la nuova figurazione Pinacoteca Civica di Imperia 30 Ottobre / 14 Novembre 2010
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a cura di Giovanna Arancio Figura e immagine I termini “immagine” e “figura”, entrambi di derivazione latina, hanno subito un percorso plurisecolare, adattandosi alle esigenze e agli sviluppi sociali ed artistici succedutisi. Nel secolo scorso l’espressione “immagine” è diventata sinonimo di un raffigurare ed un interpretare il reale fisico, il concetto, l’idea. Anche la parola “figura”, originariamente così legata alla materialità (“plasmare”), ha acquisito un’accezione allargata di significato. Questa mostra si concentra su quella che possiamo definire “nuova figurazione”; occorre chiarire: se nel Novecento si sono via via imposte in modo dominante le articolate correnti di arte astratta ed informale (a cui sono andate ad aggiungersi le ricerche in campo analitico, concettuale, minimalista, ecc.) ora invece i filoni figurativi, prima molto spesso sottotraccia, emergono tramite nuove manifestazioni originali e diverse. Da tempo si è verificata una progressiva ricomposizione dell’immagine, non come presenza dirompente tale da offuscare le altre forme espressive, ma certamente come processo in pieno corso, potenzialmente aperto a nuovi sviluppi e oltremodo intrigante, capace di suggerire diverse riflessioni al proposito. Si parla di figurazione e si torna a riferirsi in senso stretto a rimandi alla fisicità, per quanto trasfigurata e “ricreata”. Gli attuali materiali e le tecniche utilizzate sono molteplici e innovativi ma tutti segnati da un profondo debito verso la tradizione e, in particolare, verso i linguaggi stilistici novecenteschi. La figura che si manifesta ha quindi i tratti caratteristici della contemporaneità, radicata su un sostrato profondo, e ripropone prepotentemente tutti gli ambiti rappresentativi, compreso il corpo umano, come se quest’ultimo fosse stato compresso troppo a lungo.. É un’immagine atemporale, in quanto portatrice di una ricerca universale di senso, e al contempo storica, perché capace di offrire la singolarità dei molteplici punti di vista dell’analisi odierna. Appare pertanto un aspetto intransitivo, trasversale, una sorta di linea di congiunzione tra l’adesso e il non più, fra l’adesso e il non ancora, portatore degli interrogativi esistenziali insiti nella natura dell’uomo, caleidoscopica ed immutabile; ad esso si intreccia senza soluzione di continuità l’inserto temporale che “passa”, fragile ed unico, pervaso dalle inquietudini in cui viviamo.
All’interno di questo scenario si declinano le interpretazioni più svariate di un’arte giovane: emergono non soltanto le pesanti ombre dell’attuale fase di passaggio, ma anche le fantasie, la risignificazione e la voglia di emergere.
Meticciamento comunicativo Da quanto detto si delineano anche i presupposti di un fenomeno di meticciamento comunicativo che si innesta, svecchiandola, sulla tradizione figurativa, ridefinendo mappe concettuali che sembravano consolidate. La percezione muta e fa i conti spesso con una sorta di peculiare ironia portatrice di modifiche riflessive; sono esse che captano il senso di precarietà diffuso e inquinante della qualità dei rapporti odierni. Un contesto di simultaneità, di anarchia iconografica e di dominanza seriale, origina uno sforzo artistico di disamina delle ragioni e del sentire: si tratta pertanto di costruirsi facoltà interpretative adeguate alla crescente e instabile complessazione del reale. Sono individuabili nuove aperture volte verso zone di confine rispetto alle nostre abituali attitudini mentali, e ciò permette di rinforzare le difese analitiche e valutative, diversamente fragili rispetto al contemporaneo intrico di scelte imposte. Inoltre vengono abbandonate le contrastanti prese di posizione del Novecento, che opponevano un fronte centrato sulla soggettività dell’opera d’arte, tacciato dagli avversari di esibire un ego ipertrofico e tardoromantico, ad una linea reattiva che ammetteva solo il lavoro collettivo perlopiù anonimo, a sua volta criticato da molti di essere asettico e contestatario. Aldilà degli eccessi ideologici, in seguito inevitabilmente vittime di “processi di maniera”, i percorsi delle avanguardie trascorrono nel nuovo stemperando le contrapposizioni e la protesta aperta, offrendo al contempo una più meditata e composta critica, sia sul piano personale che su quello interdisciplinare. Tecniche e supporti si moltiplicano sotto l’onda d’urto della sovrabbondanza materico-sensoriale e virtuale, e trovano nel contempo un bilanciamento nella riscoperta della perizia e del mestiere: si intravvedono nuovi traguardi. Le immagini mostrano una libertà cromatica, segnica e compositiva senza precedenti, prorompono spesso con dissonanze deformanti, procedono di frequente sulla strada della smaterializzazione relativa della figurazione, oppure propongono inusuali soluzioni volumetriche.
Rapporto con il mito Nonostante la perduta caratura realistica del patrimonio del passato appaia irreccuperabile, essa tramuta e sostanzia la ricerca più di quanto di solito si creda; in particolare, negli ultimi decenni del secolo scorso ha ripreso vigore un diffuso e deliberato ripensamento del “classico”, che continua con variazioni anche nel figurativo odierno. Per gli artisti ciò ha rappresentato un guardarsi alle spalle assumendo atteggiamenti differenziati e dando risposte operative anche contradditorie fra loro; si sono manifestate reazioni dissacranti, rivisitazioni decontestualizzanti o nostalgiche, a altre ancora guidate da intenti etici oltrechè estetici. L’odierna rapida usura dell’immagine, bruciata dall’accavallarsi dei messaggi visivi e dalla loro facilità riproduttiva, ha determinato inoltre la perdita auratica della figura, in un certo senso deprezzandola, spogliandola di significanza fino a renderla disinvoltamente intercambiabile; pertanto affondare le radici nel retaggio classico, legato ad una diversa concezione sia del tempo sia della valenza immaginifica della visione, assicura o almeno aiuta un rinnovamento secondo termini qualitativi di valore. Anche il mito, etimologicamente narrativo nella sua natura, ha finito con il quasi esaurire la sua carica simbolica, riducendosi a rappresentare un’idea “pigra”: il nostro tempo lascia molto spesso coincidere l’idea di mito con il dirottamento del pensiero collettivo verso uno scadente immaginario, predominato dall’appiattimento e dall’omologazione. Non è quindi secondario arricchire il linguaggio mitico che ci appartiene, attivando tramite l’arte un’osmosi che lo rimetta in contatto con le sue stratificazioni più profonde di senso.
