Rivista20 - n°33 maggio-giugno 2019

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N°33 maggio-giugno 2019

www.rivista20.jimdo.com

periodico bimestrale d’Arte e Cultura

ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE

Athos Faccincani

Edito dal Centro Culturale ARIELE


ENZO BRISCESE

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE

del Centro Culturale Ariele

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Hanno collaborato: Giovanna Alberta Arancio Monia Frulla Tommaso Evangelista Lodovico Gierut Silvia Grandi Irene Ramponi Letizia Caiazzo Graziella Valeria Rota Alessandra Primicerio Virginia Magoga Enzo Briscese Susanna Susy Tartari Cinzia Memola Miriam Levi Barbara Vincenzi www. riv is t a 2 0 . jimd o . c om

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Albero - tecnica mista su tela - 2011- cm 70x80

Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedì al venerdì tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com -----------------------------------------------------

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La costruzione dell’ideale - olio su tela - 2013 - cm 35x45

In copertina: Athos Faccincani


Sommario N° 33 * maggio-giugno 2019

In copertina ATHOS FACCINCANI

4 Athos Faccincani 8 ArteBari 2019 - Andrea Berlinghieri - Franco Bolzoni - Giorgio Billia - Enzo Briscese - Franco Cappelli - Giovanni Carpignano - Marco Creatini - Aldo Pietro Ferrari - Gina Fortunato - Domenico Lasala 19 Tibaldi Arte Contemporanea presenta Antonio M. Catalani 20 IL Seicento del Guercino 22 Il tocco dell’Arte a Taggia 28 Eventi Lombardia Luigi Veronesi

30 Letizia Battaglia

44 GANGEMI Editore

32 FRIDA KHALO

45 Artparma fair

36 Eventi Piemonte Giorgio De Chirico alla GAM 38 Eventi Friuli V. G: - IL POP FOOD di Alessandra Pierelli - Biennale Internazionale Donna 2019

46 Eventi Basilicata Rinascimento visto da SUD 48 Eventi Campania - “Canova e l’antico” Museo di Capodimonte - Caravaggio - Atleta di Cablanos

41 Galleria Rubin

52 Eventi Calabria - Rabarama - Leonardo da Vinci a 500 anni dalla morte - Alessandro Lato

42 Eventi Lazio Donne. Corpo e immagine

58 Eventi Sicilia - Enrico Meo a Messina - Ciclopica

40 Eventi Veneto Sebastiano Ricci

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ATHOS FACCINCANI

Athos Faccincani nasce a Peschiera del Garda il 29 Gennaio 1951. Negli anni 70 il giovane artista comincia a farsi notare per l’intensità espressiva delle sue figure. Gli viene così commissionata una mostra sulla Resistenza presso la Gran Guardia di Verona che gli frutterà la Medaglia di Cavaliere della Repubblica consegnatagli dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Nel 1980, dopo un profondo cambiamento interiore, Faccincani si lascia ispirare dalla Natura che diventa protagonista indiscussa della sua pittura che ormai ha conquistato sia l’amore del pubblico che l’attenzione della critica grazie ai colori vivaci e inconfondibili. Da allora l’ascesa del Maestro del Colore si è estesa ben oltre i confini nazionali, tra le sue esposizioni internazionali più importanti quelle di New York, Boston, S. Antonio, Miami, San Francisco, Chicago, Los Angeles, Londra, Vienna, Tokyo, Madrid, Zurigo, Amburgo, Monaco, Sofia, Hong Kong, Singapore e Montecarlo. Innumerevoli anche i premi di cui è stato insignito durante la sua quarantennale carriera, fra gli ultimi il premio Personalità Europea consegnatogli a Roma.

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Ho sempre invidiato i pittori, per l’immediata pubblicizzazione della loro arte. La pittura comunica direttamente con tutti, italiani inglesi tedeschi cinesi ottentotti, non deve cercarsi un traduttore come l’opera letteraria, che lega il suo destino al numero dei palanti l’idioma con cui è scritta. In particolare, ho sempre guardato ai pittori con la livida invidia dell’impotente che ha scarsa dimestichezza coi colori dell’arcobaleno, e ne conosce con assoluta certezza tre, quanto basta per non prendere la multa ai semafori. C’è di più. Un pittore, della domenica o dei giorni feriali fa lo stesso, quando si sente invaso dal dèmone ispiratore, afferra il pennello e dipinge, e poi per comunicare al pubblico il suo parto non ha bisogno d’un intermediario. Affitta un locale, issa il cartello “Mostra Personale” ed espone le sue tele. Direttamente, dal produttore al fruitore. Invece chi esercita il mestiere della penna, per pubblicizzare il suo prodotto, deve cercare un terzo personaggio, l’editore. Senza l’editore, romanzi e poesie restano nel cassetto, in attesa che li scoprano i posteri, quando l’autore sarà diventato un antenato. Marcel Proust, respinto dall’editore Gallimard, non poteva certo andare sui Lungosenna ad esibire ai passanti il manoscritto della Recherche.

“Invidio i pittori” ha scritto Federico Fellini, “carta, matita e tubetti ci colore permettono loro di affermarsi in ogni circostanza. Per loro ci sarà sempre una mela su un tavolo, una valle alla fine d’una passeggiata, e luce finché avranno la forza di aprire gli occhi”. Penso che fra tutti gli alunni delle Muse i pittori siano i più candidamente felici, abbagliati da quel perenne lampeggiar d’immagini e di forme nella fantasia, in presa diretta con madre natura, di cui succhiano come api il miele policromo di fiori, piante, acque,

cieli, luci ed ombre. Che poi traducono sulla tavolozza in assoluta libertà creativa. Ecco un altro vantaggio sugli scrittori: non gli serve il dizionario dei sinonimi, non sono vincolati dalla consecutio, possono inventare “neologismi cromatici” senza remore grammaticali, perché ogni pittore è “grammatico di se stesso”. Quale sia la grammatica del trentaquattrenne Athos Faccincani, veronese di Peschiera, tocca agli esperti stabilirlo.

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Ma non è necessario essere degli addetti ai lavori per capire che l’arte di Faccincani, pittore felice di esistere e di vivere, trasuda ottimismo e gioia da ogni olio e tempera. Nella pittura egli ha trovato la rivincita, morale prima ancora che estetica, sua una fanciullezza infelice. Per l’errore di un medico, che sbagliò la dose di un farmaco, soffrì da bambino un soffio al cuore che lo condannò a vivere molti anni sotto una campana di vetro. Non poteva giocare coi compagni. Come il passero solitario di Leopardi, guardava i giochi altrui. Il forzato isolamento maturò, amaro frutto, una precoce sensibilità. A tredici anni, quei torrenti ove il suo cuore malato gl’impediva di tuffarsi assieme ai compagni, quei campi di papaveri tra i quali gli era vietato correre, lui li dipinse. A memoria, nascosto in cantina, perché sua madre non voleva che perdesse tempo con “quelle stupidaggini”. E non immaginava che il figlio sfogava sulla tela la sua rabbia di emarginato, dileggiato dai compagni, i quali un brutto giorno, per punirlo della sua solitudine, scambiata per superbia, tentarono d’impiccarlo! Nessuno sospettava che il ragazzino cercava nella tavolozza l’alibi, la liberazione da una realtà fatta di bigie corsie d’ospedale, e spettrali camici bianchi, e lunghe strisce di carta con il tracciato dell’elettrocardiogramma, inesorabile sismografo del suo cuore terremotato.

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Per accontentare la madre per accontentare la madre che, come tutte le madri, sognava per lui una quieta professione borghese, s’iscrisse all’istituto per ragionieri. Si alzava alle quattro, per fare i compiti. Il pomeriggio lo consacrava alla pittura frequentando lo studio del vecchio Semeghini e quando si diplomò a pieni voti e già la mamma trafficava per trovargli un posto in banca, le procurò un altro dispiacere correndo a Venezia, a iscriversi all’Accademia delle belle arti. Per mesi visse d’arte e di panini, cliente affezionato delle più note latterie. Fece il piccolo di bottega a Guidi, a Seibezzi, a Marco Novati. Angelo Gamba lo faceva alzare di buon’ora perché andasse a vedere l’alba. “L’ho vista ieri” si difendeva il giovanotto, cui difettava il cibo, non il sonno. “Ricordati che ogni alba è diversa dalle precedenti” rispondeva il maestro, “non solo perché cambia il giorno, ma perché cambiamo noi”. Dopo una dozzina di levatacce, scrisse alla madre informandola che mai e poi mai sarebbe entrato in banca. Come era possibile stare curvi dietro uno sportello a timbrare assegni avendo gli occhi colmi di gabbiani e d’albe lagunari ? Athos Faccincani ama la natura nella sua sacra totalità: monti, alberi, insetti. Sdraiato su un prato, indugia a spiare la microscopica vita, fremente fra due ciuffi d’erba o nel salto d’un ruscello. Si arrabbia con la moglie, signora Rita, quando uccide un ragno. Se la casa è invasa dalle formiche, le fa retrocedere seminando talco. Non usa insetticidi. Anima delicata, vegetariana e vagamente panteista, soffre nel vedere la strage di moscerini spiaccicati contro il parabrezza della macchina. Alla corrida, parteggia per il toro, come da bambino parteggiava per il topo. “Vorrei sapere come fanno i topi a mangiare il formaggio senza far scattare la trappola” brontolava il nonno, lungi dall’immaginare che era stato il nipotino Athos a togliere il formaggio. Superfluo aggiungere che stravede per i cavalli ei cani. La prima notte di nozze, nessuno dei due dormì, non per il motivo d’obbligo in tale circostanza, ma perché il cane che da anni dormiva con lui, e per l’occasione era stato rinchiuso nella

camera accanto, abbaiava con urla che non avevano più nulla di canino. Gelosia? Tanto che la sposina, persa la pazienza, gridò “O me o il cane”. Rispose Athos: “Io al cane non rinuncerò mai. Puoi tornare dai tuoi genitori”. Ma la moglie rimase. Il suo intuito femminile capì che agli artisti bisogna perdonare molte cose, perché danno in cambio cose che i non artisti non ci daranno mai. Guardate i suoi fiori. “Una casa piena di libri e un giardino pieno di fiori” chiedeva al cielo il saggio Confucio. Chi non ha fiori di giardino, appenda alla parete quelli di Athos. Sono eguali, e non appassiscono. Li avesse l’esquimese nel suo igloo, sentirebbe un miracoloso odor di primavera. Anche il figlio – el sangue no xe aqua – dipinge. Si chiama Mattia, ha cinque anni, e disegna alla KIandinsky, alla Paul Klee. Per un quadretto, prende “una donna”, cioè una banconota da cinquantamila. E trova perfino degli acquirenti. Athos comincia ad essere geloso. Lui, a quell’età, non aveva una lira. Cesare Marchi

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ArteBari, 3-6 maggio Contemporary Art Talent Show offre agli artisti un’opportunità per entrare ed affermarsi nel mercato dell’arte, godendo del feedback mediatico che solo le grandi fiere assicurano, vivendo inoltre, l’esperienza di misurarsi con un pubblico di visitatori esperti e fortemente interessati. Una vera chance di crescita artistica e professionale. L’occasione per investire sul proprio talento e creatività, per soddisfare un collezionismo colto e sofisticato, dando la possibilità di porre sotto una nuova luce il fare arte nella contemporaneità, con soluzioni innovative, alternative ed installazioni sperimentali. Alla proposta espositiva si affiancherà un importante calendario di eventi, conferenze e incontri.

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ANDREA BERLINGHIERI e-mail: aberlinghieri@gmail.com tel. 366.13 29 880

Andrea Berlinghieri è nato a Savigliano (CN) nel 1974. Pittore e artista visuale, inizia in giovane età a dipingere sotto la guida della madre insegnante di arte dalla quale apprende con naturalezza la possibilità della comunicazione attraverso l’arte. A Torino compie gli studi in Car –Design collaborando successivamente come designer con studi specializzati di settore che gli permettono di acquisire esperienze importanti nel disegno e nella progettazione. Nel 2003 frequenta l’atelier di un famoso maestro contem-

poraneo, divenendo successivamente suo collaboratore,. In parallelo sviluppa un proprio linguaggio, contraddistinto da una costante attenzione all’esplorazione delle tecniche antiche e contemporanee quale veicolo indispensabile all’espressione artistica. Nella sua ricerca esplora, attraverso cicli tematici, le relazioni tra mondo onirico e realtà, realizzando opere nelle quali il binomio tecnica - contenuto diventano cifra caratterizzante del suo lavoro. Vive e lavora a Giaveno (TO).

