Vocabolario del dialetto di Beverone - seconda edizione

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Vocabolario del dialetto di BEVERONE 1


1ÂŞ edizione Maggio 2008

2ÂŞ edizione

Beverone 2018 Con aggiornamenti e correzioni.

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Sergio Antognelli

Beverone Parole per ricordare

Breve dizionario di cose e persone

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Presentazione Numerose sono le lingue quotidianamente minacciate di estinzione, proprio come molte specie animali e vegetali: ogni giorno rischiamo insomma di rimanere inesorabilmente più poveri di varietà culturali e naturali. Si stima che annualmente muoiano una sessantina di lingue e dialetti, degli oltre seimila parlati dall’uomo. Nel drammatico calcolo, come è ormai abituale, si può notare che non si fa valere alcuna distinzione tra lingua e dialetto, secondo quanto ormai assodato dalla linguistica moderna che ha riconosciuto nei rapporti di forza, politica o ideologica, l’unico possibile elemento di divisione delle parlate tra dialetti e lingue. Citando Max Weinreich insomma: “una lingua è un dialetto con un esercito ed una marina”. La perdita di ogni parlata è un grave danno culturale e sociale. Innanzitutto l’abbandono di una lingua limita la capacità di espressione dei suoi parlanti, riducendo la piena manifestazione del loro pensiero e delle loro conoscenze tradizionali: chi, spesso sotto l’invadente pressione di una globalizzazione acritica, viene spinto ad abbandonare la propria parlata, difficilmente riesce a ricevere in cambio un’immediata e piena padronanza del nuovo linguaggio. Così la lusinghiera illusione di condividere orizzonti più vasti nasconde spesso il pericolo concreto di una possibile discriminazione in un mondo più ampio. Secondariamente la perdita di una parlata, semplificando la cultura umana, riduce la ricchezza dell’umanità intera. Ogni lingua ha un individuale patrimonio di suoni e costruzioni grammaticali, sottolinea sfumature particolari della comunicazione, è capace di suggerire spunti di studio ed offrire suggestioni alla fantasia. La varietà culturale è del resto difesa istituzionalmente dall’Unesco che, in una dichiarazione universale sulla diversità culturale, adottata dal 2001, proclama solennemente: “La diversità culturale amplia la gamma di opzioni aperte a tutti; è una delle radici dello sviluppo, inteso non semplicemente in termini di crescita economica, ma anche come mezzo per raggiungere un’esistenza più soddisfacente dal punto di vista intellettuale, emotivo, morale e spirituale” (art. 3). 5


Occorre dunque abituarsi a considerare ogni lingua un bene culturale dell’umanità, soltanto apparentemente diverso da una scultura o da un palazzo monumentale. All’interno della vasta categoria dei beni culturali, la lingua infatti, insieme ai miti, ai racconti, alle leggende, al folklore, è parte dei cosiddetti beni “demo etno antropologici” o beni immateriali. Una semplice distinzione tra beni artistici, architettonici, archeologici, da un lato e beni immateriali dall'altro può essere basata sulla considerazione che i primi, a differenza dei secondi, non devono essere riprodotti ogni volta, per la loro fruizione: un quadro è dipinto da un pittore una volta soltanto, poi per sempre ammirabile; una lingua invece vive soltanto se e quando parlata. Tuttavia, nell’opinione diffusa, i beni immateriali non sono ancora percepiti come beni culturali pari agli altri, forse perché meno “monumentali”, più famigliari. Stesso trattamento è del resto riservato al paesaggio, che siamo solitamente abituati a percepire come un semplice sfondo e quasi mai a leggere invece come il paziente prodotto della razionale attività millenaria dell’uomo. D’altronde, purtroppo, si è spesso capaci di riconoscere il valore di quanto ci è vicino soltanto quando, per sventura, ne siamo privati o quando un osservatore esterno riesce ad indicarcene il pregio. Eppure paesaggio e dialetto sono parte integrante della nostra fragile e preziosa cultura in cui, consapevolmente o meno, viviamo immersi. Di riflesso, anche dal punto legislativo l’interpretazione dei beni immateriali e del paesaggio come beni culturali è conquista recente. Emilio Sereni, autore di una celebre Storia del paesaggio agrario italiano (1961), fu tra i primi ad evidenziare il valore del paesaggio. Da allora soltanto il nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e in particolare il comma 1 dell’art. 2) ha riconosciuto i beni paesaggistici come parte del patrimonio culturale, superando la vecchia dicotomia che vedeva da un lato i beni culturali e dall’altro i beni paesaggistici e ambientali. Il riconoscimento legislativo di un bene culturale è presupposto necessario ad una sua adeguata conservazione, curata dagli enti pubblici. Particolari vincoli statali infatti proteggono molti dei beni 6


culturali a cui viviamo vicini, cercando di garantirne una corretta trasmissione alle future generazioni (nonostante, a volte, alcuni siano stati comunque vittima di violenze cieche): a Suvero sono beni culturali vincolati il sito archeologico della Pianaccia, il castello malaspiniano e la chiesa parrocchiale; a Rocchetta la parrocchiale di S. Giustina ed il palazzo Vinciguerra; a Veppo la villa dei conti Zanelli, la parrocchiale di S. Michele e l’oratorio di Bocchignola; l’oratorio di S. Pietro martire e la chiesa di S. Giovanni Battista a Stadomelli. Inoltre è vincolato l’intero complesso paesistico di Montefiorito – monte Dragnone “caratterizzato da ampie visuali sulle valli e sull’appennino tosco-emiliano di non comune bellezza”, come recita il decreto di dichiarazione di notevole interesse pubblico datato 24 aprile 1985. I dialetti purtroppo non sono ancora rigorosamente tutelati, nonostante siano beni culturali come gli altri e come gli altri conservino i segni del passaggio degli uomini che, in tempi precedenti ai nostri, vissero, in modo diverso, i nostri stessi spazi. Il dialetto di Beverone infatti, come quello degli altri borghi limitrofi, non è un imbastardimento della lingua italiana: è invece, in moltissimi vocaboli, il prodotto di un autonomo sviluppo della lingua latina, impreziosito da una fonetica molto più antica, tramandata addirittura dagli antichi liguri. Già il celebre linguista Graziadio Isaia Ascoli, nella seconda metà dell’Ottocento, aveva del resto attribuito la presenza della vocale turbata ü all’influenza del sostrato celtico prelatino. Questo suono misterioso e gutturale risuona dunque nelle nostre valli, di orecchio in orecchio da millenni: è un’antichissima eco di vita. Salvare e valorizzare questo suono come, per citare un altro caso, salvare e valorizzare la tradizione dei falò (che, ad esempio a Suvero ed a Stadomelli, si accendono nella notte della vigilia di S. Giovanni), traccia viva, pare, di antichissimi riti liguri, è salvare e valorizzare un reperto archeologico di primissimo valore. Alcuni studiosi collegano infatti i falò accesi nella notte della vigilia di S. Giovanni ai roghi che gli antichi liguri avrebbero incendiato in occasione del solstizio d’estate. Anche a Beverone si usa accendere un falò in onore di S. Giovanni, ma nella notte del 28 agosto. Ultimamente, per evitare pericoli, la tradizione si è ripetuta in forma molto ridotta. L’usanza antica infatti prevede7


va di allestire alcuni mucchietti di 5 o 6 pigne, distanziati pochi metri l’uno dall’altro, lungo l’esatto percorso che il 29 agosto compie la processione con la statua di S. Giovanni. Al centro del monte quindi si faceva un gran mucchio di rami di legna varia che, terminata l’accensione delle pigne, veniva incendiato, solitamente per mano del parroco. Dovere di tutti dunque è impegnarsi per la salvaguardia e la valorizzazione della nostra cultura, cioè di noi stessi, in fondo, nella nostra identità: la raccolta di termini del dialetto beveronese, opera amorosa e pazientissima di Sergio Antognelli, è un importante contributo alla salvaguardia ed alla conoscenza di noi stessi.

Dott. Riccardo Barotti Assessore alla cultura del comune di Rocchetta di Vara

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BEVERONE DI ROCCHETTA VARA: PICCOLE NOTE STORICHE Si può comprendere la ricchezza di una lingua soltanto conoscendo la storia di chi quella lingua ha parlato e parla: per questo pare opportuno premettere alcune brevi note di storia beveronese. “Il cocuzzolo di Beverone è quasi calvo come la testa di chi ha sfidate le intemperie di numerosi inverni; nell’ampia e calva spianata vi sono tracce evidenti d’antiche capanne, forse abbandonate prima del mille, quando fu eretta la chiesa, una delle più antiche della regione”. Così scrisse Carlo Caselli, il giornalista “viandante” che nel 1930 percorse i sentieri della Lunigiana descrivendone borghi, paesaggi ed abitanti. Le informazioni sono tuttavia generiche e poco verificate. E’ indubbia comunque l’antichità dell’insediamento di Beverone, data l’importanza simbolica e strategica del luogo. Il nome Beverone è, secondo alcuni studiosi, riconducibile alla base latina “bibere” (bere), con riferimento a località dove si abbeveravano le greggi o ricche di acque sorgive. La chiesa era dipendente dalla rettoria di Stadomelli, antico diretto dominio del vescovo di Luni. Beverone dovette dunque essere un presidio del vescovo di Luni sopra le terre dell’abbazia di Brugnato. Tra esse Rocchetta e Suvero. Con il declino del potere temporale dei vescovi di Luni, Beverone passò quindi sotto la signoria dei marchesi Malaspina di Villafranca cui rimase sino all’arrivo dei francesi alla fine del XVIII secolo. Dopo la parentesi rivoluzionaria, il Congresso di Vienna attribuì i territori degli ex feudi malaspiniani al duca 9