Impianto spaziale Di primo acchito, quasi a livello istintivo, la nuova figurazione si riconosce per
tratti che l’accomunano, nonostante la miriade di modalità in fermento che essa propone; in seconda battuta, soffermandosi a considerare in che cosa consista questa similitudine sotterranea, è possibile tentare un’operazione ermeneutica di supporto. Anzitutto l’aspetto comune più marcato è l’innovazione disinvolta osservabile negli impianti spaziali, all’interno dei quali la figura si impone attraverso decentramenti visivi oppure per mezzo di solo apparenti centralità; infatti anche la costruzione centrale ha perso i suoi connotati storici, minata dallo
sfondamento del rapporto tra i piani: il risultato è che questi ora sono inglobati gli uni negli altri, originando una bidimensionalità del tutto contemporanea, ben diversa dalla piattezza disgiuntiva dei campi, cioè soggetto-fondale, di derivazione orientale. Lo stesso effetto di anamorfica centralità si avverte quando l’immagine “affiora” o è alterata grazie al colore, al segno, ad inserimenti distorcenti che modificano la sensazione percettiva della profondità. Sovente, infine, anche quando sono evidentemente percepibili le più antiche contaminazioni bizantineggianti, lo spazio acquista comunque una dimensione nuova, quasi nutrendosi di frammenti di volume nella figura, effetti chiaroscurali che interrompono la classica campitura, confermando la presenza di una complessa e differente sensibilità d’impianto, difficilmente decifrabile attraverso semplici processi di paragone. Meriterebbe attenzione l’approfondire l’indubbio nesso che lega le dimensioni spazio-temporali recepite nel quotidiano di oggi, in gran parte virtuale e insieme fisicamente dilatato, con gli sviluppi costruttivi subiti dal nostro retaggio artistico.
Ricadute cromatiche È forse pur vero che “noi non viviamo il mondo ma la sua continua narrazione”, come affermava Macke; tuttavia in ogni epoca il sincretismo tra realtà e inventiva è sempre stato accompagnato dallo sforzo di definire i termini della fisicità: nel secolo scorso perfino “La testa di ostaggio” di Fautrier o l’informale “Barricata” di Vedova ottemperavano a tale bisogno primario. É però innegabile che l’arte, disgregando la figurazione, abbia lanciato un chiaro e radicale messaggio di allerta. Nondimeno va detto che il colore – al singolare o al complesso plurale – oppure la sua assenza, la luce e la sua ombra, condizionano sempre lo sguardo, angolandone il grado di vicinanza e intimità con l’esterno; così l’ombra non è semplicemente buio, né può esistere pura luce, e la stessa colorazione proietta e non trasvola il contesto fisico. L’apparente banalità dell’osservazione è smentita appena ci si accosta all’attuale processo creativo e se ne coglie l’esigenza di rimandi al “reale”: davanti ai nostri occhi ecco scorrere una miscellanea artistica fluttuante che rispecchia sia l’artificialità cromatica in cui siamo quasi quotidianamente immersi, sia il tentativo di integrare tale aspetto con una sperimentazione neoluministica dai contorni e dagli esiti ancora in larga misura indefiniti.
A proposito dei nuovi effetti cromatici va tenuto conto dell’accelerato sviluppo scientifico che ha indagato ed investito – a partire dalla seconda metà dell’Ottocento – in misura esponenziale il mondo percettivo. Ciò ha sicuramente favorito l’affermarsi di particolari filoni espressivi (arte programmata, optical art, design, pubblicità, ricerche multisensoriali, ecc.) ma non ha nemmeno risparmiato gli altri ambiti creativi. La ricezione retinica, formatasi attraverso un lentissimo processo temporale di relativa stabilità visiva, ha subito incredibili contraccolpi dovuti ai continui e repentini cambiamenti di percezione a cui siamo sottoposti, imponendo meccanismi di fantasmagorico adattamento e di fisici e comprensibili fenomeni di difesa: attrazione e sottrazione si alternano in un bilanciamento precario.
Fruizione Classicamente, per la cultura occidentale, l’interazione fra il lavoro artistico e il fruitore fa leva sulla lettura in chiave di sensibilità e riflessione, ossia su un rapporto capace di accedere all’opera così che l’interpretare, preferibilmente da un’adeguata vicinanza, rappresenti l’unico modo di far vivere ciò che crea l’artista. È un modo sempre diverso tanto quanto è differente il profilo di chi si relaziona, e sempre valido pur rispettando tanto la trascendenza identitaria e poetica della creazione quanto l’inesauribilità dell’aspetto ermeneutico. Consonanze e rifiuti si giocano non soltanto sull’onda emotiva, destinata a “svaporare”, bensì sul sentire e sul pensiero che esso sottende. Vista e sguardo approssimano un percorso che va dall’esterno all’interno dell’operato d’arte, implicando una personalizzazione che non è mai soggettivismo e casualità, anzi si alimenta con il confronto e contribuisce a saldare il vincolo sociale. L’immagine odierna parla un linguaggio culturalmente complesso a fronte di un contesto che tende a sostituire alla vicinanza un contatto - virtuale o fisico - spesso pervasivo, ottundente e, per tramite di un modello proponente quasi esclusivamente un affollamento visivo anonimo, altamente spersonalizzante. La nuova figurazione imposta la sua sfida sulla capacità di coniugare le tecnodinamiche istanze contemporanee - attingendo alle loro risorse migliori e costruendo i segmenti linguistici idonei - con le esigenze “sempreverdi” della fruizione, innovandola.
