N°52 LUGLIO-AGOSTO 2022 -
periodico bimestrale d’Arte e Cultura
ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE
Edito dal Centro Culturale ARIELE
w ww. f a c e bo o k . c o m/ R i v is t a 2 0
FRANCO TARANTINO
ENZO BRISCESE
BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE
del Centro Culturale Ariele
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Hanno collaborato: Giovanna Alberta Arancio Monia Frulla Rocco Zani Miele Lodovico Gierut Franco Margari Irene Ramponi Letizia Caiazzo Graziella Valeria Rota Alessandra Primicerio Enzo Briscese Giovanni Cardone Susanna Susy Tartari Cinzia Memola Concetta Leto Claudio Giulianelli
Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80 ----------------------------------------------------------
Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedì al venerdì tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com www.facebook.com/Rivista20 -----------------------------------------------------
Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80
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In copertina: Tiziano
FRANCO TARANTINO
Il pittore Pugliese(nato a Monopoli) Franco Tarantino, dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte di Bari si Diploma all’Istituto d’Arte di Lecce, poi trasferitosi a Milano (dove si è diplomato a Brera e all’Istituto superiore di Scultura del Castello Sforzesco), da anni e rappresenta l’esempio magistrale di un percorso e una maturazione artistica che lo ha portato da un’ importante esperienza figurativa, all’attuale esperienza di astrazione cosmica e contaminazione di generi. Notato subito dalla critica per le sue doti di disegnatore e incisore figurativo- surreale di stampo Picassiano e Chagalliano, è sempre stato attratto dal colore e dalla forma realizzando negli anni oltre a bellissime incisioni di grande formato, quadri polimaterici coloratissimi, sculture e piatti in ceramica di grande suggestione. Prima ancora di essere pittore, Franco Tarantino è un grande sognatore Felliniano, (vedi opere come Annunciazione,1995, “I trapezisti”, 1996; “L’albero bifronte”,1999) che crede nella libertà creative dell’uomo, ma anche uno strenuo difensore di libertà e istanze civiche, e sociali (vedi opere come “No terrorismo”, 2006 e “USA 11settembre”, 2006; “Giustizia e Libertà, 2006 una grande tela di metri 5×2). Una delle sue doti infatti è di sapersi esprimere sia nel piccolo che nel grande formato. Forse vale la pena di approfondire alcuni suoi temi e simboli ricorrenti prima che approdasse all’attuale periodo “informale” ricco di fluorescenze coloristiche-emozionali inconsce e giardini segnici. Sono essenzialmente l’Albero, la Donna, Il Cavallo e Don Chisciotte. L’Albero, ha una potente risonanza simbolica: attraverso l’immagine dell’albero che continuamente si rinnova e rinasce, Tarantino ci parla dell’Artista e della sua Arte portatrice
di valori, rinascita e memorie e nido di sogni. Dall’immagine biblica dell’albero della vita alle parole di Alce Nero, il mistico Sioux che lo rappresenta al centro del cerchio del mondo, l’albero costituisce un’immagine universale e archetipica, un simbolo potente che vive e si moltiplica, nello spazio e nel tempo, in un’infinita varietà di forme. Tarantino raffigura gli alberi negli anni sia nell’incisione (di cui è uno dei maestri Italiani contemporanei) che nelle tele, con angeli dormienti, Amazzoni sognanti, pulsioni afrodisiache, un naturale habitat di poeti e sognatori, luogo d’incontri ecologici, iconologici, simulacro di visioni e di evasione, tramite tra due mondi, quello terreno e quello spirituale. La Donna: Tarantino ha raffigurato Donne bellissime e sensuali, amazzoni, cavallerizze, modelle, illusioniste, equilibriste etc…ma sempre con un’idea di bello e di armonia, di forme modellate sulla bellezza, linee che accarezzano l’idea di un amore infinito e assoluto. Per Arturo Schwarz, in “La donna e l’amore al tempo dei miti” – Ed. Garzanti – tutte queste dee rappresentano l’Eterno Femminino, con le sue caratteristiche fisiche, bellezza e luminosità, e le sue virtù iniziatiche e salvifiche. La donna, quindi, depositaria dei misteri (le donne, incomprensibili e astute, per gli uomini – come Athena) e soprattutto dei misteri della sessualità e dell’amore. Sempre a proposito della Donna, Jung scriveva: “Quale immagine primordiale sta dietro le rappresentazioni dell’arte?” E poi afferma: “Ogni uomo porta in sé l’immagine eterna della donna, non di una determinata donna, ma l’immagine del femminile” (C.G. Jung:”Seelenprobleme der Gegenwart”, Rascher).
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Il Cavallo, tra i pochi soggetti realizzati sia nell’incisione che in pittura ma soprattutto in Scultura. Del resto la sua plasticità e l’ eleganza formale non potevano lasciare indifferente un Artista come Tarantino che ha fatto dell’eleganza e dell’armonia una sua precisa identità stilistica. Potenza, Grazia, Bellezza, Nobiltà, Forza, Libertà, caratterizzano questo soggetto. Il significato del simbolo del cavallo si è diffuso nella maggior parte delle culture ed è collegato sempre alla forza vitale, addirittura molte culture assegnano attributi al cavallo appartenenti ai quattro elementi: terra, fuoco, acqua e vento. Tarantino ne ha realizzati tantissimi, sia insieme alle Amazzoni per esaltarne l’eleganza formale e la forza creatrice, sia insieme a Don Chisciotte, l’eroe picaresco autore di tante oniriche battaglie. Don Chisciotte, crediamo simboleggi per Tarantino, l’artista stesso, oltre a simboleggiare gli ideali passati e ormai insignificanti, rappresenta anche i contrasti che esistono fra realtà e finzione: per lui come per gli artisti, il rapporto con la realtà è distorto e filtrato dai canoni di comportamento della critica e del mercato dell’arte. L’artista, come Don Chisciotte, non riesce a distinguere quello che è vero da ciò che è arte, letteratura, finzione (e a volte è davvero difficile stabilire dove sia il confine). Ed è proprio in questa terra di confine che l’artista sprigiona tutta la sua forza creativa, onirica e ridicola, struggente e coraggiosa, perdente e utopistica. Don Chisciotte, è forse il suo Avatar, il personaggio dipinto, disegnato e scolpito a più riprese dal sognatore utopistico Felliniano e Donchisciottesco, che è Tarantino. Don
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Chisciotte della Mancia (in spagnolo El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha) è il capolavoro letterario dello spagnolo Miguel de Cervantes ed è considerato come il testo più rappresentativo della letteratura spagnola, nonché come il primo romanzo della letteratura occidentale. Protagonista dell’opera è Don Chisciotte della Mancia, squattrinato hidalgo ma, al contempo, grande sognatore, capace di guardare oltre ciò che la realtà impone. Accompagnato dal suo scudiero, Sancio Panza, Don Chisciotte è il simbolo dell’uomo moderno che combatte contro un mondo che non lascia spazio all’immaginazione, che annichilisce le aspirazioni insite nell’essere umano. Del reto il famoso personaggio di Cervantes conserva intatta la sua forza dal ‘600 ad oggi ed ha ispirato poeti, registi e artisti di ogni epoca. Un cavallo, uno scudiero, una nobildonna da amare e nel cui nome combattere, un re che lo nomini cavaliere sono gli elementi su cui innestare gesta di un Cavaliere innamorato soprattutto dei suoi sogni. Don Chisciotte si scaglia contro i mulini a vento, immaginati come dei giganti da sconfiggere, ma proprio mentre cavalca contro questi mostri, una pala del mulino lo scaraventa a terra con tutto il cavallo, e anche questa impresa termina in modo ridicolo. Tarantino sprigiona tutta la sua forza stilistica, onirica e simbolica nel ritrarre, il cavallo, Don Chisciotte, Dulcinea evidenziando le sue acrobazie stilistiche in improbabili ma credibili posture, virtuosismi e bizzarrie formali che ricordano certe compenetrazioni surreali di Bellmer e Masson. Don Chisciotte appare sempre, scomposto, dissezionato, e pose clownesche.