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FRANCO BOLZONI

e-mail: info@francobolzoni.it website: www.francobolzoni.it tel. 349.23 44 880

Diplomato al liceo artistico di Torino nel 74, un po’ di Accademia, un po’ di Architettura e tanta pittura. Nel 1977 inizio ad occuparmi di illustrazione e di grafica come free lance e come art director in importanti agenzie pubblicitarie. Nel 2006, riprendo la mia ricerca artistica, i primi studi, i primi tentativi, le prime garze colorate. Sono nati così i primi oggetti mummia, oggetti d’uso comune come una bottiglia, un libro, una fetta d’anguria, oppure animali, animali che mantengono la loro forma, la loro struttura, animali “vivi” che a tratti emergono dalle fasce che li avvolgono e li costringono. I curiosi e intriganti quadri mummia di Franco Bolzoni. Formatosi al Liceo Artistico, ha lungamente lavorato nel campo dell’illustrazione e della pubblicità come art director dell’agenzia Armando Testa, mentre alla fine degli anni Settanta ha allestito una personale alla Galleria Quaglino di Torino con opere classicamente figurative. Ora la sua esperienza si identifica con una ricerca intorno alle mummie, a un universo di immagini celate dalle fasce, a una realtà negata all’osservatore, ma sicuramente misteriosa e, talvolta, sottilmente inquietante: «Rappresentare un oggetto qualsiasi - suggerisce il pittore - da un animale ad una fetta d’anguria, senza mostrarlo nei suoi colori, nelle sue superfici e materiali, apre ampi spazi di libertà...». E’ la libertà dell’immaginazione che unisce la forma di un pesce verde a quella di una bottiglia blu o di una tazzina arancio. Così le scarpe dal colore oro, i sassi grigi, una stilografica e un libro aperto avvolto con strisce di tela, diventano altrettanti capitoli di un racconto che si snoda sulle pareti della galleria in una sorta di percorso tra immaginazione, sogno e affiorante struttura degli oggetti. In particolare, le composizioni di Bolzoni possono essere viste e «lette» come quadri-sculture estremamente essenziali, nitidi, caratterizzati dall’impiego del colore acrilico

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e dal poliuretano per formare l’immagine: «Desidero che in qualche modo siano vissuti ancora come veri e propri quadri e cerco più che altro il gioco, l’ironia, il divertimento anche a rischio di apparire ingenuo». Non solo gioco. Perchè tra le opere esposte si nota l’opera «Aviaria gallina rossa»: un documento dell’angoscia che ha coinvolto la popolazione mondiale. Angelo Mistrangelo La Stampa 17-12-2007


GIORGIO BILLIA e-mail: car.flac@tiscali.it tel. 338.50 00 741

Ha frequentato il liceo artistico e l’ Accademia di belle arti di Torino insegna materie artistiche al liceo artistico “ A. PASSONI” di Torino. Vive e lavora a Rivoli (TO). Mostre collettive e personali dal 1987 al 2018 ...le opere di Billia rivelano un’inquietudine categoriale che le rende sfuggenti, come del resto sono sfuggenti le sue immagini, costruite con particolari tanto eloquenti quanto evasivi, che colpiscono per la loro intensità, mai per la loro completezza. Questa continua indicibilità, questo continuo sottrarsi non è un’esigenza formale. E’ un’esigenza mentale. Il problema di Billia non è tanto quello di superare i generi espressivi. E’ già stato fatto. Il suo problema è quello di suggerire contrasti e irriducibilità, anche avvalendosi dell’opposizione dei mezzi espressivi. Elena Pontiggia

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ENZO BRISCESE e-mail: enzobriscese6@gmail.com sito: www.galleria-ariele.com www.facebook.com/enzo.briscese.9 tel. 347.99 39 710

Affiorano lacerti della memoria, nella pittura di Enzo Briscese. Affiorano, innanzitutto, la figura e la storia. E, di conseguenza, affiorano i miti e la filosofia, attraverso la rappresentazione figurativa della persona. E poi emergono, anche, codici numerici: assegnati a un immaginario fantastico (di forte potenza evocatrice in senso archetipale) e a progressioni algebriche che appaiono, in alcune circostanze, del tutto casuali - tuttavia, pur sempre, armoniche - e in altre situazioni rispondono, invece, a un calcolo preciso, sembra quasi desiderato, certamente ricercato, da parte dell’artista, il quale è come se avesse tutto prefissato dentro di se, nel suo immaginario e nel suo inconscio. Insomma, è come se le sequenze geometriche dei cerchi, dei triangoli e dei rettangoli- che l’artista crea sul pianoprospettico dell’opera – rispondano a un preciso apparato geroglifico, tutto suo, che racconta: sia la complessità del pensiero razionale e sia l’insostenibile leggerezza dell’individuo, attento a voler manifestare la sua fantasia e la sua immaginazione. E poi compaiono, pure, nei dipinti di Enzo Briscese: segni e simboli che sono descrittivi, in qualche misura, dello spazio sociale e relazionale, abitato dall’individuo contemporaneo. Da altri dipinti emerge, per di più, un urlo. È l’urlo di un individuo che pone come epicentro, ideale, della sua condanna sociale, la ruvidezza del nostro tempo. Un tempo che conosce solo l’inquieta complessità del vivere quotidiano; dentro spazi architettonici che sono chiusi, a filo di refe, in una dimensione urbana che stringe, che soffoca e che opprime. Una realtà, insomma, che è comunque da condannare e da mettere da parte, ricorrendo al sistema dell’immaginario fantastico: a tratti, ludico, giocoso e disimpegnato e a tratti, 12

invece, serio, greve, misurato e continente. La forza visionaria di Enzo Briscese sta in tutto questo. Sta nella sua capacitàdi mettere insieme la figura e l’espressione astratta di un’idea. E poi, anche, nella sua abilità di far convergere la forma in un “tutto armonico” dove c’è spazio per il segno, per la linea e per il colore. Rino Cardone


FRANCO CAPPELLI

Franco Cappelli, pistoiese, ha iniziato a dipingere alla fine degli anni 60, rifacendosi al figurativo seguendo gli insegnamenti della scuola pistoiese di quegli anni. Il punto finale delle sue opere è senza dubbio la ricerca. La ricerca delle forme e del colore. E’ pittore astratto. Dopo vari passaggi l’attuale ricerca è approdata al dell’elaborazione di architetture ( vedi personali su Le Corbousier, Carlo Scarpa, F.L.Wright ) però non lasciando mai temi riguardanti il “Cosmo” ecc. Tra i linguaggi espressivi dell’artista pistoiese, vi è la pittura geometrica e l’informale che tratta con idee geniali e fantasia, e, parallelamente la scultura ( Pietra, legno, metalli , plexiglass ) che realizza in opere anche di notevoli dimensioni, e la ceramica che foggia e dipinge tra Albisola e Montelupo Fiorentino. Al suo attivo sono più di 500 le mostre personali e collettive in Italia e all’estero (Francia, Spagna, Germania, Rep.Ceca, Slovenia, Polonia , USA ) Attualmente espone sovente in luoghi pubblici e musei. Una sua opera fa parte della Pinacoteca della Regione Toscana, altre opere si trovano in Palazzi Pubblici. Fa parte dell’associazione culturale “Brigata del Leoncino“ di Pistoia dove organizza eventi artistici. E’ socio dell’“Antica Compagnia del Paiolo“ di Firenze. Di lui hanno scritto: P.F.Listri, F.Napoli, A.M.Barbagallo, G.R.Guerrieri, M.Musone, S.Falzone, S.Simoncini, S.Barbieri, D.Menicucci, S.Serradifalco, D.Pronestì, L.Bronzi, D.Marasà, D.Camiciotti, R.DeSalvatore, A.Agostini,S.Ranzi, A.Brancolini,

M.Biagi, A.Mannelli, S.Lucarelli, L.Bardelli, E.Cabella, A.Bolognesi, L.Carini, F. Bianchi, G. Guarneri, M. Tuci, M. Leoncini, L. Gierut, G. Puntelli. E’ inserito nei cataloghi d’arte: Dizionario enciclopedico internazionale d’arte moderna e contemporanea, Avanguardie Artistiche, Grandi Maestri, Annuario d’Arte Moderna ,Artisti della Piana Fiorentina, Pittori e Scultori toscani del 3° millennio, Euroarte, Censimento Artisti Italiani, Elite, Arte e Collezionismo, Arte e Grafologia, Capire l’Arte, Segno, Pegaso, Boè, Arte Mondadori, Genius.

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GIOVANNI CARPIGNANO

e-mail: giocarpignano@libero.it www.facebook.com/giovanni.carpignano.3 tel. 348.24.16.997

Diplomato al Liceo Artistico di Taranto, ha completato gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bari. La sua ricerca muove tra identità storica e archeologia dell’anima, dai RitrovaMenti alla RiCreazione attraverso genetica, corpo, memoria e spirito. Nel 1987 viene segnalato al “Premio Italia per le Arti Visive” a Firenze da “Eco d’Arte Moderna”, con mostra premio presso la galleria “Il Candelaio” del capoluogo toscano. Nel 2011 è stato invitato a partecipare alla 54a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Padiglione Italia Regione Puglia – Lecce, a cura di Vittorio Sgarbi. Dal dicembre 2012 con l’opera “Guerriero o Contadino” (2007) viene invitato da Massimo Guastella ad aderire al progetto “Simposio della scultura”, raccolta permanente del Museo Mediterraneo dell’Arte Presente (MAP) allestito da CRACC, spin-off dell’Università del Salento, nell’ex chiesa di San Michele Arcangelo a Brindisi. Nell’agosto 2013 è invitato dalla Fondazione San Domenico a presentare le sue opere presso il Parco Rupestre di Lama d’Antico a Fasano (BR), in occasione dell’inaugurazione da parte del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Massimo Bray con la presenza di Mimmo Paladino. Nello stesso mese partecipa alla mostra “Mustinart. Corpo 2. Il percorso della scultura”, progetto espositivo ideato e coordinato da Toti Carpentieri presso il museo MUST di Lecce.

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Nel 2014 viene invitato dalla Fondazione Museo Pino Pascali a “Piccolo Mondo Antico”, a cura di A. Frugis e R. Lacarbonara, con un’installazione site-specific presso il Giardino Botanico “Lama degli ulivi”, Monopoli (BA). Nel 2015 in occasione del progetto “Sull’arte contemporanea. Metodologia e ricerca nei luoghi dell’Università”, a cura di Letizia Gaeta e Massimo Guastella, ha presentato un’installazione site-specific dal titolo “Comunicazione tra due volatili”, Università del Salento, Dipartimento di Beni Culturali . sempre nel 2015 espone alla Galleria del Mitreo Iside di Roma nella mostra “Percorsi d’Arte in Italia” a cura di Giorgio Di Genova. Nel 2016 presenta delle installazioni alla Fondazione San Domenico in occasione del “VII Convegno internazionale Civiltà Rupestre”, Savelletri di Fasano (BR) su segnalazione del Direttore Cosimo Damiano Fonseca, Accademico die Lincei. Nel 2017 una sua opera entra a far parte della collezione del “Museo del giocattolo povero e del gioco di strada” ad Albano di Lucania (Potenza). Sempre nel 2017 espone ad “At Full Blast” con istallazioni nei Giardini del Convento di Sant’Agostino a Matera. Il suo lavoro è stato oggetto di tesi di Laurea presso l’Università del Salento e dell’Università di Bari. Ha realizzato monumenti pubblici, inoltre sue opere figurano in musei, Università, Fondazioni, Chiese, Palazzi di città, e collezioni private.


MARCO CREATINI

Marco Creatini lo paragonerei ad un Joseph Pennel attuale,viaggiatore,americano di Philadelphia che ha disegnato Firenze e la Toscana agli inizi del XX secolo dove conobbe i pittori macchiaioli,frequentatori del Caffe’ Michelangiolo,partecipando alle loro discussioni. Gira,viaggia per lo piu’con la fantasia:dalla recente biografia leggo pero’ la concretezza di un ottimo elenco espositiv o:Parma,Milano,Torino,Innsbruck…,come la frequentazione passata dello studio di Antonio Nunziante ,a Giaveno,e l’elencazione di esperti del settore che ho conosciuto,tipo Guido Folco,o, di sfuggita,lo stesso Nunziante. Nunziante lo dice “…tenace,rigoroso e sensibile”;Folco ne evidenzia,opportunamente,”…un ideale di bellezza che si nutre di sogno e immaginazione…”. “Incontro Eterno”,La casa della luna”,”Verso L’infinito”… ,contengono i giusti elementi di un incontro/scontro tra pensiero e realta’,comunicazione e viaggio nel tempo,grazie ad una solidissima struttura basata su un insieme che idealizza la realta’portandola su un piano storico. Ecco che l’elmo greco o il paesaggio settecentesco,il mare guardato da un dio…si assemblano in fantasticare piacevolissimo,tecnicamente assai produttivo,che evolve il soliloquio portandolo,passo dopo passo,nella solida realta’delle forme piu’ aperte,per cui ecco la sosta dei simboli piu’ cari,la luna correlata al sole,segno di principio femminile e di rinnovo,e non manca il mondo (la Terra),la vita interiore proiettata nello spazio ,e c’e’ il cielo con intensi fluidi giochi luminosi. La sua attenzione e’ sorretta dall’inesausto desiderio di colloquiare, di parlare e conseguetemente di dipingere,

cercando di diradare le nebbie del nostro contemporaneo portando il fruitore nell’universo del sogno,in uno stato antecedente,piu’ puro,piu’ pulito,aggiungendo toni un poco metafisici. Sono opere da chiamare “viaggi nel tempo” che svelano,in definitiva,forme suadenti di un periodo e di una certa epoca,per il comune piacere. Lodovico Gierut (Critico )