Alessia Zolfo
Anna Gritti Chiara Dionigi Domenico Lasala
Gianguido Oggeri Breda Gianluca Stumpo
artisti Gianni Riva
Giovanni Greco Giulio Gamberucci Ilaria Buselli Luca Mommarelli Marianna Mendozza Marta Bettega Massimo Gasparini Matteo Maculotti Nathalie Silva Nico Valeo Paolo Durandetto Rosaria Di Dio Rossello Damiano Sàrka Mràzovà Sevil Amini
Alessia Zolfo
Alessia Zolfo è nata a Napoli nel 1984. È diplomata in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone. Ha frequentato la Facoltà di Filosofia presso l’Università La Sapienza di Roma. È docente di Disegno e Arte nelle scuole secondarie. Oltre alla pittura, mezzo principale della sua espressione artistica, è anche incisore e scrittrice.
Alessia Zolfo lavora, quasi tormenta la materia e ha con essa un rapporto intenso, “fisico”, che si manifesta in ogni passaggio al quale sottopone il supporto. L’elemento materico preferito, ma non unico, è la carta, incollata sulla tela, strappata e soggetta a vari trattamenti, fino ad ottenere una superficie finale corrugata, graffiata, viva e dall’aspetto informale a distanza ravvicinata. Allontanandosi dal quadro si percepisce, tra le lacerazioni, la figura umana dal taglio espressionistico. La sua sperimentazione è volutamente disturbante, presenta personaggi dall’identità indefinita, archetipica, mostra il diverso, il malato, e le ferite invisibili che diventano quelle dell’uomo di strada, nome comune, “L’uomo senza qualità” di Musil.
Anna Gritti
Anna Gritti è nata a Bergamo nel 1972 dove vive tuttora. Si è diplomata all’Istituto d’Arte di Bergamo nel 1991 e laureata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera nel 1996.
Quotidianità, esperienze, ricordi, immagini, interagiscono all’interno del mondo emotivo di Anna Gritti, dando corpo una pittura attraverso cui l’artista regala rielaborati frammenti di vissuto con una scrittura stilistica del tutto personale: sono infatti lacerti di un racconto inesausto che una fervida immaginazione filtra e restituisce in una forma e in una cromia mai scontatamente naturalistiche. I personaggi, in prevalenza femminili, appaiono come “sospesi”, apparentemente inattivi: in realtà comunicano quel loro vitale essere assorti nel movimento del pensiero. La cura del dettaglio che si riscontra nelle opere raggiunge un voluto parossismo nella lavorazione di piedi, mani e occhi, sottolineati e ingigantiti con effetto di sconcertante sorpresa riflessiva. Le frequenti inserzioni di ritagli astratti trovano collocazione all’interno di audaci scorci inusuali.
Chiara Dionigi
Chiara Dionigi è nata a Foligno nel 1978. Vive ad Assisi. È laureata in Scienze e Tecnologie della Produzione Artistica. Da sempre impegnata in un incessante lavoro di sperimentazione e ricerca, percorre e precorre i paesaggi della creazione attraverso la decontestualizzazione e la destrutturazione della materia artistica. Nella pittura utilizza materiali di scarto, riciclati o deperibili, sottolineando il senso comunicativo di arte come processo in divenire e l’opera non finita che acquista valore nel suo auto-modificarsi nel tempo. Affascinata dalla videoarte come strumento di senso, come metalinguaggio potente e catturante, studia le relazione del suono con l’immagine.
Chiara Dionigi è impegnata in un lavoro di ricerca che, forte di una notevole esperienza in tecnologie artistiche, opera all’interno della figurazione e del suono, con chiari echi delle storiche vicende di Fluxus e del Rumorismo; quanto detto spiega la sua attenzione verso le sperimentazioni plurisensoriali. Anche il Poverismo ha sicuramente influenzato la sua arte, in particolare la pittura, dove l’indagine sulla materia, intorno ai suoi costituenti, al suo ciclo vitale e alla conseguente deperibilità, è diventata una importante componente tra I fattori che determinano l’indirizzo della sua poetica. Riguardo quest’ultima si evidenziano una spiccata sensibilità scenografica e un’irruenza affabulativa. Possono leggersi “pittoricamente” gli intricati puzzle narrativi che popolano i quadri, che rammentano quelle fiabe dalle infinite soluzioni e ci riportano alla loro autrice, affascinata dalle mille combinazioni e scomposizioni del giocoimmagine in cui anche lo spettatore viene catapultato.
Domenico Lasala
Domenico Lasala è nato a Barletta nel 1945 dove vive tuttora. Nel 1969 si trasferisce a Milano. Qui scopre e mette in pratica la sua passione per la pittura. Si inserisce nel G.A.R. (Gruppo Artistico Rosetum) e, sotto la guida del prof. V.Pilon e la pittrice Tina Jacobs, segue corsi di Disegno, Anatomia, Pittura e lezioni di Storia dell’Arte. Frequenta la Scuola Libera del Nudo in Brera. Fa parte dei Pittori di via Bagutta.