La tavolozza dei suoi colori, si arricchisce nel tempo e spazia dagli iniziali azzurri e verdi (timbro e memoria lirica della sua Puglia) alle tele policrome e scoppiettanti di vibrazioni emozionali e coloristiche delle ultime fluorescenze e dripping, pieni di rosse sismografie, gialle e astratte campiture sinfoniche chagalliane, e cosmogonie portatili, in cui ogni frammento emozionale esplode e travasa da buchi neri, contamina galassie bianche e trasmette comunicazioni ufologiche e onde gravitazionali che danzano sulla tela. In alcuni suoi ultimi lavori( e nel ciclo Astri nel tempo) abbiamo notato la comparsa della parola, delle lettere a sottolineare forse certi aspetti emozionali come “Libertà”, “Solitudine”, “Love” e la comparsa di memorie figurative di amazzoni sognanti su trame astratte e informali, testimonianza di un’assoluta padronanza stilistica e capacità di armonia formale, emozionale e coloristica della contaminazione di generi, che prefigurano e testimoniano un vitalismo mitologico, tra fluorescenze emozionali e astrazioni cosmiche. Annunci Nel suo ultimo periodo, concludendo il ciclo dell’Informale, inserisce il concetto di UNIRE formale e informale. Realizza opere come “Omaggio a Leonardo, Metamorfosi, Nel Bleu…libere di volare, Natura Hominis e News dal mondo”, dove ad una ritrovata armonia dei colori, riscopre il desiderio di unire mito, figura, colore e segno informale. L’unione diventa compenetrazione, osmosi, dialogo aperto con il dentro delle sue emozioni e gli eventi eticoculturale della quotidianità, e allo stesso tempo metafora della creazione artistica, in cui l’artista sembra voler farci vedere la genesi ed il processo dell’idea creativa nelle sue fasi tecniche ed emozionali., una sorta di grammatica della creazione dove anche la parola e le pagine di giornale, si prendono la scena e un’energia felice e liberatoria
si ricompone in una memoria collettiva dove le cose, gli oggetti e le persone si riappropriano della loro anima e il linguaggio pittorico si fa allegorico e semantico insieme. Sono questi ultimi, quadri in cui le proiezioni inconsce dell’artista incontrano i lividi semantici della verità esterna e il linguaggio prenatale e aurorale diventa genesi della bellezza e logica antopomorfica del segno. Una sorta di armonia prestabilita scorre come linfa dentro il quadro che diventa un nucleo di energia empirica ed estetica da cui si irradiano le modulazioni inaspettate e la felicità mentale dell’Artista. Allora le istanze formali ed etiche diventano interattive, le demarcazioni sempre più fluide e cangianti, e la mano dell’artista cristallizza nitidezze semantiche e nuclei poetici. Tra le tappe più importanti delle sue mostre , cicli artistici e antologiche ricordiamo: Emblemi di virtualità dinamica(1999) Il Teatro dei miti mediterranei ( 1971-2001) Istintive Emozioni(2013) Trasposizioni pittoriche tra figurazione e informale(2008) Annunci
Studio: Via San Mamete 37/A, Milano Atelier: Via Bixio 37, Monopoli (BA) Tel. 328 878 63 53 e-mail: 1francotarantino@gmail.com Instagram: tarantino_franco Facebook: Franco Tarantino
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IL SETTECENTO VENEZIANO E I COLORI DELLA SERENISSIMA PALAZZO DEL BUON CONSIGLIO - VIA BERNARDOCLOSIO, 5 - TRENTO CURATELA ANDREA TOMEZZOLI (Università di Padova) – DENIS TON (Castello del Buon Consiglio ) 0RARIO 10/19 tutti i giorni eccetto il sabato TEL. 39 0461 233770 mail: info@buonconsiglio.it sito: www.buonconsiglio.it
Questa estate è ricca di eventi per il Trentino,ricca di proposte culturaliche si coniuganocon l’aspettospettacolare grazie ad un’accurata programmazione.Infatti la spettacolarità è assicurata: con il progetto ‘Incanto a castello ‘i castelli della provincia di Trento sono mobilitatati con rievocazioni storiche, pellicole che si relazionano alle feste in costume, canti…(castello di Thun, castello Caldes, castello Senico). Il fulcro della stagioneespositiva è la mostra nelle sontuose saledel Palazzo delBuon Consigliodi Trento“I colori della Serenissima. Il Settecento veneziano”. Oltre ifantastici colori per i quali la pittura veneziana è stata dasempre famosa, ossia il suo superbo “colorismo”,questa importante rassegna si propone l’ambizioso compito di documentare l’influsso artistico sul territorio circostante. La particolare bellezza della pitturatrentina e del Tirolo meridionale è dovuta alla fitta rete di scambi che avvenivano tra Venezia e le sue vallate in un secolo di feconda prosperità per quelle terre.
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E’ la prima volta che avviene una documentazionecosi ampia e i curatori, con un lavoro meticoloso, hanno recuperato, ricomposto e storicizzato 70 tele, quasi tutte di grandi dimensioni e provenienti da vari musei e collezioni europee e degli Stati Uniti. Tali opere appartenevano alle case della provincia veneta che furono in seguito abbandonate per motivi storici, vicende familiari, guerre, incuria del tempo..Il loro recupero colma un vuoto e riporta alla luce un patrimonio natoin una duplice direzione di scambi: le opere da Venezia scendevano a valle così come numerosi artisti si recavano a Venezia per completare la loro formazione. Influirono nell’incoraggiare questeproficue relazioni anche motivi dii ordine teorico religioso in quanto avvenivano anche trasferimenti verso Venezia per sottrarsi alle autorità religiose di governo(territori dei Principi Vescovi), inoltre nelle valli abitavano famiglie importanti che trasformavano i luoghi in centri locali. Una di queste famiglie, Giovanelli, infeudata in Valsugana dal 1662,trasformò la zona in un crocevia di esperienze marcandone il clima artistico. Nel 1764 si affermò la Scuola Veronese che fu riconosciuta legalmente come una vera e propria Accademia: è una delle Accademie più vecchie del mondo. Essa porta il nome del suo primo direttore e fondatore:Cignaroli.Appartenente a una famiglia importante, Cignaroli, veronese, dopo studi di retorica, frequentò la scuola di Antonio Balestra ed in seguito aprì una sua bottega Trasferitosi a Venezia fu un attento osservatore di Tiziano, Palma il Vecchio, Paolo Veronese, suo concittadino. Tornato a Verona riaprì stabilmente bottega lavorando per molte città e per ordini
religiosi. Cignaroli, attraverso la sua Accademia, portò in giro la splendida pittura veneziana anche se dipinse sempre in modo personalissimo. Questa mostra ribadisce che il Settecento veneziano ha un posto preminente nel panorama pittorico del secolo, per numero di artisti in primo piano e perqualità di opere. E’ un’esposizione innovativa e che merita attenzione.
