rivista20 luglio-agosto 2019

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N°34 luglio-agosto 2019

www.rivista20.jimdo.com

periodico bimestrale d’Arte e Cultura

ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE

MOSTRA ALLA REGIA DI VENARIA ART NOUVEAU

Edito dal Centro Culturale ARIELE


ENZO BRISCESE

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE

del Centro Culturale Ariele

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Hanno collaborato: Giovanna Alberta Arancio Monia Frulla Tommaso Evangelista Lodovico Gierut Silvia Grandi Irene Ramponi Letizia Caiazzo Graziella Valeria Rota Alessandra Primicerio Virginia Magoga Enzo Briscese Susanna Susy Tartari Cinzia Memola Miriam Levi Barbara Vincenzi www. riv is t a 2 0 . jimd o . c om

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Albero - tecnica mista su tela - 2011- cm 70x80

Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedì al venerdì tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com -----------------------------------------------------

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La costruzione dell’ideale - olio su tela - 2013 - cm 35x45

In copertina: Art nouveau alla Regia di Venaria


GEHARD DEMETZ

30 Assonanze, segmenti... di Rocco Zani - 10 autori Gehard Demetz (Bolzano, 1972) utilizza come materiale esclusivo della sua scultura il legno, a cui ha saputo dare nel corso degli anni una devianza contemporanea, uno scarto dalla regola e dalla funzionalità artigianale. Dando l’impressione, oltre che di scolpire, anche di comporre le opere attraverso assemblaggi di blocchetti di legno, Demetz introduce nelle sue sculture effetti di sfasamenti cromatici, distorsioni, allungamenti, anamorfosi, accorciamenti dimensionali, favoriti dall’uso di iconografie religiose, infantili, architettoniche, archetipiche, che con-

servano senso della memoria e della storia per dargli una nuova veste in chiave profondamente psicologica. La sua mostra “Introjection” si ispira quasi esclusivamente a tematiche legate a iconografie sacre sia livello liturgico (tabernacoli) che architettonico (chiese) o devozionale (Maria Vergine e Sacro cuore), a cui fanno da contrappunto immagini profane e dissacratorie (Hitler e Mao) e laiche (fienili della Val Gardena), in cui a predominare è la dissonanza, la dissolvenza, la metamorfosi tra condizione infantile e adulta, tra predestinazione e maledizione.

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VENARIA REALE - TORINO Reggia di Venaria Reale Piazza della Repubblica, 4 Patrocinio: Consorzio Residenze Reali Sabaude con Arthemisia Orario: 9.00-17.00 dal martedì al venerdì; sabato, domenica, festivi 9.00-18.30; lunedì chiuso Costo: 14 euro ; 12 euro ridotto Telefono: 39 0114992333 Sito: www.lavenaria.it “Art Nouveau. Il trionfo della bellezza” è la mostra in corso alla Reggia di Venaria Reale che presenta, attraverso una ricca documentazione, la suggestiva e rivoluzionaria comparsa di un fenomeno artistico di portata internazionale che data fine Ottocento – inizio Novecento. Si tratta di una radicale ventata di cambiamento che non interessa soltanto le tradizionali belle arti ma coinvolge il modo di concepire la vita, quindi il modo di pensare, la musica, i costumi, la moda, l’arredamento, l’artigianato e i prodotti industriali, la pubblicità e il tempo libero di una borghesia intenzionata ad investire nel segno del bello e della modernità. Intanto l’affermarsi del design permette di offrire prezzi accessibili anche alle classi meno privilegiate. Il Modern Style viene definito “arte totale” configurandosi come risposta ad una complessa società sempre più industrializzata.

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Questa corrente internazionale rompe con l’eclettismo e lo Storicismo ottocenteschi e si dirama in Europa e oltre assumendo nomi diversi: Art Nouveau in Francia, Liberty in Italia, Jugendstil in Germania, Secessione in Austria, Nieuwe Kunste nei Paesi Bassi, Modernismo in Spagna, Tiffany negli Stati Uniti, e si espande anche in Inghilterra dove si affermano molti teorici del movimento. Le tematiche dominanti rimandano alla natura, al mondo vegetale in particolare, e alla figura femminile verso la quale prevale un nuovo approccio che esalta l’amore, la sensualità, l’emancipazione e nondimeno traspare l’immagine erotica di una “ donna maledetta” , apportatrice di perdizione. Inoltre si accentua la ricerca di risposte appaganti nel mondo simbolico ed esoterico all’interno di un contesto urbano dinamico da reinterpretare. Questo vasto e articolato movimento artistico e filosofico crea le condizioni per una eccezionale fioritura creativa rappresentata con diligente cura nelle cinque sezioni espositive che constano di duecento lavori. Sono in rassegna dipinti, sculture, bassorilievi, manifesti, mobili, ceramiche, moda,

raffigurazioni delle nuove forme architettoniche e una vasta documentazione letteraria e storica dell’epoca. In quegli anni Parigi è considerata il centro artistico per eccellenza e polo attrattivo di tutti gli artisti, luogo in cui sono elevate le vendite delle nuove opere che rispecchiano l’attualità. Si rigetta il realismo e si perseguono la visione e il sogno mentre le linee diventano sinuose ed eleganti, compaiono gli arabeschi. In Italia Torino è considerata la capitale del Liberty , stile che influenza in particolare l’architettura in città e in varie parti della provincia e non a caso la quinta sezione conclusiva della mostra viene dedicata proprio al capoluogo e alla regione piemontesi. Il Liberty è stato rivalutato in Italia dopo gli anni Sessanta e da allora diverse mostre sono state approntate ma quest’ultima esposizione venariese, grazie all’allestimento innovativo, è senza dubbio tra le più esaustive tra quelle realizzate e mette in luce i tanti spunti e le nuove strade aperte grazie a questa corrente di fine Ottocento. Giovanna Arancio

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GIORGIO DE CHIRICO. RITORNO AL FUTURO Neometafisica e Arte Contemporanea da 19 Aprile 2019 a 25 Agosto 2019 Curatori: Lorenzo Canova e Riccardo Passoni Da martedì a domenica: 10.00 - 18.00 - Lunedì chiuso Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura Biglietti: Intero € 12,00 | Ridotto € 9,00 INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI INGOLI E GRUPPI www.ticketone.it - tel.: 011 0881178 mail: gruppiescuole@tosc.it (dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 18.00 - sabato dalle 9.00 alle 13.00) La GAM di Torino presenta la grande mostra Giorgio de Chirico. Ritorno al Futuro, Neometafisica e Arte Contemporanea, un dialogo tra la pittura neometafisica di Giorgio de Chirico (Volo, Grecia, 1888 – Roma, 1978) e le generazioni di artisti che, in particolare dagli anni Sessanta in poi, si sono ispirati alla sua opera, riconoscendolo come il maestro che ha anticipato la loro nuova visione e che con la sua neometafisica si è posto in un confronto diretto con gli autori più giovani. La mostra a cura di Lorenzo Canova e Riccardo Passoni è organizzata e promossa da Fondazione Torino Musei, GAM Torino e Associazione MetaMorfosi, in collaborazione

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con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico e presenta un centinaio di opereprovenienti da importanti musei, enti, fondazioni e collezioni private. La metafisica di Giorgio de Chirico, nella sua visione originaria e futuribile, ha influenzato atteggiamenti e generi differenti, non solo nel campo delle arti visive, ma anche della letteratura, del cinema, delle nuove tecnologie digitali, arrivando fino a confini inattesi come videogiochi e videoclip, in un interesse globale che va dall’Europa agli Stati Uniti fino al Giappone. Oggi la posterità, libera dagli stereotipi di certe condanne, può “dire la sua”, come intuì con il suo genio Marcel Duchamp in un testo su de Chirico del 1943. In questo contesto si inserisce la nuova attenzione per il periodo della neometafisica di de Chirico (1968-1978), che rappresenta allo stesso tempo un ritorno e una nuova partenza, una fase di nuova creatività e un riandare verso l’immagini del proprio passato, attraverso un nuovo punto di vista e nuove soluzioni formali e concettuali. Così, già nel 1982, Maurizio Calvesi, rivolgendosi idealmente al maestro nel suo fondamentale volume La Metafisica schiarita, sottolineava l’importanza del de Chirico neometafisico per l’arte contemporanea: “perché riconoscemmo i tuoi colorati chiaroscuri, le tue sfere, i tuoi segnali e le tue frecce, i tuoi schienali e le tue ciminiere, i tuoi oggetti smaltati ed ora come staccatisi dai quadri, qualcosa delle tue schiarite e delle tue sospensioni, nel nuovo momento di un’arte che si disseminò come un concerto o una pioggia rinfrescante”.


Non a caso, la neometafisica di de Chirico sembra già dialogare con la pop art e con l’arte internazionale, in particolare americana, e in quegli anni proprio Andy Warhol dichiaratamente riconosceva in de Chirico uno dei suoi precursori, e gli rendeva omaggio con un celebre ciclo di opere in cui presentava una metafisica rivisitata e seriale. Con una pittura di grande intensità e felicità cromatica, il de Chirico neometafisico sembra dunque rispondere agli omaggi degli artisti più giovani creando un dialogo a distanza di grande intensità e vitalità. In questo modo de Chirico si è posto come una delle fonti dirette dell’arte di molte generazioni di artisti italiani e internazionali, sospese tra le immagini dei segnali urbani, delle merci della civiltà di massa e le memorie di una bellezza classica e perduta, un accostamento anticipato dallo stesso de Chirico nel suo romanzo Ebdòmero. La mostra evidenzia questo rapporto intenso e profondo, mettendo in relazione le opere neometafisiche di de Chirico con le nuove tendenze dell’arte italiana e internazionale come la Pop art di Andy Warhol, Valerio Adami, Franco Angeli, Mario Ceroli, Lucio Del Pezzo, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Gino Marotta, Ugo Nespolo, Concetto Poz-

zati, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Emilio Tadini. La mostra presenta anche un grande prosecutore della Metafisica come Fabrizio Clerici, la pittura di Renato Guttuso e di Ruggero Savinio, insieme a grandi artisti internazionali come Henry Moore, Philip Guston, Bernd e Hilla Becher. Il percorso propone anche maestri dell’arte povera come Giulio Paolini e Michelangelo Pistoletto, le visioni concettuali di Fabio Mauri, Claudio Parmiggiani, Luca Patella e Vettor Pisani, fino ad arrivare alle ombre geometriche di Giuseppe Uncini, alla fotografia di Gianfranco Gorgoni, alle sculture di Mimmo Paladino, ai dipinti di Alessandro Mendini e di Salvo, al mistero di Gino De Dominicis, ai tableaux vivants di Luigi Ontani, e a protagonisti delle ultime generazioni internazionali come Juan Muñoz, Vanessa Beecroft e Francesco Vezzoli.

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ANDREA BERLINGHIERI

Andrea Berlinghieri è nato a Savigliano (CN) nel 1974. Pittore e artista visuale, inizia in giovane età a dipingere sotto la guida della madre insegnante di arte dalla quale apprende con naturalezza la possibilità della comunicazione attraverso l’arte. A Torino compie gli studi in Car –Design collaborando successivamente come designer con studi specializzati di settore che gli permettono di acquisire esperienze importanti nel disegno e nella progettazione. Nel 2003 frequenta l’atelier di un famoso maestro contem-

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poraneo, divenendo successivamente suo collaboratore,. In parallelo sviluppa un proprio linguaggio, contraddistinto da una costante attenzione all’esplorazione delle tecniche antiche e contemporanee quale veicolo indispensabile all’espressione artistica. Nella sua ricerca esplora, attraverso cicli tematici, le relazioni tra mondo onirico e realtà, realizzando opere nelle quali il binomio tecnica - contenuto diventano cifra caratterizzante del suo lavoro. Vive e lavora a Giaveno (TO).


GIORGIO BILLIA

Ha frequentato il liceo artistico e l’ Accademia di belle arti di Torino insegna materie artistiche al liceo artistico “ A. PASSONI” di Torino. Vive e lavora a Rivoli (TO). Mostre collettive e personali dal 1987 al 2018 ...le opere di Billia rivelano un’inquietudine categoriale che le rende sfuggenti, come del resto sono sfuggenti le sue immagini, costruite con particolari tanto eloquenti quanto evasivi, che colpiscono per la loro intensità, mai per la loro completezza. Questa continua indicibilità, questo continuo sottrarsi non è un’esigenza formale. E’ un’esigenza mentale. Il problema di Billia non è tanto quello di superare i generi espressivi. E’ già stato fatto. Il suo problema è quello di suggerire contrasti e irriducibilità, anche avvalendosi dell’opposizione dei mezzi espressivi. Elena Pontiggia

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ENZO BRISCESE

Affiorano lacerti della memoria, nella pittura di Enzo Briscese. Affiorano, innanzitutto, la figura e la storia. E, di conseguenza, affiorano i miti e la filosofia, attraverso la rappresentazione figurativa della persona. E poi emergono, anche, codici numerici: assegnati a un immaginario fantastico (di forte potenza evocatrice in senso archetipale) e a progressioni algebriche che appaiono, in alcune circostanze, del tutto casuali - tuttavia, pur sempre, armoniche - e in altre situazioni rispondono, invece, a un calcolo preciso, sembra quasi desiderato, certamente ricercato, da parte dell’artista, il quale è come se avesse tutto prefissato dentro di se, nel suo immaginario e nel suo inconscio. Insomma, è come se le sequenze geometriche dei cerchi, dei triangoli e dei rettangoli- che l’artista crea sul pianoprospettico dell’opera – rispondano a un preciso apparato geroglifico, tutto suo, che racconta: sia la complessità del pensiero razionale e sia l’insostenibile leggerezza dell’individuo, attento a voler manifestare la sua fantasia e la sua immaginazione. E poi compaiono, pure, nei dipinti di Enzo Briscese: segni e simboli che sono descrittivi, in qualche misura, dello spazio sociale e relazionale, abitato dall’individuo contemporaneo. Da altri dipinti emerge, per di più, un urlo. È l’urlo di un individuo che pone come epicentro, ideale, della sua condanna sociale, la ruvidezza del nostro tempo. Un tempo che conosce solo l’inquieta complessità del vivere quotidiano; dentro spazi architettonici che sono chiusi, a filo di refe, in una dimensione urbana che stringe, che soffoca e che opprime. Una realtà, insomma, che è comunque da condannare e da mettere da parte, ricorrendo al sistema dell’immaginario fantastico: a tratti, ludico, giocoso e disimpegnato e a tratti, 10

invece, serio, greve, misurato e continente. La forza visionaria di Enzo Briscese sta in tutto questo. Sta nella sua capacitàdi mettere insieme la figura e l’espressione astratta di un’idea. E poi, anche, nella sua abilità di far convergere la forma in un “tutto armonico” dove c’è spazio per il segno, per la linea e per il colore. Rino Cardone


FRANCO CAPPELLI

Viene il dubbio, in questa ulteriore scelta di Franco Cappelli, se è l’autore dei dipinti, Cappelli stesso- magari innamorato della storia di un architetto che ha profondamente segnato l’architettura del ‘900- a voler rendere omaggio a tanto personaggio, o se è Frank Lloyd Wright che con il suo stile e con il suo “segno” ha suggestionato Franco Cappelli e da qui questo originale “omaggio”. Forse le due eventualità coincidono. Tanto per uscire dal dubbio, mi azzardo ad affermare che vedrei difficile la scelta di omaggiare altri grandi del settore come, come ad esempio, un Antoni Gaudì. Ecco allora che Cappelli trova la sua massima realizzazione nel “giocare” con i segni di Frank Lloyd Wright. Con le sue linee che delimitano spazi, con i colori che creano emozioni, come “emozioni”devono aver vissuto i primi seguaci dell’architetto, se è vero che le sue linee orizzontale e verticali, avevano disegnato nuovi spazi abitativi, delimitanti, è vero, “fughe” verso tradizionali “evasioni”, ma aperte a spazi godibili sull’abitat dove erano realizzate. Era entrato nel vissuto popolare l’Architetto dell’Arizona. Trovai strano che i miei cugini che abitano a Chicago, gente con quella cultura media americana dove tutti sanno scrivere una lettera o riempire un bollettino postale ma nulla più, la prima volta che li andai a trovare a South Chicago, loro che forse non erano mai stati nel centro di Chicago sotto la sky line, mi portassero a vedere la prima casa di Frank Lloyd Wright realizzata in quella città. Non brillavano di cultura i miei cugini. Forse non avevano mai camminato nella subway della città che sbuca nei vari edifici pubblici della e non avevano mai scoperto le istallazioni di arte moderna dei più grandi artisti contemporanei che punteggia la città spesso di fronte agli stessi edifici. Ma conoscevano Frank Lloiy Wright! Fu una felice sorpresa che mi è rimasta sempre in mente. Ed ora l’emozione ce la fa rivivere Franco Cappelli, che evidentemente si è ritrovato nel “segno” fondamentale, ma come sempre- era già accaduto con Carlo Scarpa- ne fa poi

la sua rielaborazione ed in qualche modo lo attualizza, aggiungendone, senza stravolgere niente, le suggestioni dei nostri giorni. Un’avventura coraggiosa quella di Franco Cappelli, ma il risultato mi pare che ce ne faccia condividere a pieno la scelta fatta. testo critico Bardelli

