Rivista20 gennaio febbraio 2018

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N°25 gennaio-febbraio 2018 -

periodico bimestrale d’Arte e Cultura

www.rivista20.jimdo.com

ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE

Luigi Spazzapan

Edito dal Centro Culturale ARIELE


ENZO BRISCESE

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE

del Centro Culturale Ariele

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Lo stagno della memoria - t.m. su tela - 2007

Hanno collaborato: Giovanna Alberta Arancio Francesca Ramarony Tommaso Evangelista Lodovico Gierut Silvia Grandi Irene Ramponi Letizia Caiazzo Graziella Valeria Rota Alessandra Primicerio Virginia Magoga Roberta Panichi Enzo Briscese Paola Corrias Cinzia Memola Valentina Gandaglia Barbara Vincenzi www. riv is t a 2 0 . jimd o . c o m

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Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedĂŹ al venerdĂŹ tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com -----------------------------------------------------

albero - t.m. su tela - 2012

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mail: enzobriscese6@gmail.com cell. 347.99 39 710

In copertina: opera di Luigi Spazzapan


Sommario N° 25 *gennaio-febbraio 2018

In copertina

foto opere di Luigi Spazzapan

fino al 28 febbraio 2018

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Luigi Spazzapan Fondazione G. Amendola Torino

12 Christmas Art Expo

Ecomuseo 6° Circ. TO a cura del Centro C. Ariele

19 Lucio Fontana e L’annulla mento della pittura a Cherasco (Cuneo) 20 Il segno del ‘900 Museo MUST - Milano 21 L’ultimo Caravaggio eredi e nuovi maestri Gallerie d’Italia - Milano 22 Lucio Fontana

Ambienti/Environments Pirelli Hangar Bicocca (MI)

23 Nicole Grammi 24 I Capolavori del Museo P i c a sso d i P arigi Palazzo Ducale di Genova 25 Francesco Di Martino 26 T rame di Giorgione Castelfranco Veneto

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Duchamp, Magritte, Dalì

I r i v o l u zi o n ari d el ‘9 0 0 Palazzo Albergati - Bologna

30 Eventi Friuli Venezia G. Biennale Internazionale Donna a Trieste 32 Eventi Toscana Nel segno di Michelangelo 34 Albino Caramazza 36 Eventi Molise (S)confine. Impressioni dal margine 35 Giulia Mugianesi 38 Enzo Briscese 40 Eventi Umbria

Museo Alessandro Marabattini

41 Lorenzo Curioni 42 Domenico Lasala

43 Marco Longo

Eventi Puglia 44 - Water Shapes 46- Luigi Presicce 47- Francesco Schiavulli Eventi CAMPANIA 48- La follia nell’arte 49- Antonio Ligabue

50 L’opinione di Letizia Caiazzo Eventi CALABRIA 52- Guercino e Mattia Preti a confronto 54- Dal lago Angitola

55- Corrado Alderucci 56 Eventi SICILIA Vivian Maier una fotografa ritrovata 58 L’isola che c’è mostra fotografica Museo Genna Maria Villanovaforru - Sardegna 59 Emanuela Cau mostra fotografica Fine Art Gallery - Cagliari

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LUIGI SPAZZAPAN RITORNO A TORINO

Torino, dal 10 novembre 2017 al 28 febbraio 2018 presso la Sala Mostre dell’Associazione Lucana Carlo Levi e della Fondazione Giorgio Amendola Via Tollegno 52 - Torino A cura di: loris dadam - enzo biffi gentili - angelo mistrangelo - giuseppe lupo - pino mantovani

Con questa mostra di Luigi Spazzapan, la Fondazione Giorgio Amendola e l’Associazione lucana in Piemonte Carlo Levi riportano a Torino uno dei suoi più grandi artisti, con una mostra antologica, allo scopo di far conoscere al più vasto pubblico l’arte che ha creato nella nostra città per trent’anni, dal 1928 fino alla sua scomparsa nel 1958, e, soprattutto, procedere ad una rivisitazione critica del ruolo di avanguardia avuto in quel periodo. Il rapporto con Torino è uno dei temi centrali della mostra, al quale viene dedicata tutta la prima sala: fra il 1930 e il 1942, produce una serie di capolavori, le varie Vedute di Torino: il Valentino, le varie viste del Po, il Canale Michelotti, le case della Barriera, piazza Castello nella nebbia, con la neve, sotto i bombardamenti,…, una dichiarazione d’amore per la città, che egli considerava la sua

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Parigi, talmente profonda almeno quanto bassa era la sua considerazione della cultura della sua classe dirigente («Si poteva portare a Torino la Collezione Guggenheim, ma il Consiglio Comunale ci negò i locali che tanto gentilmente il Sindaco ci aveva promesso. In città tutti contenti, tutti sghignazzanti»). L’esposizione consiste in più di cento opere, dove il nostro affronta tutti i temi e tutte le tecniche della rappresentazione figurativa, in una continua ricerca ed inquietudine, dominata sempre dalla sua mano, dal suo assoluto dominio del gesto, grafico o pittorico che sia, il quale, come racconta lui stesso a Venturi, occupa: «Intere notti senza potermi fermare. Credo sia il massimo che abbia fatto anche perché la mano mi si è fatta ancora più bella e mi ubbidisce anche nei momenti di massima frenesia».


Tutte le opere esposte sono difficilmente disponibili alla visione del pubblico, in quanto appartenenti tutte a collezioni private, che ce le hanno gentilmente concesse e che ringraziamo per la loro generosità. Ringraziamo parimenti gli illustri critici che ci hanno onorato dei loro contributi e che hanno permesso degli approfondimenti della figura di Spazzapan assolutamente inediti. Per dimensioni, qualità e rarità delle opere esposte, ritenia-

mo che la Fondazione Giorgio Amendola e l’Associazione Carlo Levi abbiano offerto ai torinesi e ad un vasto pubblico una delle mostre più belle ed interessanti dell’anno che sta per chiudersi e siano rimaste fedeli al proprio compito istituzionale di diffusione della grande cultura europea. Prospero Cerabona Presidente Fondazione Giorgio Amendola

L'impossibile fuga Altro che qualche anno in più o in meno: vezzo diffuso tra gli artisti, i quali, per defilarsi dal tempo comune, spesso si dichiarano più vecchi o più giovani che d’anagrafe. Il fatto è che il pittore ha costruito con accanimento la leggenda del viaggiatore che «ha visto tutto quel che c’era da vedere» e che ha sempre avuto stretti i luoghi e i tempi dove si è trovato a vivere per caso, a momenti malinconico a momenti furente, smanioso di fughe. Mai di fatto realizzate: a meno non si voglia considerare tale l’abbandono di Idria (insegnamento e compagna in un colpo). E anzi, a sentire qualche maligno, rifiutate quando l’occasione fu propizia. Troppo tardi? Quando mai, per un uomo così vitale. Perfino la fuga giovanile (sui trentanove anni) è determinata dalle circostanze, piuttosto che essere voluta, scelta, progettata: alcuni amici architetti delle sue parti lo chiamano a Torino ‒ allora in bilico tra razionalismo nudo e razionalismo ornato – per un lavoro di decorazione in grande. Arrivato a Torino, non ne riparte più. Ma sì, ver-

so la metà dei Cinquanta, un anno o due in provincia per insegnare in un istituto d’arte. Mentre l’amico scultore è già direttore d’Accademia e l’altro ancor più giovane da Antibes a Parigi sta mettendo a frutto la sua insofferente rapinosa vitalità, lui a recitare la mattina presto il dramma della partenza senza addii, da gran signore sprezzante e incompreso (taxi e prima classe, verso Oriente un espresso Torino-Piacenza-Modena), salvo preferire, quando possibile, ritorni in macchina più distesi e allegri con la cara amica. È un dato di immediata evidenza questo: che il pittore non ha motivo né voglia di partire, o meglio la partenza è un sogno, una frenesia che si esalta di impossibilità. O una «dolce follia», incomprensibile anche per gli amici più stretti, che stanno praticando ‒ come conviene ai giovani ‒ il nomadismo fisico. A lui non serve la traslocazione per raggiungere qualcosa o qualcuno, tanto meno per afferrare o affermare; semmai, per non essere consegnato a una causa o a una forma cui poi debba restar fedele, preferisce la fuga dalla fuga.

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Raccontando di sé in una fluida Europa d’ante e dopo guerra (prima mondiale), il pittore insiste sul «desiderio d’andar via»: a Vienna, per esempio, a Praga, a Monaco, a Parigi «dove si fanno belle cose». L’accenno alle novità vale per impostare un gioco rapido di slittamenti, che si conclude in questo modo (è lui stesso a dichiararlo): «Assimilavo tutto con grande facilità perché avevo la mano fatta e leggevo tutto e sempre... Ma uno più bello dell’altro. Tutto così vivo, esplosivo». Tutto cioè niente preso a modello, per una ingordigia di novità che subito si rovescia in insofferenza. A momenti in modo tanto esagerato da essere piuttosto scandaloso per il benpensante (che esige coerenza, crede nella identità depositata), addirittura insopportabile per chi intenda la formalizzazione come perfezione, il contenuto come centro etico. Lo scandalo è già evidente rispetto alle scelte esistenziali. Per esempio, nella guerra, nel gioco tragico della guerra, da che parte stai? Austriaco, slavo, italiano? Eroe o codardo? Attaccante o fuggitivo? E nella scelta ideologica, dove stai? Intanto paghi di non avere una bandiera per la quale tu abbia giurato, che ti guidi e nasconda.

Barche sul Po con ponte in lontananza – 1938 – 72,5x49 tempera su carta

Mitteleuropa non meno mitico, centro di un potere remoto che la periferia avverte in sfacelo per quanto in maschera di raggelata liturgia (di un altro impero da poco marcito, stagna ancora come un profumo dolce-torbido di morte). Almeno in questo la periferia è forte: d’essere nel raggio di azioni e attrazioni differenti, nessun polo centripeto essendo abbastanza forte. La periferia può quindi, dagli spiriti indipendenti e potenti, essere vissuta non come margine debole ma come osservatorio privilegiato, lungimiranza, equidistanza epicurea, attenzione disobbligata, distrazione metodica, molteplice divergente possibilità. La superiorità che Luis il pittore vanta spesso a Torino, a confronto col provincialismo locale, è quella che gli viene dall’essere insieme tedesco, slavo, italiano e niente di tutto questo, non appartenente ma ironicamente curioso e disposto: europeo, uno dei pochi in Italia, affermò per tempo un amico che veniva anche lui da lontano, da un altro confine spesso attraversato. A chi sia convinto che la modernità transiti per il recupero storico del bandolo perduto, cominciando da quel Manet scelto dai municipali ‒ artisti e critici ‒ a insegna del rinnovamento, risponde irritato che la modernità non è un filo ma un groppo, una matassa di fili che non consente drastiche riduzioni, pena la perdita del carattere essenziale che è appunto la complessità. Veno, compagno della prima stagione, precisa con bella acutezza: Luis non è un pellegrino, manda gli altri a praticare il viaggio, l’informazione, l’aggiornamento, riservandosi il giudizio, la qualità ferma del giudizio.

La Spagnola – 1948 – 50x75 – tempera su carta

Del resto, chi sia nato in un territorio di confine, per giunta di molteplice confine, non vivrà come un personaggio da Deserto dei Tartari, in attesa nel timore nel desiderio allarmato dell’evento? Mi ricordo di aver letto da qualche parte che la sua terra fu baluardo contro l’avanzata dei Turchi; baluardo ma anche ‒ così per il pittore ‒ osservatorio, dal quale intravvedere pulviscoli d’oro e lapislazzuli, eserciti e moschee, via via fino all’Oriente vicino ed estremo; e al Nord verticale, quel

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Paesaggio autunnale – 1935 – 60x45 – tempera su carta


Ponte Vittorio Emanuele II – 1945 – 48x37 – china su carta

Veno l’occhio chiaro e il sorriso disarmato, se stesso l’occhio protervo la fronte corrucciata l’aria aggressiva: in questo modo Luis si rappresenta insieme con l’amico in un disegno di straordinaria sintesi. È un fatto che Veno a Parigi ci va davvero, per il nostro pittore Parigi resta una favola, anzi un mito, anche un concetto anziché un luogo, e se è un termine di confronto inevitabile lo è sul piano dialettico non materiale. Albert Sirok ‒ del quale non so nulla ‒ scrive nel 1928, dopo la partenza di Luis da Gorizia: «... È il vero tipo dell’abitante litoraneo: irrequieto, incostante, erotico, vitale».Mi è inevitabile pensare Osvaldo Licini, l’altro «eretico, erotico, errante»; la concordanza è quasi perfetta. Entrambi subito definitivamente anarchici, solitari nient’affatto soli. Osvaldo e Luis sono pressoché coetanei; ambedue partono tardi come pittori convinti, non perché poco dotati, anzi dotati per così dire troppo, e perciò dubbiosi, forse addirittura sospettosi di un potenziale disordinato che aspetta (può aspettare) d’esser messo a fuoco. Le strategie dell’attesa sono per i due diverse, ma la guerra e le conseguenze fisiche e psicologiche nuovamente li avvicinano: ne escono entrambi «eroi a calci in culo», rafforzati nel loro anarchismo viscerale. Di Luis sarebbe una battuta di caleidoscopica ironia comparsa sui muri di Gorizia: «la pitura no fa paura». Perché la pittura non fa paura? Perché non è una cosa seria? Perché è un gioco? Viva! Perché non aggredisce, né prevarica, ma innesca il rilancio ironico? Perché non serve che a decorare? Perché è critica? Che sarebbero i due estremi ‒ decorazione e

paura? Perché non è una cosa seria? Perché è un gioco? Viva! Perché non aggredisce, né prevarica, ma innesca il rilancio ironico? Perché non serve che a decorare? Perché è critica? Che sarebbero i due estremi ‒ decorazione e intelligenza ‒ tra i quali si muovono L. e O. Il Futurismo (Marinetti e Balla, non Boccioni), meno di un modello più che un accidentale incontro giovanile: ma il Futurismo crede alle magnifiche sorti progressive, la velocità di L. (anche di O.), invece, è avvolgente concentrica, è psichica non meccanica.