di Modena, per essere quindi aggregati, con l’unità d’Italia, alla provincia di Massa Carrara. Il Comune di Rocchetta Vara, di cui è parte Beverone, fu inglobato nella neonata provincia della Spezia dal 2 febbraio 1923. La chiesa parrocchiale di Beverone, dedicata alla decollazione di S. Giovanni Battista, smembrata dalla rettoria di Stadomelli, fu eretta in parrocchia tra il 1568 ed il 1584, anno della visita apostolica del vescovo Angelo Peruzzi. La relazione di quella visita (2 maggio 1584) descrive una chiesa trascurata: venne infatti ordinata l’imbiancatura delle pareti, il rifacimento del pavimento e la costruzione di confessionali. L’altare maggiore era decorato con un’immagine adeguata. Fu imposto tuttavia di ornarlo con una croce dipinta e con candelabri. Già esistente in quella data il cimitero. Particolarmente ricca di informazioni la relazione compilata dal parroco Alessandro Malatesta, nativo di Stadomelli, il 7 gennaio del 1822. Egli scrisse: “La chiesa parrocchiale è stabilita sopra d’un alto monte, incomodo all’intervento del popolo e del parroco, in aria però più che salubre ed esposta ai fulmini”. “E’ in buono stato ma esposta molto all’umidità per il vento di mare. E’ soffitata sopra e sotto con buon pavimento di calcina. Essa ha buone e forti mura, ampia e più che sufficiente alla popolazione. Dessa pure è in buon essere riguardo alle finestre, porte e panche. Gli si fanno le dovute riparazioni a tempo, anche per quello [che] spetta gli ornamenti, il che appartiene ai fabbriceri. Il tutto si tiene con la possibile polizia e decenza”. “Nella chiesa parrocchiale, oltre il maggiore, v’è unicamente l’altare del Rosario che, sebbene sia senza dote alcuna, è ben tenuto decente ed amministrato dalla fabbriceria a spese di poche elemosine. L’immagine v’è scolpita 10


in quadro quasi nuovo e rappresenta ancora l’immagine di S. Giovanni Decollato”. Nella relazione si leggono anche alcune informazioni sulla vita quotidiana nel borgo: “Niuno avvi in parrocchia che abbia o tenghi libri proibiti, nessuno che sparga o dissemini cattive massime per ciò che sia in cognizione”. “Neppur v’è alcun malvivente o bestemmiatore”. “Fra le persone o famiglie della parrocchia non avvi al presente alcuna inimicizia od odio”. “Tra giovani e figlie non seguono amoreggiamenti che portino scandalo ma vivono onestamente”. “Per essere il vino molto scarso in questa popolazione e molto acerbo non vi sono né osterie né bettole né cantine”. “Le donne vestono tutte onestamente né vi è in ciò alcun disordine”. “Nelle feste, salvo il dì 29 agosto non si tengono né mercati né fiere né altro non essendovi alcuno che abbia bottega”. Erano compresi nella giurisdizione parrocchiale di Beverone l’oratorio di S. Anna a Garbugliaga, costruito dalla famiglia Podestarelli di Cavanella Vara nel 1611 ed eretto in parrocchia l’11 dicembre 1926 per interessamento di don Giovanni Borsi, e l’oratorio di S. Andrea, posto all’inizio dell’abitato di Beverone. Esso fu edificato intorno al 1680 da Andrea Levantini di Forno, frazione di Borseda. Passò poi alla famiglia Beverinotti. Scrive il già citato parroco Malatesta “E’ in ottimo stato e provveduto delle necessarie suppellettili, custodito oltre la detta famiglia, anche dal parroco”. In questo oratorio si tenevano le lezioni del piccolo Seminario di Beverone, aperto tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del successivo, diretto dal parroco. La cattedra della scuola era ancora visibile nel 1959. Nel 1810 erano presenti dodici alunni, sei studenti di teologia, sei di belle lettere. 11


Nel 1822 la parrocchia di Beverone passò alla diocesi di Massa per tornare a quella di Brugnato nel 1959. PER SAPERNE DI PIÚ: C. CASELLI, Lunigiana ignota, La Spezia, 1933, anche in edizione anastatica, Bologna, Forni editore. P. TOMAINI, Brugnato, città abbaziale e vescovile, Città di Castello, Unione Arti Grafiche, 1957. E. BRANCHI, Storia della Lunigiana feudale, Pistoia, 1897 (anche edizioni anastatiche Forni). G. FRANCHI – M. LALLAI, Da Luni a Massa Carrara - Pontremoli, Modena- Massa, 2000. G. REPETTI, La politica ecclesiastica napoleonica nel dipartimento del Crostolo (1809-1812), tesi di laurea, Università degli studi di Genova, Facoltà di magistero, anno accademico 1974-75. S. ANTOGNELLI,

Battiventu de Beveun, La Spezia, 2007

DOCUMENTI D’ARCHIVIO: ARCHIVIO VESCOVILE DI LUNI-SARZANA (presso Seminario vescovile di Sarzana). Filze: Visita Peruzzi, Parrocchiali 36, Questionario Scarabelli 36\2.

Dott. Riccardo Barotti

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Girotondo — 23 marzo 1940

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È strano, o forse no, forse è normale. Più passa il tempo e più sento di voler bene a Beverone. È un bene difficile da spiegare, è un bene per le persone, per le cose, per quella chiesetta lassù in alto. È un bene per tutte le persone che ora non ci sono più, anche per quelle che non ho mai conosciuto nemmeno per nome. È un bene incredibilmente forte e grande, che mi fa provare il bisogno di dividerlo con altre persone, come se per me fosse troppo. È un bene che tante persone provavano già. Me ne sono accorto dopo le tantissime dimostrazioni di affetto ricevute da chi ha letto il libretto “Battiventu de Beveun”. Io sono solo il tramite di tanto affetto, il destinatario è, e non può essere che Beverone. È con lo stesso sentimento che ho pensato al “dizionario”.

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Introduzione Questa idea del dizionario è nata dal desiderio di provare a salvare un po’ di memoria del mio dialetto, il beveronese. Non una grande pretesa, l’obiettivo era quello di raggiungere mille vocaboli, ben lontani da una ricerca approfondita. È comunque da tenere presente che il nostro dialetto, come altri, ha un numero abbastanza ristretto di vocaboli, si potrebbe dire semplicemente “quelli che servono”. Possono sembrare pochi, ma scelti opportunamente rappresentano una lingua per comunicare completa. Pare che le varie tribù dei celti sparse per l’Europa, al di fuori dei vari vocaboli di carattere locale, erano accomunate da un linguaggio composto da un migliaio di parole; tutto sommato, riscontrata questa curiosa analogia, la scelta di questo numero ha perfino un senso logico. E chissà che non abbia un senso logico pure aver citato i celti, se magari un giorno si potesse affermare con certezza che sono stati non solo in Liguria, ma anche in Val di Vara. Allora in questo caso potrebbe essere che alcuni vocaboli dialettali si riconducano alla loro lingua. Prendere in esame un dialetto, nonostante sia il mio dialetto, quello con cui ho imparato a parlare, non è come può sembrare a prima impressione cosa semplice, si potrebbe paragonare a come vedere un quadro, più si osserva e si studia e più se ne scoprono i segreti. Mi sono reso conto che per fare questo tipo lavoro si hanno due possibilità: o si ha studiato diversi anni e si ha una conoscenza e una cultura specifiche, o ci si accontenta del proprio sapere con i propri limiti.

Appurato che io appartengo alla seconda categoria, non mi è precluso comunque il tentativo di riuscire a com15


binare qualcosa, e poi comunque è un lavoro che pur con tutti gli errori che può contenere, rimane un documento da poter essere consultato in futuro, e raccoglie una parte di ciò che purtroppo andrà irrimediabilmente perso. Il dialetto ovviamente non era scritto, si imparava a memoria. Il volerne conservare la memoria prevede scriverlo. Naturalmente scriverlo in modo che chi si appresta a leggerlo lo faccia come se fosse italiano, cioè con le stesse regole di pronuncia. Purtroppo ed inevitabilmente ci sono delle eccezioni, fortunatamente non troppe, cioè vocali e lettere di determinati vocaboli che devono essere pronunciate in modo diverso dall’italiano, e per queste occorre compilare una guida, che per quanto precisa possa essere non permetterà di avere la pronuncia perfetta; per quella servirebbe una scuola di dizione che è poi quella di parlare il dialetto nella vita, ma cercherà di avvicinarvisi. Sembrerà strano ma è tutto lì a disposizione, non c’è un disordine per cui una volta è in un modo un’altra nell’altro, è tutto ordinato, basta interpretarlo, anche se non è un compito semplice. Ciò che sembra un parlare disordinato ha le sue regole precise, basta cercarle. Sostanzialmente, come per gli altri dialetti, vi sono vocaboli che pur se con alcune diversità, sono riconducibili all’italiano corrente, con radici comuni, cioè il latino dell’epoca romana, ed altri che hanno origini a carattere più strettamente locali. Per capire e scoprire meglio le regole del dialetto, dato che possiamo fare un confronto, torna meglio rifarsi ai vocaboli citati per primi.