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AURORA CUBICCIOTTI

Artista contemporanea e docente in Discipline Pittoriche negli istituti Superiori. Nasce come ritrattista ma dal 2007 fino al 2011 si è occupata solo di arte sociale, la sua è diventata una missione profetica di coraggiosa e lucida denuncia contro i mali della nostra società. I suoi eventi toccano temi scomodi come la pedofilia, la camorra , la mafia la corruzione politica,gli inquinamenti , il traffico degli organi, Auschwitz e le sue memorie. Vincitrice due volte del primo premio Pittura Città di Firenze. Presente col movimento Lex -Icon alla Biennale di

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Venezia nel 2011, sempre nel 2011 viene patrocinata la sua personale “Maria Maddalena” dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Attualmente vive e lavora a Parma, direttrice artistica della Biennale “ Argille D’Oro” a Matera, in occasione di “ Matera capitale della cultura 2019”. Le principali mostre a : Cadaques (Spagna),Wingfield (England), Barcellona (Spagna), Bages (France), London City, Firenze, Roma, Napoli, Parma,Torino..ecc


MARCO CREATINI

Marco Creatini lo paragonerei ad un Joseph Pennel attuale,viaggiatore,americano di Philadelphia che ha disegnato Firenze e la Toscana agli inizi del XX secolo dove conobbe i pittori macchiaioli,frequentatori del Caffe’ Michelangiolo,partecipando alle loro discussioni. Gira,viaggia per lo piu’con la fantasia:dalla recente biografia leggo pero’ la concretezza di un ottimo elenco espositiv o:Parma,Milano,Torino,Innsbruck…,come la frequentazione passata dello studio di Antonio Nunziante ,a Giaveno,e l’elencazione di esperti del settore che ho conosciuto,tipo Guido Folco,o, di sfuggita,lo stesso Nunziante. Nunziante lo dice “…tenace,rigoroso e sensibile”;Folco ne evidenzia,opportunamente,”…un ideale di bellezza che si nutre di sogno e immaginazione…”. “Incontro Eterno”,La casa della luna”,”Verso L’infinito”…,contengono i giusti elementi di un incontro/scontro tra pensiero e realta’,comunicazione e viaggio nel tempo,grazie ad una solidissima struttura basata su un insieme che idealizza la realta’portandola su un piano storico. Ecco che l’elmo greco o il paesaggio settecentesco,il mare guardato da un dio… si assemblano in fantasticare piacevolissimo,tecnicamente assai produttivo,che evolve il soliloquio portandolo,passo dopo passo,nella solida realta’delle forme piu’ aperte,per cui ecco la sosta dei simboli piu’ cari,la luna correlata al sole,segno di principio femminile e di rinnovo,e non manca il mondo (la Terra),la vita interiore proiettata nello spazio ,e c’e’ il cielo con intensi fluidi giochi luminosi. La sua attenzione e’ sorretta dall’inesausto desiderio di colloquiare, di parlare e conseguetemente di dipingere, cercando di diradare le nebbie del nostro contemporaneo

portando il fruitore nell’universo del sogno,in uno stato antecedente,piu’ puro,piu’ pulito,aggiungendo toni un poco metafisici. Sono opere da chiamare “viaggi nel tempo” che svelano,in definitiva,forme suadenti di un periodo e di una certa epoca,per il comune piacere. Lodovico Gierut (Critico )

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ALDO PIETRO FERRARI

Nasco a Torino il 28-06-1962. Fin dalla giovanissima età ho sviluppato un forte interesse per il disegno e la pittura. Ultimati gli studi artistici, mi inserisco nel 1985 in qualità di designer in Italdesign Giugiaro, oggi parte del Gruppo Volkswagen, dove tutt’oggi collaboro attivamente. All’interno di questa struttura, ho sviluppato molti progetti di Industrial, Transport e Interior Design, Architettura e Automotive. Nel 2006 la decisione di esporre i miei lavori pittorici con una mia prima personale a Torino. L’ Intenzione è quella di non lasciare decadere idee che forse non potevano essere utilizzate nel mondo del design . Esiste tuttavia la possibilità di mantenere sempre viva la teoria “ dei vasi comunicanti” tra arte e design. Il segno vissuto con la massima dinamicità e cromia costituisce la mia essenza più naturale. Ho partecipato a diverse collettive e personali, in diverse parti d’Italia , Berlino, New YorkIl linguaggio della scrittura e la poetica di Aldo Pietro Ferrari si incontrano a partire dalle stesse parole dell’artista. “ Mi propongo , prima di iniziare qualsiasi lavoro, di suscitare delle nuove emozioni anzitutto in me e di riuscire, ad opera conclusa, a trasmetterle agli altri coinvolgendoli nel mio percorso espressivo. Le alternanze fra sacro e profano, mitologico ed erotico, costituiscono le ambivalenze del’ animo che convivono e mi caratterizzano con eguale forza. Quanto al colore e al segno, aspetti di radicale significatività nel mio operare artistico, appaiono in bilico tra un tratto figurativo, lontano

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dall’ Iperrealismo che considero sterile e freddo, e un tensivo propendere verso vie sperimentali di astrazione. Il retaggio culturale di provenienza e la formazione specifica mi portano ad interpretare il segno in forma dinamica e tridimensionale ma aperta e direzionata verso una ricerca prospettica sempre nuova”. Giovanna Arancio


GINA FORTUNATO Gina Fortunato un’artista che ha deciso, con la propria pittura, di scandire una via personale in piena libertà, affrancandosi da ogni condizionamento. La mia visione si dipana attraverso un cromatismo di misura caleidoscopica, arricchito da suggestioni segniche e da un forte dinamismo che ne è caratteristica principale. Molti miei lavori, vivono di un dialogo interiore vibrante, colto nei luoghi emotivi dell’animo, attraverso una partecipazione visionaria, che rasenta l’astrazione, mai tuttavia percorsa per intero, per condurre con consapevolezza nell’oltre: metafisico, estatico e colmo di vita. La mia arte appare come un viaggio catartico fra bellezza e stupore, za grazie a puntuali effetti prospetricco di energia propulsiva, dove lo tici . Nelle mie opere si leggeun’espazio assume profondità e pienez spressività liberata da

inutili orpelli, vivace e spontanea, ove emerge senza dubbio la mia forte personalità, che attraverso le mie opere induco l’osservatore ad una contemplazione meravigliata. Per me l’arte non è mera professione, ma condizione totalizzante di piena realizzazione personale, espressione d’ingegno sorretto e stimolato dalla pura passione. Nasco a Spinazzola, (BT) nel 1964 e da oltre 25 anni ho uno studio a Vignola, dove vivo e risiedo. Ho alle spalle esperienze in ambito scenografico e teatrale, che ne hanno ar ricchito la formazione nell’ambito delle arti visive. Ho studiato scenografia all’Accademia di belle arti di Bari e avevo promesso ai miei professori allora, e a me stessa da sempre, che dell’Arte ne avrei fatto una ragione di vita”. Un vissuto ricco, da conoscitrice approfondita delle tecniche, oggi propensa al confronto con una concettualità retta dal libero pensiero creativo, ove la tecnica non sia fine in se, ma mezzo di ricerca di un significante. 15


CORRADO ALDERUCCI

Se guardiamo un’opera di Corrado Alderuccisorge naturale notare alcuni canoni che richiamano in parte il movimento artistico del Simbolismo. Non parlo del classico simbolismo di Moreau ma vorrei sottolineare come sia importante l’”idea” concepita come protagonista dei quadri di Alderucci e come elemento di incontro tra variepercezioni, sia materiali che più spirituali. L’arte pittorica di Alderucci è molto raffinata, e si contraddistingue per un’aurea artistica che rapisce l’osservatore. Il suo percorso artistico è molto

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ricco di partecipazioni ad importanti collettive ed eventi di notevole rilevanza e ciò dimostra che la sua arte è molto apprezzata sia dagli addetti ai lavori che dagli appassionati. Alcune opere di Alderucci testimoniano come continuamente il suo “io” si sovrapponga a pensieri differenti talvolta più drammatici, altre più solari. Si creano dunque simbologie geometriche create trascendendo la realtà e immergendo la propria anima in un vortice di forme scomposte, che richiamano soggetti come la casa, la matita, un profilo di un uomo. Dunque la sua arte s’ispira ad una visione informale ove i simboli sopra citati captano sentimenti contrastanti che assumono un significato talvolta psicologico, molto amplificato dalle personali emozioni. Nascono particolarità che rimandano ad idee già presenti nell’animo del pittore e che vengono raffigurate perseguendo una singolare creatività che fa nascere differenti trasposizioni. La sua pittura percorre a volte sentieri informali che sono precursori di un mondo esterno guardato con occhi diversi, con il desiderio di raccontare un viaggio molto profondo. L’opera dal titolo “Dove la notte e il giorno si abbracciano senza fine” rivela la capacità di Alderucci di entrare nelle parti più recondite dell’animo e riportarne i segni per mostrarli al pubblico. Sussiste una composizione segnica e cromatica ove risalta un’elaborazione molto raffinata che evidenzia un’autorevolezza tecnica importante. La qualità artistica della sua ricerca può essere considerata un mezzo per estrinsecare un messaggio più nascosto e innalzarlo ad una dimensione sublime. Le matite, le barchette di carta proposte dall’artista nei suoi più recenti lavori, si manifestano come segni di un universo di disarmante semplicità, sono le testimonianze di un passato, le tracce di quell’uomo faber che rappresentava attraverso la sua operatività manuale, l’ancestrale pulsione umana al conoscere attraverso l’esperienza. Il modello conoscitivo contemporaneo passa attraverso una percezione virtuale della realtà, la simulaziome elettronica esclude le mani dal processo dal fare e produrre. L’artista propone la matita come simbolo e archetipo, il medium tra l’immaginazione e l’azione creativa.


INES DANIELA BERTOLINO

“L’artista del Silenzio s’inebria del sogno, ed allora lo spettatore che guarda un’opera fatta e costituita da linguaggi di silenziosi spazi, s’accosterà a quest’arte del racconto pittorico come a un paesaggio proprio, a un paesaggio interiore, a un paesaggio di contemplazione…” Nata a Torino dove avviene la sua formazione artistica. Si diploma al Liceo Artistico di Torino e consegue l’abilitazione per l’insegnamento dell’educazione artistica. Approfondisce la sua formazione frequentando l’Accademia di Belle Arti e i corsi di grafica pubblicitaria, successivamente si specializza per l’insegnamento agli alunni portatori di handicap. Frequenta il Corso Internazionale per l’incisione artistica presso l’ISIA di Urbino.

La sua passione per la pittura è molto precoce, fin da bambina manifesta un’attrazione particolare per il disegno e per i colori. Esordisce nel 1983 con la sua prima personale presso la galleria “Bodoni studio” di Torino. A questa prima esposizione seguono numerose mostre personali, collettive, riconoscimenti e premi tra i quali citiamo: nell’anno 1986 il secondo premio al Concorso Nazionale “Premio ARTE Mondadori”, nell’anno 1996 il primo premio “F.Vasapolli” di Avigliana per cui dipinge anche il Palio per il torneo storico, nell’anno 1998 e 2000 allestisce due ampie mostre personali presso le sale delle gallerie FOGLIATO e FOGOLA di Torino, nell’anno 2002 presso la galleria “LE COUP DE COEUR” di Losanna partecipa ad una interessante rassegna artistica sul tema delle ROSE. Nell’anno 2004 vince il premio- selezione e pubblicazione presso la libreria “BOCCA” di Milano.Ha esposto le proprie opere presso la galleria ART LINE di Mannheim. Figura tra i soci fondatori del Piemonte Artistico e Culturale ed è stata socia della Promotrice delle Belle Arti. Di lei hanno scritto: C. Accostato, F. Albertazzi, A. Allegretti, C. Armando, G. Auneddu, M. Battista, G. Biasutti, D. Bionda, V. Bottino, Calascibetta, A. Calella, P.L. Camparini, A. Capri, M. Centini, M. Cerreti, G. Dangelo, C. Ferraresi, Gallo, E. Ghigo, S. Greco, La Penna, P. Levi, P. Masetta, G. G. Massara, G. Milani, A. Mistrangelo, A. Miredi, A. Oberti, S. Origliasso, G. Polinetti, G. Reverdini, Tavernari.

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RENZO SBOLCI

“Se Ingres ha posto ordine alla quiete, io vorrei, al di là del pathos, porre ordine al movimento”. Ernst Paul Klee, grande interprete dell’astrattismo, intendeva l’arte come un preciso discorso sulla realtà, e non solo come “riproduzione” della realtà. Questo pensiero nitido e complesso, assolutamente sincero, è la via che Sbolci percorre da sempre. Abbandonate le tele e gli oli, ha trasportato il suo mondo, o meglio, la sua visione del mondo e della realtà coniugata attraverso l’astratto, sulla tavola lignea, sagomata e lavorata come fosse materiale plastico. Forandola come fece Fontana con le tele, muovendone bordi e superfici interne alla ricerca della plasticità, non stando nella volumetria di un Mastroianni ma cercando quel connubio tra pittura e scultura e rapporti dimensionali che fanno divenire le sue opere e i suoi Totem una “terza via” espressiva. L’olio ha lasciato il posto al pastello e alla matita acquerellabile, utilizzati con maestria e leggerezza, con intensità o delicatezza, e con un risultato astratto e di profondità di segno molto interessante.

La matericità ha lasciato posto a campiture di stratificazioni cromatiche leggere che senza spessori arrivano a evidenze coloristiche anche intense quando non urlate, oppure al contrario molto tenui, e in ogni caso sempre elaborate in modo astratto. Le definizioni e le separazioni delle campiture cromatiche nette, effettuate con tratti neri o molto scuri sia abbozzati che marcati, i volumi ascritti a piani di composizione e di lettura, l’iterazione di segni e segmenti, la successione di linee curve e spigolosità, le alternanze di gamme estese di cromie: tutto contribuisce a restituire profondità e dinamismo alle tavole senza mai perdere di vista ricerca e riproposizione della personale interpretazione

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dell’astratto che Sbolci persegue. Al fruitore le opere di Sbolci offrono così uno straordinario risultato di lettura, che vede sviscerato ed esaltato tutto il senso della ricerca di quel “movimento ordinato del caos” e il dialogo che l’artista compie nell’incontro-scontro tra pieni e vuoti, tra assenza e essenza, tra interno ed intorno. Un dialogo sentito e profondamente vissuto e sofferto, ma esposto in maniera gioiosa, “danzando” sulla tavola lignea come a volteggiare sul palcoscenico della realtà. Un confronto teso e costante, sincero e colmo di domande sulla realtà che lo circonda o che lo colpisce e sulla Vita nell’accezione più vasta del termine, con spunti improvvisi, riflessioni, punti interrogativi, dubbi che Sbolci esprime con sincerità, sdrammatizzando con la sua ironia toscana le brutture, e in definitiva materializzando in Arte il suo personale pensiero di Uomo ed Artista. Michele Franco


LORENZO CURIONI

Lorenzo Curioni, pittore brianzolo, intesse sulla tela un profondo rapporto tra l’uomo e lo spazio, una relazione per lo più giocata nell’habitat urbano dove la presenza umana traccia la sua storia e si affaccia facendo sentire i diversi ritmi della sua quotidianità o impregna di sé attraverso i segni del suo passato con cui ha imparato da sempre a coabitare.