Torino dalla mia finestra – 1941 – 70x51 – olio su cartone

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Pelle rossa (nudo sdraiato) – 1947 – 66x49 – tempera su carta

Fino alla metà degli anni ‘20 l’impegno esistenziale sembra prevalere: gli interessi, divaricati e apparentemente dispersivi. Anzi espressionismo (in senso più generale che tecnico) e futurismo (idem) sono due facce della stessa disposizione, come il seguito confermerà, cioè le frequenti intersecazioni, soprattutto dopo che il surrealismo (se proprio si vuol insistere su schemi e modelli da manuale) ne avrà intuìto l’origine latente, antinaturale e irrazionale. Messo nella necessità di scegliere tra gli ismi, O. si dichiara surrealista anarchico e miracolista, mica vuol essere scambiato per un falegname! L. esalta l’ispirazione: l’automatismo come forma di liberazione e l’accelerazione metamorfica, ovvero il blitz come strategia, l’estro come metodo (antimetodico). Da un’altra vista si potrebbe dire che l’espressionismo tocca i contenuti (il versante naturale), il futurismo interessa una forte stilizzazione (astrazione?), il surrealismo allude alla profondità irriducibile, meta o ipofisica che sia. Un’araldica organica? Organismi emblematizzati? Certe donne-fiore, donne-foglia, animali e umani secondo un gioco di rimandi che richiama la fisiognomica: uominigatto, cavallo, scimmia... nascono da un gesto, dalla rapida continuità d’una curva, d’una ellisse, d’una spirale, da uno o più lobi, da una linea improvvisamente spezzata, da una freccia, dall’irraggiarsi d’un punto, dal molteplicarsi di esplosioni...; ma potrebbe essere l’esigenza di una testimonianza e addirittura d’un racconto a inventare percorsi e ritmi inusuali. Luis, che vanta di non scrivere neanche una cartolina e liquida i pittori-letterati, è lui per primo ad informarci con elenco abbastanza preciso quali siano le sue letture: il teatro espressionista tedesco, Pirandello, Marinetti, i francesi,

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Majakowski il russo. I «francesi», subito dopo Marinetti è probabile siano proprio quelli che Marinetti s’impegnava a diffondere anche con traduzioni apprezzabili: da Baudelaire a Mallarmé, da Lautreamont ad Apollinaire. Le letture,

Le modelle – 1948 – 38x50 – tempera su carta


Donna che fuma – 1949 – 40x50 – china su carta

come viaggio dell’immaginazione, sostituiscono il trasloco fisico, e specialmente il confronto immediato e vincolante con l’immagine modello, che nei musei «fa venire il capogiro» e nell’attualità diventa dirompente («tutto così vivo, esplosivo»). Come se il lungo periodo d’incubazione fosse dedicato alla decifrazione della cultura autre europea, al di fuori di una specializzazione tecnica, tanto meno stilistica, come se l’importante fosse mettere insieme il più vasto repertorio di possibilità espressive, fino a meritare il virtuosismo. Allora la pittura sarebbe il luogo dove esemplarmente il corpo, occhio rapace e mano fatta, bella, ma tutto il sistema muscolare e nervoso troverebbero modo di esplicare le proprie facoltà visionarie, di soddisfare il proprio erotismo, attraverso l’estetico raggiungendo l’estatico, cioè la dimensione del puro gioco espressivo, in cui la rappresentazione della tradizione classica cede alla scrittura: lo scarabocchio come traccia del corpo, il geroglifico come cifra, l’arabesco come sintesi superdecorativa. Qui si manifesta la tradizione veneta: e penso ovviamente al «praticon de mano» Tintoretto e ai padri e nipoti fra Cinque e Settecento, anche schiavoni e greci, non raramente déracinés, per necessità e scelta, fortunati o sfortunati come conviene. Il disegno è, per costoro, insieme il segno di un esasperato esistenzialismo, e la via più efficace per conservare, eventualmente sotto mentite spoglie, una linea orientale, metafisica: maniera come metafisica della mano, o maniera come puro virtuosismo (la mano, attraverso la ripetizione, cerca di liquidare ogni incertezza e pesantezza, per raggiungere l’esito che non appartenga più alla mano bensì alla Mano, quella «voluttà che è liberazione dal dolore»). L’esito non appartiene al sentimento, nel senso di partico-

Ritratto di ragazza – 1953 – 44x50 – China su carta

lare stato emotivo, ma illustra una condizione di tensione superindividuale, di cui la mano si fa ispirata interprete.

Autoritratto seduto – 1936 – 60x100 – olio su tavola

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Cavallo con fantino – 1936 – 32x45 – tempera su carta

Fantasia di Ascari – 1938 – 38,2x48,5 – olio su cartone

«Quando l’estro … la foia della pittura lo prendeva, si rintanava come un animale e scaricava sulla carta un magma di incubi e d’inchiostri. Lavorava quasi sempre di notte... Arrivava all’alba estenuato, incerto, insoddisfatto, pestando mucchi di cicche e di fogli sui quali aveva cercato di liberarsi delle escrescenze dell’immaginazione trasformandole in un groviglio di arabeschi e di macchie... I suoi risultati migliori sono sempre approssimativi e si trovano al capo di una serie incompiuta, troncata dalla stanchezza» (registra l’amico Velso). Il buio è il luogo dei visionari: per esempio, quell’altro sradicato tra Candia e Venezia, Roma e Toledo, sospeso tra maniera e manierismo, calligrafia autografia e crittografia; mistico sontuoso, stranito dandy; evocatore (dis)incantato di spiriti cangianti che solo ali troppo grandi riescono a sostenere. E poi: quella curiosa faccenda ebbe a che fare con la guerra, seconda e totale. Naturalmente la guerra ci fu per tutti, per tutti un disastro e una deriva: ma alcuni ne uscirono ricominciando proprio là dove avevano lasciato, come se fosse stata una pausa appena, un intervallo, un sonno, una malattia; altri approfittarono del trauma generale per dissimulare le difficoltà proprie e mutare rotta; altri ancora uscirono come storditi nemmeno si capisce se più dalla guerra o dal dopo, altrettanto aggressivo che la distruzione; altri, senza più desideri, proseguirono per forza d’inerzia; altri si tapparono nella loro casa senza uscirne più; altri non riuscirono più a rientrarci e diventarono nomadi definitivamente. La guerra, Luis cercò di eluderla, in fin dei conti la sua l’aveva già fatta tanto tempo prima. Ma la guerra lo scovò nel suo buco, così piccolo e dissimulato in una selva di simili da non sembrar possibile, e sotto forma di spezzone incendiario bruciò tutto il patrimonio di memorie oggettive che in trenta o quarant’anni aveva accumulato (fu l’unica volta

che la «fortuna» estrasse il suo numero). Tutto in fumo. E, come non bastasse, gli mancò d’improvviso il tepore rassicurante della sua donna. Per un momento restò annichilito. Ma poi lo prese una incredibile voglia di rivincita, si convinse che era proprio quel che gli serviva: non era ciò che cercava ogni notte dopo essersi stordito di giorno, perché il prima non lo potesse condizionare o anche solo disturbare proponendogli una continuità, una coerenza? Aveva proprio bisogno di quel tremendo evento che definitivamente distruggesse il suo passato, che ogni volta gli sussurrava come dovesse proseguire. Ecco, questa volta sì, il viaggio, il suo viaggio non sarebbe stato condizionato e inesorabilmente ricondotto alla partenza. Non c’era più nulla che lo trattenesse, che lo ancorasse, dopo l’invasione di tanto assurdo.

Battaglia di cavalli e testa decollata – 1946 – 50x37 tempera su carta


Anzi, no. La memoria non era cessata, ma lo proiettava oltre la frattura, la morte. Era come se stesse vivendo una seconda vita dal principio, ma ad un tempo sapendo l’altra vita, con una consapevolezza in più, la sicurezza che gli veniva dal poter ricalcare il già fatto e meglio, meglio perché tutto quel che faceva e avrebbe fatto non era generica sperimentazione, ma raddoppio consapevole di una esperienza, riconoscimento di una identità già provata, conferma di ciò che una prima volta era stato tentato, azzardato alla cieca. Nessuna ingenuità, oramai, o approssimazione. Tutto questo intuiva anzi lo sapeva per certo. Nemmeno, però, questa seconda vita sarebbe stata l’inutile ricalco della prima, perché solo ora lo accompagnava la consapevolezza, la oggettività, la scienza. Prima era stato solo un caso, retto e diretto dalla natura (maledetto istinto!) o da qualche demone (troppo sfuggente e remoto). Solo ora l’artificio era perfetto: poteva infatti guardare la «mano bella» che agiva, e viceversa la mano poteva ironizzare (interrogare) il cervello che progettava o intuiva. E tutto poi galleggiava «allegramente» nell’assurdo. Certo che ora ‒ tanto meglio ‒ la pittura no fa paura, ma è anche vero ch’essa riesce a penetrare dove nient’altro saprebbe e rivelare con tremenda leggerezza l’assurdo della vita. La mano più agile e veloce che mai perché già disposta e addestrata, il cervello o quale altra parte già pronti. L’erranza non avrebbe più conosciuto errore. Così pensò per un attimo, poi si accorse che la natura, come una pianta rampicante ricresceva sulle strutture architettate, e che lo spirito trovava comunque spazi di sorpresa e d’avventura. Ma tant’è. Gli bastava sapere che l’altro gli apparteneva intimamente, era lui stesso nell’altra vita. Il pittore era sicuro, adesso, che i frammenti che continuava a spurgare si sarebbero depositati sulla falsariga di un mosaico già disposto, perché l’altra vita di cui aveva memoria glielo assicurava. Quando anche fosse stato un inganno, una illusione, funzionava, poteva crederlo senza vergognarsene, non foss’altro perché lo stesso alibi aveva

Giocoliere – 1939 – 74x99 – olio e tempera su carta

funzionato in grande: ci si era costruito addosso, addirittura, la storia dell’occidente, divisa in due tranches, l’antico e il moderno, in mezzo un gran valico o snodo o trauma. Una storia possibile, non l’unica, naturalmente. Pino Mantovani

Il carretto delle angurie – 1946 – 70x50 – chine colorate su carta

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Centro Culturale Ariele

Esposizione d’Arte Contemporanea

Christmas Art Expo 2017 Le opere presentate nella mostra ci accompagnano in un mondo frammentato ma significativo, in una sorta di immersione riflessiva all’interno dell’arte occidentale attuale. Questa rassegna di arte visiva, in particolare di pittura e scultura a tema libero, è una piccola frazione dello scenario in cui muovono i loro passi gli artisti di oggi: partono da lontano, ricercano vivendo la complessità contemporanea e interrogandosi con lo sguardo rivolto all’ignoto. Occorrono coraggio e una potente motivazione per affrontare questa sfida. Senza reali capacità di mestiere e senza

Corrado Alderucci

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Mauro Azzarita

addentrarsi con un “affondo” nelle radici della nostra storia, non sarebbe possibile per l’artista stesso comprendere i passaggi da cui traggono forza la propria espressività, le emozioni e il pensiero che egli prova su di sè e comunica. Dopotutto, anche se in condizioni difficili, esiste ancora il bisogno di bellezza, trasfigurato o pure sfigurato ma intenso, come aura di un umano desiderio. Parole inserite nelle visioni dipinte, materia e segni, appartengono agli artisti odierni: essi hanno occhi e menti spalancati sulle scoperte, sulle fragilità e sulle violenze di ieri e di oggi che, insieme, costituiscono gli snodi della storia.

Chiara Arcidiacono

Anna Azzalini

Giorgio Billia


L’artista inizia ad incrinare i valori dell’ umanesimo rinascimentale a partire dal manierismo e via via la centralità assoluta dell’uomo viene sostituita da un progressivo affermarsi delle manifestazioni della sua interiorità, dallo spostamento del paesaggio e degli oggetti dallo sfondo al primo piano, fino all’eclissarsi dell’intera immagine. Affianca questo processo di scomparsa dell’immagine il ritorno ad un figurativo mutato in un reciproco intreccio incredibile. Il mondo classico è rivisitato, scomposto, ricomposto, reso irriconoscibile; alle spalle abbiamo infatti le molteplici chiavi offerte dal tormentato secolo breve, dove le ricerche delle avanguardie si contaminano. L’artista, che sembrava voler sparire tra le pieghe più nascoste della sua identità, continua a riproporre e a dare senso alla storia. Il criterio che guida la selezione espositiva dei lavori è pertanto la qualità sia per quanto riguarda la professionalità degli artisti sia per quanto concerne le specifiche cifre stilistiche e poetiche. Si trovano liberamente in dialogo opere non figurative con quelle della nuova figurazione, tecniche sperimentali coniugate con quelle più tradizionnali, dando spazio ad ogni forma di immaginario contemporaneo. Giovanna Arancio

Mariella Bogliacino

Franco Bolzoni

Enzo Briscese

Saverio Cappiello

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Mirella Caruso

Lorenzo Curioni

Giuseppe D’Antonio

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Discepolo Girardi

Francesco Di Martino

Aldo Pietro Ferrari

Elisa Filomena


Domenico Lasala

Elisa Fuksa Anselme

Clara Mastrangelo

Maria Halip

Livio Lovisone

Guido Mannini

Anna Maria Moretto

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Sarka MrazovĂ

Laura Marello

Petra Probst

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Raffaella Pasquali

Angela Policastro

Anna Maria Russo

Umberto Salmeri


Carla Silvi

Renzo Sbolci

Gianna Tibaldi

Tomatis Elsabetta

Magda Tardon

Giovanni Borgarello

Roberto Vione

Tinacci Giacomo

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Wally Waser

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Ermanno Barovero

Italo Zopolo


LUCIO FONTANA E L’ANNULLAMENTO DELLA PITTURA DAL GRUPPO ZERO ALL’ARTE ANALITICA a Cherasco (Cuneo) Associazione Cherasco Eventi

curata da Cinzia Tesio con la collaborazione di Riccardo Gattolin e la direzione tecnica di Maurizio Colombo.