Per Domenico Lasala la rilettura degli antichi classici e lo studio degli ulteriori passaggi artistici avvengono alla luce degli sviluppi internazionali contemporanei. Ne deriva un’interpretazione personale in cui le ambientazioni all’aperto e gli interni colpiscono per la loro essenzialità: i paesaggi rammentano vagamente il rigore dell’ultimo Carrà e le architetture urbane fanno pensare alle solide costruzioni sironiane, ma il tutto si presenta come un fondale cristallizzato in una struttura arcaica da cui, da un momento all’altro, si possono dischiudere delle quinte teatrali. Le figure umane emergono tramite un leggero chiaroscuro, la luce si fa limpida e i colori rischiaranti; non ci sono ombre portate e lo spazio diventa “assoluto”, percorso da una sonorità silenziosa. I personaggi, enigmatici alla stregua di quelli di Piero della Francesca e torniti secondo l’insegnamento masaccesco, si inseriscono in una ritmica di incastri senza tradire emozioni, offrendosi come figure topiche, spesso sotto le sembianze di musici e cantori. Non è da dimenticare che la musica nella trattatistica classica possedeva uno spessore sapienziale in seguito smarrito e l’artista forse evoca, quasi fosse un magico antidoto, questo antico e vitale collante sociale per farne dono ad un mondo pervaso da un’anonima e drammatica frenesia.
Gianguido Oggeri Breda
Gianguido Oggeri Breda è nato ad Ivrea (To) nel 1970. Vive e lavora ad Agliè (To). Ha frequentato l’Istituto d’Arte, conseguendo il Diploma nella sezione Arredamento, per poi occuparsi di grafica e design. Si è rivolto all’utilizzo dello scanner come mezzo improprio di ritratto, indirizzando le proprietà di trasfigurazione dello strumento alla ricerca della zona di penombra tra visione e inquietudine.
All’interno di un percorso intenso di ricerca si sviluppa il lavoro artistico di Gianguido Oggeri Breda: in esso si concatenano i risultati e vengono suggeriti i passaggi successivi attraverso fermenti evolutivi tutt’altro che lineari. La sua figurazione trapela frammentata, contaminata e penetrante così da sembrare costretta e insieme dinamica all’interno di un contesto visivo densamente materico e coprotagonista. Perché infatti i suoi volti, sottoposti a scanner, diventano un “unicum” con terra, sassi, petali, lanugine, e altri materiali scansionati, nell’ambito di un processo che ha come risultato una rielaborazione complessiva che evoca l’immagine umana senza caratterizzarla, semmai simboleggiandola. In altri periodi sperimentali la connotazione figurale si accentua ma non tramuta in mera ritrattistica. Tutto si gioca fra luce e ombra, l’aspetto introspettivo si fa sottile, l’atmosfera tensiva. É curioso e interessante riconoscere in diverse opere della serie “tra sogno e inquieto” una freschezza di genere pittorico che richiama alla mente le stravaganti opere secondo Cinquecento di Giuseppe Arcimboldi.
Gianluca Stumpo
Gianluca Stumpo è nato a S. Giovanni in Persiceto (Bo) nel 1980. Si trasferisce a 12 anni nella città di Cosenza dove frequenta il Liceo Artistico e lavora a progetti per la Casa delle Culture. A Bologna si iscrive in Accademia di Belle Arti dove si laurea in Pittura nel 2006 con la tesi “Oscurità: Luce e ombra nella pittura”. Risiede a Bologna e lavora con la Galleria Bongiovanni.
Gli acrilici imponenti di Gianluca Stumpo sono creazioni pittoriche solitamente rappresentate dall’alto, accentuando così il senso di profondità percepito. La tavolozza si caratterizza per un colorismo tonale caldo, giocato in prevalenza entro la gamma variata del rosso e del giallo, con l’accostamento di una cromia contrastante scura. L’artista raccoglie in chiave contemporanea il retaggio delle scene di genere e di natura morta, divenute popolari durante il Seicento italiano: interni, esterni, scorci di particolari, angoli quotidiani o intimi vengono infatti calati nell’immaginario, nel contesto oltre che nell’impostazione compositiva di oggi, tramite una pittura curata, rigorosa e mai aneddotica.
Gianni Riva
Gianni Riva e’ nato a Cervere (Cn). Vive e lavora a Fossano. Laureato in Architettura al Politecnico di Torino si dedica alla professione e all’insegnamento del Disegno. Autodidatta, appassionato da sempre d’arte contemporanea, dopo alcuni lavori giovanili solo recentemente riprende a dipingere. Dopo una fase iniziale di tecnica sospesa tra grafica e pittura volge l’interesse verso la pittura acrilica del genere Urban Art e successivamente verso il genere Pop che traduce, come alcuni hanno definito, in Liquid Pop.
Gli acrilici di Gianni Riva sfilano visivamente come un’autentica galleria al femminile dove si respira un’ariosa freschezza venata di ironia. Le donne non presentano una caratterizzazione psicologica che le possa contraddistinguere ma offrono una tipologia in cui assurgono a simbolo o, forse, meglio a “presenza”, linguaggio muto. Un sotterraneo influsso fauve occhieggia discreto tra i fantasiosi e vividi accostamenti cromatici dalle forme irregolari campite piattamente: la sorpresa di questo sperimentalismo coloristico consiste nell’ effetto sintetico-plastico che sortisce l’impianto complessivo. I rimandi pop sono ibridati tramite un sentire “altro”, ossia grazie a quella “insostenibile leggerezza dell’ essere” che non si spiega, coinvolge.
Giovanni Greco
Giovanni Greco è nato a Catania. Inizia la sua attività artistica all’inizio degli anni 80. Dopo gli incompiuti studi artistici e un approfondimento degli studi di Biologia frequenta la Scuola Libera del Nudo nella sua città natale spinto da una forte passione per l’arte del ‘500 e del ‘600 e per l’esempio magrittiano.