L’artista dipinge questa realtà complessa, ne conosce luci ed ombre. Inoltrandosi nelle sue periferie, facendosi largo tra gli interni dei suoi angoli più degradati od occhieggiando i luoghi deserti delle sue fabbriche dismesse si rimane catturati ascoltando il silenzio che ci investe e ci avvolge in un’atmosfera intrisa da questo inquieto legame uomo-spazio. Sono opere senza retorici rimpianti che ritraggono un mondo trascorso di intensa vita vissuta. Il novecento lombardo, con la sua rapida industrializzazione, ha lasciato un ricco bagaglio di fermenti, testimonianze, e nondimeno di arte, che arriva fino ai nostri giorni e con il quale il terzo millennio fa i conti. I pietrificati silenzi dei paesaggi urbani sironiani, le irrequietezze chiariste, i disagi e le speranze, che si vissero nell’epoca dell’inurbamento, si ritrovano in quella tradizione lombarda di cui Curioni porta i segni, naturalmente ormai lontani e rivisitati. In queste aree, che l’artista ricrea,viene tratteggiata la fine irreversibile di un’epoca e nel contempo ciò che appare in questa prima parte del terzo millennio: infatti gli spazi periferici , seppure anonimi, rivendicano una loro attuale identità collettiva, rivelano un loro modo d’essere all’interno di una tavolozza chiara fra gamme di grigi e celestini, terre tenui aranciate od ocracee, luci pacate e soffuse. I contorni delle cose sono leggeri, spesso al limite dell’accenno, mentre i piani cromatici si susseguono in profondità all’interno di una composizione di rigorosa coerenza.

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ANTONIO TRAMONTANO

Dopo aver conseguito il Diploma di Maturità d’Arte cura di Marinella Ambrogi e Patrizia Mari Centro EspoApplicata presso l’Istituto Statale d’Arte di Isernia, si sitivo Rocca Paolina Fondazione Culturale Luciano Bocdiploma presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli nel cardini corso di Pittura del Prof. Raffaele Canoro. Docente di Arte e Immagine, svolge attività artistica presso il suo studio a Pesche (Is) in via Giovanni XXIII. In qualità di direttore artistico ha curato e cura diversi eventi nella provincia di residenza, mentre nel 2008 ha curato le attività espositive per il I centenario ISA, Istituto Statale d’Arte di Isernia. MOSTRE PERSONALI 2008 - Archetyp’Art Gallery, Termoli (curatore A. Picariello) 2016 - Galleria Cent8anta Isernia Il colore è una liberazione del tempo. Riflessione sulla svolta cromatica di Antonio Tramontano (curatore Tommaso Evangelista) Ultime…MOSTRE COLLETTIVE / GROUP EXHIBITIONS Nuova Composizione Sperimentale, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Termoli (curatore A. Picariello) 2007 - L’immaginazione al potere. Mostra intergenerazionale di artisti abruzzesi e molisani, Galleria Angelus Novus, L’Aquila (curatore A. Gasbarrini, A. Picariello) 2008 - Artisti per il Ciad, Termoli (curatore G. Siano) 2009 - Cibart, Ex Gil Campobasso (a cura di Nino Barone) 2015 - Biennale Arte Contemporanea Città di Perugia a 20

2016 - Sottobraccio Collettiva d’Arte Contemporanea a cura di Rossana Bucci e Oronzo Liuzzi Corato (Ba) Museo della Città Territorio 2016 - Spoleto Art Festival Arth in the City 2017 - (S)confini- Impressioni dal margine. AratroGalleria Gino Marotta-Università Degli Studi del Molise a cura di Lorenzo Canova, Tommaso Evangelista, Piernicola Maria Di IorioGiudici)


EMILIA ROMAGNA

ArtParma Fair

To rn a la F iera d ’A rt e M oderna e Cont emporanea: 5 -6 e 11- 12- 13 ot t obre 2019

Dopo il successo dell’edizione autunnale, torna ArtParma Fair, giunta alla sua 11ª edizione. La fiera dedicata all’Arte Moderna e Contemporanea, si svolgerà per due weekend consecutivi nelle date 5-6 e 11-12-13 ottobre 2019 presso il quartiere fieristico parmense (INGRESSO OVEST), in concomitanza con Mercanteinfiera, la più grande fiera dell’antiquariato d’Europa che conta decine di migliaia di visitatori provenienti da tutta Italia e dall’estero. Con oltre 80 espositori, la manifestazione si caratterizza per essere un importante palcoscenico culturale. Molto più dunque di una mostra-mercato di Gallerie, ma una ragionata e analitica selezione per dar luce alle correnti artistiche, dalle più influenti a quelle emergenti – dal Futurismo all’Astrattismo e Metafisica, dalla Pop Art all’Informale sino all’Arte concettuale - con un focus speciale posto proprio sulle ultime tendenze e sugli artisti che meglio le rappresentano. ArtParma Fair, per questo, rappresenta un importante momento di scambio e di confronto, un appuntamento immancabile per i collezionisti alla ricerca dell’opera su cui fare il giusto investimento, un’occasione per esperti del settore alla ricerca di proposte artistiche selezionate e di valore. Oltre alla curata selezione di Gallerie d’Arte italiane storicizzate e di grande importanza, verrà presentata la sezione Contemporary Art Talent Show, il progetto di Arte Under 5000 Ac-

cessibile di Nord Est Fair, che seleziona gallerie, associazioni, artisti indipendenti e collettivi che presentino opere d’arte dal costo inferiore ai 5000 euro, per dare l’opportunità a progetti e realtà indipendenti di entrare a contatto con il grande mercato artistico, godendo del feedback mediatico che solo le grandi fiere assicurano. L’occasione per investire su talento e creatività, per soddisfare un collezionismo colto e sofisticato, dando la possibilità di porre sotto una nuova luce il fare arte nella contemporaneità. In più, ArtParma Fair presenta anche in questa edizione una variegata ed esaustiva panoramica di eventi collaterali, con incontri, conferenze e presentazioni, presso l’Area Convegni. La folta platea di Gallerie d’Arte riunite dall’Italia, riporta la città emiliana ad essere centro di gravità delle più autorevoli correnti della pittura, del design, della fotografia, delle arti grafiche e scultoree.

DATE E ORARI sabato 5 e domenica 6 ottobre 2019 dalle 10.00 alle 19.00 venerdì 11, sabato 12 e domenica 13 ottobre 2019 dalle 10.00 alle 19.00 21


PALAZZO REALE PIAZZA DEL DUOMO, 2 - MILANO PRERAFFAELLITI. AMORE E DESIDERIO 19 giugno-6 ottobre 2019 L’esposizione “ I Preraffaelliti. Amore e desiderio” nelle sale del Palazzo Reale a Milano rivela agli spettatori il mondo artistico dei diciotto artisti rappresentati mostrando, grazie alla celebre collezione londinese Tate, la storia, la poetica e il percorso evolutivo del movimento che nasce intorno alla metà dell’Ottocento in Inghilterra. La ras-

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segna è composta da ottanta opere , numerose delle quali difficilmente sono date in prestito, ed è articolata per sezioni tematiche così da esplorare gli obiettivi , gli ideali, gli stili dei vari artisti, compresa l’importante parte grafica. Soprattutto circa le arti applicate risulta fondamentale lo spirito collaborativo che unisce gli artisti fra loro.


LOMBARDIA Il Preraffaellismo mette in risalto l’ amore, il desiderio, la “ lealtà “ verso la natura trasposta fedelmente sulla tela, la poesia, il mito , le storie medievali, la bellezza in tutte le sue forme: muta il modo stesso di concepire l’arte e il fascino che esercita il movimento è determinante nel processo formativo delle generazioni successive di artisti. Centrale è la poetica alla quale ha contribuito anche la cultura italiana pre-rinascimentale da cui deriva l’idea di “modernità medievale” che caratterizza specie la prima fase del gruppo. Nel 1848 in Europa scoppiano rivoluzioni politiche e sociali che sconvolgono quasi tutti i paesi; l’Inghilterra è in piena fase vittoriana quando ha inizio una ribellione che parte proprio dall’ambiente accademico dove tre studenti, Hunt, Millais, D.G. Rossetti, rifiutano le convenzioni anacronistiche e le regole rigide e stantie della Royal Academy alla ricerca di un’arte vitale. In quello storico anno i tre giovani pittori si uniscono con Collison, lo scultore Woolner e i critici d’arte W.M.Rossetti e Stephens e fondano la Confraternita Preraffaellita ispirata alla semplicità e alla naturalezza dell’arte precedente Raffaello, specialmente di quella dei pittori del Quattrocento italiano. Con lo sviluppo del movimento gli uomini e le donne che vi aderiscono sperimentano nuovi stili di vita e relazioni personali, radicali quanto la loro arte. Dal 1850 al 1855 pubblicano una rivista artistica e letteraria per divulgare le loro idee estetiche, mistiche e anche sociali. In una seconda fase la corrente rivolge la sua principale attenzione verso l’artigianato per superare l’alienazione dell’industria e incrementa una concreta produzione di arte decorativa che influisce sulle correnti simboliste e dell’Art Nouveau del tardo Ottocento. Questa mostra merita di essere visitata, “ Le persone rinsaviscono ammirando quadri capaci di nobilitare lo spettatore” (John Everett Millais, pittore preraffaellita)

Organizzazione: Comune di Milano-Cultura ; Palazzo Reale-Gruppo 24 ore; collaborazione del Tate di Londra Costo: 14 euro; 12 euro ridotto Orari: lun. 14,30 -19,30; mart. merc. ven. dom. 9,30-19,30; giov. sab. 9,30-22,30 Curatela: Carol Jacobi Sito: http://mostrapreraffaelliti.com Telefono: 39 02 54914

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LOMBARDIA

L’universo di Emilio Tadini in mostra EMILIO TADINI 1967-1972 “Davanti agli occhi, dietro lo sguardo” 28 marzo – 19 luglio 2019

La mostra milanese intende approfondire l ‘opera pittorica e grafica di Emilio Tadini ponendo l’accento sugli esordi in cui prendono avvio i primi cicli di opere. L’artista è un valido pittore del secondo dopoguerra del Novecento e, nel contempo, si presenta come figura poliedrica e complessa essendo anche saggista, poeta e scrittore. “La prima grande serie – afferma lo stesso Tadini- è La vita di Voltaire dove si vede l’influenza della metafisica e si alleggerisce la materia pittorica. Uso fondi chiari monocromi e comincia un po’ la storia della mia pittura.” L’artista milanese dipinge sviluppando diversi cicli, si lascia influenzare dalla Pop Art inglese, dalla pittura di De Chirico e di Picasso fino a definire un linguaggio sempre più raffinato, originale, onirico di figurazione. Il suo immaginario è popolato da un figurato surreale nel quale convergono elementi letterari, oggetti quotidiani, spesso frammentari, dove le leggi dello spazio e del tempo e quelle della gravità sono annullate. Le opere nascono da un clima emotivo e le situazioni reali sono immerse nell’atmosfera allucinata del sogno: i suoi quadri sono dei racconti tant’è che la sua pittura a cicli procede come un romanzo a puntate ma le immagini sono solo apparentemente semplici.

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Egli costruisce i suoi quadri secondo una tecnica di sovrapposizioni in cui ricordo e realtà, tragico e comico, giocano di continuo uno contro l’altro. L’obiettivo della mostra è riportare alla luce sia il lavoro pittorico che quello grafico che lo affianca; il periodo scelto, 1967-1972, è particolarmente intenso e prolifico. E’ un intellettuale a tutto tondo e la pittura e il romanzo sono le forme in cui esprime in maniera più significativa la sua poetica. Tadini è principalmente un pittore che raffigura il caos del mondo. Tra il 1950 e il 1960 il neorealismo sta lasciando il posto a una proposta di avanguardia radicale e formalista: nelle arti visive , la nuova egemonia americana della Pop Art si avvicenda all’espressionismo astratto dell’informale aprendo tuttavia spazi nell’ambito della pittura che intenda rinnovare i presupposti estetici della figurazione. E proprio a questo rinnovamento guarda TadinI: il suo intento è quello di distinguere ciò che è nuovo da ciò che invece appare vacuo esercizio di stile o pretenzioso tentativo di avanguardia. La rassegna di questo grande artista italiano è da non perdere.

Fondazione Marconi Via Tadino, 15 20124 Milano Orari:martedì-sabato 11.00- 19.00 Telefono: 02 29419232 Ingresso gratuito www.fondazionimarconi.orge

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LORCAN WALSHE

Lorcan Walshe, senza un solo dubbio, è un’icona vivente (nato nel 1952), ha frequentato la Sligo School of Art, Sligo R.T.C. e il National College of Art and Design di Dublino negli anni ‘70 - quando il Modernismo stava svanendo e il Post Modernismo stava incubando come un sogno bagnato nelle menti degli accademici americani e degli opportunisti europei. Negli anni ‘80, quando la corsa agli armamenti era incredibilmente fuori controllo, organizzò e curò una mostra di artisti irlandesi sulla Guerra Nucleare - Walshe coinvolse anche artisti russi in questo progetto e viaggiò a Mosca dove persuase il governo sovietico a consentire il loro lavoro essere mostrato in Irlanda accanto a quello dei pittori irlandesi. Walshe ha tenuto la sua prima mostra personale nel 1982 e da allora ha avuto numerose mostre. Nel 1994, ha tenuto una mostra dal titolo Paradiso perduto a Warrington Museum, in Inghilterra, come un atto di simpatia nei confronti di coloro che sono stati uccisi e feriti a causa di un I.R.A. bombardamento a Warrington. La mostra si è poi esibita in Danimarca e Repubblica Ceca e ha ricevuto il Premio europeo Kaleidoscope. Nel 2007 - 2008 Lorcan Walshe ha tenuto una mostra al National Museum

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of Ireland intitolata The Artefacts Project. Questa mostra ha esplorato l’arte irlandese indigena dal Medioevo attraverso il linguaggio della pittura contemporanea. Ha anche avuto numerose mostre personali in gallerie commerciali e mostrato in mostre collettive negli Stati Uniti, in Francia e in Inghilterra.


Quando ha chiesto della sua infanzia e della sua prima opera d’arte, Lorcan Walshe ha gentilmente risposto: “La mia infanzia era seriamente disfunzionale - alcolismo, violenza e fondamentalismo religioso ... Riesco vagamente a ricordare i disegni che ho fatto durante l’infanzia. di “arte” che ho creato era probabilmente quando avevo 10 anni, la mia nonna paterna era un tiranno, che inesorabilmente infliggeva dolore a mia madre, e nessuno osava sfidarla: ho dipinto una grande bara sul muro della mia camera e ho scritto sotto “La nonna è morta, finalmente.” “ Da allora il suo percorso artistico si è trasformato in sfida, oscurità e bellezza. Dipingere per lui è una continua ricerca di una comprensione dell’essere vivi. Quando lavora direttamente dall’osservazione, come dipingere un ritratto, la luce è più importante del colore. Quando non lavora

dall’osservazione, quando lavora dal suo io interiore, i colori diventano più importanti delle luci. Lorcan Walshe ha una visione meravigliosamente onesta di chi è - straordinariamente sensibile e capace di concentrarsi profondamente su un’idea che viene dall’interno e la trasforma in qualcosa di unico che eccita i sensi. Alla domanda su quale sarebbe il consiglio che avrebbe dato alla prossima generazione artistica, la sua risposta fu: “Metti lo spettacolo che vuoi vedere”. Il lavoro di Lorcan Walshe non ha lo scopo di sfidare nessuno o qualcosa- fa i dipinti e i disegni che ha bisogno di vedere. Non si aspetta che nessuno possa sperimentare il suo lavoro mentre lo visualizza, ma quando succede, è sorpreso e grato. Questo tipo di devozione e attenzione è davvero ciò che rende un artista.