Cercheremo di ricordare i vocaboli del tempo andato, legati ai lavori svolti in campagna, a mestieri, attrezzi, lavori, attività e a un po’ tutto il passato. 16


Un ringraziamento a tutti i paesani che hanno collaborato alla realizzazione di questo dizionario, nella ricerca dei vocaboli, dei racconti, con suggerimenti e con fotografie. Un ringraziamento anche al dott. Riccardo Barotti, ché con la sua ‘presentazione’ e ‘note storiche’ ha integrato questo lavoro, arricchendone il contenuto. Dovremmo esserne tutti un pò soddisfatti, perchè con questo libretto un pò del nostro dialetto rimarrà, anche quando nessuno lo parlerà più. Sergio Antognelli

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Guida alla pronuncia del dialetto Beveronese Tanti dialetti dei paesi della Val di Vara, Beverone compreso, hanno in comune la caratteristica della mancanza di pronuncia delle vocali doppie, che da paese a paese ma anche da persona a persona, può essere più o meno marcata. Per questo motivo le doppie nel dialetto sono state omesse volutamente, ad esclusione della “s” che è leggermente più marcata delle altre. Siccome la “z”, in quanto singola, in tanti vocaboli, verrebbe logico pronunciarla dolce, per evitare questo dubbio tutte le zeta dolci saranno scritte con la zeta accentata: “ž”. Gli accenti usati sono gli stessi dell’italiano e cioè: à - è - ì - ò - ù : con la lineetta sopra la vocale che scende, sono accenti gravi, come: pietà, cioè, così, perciò, giù. é : con la lineetta che sale, è un accento acuto, come: perché. Si legge come fosse italiano con alcune eccezioni, che sono state scritte usando caratteri speciali: Ë : chiusa, si legge come “eu” in francese. Ü : chiusa, si legge come “ü ” in tedesco. Ž : dolce, come “zaino”. Č - Ğ seguiti da “i” oppure “e” : hanno una pronuncia abbastanza difficile che è a metà strada fra "ci - chi" e "ce che" la prima, fra "gi - ghi" e "ge - ghe" la seconda. In pratica dipende dal modo in cui si tiene la lingua a contatto con il palato, che non ha eguale nell’italiano corrente. Per non complicare la vita a coloro che leggendo anche mentalmente le parole che contengono i simboli Č - Ğ, non sapessero proprio che verso dargli, possono leggerli come 19


fossero C e G normali. Ne verrà fuori una pronuncia che assomiglia allo spezzino o al genovese, e pur non essendo la pronuncia corretta, la parola avrà lo stesso significato. Agùčia - ago, agùče - aghi. Conigli - cuniği, bottiglie - butiğe. Prendendo in esame i vocaboli simili all’italiano, ed analizzando le parti in comune, si scoprono delle particolarità che poi sono delle regole. Indubbiamente questo sarebbe un compito per chi ha una conoscenza specifica, però solo per dare un’idea proviamo a studiarne alcuni: La “ó” chiusa di bótte non è usata, perché viene trasformata in “u” : cόlore - culue, cόltello - cutèlu, fόntana funtana. La “u” dopo consonante diventa “ü”: muro - müu, duro - düu, maturo - madüu. Il dittongo “uo” diventa “ë”: vuoto - vëitu, nuora - nëa, fuoco - fëgu. La “g” seguita dalle vocali “e” - “i” diventa quasi sempre “ž” dolce: geranio - žeraniu, gelato - želatu, giallo - žalu, Gino - Žinu. Negli ultimi decenni queste “z” si sono un po’ addolcite fino a diventare delle “g”. Dai vocaboli sopra citati si capisce pure che la “o” finale diventa “u”. Dai vocaboli: cacciatore - cažadue, muratore - müadue, pescatore - pescadue, si nota che se terminano con “tore” cambiano in”due”, cioè la “t” diventa “d”, la solita “o” che diventa “u”, e scompare la “r”. Mentre nei vocaboli: dottore - duture, trattore - trature, la “t” di “ttore” è doppia, in questo caso la “t” non cambia in “d”, e la “r” non scompare.

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Il dizionario è pronto, e i vocaboli sono lì, ordinati, come tanti soldatini, ognuno al proprio posto con un po’ di spazio attorno, per non essere confusi. Non aspettano altro che essere passati in rassegna, uno per uno, sembra quasi che ognuno cerchi di alzarsi un pochino, per non passare inosservato, per far bella figura. Saranno tutte in ordine le divise della compagnia? Qualcuno avrà la cravatta fuori posto? Occorrerà guardare con attenzione. Ma perché tutta questa parata? È per qualcosa che non si può e non si deve dimenticare … perché ognuno ha sempre qualcosa da lasciare, forse … delle parole per ricordare.

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Indice Presentazione ………………………… Note storiche ………………………….. Introduzione …………………………... Guida alla pronuncia del dialetto beveronese ………………………….... Indice…………………………………… Un po’ di grammatica ………………… Suddivisione del tempo ……….……... Tempo atmosferico e cielo ………….. Mestieri e professioni ………………... Corpo umano …………………………. Indumenti ……………………………… Cucito ………………………………….. Parentele ……………………………… Chiesa …………………………………. Colori …………………………………... Casa, attrezzi e altro …………………. Erbe varie, funghi, frutta spontanea ... Prodotti dei campi ……………………. Cibi …………………………………….. Nei campi ……………………………... Animali selvatici ………………………. Animali domestici …………………….. Uccelli …………………………………. Insetti e altri animaletti ………………. Alberi e arbusti ……………………….. Luoghi …………………………………. Verbi …………………………………… Nomi di persone ……………………… I racconti del fusiğiau …………………

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Pag. 5 Pag. 9 pag. 15 pag. Pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag.

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Un po’ di grammatica

Me Io

En Uno

Zentu Cento

Te Tu

Na Una

Dužéna Dozzina

Lü Lui

Ün Uno

Mié Mio

Glié Lei

Dui Due

Të Tuo

Nui Noi

Tréi Tre

Së Suo

Vui Voi

Quatru Quattro

Nostru Nostro

Luu Loro

Zinque Cinque

Vostru Vostro

Er Il, e in certi casi le

Séi Sei

Daa Dalla

U Lo

Sète Sette

Dar Dal

A La

Otu Otto

En tér Nel

I I, e in certi casi gli

Nëve Nove

En tà Nella

E Le

Dese Dieci

Aa Alla 25


Au Allo Ambriagu Ubriaco Arpusà Riposato Asèrbu Acerbo Bagnà Bagnato Basu Bacio Belinùn Fesso Bèlu Bello Brésìn Un pochino Brütu Brutto Busardu Bugiardo Busìa Bugia Caéza Carezza

Čiarla Discorso gratuito, ciarla Čiévedu Tiepido

Cresentìn Singhiozzo Der bèlu Assai Descauzu Scalzo

Dezùn Digiuno

Fëa Fuori Fréva Febbre Fundu Fondo Gavòrnia Cantilena noiosa Grossu Grosso Madüu Maturo Marfabén Chi non fa il bene

Dréntu Dentro

Matòlicu Stravagante

Dritu Dritto

Pasénzia Pazienza

Düu Duro Enaià Imbambolato, incantato Endré Indietro

Pečenìn Piccolo Pelandrùn Vagabondo Pizégà Pizzicotto

Fante Bambino

Pogu Poco 26


Pogu de bùn Poco di buono

Spetenà Spettinato

Tuchétu Pezzetto

Potamòla Persona lenta, comoda

Stortu Storto

Utre Avanti

Stracu Stanco

Vanèžu

Pügnu Pugno Rindritu Dalla parte diritta Rinvèrsu Dal rovescio

Ruchèla Raucedine Sauìdu Saporito Scapìn Ultimo pezzo di pane o formaggio Schizà Schiacciato Sčiafu Schiaffo Scutizùn Persona che si lava poco Spatarà Spappolato

Frutto che non è giunto a maturazione

Strépélùn Detto a sproposito Stròlica Strega

Vèčiu Vecchio Ženučià Ginocchiata

Strùbedu Torbido Sürve Sopra

Žiandùn Girellone, perditempo Žùvin Giovane

Sutu Sotto Sütu Asciutto Svaséndà Svagato Tağiasachi Chi le spara grosse Tantu Tanto Tocu Pezzo 27


Suddivisione del tempo

Secundu Secondo

Sabu Sabato

Menütu Minuto

Dumenega Domenica

Ua Ora

Ženau Gennaio

Ğiurnu Giorno

Frevau Febbraio

Mese Mese

Marzu Marzo

Stağiùn Stagione

Aprile Aprile

Anu Anno

Mažu Maggio

Lünedì Lunedì

Žügnu Giugno

Martedì Martedì

Lüğiu Luglio

Merculedì Mercoledì

Agustu Agosto

Žuvedì Giovedì

Setembre Settembre

Venerdì Venerdì

Utubre Ottobre 28


Nuvembre Novembre

Iei Ieri

Desembre Dicembre

Ierdélà L'altro ieri

Primavea Primavera

L'anu che vièn Il prossimo anno

Istade Estate

L'anu passà L'anno scorso

Autϋnu Autunno

Invernu Inverno Matìn Mattino Séa Sera Note Notte Enchë Oggi Dumàn Domani Dopudumàn Dopodomani

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Tempo atmosferico e cielo

Arsüa Tempo caldo e asciutto

Nüveu Nuvoloso

Àspéu Freddo secco

Nüvea Nuvola

Burasca Burrasca

Piëva Piove

Caudu Caldo

Seén Sereno

Délügu Diluvio

Sòfegu Tempo afoso

Durzüa Stéla Dolciura - quando la tempera- Stella tura si alza e si scioglie la neve Su Fredu Sole Freddo Trun Granžëa Tuono Grandina Trunéža Lampu Tuona Lampo Žeà Lüna Ghiacciato Luna Mainazu Vento di mare