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ALDO PIETRO FERRARI

e-mail: aldopietroferrari1@gmail.com www.premioceleste.it/artista-ita/idu:29445/ tel. 339.82 89 190 Nasco a Torino il 28-06-1962. Fin dalla giovanissima età ho sviluppato un forte interesse per il disegno e la pittura. Ultimati gli studi artistici, mi inserisco nel 1985 in qualità di designer in Italdesign Giugiaro, oggi parte del Gruppo Volkswagen, dove tutt’oggi collaboro attivamente. All’interno di questa struttura, ho sviluppato molti progetti di Industrial, Transport e Interior Design, Architettura e Automotive. Nel 2006 la decisione di esporre i miei lavori pittorici con una mia prima personale a Torino. L’ Intenzione è quella di non lasciare decadere idee che forse non potevano essere utilizzate nel mondo del design . Esiste tuttavia la possibilità di mantenere sempre viva la teoria “ dei vasi comunicanti” tra arte e design. Il segno vissuto con la massima dinamicità e cromia costituisce la mia essenza più naturale. Ho partecipato a diverse collettive e personali, in diverse parti d’Italia , Berlino, New YorkIl linguaggio della scrittura e la poetica di Aldo Pietro Ferrari si incontrano a partire dalle stesse parole dell’artista. “ Mi propongo , prima di iniziare qualsiasi lavoro, di suscitare delle nuove emozioni anzitutto in me e di riuscire, ad opera conclusa, a trasmetterle agli altri coinvolgendoli nel mio percorso espressivo. Le alternanze fra sacro e profano, mitologico ed erotico, costituiscono le ambivalenze del’ animo che convivono e mi caratterizzano con eguale forza. Quanto al colore e al segno, aspetti di radicale significatività nel mio operare artistico, appaiono in bilico tra un tratto figurativo, lontano

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dall’ Iperrealismo che considero sterile e freddo, e un tensivo propendere verso vie sperimentali di astrazione. Il retaggio culturale di provenienza e la formazione specifica mi portano ad interpretare il segno in forma dinamica e tridimensionale ma aperta e direzionata verso una ricerca prospettica sempre nuova”. Giovanna Arancio


GINA FORTUNATO

e-mail: ginaeffestudio@alice.it sito: www.ginaeffe.it tel. 349.84 49 227

Gina Fortunato un’artista che ha deciso, con la propria pittura, di scandire una via personale in piena libertà, affrancandosi da ogni condizionamento. La mia visione si dipana attraverso un cromatismo di misura caleidoscopica, arricchito da suggestioni segniche e da un forte dinamismo che ne è caratteristica principale. Molti miei lavori, vivono di un dialogo interiore vibrante, colto nei luoghi emotivi dell’animo, attraverso una partecipazione visionaria, che rasenta l’astrazione, mai tuttavia percorsa per intero, per condurre con consapevolezza nell’oltre: metafisico, estatico e colmo di vita.

La mia arte appare come un viaggio catartico fra bellezza e stupore, ricco di energia propulsiva, dove lo spazio assume profondità e pienezza grazie a puntuali effetti prospettici . Nelle mie opere si leggeun’espressività liberata da

inutili orpelli, vivace e spontanea, ove emerge senza dubbio la mia forte personalità, che attraverso le mie opere induco l’osservatore ad una contemplazione meravigliata. Per me l’arte non è mera professione, ma condizione totalizzante di piena realizzazione personale, espressione d’ingegno sorretto e stimolato dalla pura passione. Nasco a Spinazzola, (BT) nel 1964 e da oltre 25 anni ho uno studio a Vignola, dove vivo e risiedo. Ho alle spalle esperienze in ambito scenografico e teatrale, che ne hanno ar ricchito la formazione nell’ambito delle arti visive. Ho studiato scenografia all’Accademia di belle arti di Bari e avevo promesso ai miei professori allora, e a me stessa da sempre, che dell’Arte ne avrei fatto una ragione di vita”. Un vissuto ricco, da conoscitrice approfondita delle tecniche, oggi propensa al confronto con una concettualità retta dal libero pensiero creativo, ove la tecnica non sia fine in se, ma mezzo di ricerca di un significante. 17


DOMENICO LASALA e-mail: lasaladomenico@virgilio.it tel. 320.93 21 564

“Pittura, scrivere la vita” (greco antico) Per Domenico Lasala la rilettura degli antichi classici e lo studio degli ulteriori passaggi artistici avvengono alla luce degli sviluppi internazionali contemporanei. Ne deriva un’interpretazione personale in cui le ambientazioni all’aperto e gli interni colpiscono per la loro essenzialità: i paesaggi rammentano vagamente il rigore dell’ultimo Carrà e le architetture urbane fanno pensare alle solide costruzioni sironiane, ma il tutto si presenta come un fondale cristallizzato in una struttura arcaica da cui, da un momento all’altro, si possono dischiudere delle quinte teatrali. I personaggi, enigmatici alla stregua di quelli di Piero della Francesca e torniti secondo l’insegnamento masaccesco, si inseriscono in una ritmica di incastri senza tradire emozioni, offrendosi come figure topiche, spesso sotto le sembianze di musici e cantori. Non è da dimenticare che la musica nella trattatistica classica possedeva uno spessore sapienziale in seguito smarrito e l’artista evoca, quasi fosse un magico antidoto, questo antico e vitale collante sociale per farne dono ad un mondo pervaso da un’anonima e drammatica frenesia.

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Quando si accenna alla musicalità antica come parte integrante del corredo sapienziale vanno sia ricordate le sue origini razionali che legano la bellezza con l’armonia, la misura , l’equilibrio, la perfezione e l’ordine sia non possono essere passate sotto silenzio le profonde radici del pathos che apporta all’insieme tono e vigore grazie alla forza espressiva e drammatica che lo costituisce. Intuire questo nesso che alimenta la cultura antica, animandola con una sua saggezza di verità vuol dire avvicinarsi alla comprensione della natura complessa che sostiene la potenza di quell’arcaica e vitalissima filosofia del bello. Le arti ne fanno parte esternandosi in una esperienza collettiva, al contempo ricca di contrasti ammessi e ricomposti, tragici e coreutici, intensi e catartici nello stesso tempo. La dismisura, anche il caos ha un suo senso, nella magia e nel mistero di un mondo di vibrante marca razionale, lontana da razionalismi e da languenti aridità semantiche e di sentimento. Di certo è facile cadere in ingenue nostalgie e mitizzazioni del passato. Così pure mi pare distruttivo abbarbicarsi ad un sogno lontano alla ricerca di una storica ripetizione tra l’apollinea luce della ragione e la dionisiaca ebbrezza, con una disperante ricerca nietzscheana. Al di là di formule perfette, restiamo in questo difficile presente senza però privarci della suggestione che “il bello”, in senso pieno, ci lascia trapassare silenziosamente per mezzo dei secoli. Già così fece, a suo modo, il quattrocento che Domenico Lasala guarda con occhi particolari. Su questo fascino influisce, credo, anche quella luminosità cromatica che vivifica la prospettiva e che intride spazio e tempo di colori intensamente puri, saturi e magnetici, così come sono stati scoperti nei restauri. La tavolozza lasaliana evoca la limpidezza di quella atmosfera colorata e i suoi luoghi e le sue stanze animate, ci trasportano in scenari, oppure in ambienti, dove suoni, danze, rapporti, perfino il sonno, non vengono sbarrati da mura di solitudine. e figure umane del pittore emergono tramite un leggero chiaroscuro; non ci sono ombre portate e lo spazio diventa “assoluto”, percorso da una sonorità silenziosa. Giovanna Arancio


RALUCA MISCA

e-mail: raluca.misca@yahoo.com tel. 392.04 47 358

Raluca Misca è nata il 9 dicembre 1980 a Cluj-Napoca, città situata nel cuore della Transilvania, una regione con una ricca vita politica e culturale fin dall’antichità. Dopo essersi diplomata al Liceo Artistico “R. Ladea”, nell’autunno del 1999, si iscrive all’università di Arti Visive e Design “Ion Andreescu” di Cluj, dove studia pittura per sei anni; questo periodo della sua vita ha avuto un ruolo decisivo nella sua formazione di artista. Nei due anni successivi alla laurea universitaria, ha insegnato pittura e disegno in una scuola di Cluj, che è stata una buona occasione per far conoscere la spontaneità delle creazioni dei bambini e del loro universo magico. Recentemente si è trasferita a Roma e poi a Napoli, dove ora vive e lavora. 2003/2005, M.A., Arti visive, Università di Arte e Design di Cluj-Napoca, Romania 1999/2003 B.A, Belle arti (pittura murale), Università di Arte e Design di Cluj-Napoca, Romania 2010 “ Study on Eve’’( Art Performance & Scenography ) Teatro Vascello, Rome , Italy 2009 “Crescent Space” Art’s Moment Gallery , Rome, Italy 2005 “ Structures” Octavian Goga Library , Cluj-Napoca , Romania

Selected collective exhibitions: 2016 XI Biennale d’Arte Internazionale, Sale del Bramante, Rome, Italy 2015 ‘’Intorno alla figura’’, Galleria 20, Turin, Italy 2014 ‘’Stabiae: Arte senza ostacoli’’, Reggia di Quisisana, Castellammare di Stabia, Naples, Italy 2014 ‘’Emozioni a confronto’’, Villa Fondi, Piano di Sorrento, Naples, Italy 2012 ‘’Confronti senza frontiere’’ , Accademia di Romania , Rome , Italy 2010 ”Accorgersi” Residenza in Farnese , Rome, Italy 2010 ”ArtmosfereDuemiladieci” Art’s Moment Gallery, Rome, Italy 2009 “Open Art” Sala del Bramante , Rome, Italy 2007 “ Coelvm -Antichi Palazzi” Palazzo Cesi , Acquasparta , Italy 2005 Group exhibition , Expo Transilvania Exhibition Center, Cluj-Napoca, Romania 2002 ‘’Icon” National Museum of Art , Cluj-Napoca, Romania 2001 Group exhibition , New Outsider Gallery , Mendrisio Foxtown , Swiss Less

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ENRICO MEO mail: enricomeo@libero.it tel.: 346.85 54 667

Dice bene il critico Gianfranco Lambrosciano quando, a proposito di quest’artista, parla di “pluridirezionalità che spiazza e disorienta”. L’inevitabile influsso avanguardistico, evidente fin dalla prima occhiata alle opere, ha generato uno stile composito, nel quale si identificano tracce della Pop Art (di cui Tilson fu una figura leader) , ma anche dell’arte concettuale(intesa come ricerca nell’opera della logica più che del piacere estetico), e ancora del cubismo e del surrealismo. Non mancano, tuttavia, tracce di influssi provenienti da altre epoche, come l’arte bizantina, riconoscibile nei tratti del volto e specialmente gli occhi di certi personaggi, così come nell’uso ricorrente di alcuni colori, tipici del suddetto filone (il rosso, il blu o il verde…), e nella simbologia ad essi collegata. Il significato dei dipinti, tuttavia, è tutt’altro che immediato, così come la collocazione spazio-temporale dei soggetti, confinati in un altrove surreale nel quale non esistono punti di riferimento. Ora circondati da una fitta boscaglia, ora sospesi sulla vetta di un monte, ora immobili al centro del deserto... essi ci appaiono bloccati in un non-luogo che potrebbe essere luogo dell’anima, paesaggio interiore nel quale l’osservatore è furtivamente invitato ad entrare, per comprendere cosa vi si cela. E’ come se l’artista invitasse il non-artista, l’uomo comune, a cambiare prospettiva e a guardare la realtà da un punto di vista nuovo, quello appunto dell’occhio interiore, per scorgere significati prima sconosciuti. C’è una sorta di mistero inespresso che aleggia sulle opere di Meo, un senso inesplicabile che, come un déjà vu, scatta immediatamente alla vista dei soggetti, ed induce a ricercare, senza trovarlo, un ricordo o un significato negli anfratti dell’anima. Per dirlo ancora con Lambrosciano, è necessario “soggiornare” nell’opera, “trovarvi, per così dire, dimora e sostarvi come in una grotta in religioso raccoglimento fino ad arrivare, se possibile, ad ascoltarla.” Laura Giacobbe

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LORENZO CURIONI e-mail: curionilorenzo@tiscali.it tel. 340.97 24 174

Lorenzo Curioni, pittore brianzolo, intesse sulla tela un profondo rapporto tra l’uomo e lo spazio, una relazione per lo più giocata nell’habitat urbano dove la presenza umana traccia la sua storia e si affaccia facendo sentire i diversi ritmi della sua quotidianità o impregna di sé attraverso i segni del suo passato con cui ha imparato da sempre a coabitare. L’artista dipinge questa realtà complessa, ne conosce luci ed ombre. Inoltrandosi nelle sue periferie, facendosi largo tra gli interni dei suoi angoli più degradati od occhieggiando i luoghi deserti delle sue fabbriche dismesse si rimane catturati ascoltando il silenzio che ci investe e ci avvolge in un’atmosfera intrisa da questo inquieto legame uomo-spazio. Sono opere senza retorici rimpianti che ritraggono un mondo trascorso di intensa vita vissuta. Il novecento lombardo, con la sua rapida industrializzazione, ha lasciato un ricco bagaglio di fermenti, testimonianze, e nondimeno di arte, che arriva fino ai nostri giorni e con il quale il terzo millennio fa i conti. I pietrificati silenzi dei paesaggi urbani sironiani, le irrequietezze chiariste, i disagi e le speranze, che si vissero nell’epoca dell’inurbamento, si ritrovano in quella tradizione lombarda di cui Curioni porta i segni, naturalmente ormai lontani e rivisitati. In queste aree, che l’artista ricrea,viene

tratteggiata la fine irreversibile di un’epoca e nel contempo ciò che appare in questa prima parte del terzo millennio: infatti gli spazi periferici , seppure anonimi, rivendicano una loro attuale identità collettiva, rivelano un loro modo d’essere all’interno di una tavolozza chiara fra gamme di grigi e celestini, terre tenui aranciate od ocracee, luci pacate e soffuse. I contorni delle cose sono leggeri, spesso al limite dell’accenno, mentre i piani cromatici si susseguono in profondità all’interno di una composizione di rigorosa coerenza. Da questi suoi quadri si esce con la sensazione di aver compiuto un viaggio fra i resti di un passato in via di sfaldamento e l’opera avvia il fruitore ad una riflessione quasi d’obbligo su quei luoghi intravisti chiedendosi quale fisionomia potrebbe avere un recupero dignitoso. La centralità del rapporto fra l’uomo e la macchina si è spostata altrove, in zone di altri quartieri dipinti dall’artista. L’arte di Curioni racconta l’uomo e il suo operato e vi affonda profonde radici ed è proprio questo che permette all’artista di sottolineare con continuità e fresca immediatezza l’attualità dei suoi paesaggi urbani. Sono scenari racchiusi da una sobria luce, tratteggiati con sottile lirismo e mossi da un’evocazione quasi magica.