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FRIULI VENEZIA GIULIA

Le opinioni di Graziella Valeria Rota Nel segno di (Korfu)

Segni, linee finissime, sovrapposte, parallele, per niente fragili anzi, più alla composizione, che esce pregna di energia. Dice: “mi piace molto la linea

Info: genteadriatica@libero.it

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sottile, la trovo sensuale, elegante; ci metto delle linee più marcate o grosse per dare contrasto e forma. Il desiderio è di dare una sensazione, una emo

fabriziobidoli@gmail.com

zione. Ogni disegno è un mio mondo, un momento del mio vissuto presente o passato, vivo in quelle grafiche”.

Vive a Clauiano di Trivignano Udinese, Fabrizio Bidoli in arte <korfu> sin dagli anni Ottanta sperimenta diverse tecniche pittoriche e grafiche in supporti e materiali eterogenei – dalle plastiche ai tessuti, alle forme più tradizionali su tela- sempre però con una marcata e decisa impronta di matrice espressionistica, nella caratura quasi materica del segno surrealista, nella dimensione onirica e metafisica che pervade gran parte della sua produzione. Questa stessa, nel tempo, si configura all’interno di una poliedricità espressiva, dando vita ad una produzione di oggetti d’arte, dalle lampade, ai teli, alle opere in plexiglas, tutti rigorosamente frutto di una fantasia creativa volta a innescare all’interno della materia stessa, la cifra di una semantica del segno connotata dal vigore espressivo e dalla iffusa policromia delle forme. Si susseguono così, in una periodizzazione stilistica, oggetti d’uso comune e funzionale, tutti marcati p erò da una ben precisa e individuabile personalità, dove il gesto espressivo e la cifra del olore, si intessono in una ibrazione emozionale che ende al recupero delle forme e degli stilemmi propri di una matrice novecentesca. Ma non si tratta di una clonazione di rchetipi, quanto di un sentimento di affinità all’interno di percorsi stilistici che ad una felice commistione tra esperienza del e nel colore e forza del grafema, del simbolo gesto, nella determinatezza conologica dell’ apparenza. Opere aperte, che declinano la loro appartenenza su più versanti interpretativi, superfici modulate da tratti di raro ed ntenso vigore espressivo, metafore, si direbbe, di una sostanziale estraneità verso i ercorsi più risaputi e battuti, alla ricerca dell’imprevisto e dell’imprevedibile che lascia “traccia” nella relazione tra testo, sia esso una tela, una superficie plastica o un tessuto, ed icona, tra superficie picta e anamnesi interpretativa, tra la superficie che emerge e il dialogo dei segni.


dal Museo d’Arte Moderna “Ugo Carà” a Muggia –TriesteInaugurata presso gli spazi espositivi in Via Roma 9 la Mostra Fotografica di STEFANO CIOL intitolata: <NATURA, FRA SPLENDORI E FERITE>

Numerosi sono i volumi che ha illustrato e firmato assieme al padre, affianca al lavoro professionale la ricerca personale. La sensibilità per le luci e per le ombre che svelano e connotano la realtà lo ha portato a un’opera continua di aggiornamento tecnologico, a incrociare le tecniche tradizionali con quelle più recenti e avanzate allo scopo di perfezionare la corrispondenza tra la propria visione e l’immagine finale. Questo processo trova piena evidenza nel controllo delle tonalità della sua fotografia di paesaggio in bianco e nero, rilettura in chiave contemporanea di un genere che affonda le proprie radici nella storia stessa della fotografia. Se la fotografia fosse la oesia, queste immagini racconterebbero parole dolcissime e suadenti, mormorerebbero antichi privilegi che solo l’essere umano sa cogliere, vedere e tradurre in immagine, sussurrare la gioia, ovvero essere spazio e visione oltre il tempo

Stefano Ciol , erede di una dinastia di fotografi, vive e lavora a Casarsa della Delizia – Pordenone.

Info: genteadriatica@libero.it stefano@fotociol.it

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LAZIO

ASSONANZE, SEGMENTI DELL’ESPRESSIVITA’ di Rocco Zani Dieci autori a confronto su piani distinti ma comunicanti Pignataro Interamna - 1-31 luglio 2019

Dante D’Andrea

Vittorio Miele

ASSONANZE è un crocevia di assorte considerazioni, o forse di generose ipotesi. Da un lato un ragionevole intervento ricognitivo sulla storia artistica recente (dal secondo Novecento ad oggi) di territori “comunicanti” che si incontrano e interagiscono proprio attraverso lo sguardo e l’opera di alcuni dei loro autori più significativi e rigorosi. Dall’altro è un altrettanto ragionevole contenitore affettivo colmo di riflessioni remote sullo scambio di condivisioni declinate sulla vicinanza di pratiche progettuali. La mostra è una sorta di percorso in “tandem” – per indizi e proposte - che è oltremodo evocativo di quanto gli arti-

sti presenti hanno indicato e compiuto durante il proprio cammino espressivo. Ma è anche un ritrovarsi dopo rotte distanti e appartate, navigazioni nei mari burrascosi del dubbio e dell’attesa, ai margini di territori di transito e di rivelamenti. ASSONANZE è soprattutto uno spaccato eloquente di quanto la “memoria”, più o meno remota, sia in ogni caso volano di conoscenza, di osservazione, di prospettiva. Ovvero rendiconto – mai risolutivo – di storie ed esperienze artistiche capaci di indicare e suggerire percorsi e bagliori inusuali.

Mario Velocci

Michele Peri

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Elmerindo Fiore

Gaetano Zampogna

La mostra, ordinata nel Comune di Pignataro Interamna,nella provincia di Frosinone (in una dichiarata volontà di decentramento logistico), raccoglie le opere di dieci autori che hanno attraversato la Storia dell’Arte del secondo Novecento con assoluto rigore linguistico proponendo autonomamente cifre espressive di grande interesse. Si incrociano infatti, in questa rassegna, le “voci” più autentiche e originali definite in un progetto espositivo che evidenzia proprio la diversità e l’autonomia dello “sguardo” che comunque si fa, collettivamente, proposta e cortile di intenti. La rassegna si definisce pertanto in cinque ideali segmenti linguistici nel tentativo di offrire all’interlocutore una di-

mensione ampia e significativa di quanto “prodotto”, sul piano stilistico e narrativo nell’arco degli ultimi decenni. E’ in queste “isole” temporali ed espressive che si è consumata e continua a vivere (attraverso questi autori) una Storia artistica che è matrice, intima e vibrante, di una intera comunità. La “procedura del confronto” in verità è più benevolmente un itinere comune, dettato da commistioni poetiche, da intendimenti, da progressivi incroci. Come staffette amorose gli autori – le loro opere – sembrano dialogare vicendevolmente e riempire (di volta in volta) ciò che l’apparenza potrebbe suggerire come solco di estraneità o pianoro assetato.

Dalida Borri

Fernando Battista

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Alberto D’Alessandro GLI AUTORI La mostra definisce il suo prologo, Memorie, nelle opere di Dante D’Andrea e Vittorio Miele, entrambi scomparsi alla fine del secolo scorso e figure di riferimento per molti autori delle generazioni successive. Una matrice di chiara “figurazione” novecentesca la loro che, seppur per incessanti distinti, trova la massima espressione in una ricerca tesa a rivisitare le “accomodanti” valenze delle origini per proiettarsi lungo una “indefinita” impostazione linguistica che li porta, entrambi, a scrutare l’aspetto più intimo, più doloroso, insofferente o esitante dell’essere uomo. Ovvero di una esistenza che fa i conti con il “disorientamento” dei repentini trasformismi, con gli “accenti” biblici del Novecento, con le incertezze incalzanti. Se Miele ha fatto (seppur involontariamente) di Cassino, sua città natale, l’epicentro biblico – la distruzione, l’orrore – della sua vicenda artistica e umana affidando ad una sorta di “affanno” cromatico la cifra elaborativa del suo racconto, i dipinti e le carte di Dante D’Andrea rimandano a più rasserenanti esiti, anche se la sua pittura prende in prestito – manipolandolo con originale personalismo – quel “sentire” formale che ha reso unico il linguaggio espressivo del dopoguerra nel nostro paese. Oggi entrambi, seppure per sponde e per afflati diversi, restano approdi di conoscenza, contenitori di un remoto recente che è comunque paternità rigorosa di nuovi attraversamenti. Ai Cromatismi rimandano le opere di Alberto D’Alessandro e Antonio Tramontano, qualificate proprio da un’intensa ricerca sulle cromie che sembrano farsi sillabario insostituibile di una narrazione più o meno palese. Immagini sospese, appena percepibili, avvolte o sopraffatte da intense opacità di biacca e cadmio, di vermiglio e ocre. Come ad individuare, nel cortile delle tonalità, la giusta sintesi di scrittura; quel linguaggio confidenziale in D’Alessandro, quello sollecito, privo di edificazioni formali in Tramontano. Il colore, per entrambi, come contatto e collisione, come vocìo e sguardo. Quasi alchemici i riferimenti espressi in Madre Terra da Michele Peri e Mario Velocci . Una sintesi formale che rintraccia nell’energia di una memoria lontana i palpiti del tempo nuovo. Fanno loro i ritmi e i cicli della terra, il battito della luna, le diavolerie del fuoco. Tende a ricucire sonorità astrali Mario Velocci, a riordinare sulle campiture di acciaio i fili dell’origine. All’eco, alle sobillazioni del vento, si affida

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Antonio Tramontano

Michele Peri, per rifiatare tra le rovinose trincee del quotidiano. Art Media è un “cortile” di esperienze multiple dove la poesia, la pittura, la fotografia sono state – e sono – per Elmerindo Fiore e Gaetano Zampogna, reticolo di suggerimenti, di approfondimenti, di incroci talvolta inestricabili. Immaginare e “praticare” la rappresentazione della “trasparenza” (e pertanto di una evoluta contraffazione del cosiddetto reale) è il segno esplorativo che da decenni suggerisce, per parole e immagini Elmerindo Fiore. Più “radicato” alla pratica della pittura – ma anche in tal caso nell’iconico ruolo di “manipolatore” – Gaetano Zampogna affida ad un bizzarro ed inedito “bestiario” il senso – o la sostanza – di un più intimo processo testimoniale. Che è denuncia, indagine, pronunciamento. Informale Informali conclude, quasi idealmente, questo ciclo di narrazioni e appunti e lo fa con le opere di Fernando Battista e Dalida Borri che affidano ad una sorta di “turbamento plastico” i segni e le idee della propria navigazione. Ma se lo scomparso Fernando Battista tentava un inconsueto equilibrio (soprattutto cromatico) tra la degenerazione della figura e la sua più compiuta assenza, Dalida Borri pronuncia un dettato espressivo incessante, ripetuto come refrain cromatico di bagliori e accenti recepito come vera e propria “invasione” dello spazio. Ecco allora - in quello che potremmo indicare come istruzioni per l’uso - la specificità intima di questa rassegna, il senso e la sostanza di un breve ma incommensurabile viaggio. Nella Storia recente dell’arte, nella Storia nascosta degli autori. Nella Storia emozionante delle loro opere. MEMORIE Dante D’Andrea Vittorio Miele

ART MEDIA Elmerindo Fiore Gaetano Zampogna

CROMATISMI Alberto D’Alessandro Antonio Tramontano

INFORMALE INFORMALI Fernando Battista Dalida Borri

MADRE TERRA Michele Peri Mario Velocci


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EFRAT CYBULKIEWICZ

Illustratrice, pittrice, fotografa e artista multiculturale di origine ceca, polacca, tedesca e colombiana. Nata in Venezuela nel 1979 e cresciuta in Israele, ha vissuto un breve periodo in Colombia, ha vissuto la maggior parte della sua vita negli Stati Uniti e attualmente vive in Italia. Non importa quanto ovvio possa sembrare, la vita di Efrat è una rarità complessa e affascinante. Autodidatta auto-confessata: Efrat rifiuta qualsiasi allenamento formale, preferendo invece sviluppare il proprio tocco e servire la mente. Il suo scopo principale è offrire metafore visive con la connessione spirituale che rivela il sublime nascosto nella bellezza in serendipità. E cerca un’ispirazione

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così profonda sotto il velo della sua coscienza, fornendole il significato di tutte le interazioni con il mondo esterno e la risposta personale. Un luogo che può essere considerato desolato e desolato, ma è uno spazio in cui può far emergere la risonanza che vive in lei; la purezza che non oserà fingere. La sua creazione artistica deve avere un contenuto emotivo. Sentimenti di isolamento, solitudine, tranquillità pervadono nelle sue opere. Tutto vicino al suo modo di pensare, alla sua esperienza e alla sua vita. La versione della sua arte dà uno sguardo a queste profonde ricerche.


Efrat Cybulkiewicz ha iniziato ad ottenere riconoscimenti nel 2016, quando è stata nominata tra i finalisti di “Show Your World - International Art Competition 2016” il suo primo tentativo, e con un’illustrazione. Anche se non ha preso parte all’evento, a causa di un’emergenza familiare, il marito ha immediatamente allestito uno studio nella loro casa, lanciando la sua carriera artistica. Nel 2017 Efrat è entrata a far parte del Movimento Surrealista. Conosciuta come “International Surrealism Now”, la più grande esposizione e comunità surrealista internazionale del mondo, dedicata alla promozione del Surrealismo del XXI secolo. Progetto innovativo presentato da Santiago Ribeiro, pittore surrealista portoghese e curatore. Nel corso della sua vita, il suo lavoro è stato esposto in gallerie e musei in Colombia, Italia, Francia e Portogallo. Nel 2019, AR [T] MOIRE è stato creato. Un piccolo oasi di bellezza, creatività e intelligenza. Questo spazio chic è stato creato dall’ex artista indipendente italiano Efrat Cybulkiewicz, che rappresenta una straordinaria passione per l’arte - arte che possiede un significato profondo e magnifiche emozioni - e che si è sempre impegnata a rendere l’arte accessibile al pubblico. Efrat Cybulkiewicz crede che ogni artista in tutto il mondo meriti un sostegno che fornisca un incoraggiamento attivo per la promozione della loro causa, avventura o scopo. un modo per restituire alla comunità artistica il sostegno incondizionato che ha ricevuto.

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SOCIETA’ DELLE BELLE ARTI

CIRCOLO DEGLI ARTISTI CASA DI DANTE IN CONFORMITA’ AI SUOI FINI INDICATI NELLO STATUTO, TESI ALLA PROMOZIONE DELL’ARTE E DEGLI ARTISTI NEL LORO DIVERSO OPERARE INDICE:

1° EDIZIONE 2019

BIENNALE DI GRAFICA

CASA DI DANTE

DISEGNO E ILLUSTRAZIONE

INCISIONE (acquaforte, xilografia, acquatinta, ceramolle) maniera nera, puntasecca,acciaio, litografia) COMPUTERGRAFICA FUMETTO E CARTONI ANIMATI

PER BANDO DEL CONCORSO, INFORMAZIONI E ISCRIZIONI VISITA IL SITO

www.biennalegraficacasadante.com

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Via Santa Margherita 1/R 50122 FIRENZE - TEL. +39 055218402 www.circoloartisticasadante.com - info@circoloatyisticasadante.com


La Società delle Belle Arti - Circolo degli artisti “Casa di Dante” organizza la 1° edizione del “Concorso Internazionale Biennale di Grafica” Il tema della manifestazione è “L’uomo e la macchina” In occasione dei cinquecento anni dalla morte di Leonardo Da Vinci e traendo ispirazione dalla versatilità del suo impareggiabile “genio”, la Società delle Belle Arti - Circolo Degli Artisti “Casa di Dante” di Firenze, ha deciso di celebrare quest’anniversario organizzando la prima edizione del Concorso Internazionale Biennale di Grafica incentrato sul tema “L’uomo e la macchina”. Ogni partecipante potrà sviluppare ed esplorare questo tema, evidenziandone i molteplici aspetti secondo cinque categorie e tecniche di riferimento: Disegno, Incisione (acquaforte, xilografia, acquatinta, ceramolle, maniera nera, puntasecca, acciaio, litografia), Illustrazione, Fumetto e cartone animato, Illustrazione. Una giuria composta da eminenti personalità nell’ambito delle arti selezionerà i lavori migliori per ogni categoria e decreterà il vincitore del premio, curerà l’allestimento delle due mostre che ne deriveranno, ovvero la personale personale riservata ai vincitori e l’esposizione collettiva degli artisti selezionati seppur non vincitori. Il rapporto “uomo-macchina” può essere preso in considerazione da vari punti di vista: come estensione e potenziamento del corpo umano nello svolgere attività particolarmente complesse e faticose, come accrescimento delle possibilità comunicative dell’individuo, come velocizzazione delle modalità di spostamento, come sviluppo di metodiche progettuali tramite la ricerca scientifica così come tante altre modalità operative; quindi le prospettive dalle quali guardare e approfondire questa tematica possono essere molteplici. TERMINE D’ISCRIZIONE AL CONCORSO DI GRAFICA Il termine ultimo per l’adesione è il giorno 15 ottobre 2019 ISCRIZIONE AL CONCORSO DI GRAFICA Per iscriversi al concorso si può compilare il modulo on line sul sito www.biennalegraficacasadante.com/sottoscrizione, oppure scaricare il modulo in formato PDF dal sito

web, compilarlo e consegnarlo a mano presso la sede della Società delle Belle Arti, oppure compilando direttamente il modulo presso la sede della Società delle Belle Arti, in via Santa Margherito 1/r, a Firenze.