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Mestieri e professioni

Arpin Alpino

Čiapazu Copri tetto

Avucatu Avvocato

Cuntadin Contadino

Barbieu Barbiere

Curidue Corridore

Bastrau Bastaio

Duture Dottore

Brigadieu Brigadiere

Falegname Falegname

Buscaiolu Boscaiolo

Farau Fabbro

Bütegau Bottegaio

Farmazista Farmacista

Campanau Campanaro

Furnau Fornaio

Carabigneu Carabiniere

Ğiüdice Giudice

Carbunin Carbonaio

Maestru Maestro

Cazadue Cacciatore

Mainau Marinaio

Chëgu Cuoco

Manuvale Manovale 31


Marescialu Maresciallo

Pustin Postino

Urtulan Ortolano

Maselau Macellaio

Sartu Sarto

Zapìn Zappatore

Mecanicu Meccanico

Scarpau Calzolaio

Merzau Merciaio

Segantìn Sega i tronchi per farne tavole

Mežadru Mezzadro

Minadue Minatore Müadue Muratore Pastizeu Pasticciere Pastue Pastore Pescadue Pescatore Pessaiolu Pesciaiolo Prufessue Professore

Sindicu Sindaco Spazacamin Spazzacamino Stagnin Stagnino Sunadue Suonatore Surdatu Soldato Tripau Trippaio Umbrelau Ombrellaio Uperaiu Operaio

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Corpo umano

Aséne Ascelle

Figaétu Fegato

Büži Budella

Frunte Fronte

Canaozu Trachea

Gua Gola

Carcagnu Calcagno

Gùmedu Gomito

Cavèi Capelli

Labri Labbra

Chëe Cuore

Lagrima Lacrima

Ciğe Ciglia

Léngua Lingua

Colu Collo

Man Mano

Custadìe Costole

Méntozu Mento

Didu Dito

Nasu Naso

Didu grossu Dito pollice

Oči Occhi

Didu meninè Dito mignolo

Panza Pancia 33


Parmu Palmo

Ueče Orecchi

Parpèle Palpebre

Ünğia Unghia

Pèle Pelle

Žénočiu Ginocchio

Péu Pelo

Žénžìe Gengive

Pié Piede

Züchetu Parte posteriore della testa

Purmun Polmone Purpazu Polpaccio Sčéna Schiena Stëmegu Stomaco Südue Sudore Tetin Seno Tunsigle Tonsille

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Indumenti

Braghe Mutande

Màğia Maglia

Camìsa Camicia

Mandiletu Fazzoletto

Capè Cappello

Mandilu Foulard

Cauze Calze

Mànega Manica

Cauzun Pantaloni

Müdande Mutande

Cruvata Cravatta

Scarpun Scarponi

Fanèla Canottiera

Scialu Scialle

Fassëa Scusadu Fascia - striscia di Grembiule tessuto per avvolgere i neonati Staca Tasca Ğiülècu Giacca Zavate Ciabatte Gunèla Gonna Zinta Cintura Gurfu Maglione Zoculi Zoccoli 35


Cucito

Agučià Gugliata

Machina da cüsìe Macchina per cucito

Agùčia Ago

Pèza Toppa

Àsticu Elastico

Ruca Canna sopra cui si mette la lana da filare

Butun Bottone Càneva Canapa Cutun Cotone Didà Ditale Drapu Panno Fì Filo Füsu Fuso

Ruchetu Rocchetto di legno per il filo Sigareta Cilindretto di cartone per il filo Spečeti Occhiali Tesùa Forbice Velüdu Velluto Zinzùn Straccio vecchio malridotto

Ğiümè Gomitolo

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Parentele

Pa Padre

Cüsìn Cugino

Padrin Padrino

Ma Madre

Cüsina Cugina

Madrina Madrina

Frè Fratello

Cügnadu Cognato

Ghiazu Padrino di battesimo

Suèla Sorella

Cügnada Cognata

Maì Marito

Žéneu Genero

Ghiaza Madrina di battesimo

Muğée Moglie

Nëa Nuora

Fiğiu Figlio

Sësuu Suocero

Fiğia Figlia

Sësua Suocera

Ziu Zio

Nonu Nonno

Zia Zia

Nona Nonna

Nevudu Nipote - uomo

Cumpagnu Compagno

Nevuda Nipote - donna

Amigu Amico

Cumpae Compare Cumae Comare Testimoniu Testimone Paénte Parente

37

Meneğirda Si dice di donna altezzosa, che vuole apparire.


La Chiesa

Autau Altare

Ğese Chiesa

San Ğiuane San Giovanni

Bardachìn Baldacchino

Inčénsu Incenso

Stendardu Stendardo

Batağiu der campane Batacchio delle campane

Lampiùn Lampione

Tùnega Tonaca

Limòsina Elemosina

Zéu Cero

Campana Campana Campanèla Campanella Campanin Campanile Campusantu Cimitero Candea Candela Candelieu Candeliere Cou Coro Cruse Croce

Lüme Lume Lümìn Lumino Müağiùn Muraglione Munte da ğese Monte della chiesa Prete Prete Prucessiùn Processione Sagrestàn Sacrestano

38


San Giovanni Decollato 29 agosto 1924

39


Colori

Aranzùn Arancione

Scüu Scuro

Biancu Bianco

Verdu Verde

Čiau Chiaro

Verdulìn Verdolino

Culue Colore

Viola Viola

Grižu Grigio

Žalu Giallo

Marùn Marrone

Zélèste Celeste

Negru Nero

Zéndea Cenere

Rësa Rosa Russu Rosso

40


Casa, attrezzi e altro

Aadu de fèru Aratro di ferro

Baga Baccello

Aadu de legnu Aratro di legno

Bambasu Bambagia

Ambüdu Imbuto

Banca Cassapanca

Ančiostru Inchiostro

Bancà Grossa cassa con due o tre divisori, dove si conservano granaglie e farina

Ancüžena Piccola incudine su cui rifare il filo alle falci Anè Anello Aradiu Radio Arbiu Vasca costruita con un tronco di legno per contenere il cibo dei maiali Arloğiu Orologio Armonica Fisarmonica Baànza Bilancia

Banchéta Panca senza schienale Barì Soma, antica misura per il vino, 40 litri Batilardu Tagliere Bàtua Doppio bastone per battere mais, lana, fagioli Batüdu Pavimento Baülu Baule

41


Bazile Catino

Bucà Vaso da notte

Bècu Bècco

Büda de vaca Sterco di mucca

Béna Simile alla traža, con sopra un grosso cesto fatto di salici

Bügada Bucato fatto nel cuncun

Bëra Fosso Bičéu Bicchiere

Biédu Fossetta per incanale l'acqua dal rebuccu al mulino Boža Vasca fatta di zolle di terra, in cui raccogliere l'acqua Brase Brace Brazalétu Braccialetto Brunžu Paiolo in bronzo che si appende alla catena nel focolare

Büsancu Buco Butazu Uovo che durante la cova è andato a male

Bute Botte Butiğia Bottiglia Butiğiùn Bottiglione Ca Casa Cadena Catena Cadenina Catenina

Brustulìn Tostino per segale e orzo

Cagàğiue Sterco di pecora o coniglio

Büatu Buratto, setaccio molto fine

Cağiàda Cagliata 42


Caìžena Fuligine

Cavana Capanna

Campanè Campanello

Cazarola Casseruola

Canà Fiume

Cazëa Cazzuola

Canèla Rubinetto in legno per la botte

Čiapa Lastra di ardesia locale per coprire il tetto

Canèla Matterello Cantau Stadera per grandi pesi Caratè Botte di media dimensione Carbùn Carbone Caréga Seggiola Carégùn Seggiola un po più grossa, con i braccioli

Čiave Chiave

Čiodu Chiodo Corba Cesta portata dagli uomini Credenza Mobile da cucina Crépia Mangiatoia Crévèlu der gran Setaccio per ripulire il grano

Cauzina Calcina

Crévèlu der mergùn Setaccio per ripulire il mais

Cavagnu Cesto con il manico

Cua Coda Cüčiau Cucchiaio 43


Cugùn Tappo grosso centrale della botte

Cuvèrta Coperta

Cuìn Colino

Daa séčia Luogo dove si teneva il secchio con l'acqua da bere

Culana Collana

Duga Doga

Cumò Comò

Fauzin Falcino

Cumudina Comodino

Fëgu Fuoco

Cuncùn Grossa conca in terracotta usata per il bucato

Fén Fieno

Cupéta Tazza Cüsìna Cucina Cutèla Coltello per tagliare i tağiaìn Cutèlu Coltello Cutra Coltre Cuvèrčiu Coperchio

Fénèstra Finestra Feru Frullana Feretu Piccolo gancio di ferro per agganciare il falcino o la falce alla cintura Fiascu Fiasco Filùn Fil di ferro Fissadüa Fessura 44


Foğia Fascine di rami con le foglie, foraggio per l'inverno Fòrbesa Forbice

Frudéta Federa Fùndegu Fondo Furcùn Forca

Furnasa Fornace dove si cuoceva la calce Furnélétu Fornello a carbone Furnu Forno Furzigna Forchetta Fusiğiau Focolare, ripiano in pietra o mattoni per accendervi il fuoco Grade Soffitto di travicelli sopra cui si mettevano le castagne ad essiccare

Gramofunu Grammofono Grana Chicco, es. grano, mais, fagiolo Grèsta Crèsta Grüpu Nodo Gumiéa Vomere dell'aratro Güssa Buccia, es. noce Lavadùa Pezzuola di stoffa con cui si lavavano i piatti Lénzë Lenzuola Lérpegu Erpice Lìntima La stoffa del materasso Lüse Energia elettrica Machina dee castagne Macchina a motore per sbucciare le castagne