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MOSTRA “NEL SEGNO DI RAFFAELLO” 29 aprile- 7 luglio 2022 BIBLIOTECA REALE
La mostra torinese resterà aperta fino al 7 luglio permettendo al pubblico che ne sia venuto a conoscenza in ritardo di poter vedere questi pregevoli disegni della cerchia di Raffaello: infatti non sono originali del Maestro ma copie di alunni o seguaci che permettono ugualmente di visionare la grafica presso la bottega dell’artista urbinate. L’esposizione, allestita nel caveau della Biblioteca Reale, comprende 26 disegni distribuiti in tre sezioni che corrispondono alle principali tappe del cammino artistico di Raffaello Sanzio. Nella prima sezione si può ammirare la perfezione tecnica e la forza espressiva conquistata dal giovane disegnatore sotto la guida di Perugino e grazie all’influenza dell’arte umbra e del successivo soggiorno fiorentino. Sensibile e ricettivo, Raffaello si interessò in particolare modo all’arte leonardesca. Nella seconda sezione sono custoditi i disegni che fanno riferimento al periodo romano che coincide con gli anni della maturità artistica dell’Urbinate e con l’epoca del massimo prestigio. Nel 1509 infatti Raffaello, appena trentenne, fu chiamato a Roma da papa Giulio II per affrescare le Stanze Vaticane. Si trovò a lavorare nella famosa corte papale accanto a Bramante, operoso in quegli anni in Vaticano, La bottega raffaellesca romana richiamò pittori da tutta Italia. Il geniale Maestro fu architetto, scenografo, pittore, poeta, disegnatore; sensibile e ricettivo seppe ‘accogliere’ in sé il meglio dell’arte rinascimentale rielaborando in modo del tutto personale ciò aveva appreso. La terza sezione della mostra presenta i disegni eseguiti dai seguaci dell’artista i quali presero strade diverse diffondendo cosi l’eredità raffaellesca. L’esposizione è il risultato di un progetto iniziato nel 2020 in
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occasione dell’anniversario dei cinquecento anni dalla morte dell’Urbinate, finalizzato alla selezione e alla catalogazione dei disegni della Biblioteca Reale e degli archivi. I disegni sono forme d’arte di particolare rilevanza perché permettono l’accesso alle dimensioni intime dell’artista, ne testimoniano il percorso creativo e formativo. Per questa essenzialità che li caratterizza la mostra agevola l’interessante percorso dell’osservatore arricchendo i vari passaggi con grandi pannelli didascalici ricchi anche di confronti con altre opere provenienti da altri musei. Nei disegni torinesi vi sono nomi importanti della cerchia raffaellesca: Giulio Romano, Peruzzi, Polidoro da Caravaggio, Girolamo da Carpi, Parmigianino, Pupini ed altri di indiscussa bravura ma meno noti. E’ una mostra che merita di essere visitata e che dimostra l’accresciuto interesse verso la forma d’arte del disegno che è stato per diverso tempo trascurato e attualmente la collezione dei disegni di Raffaello più importante al mondo si trova ad Oxford, in Inghilterra.
(Disegni del Rinascimento italiano dalle collezioni della Biblioteca Reale) - Piazza Castello 191 Tel. 011 1921163 Orari: martedì-domenica ore 10719 alla Biglietteria dei Musei Reali oppure online Coop culture Realizzazione con le Società Intesa–San Paolo e Galleria Italia
GIORGIO BILLIA
Queste opere dicono molto di sé, cecità? Quanta cecità ogni giorno incontriamo? Molta, ha un altro nome, ma la rispecchia a pieno l’indifferenza. Per me sei trasparente, non esisti, o non esisti più. Ti attraverso quasi calpestandoti, tanto non proverò nessun sentimento, emozione, nulla. A mio parere è la cecità peggiore, quella dell’anima. E’ lo specchio del becero egoismo, o la difesa di chi non sa argomentare. Quanta cecità moderna, pensiamo a chi lo è davvero cieco, ma percepisce ogni movimento, cambio di suono della voce, tocco. Siamo diventati asettici, nei sentimenti, nei rapporti. L’ opera lancia un messaggio forte, non diventiamo ciechi a prescindere, asettici, privi di emozioni. Guardiamoci, annusiamoci, e viviamo vedendoci, e parlandoci, nulla è più mortale dell’indifferenza, uccide tutto anche il rispetto. “INVOLUCRO”,già il titolo di uno dei lavori è fonte di riflessione. Se ci pensiamo un attimo ognuno di noi visto dall’esterno è diverso, ma l’interno, quello anatomico è quasi uguale per tutti. Il corpo è l’involucro dell’anima, del cuore, epicentro delle emozioni più vere, dirette e reali. Possiamo
nascondere ogni cosa ma saremo anima e cuore per pochissimi, che sapranno vederci dentro, oltre. D’impatto è voluto il viso, diviso dallo scheletro. Due facce della stessa medaglia, oggi più che mai attuale. L’opera è diretta e bellissima, nella sua semplicità. Ma come ci suggerisce, non fermiamoci mai all’apparenza, guardiamo la vera essenza di chi abbiamo di fronte, sempre! Laura Cherubelli
mail.: giorgio.bil21@gmail.com Sito: www.giorgiobillia.it tel. 338.500 0741
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ENZO BRISCESE “I ragazzi del duemila”:
poetica e confronto generazionale.
L’epoca in cui eravamo noi ragazzi, ossia gli anni settanta, era molto diversa da quella in cui vivono gli adolescenti nativi del Duemila. Si può obiettare che le caratteristiche connaturate a quella età sono simili ma le specificità somatiche, intellettive, emozionali e psichiche, a contatto con ambienti radicalmente mutati vengono modellate in modo tale da originare comportamenti e modi di pensare e reagire che ci sembrerebbero impensabili se non fosse che sono in piena ribalta attuale e rappresentano la nuova realtà. E’ vero che ha subito cambiamenti anche la nostra generazione per affrontare le inedite sfide della globalizzazione e in particolare del clima pandemico che tormenta il pianeta da due anni. Inoltre ora soffiano venti freddi e bellicosi che speriamo si calmino. La nostra gioventù, invece, risentiva del clima post bellico: non dimentichiamoci che il secolo breve ci ha “regalato” due guerre mondiali e le condizioni in cui si cresceva in quegli anni erano difficili tempi di ricostruzione con
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tutto ciò che ne consegue. La gente sfollava nelle città sfasciate per lavorare ed era assai pesante il razzismo che si respirava in nord Italia verso gli immigrati meridionali. Eppure, strano a credersi, noi giovani eravamo carichi di entusiasmo, di vitalità positiva. E, salvo nelle zone estreme di degrado, la maggioranza dei ragazzi non presentava una lacerata problematica comunicativa come quella presente negli adolescenti delle nostre attuali periferie. Ora i nativi del terzo millennio provano un disagio diffuso e una depressione strisciante oppure sfogano una gratuita violenza come conseguenza della separatezza che li opprime: sono costretti nelle loro piccole stanze dove, così isolati, cercano rapporti virtuali attraverso gli strumenti tecnologici che hanno a disposizione. In una società in piena crisi riorganizzativa essi sono soli, trascurati, marginalizzati e non capiti, con pochi amici veri e reali con cui socializzare in modo sano. Anche loro soffrono le conseguenzenon indolori del passaggio epocale che stiamo vivendo.