PER CONSULTARE IL REGOLAMENTO DEL CONCORSO E ISCRIVERSI VISITARE IL SITO: http://www.biennalegraficacasadante.com

Per ulteriori informazioni: Societa delle Belle Arti - Circolo degli Artisti “Casa di Dante” Via Santa Margherita, 1, 50122 Firenze (FI) Telefono: +39 055 218402 E-mail: info@circoloartisticasadante.com https://www.facebook.com/circoloartisticasadante/ www.circoloartisticasadante.com

Contatti per la stampa: Anna Balzani Ordine Nazionale dei Giornalisti, Tessera n. 151382 Ufficio Stampa e Comunicazione Press Office & Media Relations E-mail: comunicazione@annabalzani.com E-mail: annabalzani.fi@gmail.com Telefono: +39 055 2396697 Cellulare: +39 338 7053915

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Da Cardoso di Stazzema a Carrara, da Montignoso a Marina di Pietrasanta, a Sillico di Pieve Fosciana. Quando l’arte è anche aggregazione e confronto

Spazio ‘La Versiliana’ (foto Lauro Lenzoni)

Della foltissima stagione artistico-culturale toscana, nella quale noi stessi

Marilena Cheli Tomei (2019)

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siamo coinvolti, ci piace sintetizzare subito alcuni momenti aggregativi molto significativi e di qualità. Se da un lato pulsa un po’ ovunque il cinquecentesimo anniversario della scomparsa di Leonardo da Vinci, è interessante sottolineare la particolarità di una mostra che, pur titolata “Michelangelo Buonarroti e Leonardo da Vinci. Un anniversario per due” (Palazzo della Cultura, Cardoso di Stazzema) che, se del primo presenta certe interpretazioni di autori quali Alain Bonnefoit, Andrea Granchi, Fabio Calvetti, Giacomo Mozzi..., del secondo propone vari ‘omaggi’, molti dei quali legati a “Leonardo e la Musica” (Antonio Sassu, Giovanni Masuno, Gianni Maria Tessari, Rosanna Costa...) peraltro collegati ad una omonima conferenza (3 agosto) della saggista, storica ed esperta d’arte Ma-

rilena Cheli Tomei, arricchita da una nostra pubblicazione multimediale

Marzio Cialdi (foto Giacomo Mozzi 2016)


Antonio Sassu, Leonardo da Vinci e la musica. Omaggio a Leonardo, t. mista su carta cm 50x70 ca., 2019

Agostino Cancogni, Interno, olio su tavola cm 40x40, 2015

Se Michelangelo Buonarroti è pure ricordato nella storica cava di Fantiscritti, in località Miseglia di Carrara (spazio del Ravaccione, organizzazione Marmotour) con quindici specifici elementi pittorici, grafici e fotografici quasi tutti già pubblicati nel volume “Nel segno di Michelangelo. Attualità di un Genio” (Editoriale Giorgio Mondadori, Milano 2018) di autori provenienti da varie regioni italiane, il Comune di Montignoso, sempre in zona apuana, presenta il grande pannello di Nico Paladini che si inserisce nella continuità dell’ormai nota “Via dell’Arte”. Nella grande visibilità versiliese il Comune di Pietrasnta ha deciso di far esporre con “The evolution of a dream” nell’intera stagione presso la centralità cittadina e accanto al pontile di Marina la dinamicità delle scultore di Pablo Atchugarry, ma è più che opportuno chiudere i nostri appunti rammentando altre due iniziative. La prima è sempre a Marina di Pietrasanta, per il quarantesimo anniversario della nascita di uno degli spazi italiani più famosi e costantemente attivi, cioè a dire quello della “Versiliana” dove sono passati artisti, giornalisti, scrittori, danzatori, politici, scienziati tra i più noti (Rudolf Nureyev, Rita Levi Montalcini, Giorgio Albertazzi,

Gianni Maria Tessari, La musica allunga la vita! A Leonardo da Vinci, stampa-acrilico-penna-china-inch. timbri su carta cm 50x70, 2019

Giulio Andreotti...) per cui ne sono ricordate molte figure, con una sorta di centralità fissata in un libro voluto dalla Fondazione Versiliana, attualmente guidata da Alfredo Benedetti, dedicata Romano Battaglia e a Franco Martini, oggi purtroppo scomparsi, che col loro qualitativo impegno professionale l’hanno, diciamo così, ‘storicizzata’.

La seconda è a Sillico di Pieve Fosciana, presso il Palazzo/Museo “Carli” con mostre personali organizzate dall’Associazione Polis Sillico, di Agostino Cancogni, Marzio Cialdi, Lorenzo Cinquini, Michele Lovi, Clara Mallegni, Paolo Grigò, Gianfalco Masini, Gualtiero Passani, Giancarlo Vaccarezza e Paolo Vannucchi. Lodovico Gierut*

Marzio Cialdi, Comunicazioni interrotte, installazione in rame e ottone cm 250x250, 2019

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Esposizione d’arte - Guido Mannini in via Po del 14/03/2019 -

Questa ricca proposizione di opere figurative si presenta con la potenza del vento che trasmuta le dune, con gli intensi colori di un sole che va sfumandosi; la brezza che le opere stesse scaturiscono porta con sé l’aroma del deserto. Il primo dettaglio a colpire il mio occhio che vaga è l’autografo dell’artista, Guido Mannini. Questo Ma, deciso, marcato, con la a che si allunga ed invita l’occhio a seguire il tratto unico che condensa tutte quelle n, a riprendere fiato con i puntini delle i. Mi colpisce notare la posizione dei puntini: sospesi all’inizio ed alla fine, sopra a quell’unico tratto curvo che va a sostituire le molteplici n. Ad osservarlo bene, allontanandolo per un momento dal contesto linguistico, pare chiara la similitudine con l’abbozzo stilizzato di un volto felice. Mi chiedo se l’artista stesso l’abbia mai inteso, volontariamente. Guardo i quadri, disposti uno affianco all’altro, e mi diverto a ritrovare la firma del pittore che sorride dall’angolo in basso a destra di ognuno di essi.Tutti i dipinti sono realizzati con una tecnica mista di olio e tempera. Le tele, pur essendo di diversi formati, mantengono fisso tra loro lo spessore. Questo dettaglio, relativamente irrilevante, risalta subito per un semplice motivo: il particolare della pittura che continua, lungo i bordi, fuori dagli schemi imposti, oltre i limiti dell’apparente fine della tela. Il primo quadro su cui decido di soffermarmi attira la mia attenzione proprio per questo motivo. In esso,

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protagonista non è il soggetto rappresentato, ovvero un beduino in groppa ad un dromedario, bensì l’ombra dei due. Si possono notare qui i filamenti scuri dell’ombra proseguire oltre i bordi della tela, quasi a dimostrare quanto la rappresentazione dell’unione delle ombre dovesse necessariamente trascendere i confini di ciò che par essere delimitato. Viene resa bene, in questa maniera, l’inestricabilità delle loro esistenze: il corpo dell’uomo che non ha confini netti, e si fonde nelle forme dell’animale suo compagno nel corso di questi lunghi viaggi. Altro particolare importante in questo quadro è il modo in cui l’artista ha deciso di rendere viva la sabbia del deserto, quasi a voler trasportare l’osservatore dentro all’atmosfera, sotto al sole cocente. Per far ciò ha fatto uso di pennellate abbondanti di tempera, che viene così a sporgere fuori dal dipinto, rendendo tridimensionale il fondo sabbioso su cui viene adagiata l’ombra. Il quadro che segue gioca sulla giusta contrapposizione di un cielo giallo ed un lembo di terra marrone. Nel cielo, che occupa più o meno i tre quarti del dipinto, si può scorgere un semicerchio chiaro: il sole che, attraversato dalla linea leggera di una nuvola, giace vicino all’orizzonte. Gli elementi a disposizione non permettono di chiarificare se si tratti di un’alba o di un tramonto, anche se l’intensità del giallo possa far supporre che si tratti più probabilmente della prima.


Al centro del dipinto si trova un albero, le cui fronde sono state ricavate da quelli che paiono essere leggeri colpi di spugna. Al suo fianco si stagliano le sagome di due dromedari che trasportano un paio di persone ciascuno, e quello che pare essere il conduttore a piedi di questo ridotto gruppo. I colori delle sagome sono gli stessi di quelli del terreno che si scorge sotto di loro, come se tutti questi elementi fossero stati ricavati da un intaglio del cielo che gli fa da sfondo. Spicca qui nuovamente il sapiente uso del colore, con brevi tocchi di bianco che vanno a restituire corpo a delle figure altrimenti bidimensionali. Le lunghe ombre, tratti di colore più scuro con lacrime di bianco, partono dalle radici dei soggetti andando a riempire quello stralcio di terra altrimenti nuda. Quasi come a voler risolvere il dubbio riguardo al momento della giornata nel quadro appena descritto, ritroviamo in un quadro poco lontano quello che pare essere lo stesso gruppo di persone ed animali. Sagomati questa volta a spese di un cielo che presenta tutte le tonalità dell’arancione, possiamo ritrovarli in un’atmosfera che ha il gusto del tramonto. Il prossimo quadro si presenta in un formato diverso; lungo e sottile, contiene le scale cromatiche che dal blu denso del cielo, passando per un bianco quasi accecante, portano al turchese dell’orizzonte; del giallo della sabbia che arriva ad essere marrone nell’ombra che man mano ci si avvicina. Protagonisti in questo dipinto sono una persona che cammina sola nella vastità del deserto, ridotta quasi ad una fessura dal formato della tela, ed una

duna sullo sfondo, per metà scura, che sembra quasi risucchiare il nostro occhio nel confortevole riparo della sua ombra. Troviamo inoltre un paio di quadri con rappresentate al loro interno carovane composte da un notevole numero di persone e di animali. In ognuno di essi possiamo notare la maestria del pittore quando tende al minimo: l’arte di rendere un paio di tocchi di colore giustapposti una figura con una vita propria. L’ultimo quadro che vado a prendere in analisi è unico nel suo genere, differente dagli altri suoi compagni. In questo possiamo vedere come la stesura dei colori ad olio sia simile ad un tocco di acquerello: lo sfondo quasi verde del cielo, liquido, come liquida pare la sabbia al di sotto della linea dell’orizzonte. In questo dipinto in particolare si può cogliere l’opprimente sensazione del calore del deserto, che fa sciogliere addirittura i colori usati per rappresentarlo. Al centro di questa tela troviamo tre figure vestite dalla testa ai piedi di indumenti azzurri e bianchi, e dietro a loro la sagoma di una mandria di dromedari. La particolarità, oltre che nel trovare i soggetti di questo quadro esattamente al centro della tela, sta nel ritrovare i loro doppi ai loro piedi: con il caldo che liquefà l’aria che li circonda, il deserto pare trasformarsi in limpido specchio d’acqua, ed i beduini paiono camminare sul proprio riflesso. Ancora una volta mi trovo a ringraziare Guido, per averci accompagnato portandoci per mano in un viaggio attraverso il deserto, in questa giornata dal profumo di primavera, qui a Torino. Giacomo Asta

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TRANSITI Borgese-Cecola-Godi La mostra Transiti allestita a Castello Pandone, nelle sale nobili del primo piano, ripercorre il sodalizio umano e creativo di tre artisti legati da profonde affinità di visione e di ricerca artistica: Ugo Borgese, Carmine Cecola e Goffredo Godi. I tre, pittori Borgese e Godi, scultore Cecola, legati al contesto romano, sono stati molto amici negli anni e sono stati tutti attivi sul versante figurativo, conservando un solido legame con la tradizione interpretata però attraverso personali e aggiornate soluzioni formali. L’esposizione vuol mettere parimenti in evidenza il costante e intenso rapporto dei tre con il paesaggio, la natura e il corpo umano, perennemente in bilico tra forma e astrazione, e riportare alla luce, nell’ambito della storia dell’arte molisana del Novecento, la figura di Carmine Cecola, scultore originario di Monteroduni del quale saranno esposte inedite opere monumentali. La mostra presenta quindi un’ampia selezione di opere dei tre artisti, tra pitture e sculture, a loro volta in dialogo con gli spazi e gli affreschi del Museo. L’evento è organizzato dal Polo Museale del Molise insieme al Museo Nazionale di Castello Pandone e vuol essere la prima tappa di una rinnovata programmazione espositiva pensata specificatamente per il castello. L’esposizione inoltre è una nuova tappa del progetto itinerante che i figli dei tre artisti hanno chiamato “Amici d’arte” e che vuol essere un momento di riflessione e studio sulle singole ricerche e sull’idea di gruppo. La curatela è stata affidata allo storico e critico d’arte Tommaso Evangelista. Transiti Borgese – Cecola – Godi “Amici d’arte” Venafro, Museo Nazionale di Castello Pandone 24 maggio 2019 – 24 agosto 2019

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Con il patrocinio di: Regione Molise Comune di Venafro Aratro. Galleria Gino Marotta. Università degli Studi del Molise Promossa da Prof. Leandro Ventura Segretario regionale MIBAC per il Molise e Direttore del Polo Museale del Molise A cura di Tommaso Evangelista



Palazzo Sturm Via Schiiavonetti, 40 Enti Promotori; Comune di BassanoDigital Media Partner: ARTE.it Curatela: Chiara Casarin Orario; 15,30-16,30 Telefono; 39 042 4519901 http://www.museibassano.it

Nel prestigioso Palazzo Sturm viene proposta per la prima volta in forma integrale l’importante collezione Remondini, patrimonio museale delle raccolte bassanesi. Presso le sale del Museo dell’Incisione Remondini, è raccolto l’intero tesoro grafico di Durer, il più completo esistente a parità con quello conservato nell’Albertina Museum di Vienna. L’allestimento suddivide le 214 opere in due grandi gruppi: xilografie e acquaforte-bulino, sebbene si abbia cura di mantenere insieme le incisioni della stessa serie; i temi trattano il mito, la religione, la natura, i ritratti, i paesaggi, particolarmente celebri sono l’incisione del Rinoceronte realizzato per l’imperatore Massimiliano e la serie completa dell’Apocalisse. L’artista, nato a Norimberga nel 1471, è un grande pittore, un mirabile disegnatore, un rinomato incisore, oltrechè un bravo matematico e trattatista e viene considerato il massimo esponente del Rinascimento tedesco; in particolare conosce bene ed ammira l’arte italiana. Nei suoi lavori combina la prospettiva e le proporzioni rinascimentali con il gusto tipicamente nordico per il realismo dei dettagli. Nella bottega di orefice del padre Durer familiarizza fin da piccolo con le tecniche dell’incisione sui metalli: a tredici anni già dimostra il suo eccezionale talento in un autoriritratto a punta d’argento. Fa il praticantato presso Wolgemut, il massimo pittore e incisore attivo a Norimberga e subisce l’influenza di vari altri maestri famosi ai suoi tempi. Lavora assiduamente e si afferma dapprima come incisore raggiungendo presto una buona padronanza tecnica. SI può seguire attraverso la sua produzione grafica l’evolversi dello stile e i cambiamenti di registro nelle diverse tematiche da lui affrontate; intorno al 1513-14 realizza le sue incisioni più celebri in cui dimostra un altissimo virtuosismo, profondità psicologica e ricchezza di significati attraverso uno stile personalissimo. Con la tecnica del bulino realizza la piccola incisione “Melencolia I” (1514 ) che mette in luce un aspetto rilevante

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della sua poetica, legata al ricordo e alla consapevolezza che la bellezza del passato non è più raggiungibile .A questo stato d’animo è collegato il pensiero che il presente e il futuro non possono più garantire sicurezza e serenità; è la presa di coscienza dei propri limiti e la disperazione per non poter realizzare tutto ciò che si sarebbe voluto. Nel Rinascimento infatti la melanconia riacquista valenza creativa. La mostra è accuratamente presentata con 54 teche in acciaio e vetro, ossia con piccole postazioni di poche opere ciascuna così da permettere all’occhio di muoversi con precisione e di ammirare l’inimitabile qualità tecnica. L’esposizione termina con gli approfondimenti storici e tematici concludendo con un video che narra i momenti di realizzazione delle opere relative alla rassegna in corso. Per questa antiche incisioni sono state realizzate piccole postazioni con pochi lavori ciascuna così da permettere all’occhio di muoversi con inimitabile precisione tecnica.