Lucio Fontana

Cherasco dedica un’importante mostra a Lucio Fontana, celebre a livello mondiale per i suoi “Tagli” e per i “Concetti spaziali”. L’artista, si allontanò dalla tradizione pittorica precedente attraverso scelte totalmente nuove, quali l’uso del monocromo e di materiali come vetro, plexiglass e acciaio scelti per esaltare la luce, il movimento e il cambiamento nel concetto di spazio. Agli oltre venti capolavori di Fontana in esposizione si affiancano altre ottanta opere circa di più di cinquanta artisti che permettono di documentare, per la prima volta in Piemonte, la straordinaria avventura artistica del Gruppo Zero, movimento nato in Germania alla fine degli anni Cinquanta del Novecento e poi diffusosi in tutto il mondo nel segno di una rottura definitiva con i dogmi della pittura, alla ricerca di una nuova libertà creativa, un “ripartire da zero” che diede vita ad una nuova poetica orientata alla libera creatività e con molti punti di contatto con l’elettromeccanica, la cinetica, l’elettromagnetismo alla quale si ispirarono numerosi artisti quali gli aderenti al Gruppo Gutai giapponese, gli esponenti del Gruppo N, del Gruppo T, del Grav, del Nouveau Realisme, di Azimuth e infine dell’arte analitica e concettuale. Le opere esposte, provenienti da collezioni private di tutto il Nord Italia e da gallerie di respiro internazionale, consentiranno di rivivere il clima di ricerca artistica che pervase quegli anni e di coglierne in modo naturale gli assunti teorici, anche grazie ad una ricca documentazione. Chiude il percorso di questa grande mostra una sezione dedicata agli esiti più recenti della “Pittura non pittura”, quasi fino al contemporaneo. L’esposizione, promossa da Regione Piemonte, Città di

Cherasco e Associazione Cherasco Eventi, è curata da Cinzia Tesio con la collaborazione di Riccardo Gattolin e la direzione tecnica di Maurizio Colombo.

Agostino Bonalumi

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eventi Lombardia

Il Segno del ‘900. Da Cezanne a Picasso, da Kandinskij a Fontana. Opere grafiche

Museo MUST - Vimercate - Milano Dal 16 dicembre 2017 all’11 marzo 2018 il Museo MUST di Vimercate ospita una nuova grande mostra con 85 opere grafiche dei più importanti artisti europei dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra. La mostra, a cura di Simona Bartolena, ripercorre la scena artistica europea dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra, e dimostra, attraverso i fogli di alcuni dei più celebri artisti del tempo, l’importanza della stampa d’arte come mezzo espressivo autonomo. In Italia è purtroppo ancora molto diffuso il luogo comune che considera l’incisione una forma d’arte inferiore rispetto a pittura e scultura. L’esposizione racconta come, al contrario, molti grandi artisti del Novecento abbiano considerato la stampa come uno strumento prezioso nella loro ricerca, affidando proprio al foglio stampato le sperimentazioni tecniche più ardite e importanti passaggi stilistici. Un viaggio ricco di suggestioni e spunti di riflessione nella grafica d’artista dell’età contemporanea. Il percorso inizia simbolicamente alla fine dell’Ottocento, con l’opera di personaggi chiave per gli sviluppi dell’arte nei decenni successivi – su tutti Paul Cézanne e gli artisti della stagione Simbolista – per proseguire poi tra i vari movimenti d’avanguardia e i loro principali interpreti:

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da Picasso e Matisse, da Pechstein a Dix, da Kandinskij a Klee, da Miró a Giacometti, da Hartung a Dubuffet, da Vedova a Fontana. La serie di opere offre così, al contempo, un’occasione per ripercorrere la storia dell’arte europea della prima metà del Novecento e un’opportunità di scoperta e approfondimento di un ambito in Italia purtroppo ancora davvero poco frequentato. INAUGURAZIONE: sabato 16 dicembre ore 17 Orario: mercoledì e giovedì 10-13; venerdì, sabato e domenica 10-13 e 15-19 APERTURE STRAORDINARIE: 8/12 e 6/1 (ore 10-13 e 15-19); 24 e 31/12 (ore 10-13 e 15-18); 26/12 (ore 1519). Chiusure: 25/12 e 1/1 CURATORI: Simona Bartolena ENTI PROMOTORI: • Città di Vimercate • MUST - Museo del Territorio telefono per informazioni: +39 039 6659488 e-mail info: info@museomust.it sito ufficiale: http://www.museomust.it/


L’ULTIMO CARAVAGGIO. EREDI E NUOVI MAESTRI Dal 30 Novembre 2017 al 08 Aprile 2018 Gallerie d’Italia Milano enti promotori: Con il patrocinio del Comune di Milano e del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. L’ultimo Caravaggio. Eredi e nuovi maestri è il titolo della mostra che Intesa Sanpaolo realizzerà nel proprio museo in Piazza Scala a Milano dal 30 novembre 2017 all’8 aprile 2018. Il percorso si svilupperà attorno al capolavoro del Merisi, il Martirio di sant’Orsola dalle collezioni della Banca, rientrato da Palazzo Reale alle Gallerie d’Italia. Il cuore dell’esposizione sarà il confronto tra l’ultimo dipinto eseguito da Caravaggio a Napoli poco prima della sua morte nel 1610 e la tela realizzata da Bernardo Strozzi negli anni della sua prima maturità (1615-1618).

Con oltre 50 opere di seguaci di Caravaggio, come Battistello Caracciolo e Ribera, Rubens, Van Dyck, Procaccini e Strozzi, la mostra rievocherà le principali vicende artistiche di tre città italiane: Napoli, Genova e Milano. In mostra l’Ultima Cena di Giulio Cesare Procaccini, tela di 40 metri quadrati eseguita per la chiesa della Santissima Annunziata del Vastato di Genova e che è stata oggetto di un lungo lavoro di restauro presso il Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale“.

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Lucio Fontana

Ambienti/Environments Pirelli Hangar Bicocca - Milano A cura di Marina Pugliese, Barbara Ferriani e Vicente Todolí 21 Settembre 2017 - 25 Febbraio 2018 In collaborazione con Fondazione Lucio Fontana

Ambienti/Environments” raccoglie nello spazio delle Navate per la prima volta nove Ambienti spaziali e due interventi ambientali, realizzati da Lucio Fontana tra il 1949 e il 1968 per gallerie e musei italiani e internazionali. Gli Ambienti spaziali, stanze e corridoi concepiti e progettati dall’artista a partire dalla fine degli anni ’40 e quasi sempre distrutti al termine dell’esposizione, sono le opere più sperimentali e meno note di Fontana, proprio per la loro natura effimera. Alcuni degli ambienti esposti sono stati ricostruiti per la prima volta dalla scomparsa dell’artista grazie allo studio e alle ricerche della storica dell’arte Marina Pugliese e della restauratrice Barbara Ferriani e al contributo della Fondazione Lucio Fontana. Il visitatore ha l’opportunità di osservare per la prima volta le opere meno conosciute di Fontana, e allo stesso tempo di coglierne la contemporaneità e la forza innovativa attraverso un allestimento inedito. Lucio Fontana è stato uno degli artisti italiani più influenti del XX secolo e fondatore dello Spazialismo, gruppo artistico nato in Italia alla fine degli anni ’40. Nel corso della sua carriera ha investigato i concetti di spazio e luce, il 23 vuoto e il cosmo e con il suo lavoro ha radicalmente trasformato la concezione tradizionale di pittura, scultura e spazio, superando la bidimensionalità della tela e anticipando diversi movimenti artistici degli anni

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Nicole Grammi

Nasco a Milano ed interpreto la luce, la terra e la porcellana attraverso lettere che compongono frasi, movimento e trasparenze che danno vita ad oggetti di senso compiuto. L’unione di questi elementi sono il filo conduttore del fare arte nel lessico della scultura unito ad una eccezionale conoscenza tecnica ceramica. Diploma di Maturità d’Arte applicata press l’Istituto Beato Angelico di Milano 2015 Esposizione per la Fondazione Garaventa ad “Arte Genova” (Ge). 2015 Selezionata per la fiera internazionale della cerami ca di “Clay2day” di Lisserbroek (NL) 2015 Selezionata per la mostra d’arte collettiva presso la Provincia di Milano a Palazzo Isimbardi. 2015 Mostra Personale intitolata “I Sogni” in occasione del Fuori Salone del Mobile di Milano presso“AR3” 2015 Selezionata per la mostra d’arte collettiva “Il salto dell’acciuga” presso la Fortezza Priamar di Savona

2015 Selezionata per la mostra d’arte collettiva “Sculture della Terra” di Gualdo Tadino (Pg) 2015 Selezionata per la mostra d’arte collettiva “Sotto il Segno dei Pesci” di Ronco Biellese a cura di V. Sacco 2015 Selezionata per la fiera internazionale della ceramica della Fierucola in Piazza dell’Annunziata a Firenze (Fi) 2015 Selezionata per la mostra d’arte collettiva “Silent Night” di Torino a cura di V. Sacco 2015 Selezionata per la mostra d’arte collettiva presso il Castello di Nervi (Ge) 2015 Selezionata per la mostra d’arte collettiva organizzata dalla Fond. Garaventa alla Laterna di Genova (Ge) 2016 Esposizione per la Fondazione Garaventa ad “Arte Genova” (Ge) 2016 Selezionata per la mostra d’arte collettiva “Planetarium”, mostra di Scultura Ceramica Contemporanea in occasione dellaBiennaledella Ceramica di Faenza (Ra) 2016 Mostra personale “Riflessioni” presso il Castello di Nervi a Genova (Ge)


LIGURIA

I CAPOLAVORI DEL MUSEO PICASSO DI PARIGI

Dal 10 Novembre 2017 al 06 Maggio 2018 Palazzo Ducale di genova enti promotori: Comune di Genova - Regione Liguria Pablo Picasso può essere senza dubbio considerato l’artista che più ha segnato l’arte del Novecento, rivoluzionandone il metodo e i canoni estetici. La mostra presenta una selezione di opere provenienti dal Musèe Picasso di Parigi, suddivise in sezioni tematiche, che permettono di ripercorrere la straordinaria avventura artistica e umana di questo incredibile artista. Da quelle d’ispirazione africana dei primissimi anni del Novecento sino alle più mediterranee bagnanti e ai celebri ritratti di donna degli anni Trenta e Cinquanta: la mostra fa emergere la poetica di Picasso in tutta la sua travolgente bellezza. Si tratta in particolare di opere che Picasso ha sempre tenuto con sé nel corso degli anni come tracce evidenti del profondo legame arte-vita che lo ha contraddistinto. In esposizione anche numerose fotografie, che lo ritraggono accanto alle opere in quelle vere e proprie officine creative che furono i suoi diversi atélier, dagli esordi parigini del Bateau-Lavoir fino alle mas, le grandi case nella campagna provenzale in cui decise di trascorrere gli ultimi anni. Una mostra articolata che ci permette di scoprire il suo sguardo sulla realtà, passionale, mai banale, mai uguale a sé stesso.

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FRANCESCO DI MARTINO Salon du livre d’Hermillon 13 - 14 octobre 2018

Nato a Caltagirone, la Faenza della sicilia, frequenta l’istituto d’arte per la ceramica conseguendo il titolo di Maestro d’Arte. Trasferitosi a Torino si iscrive all’accademia Albertina e ottiene il diploma in discipline plastiche seguito dallo scultore artista Sandro Cerchi. Si impegna nell’insegnamento d attività artistiche nelle scuole dell’obbligo di 1° e di 2° grado. Da anni si dedica alla ceramica sonora. Ha partecipato a molte manifestazioni, mostre collettive e concorsi nazionali riportando lusinghieri successi. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, vive e lavora a Torino dove tiene corsi di ceramica Le figure

geometriche piane e solide sono le forme più semplici e facilmente leggibili da tutti, piccoli e grandi. L’autore ha utilizzato queste forme per realizzare delle immagini altrettanto comprensibili: il toro, il cavallo, l’elefante, etc. Ciò è stato possibile mediante una particolare ricerca e approfondito studio di “manipolazione intellettiva” delle forme geometriche con lo scopo finale di ricavare delle sculture sonore. Infatti tutti gli elaborati sono oggetti in ceramica con un denominatore comune: soffiando in una parte ben definita emettono un suono.