Giovanni Greco arena la nostra vista distratta dotandoci di uno strabismo conoscitivo, che trasfigura il nostro territorio della visione facendoci addentrare nell’incanto atemporale di un’infanzia adulta, adagiati sulla spiaggia metafisica dell’immagine. Perché così lavora questo pittore. Egli attraversa il terreno dell’arte, indugia tra i percorsi della classicità, è attratto dal fascino del manierismo, si sofferma sulle nitide magie fiamminghe, galoppa e rallenta dinanzi agli slanci romantici, approda sulle coste del moderno tra il provocatorio stupore enigmatico dechirichiano e l’immaginario surreale. Sbarca sulle nostre strade artistiche contemporanee investendole con una meditata e personalissima poetica; la raffinatezza stilistica e l’aura ombrosa delle sue invenzioni rigorosamente composte, completano il suo attuale cammino e incanalano o comunque concorrono ad alimentare le potenzialità ancora inespresse. È una pittura che rinnova una memoria “altra”, oltre il mito e il presente.
Giulio
Gamberucci
Giulio Gamberucci è nato a Volterra nel 1981. Vive a Pomarance. Si è diplomato presso il Liceo Artistico ed in seguito in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Dal 2006 è docente di Discipline Pittoriche a Cecina (Li). Il suo scopo in pittura è sempre stato quello di usare la natura e la realtà che lo circonda come mezzo, per cercare di fissare sulla tela le sue reazioni più intime di fronte al soggetto.
Giulio Gamberucci è un giovane pittore i cui lavori esternano la sua acquisita padronanza tecnica, un nitore e un’attenta cura del dettaglio, superando gli iniziali influssi impressionistici (vedi “Senza titolo” 2005) a vantaggio di una pittura più sorvegliata ma non legata a uno scontato naturalismo, significativamente innovativa. Tra invenzione e reale si stabilisce un intimo nesso entro il quale l’artista gioca la sua partita creativa, mai strumentale quanto piuttosto basata su un rapporto complice, un’intesa di ricerca e analisi. Ne nascono delicate metafore figurative, forti traslazioni semantiche, in ogni caso siamo davanti a scavi del pensiero poetico, a fantasie allusive interne ad un contesto suggestivo contemporaneo.
Ilaria Buselli
Ilaria Buselli è nata a La Spezia nel 1981. Vive e lavora a Firenze. Ha frequentato la Scuola Libera del Nudo di Firenze e si è diplomata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Due sono le costanti del suo lavoro: la scelta di utilizzare il corpo umano come soggetto delle sue analisi e quella di non utilizzare i colori, abbandonandosi quindi a un mondo fatto di visioni in bianco e nero. Attualmente pubblica per la rivista sperimentale “Il Malpensante” ed è cofondatrice dell’Associazione Culturale “AllertaPermanente”, per la quale collabora alla direzione artistica.
La sua pittura sfida lo sguardo di chi la osserva. Non è il cromatismo squillante o un’appariscente teatralità scenica a sortire l’effetto. Al contrario, dominano il bianco e il nero su fondi spenti, sfaldati, graffiati, segnati appena a volte da un rosso slavato, evanescente; l’impianto è raramente affollato e mai semplicemente accattivante. Certo non sono secondari il talento grafico e la perizia del mestiere, ma quello che colpisce e che l’artista intende comunicare è la provocazione indotta da una forza umana vitale, sovente messa alla prova, ma non rassegnata né edulcorata, piuttosto espressa nelle sue contraddizioni (nel guizzo del movimento, nel semplice gesto, nel linguaggio del volto). Sono i corpi che raccontano le loro storie. Simbolo, enigma, il mistero spazio-tempo si declinano con la complessità dei sentimenti dell’uomo, le sue sensazioni compresse, l’inespresso, le ferite. Tutto ciò diventa segno di una geografia fisica dispiegata, inquietante pur nella fierezza insita all’interno di una difesa dignità umana, spiraglio di difficili rivincite.
Luca
Mommarelli
Luca Mommarelli è nato a Firenze nel 1964. Scolpisce il legno da circa 10 anni. Vive nel Mugello, terra rigogliosa di boschi, fonte primaria della materia lignea protagonista delle sue sculture. Cresciuto nel quartiere di Santo Spirito, ricco di botteghe artigiane, si avvicina prestissimo alle tecniche di doratura di cornici a guazzo, al cesello e sbalzo del rame, alla realizzazione vetrate liberty e al modellato in creta, elementi che contribuiscono a costruire un bagaglio fondamentale per il percorso artistico dell’autore.
Le opere di Luca Mommarelli palesano una annosa familiarità e una approfondita conoscenza del materiale prescelto: il legno. Lo scultore ha una lunga ed intima frequentazione dei boschi, ne distingue gli umori, i caratteri, e in particolar modo si muove agevolmente fra le varie tipologie di piante. E di ognuna di esse sa discernere la natura, individuare le venature legnose e accorparle senza forzature, passo a passo, all’interno del progetto creativo. Le sue figure – o gruppi figurali – emergono dalla materia stilizzate, contorte, in movimento, con echi di fascinazione bruegheliana e in una sorta di atmosfera affabulatoria.
Marianna Mendozza
Marianna Mendozza è nata a Napoli nel 1977. Vive a Perugia. Ha conseguito il Diploma di Laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
La “realtà-visione “ è un appellativo, un modo per caratterizzare, di primo acchito, quel fondersi creativo che si attaglia all’universo poetico di Marianna Mendozza L’approccio è mediato da un impatto figurale intrigante e simbolico, che però non lascia spazio a facili emozioni: si tratta di una sequenza di scene crude, di satire impietose, una successione di immagini caratterizzata da cromie spesso non naturalistiche e titolata con caratteri graffianti. Sono da rilevare i tratti grafici espressivi e sfuggenti e le pennellate movimentate e inquiete. La ricerca di senso ed equilibrio, le ossessioni legate al femminile, i segni della povertà, l’incombere della minaccia nucleare, i problemi razziali, le trappole mediatiche, le difficoltà nei rapporti, il deterioramento ambientale, sono alcune delle tematiche sociali affrontate con accortezza, allontanando la didattica, come si addice all’arte.