45


Machina der gran Trebbiatrice

Medağéta Medaglietta

Machina du zurfatu Irroratrice per il verderame, con stantuffo interno azionato a mano

Mésčiua Schiumarola

Machina du zurfeu Macchina con mantice interno azionato a mano, per lo zolfo in polvere Maghétu Stomaco della gallina

Mandulin Mandolino Manéčia Maniglia Mànegu Manico Martè Martello Màsina Màcina del mulino Masinìn Macinino per l'orzo o caffè Mastra Madia Maza de mérgùn Pannocchia di mais

Mésčiuìn Mescolino Messùa Falce Mòğiua Molle per la brace Müağia Parete Muìn Mulino Murağia Museruola per i buoi Murtà Mortaio Müu Muro Nòčiua Nocciolo tipo pesca Nučiuìn Nocciolo piccolo tipo ciliegia Padèla Padella 46


Paë Paiolo

Porte Porta

Pagliéu Palero

Preda Vasca in arenaria

Pagnéa Cesta piatta portata dalle donne

Présùe Presame, caglio

Pendin Orecchini Pentulìn Piccola pentola

Piatu Piatto Pìčia Macchia - di inchiostro, o della pelle Picu Piccone Picùlu Picciolo Pindàna Piccolo tralcio di vite con grappoli di uva da conservare Pisàn Ciotola in terracotta smaltata

Pupuna Bambola Püa Polvere Pügnata Pentola Püma Piuma Pümazu Guanciale Ramisana Damigiana Rampìn Piccola zappa con due denti Rampùn Zappa con due denti Rapu Grappolo

Pizétu Stecca di ferro per muovere la brace 47


Rebucu Grande vasca al lato del ruscello in cui raccogliere l'acqua per il mulino Rëda Ruota Rèsca Lisca Revègnu Giocattolo, o oggetto di poco conto Rožu Scompartimento del bancà Rübu Antica misura, 8 Kg, usata prevalentemente per il peso dei maiali Rüscu Pula, involucro dei chicchi di grano Rusìğiu Torsolo Rüžena Ruggine Sacùn Antico materasso di vegetali, anche di mais

Saùn Sapone Scaa Scala Schëa Scuola Scorza Buccia - di patata o frutta, e scorza di alberi Scùdesa Striscia piatta di legno da intrecciare per costruire cesti Secadùe Locale con il fusiğiau nel mezzo, e sopra la grade Séčè Secchio zincato, usato per mettere l'acqua della fontana Següa Accetta Seradüa Serratura Sguapasta Colapasta Soğiu Contenitore di legno per il vino

Saréta Sega 48


Soma Sudazu Soma, antica misura per il vino, Setaccio 80 litri Sufietu Spazu Soffietto per zolfo in polvere Scopa per pulire il forno Suga Spilùn Lunga corda con cui si Spilla guidavano i buoi Stàbiu Piccola stalla per il maiale

Sügaman Asciugamani

Stala Stalla

Sügheétu Accetta piccola

Stanza Camera

Sughétu Corda

Strapünta Trapunta

Sünža Sugna del maiale

Strédu Piano superiore della stalla dove si mette il fieno

Suracu Saracco

Strùpiu Stoppia Stüa Stufa Stücu Stucco Suau Solaio o pavimento di tavole

Sveğia Sveglia Tağëa Cuneo per spaccare la legna Talu Stelo con i semi delle cipolle o porri Tanağe Ferro a forma di tenaglia, applicata al naso dei buoi 49


Tanağia Tenaglia

Tizùn Tizzone

Tasca Sacco di canapa

Toa Tavolo

Taulìn Tavolino

Torčiu Torchio

Taulùn Tavolone

Tramežàna Parete divisoria

Tèčia Roccia

Travu Trave

Téčiu Tetto

Traža Treggia - slitta con aste di legno al posto delle ruote, che si attacca al giogo dei buoi

Téğia Teglia Televisiun Televisione Tèstu Grosso coperchio ricoperto di cenere, per cottura al testo Tiabrase Atrezzo per togliere la brace dal forno Tiabüssùn Cavatappi Tiétu Cassetto del tavolo in cui si tengono le posate

Trempelada Ferraglie e scatole vecchie usate l'ultimo dell'anno per scacciare l'anno vecchio Trépié Treppiede Trumba Tromba Truvelina Succhiello o trivellino Tuağia Tovaglia Tübu Tubo 50


Urganetu Armonica a bocca

Züpiéa Zuppiera

Valu Vaglio

Zurfatu Solafato di rame

Vanga Vanga

Zurfeu Zolfo

Védru Vetro

Žuvu Giogo per i buoi

Véğia Veglia - andare a veglia Vérčiùn Chiavistello Verubiu Trivellino di diametro superiore alla “Truvelina” - 2/3 cm. Viulin Violino Zapa Zappa Zapë Zappa piccola Zéndea Cenere Zérzi Cerchi della stufa Zuféè Zuffolo di scorza di castagno 51


A bàtua Sarebbe interessante spiegare ed illustrare l’uso di tutti gli attrezzi ricordati, ma sarebbe anche un lungo lavoro. Per ora ci accontenteremo di provare a spiegarne uno “ a bàtua”. Questo attrezzo svolge il compito di un comune “bastone” di legno usato per “battere” i vari prodotti secchi da sgranare, come fagioli e mais, inoltre anche per rendere soffice la lana dei materassi. La “bàtua” è composta da due legni, uno dei quali va tenuto in mano, l’altro si fa roteare in aria, ed a ogni rotazione viene dato il colpo sul prodotto interessato. Il bastone che si tiene in mano si chiama “antunìn”, ed è fatto di legno leggero tipo l’olmo o il sambuco. Il bastone che rotea e da il colpo si chiama “verghétu”, deve essere di un legno pesante e deve resistere ai colpi, tipo il frassino. Ad una estremità del legno che si tiene in mano vi è un anello libero di ruotare come un moschettone, collegato all’estremità del legno che batte, con una striscia di cotenna di maiale, molto resistente per questo uso. Il colpo che si da con la “bàtua” è molto più forte che con un bastone comune, è un attrezzo semplice ma anche molto robusto, perchè deve resistere a colpi e contraccolpi, ed anche a eventuali colpi sbagliati che invece di finire sui prodotti, colpiscono il cemento dell’aia, dove comunemente vengono stesi ad essiccare.

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A bàtua 53


Gli attrezzi

L’ancüžena

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A traža

A béna

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Erbe varie, funghi, frutta spontanea

Buniaga Ononide - erba con spine pungenti Buràžena Borragine - erbetto

Erbu spigu Lavanda Farana Erba infestante

Burnisòtu Fungo - Mazza di tamburo

Farùn Fungo non commestibile, simile al porcino

Camamila Camomilla - erba medicinale

Férsa Felce

Castagna Castagna

Finočiu sarvàdegu Finocchio selvatico

Ceesa sarvàdega Ciliegia selvatica

Frola Fragola

Còcu Fungo - Ovolo

Fünžu de pin Fungo - Pinerolo

Cresùn Crescione

Gağinè Fungo - Giallarello

Culumbina Fungo commestibile

Gamba russa Vetriola o parietaria

Didèla Fungo - Manina

Gavaza Fungo commestibile (Grifo)

Erbi - erbeti

Ğianda Ghianda

Erbetti vari in genere, da lessare

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Gramigna Erba infestante

Pignë Pinolo

Lampùn Lampone

Pissalètu Tarassaco - erbetto

Léngua de can Lingua di cane - fungo

Ramelòtu Erbetto

Lofa Fungo non commestibile

Russuèla Papavero non ancora fiorito - erbetto

Lòğiu Loglio - erba infestante del grano

Russuèla Fungo - Rossola

Marcuèla Mercorella - erba infestante

Sanguina Fungo commestibile

Mora Mora

Sérvu Porcino

Naspéùn Asperella - erba con foglia e tronco pungenti

Sésérbua Erbetto

Pağia Paglia Paléte d'armotu Frutto del corbezzolo Pastunàga Varietà di carota selvatica Pèrčiua Mirtillo

Simunìn Fungo commestibile Smarva Malva - erba medicinale Susénè Frutto del prugnolo Trefoğiu Trifoglio

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Ueče d'àsin Erba con fiori somiglianti alle orecchie di asino Urdenau Fungo - Cortinaro

Urtìga Ortica Vezéti Erba rampicante, che si attorciglia come i fagioli

Vezùn Veccia Zimi de güzarna Cimi di vitalba - erbetto Žìžula Frutto della rosa canina Žüncu Giunco

Mais e fagioli al sole nell’aia

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Prodotti dei campi

Ağiu Aglio

Mergun Mais

Sèlu Sedano

Basércu Basilico

Patata Patata

Üva Uva

Bieda Bietola

Persegu Pesca

Zigùla Cipolla

Bràssega Tipo di cavolo Rustico

Pésèla Pisello

Züca Zucca

Ceesa Ciliegia Césu Cecio Cou Cavolo Fasë Fagiolo Gnifra Tipo di carota per animali Gran Grano Lupìn Lupino

Peveùn Peperone Pumata Pomodoro Purdessému Prezzemolo Ravu Rapa Rusumaìn Rosmarino Sàrvia Salvia Ségre Segale

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Cibi

Aigua Acqua Asédu Aceto Bacaà Baccalà Baléti Castagne bollite senza togliere la buccia, ballotte

Cundidu Pezzetto di lardo salato e pepato Curdèle Tagliatelle Destrütu Strutto Ëvu Uovo