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Il Seicento del Guercino Valle d’Aosta - Forte di Bard dal 5 aprile al 30 giugno 2019 Curatela: Elena Rossoni, Luisa Berretti

“ Uno stile nuovo di colorire di gran forza e valore” ( Passeri) Il Forte di Bard offre un’ ampia panoramica dell’arte pittorica del Seicento mettendo al centro la pittura di Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino ( 1591- 1666), uno dei protagonisti più interessanti della pittura emiliana barocca. L’esposizione riunisce una serie di 54 opere commissionate all’artista dalle famiglie nobiliari dell’epoca restituendo un interessante spaccato della società e del collezionismo del secolo. Sono dipinti di grande innovazione figurativa che attraversano varie fasi dell’attività del Guercino: dal vivace colorismo della fase giovanile ( “Primo stile di bella e semplice naturalezza con bene accordate tinte e con

gran forza di chiaroscuro” Calvi) e maggiore compostezza classica, ispirata a Guido Reni, delle opere della maturità e della vecchiaia Sono in rassegna capolavori a soggetto religioso, mitologico, letterario, di dimensioni variabili, a seconda della destinazione all’interno delle quadrerie private dell’epoca. Attivo nella fase matura dell’epoca barocca, il grande pittore centese è ricercato per il suo talento, per la pennellata sapiente, l’abilità tecnica e l’originalità del tocco, esente dalle pesantezze e opacità di altri artisti suoi contemporanei. Guercino crea forti contrasti di luci, ombreggiature ariose che apportano freschezza e trasparenze ai quadri.

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La sua maestria pittorica personalissima e sperimentale per quei tempi conquista la buona società secentesca. Attraverso Dosso Dossi e Scarsellino apprende l’arte di Tiziano e a Bologna fa diretta conoscenza di Ludovico Carracci. La riscoperta di Tiziano gli suggeriscono preziosità d’impasto e un’attenzione nuova per gli effetti luministici affinando la sua spiccata sensibilità cromatica. Il libro dei conti dell’artista conferma la presenza di importanti richieste da parte di ecclesiastici, regnanti, nobili. Realizza durante il corso della sua lunga vita innumerevoli commesse pubbliche, consegnando bellissime pale d’altare sia ai piccoli

centri come alla capitale, compresa la Basilica di San Pietro in Vaticano. Nondimeno restano anche come preziosa eredità e tema principale della mostra le commesse private destinate ad arricchire le collezioni barocche. Da non dimenticare l’eccezionalità del suo talento grafico che rivela una spiccata vena inventiva: i suoi disegni però sono privati e, pur essendo in mostra, rappresentano solo spunti e studi destinati ad ulteriori sviluppi oppure hanno lo scopo di far esercitare gli allievi. La mostra completa la parte documentaria con una serie di incisioni di artisti amici come Giovanni Battista Pasqualini.

Costo: 10 euro, ridotto 8 euro Promozione: Forte di Bard in collaborazione con il polo museale dell’ Emilia Romagna e la Pinacoteca di Bologna Telefono: 39 0125 833818 Sito: .www.fortedi bard.it

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GIACOMO TINACCI

Giacomo Tinacci lascia appena intravvedere qualche scorcio dei suoi paesaggi per concentrare la nostra attenzione sui volti di donna che hanno in sé qualche accenno delle suggestioni familiari e delicate delle colline toscane. D’altronde egli vive in una terra prescelta dall’arte, non soltanto per quanto concerne la pittura divenuta classica, a partire dal primo Rinascimento, ma anche per la continuità’ di una grande tradizione pittorica che si rinnova e persiste. Nel Novecento non si può non ricordare la qualità delle opere di Annigoni, in particolare la morbidezza di molte figure femminili ne’ si riesce a mettere sotto silenzio il suo testardo e un po’ datato bisogno di fare bottega che ha creato degli abili pittori come Pistolesi, Ciccone,etc. Il rinnovamento ha segnato il territorio anche attraverso vie più “contemporanee” ma di sicuro le influenze che permeano la valida pittura di figura e paesaggio passano anche da maestri come Annigoni, I visi di Giacomo Tinacci sono intensi, immersi in una dimensione tutta loro e con lo sguardo trasognato, perduto in qualche ricordo, o pensieroso, oppure ancora volutamente sfuggente, ma in

ogni caso lontano da qualsiasi sentimentalismo. Occorre osservare la proporzione rigorosa del costrutto, la disinvoltura nel tratto, l ‘essenzialità nella linea, le cromie assolutamente decise e calibrate che apportano vigore e fascinazione alle opere. Nei disegni il gesto scattante e i tratti sicuri si posano come sottili veli volumetrici mentre il contorno scuro incornicia ed evidenzia le forme. La donna di oggi e’ sulla punta del suo pennello, agile e silenziosa.

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Esposizione d’arte contemporanea

TAGGIA

Il Tocco dell’Arte a Taggia 25 – 26 aprile 2019

“Mostra itinerante per le vie del centro storico” Curatore della mostra: Doriana Dellavolta con la collaborazione del Centro Culturale Ariele di Torino

Sindaco della città di Taggia Dr. Mario Conio Siamo onorati di ospitare più di 60 pittori all’i nterno della cornice del nostro centro storico, che da pochi mesi è diventato uno dei borghi più belli d’Italia . Le opere di questi artisti permetteranno di creare un museo a cielo

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Assessore alla Cultura di Taggia Dott.ssa Laura Cane aperto, valorizzando il nostro patrimonio storico. L evento sarà chiamato il Tocco dell”arte . Siamo altrettanto onorati della presenza di personaggi di spicco Vittorio Sgarbi, Mario Caligiuri e Carlo Bagnasco.


Questo catalogo nasce grazie a una bella iniziativa artistica proposta dal Comune di Taggia: “Una due giorni” in mostra per pittori e scultori, ossia una dinamica esposizione per le vie centrali della cittadina. L’evento, curato da Doriana Dellavolta e sostenuto fattivamente dal Centro Culturale Ariele, ha luogo il 25 e il 26 aprile 2019. Sia per gli artisti che per il grande pubblico la mostra di Taggia è un’ eccellente occasione per sperimentare un rapporto diretto, informale ed interessante nello stesso tempo. All’oggi intorno al mondo dell’arte si è creata una nuova attenzione, favorita dal diffuso impegno civico volto a promuovere numerosi progetti culturali, in particolare proposte di arte visiva, a cui rispondono positivamente molti cittadini. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la vista di musei affollati e la frequentazione di diversi inediti spazi creativi della contemporaneità. Assistiamo a una sorta di riavvicinamento tra il visitatore e il patrimonio artistico che inconsapevolmente gli appartiene. Manca ancora in larga parte all’appello, dispiace dirlo, una adeguata e approfondita formazione all’interno dell’istituzione scolastica. Le opere contemporanee degli artisti partecipanti all’esperienza taggese sono lavori selezionati di ottimo livello e rappresentano un parziale ma significativo spaccato, tematico e poetico, del panorama pittorico e plastico italiano. Il ritmo di vita incalzante, la rapidità dei cambiamenti in atto, le tormentate vicende dell’oggi così come la volontà di costruire progetti che migliorino le condizioni difficili del presente sono tutti motivi che spingono gli artisti a muoversi con consapevolezza o al-

CORRADO ALDERUCCI

INES DANIELA BERTOLINO

meno a riflettere abbandonando ogni velleità puramente decorativa. Non è arte decadente perché non si accontenta di un ripiegamento su se stessa ma cerca spazi vitali senza perdersi in mera evasione in quanto sa perfettamente in quali rivolgimenti planetari ci troviamo anche se riconosce i limiti della sua ricerca. Tra le tematiche dei lavori presentati troviamo la coscienza della chiusura attuale che ingabbia l’uomo e lo costringe, al meglio, nei sogni; altri quadri sfiorano in modo incisivo le tragedie dei migranti, lo sguardo dell’”altro”, del diverso, la maschera che indossiamo, il bisogno di un contatto con la natura che ancora declina nel grigio,nell’informe o nel sublime e una visionarietà che è anche denuncia del necessario “ tempospazio” fuori dalla fretta assoluta. Il ritorno di temi scomparsi come la preghiera, l’anima, la ricerca di “interiorità” che non è intimismo, ci interroga sulla realtà globalizzante che non viene mai enfatizzata né violentemente demonizzata. Resta un disagio attivo, un immaginario ricco e in penombra, a volte un’eco di classicità che riscopre le cose, le figure familiari ma senza nostalgie, in maniera franca, prettamente contemporanea. Mancano forse, tra le perdite che annoveriamo, schietti sorrisi, la semplice, scoppiettante gioia di vivere. La mostra rivela la padronanza del “mestiere” e la professionalità degli artisti; le tecniche e i supporti sono lasciati alla libera scelta di ciascuno mentre in comune hanno un chiaro retaggio postnovecentesco, rielaborato sulla via di diverse sperimentazioni consentite dalle nuove tecnologie. Giovanna Arancio

ENZO BRISCESE

FRANCO BOLZONI

ANDREA BERLINGHIERI

DISCEPOLO GIRARDI

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ANGELO BUONO

ENRICO MEO

QUAGLIERI ROSA

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ALBINO CARAMAZZA

REDAELLI MARIO

CLAUDIO TAGLIAMACCO

AURORA CUBICCIOTTI

FRANCO ERRENI

GINA FORTUNATO


DOMENICO LASALA

MARCO CREATINI

TIZIANA INVERSI

VITTORIA ARENA

CLAUDIO MARCIANO

LORENZO CURIONI

TANIA CECET

MATTEO MASO

CARLA SILVI

MAX FERRARO

ALDO CELLE

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GUIDO MANNINI

RALUCA MISCA

MICHELA MIRICI CAPPA

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ADRIANA CAFFARO RORE

MIRELLA CARUSO

SILVIO PAPALE

ISABELLA CORCELLI

ROSANA ROMANO

ELSA VENTURA MIGLIORINI

UMBERTO SALMERI

CLARISSA RISO


GIACOMO TINACCI

ALDO PIETRO FERRARI

DORIANA DELLAVOLTA - Ddv

RAFFAELLA PASQUALI

DELLE FRATTE DANIELA

SERGIO VEGLIO

ANGELA POLICASTRO

MILTON MORALES

FAUSTO NAZER

CLAUDIO BRIANO

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LOMBARDIA

LUIGI VERONESI 1908-1998 UNA RETROSPETTIVA 9 MAGGIO – 22 GIUGNO 2019

MILANO

Nella galleria d’arte 10 A.M.ART si apre una retrospettiva - dedicata a Luigi Veronesi, astrattista italiano di fama internazionale, vissuto in pieno Novecento - con un percorso che attraversa le molteplici attività dell’artista: pittura, scenografia, cinema, visualizzazione del movimento con originali forme e suoni, grafica, fotografia, arti applicate. E’ una panoramica che va dagli anni trenta ai novanta e che testimonia l’apertura di interessi e il suo “ atteggiamento intermediale” in cui la precisione geometrica si declina con un pacato lirismo e un calibrato ritmo formale e cromatico. Persino quando fa studi materici la composizione è sempre basata su strutture geometriche. Va detto che negli anni in cui trionfa il Novecento Veronesi sceglie la difficile strada dell’astrattismo non oggettivo esplorando con spirito di ricerca e vitalità anche linguaggi diversi dalla pittura e dalla grafica. Nel 1932 con il viaggio a Parigi conosce Leger, Vantogerloo e gli esponenti dei primi gruppi concretisti, che danno vita ad “Abstraction-Création”, cui Veronesi aderisce nel

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1934. Nello stesso anno espone al Milione di Milano la sua prima mostra di incisioni non figurative, accostate a quelle di Albers, insegnante del Bahaus, istituto d’arte appena chiuso dal nazismo. Nel 1936 inizia il suo rapporto con diversi protagonisti del concretismo svizzero e ha inoltre la possibilità di ammirare per la prima volta opere di El Lissitskij e Rodčenko. Tra il 1940 e il 1942 colora a mano le pellicole di sei film “astratti”, intendendo realizzare una “pittura in movimento”: nella mostra .vengono proiettati alcuni di questi rari film. Veronesi si occupa di teatro a partire dal 1933, quando organizza i bozzetti per “Le rossignol” di Stravinskij. Sono esposte anche alcune delle marionette originali per la “Histoire du soldat”, uno spettacolo progettato nel 1939. Veronesi costruisce moltissimi contatti con le avanguardie europee e intende l’arte come progetto globale: è un artista a tutto tondo, di grande rigore morale e di sicura onestà intellettuale, uno dei nostri più significativi maestri del secolo breve.