RALUCA MISCA

Raluca Misca è nata il 9 dicembre 1980 a Cluj-Napoca, città situata nel cuore della Transilvania, una regione con una ricca vita politica e culturale fin dall’antichità. Dopo essersi diplomata al Liceo Artistico “R. Ladea”, nell’autunno del 1999, si iscrive all’università di Arti Visive e Design “Ion Andreescu” di Cluj, dove studia pittura per sei anni; questo periodo della sua vita ha avuto un ruolo decisivo

nella sua formazione di artista. Nei due anni successivi alla laurea universitaria, ha insegnato pittura e disegno in una scuola di Cluj, che è stata una buona occasione per far conoscere la spontaneità delle creazioni dei bambini e del loro universo magico. Recentemente si è trasferita a Roma e poi a Napoli, dove ora vive e lavora.

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PUGLIA

“NATURE MATÉRIELLE” Collettiva a Conversano con 5 artisti pugliesi

Macina_Vertebrates-Ph. Marino Colucci Sfera

A Conversano, nella giovane Galleria Cattedrale diretta da Lucilla Tauro, la mostra dedicata alle relazioni tra natura e materia mostra il lavoro di cinque artisti, tutti pugliesi, che mettono al centro dei propri processi creativi la configurazione fisica della materia naturale nel suo divenire biologico. Quindi è la natura in tutte le sue forme, la materia espressiva che affascinare gli autori invitati ad esporre. Il progetto espositivo è curato da Nicola Zito, storico e critico d’arte, dottore di ricerca in “Storia dell’arte comparata, civiltà e culture dei paesi mediterranei”, nonché Assistente curatore presso la Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare, e socio fondatore dell’associazione culturale Achrome. Focus del progetto è l’oggetto-scultura dove confluiscono “Suggestioni e istanze legate alla propria terra d’origine: la Puglia. Qui la natura, maestosa e potente, ha mostrato tutta la sua straordinaria e materica bellezza, che gli arti-

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sti hanno reinterpretato con le loro opere”, come spiega il curatore. Raffaele Vitto, in connessione con la consistenza tipica degli elementi propri della cultura agreste, cerca inusuali dinamiche di inserimento dell’oggetto nello spazio circostante e stabilisce legami simbolici con la madreterra, che “nelle mani dell’artista diviene un materiale cui dare una forma razionale non presente in natura ... In tale ottica vanno intese le opere del giovane scultore, in cui si mescolano reminiscenze delle proprie origini e rifacimento materico delle stesse. Le opere assumono così le fattezze di complessi plastici strutturati attraverso un’ibridazione tra astrazione delle forme e ready made …” Alla base di tutto, per Vitto, c’è il desiderio di rielaborare da un punto di vista estetico e artistico la dimensione contadina. Daniela Giglio modella le opere con la luce, e definisce un binomio materia-natura


Giglio_Strappo-Ph. Marino Colucci Sfera

modulato sulla concezione dello “strappo”, del taglio e della lacerazione, atti a dare libertà alle forme e ai volumi. Altro tema centrale delle sue opere, “la torsione, che contribuisce al raggiungimento di nuove identità nelle soluzioni. Le sue sculture, seguendo questa doppia via formale, si presentano come rappresentazione mimetica di aspetti tangibili della realtà, di masse di gesso, marmo, travertino che l’artista plasma. Nascono così forme che rimandano a un ambiente naturale, figurato e stilizzato, come in Germogli e Speranza, oppure che deviano verso l’astrazione, come in Page of life e in Strappo, dove la materia “lacerata” diventa la metafora di un attraversamento spaziale e interiore. Mossa dal desiderio di coniugare sfera naturale e sfera antropica, Francesca Macina utilizza varicodici, muovendosi tra installazione, performance, video. “La sua ricerca – fortemente legata alle teorie del “De rerum natura” di Lucrezio – punta a mettere in luce le molteplici potenzialità concettuali della materia. Questa ricerca, che si serve di un tipo di scultura organica, si esplica in interventi plastici rimandanti allo ‘spettacolo’ e alla trasformazione della Natura, protagonisti di una scena in cui all’uomo non rimane che un ruolo di ricombinatore degli elementi, coprotagonista di forze maggiori”. Dedicata al paesaggio antico e incolto, la serie Vertebrates propone quattro composizioni in cui, su una base di cartone, interviene con carta, lana ovina, cotone, materiali organici. Iginio Iurilli nelle sue opere scultoree riversa una inclinazione rappresentativa, animata dall’intento di ricollegarsi agli elementi naturali come il mare, ma anche la terra e la vegetazione. “Basate sull’equilibrio tra pieni e vuoti, le opere di Iurilli sono invenzioni intimamente correlate ai materiali utilizzati: dalla carta stropicciata alla terracotta, dalla ceramica smaltata alla polvere di quarzo, dai colori a olio alle tempere. Così, una foglia di ulivo o una porzione di cielo, possono diventare un abbraccio delicato e sinuoso, l’idealizzazione del forte istinto di protezione che Iurilli nutre nei confronti della Natura”. Miki Carone, noto artista barese, collegandosi al Concettuale e alla Pop Art, compone – come spiega Zito – il suo universo di personaggi immaginifici sfruttando le potenzialità della luce. Adoperando il neon, definisce particolari anatomici che sommano erotismo e romanticismo. Inoltre, usando tecniche come la pittura su vetro su superficie

luminosa, tra echi matissiani e pascaliani, crea allusioni simboliche all’universo femminile. Virginia Grazia Iris Magoga

Carone_Kiss_me_baby- Ph. Marino Colucci Sfera

Iurilli_Sky_blue_Shiver-Ph. Marino Colucci Sfera

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PUGLIA

Francesca Speranza Personale “Heim” - Galleria MICROBA (Bari)

La fotografa brindisina Francesca Speranza presenta in questa esposizione nello Spazio Microba di Bari una produzione di opere inedite, frutto di una peculiare ricerca introspettiva legata a un percorso non solo artistico, ma anche di vita.

Da sempre interessata alla fotografia, l’artista utilizza il digitale senza mai abbandonare la pellicola e la camera oscura, che le permettono di mantenere un legame estetico ed emozionale con il passato, prediligendo i forti contrasti nella scelta dei soggetti e nella tonalità cromatica della sua fotografia. Sperimentatrice nell’acquisizione e nella stampa delle immagini, in alcuni lavori recenti ha proposto installazioni realizzate con stampa d’affissione in grande formato, in cui la fotografia si relaziona con lo spazio e dialoga con l’ambiente. In “Heim”, Speranza raccoglie i propri pensieri e li presenta in una stratificazione domestica inusuale dove sintetizza gli anni dei trasferimenti professionali in Italia e, contestualmente, il cambiamento della propria casa. Documentando le varie dinamiche quotidiane, la fotografa rende alcuni oggetti testimoni tangibili del proprio vissuto; così giocattoli, libri, pietre vetrose, conchiglie, pupazzi sono assemblati in bizzarre Composizioni. I lavori rappre-

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sentano, dunque, tempi e luoghi diversi condensati in un concetto-casa frutto di forze emotive, esperienze vissute, ricordi, speranze. “È un’indagine caratterizzata da una meditazione costante – e non priva di conflitto – che si sostiene sul vivere quotidiano, di volta in volta diverso come il luogo domestico; un’analisi di sé espressa tramite il mezzo fotografico, ibridata attraverso l’utilizzo del digitale e dell’analogico, il risultato di una sperimentazione libera delle tecniche creative. Stampate analogicamente su carta baritata (le Composizioni) o sviluppate con un processo fotosensibile che presuppone la presenza necessaria della luce solare (gli Elementi), le opere di Francesca Speranza sono i tasselli visivi di un archetipo che si alimenta dall’accumulo di oggetti che possono anche sussistere separatamente, in quanto unità di pensiero che narrano di una vita in parte nomade, di un viaggio di andata e ritorno in più tappe che potrebbe non aver trovato un effettivo punto di approdo” come scrive il curatore della mostra Nicola Zito. Virginia Grazia Iris Magoga


PUGLIA

Michele Roccotelli

Roccotelli è nato a Minervino Murge, Ha seguito gli studi artistici a Bari e si è perfezionato a Roma. Si è rivolto ben presto alla pittura e all’insegnamento, cominciando ad esporre nel 1968. Da allora ha allestito numerosissime personali in prestigiose gallerie, rassegne nazionali e fiere

d’arte contemporanea. Le esposizioni all’estero sono numerosissime. Sì dedica anche alla ceramica e alle illustrazioni di libri. Hanno scritto di lui numerosi critici, giornalisti e scrittori.

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CAMPANIA

L’essenziale di CARLO CARRA’ di .L.Caiazzo

Carlo Carrà, (Carlo Dalmazzo Carrà), pittore italiano, critico d’arte, scrittore, noto come uno dei firmatari del Manifesto Futurista, sperimentatore di diverse tendenze artistiche, dal Realismo al Divisionismo, dalla Metafisica, al “realismo mitico” degli anni Venti e Trenta, nasce a Quargnento, in provincia di Alessandria, l’11 febbraio 1881 in una famiglia di artigiani. Messo a bottega da un imbianchino del paese a soli 12 anni, si guadagna da vivere come stuccatore e decoratore anche dopo il trasferimento a Milano nel 1895. Nel 1899-1900, si trasferisce a Parigi per parecchi mesi per decorare i padiglioni dell’Exposition Universelle, scopre i grandi pittori, entusiasmandosi per l’Impressionismo legge molto, si avvicina a gruppi anarchici e studia le opere di Karl Marx e Michail Bakunin. Nel periodo 1904/5 frequenta i corsi della Scuola serale d’arte applicata di Milano e nel 1906, grazie a due premi artistici ed a un piccolo sussidio di uno zio paterno, si iscrive all’Accademia di Brera. Nel 1910 Carlo Carrà firma il Manifesto dei Pittori Futuristi di Marinetti, insieme a Umberto Boccioni e Russolo; questo Manifesto è rivolto ai giovani artisti per esortarli ad un rinnovamento del linguaggio espressivo. All’appello rispondono Balla e Severini: da qui nasce il futurismo italiano che esprime l’amore per la velocità, la tecnologia e la violenza. L’automobile, l’aereo, la città industriale hanno un carattere leggendario per i futuristi, rappresentando il trionfo tecnologico dell’uomo sulla natura. La collaborazione di Carrà al movimento futurista durò sei anni, dal 1910 al 1915: anni intensi di esperienze, di lavo-

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ro e di battaglia, in cui l’arte moderna in Italia diventò un problema nazionale. In seguito lascia la corrente futurista e appoggia la campagna interventista con “Guerra e pittura e durante gli anni della guerra 15-18 approdò ad un nuovo stile dedicandosi alla metafisica , diversa e più blanda rispetto all’opera di De Chirico ironica e piuttosto nichelista. In seguito si dedicò alla semplificazione delle immagini. I suoi dipinti risultano essenziali, si nota un’assenza di tempo, un’atmosfera sospesa fra cielo e terra creando un suo mondo fatto di solitudine, di ricordi e di malinconia. Questo poi resterà il vero stile di Carrà . L’essenziale di cui non si può fare a meno che trasporta ai veri valori della vita: ad amare la natura e si spera anche a rispettarla.


LETIZIA CAIAZZO CATEGORIE DELL’IPERUMANO NEL TRASFIGURARE MULTIMEDIALE

Implacabilmente sedotta da Iperumane Presenze che la guidano fra gli Universi segreti della deuteroscopia per monitoraggi ed esiti di galassie creative in sintonie / sinfonie del ri / creare trasmutante, Letizia Caiazzo, anche stasera, vi precederà, tenendovi per mano e conquistandovi l’Anima e lo Sguardo, attraverso gli scenari e le quinte d’uno sterminato palcoscenico “cum-figurativo” in cui vi ritroverete “cum-partecipi” di un’Affabulazione intarsiata di Alchimie e di Rimandi, di Evocazioni ed Epifanie, di Simboli e Supersegni. Se il Ricordo è “riandare col Cuore” sui percorsi del Vissuto e dell’Anelato, Letizia Caiazzo vi dimostrerà, e senza dubbio alcuno, che le diramazioni parallele e simultanee del suo “excurrere” per camminamenti di Fulgori e Penombre mutueranno, proprio da questo infinito ed inarrestabile abbacinare, Tragitti d’Estasi che vi avvinghieranno a taumaturgici Rosari di Rimembranze in segreti amplessi con Categorie del Desiderio, fra seduzioni concettuali ed iconografiche di “attrazioni fatali”e “affinità elettive” nel Rito dell’Occhio / Ago.

dell’estro, vi confermerà, ancora una volta, come e quanto si possa essere Madonna e “Mea Domina” dinanzi alla quale anche l’Impero dei Segni di barthesiana memoria ben volentieri deponga, in Suo onore, ogni arma letale. Giovane più d’ogni altro esponente del tramutare / trasmutare in “athanor” di Ebollizioni e Polivalenze, Letizia Caiazzo v’incanterà, come Beatrice iperumana nel Paradiso delle Reincarnazioni, mostrandovi l’Anima Muta delle Cose e l’Anima Nuda delle Muse nel suo esoterico ri / velare oltre l’Inganno del Visibile Apparente che vi elargirà, eternati da irresistibili sortilegi di narrazioni per complicità e assemblaggi d’intese interiori e di sorprendenti esplicitazioni, tutti quegli “attimi fuggenti” di cui avevate perso il segno e il senso. Seguite Letizia, quindi: e troverete tracce del peregrinare onirico in alleanze prive di compromessi con soverchi orpelli di oleografie, indicatori direzionali dell’Ieri tra coralità di “cum-presenze” ammaliatrici, interfacce d’ambienti ed eventi nel rammemorare / raffigurare per metempsicosi nelle quali ognuno di voi ritroverà anche se stesso, eloquenze di flussi a sollecitare inopinate, irripetibili gratificazioni da “feedback”, e ancora, Gallerie di Donne a fuoriuscire dalla Materia per trasfigurare in Carne su fluide Are di Allegorie. Questo e tanto altro ancora troverete nelle opere di Letizia Caiazzo, per innamorarvene perdutamente, subito, “a prima vista” e per consolidare tale innamoramento in Amore totale ed indicibile nell’oggettiva povertà delle parole: poiché saranno loro stesse, queste sue stupende opere, e del tutto fuori da ogni superflua chiave d’interpretazione, a mostrarsi e mostrarvi, a parlare e parlarvi, a rivolgervi enigmi e quesiti sovrumani tra Cerimonie di Silenzi molto più eloquenti, al raffigurareedall’immaginare,d’ognisuonoedecodegliumani. Prof. Nuccio Mula* * Docente universitario di Filosofia dell’Immagine, Fenomenologia dell’Arte, Teoria della Percezione e Psicologia della Forma all’Accademia di Belle Arti “Michelangelo” di Agrigento - Componente dell’Associazione Internazionale Critici d’Arte, Parigi

Magistrale Adepta e Sacerdotessa d’una multimedialità sempiternamente subordinata nell’offrirsi, non più tiranna ma devota seguace, alle sue “textures” di straordinaria coniugazione / coagulazione interiore e creativa, Letizia Caiazzo, ai più alti livelli d’una“Digital Art” esitata per inimitabilità di scaturigini

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CAMPANIA

Pier Paolo Calzolari

Figura emblematica dell’arte contemporanea italiana, Pier Paolo Calzolari è nato a Bologna nel 1943 e attualmente vive e lavora a Fossombrone, nelle Marche. Negli anni ‘60, Calzolari è legato agli artisti dell’Arte Povera: il suo scritto ‘La casa ideale’ è considerato uno degli enunciati essenziali del movimento. In questi anni realizza una serie di opere con materiali ed elementi naturali come metalli, vegetali, minerali, fuoco e ghiaccio. Le strutture ghiaccianti di Calzolari sono opere sulle cui superfici, con il passare del tempo, si forma una leggera brina, indice del processo di trasformazione alchemica della materia. In tutti i lavori dell’artista l’oggetto subisce e produce una metamorfosi

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che diventa elemento centrale di un sogno, un mistero, un dramma, e conferisce all’insieme una dimensione teatrale. Dagli anni ’70 Calzolari si concentrerà su altre forme espressive, come pittura e performance. Piero Paolo Calzolari ha partecipato a Documenta (1972, 1992), alla Biennale di Venezia (1978, 1980 e 1990) e alla Quadriennale di Roma(1972). Nel 2011 Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia gli ha dedicato un’importante mostra personale. Le opere di Pier Paolo Calzolari sono state esposte a Palazzo Grassi per la mostra “Where are we going” (2006) e a Punta della Dogana per la mostra “Accrochage” (2016).