La suggestiva pittura dell’ultimo ciclo tematico di Enzo Briscese centra un nodo cruciale e lacerante della realtà odierna, ossia la “comunicazione”,peggiorata anche dall’inaspettato dramma della separatezza sanitaria di lungo periodo per la pandemia da covid, a cui abbiamo sopra accennato. Questo nodo centrale, toccato dall’arte di Briscese in uno dei suoi aspetti più conturbanti, contribuisce ad originare la scarsa qualità della vita dei giovani. L’artista si accosta con un’attenzione discreta, un interesse partecipato e preoccupato. Egli dipinge cioè con delicatezza la precarietà comunicativa vissuta dai ragazzi di adesso. Nei suoi quadri essi sfilano con i telefonini in mano. Tali opere sono la messa a fuoco di una realtà e una dinamica inquadratura che non diventa mai un banale sfogo per provocare una delle tante denunce lamentevoli. Enzo Briscese, pittore, vive nelsuo tempo e lavora con gli strumenti che gli competono: tele, colori, e infine quadri che parlano. La concezione di libertà è strettamente legata al rispetto: riteniamo pertanto che prima i giovani necessitino di amorevoli e competenti guide e in seguito abbiano bisogno di un inserimento critico nella collettività attiva in un clima che è sicuramente problematico ma dovrebbe essere anche di dialogo fattivo. Il ciclo pittorico “I ragazzi del duemila” introduce lo spettatore nella nuova fase artistica di Briscese, evidenziata da una felice presenza di un dinamico figurativo, valorizzata da una ricca tavolozza e da un’elaborata composizione. Il suo complesso linguaggio pittorico è più vitale che mai, “metabolizzato” all’interno del quadro. Le figure sono dapprima sommerse da un confusivo caos di immagini e informazioni mentre negli ultimi lavori si configura un particolare assestamento stilistico. La rappresentazione del giovane evidenzia la sua fuga dall’oppressione che
lo attornia e le ultime tele mostrano uno spazio vuoto intorno alla figura che rende visivamente il totale “nulla” in cui il ragazzo si rifugia,, ossia un radicale distacco dalla realtà . Si tratta di una fuga illusoria che sul dipinto si colora di tinte pallide e tenui. Questa serie pittorica, visionaria e realista nello stesso tempo, merita di essere messa inmostra e visitata con particolare cura. Giovanna Arancio
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Galerie Jindra Husáriková Karlovy Vary
Nella splendida cornice della città termale di Karlovy Vary nella galleria Jindra Husáriková si é tenuta nei mesi di marzo-aprile la mostra personale della pittrice Šárka Mrázová Cagliero. L´ autrice ha esposto per la gran parte opere recenti rimanendo sul filo dei suoi temi prediletti tra l´ amore per le civiltà antiche e le storie del nostro vissuto presente con riflessioni- proiezioni sul futuro. Un altro tema a cui si dedica con sempre più intensa passione é la Natura e le sue infinite variazioni su questo tema celebrano incommensurabile intelligenza, bellezza, saggezza, forza rigenerativa che si cela in essa. L´ incantesimo che la natura risveglia nell´ animo dell´ autrice é pieno di
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messaggi che Šárka nei suoi dipinti traduce in metafore. L´incessante studio e l´amore per la bellezza e la poesia che ogni artista inevitabilmente possiede ed esprime, hanno portato Šárka ad una nuova maniera di pittura che staccandosi da ogni influenza esterna ha trovato misura e dimensioni personali, un linguaggio magico e raffinato, una atmosfera onirica di forme essenziali e nuovissimi toni cromatici.
ROBERTO VIONE
Nelle opere di Roberto Vione possiamo scoprire molto di lui, scopriamo tracce dei suoi viaggi, della sua fame di approfondimento di altre culture con un diretto contatto, del suo impegno sociale, del suo sguardo critico sulle società di oggi, della non accettazione della propaganda dei media volta ad omologare le società, di una certa ribellione verso le storture umane del presente. Roberto Vione sceglie come soggetto la figura femminile ma non si limita a studiarla, a interpretarla, a cercare di rappresentarne i sentimenti... ha bisogno di scomporla, di attraversarla, di selezionarla per poi ricomporla contaminandola con forme astratte, spesso forti e crude che servono da strumento enfatizzante del messaggio che vuole fare emergere. Il risultato è uno stile personalissimo, un virtuoso equilibrio tra figurativo ed astrattismo geometrico, vorrei osare un paragone audace che naturalmente non deve fare pensare ad un risultato finale simile, ma il percorso scompositivo e dissezionante trova un parallelismo con quello cubista. Sull’analisi stilistica vorrei proporre uno stralcio di critica di Giovanna Arancio che mi pare delineare con precisione le opere di Roberto.“I colori antinaturalistici della sua tavolozza sono decisi, forti ed espressivi, con l’incessante presenza di un nero elegantemente in primo piano; i tratti spigolosi e incisivi all’interno della severa struttura compositiva alludono ad una coerenza di contenuti e forma senza indulgenze e ripensamenti. Nelle sue narrazioni la natura, a parte qualche stralcio di cielo, è assente e i personaggi prevalentemente femminili e stilizzati, omologhi e anonimi, presentano, senza ombra di sorriso, la loro identità indefinita ma portatrice di ferite invisibili”. (Giovanna Arancio)
Ecco, le ferite... sono presenti nelle figure, ma lo sono come un vissuto pesante sì ma superato, combattuto e vinto dalla forza interiore, dall’energia della vita che ha prevalso su tutto. Daniela Baldo (aprile 2022)
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ANNA MOSTACCI
Sono entrata in contatto con Anna Mostacci nel 2013, anno in cui si è iscritta alla mie lezioni portando con sé un bagaglio di esperienze artistiche già acquisite di notevole rilevanza. Sin dall’inizio si è rivelata una personalità curiosa con grande desiderio di sperimentare, di trovare nuove vie interpretative, di sviluppare un suo stile pittorico. In quegli anni ha utilizzato diverse modalità di trattare il colore, in molti suoi lavori fino al 2017/18 del colore Anna cercava la matericità, la brillantezza corposa che si ottiene con la spatola, ha approfondito lo studio della luce sulle superfici e sui corpi, persino in scorci paesaggistici. E’ dal 2019 in poi che si è concentrata su un suo personale modo di trattare il colore, che ha sapientemente ripercorso le esperienze acquisite giungendo ad una piena sicurezza interpretativa della figura femminile. Le donne di Anna sono sempre belle ragazze, sono molto simili all’ideale che la nostra epoca ci propone attraverso le modelle, la pubblicità, sono quasi stereotipi. Sono figure aggraziate è vero, ma tutt’altro che “solo belle”,
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sono figure che vivono, che soffrono, che gioiscono, che diventano ambigue e tuttavia è proprio attraverso questa scelta che Anna vuole aiutarci a leggere aldilà delle apparenze, vuole entrare e accompagnare anche noi vicino alle sue donne per capirne le vibrazioni dell’anima, le preoccupazioni, le ansie, le emozioni. Lo fa in punta dei piedi mettendo così in evidenza anche la fragilità stessa dei soggetti. In che modo sviluppa questa ricerca dell’emozione in modo gentile? Lo fa attraverso la sua tecnica: procede con il colore utilizzando velature, quasi ad accarezzarne i corpi, ne scopre e a volta ricopre dei particolari, allo stesso modo rivela la fisionomia come il sentimento interiore della modella. I colori sono sempre accostati con delicatezza, spesso gioca con diverse sfumature di gamma. Le sue donne hanno sempre una particolare emozione nel cuore, frutto di momenti di vita vissuta, sono delicate ma anche forti, potremmo definirle resilienti. Daniela Baldo (aprile 2022)
ANGELO BUONO