Bescoti Biscotti

Faina Farina

Brodu Brodo

Fainada Farinata

Buğì Lesso

Frità Frittata

Bùrdeghi Castagne bollite, sbucciate in parte, con alloro e sale

Fügazeta Focaccetta di mais

Castignazu Castagnaccio Coi a zimu Cavoli lessati, colati grossolanamente Coi strizà Cavoli lessati e poi strizzati

Furmağiu Formaggio Grusta Sfoglia Late Latte

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Levàda Pane cotto in una teglia al testo Levadùe Lievito

Menestrina Minestrina Menestrun Minestrone Mesčiada Pane di farina mista di grano e castagne, cotto in teglia al testo Miéa Miele Mundine Caldarroste Oliu Olio Padéléti Frittelle Pan Pane Panigazu Testarolo

Patùna Panetto di farina di castagne, avvolto da foglie di castagno, cotto al forno Peve Pepe Pulenta Polenta Recota Ricotta Repién Sformato di riso, ripieno di fegatini, cotto al forno in un recipiente semisferico Risu Riso Sa Sale Sangunazu Sanguinaccio Sausiza Salsiccia Stucafissu Stoccafisso Sügu Sugo Tağiain Tagliolini 61


Ti Tè Turdè Raviolo

Turta Torta Turùn Torrone

Vinèla Vino leggero, ottenuto con l'aggiunta di acqua al raspo Zücheu Zucchero Züpa Colazione di pane e caffelatte

Vin Vino

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Nei campi

Antorta Vegetale di vario tipo, ritorto, che fa le veci di una corda Autedu Pergolo Brasu Porzione di terreno seminato Broca Tutore di legno o canna per i fagioli Čiudéntena Siepe fra i campi e le strade, come un recinto Frëdà Solco fatto mentre si vanga Gaviğiue Tralci delle viti Funtana Fontana Funtanèla Fontanella Ledame Concime stallatico Malùn Zolla

Manè Fascina di legna, fieno o altro Maséa Muro a secco Maseùn Mucchio di sassi tolti dai campi Pağiau Pagliaio Passùn Palo per la vite Pèrtega Palo per il pagliaio, o lungo palo in genere Piana Campo di dimensioni grandi Pianè Campo di dimensioni medie Pianélétu Piccolo campo Požu Poggio Puzignaccu Terreno molto fangoso

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Ranganè Tronco di legno portato in spalla Résa Radice

Scàğiu Ramo a cui si aggrappano i tralci della vite Sčéa Filare di viti

Surcu Solco Tiadè Piccolo palo a cui si lega un tralcio di vite. (Tirante)

Žiùn Margine del campo incolto Zoca Ciocco di albero o di erica

Scürtùn Scorciatoia

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Animali selvatici

Anguila Anguilla

Luvu Lupo

Bèlua Donnola

Parpağiùn Pipistrello

Bissa Serpe

Pessu Pesce

Bissa dar culaìn Serpe con un disegno nel collo simile a un collare

Ràina Rana

Bissa guërza Orbettino Fuìn Furetto Gatu spüzu Molto raro - probabilmente una varietà di gatto selvatico Gliésua Lucertola Gliévua Lepre Gurpe Volpe Lighë Ramarro

Ratu Topo Rizu Riccio Rospu Rospo Ruspàa Biscia di colore scuro che mangia anche i rospi Sansügua Sanguisuga Sghiu Ghiro Tassu Tasso Vaca vaëa Salamandra 65


Verdùn Biscia di colore chiaro tendente al verde

Zìlua Simile al topo - Moscardino

Vipua Vipera

Žarla Scoiattolo Zavatùn Rospo grosso

I bë

66


Animali domestici

Agnè Agnello

Gatu Gatto

Ànitra Anatra

Mülu Mulo

Àsin Asino

Muntun Ariete

Bë Bue

Oca Oca

Bécu Bécco

Piegua Pecora

Can Cane

Pitu Tacchino

Cavalu Cavallo

Porcu Maiale

Crava Capra

Pulìn Pulcino

Cravetu Capretto

Tou Toro

Cuniğiu Coniglio

Vaca Mucca

Gağina Gallina

Védè Vitello

Galu Gallo

Zoza Chioccia 67


Uccelli

Àgučia Poiana

Fringuè Fringuello

Testa negra Capinera

Bécaza Beccaccia

Galetu marzë Upupa

Tetavaca Succiacapre

Bécazìn Beccaccino

Güfu Gufo

Turdu Tordo

Crovu Corvo

Lodua Lodola

Turtuèla Tortora

Cua russìn Codirosso

Lucu Allocco

Üsè Uccello in genere

Cua russùn Codirossone

Merlu Merlo

Usignë Usignolo

Cucü Cuculo

Pàssua Passero

Zivétua Civetta

Culumbu Colombo

Pernìsa Pernice

Dügu Animale con grandi ali e artigli - fantasia popolare. Potrebbe essere stato il Grifone.

Pèturussu Pettirosso

Farchetu Falco

Picarazu Picchio Reatìn Scricciolo Sturlengu Storno 68


Insetti e altri animaletti

Apia Ape

Mùscua Mosca

Zelizùn Parassita dei polli

Babòla Muscuìn Dorifora delle patate Moscerino

Zétega Zecca

Barbàtua Farfalla notturna

Muscùn Moscone

Zigàa Cicala

Bigu Verme

Pinzocu Tonchio

Zìmesa Cimice

Bisacan Bruco

Piòčiu Pidocchio e afide

Càmua Camola

Pürsa Pulce

Cavaléta Amantide religiosa

Schinzétu Verme del Formaggio

Farfala Farfalla Gavarèla Maggiolino Gavarùn Calabrone Grilu Grillo Lümaga Lumaca

Scurpiùn Scorpione Tavan Tafano Vespua Vespa Žanè Verme delle Castagne 69


Alberi e arbusti

Anüdàn Ontano

Fuacü Varietà di carciofo selvatico

Arbaèla Pioppo

Glénea Edera

Arfoğiu Alloro

Guerza Quercia

Armotu Corbezzolo

Güzarna Vitalba

Bocu - fuscu Prugnolo

Liza Leccio

Bussu Bosso

Muru Gelso (Albero e frutto)

Cacu Caco

Nizëa Nocciolo (Albero e frutto)

Carpanìn Carpino

Nuse Noce (Albero e frutto)

Castagnu Castagno

Pèrsegu Pesco (Albero e frutto)

Custu Erica

Petalengua Rosa canina

Figu Fico (Albero e frutto)

Péu Pero (Albero e frutto)

Fràssan Frassino

Pin Pino 70


Pin dumèstegu Pino domestico

Uiva Olivo (Albero e frutto)

Pumu Melo (Albero e frutto)

Urmeu Olmo

Pünžaratu Agrifoglio e Pungitopo

Vigna Vite

Raisùn Varietà di erica bassa ad arbusto

Zeesa Ciliegio (Albero e frutto)

Raža Rovo

Rubina Acacia Rùvea Rovere Sambügu Sambuco

Zeesa maina Ciliegio amareno Žénèstra Ginestra Ženéveu Ginepro Zèru Cerro

Sarsu Salice Scorzasangue Sanguinella Susena Susino (Albero e frutto)

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Luoghi

Ai custè

Càrpena

Ar bastardu

Cava

Ar božu

Cavanà

Ar požu

Cave

Arbaèle

Čiosa

Au lagu

Costa

Bandida

Costa da sèra

Basa pié

Costa der frëde

Bastiàn

Costa du lagu

Bëra der božu

Cùbiu

Bëra der patà

Cücheu

Bëra der piàn

Culaéza

Bëra du sartu

Culéta

Bulugnu

Curniëa

Büscàa

Custè russu

Bužéti

Daa cruse

Campebùn

Daa ğese

Campi

Daa puza

Campu

Daa tana

Campuìn

Daa teleferica

Canè

Dai cavaleti

Cantunzè

Dar muìn

Carmu

Dar pin dumèstegu 72


De la daa fauza

Munte Negru

Fauza

Nuséta

Figu de Želantognu

Ortu da canùnega

Fossu

Ortu da Milieta

Fòssua

Ortu di Beveinoti

Frédàn

Péarbeu

Fua cü

Péna

Funtana

Piana

Funtana del'àsin

Piana da Delina

Funtane

Piana de Biasìn

Funtanédu

Piana de Nastasìa

Funtanèla

Piana de Pieu

Ğiambrétu

Piana deği'orti

Ğiardìn

Pianèla

Grüža

Piažu

Grüža der farau

Piò

La da frate

Pissàa

L'aa de Tumìn

Pissaùn

L'aéta

Pitùn

Lama bianca

Pitunétu

Lama de Zalàn

Pradeschè

Lamàie

Pradi

Lame bianche

Puzàqui

Lazàa

Quadri

Mağë

Quelu de Vepu

Moğe

Ratuìn 73


Rebucu

Umbrelìn

Rëta

Vaisèla

Runchètu

Vale

Sabiùn

Vazì

Sarvàdegu

Vignasenta

Sassu pau

Vigne

Scainada

Vile

Segàu Sérva Strenà Surchétu

Surcu da vale

I cerri

Téčia da fusìna Uive

74


Verbi

Acavezae Fare fascine di erba o fieno

Amprestae Prestare

Adacquae Innaffiare

Amuae Affilare, arrotare

Ağiüstae Aggiustare

Amüčiae Ammucchiare

Ağiütae Aiutare

Ančiudae Inchiodare

Aizasse Alzarsi

Anfiascae Infiascare

Ambiancae Imbiancare

Anfrizae Infilzare

Ambrucae Piantare nei solchi i tutori di canna o legno per i fagioli

Anfurnae Infornare

Ambutae Togliere il vino dalla botte Ampağiae Impagliare Ampastae Impastare Ampilae Impilare

Angavetasse Impigliarsi Arampigasse Arrampicarsi Arbechelasse Bisticciarsi Arbütelasse Dimenarsi Arcauzae Rincalzare 75


Arcuntae Raccontare

Basae Baciare

Ardevuğiae Arrotolare

Bàte Battere

Arevie Aprire

Beàe Belare

Arğiümelae Raggomitolare, fare un gomitolo di lana.