Painting as a Butterfly: Pier Paolo Calzolari al Museo Madre A cura di Achille Bonito Oliva, Andrea Viliani 08.06 — 30.09.2019 Opening 07.06.2019 - ore 19.00-22.00

Fino al 30 settembre 2019 il Museo Madre di Napoli ospiterà la mostra Painting as a Butterfly una prima grande retrospettiva dedicata alla produzione pittorica e disegnativa a Pier Paolo Calzolari uno dei più importanti artisti italiani contemporanei. Al Madre su vari piani sono esposte più di 70 opere fra dipinti, disegni e opere multi-matericherealizzate dalla metà degli anni Sessanta ad oggi. Una mostra importante a cura di Achille Bonito Oliva e Andrea Viliani, direttore del Madre. Pier Paolo Calzolari al Museo Madre La pratica della pittura per Calzolari – come da lui dichiarato a Bonito Oliva nell’intervista inedita per il catalogo della mostra – è uno “strumento di ascolto”, uno stato di “sospensione” in grado di portare a una sintesi le molteplici articolazioni della sua ricerca, al contempo minimalista e sensuale, concettuale e barocca. Calzolari ha trascorso la sua giovinezza a Venezia, dove è stato influenzato dagli effetti luministici e dal riflesso della luce sulle superfici architettoniche, elemento distintivo della pittura veneta. Queste osservazioni lo conducono ad adottare nelle sue opere un materiale quale il ghiaccio, scelto per dare rappresentazione diretta del bianco perfetto che può esistere solo in natura e destinato a caratterizzarne la produzione successiva, così come altri materiali, elementari e spesso organici,

quali fuoco, sale, piombo, foglie di tabacco, muschio, legno combusto, noci, gusci di animali, insieme a neon e feltro. Continuando ad esplorare il suo interesse per la luce, la materia e lo spazio-tempo attraverso la scultura, l’installazione e la performance – come negli happening realizzati dal 1966, in cui spinge gli spettatori a divenire interpreti di quella che definirà “attivazione dello spazio” – Calzolari realizza a partire dagli anni Sessanta dipinti e disegni che, seppur meno conosciuti, rappresentano una caratteristica e una componente fondamentale della sua pratica. Opere che delineano una riflessione sulle relazioni fra colore, forma, oggetto e ambiente, anche nel richiamo alle sperimentazioni dei Valori Plastici novecenteschi, e che non solo hanno plasmato e strutturato la sua ricerca artistica, ma che rivestono una profonda influenza sia nella definizione dell’arte italiana degli ultimi cinquant’anni sia verso le successive generazioni. Nei suoi dipinti e disegni Calzolari ha infatti ripercorso e liberamente portato a confronto elementi e concetti apparentemente antitetici quali materie naturali e rappresentazione pittorica, astrazione e figurazione, dimensione visuale e performativa, spaziotempo dell’opera e dell’ambiente in cui essa si inserisce, riplasmandolo.

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Lo sguardo- anima di Brunella Patitucci: dal figurativo all’informale

Osserva nel profondo della natura e allora comprenderai meglio ogni cosa. (Albert Einstein) Brunella Patitucci ha frequentato il liceo artistico e ha sempre avuto una grande voglia di dipingere. Al liceo le hanno insegnato la base per il disegno ma al colore è arrivata in modo istintivo. La pittura per Brunella è sempre stata un mezzo per esternare la sua interiorità. Tutti noi attraversiamo momenti bui durante la nostra esistenza e l’artista li ha superati grazie all’arte e all’utilizzo di colori decisi. I suoi soggetti preferiti sono “se stessa” e la natura. Nei suoi quadri dipinge “una se stessa” che non le somiglia ma che vuole essere una sua proiezione. Le opere rispecchiano il suo vissuto quotidiano, sono un racconto della realtà che vive. Raffigurare la natura per Brunella vuol dire fuggire da un mondo ingannevole. La natura per l’artista è benigna come lo era per Leopardi che inizialmente la vedeva con occhio

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benevolo perché aveva dotato l’uomo dell’immaginazione che permette di evadere dalla realtà abbandonandosi ad un mondo interiore. L’artista quindi si rifugia nella natura e nello stesso tempo vuole invitare l’osservatore a tuffarsi in essa e trasmettere messaggi di rispetto e amore. La natura è prepotentemente presente nelle opere della Patitucci e nel suo immaginario tanto da diventarne la protagonista. Brunella la rappresenta attraverso il suo “sguardo – anima” che diventa lo specchio che riflette le sue passioni, la sua visione del mondo e il senso della sua esistenza. Dipingere la natura vuol dire dipingere i propri sentimenti. Sentimento in latino significa percepire con i sensi, intendendo una condizione cognitiva- affettiva che dura più a lungo delle emozioni.


Nell’arte moderna l’elemento floreale ha assunto, nel tempo, un rilievo eguale se non superiore alla figura. Il fiore diventa, seppure nella sua semplicità di forma e dimensione, simbolo di ritorno alla vita e alla rinascita. I ricordi di bambina dell’artista sono significativi per capire le sue opere. Guardando un fiore immaginava di essere una piccola formichina che entrando nel fiore interagiva con esso. Questo effetto positivo della natura su di lei dipende sicuramente dall’essere cresciuta in campagna tra orti, giardini e frutteti, dove ancora oggi ama rifugiarsi; a contatto con la natura prova gioia , calma e serenità e cerca di trasmetterla a noi tutti attraverso le sue opere. Nell’opera “Il cielo in fondo al mare” pur essendo presente una piovra (simbolo di minaccia e pericolo) tutto appare sereno come se volesse dirci che il male nulla può di fronte al bene. In “Fiore tra i fiori” inserisce in una rosa il profilo di una donna perché, come afferma l’artista, noi siamo la natura. La donna per Brunella è importante perché genera e compie un miracolo. La sua donna è alla ricerca di una bellezza assoluta non del bello estetico. In “Metamorfosi” è l’artista che diventa natura, parte integrante di essa. I suoi quadri rispecchiano sempre lei e le sue sensazioni. Brunella Patitucci non si ispira a nessun artista in particolare.

arte informale si indica l’abbandono di ogni schema strutturale significante. Rifiutando tutti gli schemi del passato, la poetica dell’arte informale, riempita dalle teorie filosofiche fenomenologiche ed esistenziali, tende a realizzare la fusione dell’artista con la propria opera mediante il gesto stesso del dipingere. Con l’informale, spiega la stessa artista, i colori devi sceglierli prima, averli già in testa, poi quando li butti sulla tela dopo averli resi precedentemente liquidi inizi a muoverli e a lavorali con le mani. Spesso accade che nelle opere informali escono fuori dei profili , delle immagini che l’artista può decidere di ritoccare. In altri quadri informali Brunella ha creato l’effetto di bolle utilizzando l’olio di silicone. La particolarità di queste opere è che ognuno di noi può vederci quello che ha nella sua interiorità. Alessandra Primicerio - Critico d’arte

Dietro ad una apparente leggerezza (che potrebbe trarre in inganno, a un primo sguardo fugace, per i temi trattati e per l’utilizzo di colori vivaci) si cela una intensa introspezione e un’analisi di se stessa e del suo vissuto. “La sposa perfetta” è un’opera dedicata a tutte le donne che subiscono violenza e che a causa di essa sono morte. La sua è una sposa moderna: rossetto rosso, capelli corti. Una donna passionale ma che non è libera, una donna che soffre e questa sofferenza viene evidenziata dalla corona di spine, dai suoi occhi tristi e dalla angusta tela in cui è inserita l’immagine. Dal figurativo, in seguito, passa all’informale per colmare un vuoto della sua vita e inizia a dipingere quelli che lei chiama “Universi liquidi”. Si serve dell’informale per liquefarsi, per sciogliersi, fondersi con l’infinito, con un mondo sconosciuto : quello spirituale. Utilizza l’acrilico che lei rende liquido per le sue creazioni. Con il termine

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Ettore e Andromaca di De Chirico al MAB di Cosenza

Una delle tante statue che abbelliscono ilcentro della città di Cosenza e che fa parte del MAB ( progetto che si è avverato grazie alle donazioni dei mecenati cosentini Carlo ed Enzo Bilotti) è Ettore e Andromaca di Giorgio De Chirico. Realizzata in lega in bronzo con patina scura, è tratta da una copia dell’edizione del 1986, a sua volta realizzata dall’originale. L’artista sognavadi vedere l’opera prodotta in dimensioni maestose. Isabella De Chirico, moglie , musa e manager dell’artista metafisico ha autorizzato questa operazione e la statua porta la firma dell’artista e il numero 00/00. Si ispira al dipinto dello stesso artista in cui i due protagonisti, vicino le Porte Scee, si dicono addio senza potersi abbracciare poiché privi degli arti superiori. Il dipinto è stato realizzato da Giorgio De Chirico nel 1917 e oggi è custodito alla Galleria d’Arte Moderna a Roma. Rappresenta una scena dell’Iliade reinterpretata in una visione metafisica e senza riferimenti realistici.

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De Chirico racconta l’ultimo abbraccio tra Ettore e Andromaca prima che l’eroe troiano affronti il greco Achille in battaglia. I personaggi sono due manichini privi di volto e di braccia. Amore e rassegnazione emergono e sono condivisi dall’osservatore anche se De Chirico rappresenta solo manichini senza volto,. Andromaca priva di braccia esprime la voglia disperata di trattenere a se il suo amato Ettore. Nella scultura di Cosenza la drammaticità dell’evento(Ettore che saluta Andromaca prima di partire in battaglia) appare maggioreperchémagnificata dalla plasticità dei corpi raffigurati in un momento di angoscia e ravvivatadal movimento dei capelli di Andromaca che, come il mantello di Ettore, appaiono mossi dal vento. Alessandra Primicerio - Critico d’arte


Grandi formati, opere 1960-1980

E’ stata inaugurata il 16 maggio 2019 al MARCA di Catanzaro la mostra di Emilio Scanavino e si potrà visitare fino al 15 luglio 2019. La mostra è stata curata da Greta Petese e Federico Sardella in collaborazione con l’Archivio Scanavino. La raccolta in mostra comprende opere, tutte di grande formato, che partono dagli anni Sessanta: oli su tela, su tavola e carte provenienti da collezioni private e dalla collezione Scanavino. A dare il nome all’evento è l’opera Come fuoco nella cenere presentata per la prima volta alla XXX Biennale di Venezia nel 1960. La mostra ripercorre il suo percorso artistico. La pittura di Scanavino è di rievocazione. In una intervista del 1961 l’artista asseriva che il pittore moderno non dipinge più il paesaggio portandosi dietro cavalletto e at-

trezzi per lavorare all’aperto ma dipinge la sua interiorità meditando sulle sue emozioni. Emilio Scanavino nasce a Genova nel 1922. Ha una personalità caratterizzata da conflitti interiori dovuti all’incontro di culture diverse (il padre era teosofo e la madre fervente cattolica). La sua prima formazione avviene con il maestro Mario Calonghi. In questo periodo realizza paesaggi e soggetti umili. Nel dopoguerra la sua pittura assumerà inclinazioni espressionistiche. Un soggiorno parigino influenzerà il suo stile in chiave post-cubista che reinterpreterà in modo personale. Oltre ad essere influenzato da Picasso, Scanavino è attratto anche dall’astrattismo. Diventa amico di Lucio Fontana e per la sua carriera sarà determinante la conoscenza di un lungimirante e diligente mercante : Carlo Cardazzo. Alessandra Primicerio - Critico d’arte

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L’eternità in un attimo: le foto di Stefania Sammarro

Fotografa, artista e giornalista, Stefania Sammarro nasce a Cosenza, si laurea in D.A.M.S. indirizzo cinema all’Università della Calabria. Il suo pseudonimo è Ania Lilith: Ania è luce, vita e amore; Lilith è la dea dell’oscurità, potente divinità notturna ( il nome richiama la camera oscura utilizzata per sviluppare le fotografie). Un nome d’arte che è anche una sorta di alter ego, un’altra se stessa della quale spesso ne parla in terza persona. Il suo rapporto con la fotografia è nato per gioco, quando da ragazzina amava fotografare alle feste di amici prediligendo i dettagli e creando così una sua realtà. Lo scorso anno Stefania ha realizzato uno dei suoi sogni: l’apertura di una Galleria fotografica dove ha creato una sorta di Factory che ha ospitato il progetto Art Frabrique dove la fotografia si è legata perfettamente con la moda, il make up, la fashion design. Fonte d’ispirazione è la sua terra (la Calabria) alla quale è legata affettivamente. Questo sentimento è ben evidente nelle sue foto come in Attesa (una delle sue foto preferita). Qui Ania si è ispirata alla storia della nonna una vedova bianca abbandonata dal nonno partito per cercare fortuna in Brasile e mai più tornato. Per omaggiare sua nonna ma anche per raccontare le abitazioni, i luoghi e i costumi di una volta Stefania Sammarro ha utilizzato tutti gli oggetti della nonna: la casa, il letto, la vestaglia. La fotografa è attratta da luoghi inesplorati e impervi: ha

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reso il degrado positivo e si è soffermata su particolari che alla maggior parte delle persone sfuggono. Sceglie le sue modelle per l’espressione del viso, essenziale per l’eccellente riuscita di una foto concettuale.