Davanti alle opere di Angelo Buono, c’è da chiedersi dà cosa nasca la sua volontà pittorica, s’è non dal fascino dei colori e della luce. C’è quindi alla radice del suo far pittura un input,una sorta di sollecitazione intrinseca che lo porta ad esplicitare nella sua varietà del segno e nella molteplicità delle assonanze cromatiche,tutto un mondo interiore. Affiorano così allo sguardo tutta una serie di esplicitazioni spesso decisamente informali perché interviene direttamente nella materia con un segno espressivo e un gesto spontanee, in cui le modulazioni cromatiche stesse sembrano essere ricondotte al servizio di un serrato impianto costruttivo organizzato talvolta su una griglia spaziale,e la fantasia a fare da supporto ideale x questa trascrizione di segni e di impulsi che si rifanno alla sfera tipicamente sensoriale. Sappiamo che segno,e gesto e materia sono alla radice della poetica “informale”, perché un linguaggio del genere nasce e si origina dal dominio della pulsione. Ebbene in Buono si
avverte, sia pure in una alternanza semantica significativa questa condizione particolare, questo muoversi e voler scoprire un “reale fantastico” ,una trasfigurazione immaginifica, in tal modo l’opera vive allora come in una doppia tensione,tra flusso espressivo e suo annientamento, sulla scia di una intuibile ricerca di dimensioni e di spazi evocativi destinati a respiri più ampi e come se dai gorghi della memoria dovessero emergere i termini di una poetica continuamente oscillante tra visibile e invisibile,tra superficie e profondità. Alla radice c’è senza dubbio una irrequietezza come supporto ideativo, per cui il rapporto che viene a stabilirsi è attivato al rimando tra fattori di contrazione e di espansione,di parcellizzazione e di ricomposizione globale. Salvatore Flavio Raiola
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DALLA PROSPETTIVA ITALIANA” nella Galleria Jatki di Nowy Targ in Polonia dal 3 giugno al 2 luglio curatori Daniela Gilardoni - Leszek Żebrowski
Come sempre un’accoglienza calorosa a noi artisti italiani in Polonia, anche grazie alla squisita gentilezza della nostra gallerista ospite Anna Dziubas. Supportati dalle puntuali traduzioni della Prof. Magdalena Smrecyńska, durante le interviste ed il vernissage, abbiamo goduto di una apprezzato riscontro di pubblico e di una notevole risonanza, sia sulla stampa, cartacea e web, che sulle televisioni locali e regionali che hanno patrocinato l’esposizione. La mostra interdisciplinare, che si è tenuta dal 3 giugno al 2 luglio nella galleria Jatki di Nowy Targ di Anna Dziubas, anch’essa affermata artista, é il risultato di molti anni di collaborazione della BWA Jatki Art Gallery con Teresa e Leszek Żebrowski e la loro Galleria Labirynt a Cracovia e di progetti portati avanti da diversi anni con la mia Associazione La Casa delle Artiste di Milano. E’ Infatti contemporaneamente in corso all’Istituto di cultura di Cracovia la terza tappa della mostra itinerante “Bridges of History-Ponti della Storia”, che presenta opere sia di artisti italiani legati a “La Casa delle Artiste” che di artisti polacchi legati alla Galleria Labirynt. La quarta tappa si terrà da luglio a settembre a Nowy Sącz...”Penso a mostre che raccontino anche la nostra cooperazione e amicizia tra le città; che è più di una semplice enfasi sui legami storici tra Polonia e Italia o Cracovia e Milano - ma è anche un elemento importante per stabilire contatti tra artisti - diventa un invito al pubblico di due paesi per vedere i nostri risultati con-
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giunti. Non a livello museale, dove l’arte è conosciuta e ammirata, ma a livello di artisti contemporanei che lavorano qui e ora in entrambi i paesi” afferma Leszek Żebrowski . A Nowy Targ sono state scelte per l’esposizione opere di 17 artisti, quasi tutti internazionali che operano da diversi anni, che lavorano e sperimentano in ambiti diversi. C’erano:l’artista materica Ambra Airoldi (con le resine che ricreano ambientazioni a imitazione della vera ambra ), il maestro pittore/ceramista irpino
Enzo Angiuoni ( con 4 suoi dipinti astratti,), la poliedrica Alessandra Bisi (qui espone il suo astrattismo puntuale ed unico ), la pittrice Paola Bradamante di Bolzano ( con gli energici colori dei suoi “papel mojado” ), il pittore e curatore Enzo Briscese ( che qui espone i suoi attualissimi ragazzi del duemila ), lo scultore del legno Roberto Caironi (che. dopo anni di intaglio figurativo. predilige oggi legni di riciclo cui dare forme dal significato simbolico), Maria Teresa Di Nardo (qui con i suoi delicati collages ), la ceramista Cinzia Fantozzi (con ceramiche che celebrano la consapevolezza di metamorfosi ed evoluzione della donna), la pittrice di Alberobello Rosa Lia Ferreri ( qui con opere astratte e paesaggi boschivi ), la pittrice contemplativa di Palermo Daniela Gargano (che ha portato un suo sottobosco), l’artista del vetro Daniela Gilardoni (con tre vetrofusioni: una veduta dei tetti di Pavia, un assemblaggio con inclusione di foto /grafiche ad alto fuoco e un assemblaggio a denuncia sulle deflagrazioni mortali di ogni tipo ), l’artista di origine iraniana Andia Afsar Keshmiri ( con la sua performance “gioco democratico” ha coinvolto con successo il pubblico sulla consapevolezza delle false e illusorie democrazie), la giovane ma già da anni fotografa Giulia Lungo (qui porta una sua onirica fotografia), il pittore Giampaolo Muliari (con i suoi eterei personaggi a pastello), l’artista Andrea Polenghi (ben noto per i suoi tridimensionali ritratti con le cannucce qui si cimenta con le Mollette Simboliche),
il pittore Adriano Pompa ( che qui celebra due sue visioni animaliste giovanili ) e la nostra M. Luisa Simone De Grada ( sempre dirompente con le sue figure e i suoi mirabili azzardi di colore).
Dopo le presentazioni e i ringraziamenti agli artisti, ai curatori e ai numerosi soggetti patrocinanti, quali il comune di Nowy Targ, l’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, Il consolato generale di Polonia a Milano, l’ass, Odin di Cracovia Il Centro Culturale Sokol e sponsor locali, alla presenza dell’assessore alla cultura della regione, l’inaugurazione ha goduto di un breve concerto degli allievi premiati di 1° e 2° grado di violino (Natalia Kwiatkowska) e canto (Ursula Szwab e Zuzanna Garbaruk, insegnante Ewa Kowalczyk ) della locale scuola statale di Musica Fryderik Chopin, che si sono esibiti con brani di autori italiani quali Paganini e Vivaldi e hanno terminato con “Santa Lucia”. Abbiamo avuto anche il gentile supporto della traduttrice della lingua dei segni Weronika Pacyga per numerosi visitatori intervenuti. L’avventura di questo produttivo sodalizio continua... Daniela Gilardoni Curatrice mostre de La Casa Delle Artiste di Milano
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DALLA PROSPETTIVA ITALIANA” Artisti presenti nella Galleria Jatki di Nowy Targ in Polonia dal 3 giugno al 2 luglio
ADRIANO POMPA
ALESSANDRA BISI
AMBRA AIROLDI
ANDIA AFSAR KESHMIRI
ANDREA POLENGHI
CINZIA FANTOZZI
DANIELA GILARDONI
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ENZO ANGIUONI
ENZO BRISCESE
GIULIA LUNGO
M.LUISA SIMONE DE GRADA
ROBERTO CAIRONI
DANIELA GARGANO
MARIA TERESA DI NARDO
GIAMPAOLO MULIARI
PAOLA BRADAMANTE
ROSA LIA FERRERI
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SANTO NANIA
Il Pittore Santo Nania di formazione figurativa, ha frequentato la scuola del Castello Sforzesco di Milano. Esperto e ottimo conoscitore della storia del colore,continua la sua ricerca sullo studio delle tecniche pittoriche valorizzando e sviluppando un maggior interesse sulla pittura moderna. Nel 1980 ha fondatoCorsi d’Arte mettendo la sua esperienza a disposizione di allievi delle scuole d’Arte. Ha inoltre collaborato con EntiPubblici per rappresentare e diffondere l’Arte, coinvolgendo la collettività. Dal 1990 si interessa della pittura informale creando uno suo stile. Pittore professionista ha partecipato inoltre a diverse mostre ed iniziative culturali in Italia e all’estero.
