vinzensa Vincenza
Žina Gina
Tiliétu Attilio
Vitoriu Vittorio
Žinu Gino
Tugnìn Antonio
Žélantognu Gio: Antonio
Žüliana Giuliana
Tuliu Tullio
Zelide Celide
Žüliéta Giulia
Tumìn Tommaso
Žèma Gemma
Žüliu Giulio Gruppo di beveronesi 1947~48
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I racconti del fusiğiau
Nei tempi passati, mentre si lavoravano i campi, o durante le veglie attorno al focarile, si usava narrare racconti, storielle, proverbi e filastrocche. Quasi sempre da questi racconti si potevano trarre dei “buoni insegnamenti di vita”, e cosa che non guastava, portavano anche un po‟ di allegria. Chissà se letti oggi potranno ottenere lo stesso effetto; oggi che “stare ad ascoltare” sembra sia passato di moda. Alcune storielle saranno conosciute anche in altri paesi, altre da altri paesi ancora; anche se in piccola parte, rappresentano il legame che vi era fra i vari paesi, una parte del nostro passato. 81
Er busardu Se ün tu cugnussi per busardu, én te ghé crédi mancu quande u te disa a véità. Se uno lo conosci come bugiardo, non gli credi nemmeno quando ti dice la verità.
Balé cumpae Balé balé cumpae, che l’è dé carnevale, che poi végnià a quaesima, e a né pudeé pù balae. Ballate ballate compare, che siamo in carnevale, poi verrà la quaresima, e non potrete più ballare. È meglio godersi le cose belle della vita finché si è in tempo, che domani sarà troppo tardi.
E campane de Madrugnàn E campane de Madrugnàn, suna én chë suna dumàn, tϋti i ğiurni i suneàn. Le campane di Madrignano, suona oggi suona domani, tutti i giorni suoneranno. In dialetto Madrignano diventa Madrignàn, la storpiatura Madrugnàn era necessaria per la rima perfetta. Madrignano è di fronte a Beverone e le sue campane si sentono bene quando suonano, non potevano mancare in un proverbio. 82
I frati de Bulàn I frati dé Bulàn i n’an savü ni a fae ni a die, e i sen persi zentu lie. I frati di Bolano non hanno saputo né fare né dire, cioè non hanno saputo comportarsi adeguatamente, e si sono persi cento lire. C‟era un signore di Bolano molto ricco a cui era morto il cane. Gli era molto affezionato ed era rattristato per la sua scomparsa. Come segno di affetto andò dai frati e chiese loro se potevano fargli il funerale, dicendo che era disposto a spendere anche cento lire per questo favore, una discreta cifra per quei tempi. Ma i frati risposero che non era possibile, questo favore proprio non glielo potevano fare. Allora il signore andò dal prete, ma anche questi gli rispose che non era nelle regole e non si poteva fare. Poi però dopo aver sentito delle cento lire disse che si poteva fare, facendo la cosa in modo riservato senza clamori, e quel signore fu accontentato. La morale è che a volte cercando un accordo si possono accontentare sia gli altri che se stessi. Da li, quando uno si vuol comportare punto e virgola, il detto: “non farai mica come i frati di Bolano che per la loro intransigenza, persero una opportunità”!
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De vinti e de trenta Se dé vinti né ghé n’è, de trenta né sen cava. Se a vent‟anni di comprendonio ce n‟è poco, però ci potrebbe essere ancora qualche speranza, quando non ce n‟è a trenta non c‟è più rimedio.
Gli ottanta carnevali Un giorno venne chiamato il medico per visitare una donna ammalata che aveva passato l‟ottantina da un bel pò. Il medico visitò la donna e poi se ne andò. Ma mentre stava andando via, il figlio della donna disse al proprio figlio: corri, vai dal medico e digli che si è dimenticato di fare la ricetta. Il ragazzo raggiunse di corsa il medico e gli disse ciò che gli aveva chiesto il padre. Il medico rispose: hai ragione, mi sono dimenticato. Prese carta e penna e dette un foglietto al ragazzo. Questi tornò dal padre che lesse il foglietto su cui era scritto: quando un‟anima è salita agli ottanta carnevali si può metter gli stivali per andare all‟altra vita. In pratica, non si può credere di essere eterni, più che vecchi non si diventa.