Galleria 10 A.M. ART Corso san Gottardo, 5 Milano Info: info@10mart.it Tel. 02-92889164 Orari: martedĂŹ/venerdĂŹ 10,30-12,30; 15-18,30 altri giorni su appuntamento Curatela: Paolo Bolpagni

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LETIZIA BATTAGLIA FOTOGRAFIA COME SCELTA DI VITA 21 marzo – 18 agosto 2019 “ La fotografia l’ho vissuta come salvezza e come verità” (Letizia Battaglia) Venezia dedica una vasta antologica ad una delle più importanti esponenti della fotografia e tra le prime fotoreporter italiane , Letizia Battaglia, ripercorrendone l’intera carriera e consegnando allo spettatore un particolare squarcio della Sicilia del Novecento. Si tratta di duecento foto disposte in ordine tematico, molte inedite, in un bianco e nero denso di contrasti, scatti d’archivio intensi nella loro perfezione compositiva. Le sue straordinarie immagini rivelano una singolare potenza narrativa e un linguaggio altamente espressivo. Il soggetto preferito è la terra d’origine, la Sicilia, bella ma ricca di contraddizioni, di cui ci rivela lo scenario sociale e politico dei suoi tempi. Con la sua macchina fotografica dà risalto alle speranze di giovani donne, uomini, bambini, ma lancia pure una accorata denuncia civile e sollecita una messa in discussione dei presupposti visivi della cultura contemporanea. Affronta il paesaggio urbano, le rivolte, le piazze, gli intrighi politici, il quotidiano, la vita dei poveri, l’emancipazione delle donne. Le sue scelte non sono mai casuali e la realtà emarginata è sempre ripresa così com’è, riserva inoltre un particolare interesse per le tematiche esistenziali della vita. La fotografa siciliana, convinta ambientalista, cura il Centro Internazionale della Fotografia a Palermo ed è la prima donna europea a vincere nel 1985 a New York

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il premio Eugene Smith, riconoscimento internazionale in ricordo del fotografo di Life e nel 1999 le è tributato un altro premio, il Mother Johnnson Achievement.


Le narrazioni fotografiche di Letizia Battaglia rispondono a una poetica di ideale passione civile ed esistenziale. Come fotoreporter inizia collaborando con varie testate, segue i delitti di mafia, gli anni di piombo, la vita cittadina, le tradizioni, le feste, i volti del potere; in seguito diventa una fotografa di fama internazionale. Negli anni ottanta crea il laboratorio d’IF dove si formano i fotoreporter e i fotografi palermitani, tra la fine degli anni ottanta e quelli novanta si occupa di politica, trova il tempo per dirigere la

rivista Mezzocielo e si cimenta con la cinematografia. Il suo impegno civico è vissuto come dovere morale ed etico. Espone in Italia, nei paesi dell’est Europa, in America, in Francia, in Inghilterra, in Brasile, in Svizzera, in Canada. Questa grande mostra mette in luce i diversi aspetti del lavoro di Letizia Battaglia, concepito come un insieme organico in cui sentimenti, tragedie, sogni, si mescolano in un percorso di forte impatto emotivo.

Casa dei tre Oci Fondamenta delle Zitelle, 43 Giudecca Venezia Orario: tutti i giorni 10.00 – 19.00; martedì chiuso Curatela: Francesca Alfano Miglietti Enti Promotori: Civita tre Venezie Fondazione di Venezia con la partecipazione di Tendercapital Costo: 12 euro, 10 euro ridotto Telefono: 39 041 24123 Sito: http://www.treoci.org

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FRIDA KHALO L’artista Frida Khalo, messicana,vive la sua breve ed intensa vita nella prima metà del Novecento Nella sua formazione e nella sua pittura confluiscono sia la cultura occidentale sia quella orientale. Donna colta, appassionata e determinata, è figlia di un fotografo tedesco e di madre amerindia, e manifesta fin da piccola una intelligenza vivace e un talento artistico fuori dal comune. Il caso vuole che le si apra un’esistenza segnata da forti sofferenze che influenzano il suo mondo interiore e la pittura, mettendo anche a dura prova la sua tempra tenace: ciononostante riesce a creare una poetica personalissima cresciuta tutta interna al clima dinamico del Messico post zapatista, tra studi, amici letterati, pittori, fotografi, movimenti artistici rivoluzionari locali ma anche attraverso l’atmosfera incandescente che proviene dalle correnti artistiche europee. Giovanissima sposa Diego Rivera, celebre muralista messicano famoso anche in Europa, specie in Italia, Francia e Spagna, che oscura in parte la sua immagine la quale viene rivalutata appieno alla fine del secolo breve allorquando le viene assegnato il posto che merita tra i grandi protagonisti dell’arte pittorica novecentesca. Prima del definitivo riconoscimento del suo talento l’artista passa attraverso una fase di popolarità, perdurante tuttora , incentrata sulla sua biografia che si presta ad essere “romanzata” in quanto nell’immaginario collettivo ha presa la sua movimentata figura di donna forte e ferita dalla vita: la pittrice diventa così a tutti gli effetti un’icona pop.

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Per ritrovare la sua complessità di artista bisogna ricontestualizzare la pittura di Frida Khalo: la sua arte si fonda con la storia e lo spirito del mondo a lei contemporaneo,

riflettendo le trasformazioni sociali e culturali che portano alla rivoluzione messicana e che ad essa fanno seguito. Durante il periodo scolastico la giovane artista frequenta dapprima un istituto tedesco poi passa agli studi universitari preparatori di Città del Messico dove si lega ad un gruppo che fa riferimento all’Estridentismo, movimento che scalza l’accademismo locale alla ricerca di forze nuove all’interno del mutato contesto del paese. In questo periodo i suoi lavori e quelli dei suoi amici risentono molto l’influenza del dadaismo, del futurismo, del cubismo e del cubofuturismo. In seguito, dopo il grave incidente che la colpisce e la decisione di dedicarsi interamente alla pittura, conosce Diego Rivera che la incoraggia a proseguire nel suo percorso pittorico, le apre un mondo di conoscenze e stimoli nuovi e, nel contempo, influenza indirettamente la sua pittura. Frida Khalo condivide con il futuro marito ed amici un interesse e uno sguardo diverso nei confronti della cultura e dell’arte preispanica e si avventura e contamina il suo linguaggio poetico arricchendolo ed elabora una parte di sé e della sua storia fino ad allora trascurata.

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un interesse e uno sguardo diverso nei confronti della cultura e dell’arte preispanica e si avventura e contamina il suo linguaggio poetico arricchendolo ed elabora una parte di sé e della sua storia fino ad allora trascurata. I suoi quadri, in gran parte autoritratti ma non solo, rivelano una singolare vena narrativa, in cui realismo e miti si compenetrano. Compaiono ritratti di amici e familiari, animali, nature morte, paesaggi, ricchi di simbolismi e non assimilabili a nessuna corrente. Si può parlare di opere sperimentali anche se di ridotte dimensioni. Suggestioni espressioniste, colori sgargianti, intensi, addirittura turbinosi, caratterizzano specialmente i lavori più maturi. Si è parlato di surrealismo riferendosi alla sua pittura ma l’artista stessa smentisce. “Non ho mai dipinto sogni. Dipingo la mia realtà”- afferma. Intreccia comunque con Breton e i surrealisti una solida amicizia e per tutta la vita è animata da una grande curiosità intellettuale; con Diego Rivera viaggia ripetutamente

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in America dove conosce gli artisti europei sfollati a New York e in altre città all’arrivo del nazismo e viaggia anche in Europa, specialmente a Parigi, dove si dischiudono per lei nuovi orizzonti e frequentazioni fertili per la sua crescita artistica.


Lo stesso Breton scrive per la personale di Frida Khalo a New York e in seguito proprio a Parigi la pittrice messicana espone i suoi quadri in una mostra voluta dai surrealisti e dedicata al Messico, mostra affollata da artisti e da ammiratori. “La sua arte non è mai stata il prodotto di una disillusa cultura europea alla ricerca di una via di uscita dai limiti della logica attraverso l’immersione nel subconscio: la sua immaginazione è il risultato del temperamento, della sua vita, e del luogo”(Hayden Herrera). Frida Khalo è destinata a diventare simbolo del suo paese anche se le sue radici affondano in mondi diversi e lontani tra loro. Ed è proprio da questi inestricabili intrecci che si creano spesso le premesse per dirompenti talenti originali. Nei primi decenni del Novecento si tratta di testimoniare la vertiginosa trasformazione del mondo; sono anni “accesi”, ribollenti di ideali e progetti. Dopo la seconda guerra mondiale, in un clima generale mutato, Frida Khalo nel suo edificio “blu” a Città del Messico continua a proporsi come un’accogliente padrona di casa per artisti, poeti,, scrittori, amici, collezionisti..,; blu è il colore con funzione magica secondo le culture precolombiane sopravvissute nel folklore e l’artista attinge spesso al passato popolare riproponendolo suggestivamente inserito nel suo universo poetico. Non si può non ricordare il vistoso, pittoresco, e al tempo stesso fascinoso costume tradizionale tehuana, ricamato e con vivaci colori, che la pittrice indossa molto spesso e

con il quale si ritrae inglobandolo nel suo codice identitario: anche i più piccoli dettagli servono come importanti riferimenti storici. Stravaganti acconciature e vistosi ma raffinati gioielli di giada completano l’abbigliamento. Per meglio comprendere questo aspetto di Frida Khalo è’ interessante una rapida risalita alla tradizione tessile atzeca esercitata dalle donne la cui fantasia si sfrena al telaio dove possono liberamente esprimere ogni loro sentimento; se la donna si sente attratta dalla natura può riprodurre con realismo le cose della terra (sole, pesci, cactus, piume di uccelli, persino la neve…), altrimenti ricorre a disegni geometrici, ad animali stilizzati, a passaggi da un’arte rappresentativa a schemi assolutamente astratti. Frida Khalo si lega pertanto alle forme più significative e alle radici più profonde della “messicanità” e allo stesso tempo è un’avanguardia artistica e lo studio delle sue opere permette di intersecare le traiettorie di tutti i principali movimenti internazionali che attraversano il Messico. Nell’ ultimo periodo della sua vita (1946), quando le sue forze si indeboliscono, prova finalmente il piacere di ricevere in Messico il premio nazionale per la pittura. Precorritrice del realismo magico, volitiva, ironica, indipendente, col tempo intensifica i colori avvolgenti e violenti della sua tavolozza, di lei dice Breton: “ Non manca neppure in quest’arte una goccia di crudeltà e di umorismo, la sola in grado di legare le eccezionali forze affettive che formano il filtro del quale il Messico conosce il segreto”.

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GIORGIO DE CHIRICO. RITORNO AL FUTURO Neometafisica e Arte Contemporanea da 19 Aprile 2019 a 25 Agosto 2019 Curatori: Lorenzo Canova e Riccardo Passoni Da martedì a domenica: 10.00 - 18.00 - Lunedì chiuso Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura Biglietti: Intero € 12,00 | Ridotto € 9,00 INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI INGOLI E GRUPPI www.ticketone.it - tel.: 011 0881178 mail: gruppiescuole@tosc.it (dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 18.00 - sabato dalle 9.00 alle 13.00) La GAM di Torino presenta la grande mostra Giorgio de Chirico. Ritorno al Futuro, Neometafisica e Arte Contemporanea, un dialogo tra la pittura neometafisica di Giorgio de Chirico (Volo, Grecia, 1888 – Roma, 1978) e le generazioni di artisti che, in particolare dagli anni Sessanta in poi, si sono ispirati alla sua opera, riconoscendolo come il maestro che ha anticipato la loro nuova visione e che con la sua neometafisica si è posto in un confronto diretto con gli autori più giovani. La mostra a cura di Lorenzo Canova e Riccardo Passoni è organizzata e promossa da Fondazione Torino Musei, GAM Torino e Associazione MetaMorfosi, in collaborazione

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con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico e presenta un centinaio di opereprovenienti da importanti musei, enti, fondazioni e collezioni private. La metafisica di Giorgio de Chirico, nella sua visione originaria e futuribile, ha influenzato atteggiamenti e generi differenti, non solo nel campo delle arti visive, ma anche della letteratura, del cinema, delle nuove tecnologie digitali, arrivando fino a confini inattesi come videogiochi e videoclip, in un interesse globale che va dall’Europa agli Stati Uniti fino al Giappone. Oggi la posterità, libera dagli stereotipi di certe condanne, può “dire la sua”, come intuì con il suo genio Marcel Duchamp in un testo su de Chirico del 1943. In questo contesto si inserisce la nuova attenzione per il periodo della neometafisica di de Chirico (1968-1978), che rappresenta allo stesso tempo un ritorno e una nuova partenza, una fase di nuova creatività e un riandare verso l’immagini del proprio passato, attraverso un nuovo punto di vista e nuove soluzioni formali e concettuali. Così, già nel 1982, Maurizio Calvesi, rivolgendosi idealmente al maestro nel suo fondamentale volume La Metafisica schiarita, sottolineava l’importanza del de Chirico neometafisico per l’arte contemporanea: “perché riconoscemmo i tuoi colorati chiaroscuri, le tue sfere, i tuoi segnali e le tue frecce, i tuoi schienali e le tue ciminiere, i tuoi oggetti smaltati ed ora come staccatisi dai quadri, qualcosa delle tue schiarite e delle tue sospensioni, nel nuovo momento di un’arte che si disseminò come un concerto o una pioggia rinfrescante”.