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LE TRAME DI GIORGIONE Dal 27 Ottobre 2017 al 04 Marzo 2018 CASTELFRANCO VENETO | TREVISO - Museo Casa Giorgione e altre sedi Mostra Curata da Danila Dal Pos Si muove nel doppio binario della storia dell’arte e della storia del tessuto, a comporre una originale storia del costume. Una delle chiavi di lettura scelta dalla curatrice Dal Pos è quella allegorica, visione che consente anche di illuminare diversamente l’opera e la figura del Giorgione. Molti i nuclei sui quali la studiosa si misura in questa mostra. Nella raffigurazione della “Madonna e Santi” nulla è “solo” quello che sembra. Nemmeno i 5 magnifici, diversi tessuti che l’artista vi raffigura con assoluta precisione. Secondo la curatrice essi veicolano un preciso messaggio

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diretto al Senato Veneziano, molto attento alle vicende dell’Isola di Cipro, cui la Pala rinvia in ragione del suo committente, il nobile Costanzo, uomo di stirpe reale. E le trame, intese come tessuti, sono quelle indossate dagli uomini e dalle donne in mostra, personalità ritratte dai grandi artisti cinquecenteschi di area veneta. A ritrarre questa schiera di personaggi sono artisti come Giovanni Bonconsiglio, Pier Maria Pennacchi, Vincenzo Catena, Francesco Bissolo, lo stesso Giorgione, Giovanni Cariani, Tiziano Vecellio, Lorenzo Lotto, Andrea Previstali, Bartolomeo Veneto, Bernardo Licinio, Domenico Capriolo,


Jacopo Bassano e Paolo Veronese. Tutti indossano abiti realizzati con tessuti e complementi il cui costo era, per l’epoca, folle. Accanto ai ritratti, come in tutte le sezioni della mostra, preziosi esemplari di tessuti d’epoca. Anche nel nucleo successivo dedicato al Seicento, il lusso si pone come fattore di distinzione identitaria, quel lusso che consiste da sempre nell’impiego di materiali e di manifatture di grande pregio e di altissimo costo. L’ultimo nucleo a raccontare la storia della manifattura tessile veneziana, è quello dedicato al ‘700. Qui, ancora accanto ai ritratti, viene esibita la prestigiosa collezione tessile settecentesca del Duomo di Castelfranco, insieme

con abiti, corpetti, guanti e borsette dell’epoca, provenienti da Palazzo Mocenigo a Venezia. La commistione tra sacro e profano è più apparente che reale. Spesso infatti le sontuose vesti dismesse dalle grandi dame finivano con l’essere portate sull’altare sotto forma di piviali o pianete, intessute di fili di seta e oro. Usciti dal Museo, il percorso raggiunge i “luoghi di Giorgione” nell’antico centro cittadino: il Duomo, la Torre Civica, lo Studiolo di Vicolo dei Vetri, la Casa Costanzo, la Casa Barbarella. In queste suggestive ambientazioni il pubblico è invitato ad ammirare gli esiti attuali della grande tradizione veneziana della tessitura.

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eventi Emilia Romagna

DUCHAMP, MAGRITTE, DALI’ I Rivoluzionari del ‘900 capolavori dell’Israel Museum di Gerusalemme

16 OTTOBRE 2017 11 FEBBRAIO 2018

Dal 16 ottobre 2017 all’11 febbraio 2018, Palazzo Albergati di Bologna ospita una grande anteprima internazionale, una straordinaria mostra dedicata a quei nomi del mondo dell’arte che hanno rivoluzionato il Novecento. Circa duecento opere, tutte provenienti dall’Israel Museum di Gerusalemme. Duchamp, Magritte, Dalì, Ernst, Tanguy, Man Ray, Calder, Picabia e molti altri, tutti insieme per raccontare un perio-

do di creatività geniale e straordinaria. La determinazione a rivoluzionare l’arte, a rompere col passato e inventare un mondo nuovo, è raccontata con grande ricchezza narrativa nella mostra attraverso le cinque sezioni tematiche: Accostamenti Sorprendenti; Automatismo e Subconscio; Biomorfismo e Metamorfismo; Il Desiderio, La Musa, La Violenza; e Il Paesaggio Onirico.

André Masson - Goethe and the Metamorphosis of Plants, 1940 - Oil on canvas F. 99x142,3x5,2 cm

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Giorgio de Chirico - The Poetical Dreamer, ca. 1928 Oil on canvas, 36,5x27,8 cm F. 53x44,2x9 cm

Salvador Dalí - Surrealist Essay, 1934 Oil on canvas, 110x80 cm F. 125,2x95,5x7 cm

I dadaisti e i surrealisti sono stati nel mondo dell’arte dei veri innovatori. Oggi le loro tecniche artistiche e le loro istanze ideologiche e politiche sono quasi scontate. Ma sono stati questi artisti che più o meno un secolo fa, hanno creato accostamenti inaspettati, inventato l’automatismo, il ready made, il fotomontaggio, il biomorfismo, la metamorfosi e dipinto paesaggi onirici e del desiderio. I dadaisti nacquero da una rivolta e per un bisogno di indipendenza e di eversione; i surrealisti non separavano l’arte dalla vita e volevano rifondare l’arte stessa. Entrambi segnarono un momento di netta cesura con tutta l’arte del passato. La mostra, curata da Adina Kamien-Kazhdan curator of Modern Art at The Israel Museum, presenta al pubblico numerosi capolavori, tra cui: Le Chateau de Pyrenees (1959) di Magritte, Surrealist Essay (1934) di Dalí, L.H.O.O.Q. (1919/1964) di Duchamp e Main Ray (1935) di Man Ray. L’allestimento è realizzato dal grande architetto Oscar Tusquets Blanca, che in omaggio all’evento ha ricostruito a Palazzo Albergati la celeberrima sala di Mae West di Dalì e l’installazione 1,200 Sacks of Coal ideata da Duchamp per l’Exposition Internationale du Surréalisme del 1938. Con il patrocinio del Comune di Bologna e dell’Ambasciata di Israele, la mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con l’Israel Museum di Gerusalemme.

Marcel Duchamp - Young Man and Girl in Spring, 1911 Oil on canvas, 65,7x50,2 cm

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eventi Friuli Venezia Giulia

L’opinione

di Graziella Valeria Rota al PORTO VECCHIO - MAGAZZINO 26 dal 25 novembre 2017 a GENNAIO 2018. Biennale Internazionale Donna a Trieste Dedicata alle donne creative con le loro opere artistiche, artigianali, nonché per promuovere la loro impresa, e ulteriore occasione per evidenziare i talenti, la Biennale Internazionale Donna è incontro di culture dei vari paesi nel contesto speciale di archeologia industriale del Porto Vecchio di Trieste. Questo progetto vuole dare continuità alla Biennale Diffusa 2011 oltre alla massima divulgazione e visibilità delle espressività e delle molteplici capacità femminili. L’evento si articola in tre sezioni: Artigianato ed arti applicate:con riferimento storico alle scuole di arti

A. Caroli

B. Fornasir

A. Radetti

L. Pigo <Bio Box- contaminazioni>

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B. Rahmani <Flowers – anatomia floreale >

applicate femminili (K.K. Staats Gewerbe Schule) di Trieste e Zagabria. Arte visiva: tutte le espressioni artistiche comprese performances di musica, canto, poesia ecc.. Imprenditoria femminile locale. Le ideatrici e organizzatrici della Biennale, Antonella Caroli Italia Nostra, Barbara Fornasir Portoart, Alda Radetti P.O Comune, con le collaboratrici Ornella Urpis, Gabriella Taddeo, Svetlana Klincic, Chiara Motka, Seherzada Ahmetovic, Neva Gasparo e molte ancora.

O. Urpis

S. Taddeo

S. Klincich

Trieste capitale della scienza 2018 propone il riuso del Porto Vecchio di Trieste con magazzini e accosti per navi di dimensioni medio-grandi. Le donne hanno saputo mantenere in vita una sensibilità che rischiava di andare perduta e hanno tramandato alla nostra contemporaneità una nozione d’arte che si riporta alle botteghe di antica memoria. Confinate in spazi privati, sono riuscite a rendere metaforico o metanarrativo, proprio il discorso con cui tutti comunicano: il filo (della logica, del racconto) la trama o l’ordito (del romanzo) la stoffa (cioè l’abilità), elementi che tutti insieme formano per l’appunto il textum, anche narrativo, letterario, pittorico o altro che sia. La manualità va dunque ricollocata al centro di una riflessione anche poetica ome proponeva il movimento Arts and Crafts cui si ispiravano i teorici della Bauhaus. Prof. Cristina Benussi.- Questa mostra fa riflettere sulla modernità dell’estetica femminile e l’artigianato che produce tanti oggetti che accostando tra loro materiali e tecniche diverse, contaminano i rispettivi linguaggi, rivelando una ricchezza insperata. CATALOGO a cura di Antonella Caroli e Neva Gasparro associazione.portoarte@gmail.com


Sanja Saso >Blue cave>

G.V. Rota <Abissi della mente>

A. Penič <Morte dell’utopia >

E. Bacci ciclo <Fratture>

B. Romani < Primavera- rinascita>

S. Wehrenfenning <Bauhaus>

L. Flego <Kiss me again>

F. Dionis < Parole…sul filo>

E. Costantini <Spazi ritrovati –ass. Fotografare donna>

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eventi Toscana

Da Park Eun Sun a Roberto Barni, da Giuseppe Bartolozzi e Clara Tesi “Nel segno di Michelangelo” e altro ancora. di Lodovico Gierut

Un'opera di Roberto Barni posizionata a Pietrasanta, piazza del Duomo

Puntando perentoriamente l’attenzione solo su alcuni tratti dell’arte in Toscana – ovviamente per comprensibili motivi di spazio – forse ci ripetiamo, ma la zona apuo-versiliese e sue diramazioni è sicuramente una grande realtà, con Pietrasanta che è sempre agli onori della cronaca per mostre d’ogni tipo, per non parlare del Parco della Scultura Contemporanea (Fernando Botero, Igor Mitoraj, Romano Cosci, Franco Miozzo e decine d’altri) posizionate nell’intero territorio. Non entriamo in merito alla qualità di tali opere di arredo urbano – anche se nel corso degli anni ne abbiamo ampiamente scritto, veramente levata – pur se ‘l’ultima nata’, di Emanuele Giannelli, collocata nei pressi della frazione Vallecchia, assolutamente non è di nostro gusto. Prima di andare oltre è opportuno segnalare due ottimi artisti che la Rivista 20 ha citato in passato, Giuseppe Bartolozzi e Clara Tesi (lavorano a quattro mani), dato che a Pistoia, dove sono nati, anche se vivono nei pressi di Massa, hanno messo in essere qualche mese fa una propria Fondazione al Pallavicini Center: il Comune ha dedicato loro una grande personale a Palazzo Giani, dove si conservano opere di Marino Marini: “La Luce del tempo – Il tempo della luce”.

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Lo scultore Park Eun Sun

Danilo Fusi, Il tormento e l'estasi, acquerello e pastelli su carta Magnani cm 76x56, 2017


Paolo Lazzerini, L'arcobaleno sulla Versilia dopo la tempesta, acquerello su carta Magnani cm 63x48, 2017

Un altro punto d’incontro assai attuale e attivo è poi la sede Francesco Nesi, Speranza, t. m. su carta Magnani cm 76x56, del Comune di Montignoso, che ha una bella collezione in 2017 via di espansione qualitativa, con dipinti di Elio De Luca, Vidà, Francesco Nesi, Danilo Fusi... i quali hanno già aderito ad una Collettiva di cui si sentirà parlare nel 2018 “Omaggio alla Madonna del Sole” (è la patrona di Pietrasanta), assieme ad altri, tipo Paolo Lazzerini, Giuseppe Lippi, Paolo Grigò, Tito Mucci, Annamaria Maremmi e altri. Sempre a Pietrasanta, dopo le marmoree opere di Park Eun Sun, che però ne ha attualmente una, monumentale, davanti al pontile in località Tonfano, sino a quasi tutto il mese di febbraio è protagonista il toscano Roberto Barni, soprattutto con bronzi. Tra le novità nascenti nella zona, più che altro a Pietrasanta, Stazzema, Seravezza, ma il progetto si va ampliando settimana dopo settimana, eccoci a quello che definiamo ‘L’anno di Michelangelo”, visto che il 2018 sigla i cinquecento anni dalla firma del Genio di vari contratti per l’estrazione del marmo in Alta Versilia (prese, però, solo marmo per uso architettonico, ma con la strada che aprì nel Comprensorio del monte Altissimo, in un certa senso nacque l’industria lapidea locale. Ci saranno alcune mostre legate al progetto “Nel segno di Michelangelo” che ci coinvolgono direttamente: una sarà inaugurata a Maggio presso il Chiostro di Sant’Agostino nel corso di “Pietrasanta Film Festival” (con Alain Bonnefoit, Anna Chromy, Giovanni Maranghi, Maria Gamundì, Fabio Calvetti... A Sillico di Pieve Fosciana, poi, è particolarmente attivo il locale Museo garfagnino (la sede è all’interno di Palazzo Carli), ricco di disegni e dipinti e sculture, con preparazione estiva di un omaggio al compositore lucchese Giacomo Puccini, e ad alcune personali titolate ‘Arte al Plurale’ di artisti come Franco Pegonzi, Riccardo Benvenuti, Tito Mucci, Paolo Grigò, La Madonna del Sole. La storia, t. m. su carta Gabriele Vicari e altri. Magnani cm 63,4x48,2, 2017

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ALBINO CARAMAZZA Salon du livre d’Hermillon 13 - 14 octobre 2018

Le grand canal (Manet) - collage di bustine di zucchero originali - 2014 - cm 70 x 50

“I’mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e quel modo ch’e ditta dentro vo significando”. “O frate, issa vegg’io” diss’elli, “il nodo che ‘l Notaro e Guittone a me ritenne di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!”