Cumae e cumpae I protagonisti della storia sono il lupo e la volpe. Come succede in questi casi il lupo è maschio e la volpe è femmina, lui 84
si rivolgerà a lei chiamandola comare, viceversa lei si rivolgerà a lui chiamandolo compare. Naturalmente i due saranno sempre in cerca di qualche furberia da compiere ai danni dell‟uomo. Questa volta cercavano qualcosa da mangiare senza far fatica e girellavano attorno alla casa del contadino che era però ben chiusa. Gira e rigira vedono un finestrino, e dopo un pò di sforzi riescono ad entrare in casa. Nel bel mezzo della stanza c‟era un gran pentolone con dentro il latte accagliato per farne formaggio. I due si misero a magiare questa bontà con ingordigia. La furba volpe pensò di provare ad uscire dal finestrino, casomai a forza di mangiare gli fosse venuta la pancia troppo grossa impedendogli di uscire. Mangiò ancora rifacendo però ogni tanto la prova. Poi al momento giusto smise ed usci andando a farsi una bella dormita sotto un‟albero, mettendosi una manciata di latte accagliato sulla testa, vedremo poi il perchè. Il lupo continuò a mangiare senza ritegno a crepapelle, però poi quando provò ad uscire purtroppo si accorse che ere intrappolato. Arrivò il contadino che trovandolo in casa sua, vista la confusione e il furto, gli dette un sacco di bastonate. Il povero lupo dolorante per le botte prese, e zoppicante, si diresse verso il bosco lamentandosi: ohi ohi che botte, ho le ossa tutte rotte. Trovò poi la volpe che se la dormiva sotto l‟albero con la cagliata in testa, e continuò a lamentarsi. La volpe si svegliò e gli chiese: cosa c‟è compare che ti lamenti? Rispose il lupo: comare, mi ha trovato il contadino e mi ha dato un sacco di legnate. Allora disse la furba volpe: non mi dire niente, anche a me, guarda mi ha dato una botta in testa che mi è uscito anche il cervello. Allora il lupo disse: povera comare, vieni che ti porto in spalla, e ce ne andiamo a casa nostra. Mentre erano in cammino, la volpe non contenta di abusare del povero lupo, si mise a canticchiare: arlinlà per pian ghè en maòtu cu porta u san “nel pianura c‟è un malato che porta un sano”. Dopo un pò di questa cantilena il lupo chiese: cuse te disi cumae? “cosa dici comare”? E la volpe prontamente: gnete, gnente, a vagu pe a vanìa “niente, niente, vaneggio”. 85
Figu figu Figu figu figu, quande a iu vivu ne te févi mancu en figu, adessu che sun mortu ti fa picùlu stortu. Fico, finche ero vivo non facevi nemmeno un fico, adesso che sono morto li fai col picciolo storto, (cioè buoni). Grosso modo ha lo stesso significato di: quando avevo i denti non avevo di pane, adesso che ho il pane non ho più denti.
Dé tera Chi dé tera nassa, tera raspa. Chi nasce dalla terra, la terra rasperà. Chi nasce contadino non si faccia troppe illusioni, dovrà lavorare la terra.
En te l’ortu A sun andà én te l’ortu, ho atruvà en gatu mortu. A g’ò tağià er gambe, a g’ò fatu quatru stanghe, a g’ò tağià a cua a g’ò fatu na messùa, a g’ò tağià ği’ueče e a g’ò fatu due trumbéte. Sono andato nell‟orto e ho trovato un gatto morto. Gli ho tagliato le gambe, ne ho fatto quattro stanghe, gli ho tagliato la coda, ne ho fatto una falce, gli ho tagliato gli orecchi e ne ho fatto due trombette. 86
Zentu sorte Chi ne mëa de fassëa zentu sorte se n’a prëva. Chi non muore in fasce, ne proverà cento. Cento equivale a dire tante, cioè tante esperienze, belle e meno belle.
Pistae l’aigua L’è cume pistae l’aigua en ter murtà. E‟ come pestare l‟acqua nel mortaio. Si diceva di persone, specialmente ragazzi, che più gli si diceva di fare le cose in un certo modo, e più facevano di testa loro, combinando qualche guaio.