Non a caso, la neometafisica di de Chirico sembra già dialogare con la pop art e con l’arte internazionale, in particolare americana, e in quegli anni proprio Andy Warhol dichiaratamente riconosceva in de Chirico uno dei suoi precursori, e gli rendeva omaggio con un celebre ciclo di opere in cui presentava una metafisica rivisitata e seriale. Con una pittura di grande intensità e felicità cromatica, il de Chirico neometafisico sembra dunque rispondere agli omaggi degli artisti più giovani creando un dialogo a distanza di grande intensità e vitalità. In questo modo de Chirico si è posto come una delle fonti dirette dell’arte di molte generazioni di artisti italiani e internazionali, sospese tra le immagini dei segnali urbani, delle merci della civiltà di massa e le memorie di una bellezza classica e perduta, un accostamento anticipato dallo stesso de Chirico nel suo romanzo Ebdòmero. La mostra evidenzia questo rapporto intenso e profondo, mettendo in relazione le opere neometafisiche di de Chirico con le nuove tendenze dell’arte italiana e internazionale come la Pop art di Andy Warhol, Valerio Adami, Franco Angeli, Mario Ceroli, Lucio Del Pezzo, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Gino Marotta, Ugo Nespolo, Concetto Poz-

zati, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Emilio Tadini. La mostra presenta anche un grande prosecutore della Metafisica come Fabrizio Clerici, la pittura di Renato Guttuso e di Ruggero Savinio, insieme a grandi artisti internazionali come Henry Moore, Philip Guston, Bernd e Hilla Becher. Il percorso propone anche maestri dell’arte povera come Giulio Paolini e Michelangelo Pistoletto, le visioni concettuali di Fabio Mauri, Claudio Parmiggiani, Luca Patella e Vettor Pisani, fino ad arrivare alle ombre geometriche di Giuseppe Uncini, alla fotografia di Gianfranco Gorgoni, alle sculture di Mimmo Paladino, ai dipinti di Alessandro Mendini e di Salvo, al mistero di Gino De Dominicis, ai tableaux vivants di Luigi Ontani, e a protagonisti delle ultime generazioni internazionali come Juan Muñoz, Vanessa Beecroft e Francesco Vezzoli.

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IL POP FOOD di Alessandra Pierelli L’artista nata ad Ancona risiede e lavora a Trieste, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera. Fa parte del ciclo di mostre ”ST ART. L’ARTE PER TUTTI” ideato da Mondadori Stor con l’obiettivo di rendere più accessibile e comprensibile l’arte contemporanea a partire dalla dimensione pop introducendo comicità al mondo dell’arte e nelle certezze del mondo dei consumi.

La Pierelli nella sua arte spazia dalla pittura alla scultura e fotografia illuminata come le vetrine, rappresentando paesaggi e figure umane. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive tra Milano, Spoleto, Todi, Lecce, Perugia, Trieste e diverse Biennali

L’artista gioca con la poetica dei dolci, colori e materia e le teste delle puntine da disegno e resina, caramelle in polistirolo, fogli di alluminio, ricostruendo in maniera tridimensionale maschere e dolci ottienendo effetti visivi spiritosi ed estremamente realistici all’interno di quadri scultura. Le golose opere esposte affrontano la sperimentazione della pop art cittadina declinata alla dolcezza offerta dalle vetrine, ma trasformando l’idea della rappresentazione mescolata ad altri elementi materici. Nelle sue mostre personali con l’esposizione propone un momento di spettacolo e comunicazione e la creazione di gadget a disposizione del pubblico dedicato alla pop art. G.V.Rota

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Info: http://alessandrapierelliart.com


BIENNALE INTERNAZIONALE DONNA 2019 Magazzino 26. Punto Franco Vecchio – – Trieste

Info opere

Info catalogo bid.trieste@gmail.com

Graziella Valeria Rota Alenka DeklicMitzi Drysdale Chiara Miani Cecilia Seghizzi Alessandra Spizzo Alessandra Gusso Francesca Costa

genteadriatica@libero.it

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VENETO

SEBASTIANO RICCI. RIVALI ED EREDI - OPERE DEL SETTECENTO DELLA FONDAZIONE CARIVERONA dal 06/04/2019 al 22/09/2019 Palazzo Fulcis - Belluno - Veneto pittura del ‘600 e ‘700

Il celeberrimo ciclo di dipinti del Camerino d’Ercole, capolavori tra i più alti di Sebastiano Ricci, viene posto in dialogo con i grandi del Settecento che di Ricci furono veri e propri rivali, o che dalla sua opera furono influenzati. “Sebastiano Ricci. Rivali ed Eredi. Opere del Settecento della Fondazione Cariverona” viene proposta a Belluno, in Palazzo Fulcis, dai Musei Civici della città e dalla Fondazione Cariverona, dalle cui ricchissime Collezioni d’arte provengono le opere messe a confronto con il ciclo di Ricci. La mostra, curata da Denis Ton, conservatore dei Musei Civici di Belluno, si potrà ammirare al terzo piano della nobile dimora, capolavoro del ‘700 a Belluno, dal 6 aprile al 22 settembre. Sebastiano Ricci, che operò a Palazzo Fulcis e fu autore delle tre tele per il Camerino d’Ercole, è il nume tutelare della prestigiosa sede. I dipinti con la Caduta di Fetonte, Ercole al bivio ed Ercole ed Onfale rappresentano tra i più grandi capolavori dell’arte europea del Settecento e appartengono alla memoria visiva di gran parte degli studiosi e curatori d’arte antica a livello internazionale. La mostra offre una panoramica efficace delle premesse, delle relazioni e dell’influenza svolta da Sebastiano Ricci, nella grande pittura di storia e religiosa, e del nipote Marco Ricci, nel paesaggio. I due campioni dell’arte bellunese del Settecento, hanno infatti svolto un ruolo chiave non solo in Veneto e in Italia, ma in una dimensione europea,

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attestata anche dal cosmopolitismo dei loro committenti e dai loro numerosi viaggi. Nelle cinque sezioni, viene a dipanarsi un affascinante percorso, in senso spaziale e ideale, intorno a Sebastiano Ricci, mettendo insieme opere di maestri che furono dei veri e propri rivali del maestro, o che dalla sua opera ne furono direttamente influenzati, sia per la natura del suo linguaggio sia per esserne stati allievi. “Scegliendo le opere della Collezione Cariverona tra quelle realizzate negli anni di attività dei due maestri, viene dunque naturale identificare nelle tele di Andrea Celesti, Antonio Bellucci, Giovan Gioseffo Dal Sole, quegli elementi che costituirono le premesse su cui venne a costruirsi, tra libertà materica, accademismo di fine Seicento e cultura emiliana, il complesso retroterra culturale da cui prese le mosse la grande operazione condotta da Sebastiano”, anticipa il curatore Denis Ton. La mostra è anche occasione per scoprire o riscoprire il magnifico “contenitore” che la accoglie, Palazzo Fulcis e le collezioni museali che in esso sono esposte dal 2017, anno in cui il prezioso edificio, integralmente restaurato, venne concesso in comodato dalla Fondazione Cariverona, che ne è proprietaria, al Comune di Belluno per accogliervi le collezioni storico artistiche della città. tel. 0437 956305


INAUGURAZIONE MARTEDI 7 MAGGIO 2019, ORE 19 via Santa Marta 10 20123 Milano galleriarubin.com

9 maggio - 1 giugno 2019 martedì-sabato 15,00-19,30

NINO AIMONE

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LAZIO

ROMA

Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione 24/01 – 13/10/2019 Galleria d’Arte Moderna di Roma

Questa esposizione non è una mostra delle donne ma una mostra sulle donne: sono tante,diversissime, ritratte da uomini o artiste esse stesse. Si intende innanzitutto presentare la storia di un’evoluzione, realizzata esclusivamente con opere scelte all’interno del fornitissimo patrimonio della GAM romana. Il cambiamento dell’identità e dell’immagine femminile restituito dall’arte tra fine Ottocento e contemporaneità è il tema della rassegna. Si tratta di un percorso che sottolinea come l’universo femminile sia sempre stato oggetto dell’attenzione artistica che ha rappresentato le donne nelle diverse correnti e via via nel differente clima culturale di riferimento. Sono in mostra cento lavori tra dipinti,sculture, grafica e fotografia, di cui alcuni mai esposti, e il percorso comprende anche del materiale documentario, videoinstallazioni, documenti fotografici e filmici. L’ultima sezione è dedicata alle dinami-

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che e relazioni tra gli sviluppi dell’arte contemporanea e l’emancipazione femminile con le sue problematiche. Per secoli il nudo femminile è sentito come forma da studiare, modello di bellezza e di erotismo o di provocazione, mentre la modella diventa musa o fonte di peccato o esempio di virtù domestiche e di maternità.


La Musa o Sfinge, secondo la cultura simbolista e decadente, si evolve in nuove immagini dopo la fine della prima guerra mondiale che provoca radicali cambiamenti politici e sociali. Segue l’avvento del fascismo che sottolinea l’esclusivo ruolo della donna come madre mentre vi sono artisti che declinano altrimenti le mura domestiche facendole diventare luoghi di solitudini esistenziali. Dopo la dittatura del Ventennio si ha una svolta radicale per la storia italiana ma è solo dalla fine degli anni Sessanta che si può percepire un decisivo cambiamento nella donna impegnata a far valere le proprie potenzialità nei vari ambiti, compreso quello dell’arte. Al centro della ricerca molte artiste evidenziano la consapevolezza di una nuova identità femminile che scalza i modelli patriarcali consolidati. E’ un interessante evento di significativo livello artistico e documentario. Galleria d’Arte Moderna Via Crispi, 24 - 00187 Roma Orario: da martedì a domenica ore 10.00 - 18.30 Biglietto: intero: € 7,50 - ridotto: € 6,50 Tel.060608 (9.00-19.00 tutti i giorni) www.galleriaartemodernaroma.it Curatela: Federica Pirani, Gloria Raimondi, Daniela Vasta, Arianna Angelelli Promozione: Roma Capitale, Assessorato alla Crescita Culturale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Cineteca Bologna, Istituto Luce-Cinecittà

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BASILICATA

Matera, l’Italia Meridionale e il Mediterraneo tra ‘400 e ‘500 Matera, Museo di Palazzo Lanfranchi 19 aprile - 19 agosto 2019

“ La mostra – secondo la curatrice Marta Ragozzino – affronta in primo luogo il tema del viaggio che, non a caso, ci porta proprio tra le sponde del Mediterraneo per raccontare in un modo diverso uno dei periodi più interessanti, ricchi e comples-

si della storia della cultura e dell’arte. In secondo luogo uno speciale cambiamento di prospettiva che ci permette di guardare questo periodo, così conosciuto e indagato, da un’angolatura, invece, completamente nuova”

Questa grande mostra materana, come già suggerisce il titolo, permette una rilettura interdisciplinare e inedita, attenta alla dialettica “centro e periferia” del Rinascimento italiano a partire da un percorso che inizia dal Mediterraneo e conduce a Napoli, in Spagna, in Provenza, nelle

Fiandre attraverso una mappa che ritrae un mondo e gli artisti che lo hanno popolato. Sono esposte 200 opere d’arte, rare e preziose, provenienti dai più prestigiosi musei italiani ed europei: una cultura eclettica che si pone come punto di incontro fra Rinascimento e Mediterraneo.

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Enti Promotori Fondazione Matera, Polo Museale della Basilicata con l’Università Suor Orsola Benincasa (NA) Curatela: Marta Ragozzino, Pier Luigi Leone de Castris, Matteo Ceriana, Dora Catalano www.matere-basilicata2019.it Telefono: 39 0835 25622245 39 338 883 1053 Orario: da lunedì alla domenica 9.00- 20.00; mercoledì 11.0020.00 Costo: 19 euro

Ritratti, sculture, dipinti, miniature, oreficerie, medaglie, maioliche, arazzi, tessuti, oggetti preziosi, documenti, libri, stampe, codici,carte geografiche, sono a disposizione dei visitatori facendo luce su una fioritura artistico culturale al sud tra metà 400 e metà 500 che rileva la centralità delle rotte mediterranee, gli scambi, i rapporti culturali e i viaggi di artisti ed opere. Sono relazioni intense che creano contaminazioni, opportunità, e tessono anche una rete nord sud dove il sud ha come punto di riferimento Napoli, nel 500 capitale internazionale sotto il regno angioino. Si attiva un cambio significativo di prospettiva che ci fa scoprire un Rinascimento affatto secondario che dialoga con Firenze, Milano, Roma,Venezia senza perdere

la sua peculiarità. Questo nuovo racconto visivo è la “Koinè meridiana” di cui è importante riconoscere e leggere le dinamiche: se Napoli è il baricentro culturale del Mediterraneo e la seconda fiorente metropoli dopo Istambul, Palermo e Messina sono nondimeno città prestigiose a quei tempi. Proprio in questo contesto lavorano artisti internazionali che si procurano le maggiori committenze religiose e quelle degli ordini monastici. Si tratta di una mostra che mette in gioco la storia dell’arte e delle idee, traccia una fitta trama di influenze in una dialettica incessante tra periferie e centro; l’esposizione segue un ordine cronologico che si interseca con la scansione tematica. E’ un evento da non perdere.