Beve Bere

Argusae Urlare

Armesčiae Rimescolare Arpusasse Riposarsi Arsuae Risuolare Asetasse Sedersi Avée Avere Azende Accendere Ažüntae Congiungere, unire Bağiae Abbaiare

Bisutae Bisbigliare Brüsae Bruciare Brustulie Abbrustolire Buğìe Bollire Caminae Camminare Cantae Cantare Cavae Levare Chinae Scendere Čiamae Chiamare 76


Cruvìe Coprire

Durmie Dormire

Cuğie Raccogliere

Ésse Essere

Cundie Condire

Fae Fare

Cuntae Contare

Fiae Filare

Cüsìe Cucire

Fisčiae Fischiare

Dasse a gavartèla Essere talmente stanchi da inciampare nei propri piedi, avere la fiacca

Fregae Fregare

Descargae Scaricare Descruvie Scoprire Desligae Slegare Desmüčiae Smucchiare Destetae Svezzare Die Dire

Frize Friggere Gratae Grattare Guardae Guardare Lavuae Lavorare Lèze Leggere Ligae Legare Manğiae Mangiare 77


Mete Mettere

Pulìe Pulire

Mügnae Muggire

Purtae Portare

Muntae Salire

Rancae Sradicare

Mùnže Mungere

Rastelae Rastrellare

Nusuae Annusare

Rempie Riempire

Parlae Parlare

Runcae Sarchiare

Pesae Pesare

Sbagae Togliere dal baccello

Petenae Pettinare

Sbagliae Sbagliare

Petüae Pitturare

Scanzelae Cancellare

Piantae Piantare

Scarfuğiae Scartocciare il mais

Pistae Picchiare

Scarmignae Strigare, allargare la lana

Pregae Pregare

Scaudasse Scaldarsi

Pudae Potare

Scrive Scrivere 78


Scuzae Rompere

Spazae Scopare

Secae Essiccare

Sperlenghie Bramare, desiderare ciò che si vede mangiare da altra persona

Segae Segare Semenae Seminare Serae Chiudere Sfrascae Sfrascare Sfregae Sfregare Sfuğiae Sfogliare Sgnaurae Miagolare Sgranae Sgranare Smurzae Spegnere Spacae Spaccare legna, sassi ecc.

Spianae Spianare Spinže Spingere Strabücae Inciampare, cascare Stranguàsse Ingozzarsi Strassinae Trascinare Stravarcae Scavalcare Stremenae Vuotare accidentalmente Stribiae Tritare Sudazae Setacciare Sunae Suonare

79


Surcae Solcare

Vestisse Vestirsi

Svëitae Vuotare

Zapae Zappare

Tağiae Tagliare

Zernìe Scegliere

Tağiae er gran Mietere Tiae Tirare Tunde Tosare Vande Usare il vaglio Vede Vedere Vëitae Vuotare Vendegnae Vendemmiare

80


Nomi di persone Come per ogni raggruppamento di vocaboli, anche in quello dei nomi potrà esserci più di una dimenticanza, inoltre in questo caso è stato posto il limite di non mettere i nomi di persone nate dopo il 1940. I nomi in dialetto possono subire delle storpiature, che a seconda di come e in che contesto vengono usate, possono assumere un carattere: affettuoso, spregiativo, di richiamo, complimentoso, di rimprovero, canzonatorio. Per non fare torto a nessuno, userò il mio nome “Sergio”: Seržu - Seržìn - Seržétu - Seržinè - Seržèi Seržè - Seržò - Seržùn - Seržazu.

Andra Andrea

Arvira Elvira

Andrea Andrea

Bačè Battista - da Gio: Batta

Anğiulìn Angelo

Bačičiu Battista - da Gio: Batta

Ardinu Aldo

Bačìn Battista - da Gio: Batta

Arfrédu Alfredo

Basiliu Basilio

Arnèstu Ernesto

Carmela Carmela 81


Carola Carolina

Durfu Adolfo

Guerinu Guerrino

Chiletu Achille

Elena Elena

Ìnesse Ines

Culurinda Clorinda

Elsa Elsa

Italina Italina

Custantìn Costantino

Eture Ettore

Ivana Ivana

Cutìrda Clotilde

Eusebiu Eusebio

Lavigna Lavinia

Dalia Dalia

Fedelina Fedelina

Lidia Lidia

Dante Dante

Francu Franco

Lina Lina

Delina Adele

Franzescu Francesco

Linda Linda

Dina Dina

Gabriela Gabriella

Linu Lino

Dinu Dino

Ğiacumìn Giacomo

Lissandrìn Alessandro

Dora Dora

Ğiuàn Giovanni

Lissandru Alessandro

Driana Adriana

Ğiuanìn Giovannino

Lissè Alessandro

Dumenega Domenica

Ğiüsepe Giuseppe

Lisseu Alessandro

82


Lissò Alessandro

Mariu Mario

Pinetu Pino

Lucianu Luciano

Mèlia Amelia

Renatu Renato

Luenzu Lorenzo

Meri Meri

Rina Rina

Lüviğetu Luigi

Miliéta Emilia

Savelìta Savelìta

Lüviğina Luigia

Miliétu Emilio

Sirvanu Silvano

Lüviğiu Luigi

Miliu Emilio

Sufia Sofia

Mabile Amabile

Minghetu Minghetu

Suntina Assunta

Maiana Marianna

Nastasìa Anastasia

Tanibèrtu Tanibèrtu

Maiéta Maria

Nelu Nello

Teofilu Teofilo

Màlia Amalia

Norma Norma

Tiliétu Attilio

Manuèlu Emanuele

Paulina Paola

Tugnìn Antonio

Maria Maria

Pierina Pierina

Tuliu Tullio

Marisa Marisa

Pietrìn Pietro

Tumìn Tommaso 83


Veržiliu Virgilio

Žènia Eugenia

Vinzensa Vincenza

Žina Gina

Vitoriu Vittorio

Žinu Gino

Žélantognu Gio: Antonio

Žüliana Giuliana

Zelide Celide

Žüliéta Giulia

Žèma Gemma

Žüliu Giulio Gruppo di beveronesi 1947~48

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I racconti del fusiğiau

Nei tempi passati, mentre si lavoravano i campi, o durante le veglie attorno al focarile, si usava narrare racconti, storielle, proverbi e filastrocche. Quasi sempre da questi racconti si potevano trarre dei “buoni insegnamenti di vita”, e cosa che non guastava, portavano anche un po’ di allegria. Chissà se letti oggi potranno ottenere lo stesso effetto; oggi che “stare ad ascoltare” sembra sia passato di moda. Alcune storielle saranno conosciute anche in altri paesi, altre da altri paesi ancora; anche se in piccola parte, rappresentano il legame che vi era fra i vari paesi, una parte del nostro passato. 85


Er busardu Se ün tu cugnussi per busardu, én te ghé crédi mancu quande u te disa a véità. Se uno lo conosci come bugiardo, non gli credi nemmeno quando ti dice la verità.

Balé cumpae Balé balé cumpae, che l’è dé carnevale, che poi végnià a quaesima, e a né pudeé pù balae.

Ballate ballate compare, che siamo in carnevale, poi verrà la quaresima, e non potrete più ballare. È meglio godersi le cose belle della vita finché si è in tempo, che domani sarà troppo tardi.

E campane de Madrugnàn E campane de Madrugnàn, suna énchë suna dumàn, tϋti i ğiurni i suneàn. Le campane di Madrignano, suona oggi suona domani, tutti i giorni suoneranno.

In dialetto Madrignano diventa Madrignàn, la storpiatura Madrugnàn era necessaria per la rima perfetta. Madrignano è di fronte a Beverone e le sue campane si sentono bene quando suonano, non potevano mancare in un proverbio. 86


I frati de Bulàn I frati dé Bulàn i n’an savü ni a fae ni a die, e i sen persi zentu lie. I frati di Bolano non hanno saputo né fare né dire, cioè non hanno saputo comportarsi adeguatamente, e si sono persi cento lire. C’era un signore di Bolano molto ricco a cui era morto il cane. Gli era molto affezionato ed era rattristato per la sua scomparsa. Come segno di affetto andò dai frati e chiese loro se potevano fargli il funerale, dicendo che era disposto a spendere anche cento lire per questo favore, una discreta cifra per quei tempi. Ma i frati risposero che non era possibile, questo favore proprio non glielo potevano fare. Allora il signore andò dal prete, ma anche questi gli rispose che non era nelle regole e non si poteva fare. Poi però dopo aver sentito delle cento lire disse che si poteva fare, facendo la cosa in modo riservato senza clamori, e quel signore fu accontentato. La morale è che a volte cercando un accordo si possono accontentare sia gli altri che se stessi. Da li, quando uno si vuol comportare punto e virgola, il detto: “non farai mica come i frati di Bolano che per la loro intransigenza, persero una opportunità”!

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De vinti e de trenta Se dé vinti né ghé n’è, de trenta né sen cava. Se a vent’anni di comprendonio ce n’è poco, però ci potrebbe essere ancora qualche speranza, quando non ce n’è a trenta non c’è più rimedio.