Trope caze Chi atende trope caze l’üna a sfüže l’atra a scape. Chi vuol fare troppe cose tutte assieme, una gli sfugge e l‟altra pure. E‟ un beverenose non puro, che si concede delle licenze poetiche per la rima, però come gli altri ha una bella morale.
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Tre donne alla fontana Tre donne andarono alla fonte a lavare i panni e prendere l‟acqua. Mentre erano attorno al lavatoio, la prima donna raccontò alle altre che suo figlio era molto bravo a fischiare tanto da somigliare ad un usignolo. La seconda allora raccontò del suo, bravissimo a far capriole, così leggero da sembrare una farfalla. Visto che la terza donna non diceva nulla, le altre due le chiesero cosa sapesse fare il suo. Lei rispose che suo figlio era un bravo ragazzo, però non era bravo né a fischiare né a far capriole. Poi le tre donne presero la via del ritorno ben cariche, con il secchio dell‟acqua sopra la testa ed il catino con i panni sotto il braccio. Ad un certo punto ecco i figli delle tre donne che venivano loro incontro. Il figlio della prima prese a fischiare così bene che la mamma rivolgeva sguardi pieni di orgoglio verso le altre. Così pure fece la seconda quando suo figlio si mise a far capriole una dietro l‟altra. Il figlio della terza donna non fischiò né fece capriole, ma andò incontro a sua madre, le prese il catino dei panni che aveva sotto il braccio e se lo mise sotto il proprio, togliendole così un po‟ di fatica sulla via del ritorno.
Al lupo! … al lupo! C‟era un ragazzo che troppo spesso prendeva per scherzo ciò che andava preso sul serio. Un giorno si allontanò un pochino dal paese e poi si mise a gridare “al lupo! … al lupo!”. Tutti i paesani corsero in soccorso alla richiesta di aiuto, ma trovarono il ragazzo che se la rideva per lo scherzo fatto. Alcuni giorni dopo stessa storia e ancora tutti corsero in aiuto. Pochi giorni dopo il ragazzo gridò ancora “al lupo! … al lupo!”. Nessuno accorse pensando al solito scherzetto, però questa volta il lupo c‟era davvero. Non era stata una bella cosa prendersi gioco del prossimo. 88
La storia del cogone Nel passato si usava prendersi in giro fra i vari paesi inventando storielle o filastrocche, a volte leggere a volte un po‟ meno. Questa rientra tranquillamente fra quelle leggere, ed era stata inventata da “quelli” di Stadomelli per “quelli” di Beverone. Eh si, Beverone è proprio un bel paesino, ed è bello ritrovarsi nella sua chiesa lassù in cima al monte. Però in questa chiesa manca il pulpito, che è indispensabile nelle feste solenni quando è piena di persone, ed il predicatore lì sopra è ascoltato e visto meglio da tutti. Stufi di sentirsi ripetere sempre di questa mancanza, i beveronesi tentarono di porvi rimedio in questo modo: Alla fine di agosto, quando ricorre la festa del loro patrono, San Giovanni Decollato, e nelle botti ormai il vino incomincia a scarseggiare, ne presero una vuota e bella grossa, la ricoprirono con un telo rosso, e così ebbero anche loro un bel pulpito. Al momento dell‟omelia, il frate predicatore invitato per l‟occasione, salì sulla botte ed incominciò a predicare. Forse i fondi della botte non erano stati tirati bene, forse il frate durante il suo predicare si muoveva troppo, fatto sta che i fondi si staccarono dal loro alloggio ed il poveretto sparì di colpo dentro la botte. Trovandosi davanti agli occhi il buco del cogone, che è il tappo al centro della botte, dato che la predica era praticamente finita e mancava solo la conclusione, con grande presenza di spirito disse: Popolo di Beverone! L’ultima cosa ve la dico dal buco del cogone! Forse sembrerà una storiella banale che non fa nemmeno ridere, però bisogna provare a rileggerla cercando di andare indietro con gli anni, quando la vita era molto più semplice, quando non si cercavano i grandi effetti speciali. Provare ad immaginarsi la scena con la propria fantasia, scena che raggiunge il suo culmine con la rima “Beverone - cogone”. 89