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NAPOLI

“Canova e l’antico” le Tre Grazie e 110 opere al Mann

‘Canova e l’antico” è la grande mostra che porterà dal 28 marzo al 30 giugno al Museo Archeologico di Napoli, per la prima volta, dodici grandi marmi e oltre 110 opere (grandi modelli e calchi in gesso, bassorilievi, modellini, disegni) del sommo sculture considerato “ultimo degli antichi e il primo dei moderni”, in un confronto con i capolavori dell’arte classica che lo ispirarono. Nel corpus espositivo, un nucleo eccezionale di ben sei marmi provenienti dall’Ermitage di San Pietroburgo, che vanta la più ampia collezione canoviana al mondo: in arrivo L’Amorino Alato, L’Ebe, La Danzatrice con le mani sui fianchi, Amore e Psiche stanti, la testa del Genio della Morte e la celeberrima e rivoluzionaria scultura delle Tre Grazie – ma anche l’imponente statua, alta quasi tre metri, raffigurante La Pace, proveniente da Kiev e l’Apollo che s’incorona del Getty Museum di Los Angeles.

“Canova è un grandissimo artista, ma c’è un aspetto poco noto della sua attività: la sua opera di recupero di molte opere che Napoleone aveva portato in Francia, segno che la diplomazia culturale ci restituisce pezzi del patrimonio”. Grazie al prestito del museo Ermitage di San Pietroburgo rappresenterà un esempio di una restituzione sia pure temporanea con l’esposizione al Mann di un centinaio di sculture e non solo dello scultore italiano neoclassico.

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“Il Mann, dove si trova la grande statua canoviana di Ferdinando IV di Borbone – spiega il direttore Giulierini – era il luogo ideale per costruire una mostra che desse conto di questo dialogo prolungato tra il grande Canova e l’arte classica”. Qui infatti si conservano le pitture e sculture ‘ercolanesi’ che Canova vide nel primo soggiorno in città (che definì Paradiso) nel 1780; quindi i marmi farnesiani, studiati già quand’erano a Roma in palazzo Farnese. A questi si aggiungono capolavori che hanno entusiasmato scrittori come Stendhal e Foscolo, riuniti ora nel Salone della Meridiana: la bellissima Maddalena penitente da Genova, il Paride dal Museo Civico di Asolo, la Stele Mellerio. Straordinaria la presenza di alcuni delicatissimi grandi gessi, come il Teseo vincitore del Minotauro e l’Endimione dormiente dalla Gypsotheca di Possagno (paese natale di Canova) o ancora l’Amorino Campbell e il Perseo Trionfante, restaurato quest’ultimo per l’occasione, e già in Palazzo Papafava a Padova. Dopo il restauro si ammireranno le 34 tempere su carta a fondo nero conservate nella casa natale dell’artista ispirati alle pitture pompeiane, in particolare, alle Danzatrici.

Ecco, allora, la possibilità di confrontare per esempio i fieri Pugilatori raffiguranti Creugante e Damosseno – gessi proventi da Possagno dei monumentali marmi vaticani acquistati da Pio VII nel 1802 – con la statuaria classica a lungo studiata dall’artista: dall’Ercole Farnese ai Tirannicidi; oppure il Paride canoviano con il Paride da Capua, marmo romano di fine II secolo d. C.; o ancora il busto dell’Imperatore Francesco II abbigliato all’antica, con corazza e clamide come un imperatore romano, con il Ritratto di Antonino Pio: tutti antichi marmi conservati al MANN, dove esattamente 2 secoli fa giunse dal mare la statua commissionata dal re borbone. La mostra, curatore Giuseppe Pavanello, organizzata da Villaggio Globale ha il sostegno della Regione Campania, il patrocinio del Comune di Napoli, della Gypsotheca-Museo Antonio Canova di Possagno, principale prestatore di gessi e disegni (il neo presidente della Fondazione Canova Vittorio Sgarbi ha inviato un messaggio di congratulazioni) e del Museo Civico di Bassano del Grappa ed è stata realizzata con la collaborazione di Ermitage Italia in virtù” del protocollo che unisce Mann e il museo statale russo. Fonte: napoli.repubblica.it

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CAMPANIA

Museo di Capodimonte:

Caravaggio

Il Museo e Real Bosco di Capodimonte vi aspetta, per la mostra Caravaggio Napoli, , visitabile fino al prossimo 14 luglio 2019;la mostra curata da Maria Cristina Terzaghi e Sylvain Bellenger approfondisce il periodo napoletano di Caravaggio e l’eredità lasciata nella città partenopea. E’ promossa dal Museo e Real Bosco di Capodimonte e dal Pio Monte della Misericordia, con la produzione e organizzazione della casa editrice Electa. Caravaggio visse a Napoli complessivamente 18 mesi, durante i suoi due soggiorni: tra ottobre del 1606 e giugno del 1607 e, successivamente, nell’autunno del 1609 per circa un anno fino alla morte avvenuta a Porto Ercole nel viaggio di ritorno verso Roma, nel luglio del 1610. Mesi intensi e fondamentali per la sua vita e la sua produzione artistica, che tuttavia risultano meno noti del periodo trascorso a Roma. A Napoli il Merisi arrivò in fuga da Roma, dove era stato coinvolto nell’omicidio di Ranuccio Tomassoni: ricercato e condannato a morte dalla giustizia romana, tormentato dal senso di colpa. La drammaticità della produzione napoletana, con la sua particolare tensione morale, sembra avvicinarsi fortemente alla visione contemporanea del grande artista: aspetto che emerge nelle opere, provenienti da collezioni museali nazionali e internazionali, presentate a Capodimonte. L’incontro con la città di Napoli e le relazioni che intrecciò con il panorama artistico locale segnarono definitivamente il percorso di Caravaggio.

Il suo legame con il territorio ebbe un impatto incisivo sulla Scuola napoletana e nella costituzione della poetica del naturalismo partenopeo. Partendo da queste considerazioni, Caravaggio Napoli, con un rigoroso approccio scientifico, mette a confronto 6 opere del Merisi, provenienti da istituzioni italiane e internazionali, e 22 quadri di artisti napoletani, che ne registrano immediatamente la novità

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venendone travolti, con soggetti ricorrenti nei dipinti del Maestro. Il riscontro visivo tra le opere raccolte in Sala Causa permette riflessioni e chiarimenti immediati sul legame tra l’artista e la città ed è accompagnato da un ‘diario’, una dettagliata crono-biografia che riorganizza le conoscenze letterarie e documentarie (edite e inedite) del periodo. Il progetto di mostra comprende la ricostruzione di un percorso documentato, attraverso la città, dei luoghi che Caravaggio frequentò e in cui visse. Tra questi il Pio Monte della Misericordia dove si trova lo straordinario capolavoro Sette opere di Misericordia realizzata dal Merisi per la cappella del complesso religioso nel 1607.La grande pala (390 x 260 cm), è riconosciuta tutt’oggi come una delle più significative rappresentazioni dei vicoli della città e dei suoi abitanti, e manifesta la potente e quasi antropologica connessione tra i dipinti di Caravaggio e l’indole napoletana.


ATLETA DI KOBLANOS

E’ da un pò di tempo che il Museo George Vallet, locato in Villa Fondi a Piano di Sorrento, si è arricchito di una nuova e invidiabile presenza tra gli storici arredi delle sue accoglienti sale, ( quali reperti di epoca romana ed etrusca nonchè riproduzioni di vari ritrovamenti più o meno recenti),ovvero il ritorno di un pezzo raro molto ambito “l’ATLETA DI KOBLANOS” opera di straordinaria bellezza, caratterizzata da grande incisività ed efficacia espressiva risalente al primo sec. D.C. e firmata appunto dallo scultore Koblanos di AFRODISIA IN CARIA, luogo questo dove, in seguito, ebbe origine una ragguardevole “ Scuola d’Arte”. La statua ,che fu rinvenuta per la prima volta in un’antica villa di Sorrento nel 1899, ci racconta la storia di un giovane combattente,( i polsi protetti da cesti), i cui lineamenti paiano ancora rivelare una freschezza inalterata ed una giovinezza fiera. Alla sua destra, in piccole dimensioni, è scolpita la statua di ERCOLE a simboleggiare proprio la “ lotta “. A supporto di ciò ricordiamo che i - cesti - erano dei guantoni di pelle imbottiti di piom-

bo usati appunto nei combattimenti. Una soffusa musica di sottofondo ed un grande schermo, che riporta un’intensa vista di onde del mare che si inseguono da presso, fanno da cornice a questa scultura che, grazie anche al biancore del marmo, mette vieppiù in risalto i fini e delicati contorni di questo Giovinetto testimonianza di un antico passato. Anna Bartiromo

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CALABRIA

LE STATUE DI RABARAMA SUL LUNGOMARE DI REGGIO CALABRIA

Stiamo vivendo un momento di passaggi e l’idea di rivolgere lo sguardo verso noi stessi, ricercando il perché della nostra esistenza, potrebbe essere importante per un cambiamento positivo (RABARAMA) Sul lungomare Italo Falcomatà a Reggio Calabria dove si gode uno splendido panorama sullostretto di Messina, possiamo ammirare tre splendidesculture dell’artista romana Paola Epifani, in arte RABARAMA. L’artista ha spiegato durante una intervista cheil suo pseudonimo è composto da due parole RABA (simbolo, segno: in lingua sancrito) e RAMA legato alla divinità alla quale lei cerca di ricollegarsi in ogni sua opera. Nel 2007 la scultrice ha presentato, a villa Zerbi (Reggio Calabria),nella sua personale dal titolo ”Identità”, .settanta opere. Subito dopo il comune reggino ha acquistato

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tre sculture: Labirintite (bronzo dipinto bianco e nero del 2000); Trans-lettere ( bronzo dipinto bianco e nero del 2000) e Co-stell-azione (alluminio dipinto bianco e bordeaux del 2002). Paola Epifani è nata a Roma da padre scultore e madre ceramista ma vive e lavora a Padova. Il suo talento esplode già da bambina tanto che a dieci anni partecipa alla mostra Internazionale per il 30° Anniversario della Nato. Nelle sue opere si nota una ricerca continua di Dio e del Trascendente. I suoi soggetti hanno lo sguardo assente, concentrati su se stessi e assorti ad analizzarsi. La loro anima è prigioniera di un rivestimento che avvolge una figura introversa, abbellita da simboli, lettere, segni incisi e altre forme: l’alfabeto indica il legame con il linguaggio, il labirinto indaga la complessità dell’Io e, in alcune sculture, la pelle appare lacerata ed emerge un nuovo aspetto che simboleggia l’avvenuta liberazione.


In altre opere disegna intrecci d’erba, uomini albero ricoperti di corteccia emblema dell’uomo ancora radicato alla Madre Terra ma anche metafora della metempsicosi dell’anima. Le sculture di Rabarama rimandano a spunti filosofici: raffigura una trasfigurazione da una condizione di vita assoggettata a uno stato esistenziale di libertà. Per lei il corpo umano è il trait d’union tra microcosmo e macrocosmo. Gli artisti che la ispirano con i loro studi sul corpo umano e sull’anima sono Louise Bourgeois scultrice e artista francese che asseriva che un’operapuò avere un’anima perché ha il potere magico di provocareuna reazione nell’osservatore e Lucian Freud, pittoree collezionista, nipote del padre della psicanalisi. I suoi concetti sempre attuali riescono a creare una tempe-

stiva intesa con l’utente. Artista insignita dalla critica e dai collezionisti, conta una produzione vastissima che va dalle sculture in bronzo alle tele, dai vetri ai marmi fino ai gioielli d’arte e accompagna spesso le sue opere con performance multimediali, set di body painting e musica d’avanguardia. Rabarama si pone l’obbiettivo attraverso le sue creazioni simboliche di inviare un messaggio e rappresentare attraverso la realtà l’emozione frutto di anni di ricerche e di riflessioni. L’arte dell’Epifani trasmette in chi guarda passioni, domande e risposte. Alessandra Primicerio - Critico d’arte

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CALABRIA

LA CITTA’ DI COSENZA CELEBRA CON UNA MOSTRA MULTIMEDIALE LEONARDO DA VINCI A 500 ANNI DALLA MORTE

Il 2 maggio 1519 muore Leonardo da Vinci nel Castello di Cloux lungola Loira in Francia, dove era ospite già da tempo del re Francesco I che amavala genialità dell’artista. Quest’anno ricorrono i 500 anni della morte del genio, molte le celebrazioni in Italia e in Europa con mostre e rassegne per ricordare un grande artista attivo in diversi campi dall’arte alla scienze. Figlio illegittimo del notaio ser Piero da Vinci si definiva ”omo sanza lettere” perché la sua formazione non era basata sulla tradizione letteraria classica ma sulla concreta esperienza. Intenso è il suo rapporto con la natura: è profondamente interessato alla conoscenza della realtà sotto ogni aspetto. Per Leonardo ogni fenomeno può essere indagato e spiegato attraverso i nostri cinque sensi soprattutto attraverso la vista. L’artista è capace di analizzare cose straordinarie: disegna, scrive, annota su fogli di carta tutto quello che lo interessa. Sono

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tantissimi i disegni preparatori delle opere pittoriche, le ricerche di anatomia, matematica, scienze, astronomia e architettura che Leonardo raccoglierà per tuttala vitae che confluiranno, alla fine del ‘500, per opera di Pomponio Leoni, in quello che verrà chiamato codice Atlantico, oggi conservato nella Biblioteca Ambrosiana. A 14 anni viene mandato, dal padre a Firenze, nella bottega del Verrocchio che gli dà la possibilità di sperimentare la sua manualità nella pittura e nella scultura. Nel 1476 viene coinvolto in una denunzia per sodomia che finisce solo con una ammonizione. In quel tempo l’omosessualità maschile era diffusa e tollerata ma non era accettata una esibizione sfacciata. Alla fine del 1482 a causa di difficoltà con il lavoro i trasferisce a Milano alla corte di Ludovico Sforza. Con lafine del ducato degli Sforza e l’assedio di Milano da parte dei francesi Leonardo torna a Firenze.