Marta
Bettega
Marta Bettega è nata a Feltre (Bl) nel 1978. Vive a Imer (Tn). Ha conseguito la Maturità d’Arte Applicata in Decorazione Pittorica a Trento nel 1998. Si è diplomata in Restauro Conservativo presso l’Accademia di Restauro di Milano nel 2002 e all’Accademia di Belle Arti di Brera, indirizzo Pittura, nel 2005. Attualmente, insegna Discipline Pittoriche e frequenta presso l’Accademia di Venezia, il biennio specialistico in “Discipline Visive e dello Spettacolo”, indirizzo Pittura.
La poetica di Marta Bettega è storia, scavo nella memoria, ricostruzione e nuovo elaborato a partire dalle proprie origini; le sue tecniche miste sono raffinate e messe in risalto da arditi tagli compositivi. Si avverte una specifica cura nella rifinitura e nel rigore riservato al particolare senza ricadute virtuosistiche. Ciò va ad aggiungersi ad una perizia nel trattamento dei materiali e nella decorazione, capacità agevolate dagli studi precedenti quelli prettamente pittorici. Non soltanto si avverte un’attenzione curiosa ed esperta nei confronti della matericità dell’opera e, in generale, verso le arti applicate e i suoi aspetti decorativi, ma si ha anche la netta sensazione di trovarsi di fronte ad una visione complessiva (e riveduta) che contempla strutturalmente tali ritmi e motivi ornamentali. Essi vengono inglobati entro un bagaglio ideale e professionale che riecheggia vagamente la fantasia e il gusto della “Sezession” di fine ottocento. Il fascino dell’ornamento contemporaneo di Marta Bettega si esplicita nel suo essere soggetto sostanziale e non solo formale.
Massimo Gasparini
Massimo Gasparini è nato a Rovato (Bs) nel 1970. Vive e lavora a Palosco (Bg). Ha frequentato il Liceo Artistico dedicandosi, poi, al restauro di opere d’arte. Autodidatta, dipinge da sempre, senza peraltro sentire l’esigenza di esporre. Gli studi sulla pittura classica si riflettono nei suoi soggetti intimisti: ritratti, nature morte, paesaggi; realizzati con tecnica ad olio e tempera all’uovo su tavola . Nel 2007 “incontra” il cartone da imballaggio che lo libera dal cavalletto e dalle tecniche canoniche. Egli scopre le grandi pennellate, la liberazione gestuale, le colature e le tecniche più disparate, a volte casuali, arrivando al paradosso di realizzare quadri con lo sverniciatore.
Il plastico figurativismo di Massimo Gasparini si focalizza sull’immagine della donna, in specie il volto, colto in tutte le sfumature che ne determinano espressione e forza, ma insieme ne preservano l’aura di inafferrabilità. Si tratta di un femminino ancestrale che ha perso i tratti terrifici, conservando invece le sue valenze vitali inserite in una visione caleidoscopica ed epifanica. I colori investono con impeto contenuto i numerosi supporti prescelti, creando percorsi e contatti originali con la materia entro un costante rapporto–guida dell’artista che feconda gli incontri. Lontano dal cerebralismo si nota una meditata cura nel gestire la libera sperimentazione tecnica e una sciolta gestualità, che suggeriscono una direzione di lettura che va dall’esterno verso l’interno del percorso emozionale del quadro. Freschezza creativa e versatilità coloristica sono avvertibili al primo impatto visivo.
Matteo
Maculotti
Matteo Maculotti è nato a Cremona nel 1988. Artista autodidatta, all’età di quattordici anni prende confidenza con alcuni programmi di grafica digitale e col tempo coltiva la passione per l’arte sviluppandone, parallelamente, una personale concezione stilistica e filosofica. Le sue opere, che mostrano una rara sensibilità e una forte vena malinconica, sembrano costantemente sfuggire ad una interpretazione razionale e colpiscono per il forte impatto visivo e per la sottile poeticità. In esse riecheggiano vari temi, tutti più o meno legati alla figura umana: lo scorrere del tempo, la perdita dell’innocenza, la nostalgia del passato, il senso tragico della vita.
La poetica di Matteo Maculotti interroga e indaga un universo al contempo magico e difficile: l’infanzia. I suoi bambini, con la loro fragile ma determinata presenza, personificano sogni, speranze, confuse paure. Una tavolozza di grafica digitale sobria, di solito scura e a volte in bianco e nero, lascia filtrare una luce radente oppure pallidamente diffusa. I mezzi messi a disposizione da un’avanzata tecnologia si declinano con il nostro bagaglio culturale e artistico. Progresso e tradizione rivisitata si intrecciano, creando un connubio che disegna un paesaggio interiore intenso ed essenziale; esso fa leva sulle istanze più profonde ed irrazionali dell’osservatore, indotto a confrontarsi con una situazione problematica tanto attuale quale quella della condizione infantile.
Nathalie Silva
Nathalie Silva è nata a Landstuhl, Germania, nel 1962, in un ospedale militare americano. Vive a Bordighera. La tensione elastica comincia subito: scuole americane o in basi americane Nato in Italia o italiane con variazione biennale e Università americana a Monaco di Baviera e poi alla Bocconi di Milano.