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tà, stiamo tentando, noi, amatori dell’arte, di ripristinare nel senso della bellezza. E Caramazza, a suo modo, ci è riuscito. Riprende opere celebri del passato realizzate da artisti assoluti come Picasso, Botero, Warhol, Lempicka e le rilegge assemblando bustine di zucchero secondo un processo evolutivo che parte dal fondo della tela sino a prospetticamente risulta in primo piano. Una sorta di ricerca tridimensionale che riporta in vita icone della cultura contemporanea secondo una dialettica pop che consente al fruitore di riconoscere nell’immediato e di prenderne successivamente le distanze da ciò che in principio lo aveva colpito. A questo punto scatta lo straniamento: momento sublime di riflessione che porta chiunque a riflettere sul senso stesso dell’arte e delle proprie emozioni messe in gioco dalla ratio. Un linguaggio semplice e vibrante, appunto, che fino al 29 maggio sarà possibile ammirare, presso lo Studio Laboratorio di Anna Virando, attenta osservatrice di questi talenti contemporanei che segnano, con il loro passaggio, il solco per l’arte di domani. Andrea Domenico Taricco Lo scultore (Picasso) collage di bustine di zucchero originali - 2012 - cm 60 x 80

L’avvocato A. collage di bustine di zucchero originali - 2013 - cm 40 x 50

Tratta dai versi del XXIV Canto del Purgatorio, Dante mette in bocca al rimatore guittoniamo Bonagiunta Orbicciani l’espressione dolce stil novo, divenuto poi un movimento poetico che aveva come obiettivo fondamentale l’amore, incarnata dalla figura femminile angelicata, esaltata da uno stile semplice e vibrante. Questo più di ottocento anni fa ed in ambito letterario. Del tutto diversa è il senso dell’espressione dantesca, da me riutilizzata, per introdurre l’artista Albino Caramazza, il quale utilizzando bustine di zucchero trovate in giro, genera opere pittoriche. La lezione assemblativa dettata dai maestri del Novecento, è radicata in lui come base strutturale d’un linguaggio portato avanti con dovizia e rigore ideologico. Partendo, infatti, dai cubisti, alle rivisitazioni Dada, sino alle riletture del Nouveau Réalisme in Francia o del New Dada negli Stati Uniti, per non parlare dei risultati manzoniani in Italia, il fatto di amalgamare elementi diversi da ciò che è immediatamente Arte, con la A maiuscola, è stata una loro prerogativa, limitandosi però ad originare quella concettualità ancora vigente e dalla quale, con molta difficol-


GIULIA MUGIANESI

Marche

Metamorforsi di coscienza - olio su tela - cm 96 x 195 - 2013

Nata a Chiaravalle (AN) nel 1984. Nel 2007 si laurea in Psicologia, dedicandosi al disegno e alla pittura da autodidatta. Nella prima fase pittorica si è interessata alla complessità psicologica dei ritratti e fà del simbolo, del mito e dell’individuo, nelle sue ragioni psichiche e collettive, il nodo della sua ricerca. Dipinge esclusivamente ad olio ed ha studiato le tecniche pittoriche e la raffigurazione del Cinque-Seicento. Si è ispirata a simbolisti come Franz Von Stuck, agli espressionisti ed ai grandi maestri come Rembrandt e Caravaggio per l’uso della luce. Ha utilizzato il mito e il simbolo per indagare l’inconscio personale oltre che collettivo ed ultimamente ha ripreso a lavorare sull’identità e sulla duplicità dell’a-

nimo umano che esercita su di sè fascino ed inquietudine. Nella ricerca della tecnica pittorica stà lavorando per far coesistere le tecniche antiche con uno stile più immediato e contemporaneo. E’ stata selezionata al Premio Centro V Esposizione Nazionale delle Arti Contemporanee (Soriano Nel Cimino, Roma) ed ha esposto allo SpoletoFestivalArt (Spoleto), ai Musei Scientifici di Villa Vitali (Fermo), SATURATE 2014 (Genova), all’HemingwayCafè (Jesi), alla Galleria Collection(Ancona), alla Galleria Merlino (Firenze) e alla Galleria Serafini (Montesilvano) e in numerose collettive e mostre personali. Molte sue opere si trovano in Europa e in diverse collezioni private.

Basiliscus - olio su tela - cm 120 x 100 cm - 2013

Donum - olio su tela - cm 60X80 x 2,5 - 2017

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eventi Molise

(S)CONFINI. IMPRESSIONI DAL MARGINE Espongono: Michele Peri | Valentino Robbio | AntonioTramontano Dall’8 dicembre 2017 al 06 gennaio 2018 Spazio Cent8anta-Galleria d’arte, cultura e società Corso Marcelli 180 Isernia

Le eterogenee ricerche dei tre artisti molisani, Peri, Robbio e Tramontano, tra pittura, installazione e fotografia, indagano la dimensione virtuale del margine inteso quale luogo vitale della forma. La costruzione del senso che avviene sul limite di questo confine indefinito comporta un perenne scarto tra visibile e velato, ovvero un senso precario della presenza. La chiusura (incondizionata) dei confini dell’opera d’arte subisce piccole crisi che si svolgono sui margini della rappresentazione. Se limite della forma e limite dello spazio costituiscono il limite dell’opera, ovvero il confine entro il quale si definisce l’oggettoidea, l’opposizione al margine, inteso anche come frontiera estetica, determina una sorta di lavoro sul continuum(tempo/spazio/memoria). I concetti di transitività e riflessività sono indagati in relazione alla rappresentazione la quale, quando mostra la propria struttura e sutura, rende palese e vitale la condizione di confine.La collettiva è un invito pertanto alla contemplazione dell’inutile, dello (s)confine, della materia che si fa ricordo e corrode lo spazio dello spettacolo attraverso l’indagine scomposta della fine. Nelle opere assistiamo così ad un’interruzione, allo scorrere di ambienti fuori controllo che imitano fughe e ritorni, ad una celata tensione del creare, un cambio di prospettive, uno scioperìo. La collettiva è il tentativo del territorio di ripensare all’idea di gruppo e di ricerca condivisa, ad una proposta coerente capace di dialogare fuori dai limiti regionali, è la poesia del luogo che si fa canto nel raccontarci attraverso spazi e segni liminari un’idea di rifugio e di eco, una dimensione parallela e continua ancorata ai margini del segno.

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Tommaso Evangelista


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ENZO BRISCESE - 2006/2008 Salon du livre d’Hermillon 13 - 14 octobre 2018

Torino Olimpica - 2006

La poetica di Briscese affronta i temi legati al paesaggio urbano in cui vive, al suo studio inteso come fertile luogo di lavoro, più raramente a qualche personaggio capace di evocare forti suggestioni. E’ infatti l’emozione con le sue diverse sfaccettature, positive o negative a seconda dei casi, a costituire il fulcro del dipingere. Le sensazioni catturano, interpretano e guidano il racconto visivo, lasciando sulle tele frammenti di ricordi, sovente autentici mosaici nati e fermati all’interno di quel continuo scorrere delle storie in cui l’artista è coinvolto. Egli non intende quindi restituire un’immagine fotografica del soggetto prescelto bensì consegnare una fisicità percepita come struttura dinamica, filmica, vissuta come un insieme espressivo in successione.

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fabbrica dismessa 04 - 2006

Periferia urbana - 2006

Il pittore opera dentro questo “contenitore” cittadino e decifra, nel suo particolare linguaggio di astrazione, il volto delle periferie, in special modo delle fabbriche dismesse che appaiono come mute testimonianze di una Torino che “non c’è più”. Sono edifici divenuti angoli abbandonati, mura in rovina, che il pennello rileva e nel contempo è costretto a cancellare lambendo la visione con il bianco, il colore del “nulla” implacabile del tempo. è un lavorio da cui emerge un partecipe rimando ad un mondo che il presente mediatico lascia alle spalle ma ciò che affiora è anche una finestra impietosa da cui lo spettatore può sbirciare affacciandosi ora dall’interno ora dall’esterno. La tessitura cromatica della serie dei paesaggi evidenzia una tavolozza prevalentemente tenue che mostra la caratteristica gamma di grigi, di beige, di pastello, delle periferie e a volte le tinte scivolano verso il verde acqua oppure si rabbuiano all’improvviso. Nei lavori dedicati al tragico evento accaduto presso l’azienda torinese della Thyssenkrupp i colori si accendono di rossi lampi -lingue di fiamma, di sangue-, intensi fino alla brutalità, esternazioni di un sentimento struggente destinati via via a perdere virulenza accompagnando così il percorso dell’incendio che, infine domato, lascia spazio alla cenere, ad un grigio cupo che si riprende la scena. Questi quadri sono illuminazioni dell’immaginazione di cui l’autore si serve per comunicare il proprio pensiero sul sociale e sui suoi cambiamenti in atto; il movimento segnico scandaglia i tracciati del lungo viaggio nella realtà urbana. L’0cchio del pittore si consuma ad interrogare ogni forma, ogni colore, ogni vibrazione di luce che trasmutano nella composizione rigorosa e lo spazio e il tempo si intersecano, si richiamano, costruiscono le linee del narrare. Si tratta di un gesto essenziale che si oppone alla svalutazione della memoria, ingoiata dal processo di globalizzazione, e ciò che viene offerto allo sguardo di chi osserva è una sorta di spaesamento che accomuna fruitore ed artista, attoniti di fronte a questo effetto straniante.


fabbrica dismessa 15 - 2006

fabbrica dismessa 16 - 2006

Le chiavi di lettura stilistica della sua arte aprono verso scenari di ricerca, radicata in un solido retroterra classico ed aperta ad uno sperimentare fattivo e ricco di contaminazioni: in tal senso la sua vissuta astrazione fa parte di un cammino laborioso e sempre coerente tra i meandri di una difficile identità contemporanea. fabbrica dismessa 21 - 2006

incidente alla thyssenkrupp “9” Torino 2008

Fatti e fantasie finiscono con l’intrecciarsi sul supporto adibito come affabulatore visivo, in mezzo ad intensi e cupi paesaggi periferici in cui affiorano estese strisciate di bianco, simbolo del tempo che cancella ciò che è stato. Intorno al 2008 le tele vanno mutando con un conseguente trascolorare delle atmosfere e un lento spostamento tematico, sempre spalancato sul tragitto pulsante di viaggi e città. Si arricchisce il suo universo pittorico realizzando con pathos informale dipinti di solida bidimensionalità. Il bianco perde la sua funzione di simbolo temporale e accende i dipinti come luce con echi allusivi, ma del tutto contemporanei, al grande colorismo veneto. Si avvertono una dematerializzazione controllata, e sviluppa un processo di rimeditazione artistica e, in specifico, della sua poetica. Rimedita la situazione epocale dell’ arte sia quella

Periferia urbana - 2006

personale, gremita di dubbi e stimoli che lo inducono ad una nuova fase di rottura nella continuità. Si va dal figurativo alla Bonnard alle esperienze neocubiste e ai rimandi costruttivisti, dal passaggio all’informale all’astrazione cui segue l’ astrattismo, ed ora, nei lavori del 2013, si ravvisa pienamente avviata la reintroduzione della figurazione, anche il tempo, come lo spazio, ha sostituito le superate coordinate tenendo conto di questo primo quarto di millennio policentrico e frammentato Briscese vive il suo tempo senza subirlo pittoricamente sottraendosi alla percezione di un angoscioso appiattimento. Lo spazio pittorico, peraltro, controlla l’affastellarsi di tracce e figure mirando all’essenzialità verso cui il pensiero è proteso nel segno del divenire. Giovanna Arancio

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Umbria

MUSEO COLLEZIONE ALESSANDRO MARABOTTINI PALAZZO BALDESCHI, CORSO VANNUCCI, 66 – PERUGIA PERUGIA – Il 20 dicembre 2015 ha aperto al pubblico la Collezione Marabottini, importante lascito dello studioso e collezionista Alessandro Marabottini Marabotti (19262012), composta da circa settecento opere, tra dipinti, sculture, disegni, incisioni, miniature, cere, vetri, avori, porcellane ed arredi, compresi in prevalenza tra il XVI e il XX secolo ed allestita in permanenza su due piani di Palazzo Baldeschi in Perugia. Acquistate in prevalenza sul mercato dell’arte tra Roma e Firenze, ma anche in Inghilterra ed in Francia, queste opere, tranne un piccolo nucleo proveniente dalla famiglia del collezionista, mostrano il suo gusto e le sue scelte, attente più che al gran nome, alla qualità dei singoli pezzi ed alla loro aderenza ai filoni tematici a lui cari, come gli interni degli studi degli artisti, i ritratti, le marine e non ultima, la presenza degli amati cani che si affacciano tra cacce e scene di genere, compagni fedeli della figura umana. Alessandro Marabottini Marabotti, a lungo docente di Storia dell’Arte presso l’Università di Perugia, autore di numerosissimi scritti che spaziano dal medioevo al XIX secolo, ha infatti stabilito di lasciare la sua ricca raccolta d’arte alla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia per la fruizione da parte degli studenti dell’Ateneo perugino, affinché servisse da vera e propria “palestra” reale e non virtuale per gli studenti di storia dell’arte, che in tal modo possono avere un contatto diretto con la fisicità delle opere e con le materie di cui sono composte: un’apposita Sala di Studio permetterà infatti il contatto diretto tra le opere e gli studenti, sotto la supervisione di personale appositamente formato ed il consueto “vietato toccare” verrà una volta tanto tramutato in un “ invito a toccare”. A partire dal grande atrio d’accesso al secondo piano del palazzo, dove il visitatore è accolto, come in una casamuseo, dalla ricostruzione ideale di una dimora nobiliare – quale quella abitata dai Marabottini in Firenze – in cui dipinti seicenteschi di gran formato si affiancano a sculture barocche ed ad arredi neoclassici , la collezione si snoda poi lungo un percorso cronologico/tematico che presenta pittura di figura, di paesaggio e di genere del XVI e XVII secolo, alternata a pittura religiosa di formato devozionale ed a qualche rara scultura lignea: bamboccianti e pittori di battaglie si confrontano con nudi del mito classico e della pittura di storia, con allegorie alchemiche, i baccanali, le scene di martirio e d’estasi religiosa. L’attenzione del collezionista per le culture extraeuropee

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e la sua vasta esperienza di viaggiatore, abbinata alla sua affezione per oggetti inconsueti in materiali preziosi ma anche legati alla tradizione popolare hanno poi consentito di creare, ancora al secondo piano, una Wunderkammer – vera e propria stanza delle meraviglie – dove opere provenienti da Centro America, dal Sud Africa, dall’Estremo Oriente, sono contrapposte a manufatti della tradizione popolare religiosa italiana, mentre una vasta sezione di bronzi, avori, smalti, vetri policromi e strumenti astronomici, provenienti dalle diverse aree europee, formano il centro vero e proprio di questa inconsueta Wunderkammer, evidenziata da un allestimento scenografico – sorta di camera nera – che mette in risalto le particolari predilezioni del Collezionista.