L’innata empatia permette ad Ania Lilith di entrare in un rapporto di intimità e complicità con le sue modelle-musa tale da creare una collaborazione proficua. Le sue donne eteree si aggirano senza meta tra paesaggi antichi e atmosfere oniriche e vivono sospese tra realtà e fantasia. La donna fotografata dalla Sammarro è estasiata ma anche coraggiosa e capace di emergere nella società. Pur rappresentando temi come la malinconia, l’angoscia e la tristezza, Ania Lilith vuole, attraverso i suoi scatti, trasmettere un messaggio positivo, perché la fotografia riesce a comunicare senza le parole i sentimenti più intimi delle donne. La fotografia di Stefania Sammarro è stata definita intimistica perché capace di creare un ponte tra lei e il mondo. L’artista compie una ricerca interiore dove affetti, memorie e sensazioni vengono messi a nudo. Attraverso la foto crea un’espansione di se stessa, del suo essere sommerso e si unisce con il mondo esterno grazie a un processo di introiezione/estroversione. Come un grande vaso di Pandora, Stefania fa uscire dalle sue foto risate, gioie e dolori. Le sue modelle –muse non parlano solo di quel corpo o di

quella storia in particolare ma anche della storia di chi le osserva. La fotografa è capace di guardare in profondità e catturare non solo con gli occhi ma anche con il cuore. Stefania fotografa l’anima dei luoghi, l’invisibile che è davanti ai nostri occhi: la calma, il silenzio, la malinconia e la solitudine sono sensazioni che arrivano all’osservatore. Prediligendo case abbandonate, dove le piante nascono spontaneamente sui muri e i pezzi di calce cadono da edifici disabitati, riesce a conservare ricordi fisici e geografici ma anche memorie individuali fatte di quotidianità e pratiche religiose. Rammenta l’ineluttabilità del tempo che tutto distrugge. La fotografia di Stefania Sammarro è concettuale, cioè viene concepita nella mente della fotografa e poi messa in scena per realizzare e comunicare tale visione. Ania Lilith ha sperimentato tutti i generi di fotografia, dallo Strett Fotografy al reportage fino a foto di moda e luoghi sempre in stile concettuali. Desiderio di scoprire, voglia di entusiasmare e gusto di catturare riassumono l’arte della fotografia di Stefania Sammarro. Alessandra Primicerio, Critico d’arte

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GIOVANNI CARPIGNANO

Diplomato al Liceo Artistico di Taranto, ha completato gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bari.La sua ricerca muove tra identità storica e archeologia dell’anima, dai RitrovaMenti alla RiCreazione attraverso genetica, corpo, memoria e spirito. Nel 1987 viene segnalato al “Premio Italia per le Arti Visive” a Firenze da “Eco d’Arte Moderna”, con mostra premio presso la galleria “Il Candelaio” del capoluogo toscano. Nel 2011 è stato invitato a partecipare alla 54a

Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Padiglione Italia Regione Puglia – Lecce, a cura di Vittorio Sgarbi. Dal dicembre 2012 con l’opera “Guerriero o Contadino” (2007) viene invitato da Massimo Guastella ad aderire al progetto “Simposio della scultura”, raccolta permanente del Museo Mediterraneo dell’Arte Presente (MAP) allestito da CRACC, spin-off dell’Università del Salento, nell’ex chiesa di San Michele Arcangelo a Brindisi.


DOMENICO LASALA

Per Domenico Lasala la rilettura degli antichi classici e lo studio degli ulteriori passaggi artistici avvengono alla luce degli sviluppi internazionali contemporanei. Ne deriva un’interpretazione personale in cui le ambientazioni all’aperto e gli interni colpiscono per la loro essenzialità: i paesaggi rammentano vagamente il rigore dell’ultimo Carrà e le architetture urbane fanno pensare alle solide costruzioni

sironiane, ma il tutto si presenta come un fondale cristallizzato in una struttura arcaica da cui, da un momento all’altro, si possono dischiudere delle quinte teatrali. I personaggi, enigmatici alla stregua di quelli di Piero della Francesca e torniti secondo l’insegnamento masaccesco, si inseriscono in una ritmica di incastri senza tradire emozioni, offrendosi come figure topiche, spesso sotto le sembianze di musici e cantori.


NINO AIMONE

È nei disegni che si rende specialmente evidente una delle qualità più tipiche del l’invenzione di Nino, l’ironia. Che consiste nella capacità di “ interrogare “ e quindi smontare e rimontare a prova i meccanismi della realtà (segnalo, ad esempio, i disegni di animali morti e vivi che attraversano tutta la produzione) e della realtà in immagine ( segnalo l’uso anomalo del modello cubista), spe-

cialmente quando si applica al tema del teschio, o quando illustra storie di aggregazione e disgregazione ( allora mi sovviene lo scrittore Calvino, che dedicò a Nino una bella pagina, più di qualsiasi pittore), i meccanismi dell ‘immagine colta nella sua concretezza di struttura, non raramente rimescolando i diversi piani della realtà: la realtà fenomenica, la realtà concettuale, la realtà del linguaggio.


ENRICO MEO

Le opere di Enrico Meo possono definirsi palinsesti visivi, una sorta di stratificazione iconico-simbolica dalle inquiete ricerche spaziali in cui la realtà si trasfigura in estatico stupore. Nel suo immaginario l’artista spazia in vasti repertori figurativi rivelatori di una poetica tesa alla speculazione e alla ricerca mistica sui temi esistenziali dell’uomo attraverso forme archetipe e composizioni di sapore surrealista. Figure solitarie

o dialoganti all’interno di scenari naturali estremi sembrano affiorare alla memoria da una dimensione inconscia personale, paradigma di quella collettiva, una rielaborazione creativa che si risolve in varietà compositive, in paesaggi metafisici, in immagini mitologiche evocative del senso ferale o primigenio dell’umanità, o in iconografie ortodosse di ascendenza bizantina, per i caratteri compositivi e per il cromatismo simbolico


Maria Aristova

Vive e lavora a San Pietroburgo e membro dell’Unione degli artisti della Russia e di San Pietroburgo. Nel 2010 si è laureata presso l’Accademia Imperiale delle Arti intitolato a Ilya Repin, dipartimento di Eduard Kochergin. I suoi eventi artistici comprendono 15 mostre personali (una delle principali sono il Museo Anna Akhmatova,

San Pietroburgo, 2009, la galleria “Ariele”, Torino, 2010, Art-Muse, San Pietroburgo 2014, la Sala Bianca, l’Unione degli artisti, San Pietroburgo, Russia, 2015, HermitageVyborg, 2016) in Russia, Italia e Svezia e oltre 100 mostre collettive (Esposizione nazionale della gioventù 2010, la Casa degli artisti centrale, Mosca, Russia, 2010, ...


PINO MANTOVANI

Sono nato nel 1943, mi sono diplomato nel 1967 all’Accademia Albertina con Paulucci e Davico. Nello stesso anno mi sono laureato in Lettere moderne e ho cominciato subito ad insegnare, per mia fortuna non materie “artistiche” - non avrei saputo che cosa insegnare - mentre alcuni colleghi, per esempio Piero Ruggeri e Gino Gorza, usavano metodi differentissimi ma assai efficaci. Essere docente di storia dell’arte mi ha permesso di allargare i repertori di riferimento e di ““pensare” criticamente la pittura che mi interessava fare. Cerco di costruire “figure”, che possono rappresentare forme riconoscibili nella esperienza quotidiana,

oppure presentare forme che sono solo se stesse, per esempio di riferimento geometrico (elementare imperfetta geometria). Ma quando sono “figurativo” non mi interessa imitare le apparenze con particolare diligenza, semmai mettermi a confronto con altri che hanno affrontato lo stesso problema risolvendolo in tanti modi: come a dire che la “realtà” è per me quella dell’immagine , della storia dell’immagine; quando sono “astratto”, le forme tendono ad assumere aspetto e attributi “organici”: come un corpo vitale, cioé capace di alludere ad aspetti della realtà sensibile, quindi destinato a prossima fine.


ALESSIA ZOLFO


LUIGI SPAZZAPAN

Così pensò per un attimo, poi si accorse che la natura, come una pianta rampicante ricresceva sulle strutture architettate, e che lo spirito trovava comunque spazi di sorpresa e d’avventura.Ma tant’è. Gli bastava sapere che l’altro gli apparteneva intimamente, era lui stesso nell’altra vita.Il pittore era sicuro, adesso, che i frammenti che continuava a si sarebbero depositati sulla falsariga di un mosaico già disposto, perché l’altra

vita di cui aveva memoria glielo assicurava. Quando anche fosse stato un inganno, una illusione, funzionava, poteva crederlo senza vergognarsene, non foss’altro perché lo stesso alibi aveva funzionato in grande: ci si era costruito addosso, addirittura, la storia dell’occidente, divisa in due tranches, l’antico e il moderno, in mezzo un gran valico o snodo o trauma. Una storia possibile, non l’unica, naturalmente.


ELISA FUKSA ANSELME

Elisa Fuksa-Anselme è nata a Parigi nel 1951. Vive e lavora a La Fontanette, in Savoia. Associate, Doctor in Plastic Arts, trasmette la sua passione insegnando fotografia fino al

2011 come Docente presso l’Università di Belle Arti, Paris I, Panthéon-Sorbonne. Oggi si dedica interamente alla sua pratica artistica, dove unisce i suoi interessi in fotografia e pittura.


SANTO NANIA

Santo Nania, pittore di formazione figurativa, ha frequentato il Liceo Artistico e la scuola d’Arte del Castello Sforzesco di Milano, ha sempre trattato immagini che emozionalmente sentiva di rappresentare, con l’associazione di tecniche e valori di ricerca che accompagnano la sua scelta di vita, cioè quella di vivere questo mondo misterioso che è l’Arte con lo studio e

la ricerca che porta a valorizzare quei valori di interpretazione che danno all’Artista un DNA individuale.Il Pittore Santo Nania è Presidente e Insegnante di Disegno e Pittura presso l’Associazione creata da lui nel 1980 e denominata “Antonello da Messina”, in memoria del grande pittore Siciliano, con sede in via Della Vittoria, 44 a Legnano, con scopi e finalità culturali.


JINDRA HUSARIKOVA

Se Frantisek Kafka, nel 1979 scrisse ..che Jindra Husarikova era all’apice della sua creatività, possiamo constatare dopo 15 anni con soddisfazione che l’artista non ha permesso che la sua opera scendesse neanche di un gradino da quell’alto livello. Questo è stato ovviamente pagato con incommensurabile fatica, laboriosità, forza e talento. Se per di più, la pittrice ha scelto la strada meno facile, la non congiunturale. Le immagini di Hindra Husarikova si sospendono in una temperie di perenne incantamento: il reale smarrisce connotazioni e spessori

consueti per tramutarsi in una apparizione improvvisa. Per tramutarsi, a dir meglio, in una “visione” in cui si riflette il grande spettacolo dell’umanità. Ora evocate in una pluralità di componenti ed ora invece conchiuse nel volgere breve di un frammento, le molteplici trame della vita sono comunque catturate sull’altro lato dello specchio, là dove risuona la strada dell’artista solitario, non c’è nulla da invidiare. Anche se, in verità, questa è probabilmente l’unica strada che nell’arte abbia veramente senso.


GIACOMO SOFFIANTINO

La natura: boschi (l’intrico degli itinerari di vita) , sorgenti (nascita della vita dal profondo e il suo scorrere), conchiglie (altro simbolo del nascere), frammenti (in ogni cosa ci sono il tutto e il nulla, il passato e il presente), aperture di cielo (quel poco che l’uomo riesce a vedere nel mistero), distese marine (l’orizzonte che mai si raggiunge), luce (che è anche calore come condizione di esistenza delle cose). La luce non ha una fonte esterna d’irradiazione; nasce lentamente da profondità e

si espande sulle cose. La luce è presenza indiretta dell’uomo come gli alberi. “L’albero come l’uomo che si trasforma nel tempo, è il ciclo della vita” , mi dice Giacomo. È il tempo che ha come simboli anche teschi, bucrani, fossili, su vie che non si sa dove conducano. Rovine, collage di frammenti di vecchi manoscritti. Nelle opere l’uomo e le sue vicende sono presenti senza comparire come immagini. Il bosco è folla di uomini.


NICOLE GRAMMI

Nasco a Milano ed interpreto la luce, la terra e la porcellana attraverso lettere che compongono frasi, movimento e trasparenze che danno vita ad oggetti di senso compiuto. L’unione di questi elementi sono il filo conduttore del fare

arte nel lessico della scultura unito ad una eccezionale conoscenza tecnica ceramica. Diploma di Maturità d’Arte applicata press l’Istituto Beato Angelico di Milano


ROBERTO VIONE

Diplomato al Liceo Artistico di Torino. Allievo di BEPPE DEVALLE, nel 1970 collabora con il Maestro nella ricerca concettuale per la realizzazione di una grande opera di pittura-scultura sulla scia dell’opera African Tree, e porta a casa dallo studio i compiti per “giocare con i colori” fino al trasferimento del Maestro Devalle a Brera. Attore, autore di testi teatrali e pittore. Dal 1976 al

2004 lavora in laboratori di arti figurative ed espressione pittorica nelle scuole di Torino (coop.Della Svolta, Teatro del canto, Teatro in Rivolta, Progetto Mus-e). Dal 1978 al 2004 collabora con alcuni gruppi teatrali storici di Torino e contribuisce a fondarne altri, lavorando nel frattempo come mimo lirico e acrobata al Teatro Regio di Torino.


MAURO CHESSA

Ho studiato all’Accademia Albertina di Torino, con Menzio e Calandri e, dopo un periodo iniziale, nel quale prediligevo la corrente astrattista della pittura, sono approdato ad un modo di dipingere figurativo e forse addirittura tradizionalista, più consono alla mia natura. Espongo volentieri con gli altri tre artisti e amici che nulla sembrano avere in comune con me e tra di loro, se non la totale mancanza di aspetti in comune. Tuttavia, di fronte all’occupazione, quasi manu militari, di ogni spazio disponibile da parte di molti che, in perfetta buona fede, ritengono di essere gli unici legittimati a rappresentare la contemporaneità, tengo, anzi teniamo a ricordare che persiste ancora un’altra idea di Pittura il cui gioco non privo di drammaticità ha come posta il significato stesso della nostra esistenza coinvolgendo i sentimenti più

profondi di ciascuno. Questo è ciò che ci unisce, al di là delle apparenze così superficialmente discordi. Qui mi fermo, convinto che i quadri non si fanno con le parole e che queste possano, al più, illustrarli. In questa mostra presento una grande tela che mi e molto cara: “Tutto avviene una volta sola”. E’ una specie di natura morta con una miriade di oggetti che stanno, almeno credo, per il “tutto”. Seguono tre o quattro quadri, parte di una piccola serie che può essere letta come cornice ideale di un grande quadro (qui non presente) il cui titolo e: “Ballo nel bosco”. Nessun significato nascosto, al massimo un po’ di sociologia spicciola: gente di Langa che balla il liscio, in occasione di una manifestazione annuale e americani giovani o no che fanno lo stesso.


TOMMASO ANDREINI


ALEX OGNIANOFF

Di origine bulgara, da sempre a Torino, Alex Ognianoff si è formato al Liceo Artistico dell’Accademia Albertina sotto la guida di Mauro Chessa, Sergio Saroni, Renzo Regosa e poi con Raffaele Pontecorvo. Creativo a Torino Esposizioni, si ricordano in particolare le locandine del Palaghiaccio del 1969 e “in vacanza siamo tutti bambini…” del 1975.

Art Director al gruppo G illustra nel 1980 il manifesto per la birra Wuhrer: “La birra è fatta, facciamo gli italiani”. Insegnante di figura disegnata al Liceo Artistico di Ivrea e di Iillustrazione all’Istituto Europeo di Design, ha contemporaneamente sviluppato un’intensa attività di ricerca espressiva ed espositiva.


EUGENIO CARMI

Eugenio Carmi (Genova, 17 febbraio 1920 – Lugano, 16 febbraio 2016) è stato un pittore italiano. Esponente dell’astrattismo italiano, nel 1966 ha esposto alla Biennale di Venezia. Eugenio Carmi, esule in Svizzera a causa delle persecuzioni razziali, completa gli studi a Zurigo. Si diploma al liceo classico parificato italiano a Zugo e poi si laurea in chimica al Politecnico di Zurigo. Tornato in Italia dopo la fine della Guerra riprende gli studi artistici (iniziati durante l’adolescenza) a Genova sotto la guida dello scultore Guido Galletti (1946) e a Torino come allievo di Felice Casorati.

Segue la lezione casoratiana fino all’inizio degli anni ‘50, quando la sua pittura passa dal figurativo all’informale. Nel 1952 sposa Kiky Vices Vinci, giovane artista che conosce a Genova nel 1945 e con la quale, fin dall’inizio aveva condiviso le stesse passioni non solo per l’arte ma anche per la letteratura, il cinema, il teatro. Sono di questo periodo piccole tele e carte che raffigurano scorci di Genova colpita dalla guerra, realizzate sia da Eugenio che da Kiky. Kiky Vices Vinci in seguito continuerà il suo percorso artistico creando quadri tridimensionali in cartone rigorosamente bianco, gioielli e sculture, preferendo però rimanere nell’ombra e fare pochissime mostre.


DISCEPOLO GIRARDI


SATURNO BUTTO’



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