I suoi grandi quadri, espressione di uno spirito cosmopolita, evidenziano fin da subito la decisione nel segno, il colorismo “libero”, le campiture piatte oppure con effetti volumetrici, grazie ad accostamenti di tinte uniformi, sorretti da un’inventiva fertile. Sono connotazioni che fanno pensare ad una contaminazione di influssi stilistici pop con il pathos gestuale, fisico, cromatico - in sottotraccia - rubato all’ espressionismo newyorchese. I suoi personaggi non danno mai luogo a dei classici ritratti, tuttavia i loro volti hanno sguardi penetranti e le posture dei corpi sono dinamiche e visivamente efficaci; i fondali neutri lasciano a volte spazio a cenni prospettici giocati con il colore. I caratteri della movimentata ed incisiva espressività della pittrice hanno matrice europea e si esternano, ad esempio, in opere come “San Luca” o “Rodolfo”, apportando al fruitore una particolare piacevolezza estetica (peraltro non esente in altri suoi lavori). Le opere di Natalie Silva nascono in studio come materico gusto del fare ma anche come attenta rielaborazione sensitiva e tematica: sono lontani gli interessi luministici ed atmosferici “en plein air” di marca francese. È una creazione di originale poetica scorciante la complessità del reale.
Nico Valeo
Nico Valeo è nato a Rho (Mi) nel 1982. Presso la bottega del Maestro Mario Nava, acquisisce e perfeziona lo stile classico nella sua più completa struttura. Negli anni seguenti questo periodo formativo, l’artista si distacca progressivamente dall’impronta accademica delle sue prime opere, per esprimersi attraverso sensibilità e modelli figurativi sempre più personali e intimistici. Il suo lavoro e la sua ricerca proseguono tutt’ora a stretto contatto con il mondo artigiano, del quale lo scultore ha saputo far propri sia il bagaglio di conoscenze pazientemente tramandate, sia la semplicità e l’umanità delle poetiche che lo accompagnano.
Nico Valeo è un giovane e interessante scultore in fase evolutiva. È attratto dalla materia, che rispetta, sceglie e manipola con cura e con studio del mestiere. I materiali attualmente favoriti sono il bronzo, il legno e, in particolare, l’argilla; la figura umana resta il soggetto preferito della sua analisi, ma si cimenta volentieri anche nelle rappresentazioni di animali. La ricerca ha come punto di partenza l’apprendimento compositivo della struttura classica, evolvendo verso nuove forme (vedi “Flamenco”) per approdare, all’oggi, a un sinuoso e morbido modello scultoreo alla maniera di Moore. È una poetica intimistica, sottolineata stilisticamente da un cromatismo pacato, da pose raccolte e da atteggiamenti introspettivi.
Paolo Durandetto
Paolo Durandetto è nato a Susa nel 1974. Vive e lavora a Rivoli (To). Ha conseguito il Diploma di Tecnico dell’Industria Grafica a Torino e il Diploma in Decorazione all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Ha frequentato un corso per Operatori dei Servizi Museali e dei Beni Culturali tenuto per la Regione Piemonte dalla Fondazione Fitzcarraldo e un workshop di Tecnica dell’affresco presso il M.A.C.A.M. di Maglione (TO).
L’attitudine a sperimentare, la curiosità rivolta verso ogni tipo di esperienza conoscitiva, sia a livello concettuale sia artistico che tecnico, accompagnati a un atteggiamento vitale positivo e tenace, originano l’intreccio di elementi che concorre a delineare il retroterra creativo dell’artista. Per quanto concerne nello specifico la sua pittura attuale vanno messe in rilievo le tracce lasciate via via dai passaggi evolutivi che essa ha subito. La raggiunta essenzialità compositiva, al limite del figurativo, lascia trapelare il sostrato paesaggistico, scarnificato al punto da dare visibilità alla rete di rapporti strutturali reggenti le rappresentazioni pittoriche dei periodi anteriori. Ciò ricorda, lontanamente, il lavorio di radicale semplificazione progressiva di Mondrian. Le intenzioni e il contesto in cui opera Paolo Durandetto sono però così distanti da quelle del maestro olandese, tanto dal punto di vista spaziale che temporale, da indurre a precisare le differenze: per il nostro pittore si tratta di un forte interesse teso alla comprensione dei nessi che legano la natura e le sue tramature con l’ambiente artificiale costruito dall’uomo, rimandando ad una nuova area semantica e quasi informale.
Rosaria Di Dio
Rosaria Di Dio è nata a Niscemi (Cl) nel 1974. Vive e lavora ad Agliè (To). Nel 1993 ha conseguito il Diploma di Perito Tecnico Commerciale e nel 2010 il Diploma di Laurea di II livello in Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, discutendo la tesi a titolo “Forme a Tempo”. Ha frequentato i corsi regionali di “ceramista torniante” e “addetto alle tecniche pittoriche” a Palermo. Ama sperimentare tutte le tecniche espressive artistiche, dalla pittura alla ceramica, rivolgendo la sua attenzione in particolar modo alla fotografia.
Le fotografie di Rosaria Di Dio sono singolari, sconcertanti. E concedono un impatto forte, che cattura: un’invisibile clessidra le avvolge, le illumina, le fa sue. Superano la mera rappresentazione di una realtà naturale in fase trasformativa per diventare, senza alcun intervento artificioso, immagini trasfigurate, visioni in piena libertà per gli occhi e stimoli di riflessione. Eppure si tratta di una ripresa fotografica di frutta e verdura marcescenti. Il segreto degli squarci visivi che ci vengono offerti, ora informali ora surreali o semplicemente fantasiosi e bizzarri, non risiede soltanto nelle indubbie abilità tecniche messe in campo e nel talento sperimentalistico, quanto anche e soprattutto nel rapporto autentico che l’ artista sa ancora instaurare con la natura. È una fotografia che ne riscopre con delicatezza, l’incanto e la meraviglia, sfiora il ciclo della vita, che regala il senso perduto del tempo sotto forma di preziosità compositive.