Passando al piano inferiore, una serie di piccoli camerini offre la ricostruzione puntuale di alcuni degli ambienti abitati dal Collezionista in Palazzo Marabottini in Firenze, in prevalenza ambienti neoclassici, a cui si alternano, sempre disposte cronologicamente, opere sette e ottocentesche tematicamente esposte: paesaggi, marine, ritratti, dipinti che raffigurano l’interno degli studi degli artisti, sculture e porcellane, fino a terminare con un nucleo novecentesco di dipinti, tra cui gli olii di Piero Marabottini (1897-1973), medico e pittore, padre del Collezionista. Motivi di conservazione e di spazio non hanno consentito di esporre in permanenza la ricca Sezione di Grafica della Collezione Marabottini, composta da quasi trecento fogli, tra disegni e incisioni. Questi sono conservati in apposite cassettiere nella Sala di Studio al secondo piano, a disposizione di studenti e studiosi.


LORENZO CURIONI

Salon du livre d’Hermillon 13 - 14 octobre 2018

“E’ un mondo pittorico particolare quello di Lorenzo Curioni, una ricerca espressiva dove emozioni e aspirazioni si coniugano perfettamente. La sua è una pittura più emozionale che descrittiva, una tecnica forbita, una scrittura densa di significati, un’intonazione impostata su un registro lirico. Curioni non concede spazio alla retoNew York - 2005 - olio su tela - cm 100 x 85 rica, l’osservatore si sente coinvolto dai sentimenti profondi che l’artista vuole trasmetterci. Dalla sua pittura traspaiono vibrazioni romantiche che av- che focalizza le istanze spirituali, pervase spesso da sottili volgono il fruitore in un’atmosfera magica. inquietudini. La sua comunicatività e il suo entusiasmo sono avvincenti. Lorenzo Curioni è in possesso di un notevole bagaglio tecE’ sicuramente un pittore ispirato e ciò è più che eviden- nico culturale il quale gli permette di creare opere di ragte nelle sue opere, i colori corrispondono a precise scelte guardevole valore artistico. Sia le zone geometriche che le contenutistiche. Lorenzo Curioni ha elaborato un proprio sinuose linee fluide che compongono la superfice dell’olinguaggio espressivo, pieno di suggestive armonie, ten- pera, conferiscono una evidenza intuitiva allo spazio che denti a conseguire validi risultati estetici. Sa dare vivezza diviene esteso non solo in profondità ma anche verso un con pennellate fresche. Un impasto che nel segno di una fluido movimento che struttura l’immagine attraverso un figura umana o di un paesaggio, sintetizza il senso dell’os- sistema di piani cromatici. Curioni rifugge i compromessi servatore, dell’esplorazione profonda. Nelle sue opere c’è riuscendo così a raggiungere l’essenza di nuove energie l’ombra di un’indagine introspettiva con cui elabora i fer- espressive e possibilità stilistiche genuine e di alta qualità. menti esistenziali, avvalendosi di un intuito psicologico Roberto Puviani

Milano - 2011 - olio su tela - cm 150 x 120

Milano - 2005 - olio su tela - cm 100 x 85

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DOMENICO LASALA Salon du livre d’Hermillon 13 - 14 octobre 2018

“Pittura, scrivere la vita” (greco antico) Per Domenico Lasala la rilettura degli antichi classici e lo studio degli ulteriori passaggi artistici avvengono alla luce degli sviluppi internazionali contemporanei. Ne deriva un’interpretazione personale in cui le ambientazioni all’aperto e gli interni colpiscono per la loro essenzialità: i paesaggi rammentano vagamente il rigore dell’ultimo Carrà e le architetture urbane fanno penVola colomba - lio e acrilico su tela - 2009 - cm 90 x 70 sare alle solide costruzioni sironiane, ma il tutto si presenta come un fondale cristallizzato in una struttura arcaica da cui, da un momento all’altro, si possono dischiudere del- l’artista evoca, quasi fosse un magico antidoto, questo anle quinte teatrali. I personaggi, enigmatici alla stregua di tico e vitale collante sociale per farne dono ad un mondo quelli di Piero della Francesca e torniti secondo l’insegna- pervaso da un’anonima e drammatica frenesia. Quando si mento masaccesco, si inseriscono in una ritmica di incastri accenna alla musicalità antica come parte integrante del senza tradire emozioni, offrendosi come figure topiche, corredo sapienziale vanno sia ricordate le sue origini raspesso sotto le sembianze di musici e cantori. Non è da zionali che legano la bellezza con l’armonia, la misura , dimenticare che la musica nella trattatistica classica pos- l’equilibrio, la perfezione e l’ordine sia non possono essere sedeva uno spessore sapienziale in seguito smarrito e passate sotto silenzio le profonde radici del pathos che apporta all’insieme tono e vigore grazie alla forza espressiva e drammatica che lo costituisce. Intuire questo nesso che alimenta la cultura antica, animandola con una sua saggezza di verità vuol dire avvicinarsi alla comprensione della natura complessa che sostiene la potenza di quell’arcaica e vitalissima filosofia del bello. Le arti ne fanno parte esternandosi in una esperienza collettiva, al contempo ricca di contrasti ammessi e ricomposti, tragici e coreutici, intensi e catartici nello stesso tempo. La dismisura, anche il caos ha un suo senso, nella magia e nel mistero di un mondo di vibrante marca razionale, lontana da razionalismi e da languenti aridità semantiche e di sentimento. Di certo è facile cadere in ingenue nostalgie e mitizzazioni del passato. Così pure mi pare distruttivo abbarbicarsi ad un sogno lontano alla ricerca di una storica ripetizione tra l’apollinea luce della ragione e la dionisiaca ebbrezza, con una disperante ricerca nietzscheana. Al di là di formule perfette, restiamo in questo difficile presente senza però privarci della suggestione che “il bello”, in senso pieno, ci lascia trapassare silenziosamente per mezzo dei secoli. Già così fece, a suo modo, il quattrocento che Domenico Lasala guarda con occhi particolari. La tavolozza lasaliana evoca la limpidezza di quella atmosfera colorata e i suoi luoghi e le sue stanze animate, ci trasportano in scenari, oppure in ambienti, dove suoni, danze, rapporti, perfino il sonno, non vengono sbarrati da mura di solitudine. e figure umane del pittore emergono tramite un leggero chiaroscuro; non ci sono ombre portate e lo spazio diventa “assoluto”, percorso da una sonorità silenziosa. Giovanna Arancio Colomba blu - olio su cartone telato - 2011 - cm 30 x 40

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MARCO LONGO Salon du livre d’Hermillon 13 - 14 octobre 2018

Parabrezza - olio su tela - 2013 - cm 110 x 70

Marco Longo con somma poesia crea i suoi riflessi di strada: periferie e scorci della città raccontati attraverso i riflessi dell’acqua. Sono luoghi luoghi urbani e periferie dai viali alberati solitari completamente infradiciati dalle piogge, dalle strade asfaltate e bagnate percorse da sparute automobili che ordinate viaggiano con le luci accese. L’acqua crea un mondo riflesso, un mondo doppio dove i lunghi filari di alberi lungo il ciglio delle provinciali si riflettono silenziosi sull’asfalto ed i guard rail e i palazzi inseguono il procedere delle automobili. È una realtà fatta di pioggia e di umida consistenza, in cui la presenza umana è solo suggerita dalle automobili. E poi i suoi

Paesaggio urbano - olio su tela - 2015 - cm 80 x 60

Paesaggio urbano - olio su tela - 2016 - cm 86 x 56

palazzi che Longo ritrae in primo piano e che con le loro vetrate raccontano il mondo circostante. Sono città riflesse. In questa realtà quasi monocromatica, dove lo sfondo sembra sfumarsi con l’incanto della memoria e il grigio diventa colore dominante, l’artista taglia l’orizzonte e il cielo, che si vedono solo nei riflessi delle pozzanghere e delle vetrate. Con sottile malinconia ci immerge nella poesia dell’acqua e della memoria, della strada e della silenziosa ed ordinata umanità che vive le periferie delle città. Emanuela Fortuna(catalogo Urban Soul Exibition Projet 2014 10-25 Maggio Novara)

Paesaggio urbano - olio su tela - 2000 - cm 110 x 90

Longo propone immagini di città plumbee e oscure, che riflettono le strade vuote e silenziose nell’asfalto bagnato dalla pioggia, nell’acqua delle pozzanghere, nei vetri dei palazzi. Anche le luci dei fari delle automobili, unico elemento che suggerisce la presenza dell’uomo, sono opache e avvolte nella nebbia. Il mondo urbano che viene evocato è umido,silenzioso, malinconico e ha un ‘unico colore: il grigio. Eppure non è una pittura ferma e monocorde: le tracce lasciate dalle pennellate sicure e compatte, le mescolanze dei toni (dal nero al grigio perla) illuminate dai gialli, la lucentezza dei riflessi trasformano le immagini in superfici specchianti dentro le quali entrare e ritrovare i propri spazzi quotidiani. Emiliana Mongiat (corriere di Novara / 24Maggio/2014)

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eventi Puglia

Water Shapes - Forme d’acqua Palazzo dell’Acquedotto Pugliese - Bari di Virginia Grazia Iris Magoga

Lo storico Palazzo dell’Acquedotto Pugliese di Bari, l’architettura nel borgo murattiano che testimonia la storica conquista dell’acqua nell’Italia meridionale, fu edificato negli anni trenta in pietra di Trani con dettagli scolpiti sui capitelli, nelle iscrizioni delle bifore e sui balconi, dalla sapiente abilità degli scalpellini locali. La storia di questa

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impresa scritta nella pietra fu raccontata con simbolica efficacia dall’artista Duilio Cambellotti attraverso una ricca galleria di dipinti murali, di sculture, di mobili ed altre forme decorative (dai soffitti ai pavimenti, dalle porte alle finestre, dalle pitture alle sculture per le pareti, dai mobili ai soprammobili, alle vetrate, ai tappeti, all’illuminazione).


Tutto ciò fa del Palazzo dell’Acquedotto Pugliese di Bari un concreto “laboratorio” di genialità creativa. Nuovamente, oggi, “Il Palazzo dell’Acqua” apre le porte all’arte, in questo caso alla mostra d’arte contemporanea “Water Shapes. Forme d’acqua”.

Ambientate in alcune delle sale espositive del museo dell’Acquedotto e nel grande salone delle conferenze (come mostrano le foto di Roberto Sibilano), le opere ci lasciano ammirare i colori del Mediterraneo, gli stessi che possiamo scorgere negli astratti panorami del ciclo pittorico Waters di Paolo Lunanova o nei blu-azzurri dei paesaggi liquidi di Paolo Laudisa. O nelle allusioni enigmatiche dell’installazione ambientale sull’acqua errante di Franco Dellerba. O nelle immagini visionarie di creature marine dipinte da Giuseppe Sylos Labini. Mentre, nelle suggestioni metafisiche dei dipinti ad olio di Pietro Capogrosso ritroviamo le allusioni all’acqua come dominio del cielo. Nelle sculture in ardesia incisa di Gaetano Fanelli scopriamo le forme magiche della vita, e, nelle misteriose cartografie di scritture antiche di Gaetano Grillo riconosciamo i segni delle civiltà marinare. Infine, nelle filosofie spirituali dei fiumi-strade, dei laghi-vaso in oro di Tarshito scopriamo le religioni dell’acqua linfa della vita. (La mostra, resterà aperta al pubblico fino al 5 novembre 2017).