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ENRICO MEO
Per giudicare un’opera d’arte, bisognerà prima di tutto catturarla. Del resto, gli artisti sono paragonabili ai serial killer che, oltre a perpetrare ‘delitti’ che sempre si assomigliano, desiderano profondamente di essere catturati. Nella mia attività, assolutamente non professionale, di ‘cacciatore’, li ho sempre acchiappati usando una rete, quella (retinica) della percezione ottica. In pratica, ho imparato a indagare solo su quello che vedo. Questo, ma solo in seconda battuta, mi aiuta pure a intravvedere le tracce nascoste sulla ‘scena del delitto’. Ultimamente mi sono imbattuto in un caso a parer mio affascinante: l’opera d’arte “NON È GIUDITTA” (2022), del Maestro Enrico Meo. Nel ‘delitto’ in questione, la scena appare in ordine, nelle simmetrie, nella quieta postura dei personaggi, nei colori tenui che non vogliono minimamente imporsi. Tutto gioca a negare l’esistenza di un ‘cadavere’. Eppure il ‘cadavere’ è, per forza di cose, davanti ai miei occhi, e mi arriva pure la sua puzza di colori acrilici. Allora, sfodero la mia arma segreta di modernariato investigativo: una lente da ingrandimento. Comincio a puntarla in alto trovando subito un’anomalia in quello che dovrebbe essere un quadro appeso sulla parete di fondo: lo spessore non costante della grigia cornice. Sarà allora lo spessore di un muro che ritaglia una finestra? In questo grigio, nessuna ombra mi da la certezza di uno spessore di muro, ne il celeste all’interno mi dà la certezza di un cielo. Comincio allora, mischiato all’acrilico, a sentire profumo di problematica, ciò che di certo annuncia il mio entrare nei sogni strani dell’artista. In questo antro onirico, allora, il quadro o finestra che dir si voglia potrebbe evocare invece un’anomala aureola di un altrettanto anomala Santa. Le cose, piacèvolissimamante, cominciano davvero a complicare la mia indagine-sogno che, comunque, continua con fervore. Scendendo sul viso della protagonista, non se ne intravvedono ne emozioni, ne tratti etnici, solo pallore, in forte contrasto con l’incarnato ‘vivo’ della testa mozzata nel piatto. Continuando la discesa, incontro le volute, segretamente asimmetriche, della scurissima vestaglia. Mi evocano fiamme, incensi, luttuosa voluttà. Sì, un lutto esteriore che copre la gialla, e forse felice, interiorità della maglia sotto la vestaglia nera. Ma, a ben pensarci, anche questa
maglia è esteriore e illusoria rispetto alla pelle cerea. Il delitto forse non paga. Non dimentichiamo però che questa pallida signora non è Giuditta e la sua colorita vittima non è Oloferne. Va da sé, allora, pensare a “Il tradimento delle immagini” (1929) di René Magritte, che porta in effigie la frase, scritta brechtianamente e direttamente sulla tela, «Ceci n’est pas une pipe» (Questa non è una pipa), che invita, innegabilmente, alla riflessione sulla complessità del linguaggio dei segni. Il cerchio si chiude pensando che, a parer mio, l’unico pittore di qualità vicino a Magritte sia proprio il Maestro EnricoMeo.Morale della favola: percepiamo l’evocazione, evocando la percezione Orazio Garofalo
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BIENNALE ARTE 2022
PADIGLIONE NAZIONALE GRENADA
23 Aprile - 25 Settembre ore 11-19 Curatore
Commissario
27 Settenbre - 27 Novembre, ore 10-18. Chiuso il lunedì
Daniele Radini Tedeschi
Susan Mains
Il giardino Bianco Art Space Via Giuseppe Garibaldi, Castello 1824, 30122 Venezia
Partecipazioni Cypher Art Collective of Grenada (Oliver Benoit, Billy Gerard Frank, Ian Friday, Asher Mains, Susan Mains, Angus Martin, Samuel Ogilvie), Giancarlo Flati, Identity Collective, Anna Maria Li Gotti, Nino Perrone, Rossella Pezzino de Geronimo, Marialuisa Tadei Artistical équipe: Ezio Balliano, Cristina Corvino, Franca D’Alfonso, Elia Inderle, Fernando Mangone, Peter Nussbaum, Fedora Spinelli, Armando Velardo
MARIANGELA CALABRESE. “IDENTITA’ EPIFANICHE” L’artista di Identity Collective, collettivo del Padiglione Grenada alla 59° edizione della Biennale di Venezia, presenterà l’opera in mostra “Identità Epifaniche” La presenza di Mariangela Calabrese nel collettivo Identity Collective,presso il Padiglione Nazionale Grenada alla 59° edizione della Biennale di Venezia, con l’operaIdentità Epifaniche segna un momento centrale del percorso della Nostra permettendole di presentare un lavoro paradigmatico di una “tecnica” narrativa – iniziata qualche anno fa – che lei stessa ha voluto definire Estensionismo pittorico, ovvero una sorta di informale meditativo. La percezione dell’immagine o l’evocazione della stessa, acquista nuove identità attraverso la sua rotazione per quattro movimenti consequenziali. In base al latoassunto essa prende in carico una nuova forma, un nuovo concetto, un nuovo dinamismo. Ecco allora che la narrazioneassume, di volta in volta,inedite connotazioni e significati aggiunti. Un processo per nulla casuale ma “meditato” preliminarmente attraverso un rendiconto pittorico capace di “rappresentare”, già all’origine, ciò che avverrà successivamente attraverso il “gesto” integrativo dell’artista capace di offrire allo sguardo ulteriori e incalzanti considerazioni. Il concetto di “Estensionismo pittorico” trova dunque in quest’opera un modello di distinte narrazioni ovvero di autonome cifre identitarie. L’atto pittorico – e successivamente quello espositivo – capovolge, non solo plasticamente, il canone abituale dell’osservazione. Partendo dall’opera dipinta (una sorta di totemica allusione ascensionistica carica di frammenti e pratiche della propria identità ispezionale) la stessa viene riprodotta (attraverso la roteazione) in altri esemplari che, conse
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quenziali all’originale – ma con il lato di preordinata os servazione modificato, identificando ogni volta la nuova base e la nuova altezza) danno vita ad una sequenza di dipinti emancipati, autonomi, svincolati; ognuno di loro luogo di inedite percezioni, di rivelate armonie. L’opera pare farsi procreatrice involontaria di una figliolanza rigenerata e assolta. Una figliolanza riformata all’interno di un originale destino in cui si producono“nuove previsioni”, nuovi indirizzi. Da sottolineare, in tale condizione, l’inedita relazionalità dell’interlocutore (è il suo sguardo a suggerire e a subire nuove sembianze) con le immagini scaturite, di volta in volta, dalla ri-composizione dell’opera. Un vero e proprio “superamento dei limiti” capace di ridefinire ruoli e sconfinamenti, centralità e lacerazioni, preminenza storica della funzione e immaginifica rilevanza dell’osservare. Lo svuotamento dell’identità originaria (attraverso una ri – composizione dell’immagine) genera identità autonome e offre all’osservatore letture e partecipazioni esclusive. Ma tale intervento pare suggerire al contempo altri percorsi comunicanti. In primis l’avvenente caducità del gesto pittorico – e consequenzialmente del manufatto, della scrittura, di quella che potremmo definire la “dichiarazione finale” -, la sua innaturale corruttibilità narrativa capace, paradossalmente, di amplificare all’infinito la percezione originaria. Mariangela Calabrese fa propria questa fragilità ma non tenta avvicendamenti accidentali bensì ragionate supposizioni affinché si possa edificare – nell’unicità di questo caso – una nuova dimensione linguistica e, pertanto, un inedito sillabario formale .Ulteriore riflessione.