Gli ottanta carnevali Un giorno venne chiamato il medico per visitare una donna ammalata che aveva passato l’ottantina da un bel pò. Il medico visitò la donna e poi se ne andò. Ma mentre stava andando via, il figlio della donna disse al proprio figlio: corri, vai dal medico e digli che si è dimenticato di fare la ricetta. Il ragazzo raggiunse di corsa il medico e gli disse ciò che gli aveva chiesto il padre. Il medico rispose: hai ragione, mi sono dimenticato. Prese carta e penna e dette un foglietto al ragazzo. Questi tornò dal padre che lesse il foglietto su cui era scritto: quando un’anima è salita agli ottanta carnevali si può metter gli stivali per andare all’altra vita. In pratica, non si può credere di essere eterni, più che vecchi non si diventa.

Cumae e cumpae I protagonisti della storia sono il lupo e la volpe. Come succede in questi casi il lupo è maschio e la volpe è femmina, lui si rivolgerà a lei chiamandola comare, viceversa lei si rivolgerà a lui chiamandolo compare. Naturalmente i due saranno sempre in cerca di qualche furberia da compiere ai danni dell’uomo. 88


Questa volta cercavano qualcosa da mangiare senza far fatica e girellavano attorno alla casa del contadino che era però ben chiusa. Gira e rigira vedono un finestrino, e dopo un pò di sforzi riescono ad entrare in casa. Nel bel mezzo della stanza c’era un gran pentolone con dentro il latte accagliato per farne formaggio. I due si misero a magiare questa bontà con ingordigia. La furba volpe pensò di provare ad uscire dal finestrino, casomai a forza di mangiare gli fosse venuta la pancia troppo grossa impedendogli di uscire. Mangiò ancora rifacendo però ogni tanto la prova. Poi al momento giusto smise ed usci andando a farsi una bella dormita sotto un’albero, mettendosi una manciata di latte accagliato sulla testa, vedremo poi il perchè. Il lupo continuò a mangiare senza ritegno a crepapelle, però poi quando provò ad uscire purtroppo si accorse che ere intrappolato. Arrivò il contadino che trovandolo in casa sua, vista la confusione e il furto, gli dette un sacco di bastonate. Il povero lupo dolorante per le botte prese, e zoppicante, si diresse verso il bosco lamentandosi: ohi ohi che botte, ho le ossa tutte rotte. Trovò poi la volpe che se la dormiva sotto l’albero con la cagliata in testa, e continuò a lamentarsi. La volpe si svegliò e gli chiese: cosa c’è compare che ti lamenti? Rispose il lupo: comare, mi ha trovato il contadino e mi ha dato un sacco di legnate. Allora disse la furba volpe: non mi dire niente, anche a me, guarda mi ha dato una botta in testa che mi è uscito anche il cervello. Allora il lupo disse: povera comare, vieni che ti porto in spalla, e ce ne andiamo a casa nostra. Mentre erano in cammino, la volpe non contenta di abusare del povero lupo, si mise a canticchiare: arlinlà per pian ghè en maòtu cu porta u san “nel pianura c’è un malato che porta un sano”. Dopo un pò di questa cantilena il lupo chiese: cuse te disi cumae? “cosa dici comare”? E la volpe prontamente: gnete, gnente, a vagu pe a vanìa “niente, niente, vaneggio”. Arlinlà per pian ghè en maotu cu porta u san. É proprio vero, tante volte succede che una persona furba e senza scrupoli, riesca ad approfittarsi di una persona più buona e debole.

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Figu figu Figu figu figu, quande a iu vivu ne te févi mancu en figu, adessu che sun mortu ti fa picùlu stortu. Fico, finche ero vivo non facevi nemmeno un fico, adesso che sono morto li fai col picciolo storto, (cioè buoni). Grosso modo ha lo stesso significato di: quando avevo i denti non avevo di pane, adesso che ho il pane non ho più denti.

Dé tera Chi dé tera nassa, tera raspa. Chi nasce dalla terra, la terra rasperà. Chi nasce contadino non si faccia troppe illusioni, dovrà lavorare la terra.

En te l’ortu A sun andà én te l’ortu, ho atruvà en gatu mortu. A g’ò tağià er gambe, a g’ò fatu quatru stanghe, a g’ò tağià a cua a g’ò fatu na messùa, a g’ò tağià ği’ueče e a g’ò fatu due trumbéte. Sono andato nell’orto e ho trovato un gatto morto. Gli ho tagliato le gambe, ne ho fatto quattro stanghe, gli ho tagliato la coda, ne ho fatto una falce, gli ho tagliato gli orecchi e ne ho fatto due trombette. 90


Zentu sorte Chi ne mëa de fassëa zentu sorte se n’a prëva. Chi non muore in fasce, ne proverà cento. Cento equivale a dire tante, cioè tante esperienze, belle e meno belle.

Pistae l’aigua L’è cume pistae l’aigua en ter murtà.

E’ come pestare l’acqua nel mortaio. Si diceva di persone, specialmente ragazzi, che più gli si diceva di fare le cose in un certo modo, e più facevano di testa loro, combinando qualche guaio.

Trope caze Chi atende trope caze l’üna a sfüže l’atra a scape. Chi vuol fare troppe cose tutte assieme, una gli sfugge e l’altra pure. E’ un beverenose non puro, che si concede delle licenze poetiche per la rima, però come gli altri ha una bella morale.

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Tre donne alla fontana Tre donne andarono alla fonte a lavare i panni e prendere l’acqua. Mentre erano attorno al lavatoio, la prima donna raccontò alle altre che suo figlio era molto bravo a fischiare tanto da somigliare ad un usignolo. La seconda allora raccontò del suo, bravissimo a far capriole, così leggero da sembrare una farfalla. Visto che la terza donna non diceva nulla, le altre due le chiesero cosa sapesse fare il suo. Lei rispose che suo figlio era un bravo ragazzo, però non era bravo né a fischiare né a far capriole. Poi le tre donne presero la via del ritorno ben cariche, con il secchio dell’acqua sopra la testa ed il catino con i panni sotto il braccio. Ad un certo punto ecco i figli delle tre donne che venivano loro incontro. Il figlio della prima prese a fischiare così bene che la mamma rivolgeva sguardi pieni di orgoglio verso le altre. Così pure fece la seconda quando suo figlio si mise a far capriole una dietro l’altra. Il figlio della terza donna non fischiò né fece capriole, ma andò incontro a sua madre, le prese il catino dei panni che aveva sotto il braccio e se lo mise sotto il proprio, togliendole così un po’ di fatica sulla via del ritorno.

Al lupo! … al lupo! C’era un ragazzo che troppo spesso prendeva per scherzo ciò che andava preso sul serio. Un giorno si allontanò un pochino dal paese e poi si mise a gridare “al lupo! … al lupo!”. Tutti i paesani corsero in soccorso alla richiesta di aiuto, ma trovarono il ragazzo che se la rideva per lo scherzo fatto. Alcuni giorni dopo stessa storia e ancora tutti corsero in aiuto. Pochi giorni dopo il ragazzo gridò ancora “al lupo! … al lupo!”. Nessuno accorse pensando al solito scherzetto, però questa volta il lupo c’era davvero. Non era stata una bella cosa prendersi gioco del prossimo.

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La storia del cogone Nel passato si usava prendersi in giro fra i vari paesi inventando storielle o filastrocche, a volte leggere a volte un po’ meno. Questa rientra tranquillamente fra quelle leggere, ed era stata inventata da “quelli” di Stadomelli per “quelli” di Beverone.

Eh si, Beverone è proprio un bel paesino, ed è bello ritrovarsi nella sua chiesa lassù in cima al monte. Però in questa chiesa manca il pulpito, che è indispensabile nelle feste solenni quando è piena di persone, ed il predicatore lì sopra è ascoltato e visto meglio da tutti. Stufi di sentirsi ripetere sempre di questa mancanza, i beveronesi tentarono di porvi rimedio in questo modo: Alla fine di agosto, quando ricorre la festa del loro patrono, San Giovanni Decollato, e nelle botti ormai il vino incomincia a scarseggiare, ne presero una vuota e bella grossa, la ricoprirono con un telo rosso, e così ebbero anche loro un bel pulpito. Al momento dell’omelia, il frate predicatore invitato per l’occasione, salì sulla botte ed incominciò a predicare. Forse i fondi della botte non erano stati tirati bene, forse il frate durante il suo predicare si muoveva troppo, fatto sta che i fondi si staccarono dal loro alloggio ed il poveretto sparì di colpo dentro la botte. Trovandosi davanti agli occhi il buco del cogone, che è il tappo al centro della botte, dato che la predica era praticamente finita e mancava solo la conclusione, con grande presenza di spirito disse: Popolo di Beverone! L’ultima cosa ve la dico dal buco del cogone! Forse sembrerà una storiella banale che non fa nemmeno ridere, però bisogna provare a rileggerla cercando di andare indietro con gli anni, quando la vita era molto più semplice, quando non si cercavano i grandi effetti speciali. Provare ad immaginarsi la scena con la propria fantasia, scena che raggiunge il suo culmine con la rima “Beverone - cogone”.

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Eravamo partiti con l’intento di trovare perlomeno mille vocaboli del dialetto di Beverone. Ne abbiamo trovati poco meno di millecento, piÚ centoventi nomi di luoghi e novanta nomi di persone, per un totale di circa milletrecento. Se ne potrebbero trovare altri, ma per il momento ci accontentiamo. Un grazie a chi ci ha aiutato nella ricerca, e a chi ha avuto la pazienza di leggere e interpretare il nostro

“Dialetto Beveronese�

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