Dedicato al colore, alla trasparenza, alla purezza dell’acqua, l’evento espositivo, a cura dal critico Maria Vinella, segna l’inizio della quarta edizione del Festival nazionale dell’Acqua, per la prima volta ospitato a Bari. Water Shapes, come scrive la curatrice, offre uno sguardo sul panorama della ricerca artistica pugliese. Omaggio alle tematiche del rapporto tra Natura e Arte, la mostra propone installazioni, sculture, dipinti che definiscono nuove chiavi di lettura per comprendere la complessità del nostro habitat, senza escluderne le connotazioni storiche, antropologiche, geografiche.

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LUIGI PRESICCE La lotta imperitura con gli Ottomani” Castello dei Conti Acquaviva d’Aragona di Conversano (Bari) di Virginia Grazia Iris Magoga

Nell’ambito del lungo progetto “Art Open Air & Digital Art – Sistemi Ambientali e Culturali - Mari tra le mura”, nato da un’idea della Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare, sono stati individuati quattro artisti per la realizzazione di altrettante sculture collocate permanentemente nei luoghi simbolo delle rispettive città della rete pugliese: il Castello di Conversano, il Castello di Mola di Bari, il Museo del Fischietto di Rutigliano e il giardino delle sculture della Fondazione Pascali. Le sculture diventano così fulcro attrattivo artistico-culturale in sintonia con il paesaggio urbano e il tessuto storico locale, riducendo la distanza tra pubblico e opera d’arte. Il progetto a cura di Rosalba Branà, Antonio Frugis, Susanna Torres, Nicola Zito, coinvolge nel Comune di Conversano l’artista Luigi Presicce per l’ultimo dei quattro appuntamenti d’arte previsti. L’artista salentino, che vive e lavora a Firenze oltre che in Puglia, anche in questa occasione ha realizzato un’opera che si confronta con la storia, la religione, la mistica occidentale e orientale, la letteratura. Difatti, il bassorilievo in bronzo bianco intitolato “La lotta imperitura con gli Ottomani” è una scultura che si pone in dialogo con la storia e la cultura di Conversano nonché con la stretta attualità contemporanea. Rielaborando suggestioni pittorico-letterarie appartenenti al grande ciclo di monumentali tele secentesche realizzate dal pittore napoletano Paolo Finoglio, dedicate al maggiore poema eroico di Torquato Tasso, la “Gerusalemme liberata”, Presicce riprende l’identico tema iconografico di una delle opere conservate nella Pinacoteca comunale di Conversano (la scena del duello tra Raimondo di Tolosa e Argante). Nella formella sagomata a

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sette punte che richiama alcune forme della scultura quattrocentesca toscana (pensiamo al Brunelleschi o al Ghiberti), l’artista ricrea un’atmosfera di sospensione temporale ben definita dal bianco bassorilievo in bronzo galvanizzato. Qui, la cruenta scena di battaglia viene raffreddata in contesto scenico quasi metafisico, dove i due cavalieri protagonisti assumono le vesti di un mitologico centauro e di un essere fantastico munito di otto braccia e otto scimitarre. Il duello tra cavalieri diventa in tal modo conflitto tra civiltà, tra mitologia classica occidentale e allegoria mistica orientale. Pur immersa nella rigorosa distanza definita dalle categorie del tempo, emerge dall’opera “La lotta imperitura con gli Ottomani” la metafora inquietante del ripetersi costante dello scontro millenario e sanguinario tra potere, religione, culture.


FRANCESCO SCHIAVULLI Mostra EX LIBRIS “ Mani che contano Sfogliano libri” a Bari di Virginia Grazia Iris Magoga

Presso “Ars Toto”, nel terzo appuntamento della Rassegna Culturale “ISOL-ART. Città, Isolato e Arti”, nel Borgo Murattiano di Bari, è ospitata la mostra personale e video installazioni di Francesco Schiavulli. L’artista pugliese, già affermato in ambito nazionale e internazionale, presenta un articolato percorso attraverso una serie di dodici opere scultoree dedicate ad una attenta riflessione sulla funzione del libro nella storia dell’umanità. La ricerca dell’artista, che nasce dal teatro ed è dedicata prevalentemente allo studio del corpo umano, definisce in questa occasione una particolare attenzione alla documentazione delle attività umane e del pensiero, resa attraverso la scrittura e la lettura.

I lavori iniziali di Schiavulli evidenziavano una ritrattistica connessa a temi sociali. Poi l’artista si è confrontato con una conoscenza quasi maniacale del corpo attraverso l’analisi di frammenti anatomici e dettagli corporei. In seguito ha sviluppato interessanti progetti multimediali destinati all’indagine sull’identità umana e le emozioni che la connotano. Inventando nuovi ritmi sensoriali e differenti percezioni, l’artista ha anche sperimentato dispositivi spaziali e+ macchine interattive realizzate in legno di risulta. Negli anni successivi realizza installazioni estremamente complesse affidate a video e manufatti in materiali vari dove spesso il corpo umano agisce come presenza viva e problematica. La sua produzione, in questa mostra, evidenzia libri-opera realizzati in materiali vari, nei quali sono inseriti dettagli

anatomici (mani, dita, orecchie ecc.). Tra le opere anche alcune bizzarre scacchiere – questa volta non un libro ma uno strumento di gioco del pensiero – dove ogni pezzo degli scacchi è costituito da falangi di dita o da forme di orecchie in terracotta. In altri lavori in mostra, il libro diviene elemento di esili e squilibrate architetture che quasi misurano le dimensioni dello spazio inteso come precario luogo dell’esistenza umana.

(La mostra-evento è sostenuta dalla Casa Editrice Cacucci di Bari, dalla Galleria CaggianoArte di Torino e da Claudia Spacciante della “MamApulia Food&drink”.)

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eventi Campania

La Follia nell’Arte

In un mondo dove l’”uomo” si lascia lusingare e condizionare dalla tecnologia affidandole persino i pensieri più intimi, le proprie debolezze e quei sentimenti, (in verità piuttosto larvati che gli restano ), il caos che lo circonda, lo obnubila e lo ottenebra, costruendogli dentro una solitudine non solo fisica ma anche mentale che lo porta, sebbene forse inconsciamente, ad una follia serpeggiante nel cui nome si creano e si realizzano azioni e comportamenti inusitati nonché alterati. Così l’Arte, che rivela tutto il

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malessere e lo sconforto interiore e ne altera i contenuti e gli obiettivi, oggi non è più finalizzata ad affascinare, stupire, o coinvolgere gli animi bensì provocare, insultare o dileggiare con la scusante della novità che arriva a proporre in “mostra” latrine dalle forme più strane, (e non cito l’ideatore di tale obbrobrio poiché, a mio avviso, non è degno di aver fama su di una rivista o altrove) o, peggio ancora, quel tale, che ha proposto in esposizione poveri disabili del tutto incoscienti o quasi. Follia pura quindi non “ Arte “usata come mezzo blasfemo per scaricare i propri istinti incontrollati, le proprie paure ancestrali non del tutto tacitate e la deformazione di una psiche chiaramente malata e marcia che ha, ormai, ben poco da dire. Se non altro non dovremo preoccuparci della Sindrome di Stendhal. Salvo, pertanto, alcuni veri e dignitosi artisti che non si lasciano trascinare nel vortice del commercio a buon mercato o corrompere da proposte allettanti che suggeriscono produzione scadente ma lucrativa, l’ Arte, purtroppo, oggi, è solo l’espressione dei tanti mali che l’essere umano si porta dentro. Anna Bartiromo


ANTONIO LIGABUE Cappella Palatina al Maschio Angioino di Napoli Via Vittorio Emanuele III Dal 11/10/2017 al 28/01/2018 - Dal lunedì al sabato 10:00 – 19:00 Domenica 10:00 – 14:00

Nacque nel 1899, da un’italiana emigrata e da padre ignoto. Appena ad un anno di età fu affidato a una coppia di svizzeri, tuttavia il suo rapporto con la nuova famiglia fu fatto di odio e amore soprattutto con la madre adottiva. Venne poi affidato ad un collegio per ragazzi handicappati e presto ricoverato per la prima volta in una clinica psichiatrica .Fin da piccolo si distinse per aver una grande abilità nel disegno, in seguito fu espulso dalla Svizzera su denuncia della madre adottiva e ritornò in Italia, dove

sicuramente , per chi non l’ha ancora visitata, vale la pena di farlo. Infatti è come rivivere la sua inquietudine, il suo essere strano, diverso e solitario, come si evince dalle sue tele e dalle figure di animali esotici e feroci da cui si percepisce non solo la fatica per la sopravvivenza , ma anche la sua. Inoltre nei suoi autoritratti leggiamo la sofferenza e l’impegno per affermare il suo valore di artista nonche l’identità di un uomo spesso deriso e non capito, di persona, segnata da solitudine e disagio esistenziale. ( Letizia Caiazzo)

viveva da vagabondo, continuando però a disegnare e a lavorare l’argilla creando delle sculture. Fu così che venne scoperto e aiutato dal maestro Mazzacurati. Dopo vari ricoveri in manicomio fu anche supportato dallo scultore Mozzali. Continuò sempre a dipingere e a creare, tanto da essere riconosciuto da galleristi e critici che gli fecero avere fama e successo fino da avere riconoscimenti e premi. Cominciò a vendere opere e ad essere famoso, pur restando, con i suoi deliri e le sue fisime. In seguito venne colpito da paresi all’età di 63 anni morendo dopo tre anni . La mostra resterà aperta ancora fino al 28 gennaio 2018 e,

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L’opinione di Letizia Caiazzo L’artista oggi

Édouard Manet - Boating

Pierre-Auguste Renoir - La Yole

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Nell’attuale società il ruolo dell’artista non è più ben definito. L’artista contemporaneo non è valutato appieno dall’opinione pubblica che, non sempre , è disposta a recepire il messaggio che l’Arte può trasmettere. Dalla maggior parte della gente l’Arte non è vista ,come tale, ma solo come un oggetto per arredare ambienti o farne regali. Perciò l’Arte è diventata qualcosa di commerciale e, a volte , banale. Di ciò, comunque , non è solo responsabile il pubblico che , spesso, ne usufruisce con superficialità. Gli stessi artisti, per questo motivo non cercano più l’ispirazione originale e sentita per trasmettere sentimenti, bellezza, riflessioni sulla vita e sul sociale o visioni dell’animo. Ovviamente, spesso, stupiscono con il loro prodotto ma non certo positivamente, quindi non è più Arte. Il mercato dell’Arte infatti e il danaro che circola in questo settore, fa sì che l’Arte non rappresenti più nulla tranne l’obiettivo di fare guadagno attraverso i soldi; di conseguenza niente


Eduard Munch - The sick child

Claude Monet

Vincent Van Gogh - Iris Claude Monet

Edouard Manet - Nanà

emozioni, palpiti o fremiti di fronte ad un’opera in quanto si trasforma solo in un’operazione fredda e commerciale. Tuttavia non bisogna generalizzare poichè , molti artisti ,(ma sono solo di nicchia), non sono coinvolti in questo fenomeno e, naturalmente, subiscono l'onta di essere meno famosi, meno conosciuti o promossi e sostenuti da critici e galleristi, presi anch'essi nel vortice del mercato. Una riflessione va fatta però anche su quegli artisti che puntano tutto soltanto sull'ambizione individuale, sul guadagno e sul successo, per scelta, perdendo, così , di vista la loro reale funzione, ovvero di rappresentare nell'opera d'Arte sentimenti comuni , problemi sociali e osservazioni profonde onde smuovere in tal modo l'animo dell'osservatore. Oggi il primo pensiero dell'artista , sia esso scrittore, pittore, musicista o cantante è quello di banalizzare le proprie creazioni per renderle più commerciali al fine di venderne un numero maggiore.. Nelle opere contemporanee non ritroviamo più l'Arte che sconvolge ed inebria come quella di Manet, Monet, Renoir, Van Gogh o Munch(, assicurandoci però, che possiamo non più temere una sindrome di Stendhal). Ne consegue che sarebbe opportuno ritrovare la voglia e il piacere di ricercare, sperimentare , incentivare ancora l'originalità e, magari , anche una sana follia per comunicare , meravigliare e interessare positivamente il fruitore di un'opera sia essa visiva, musicale , poetica o narrativa.

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eventi Calabria

GUERCINO E MATTIA PRETI A CONFRONTO, LA NUOVA LINEA DELL’ARTE BAROCCA. (MUSEO CIVICO DI TAVERNA , 12 AGOSTO-16 NOVEMBRE).

Giovanni Francesco Barbieri prese il nome di Guercino a causa di uno innato strabismo. Dotato di un particolare talento per il disegno, sin da bambino, imparò il mestiere a Bastia e poi a Bologna dove studiò le opere dei Carracci. La sua prima maniera è contraddistinta da una forte impronta luministica (la famosa ‘macchia guercinesca’). Grazie ai consigli di Ludovico Carracci gli vengono affidate le prime commissioni importanti e l’arcivescovo Alessandro Ludovisi (il futuro papa Gregorio XV) acquista alcune sue opere. In seguito il Guercino decide di fondare una propria scuola di pittura a Cento. Compie un viaggio a Venezia dove ammira le opere di Tiziano e Jacopo Bassano, dal cui colorismo trae ispirazione per la “Vestizione di san Guglielmo d’Aquitania” (Pinacoteca Nazionale di Bologna) e il “San Francesco in estasi con san Benedetto e un angelo” (Louvre), entrambi del 1620. Subito dopo si reca a Roma, dove realizza le decorazioni del Casino Ludovisi (l’Aurora e la Fama) e la grande pala della Sepoltura di santa Petronilla per San Pietro (ora ai Musei Capitolini). Dopo la morte di papa Gregorio XV lascia Roma e torna a Cento. A Piacenza completa gli affreschi della cupola del Duomo (1626), lasciati incompiuti dal Morazzone, e dipinge il Cristo che appare alla Madonna (1628) che segna l’inizio di una nuova stagione del classicismo barocco. Alla morte di Guido Reni, non dovendone più temere la competizione, si trasferisce da Cento a Bologna dove dipinge “La visione di San Bruno” e il San Giovanni Battista che predica. Nel 1661 viene colpito da un infarto; si riprende ma cinque anni più tardi muore. Mattia Preti, detto il Cavalier Calabrese, nasce a Taverna di Catanzaro nel 1613. Giunto a Roma è attratto dalla pittura di Caravaggio e dai caravaggisti.