La pluralità dell’opera (o meglio, delle opere) sembra ratificare un nuovo accadimento, ovvero la lettura delle stesse pare alimentaredialoghi unici e inconsueti con il luogo espositivo. Come se anche questo determinasse di volta in volta – moltiplicandone di nuovo l’essenza – una nuova identità, nuove corrispondenze, nuovi contenuti. L’epilogo dell’intero processo attivato da Mariangela Calabrese ci conduce in quel luogo dello “sguardo” che vede fatalmente protagonista (talvolta antagonista) l’interlocutore, lo spettatore, colui che è utente-attore di questo nuovo svolgimento visivo. Ed è lo spaesamento il rigenerato cortile di immagini; il territorio di un attraversamento inconsueto, fonte e occasione di irripetibili
confessioni, dove ogni nativa certezza si smarrisce per dare corpo e respiro ad una riqualificata presenza. Rocco Zani
59.BIENNALE ARTE VENEZIA PADIGLIONE NAZIONALE GRENADA Curatore Daniele Radini Tedeschi – Commissario Susan Mains Mariangela Calabrese di Identity Collective Sinossi dell’opera “Identità epifaniche” Sarà presente il Maestro
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Vittorio Miele, la casa fra gli ulivi Nel borgo storico di Castro dei Volsci una ricognizione storica dedicata all’artista cassinate. Appunti per una mostra in corso di Rocco Zani
Un’idea condivisa e un incontro di indizi recapitati in un cortile di intenti. Nasce da questi presupposti la mostra di “Paesaggi” allestita nella sala della Torre dell’Orologio, a Castro dei Volsci, e dedicata a Vittorio Miele ad oltre venti anni dalla sua scomparsa. Una mostra inconsueta questa, che riporta alla luce una fragile (per fragile intendiamo esigua) raccolta di opere “datate” che, finanche nella nudità essenziale della tela – nelle frange consumate del tessuto – rimanda ad un tempo distante, coagulato quasi in una dimensione in apparenza rimossa. Eppure disegnata – la mostra – per brevi coordinate, così care a Miele pittore. La titolazione non fornisce alibi visionari ma è il “contenuto” delle opere a provocarli: sono i”muri” stagnanti che soffocano l’irriducibile rifiato dello spazio, assolati d’afa o concessi all’ombra del riparo; sono le colline che non hanno sequenze ardite, piuttosto rigonfie come cuori o alture allo sguardo; sono i cascinali “sbilenchi” come capanni della memoria; c’è la neve che per latitudini e cieli e’ fatta di biacca, di rossori sanguigni, di cenere, talvolta di verde in pallore; ci sono i nomi delle opere, come appunti sul retro, apparentemente ordinari o appuntati
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Il muro- 1969 - olio su tela - cm 60x70
Qucbee - 1974 - olio su tela - cm 50x60
come impronta del ricordo – “ Nei paesaggi dai nomi poco usati, prescelti non casualmente come movente d’ispirazione…” ebbe a scrivere a tal proposito Duccio Trombadori - al pari della data. A proposito di date. La “raccolta” in oggetto si consuma tra gli anni 60 e 70 del secolo scorso con un l’unica eccezione di un’opera che potremmo definire “conclusiva”, ovvero dipinta all’epilogo della sua esistenza, una immagine di Quebec che appare resoconto di chiusura affidato ad una memoria fattasi di colpo asciutta, essenziale, discreta. Troppo facile ribadire il sarcasmo di un “paesaggio dell’anima o della memoria”, eppure ognuna di queste immagini è autre chose rispetto alla “collisione” iniziale; come se ogni centimetro di terra e di cielo fosse, invero, centimetro di pelle e sguardo altrove, ovvero alito di vento orfano di direzione. I Paesaggi di Miele che richiamiamo in questa occasione sono minuscoli – ma consistenti – segni autobiografici, direi ritratti “in corsivo” non già di una disputa squisitamente ambientale ma gelosamente intimista. Il paesaggio come sudario, come crocevia di intenti, come dubbio segreto, come indugio di ristoro. Nasce forse da queste contenute osservazioni il “dialogo” che le opere in oggetto sembrano tessere – come esercizio riflessivo – con degli interlocutori d’eccezione
che questo evento condividono con un contributo utile, finanche originale nel suo svolgersi. Un gruppo di allievi dell’Accademia di Belle Arti di Frosinone, seguiti dall’artista Cufrini, realizzerà nel cuore del borgo, un “paesaggio” di Miele, un murales di grandi dimensioni che rimarrà patrimonio di Castro, dell’antica e impenetrabile stirpe dei Volsci. Sul versante di pietra millenaria che domina il largario di tigli, il dipinto sarà una sorta di specchio visionario capace di assorbire il sole bambino e di dominare il cielo di cadmio all’imbrunire. Sarà un avamposto di sguardi curiosi e un portale di magici propositi. Tutto accadrà in questo borgo di pendii che scavalcano agore di sassi e cespi. E di uomini ospitali e generosi. Come Leonardo e Angelo, come Umberto ed Eugenio che hanno “costruito” la mostra, ognuno a suo modo: per accoglienza, per affetto, per fatica, per gentilezza, per passione e abilità. La pagina più bella, forse. Vittorio Miele – “la casa fra gli ulivi” – Castro dei Volsci (Fr), Torre dell’Orologio – dl 22 luglio al 9 settembre 2022 – a cura di Umberto Cufrini – Intervento critico Giuseppe Varone
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ENRICA MARAVALLE
Il servizio buono, 2021, olio su tela, 80 x 60 cm
“Il servizio buono è quello che conserviamo per le grandi ricorrenze; lo teniamo da parte per non sciuparlo. Spesso, anche nella vita, siamo indecisi, non approfittiamo delle occasioni, rimandiamo delle scelte a tempi più adatti. Dovremmo invece seguire l’istinto e godere
di ciò che ci fa piacere, che ci fa sentire meglio. Non mettiamo da parte il vestito nuovo, non rimandiamo la lettura di un buon libro o il momento di un viaggio. Viviamo ora tutto ciò che ci da gioia e ci fa crescere. Mettiamo in tavola il servizio buono e facciamo festa.”
Tramonto sul mare, 2019, olio su tela, 70 x 50 cm
“Non c’è nulla di più bello che sedersi sulla riva del mare e guardare un tramonto. Perdersi in quello spettacolo meraviglioso e dimenticare tutto. Il nostro cuore e la nostra mente vengono rapiti dallo splendore dei colori abbaglian-
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ti del sole che si riflettono sulla superficie scintillante del mare. Ci sentiamo piccoli al cospetto di tanta bellezza e maestosità. Momenti appaganti che arricchiscono la nostra vita e ci mostrano una natura generosa e materna.”
EUGENIA DI MEO
Sono nata a Torino, dove vivo e dove ho frequentato l’Istituto d’Arte, Sezione di Moda e Costume, e il Politecnico presso il quale mi sono laureata in Architettura. Il disegno, nelle sue molteplici forme, è sempre stato una presenza costante nel mio percorso formativo. In questo ambito ho portato avanti una lunga sperimentazione volta a scoprire la “mia traccia” spaziando tra differenti settori. Nell'ultimo decennio sono approdata alla calligrafia. Quest’ultima si è rivelata la via più congeniale per orientare la mia indagine espressiva. Ho approfondito molti stilicalligrafici noti e meno noti.Fanno parte inoltre del mio percorso formativo, diversi stages e workshops con i più grandi calligrafi sia italiani che stranieri. La metabolizzazione degli insegnamenti recenti e passati di alcuni fra i principali maestri del Novecento ha consentito, partendo dalle forme dalle quali nascono le lettere, di trasformarle ed aprirle, tanto da avvicinarmi alla corrente creativa dell’Asemic Writing Art.
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Galleria COTTINI Cinquant’anni di arte e didattica di Antonella Martina
Dopo molti anni, e precisamente dal 2007, anno di nascita della Galleria Cottini, si è organizzata una nuova battuta di pesca di opere di artisti che hanno insegnato nel nostro liceo. Tra le maglie della rete sono incappati anche pittori, scultori e fotografi, docenti di altre istituzioni artistiche torinesi o ex allievi che possono essere considerati amici della nostra scuola. La pesca ha raggiunto ottimi risultati: ora la collezione “Galleria Cottini” comprende più di ottanta artisti. Un esito che ci porta a fare alcune considerazioni sul rapporto tra arte e didattica. La collezione comprende opere di più generazioni di artisti: il più anziano è Piero Martina, classe 1912, direttore dell’Accademia e del Primo Liceo Artistico e della sua succursale divenuta Secondo Liceo Artistico e nel 1976 Liceo Cottini. I più giovani sono, invece, Diego Scursatone e Monica Bruera, nati rispettivamente nel 1975 e nel 1977. Ciò che noi vediamo esposta alle pareti è una storia, quella del nostro liceo, che dura complessivamente da cinquant’anni, che unisce l’arte alla didattica. Leggendo, nel catalogo e nelle didascalie alle opere, le note biografiche degli autori esposti, non possiamo non considerare la successione di docenti, allievi
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divenuti a loro volta insegnanti, e via di seguito, una storia che continua. In proposito il catalogo presenta le testimonianze di Luisa Amico e Gloria Fava, allieve e poi docenti del Cottini.