Rossello Damiano
Rossello Damiano è nato nel 1963 a Borgomanero (No). Vive e lavora ad Albisola (Sv). E’ un esperto artista-artefice con rare qualità di modellatore, capace di interpretazioni plastiche di altissimo livello. Maestro completo, crea a tutto campo forme ardite e sapienti. Il colore e il fuoco fanno la loro parte, sia per il piccolo oggetto artigianale che per l´opera unica irripetibile. Nel febbraio 2008 è stato inviato, patrocinato dalla Regione Liguria, a tenere lezioni presso l´Accademia di Arti Plastiche “Oswaldo Guayasamín” di Bayamo (Cuba).
Le opere di Rossello Damiano sono ceramiche di fine fattura, vasi, anfore e sculture che assumono spesso caratteri antropomorfici in cui l’artista miscela la figura umana con quella animale, in ispecie il geco, con un piacere affabulatorio che ricorda le favole di Esopo. I lavori si contraddistinguono per il plasticismo sinuoso, addirittura contorto, della sagomatura. Si tratta di una figuratività vivace e dinamica, sospesa in una dimensione mitologica ed ancestrale. Sembra avvertirsi l’esigenza di una rielaborazione del passato ricreando il valore semantico del mito coniugato al modellamento contemporaneo. La cromia è orientata prevalentemente verso la dominanza del blu, forse sotto l’influenza evocativa del suo mare.
Sàrka
Mràzovà
Sárka Mrázová Cagliero è nata a Ostrov nad Ohri, Repubblica Ceca. Dal 1985 vive in Italia. Ha conseguito la Maturità Classica con formazione artistica al Liceo di Praga. Dopo numerosi viaggi di studio, inizia a dipingere sotto la guida artistica della pittrice J.Husarikova; nella sua ricerca meditata della scintilla divina, ne inserisce sulla superficie delle sue opere i simboli tradizionali, ponendoli in nuove relazioni, rifondendo il loro significato in originali posizioni, su un piano di liricità.
Sàrka è vissuta in un contesto culturalmente e artisticamente vivace e ciò ha di sicuro contribuito al formarsi della sua cifra stilistica, delicatamente lirica. Le influenze della sua pittura sono di origine mitteleuropea, il suo artista preferito, non a caso, è Friedrich Hundertwasser, propugnatore di un rapporto autentico con l’ambiente e la vita. Tecnicamente predilige l’accostamento di colori complementari e di effetti “caldo – freddo”; le forme tendono alla semplificazione e la composizione è geometrizzante. La poetica rammenta i paesaggi della sua memoria, ricreati come una narrazione chagalliana che lascia emergere metafore del suo inconscio, tradotte in fresche e vivide scene dell’ infanzia e della natura dei luoghi nativi. La concezione estetica di Sàrka rifugge da una falsa arte provocatoria, rappresentativa in modo pedante del grigiore quotidiano, sviluppando in alternativa il suo mondo fantastico e ridando dignità all’opera d’arte.
Sevil Amini
Sevil Amini è nata a Teheran, Iran, nel 1977. Vive e lavora a Milano. Ha vissuto le prime esperienze artistiche da giovanissima, grazie alla passione del padre, artigiano gioielliere, amante della pittura e della poesia. Nel 2005 si trasferisce in Italia, a Firenze, dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti. Nel 2009 si laurea in Pittura. Ha studiato grafica e disegno all’Università privata di Teheran e successivamente ha lavorato per una casa editrice di libri d’arte e di fotografia con l’incarico di coordinatrice e senior graphic designer per la rivista Tassvir Magazine.
Per Sevil Amini la figura diventa racconto personale; la serie dei suoi autoritratti pittorici è lo specchio di un’approfondita introspezione giocata attraverso variazioni compositive e cromatiche. Vale a dire che la pittrice manifesta con singolare efficacia il suo stato d’animo contingente tramite un linguaggio in cui fonde ogni volta diversamente realtà e simboli, sfiorando il surreale, registrando i cambiamenti emozionali e connotandoli con apposite e pertinenti scelte coloristiche. Paure e sogni, vicissitudini e tensioni liberative assumono quindi forme e tinte che trasformano completamente lo scenario via via rappresentato, ma spaziano sempre nell’ambito di una pittura figurativa e tonale, contaminata con discrezione dalla cultura calligrafica iraniana.
opere
“The bride2”
Alessia
“Non gioco più”
a Zolfo
“8-13”
Anna
“Amiche”
Gritti
“Desir”
Chiara
“Molle”
Dionigi
“Ragazza con specchio”
Domenic
“Suonatori di tromba”
co Lasala
Serie “tra sogno e inquieto”
Gianguido O
Serie “tra sogno e inquieto”
Oggeri Breda
“0.42”
Gianluca
“0.00”
a Stumpo
“AdessoProvo”
Giann
“Lisaconfusa2”
ni Riva
“Coniuratus deus ex machina”
Giovann
“Cosmopolis”
ni Greco
“Africa”
Giulio Ga
“Girotondo”
amberucci
“Decodificazione”
Ilaria B
“San Sebastiano”
Buselli
“In Volo”
Luca Mom
“Predicatore”
ommarelli
“Carbone 2”
Marianna
“Michel 1”
Mendozza
“Lotto n. 1 liquidazione totale”
Marta B
“Lotto n. 2 pollame misto�
Bettega
“Dejà vu46”
Massimo G
“Unknown terrain”
Gasparini
“116 big”
Matteo M
“Thesickchild big2”
Maculotti
“Frankfurt”
Nathali
“Catwalk murder one”
ie Silva
“La ninfa”
Nico
“La riflessione”
Valeo
“As021”
Paolo Du
“As022”
urandetto
“I gioielli del tempo 6781”
Rosaria
“I gioielli del tempo 6742”
a Di Dio
“M4”
Rossello
“M7”
Damiano
“Primavera”
Sàrka M
“Messaggero”
Mràzovà
“Lontananza”
Sevil A
“Una doppia vita”
Amini
Gianguido Oggeri Breda - Arte e Grafica