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Tra i suoi viaggi di formazione furono importanti quelli nell’Italia settentrionale dove si avvicinò alla pittura emiliana dei Carracci, di Lanfranco, del Guercino e alla pittura veneta del Veronese. Arriva anche a Napoli dove esegue grandi serie di affreschi e numerose pale d’altare acquistando fama nella città. A Malta si stabilisce nel 1661 come pittore ufficiale dei Cavalieri dell’Ordine e decora la cattedrale di S. Giovanni a La Valletta con Storie del Battista e numerose tele per le chiese dell’isola. Nel 1699 muore a La Valletta. La mostra del Museo Civico di Taverna (CZ) pone a confronto Guercino e Mattia Preti. Quest’ultimo incontra il Barbieri durante la sua prima formazione artistica. L’esposizione, in mostra dal 12 agosto al 16 novembre 2017, è curata dal Museo civico di Taverna e dalla Pinacoteca di Cento, città natale del Guercino e tra la fine dell’anno e l’inizio del 2018 si trasferirà a Cento dove verranno esposte alcune notevoli opere tavernesi del Cavalier calabrese.

Quindici opere di Mattia Preti sono accostate alle quindici opere del Guercino e per la prima volta viene approfondito questo rapporto tra due speciali personalità artistiche. Uno dei paralleli è posto tra il Patrocinio di Santa Barbara di Mattia Preti (Taverna) e il Seppellimento di Santa Petronilla di Guercino dal quale confronto viene fuori l’impor

tanza che ebbe per il Preti la citta di Modena e dell’Emilia Romagna. La mostra si può ammirare attraverso un percorso espositivo che va dal museo civico alle chiese di San Domenico e Santa Barbara e che permetterà di cogliere il ricco patrimonio pretiano conservato a Taverna.. Il direttore del Museo civico di Taverna, Giuseppe Valentino, ha così illustrato l’evento: “ vogliamo presentare, per la prima volta in Calabria e in modo esaustivo, l’opera del Guercino, ampliandone la conoscenza attraverso il carattere scientifico e divulgativo della mostra e delle sue tematiche”. Tra le opere del Guercino, in esposizione, troviamo la Madonna col Bambino benedicente del 1629 commissionata per il coro della Chiesa della SS. Trinità dei Cappuccini di Cento. La tela, firmata e datata sul retro, ritrae Maria mediatrice tra Dio e l’uomo. È rappresentata come una madre affettuosa che guida amabilmente il Bambino nel gesto benedicente; spicca lo sfondo scuro spezzato dalla luce che entra da una finestra e fa affiorare i corpi, evidenziandone i tessuti ed i volti. La finestra ha un vetro rotto da cui si intravede un pezzo di cielo. Delicata è l’immagine del “Cristo che appare alla Vergine” di Cento (1628). Maria accarezza il ventre a Gesù dolcemente creando con la mano un’ombra sul suo corpo. La Madonna è completamente rapita dall’amore per suo figlio. Il San Sebastiano di Mattia Preti, in mostra al Museo, è legato ad un albero ed è trafitto dalle frecce. Ai suoi piedi si trova uno scudo argentato e un mantello rosso. L’opera riapparsa sul mercato antiquario di Firenze nel 1993 fu acquistato dall’Istituto di Credito di Taverna arricchendo cosi ulteriormente la patria del Cavalier Calabrese. Critico d’arte Alessandra Primicerio

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Dal lago Angitola (Vibo Valentia) emerge una statua in bronzo.

Era sommersa dal fango delle acque dolci del lago Angitola (Vibo Valentia) una statua in bronzo di dimensioni più piccole rispetto ai bronzi di Riace, rinvenuti ben 45 anni fa. A farla riemergere, con molte difficolta, sono stati i Vigili del Fuoco dopo essere stata avvistata da un passante che aveva notato affiorare qualcosa a pelo d’acqua. Il bronzo, ora noto come la Ninfa dell’Angitola, risale ai primi del 1900. L’anatomia è ricercata e sul basamento della ninfa è presente la firma “A.P.” Alcuni sostengono l’ipotesi che la scultura appartenga ad una collezione privata, altri che sia un supporto per un tavolino, copia di qualche artista con le iniziali A.P. forse Antonio Pujia, storico fabbro della zona adesso residente in Argentina, o Albano Poli, maestro veronese, ma sono solo supposizioni in seguito smentite.

La statua in bronzo di 70 cm raffigurante una bambina genuflessa, con gli occhi chiusi e le braccia protese, è una

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creazione contemporanea del 1980/90. Forse una base di un tavolino che sosteneva una lastra probabilmente in vetro. Pino Farina, responsabile per il Vaticano delle Opere d’arte e Pino Cinquegrana, storico-antropologo vibonese dicono: «È così in quanto l’originale reca solitamente il nome per esteso. È una riproduzione, magari con una buona rifinitura dei particolari, ma pur sempre una copia di qualcuno che si è voluto ispirare a qualche mastro forgiaio». Delusi quelli che speravano che l’opera fosse una clamorosa scoperta. Alessandra Primicerio Critico d’arte


CORRADO ALDERUCCI Salon du livre d’Hermillon 13 - 14 octobre 2018

Se guardiamo un’opera di Corrado Alderuccisorge naturale notare alcuni canoni che richiamano in parte il movimento artistico del Simbolismo. Non parlo del classico simbolismo di Moreau ma vorrei sottolineare come sia importante l’”idea” concepita Vola nei pensieri la tua immagine lontana - acrilico su tela - 2013 - cm 100 x 70 come protagonista dei quadri di Alderucci e come elemento di incontro tra variepercezioni, sia materiali che più spirituali. L’arte pittorica di Alderucci è molto raffinata, e si contrad- ti nell’animo del pittore e che vengono raffigurate persedistingue per un’aurea artistica che rapisce l’osservatore. guendo una singolare creatività che fa nascere differenti Il suo percorso artistico è molto ricco di partecipazioni ad trasposizioni. La sua pittura percorre a volte sentieri inimportanti collettive ed eventi di notevole rilevanza e ciò formali che sono precursori di un mondo esterno guardato dimostra che la sua arte è molto apprezzata sia dagli addet- con occhi diversi, con il desiderio di raccontare un viaggio ti ai lavori che dagli appassionati. molto profondo. Alcune opere di Alderucci testimoniano come continua- L’opera dal titolo “Dove la notte e il giorno si abbracciano mente il suo “io” si sovrapponga a pensieri differenti tal- senza fine” rivela la capacità di Alderucci di entrare nelle volta più drammatici, altre più solari. Si creano dunque parti più recondite dell’animo e riportarne i segni per mosimbologie geometriche create trascendendo la realtà e strarli al pubblico. immergendo la propria anima in un vortice di forme scom- Sussiste una composizione segnica e cromatica ove risalta poste, che richiamano soggetti come la casa, la matita, un’elaborazione molto raffinata che evidenzia un’autoreun profilo di un uomo. Dunque la sua arte s’ispira ad una volezza tecnica importante. visione informale ove i simboli sopra citati captano sen- La qualità artistica della sua ricerca può essere considerata timenti contrastanti che assumono un significato talvolta un mezzo per estrinsecare un messaggio più nascosto e inpsicologico, molto amplificato dalle personali emozioni. nalzarlo ad una dimensione sublime. Nascono particolarità che rimandano ad idee già presenSilvia Ferrara

Una finestra dischiusa sui miei sogni acrilico su tela - 2013 - cm 50 x 50

Nell’azzurro cielo - acrilico su tela - 2013- cm 60 x 60

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VIVIAN MAIER. UNA FOTOGRAFA RITROVATA Dal 27 Ottobre 2017 al 18 Febbraio 2018 CATANIA - Fondazione Puglisi Cosentino CURATORI: Anne Morin, Alessandra Mauro Enti promotori: Arthemisia - Contrasto - Di Chroma Photography - Patrocinio Comune di Catania

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Vivian Dorothea Maier nasce il primo febbraio 1926 a New York, nel Bronx. È figlia di Maria Jaussaud, nata in Francia, e del marito Charles Maier, di origine austriaca. I genitori presto si separano e la figlia viene affidata alla madre, che si trasferisce presso un’amica francese, Jeanne Bertrand, fotografa professionista. Negli anni Trenta le due donne e la piccola Vivian si recano in Francia, dove Vivian vive fino all’età di 12 anni. Nel 1938 torna a New York, città in cui inizierà la sua vita di governante e bambinaia. Il primo impiego è presso una famiglia a Southampton, nello stato di New York. Poi nel 1956, si traferisce a Chicago per lavorare con la famiglia Gensburg. Verso la fine della sua vita si ritrova in gravi ristrettezze economiche e un giorno viene ricoverata per un banale incidente. Quel ricovero, che doveva essere passeggero, si rivela fatale. Muore il 21 aprile 2009. Nell’arco della sua vita realizza oltre centomila fotografie ma il suo lavoro rimane sconosciuto fino a quando John Maloof lo scopre per puro caso.


Dal 27 ottobre gli spazi espositivi della Fondazione Puglisi Cosentino ospitano una delle più complete rassegne dedicate alla grande fotografa statunitense, Vivian Maier, con oltre 120 fotografie in bianco e nero realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Una fotografa ritrovata, così si intitola la Mostra, l’enigma di un’artista che in vita realizzò un enorme numero di immagini senza mai mostrarle a nessuno, immagini che ha preziosamente conservato. Fotografa per diletto, le sue fotografie non sono mai state esposte né pubblicate mentre era in vita, come se volesse fotografare per se stessa

Tra i suoi soggetti prediletti anche bambini e anziani; fugaci momenti di vita e di strada; città e abitanti in un momento di fervido cambiamento sociale e culturale. Fra gli scatti del percorso espositivo meritano particolare attenzione quelli degli anni Settanta poiché raccontano il cambiamento di visione, dettato dal passaggio dalla Rolleiflex alla Leica, che obbligò Vivian Maier a trasferire la macchina dall’altezza del ventre a quella dell’occhio, offrendole nuove possibilità di visione e di racconto. Osservando il corpus fotografico spicca la presenza di numerosi autoritratti, quasi un possibile lascito nei confronti di un pubblico con cui non ha mai voluto o potuto avere a che fare

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Domenica 17 Dicembre alle ore 18.00 presso la Sala Mostre Contemporanee del Museo Genna Maria di Villanovaforru si terrà il vernissage della mostra fotografica “L’isola che non c’è” dell’Associazione Fotografi di Sardegna. L’Associazione “FotografidiSardegna” nata nel febbraio 2017, con sede a Cagliari è un organizzazione non lucrativa con lo scopo di promuovere e diffondere la cultura fotografica attraverso scuole di fotografie, corsi, work shop, mostre, incontri, concorsi e manifestazioni culturali Il Presidente è Diego Cardia e conta più di 50 soci Nella Sala Mostre del Museo di Genna Maria di Villanovaforru, i soci presenteranno la loro prima collettiva foto-

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grafica “L’isola che c’è”, dal 17 dicembre al 14 gennaio vi racconteranno la loro Sardegna. Interverranno all’ inaugurazione il sindaco di Villanovaforru Maurizio Onnis, il direttore del Museo Genna Maria Giacomo Paglietti, il Direttore della Fondazione Meta di Alghero Paolo Sirena il Presidente dell’Associazione fotografidiSardegna Diego Cardia Per informazioni tel. 0709300050 - 3331760216 mail: museo@comune.villanovaforru.ca.it https://www.facebook.com/events/1617289564995286/


Mostra fotografica di Emanuela Cau alla Fine Art Gallery di Cagliari “Ci sono parti di me che lottano per rimanere nell’ombra, parti timorose e riservate, sono quindi l’aguzzina di me stessa, gioco con le mie ombre per portarle alla luce...”

“Ci sono parti di me che lottano per rimanere nell’ombra, parti timorose e riservate, sono quindi l’aguzzina di me stessa, gioco con le mie ombre per portarle alla luce, è così che hanno smesso di farmi paura, di opprimermi di avere potere, i miei autoritratti sono il mio incantesimo il mio segreto di cura” Domenica 17 dicembre , nello spazio d’arte Fine Art Gallery, in via Eleonora D’Arborea 61 alle 18 e 30 inauguro la mia prima mostra. Sono nata un po di tempo fa, in un’isola chiamata Sardegna sono stata attrice, regista, montatrice video, creatrice di storie ... mi sono sbucciata ancora un po e mi sono scoperta foto-

grafa, fotografa di me stessa soprattutto, lo faccio per necessità sono solo una contastorie in un modo o in un’altro, racconto ... ed è grazie a questo racconto che ogni giorno esisto. https://www.facebook.com/emanuelacauphoto/ Venite numerosi, io e le mie creature vi aspettiamo :) e sarò lieta di offrirvi un bicchiere di vino messo a disposizione per l’inaugurazione da “Meloni Vini” https://www.facebook.com/MeloniVini/ Testo e immagine rilevati dal web

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