Il padre muore senza legittimarlo e senza lasciargli nessuna eredità. E’ lo zio Francesco, che lo aveva sempre protetto, a lasciargli un consistente lascito, impugnato però dal fratellastro. In quegli anni Leonardo vive con un ragazzo bello e ribelle che lui battezzerà con il nome di Salaì (uno dei diavoli del “Morgante” di Pucci). L’altro fanciullo che Leonardo accolse nella sua bottega a 13 anni e che non lo lasciò mai fino alla sua morte fu FrancescoMelzi istruito e colto. Gentilissimo e nobile ilMelzi , rozzoeincoltoSalaì. Mentre Leonardo anziano e malato si spegneva ad Amboise, Salaì lo lasciò alle cure del Melzi e se ne tornò a Milano ricco, dopo aver venduto dei dipinti donategli dal maestro. Al Melzi il genio da Vinci non lasciò dipinti ma tutte le sue carte con il compito di ordinarle. Da Vinci Alive è una mostra multimediale immersiva in grado di raccontare il genio di Leonardo da Vinci, la sua scienze, il suo ecclettismo nelle varie discipline.

L’evento è un genere di intrattenimento scenografico, formativo e istruttivo in grado di coinvolgere intere famiglie. Attraverso video mapping il visitatore proverà emozioni esclusive e senza eguali. Le centinaia di immagini sulla vita e le opere diLeonardo sono digitalizzate in alta definizione e inserite in full HD con una colonna sonora diffusa a 360in Dolby Surround. La mostra è stata inaugurata a Cosenza lo scorso 15 gennaio al Museo Multimediale ed è prodotta da Grande Exbitson. Nel suo tour internazionale è stata già ospitata da Firenze, Richmond, Seoul, Tel Aviv. La mostra resterà aperta fino al 30 giugno 2019. Leimmagini di Leonardo invadono letteralmente tutti gli spazi,infatti sono proiettate su soffitti, pareti e pavimenti. Le opere del genio toscano sono ingrandite in modo dapoter osservare accuratamenteogni più piccolo particolare. Alessandra Primicerio - critico d’arte

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CALABRIA

Il suono dei colori di Alessandro Lato

Una costante ricerca interiore e personale quella che si evince dalle opere di Alessandro Lato, una produzione materica fatta di emozioni, sentimenti e valori. Capace di fermare sulla tela un attimo, un frammento di vita. Come un demiurgo creatore dà vita a passioni ed impressioni che traspaiono attraverso i colori. I suoi paesaggi esprimono l’essere interiore quasi a volerci trasmettere il profumo di ciò che dipinge. Le opere di Alessandro parlano al cuore. Le sue composizioni sono un inno alla vita perché i colori da lui scelti travolgono e catturano gli occhi, il cuore e la mente dell’osservatore. L’artista è affascinato dalla natura che trasporta sulla tela e ci permette non solo di osservarla ma anche di toccarla perché pittura materica. Utilizzando la spatola per stendere i colori ad olio ne ricava un effetto notevole perché le immagini assumono una speciale corposità e profondità. L'albero è il suo soggetto preferito. La sua simbologia è intensa: collega i due regni (cielo e terra), quindi congiunge il mondo luminoso della coscienza a quello oscuro dell'inconscio. Ama il colore e indaga le diverse sfumature dei pigmenti fino ad elaborare un linguaggio proprio. Potrei definire le opere di Alessandro Lato “paesaggi dell’anima”. D. Alessandro, come ti sei avvicinato alla pittura? R. Mi sono avvicinato alla pittura abbastanza presto. Sin dai tempi del liceo ricordo che arte e disegno erano le materie in cui andavo meglio, le uniche in cui riuscivo a portare a casa l’agognato 10. Il mio percorso artistico inizia però come piccolo collezionista. Mi piaceva andare alle mostre che le gallerie proponevano nella mia città, conoscere gli artisti, le loro tematiche e, per quello che poteva un giovane ragazzo che risparmiava, comprare qualche opera. I pennelli inizio ad usarli invece intorno ai diciassette-diciotto anni. D. A quali artisti ti sei ispirato e quali sono le correnti artistiche che preferisci? R. Non mi sento di dire di aver preso ispirazione da un artista rispetto ad un altro, così come non riesco ad individuare una corrente artistica che possa definirsi come mia preferita o alla quale, comunque, potermi collegare e nella quale identificarmi. Le fonti di ispirazione in questi anni sono state diverse e di diversa natura. Ho conosciuto molti pittori, ho frequentato i loro studi, ho visto diverse mostre e penso che ognuno di questi mi abbia lasciato qualcosa. Sicuramente qualcuno mi ha colpito di più di altri. Più in generale posso affermare che preferisco la pittura astratta e materica e di conseguenza i pittori che si avvicinano a questo tipo di pittura.

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D. Qual è il tuo rapporto con la natura? R. La natura penso sia la mia più grande fonte d’ispirazione e non solo perché i soggetti da me dipinti, anche se con tecnica astratta, sono spesso paesaggi e alberi. La natura influenza persino gli ultimi quadri, caratterizzati da una astrazione estrema, dove non si evidenzia alcuna forma o linea che possa far pensare ad un soggetto in particolare. I colori, i profumi, le sensazioni che la natura mi dà spesso vengono da me trasformate e fermate sulla tela. I rossi dei tramonti, i verdi della natura, i blu delle onde del mare sono tra i temi ed i colori che utilizzo nell’ultimo ciclo di opere. D. Il tema che ricorre maggiormente nelle tue opere sono gli alberi, ci spieghi il perché? R. L’albero è uno dei miei soggetti preferiti, l’ho interpretato sulle tele in più occasioni, utilizzando diversi colori e forme. Ho iniziato a dipingere alberi al mio rientro a Cosenza, dove sono ritornato dopo circa dieci anni di lavoro fuori regione. Per me l’albero stava a simboleggiare un mettere radici nella propria terra. Poi è diventato un tema predominante nella mia pittura poiché legato sempre all’amore per la natura. Ancora oggi, sebbene con le dovute evoluzioni, non riesco ad abbandonare “l’interpretazione” degli alberi e ogni tanto cedo al desiderio di dipingerne uno. D. Quali tecniche utilizzi quando dipingi? R. Ho sempre prediletto la tecnica dell’olio su tela ed è l’unica che utilizzo oggi. E’ quella in cui mi riesco ad esprimere in assoluta libertà. Mi piace riempire le tele di materia, anche per questo uso quasi esclusivamente la spatola che riesce a dare corposità alle mie pitture. Come dico sempre mi piace che i miei quadri si possano toccare , sentirsi al tatto. D. Che valore ha per te il colore? R. Per un astrattista il colore è quasi tutto. Sicuramente anche per chi fa pittura figurativa il colore è estremamente importante ma, a mio parere, lo è ancor di più per chi deve trasmettere un’emozione o comunque comunicare qualcosa con il solo esclusivo uso del colore. Anche la scelta del colore spesso è legata allo stato d’animo che attraverso i giorni in cui dipingo quel quadro. D. C’è qualcosa che non ti ho chiesto ma che vorresti far sapere ai nostri lettori? R. Si. Ho tanti progetti per il futuro, tra cui una mostra a Londra ed una Francoforte. Alessandra Primicerio

Critico d’arte


VISIONI

SICILIA

ESPOSIZIONE DI ENRICO MEO al Teatro Vittorio Emanuele a Messina Inaugurazione 19 Aprile 2019 Le opere di Enrico Meo possono definirsi palinsesti visivi, una sorta di stratificazione iconico-simbolica dalle inquiete ricerche spaziali in cui la realtà si trasfigura in estatico stupore. Nel suo immaginario l’artista spazia in vasti repertori figurativi rivelatori di una poetica tesa alla speculazione e alla ricerca mistica sui temi esistenziali dell’uomo attraverso forme archetipe e composizioni di sapore surrealista. Figure solitarie o dialoganti all’interno di scenari naturali estremi sembrano affiorare alla memoria da una dimensione inconscia personale, paradigma di quella collettiva, una rielaborazione creativa che si risolve in varietà compositive, in paesaggi metafisici, in immagini mitologiche evocative del senso ferale o primigenio dell’umanità, o in iconografie ortodosse di ascendenza bizantina, per i caratteri compositivi e per il cromatismo simbolico.

interiore che stimola la percezione e tutto il nostro essere. Una poetica espressiva tesa alla ricerca dell’origine, al mistero dell’esistenza, al determinismo tra bene e male, risolto spesso nell’apparizione dell’angelo, coscienza interiore, forza salvifica opposta alla superficialità dei nuovi miti contemporanei, i demoni moderni della vanità e materialità dell’esistenza. Traspare una visione dal sapore arcaico, primitivo, da cui affiora la ricerca di una relazione autentica dell’uomo con la vita, con la natura, con la società, con l’amore, con il dolore, con la spiritualità, un universo segnico-creativo che richiede di essere ascoltato e percepito come un suono antico.Si avverte la vis interiore dell’artista che polemizza con il presente denunciando la fragilità dell’uomo nella continua ricerca materiale di un appagamento momentaneo, vano ed effimero, come esplicitato nell’opera “Il Borghese” che apre la rassegna. Altre opere riflettono semplicemente suggestioni o paure antiche, dove si distinguono i segni di fratture emotive o proiezioni del vissuto personale, in tutte traspare una grande poesia che ha il potere di condurci verso i sentieri più profondi dell’animo umano nei quali ognuno può riconoscere la propria fragilità come pure l’unicità e sacralità dell’esistenza. L’arte di Meo sembra quindi invitarci a una sorta di viaggio interiore alla ricerca dell’origine – uomo. La sua arte, meditata ed espressa lungo il filo sottile di una memoria visiva millenaria, richiede tempo, anzi uno spazio/tempo proprio della percezione e riflessione personale, e anche il silenzio davanti al mistero della vita. Roberta Filardi

Un corpus di opere quanto mai variegato e singolare che rende visibile l’autenticità e anche l’unicità creativa dell’artista. Questo a riprova che l’espressività contemporanea non può essere semplice rispecchiamento del reale ma linguaggio da decifrare e/o interpretare. L’arte di Meo non è incline a una figurazione che appaga e rasserena, non cede al compiacimento puramente estetico, essa si nutre di una prolifica originalità di segni/simbolo e di espressioni colte, attraversate da elaborazioni personali del contemporaneo, così in alcune composizioni sospese in una visione trascendente o nella serie dei ritratti- icone, declinati su schemi ortodossi e su paradossi di derivazione surrealista, o in elaborazioni fantastiche dove mitologia e spiritualità religiosa s’intrecciano creando una cosmogonia tutta personale. Le sue opere invitano alla riflessione, a un dialogo

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SICILIA

DA RODIN A GIACOMETTI. CENTO SCULTURE DI ARTISTI INTERNAZIONALI PER “CICLOPICA”, LA MOSTRA A SIRACUSA Ciclopica, la mostra di sculture mai realizzata prima in Sicilia, dal 27 marzo al 30 ottobre 2019 a Siracusa nell’ex concento di San Francesco D’Assisi con ben 100 statue. Affinità di artisti e materiali accompagnano lo spettatore stimolando la sua intelligenza e invitandolo a scoprire piccoli ed imponenti pezzi artistici

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La rassegna si articola in diverse direzioni: Europa, Africa e Asia, Americhe coprendo l’arco di due secoli, ossia da fine Ottocento ad oggi. I materiali impiegati per la realizzazione dei lavori comprendono tanto quelli tradizionali come il marmo , il bronzo, la terracotta, quanto quelli più inusuali come la stoffa, la carta, il poliuretano, la plastica, la vetroresina, etc. Il percorso non è di ordine cronologico ma segue le assonanze arte- opere. La molteplicità di tecniche, stili, stanno inoltre a dimostrare la ricchezza di poetiche presenti in mostra. Negli ampi spazi espositivi i visitatori possono avvicinare opere di grandi maestri della scultura occidentale quali Rodin (con i bozzetti di Calais), Giacometti, Marini, Paladino, Arman, Picasso, Dalì, Fontana, Asger Jorn, Mainolfi, Moore.. Scultori viventi, es. il messicano Sebastian, o altri trascurati come Giansone, Prazio, Garelli, Mastroianni, Cascella, Arienti, Rabarama, Pomodoro, Galliani sono inseriti e valorizzati al meglio. “La grande scultura internazionale” è organizzata da Sicilia Musei in collaborazione con Diffusione Italia International Group ed è stata allestita appositamente per Siracusa. L’intento è quello di elevare l’offerta culturale così come la città merita. Le dimensioni delle opere variano dalle sculture monumentali ai cosiddetti lavori da camera come le teste di guerrieri Xi’an del grande Zahng Hong Mei, all’oggi collezionatissimo. La mostra inizia con una testa di Buddha del sedicesimo secolo a cui fanno seguito una scultura ellenistica e antiche maschere rituali africane. Tra le opere contemporanee ci sono anche gli “Abiti scultura” di Capucci. Si tratta di un’esposizione plastica e colorata in gran parte, al tempo stesso raffinata e suggestiva: è sicuramente una delle mostre di scultura più importanti che sia mai arrivata in Sicilia.

Ex Convento di S. Francesco d’Assisi Via Tommaso Gargallo, 461 96100 Siracusa Curatela: Vincenzo Sanfo Orari: lunedì-domenica dalle 10.00 alle 20.00 Costo: 10 euro; 7 euro ridotto

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