Antonio Carena - “Nonsense” - acrilico su tavola 78x102 cm.
Giorgio Billia - “senza titolo” - tecnica mista su metallo 30x 80cm.
A questo punto sorgono spontanee alcune domande sull’evoluzione della didattica artistica nell’arco di mezzo secolo attraversato da sperimentazioni e riforme che hanno mutato radicalmente l’istruzione artistica. Gli ex docenti, ma ancora alcuni degli insegnanti di oggi sono passati attraverso le discipline di Ornato disegnato o modellato, di Figura, di Plastica che riflettevano una concezione della scuola come fucina per formare artisti. Nel corso degli anni, mediante le sperimentazioni e per ultimo la recente riforma degli ordinamenti scolastici, si sono introdotte nuove metodologie didattiche come la Progettazione che sottintende nell’attività creativa un progetto da realizzare composto da diverse fasi: dall’ideazione alla sua realizzazione. Inoltre il rinnovamento ha coinvolto aspetti culturali e tecnologici legati all’informatica e ai nuovi mezzi di
comunicazione. Bisogna tenere presente gli interessi e gli orientamenti culturali delle nuove generazioni di studenti nati nel XXI secolo, i cosiddetti “Millenials”. E naturalmente l’evoluzione dei linguaggi dell’arte. Nella Galleria Cottini sono rappresentati diversi momenti dell’arte contemporanea, dal figurativo al concettuale che sono stati messi in evidenza, nel catalogo, nel bel contributo di Ivana Mulatero, critica e storica dell’arte. Concludendo, la collezione mostra cinquant’anni di impegno con i giovani e di produzione artistica di cui essere fieri e orgogliosi. Antonella Martina
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SILVIA FINETTI
Nata a Torino dove vive e lavora. Dopo gli studi accademici continua il suo percorso ed il suo interesse per l’arte e la pittura sia figurativa che astratta. Insegna corsi di Pittura sia all’Unitre di Torino sia privatamente, con le tecniche di acrilico, acquerello e disegno con matite colorate, grafite, pastelli a cera e olio. La sua carriera artistica incomincia da giovane: le prime opere le espone a Roma, tramite un concorso di allievi selezionati esteso a tutte le Accademie di Italia. Questa è stata una spinta che ha indotto l’artista a continuare nella sua formazione artistica, partecipando a numerosi concorsi, mostre collettive e personali. La sua ricerca, continua tutt’oggi nell’espressività del colore e nella ricerca tecnica, esprimendo impatti creativi con pennellate e gesti rapidi e con contrastanti colori. La gestualità nell’approcciarsi con il colore e la forma, porta l’artista a creare delle campiture di colori gradevoli. La passione per la fotografia e per la ricerca di momenti racconti nei suoi vari spostamenti e viaggi, di attimi par-
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ticolari, di emozioni soggettive che vengono trasformati dall’artista, in immagini e rielaborati graficamente, portano ad un’espressione pittorica o Digital Art più ricercata, spesso utilizzando il monocromo o il colore nelle sue tonalità. L’artista si divide, tra il mondo astratto e quello figurativografico: questi due percorsi mirano ad una sintesi artistica, sviluppata fino ad oggi. Prosegue lo studio analitico contrapponendo l’astrattismo come espressione primaria interiore esplicitata nelle sue opere ed il mondo figurativo-grafico più realistico ed essenziale. Questi due percorsi paralleli portano ad una complementarietà che mirano ad una sintesi artistica, a volte configurata, nell’espressione delle sue opere. E-mail: s .fine@hotmail.it Sito: https://silviafinetti7.wix.com/silvia-finetti
LUIGI CURCIO
arcobaleno portatile” le misure sono - cm 30x15x10
Luigi Curcio è nato a Casabona (KR) nel 1953.
Nel 1968 trasferitosi a Torino frequenta il Liceo artistico e poi l’Accademia Albertina di Torino, dove si è diplomato nel 1978. Vive ed esercita la professione insegnante a Torino 1985-86 fa la prima personale all’ Unione culturale presso Palazzo Carignano. Segnalato dalla commissione “Giovani Artisti a Torino” di cui faceva parte il professore P. Mantovani. 2011 partecipa alla mostra Arte Visive Segni 20x20 ( Singolare e Plurale) presso il Castello di Rivalta, a
cura di R. Mastroianni. 2012 è presente alla mostra : lo Stato dell’Arte a cura di V. Sgarbi. Torino - Palazzo Esposizioni. Padiglione Italia 54° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, iniziativa speciale per il 150° anniversario Unità di Italia 2012 partecipa all’esposizione di Arte & Design - Paratissima (C’ est Moi ) 8. Borgo Filadelfia. Torino - ArtParma 2021 - ArtParma 2022 mail.: luigicurcio.art@gmail.com tel. 327.530 4074
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Dissolvenza Un percorso tra arte e natura Installazioni quadri esculture di Maria Halip
La mostra “Dissolvenza. Un percorso tra arte e natura” di Maria Halip (Mausoleo della Bela Rosin, Torino 29 maggio-12 giugno 2022), a cura di Roberto Mastroianni, mette in scena una selezione di opere scultoreo installative tratte dalla recente produzione dell’artista, che esplorala profonda connessione tra arte e natura, i linguaggi e le logiche strutturali del reale. Negliultimi anni Maria Halip ci ha abituato, infatti, a una ricerca poetica minimale e rigorosa, che indaga la dimensione esistenziale e antropologica in relazione agli elementi primari che compongono la realtà, tenendo assieme la dimensione formale, la sperimentazione sui materiali e le domande di senso che legano l’umano alla sfera dell’organico e a quella dell’inorganico.Questo interesse per le forme, i colori e la materia si esprime compiutamente inuna produzione di opere capaci di tenere assieme i linguaggi delle arti visive con quelli delle arti plastiche, dando forma a sculture installative che sono, al contempo, immagini non figurative di natura quasi pittorica che rifiutano la mimesi esplicita per indagare l’aspetto formale, linguistico e materico dell’arte e gli elementi primari della natura. Nella sua più recente produzione, che possiamo osservare nelle opere in mostra, riconosciamo, dunque,alcuni tratti fondamentali che si ascrivono a quella “linea ana-
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litica dell’arte moderna e contemporanea, che Filiberto Menna ci ha insegnato essere pervasa da un desiderio di comprensione degli elementi essenziali della realtà e dell’artee alla riproduzione astratta, minimale e, appunto, analitica delle logiche compositive e formali del reale. Questa tensione si esprime nella sperimentazione sulla linea, sul punto, sulla superfice e nella sapienza dell’assemblaggio poetico dei più disparati medium espressivi e materiali, al fine di restituire la complessità del mondo interiore ed esteriore.
Questa ricerca sulle grammatiche della natura, dello spazio e della nostra consapevolezza visiva si condensano in cicli di opere, che organizzano gli elementi primari secondo le leggi della complessità, restituendo in composizioni ordinate e rigorose materiali di recupero (plastica, marmo, pietre, ferro…) attraverso un’impostazione chiaroscurale e un rigore formale, dando vita ad “accumulazioni” che danno vita a “totem” e “quadri” scultoreo installativi. Le accumulazioni prendono così la forma di stratificazioni rigorosamente organizzate, che riproducono la dialettica tra organico e inorganico che innerva la realtà e l’evoluzione umana e che è rappresentata, sia attraverso il rigore compositivo dei materiali plastici, che si fa geometria esistenziale, sia attraverso la contaminazione di questi materiali con elementi naturali (fiori essiccati, legni, pigmenti…). La dimensione esistenziale, la ricerca emotiva e a tratti spirituale dell’artistadi origine rumena si condensano così in una sperimentazione che mette in scena, in modo plastico,il dialogo tra le forme, i colori e i materiali e che affonda le radici nell’estetica e nella storia dell’arte bizantina. Rintracciamo nelle sue opere, infatti,i linguaggitipici dei mosaici e dell’iconografia sacra orto-
dossa spogliati, però, della figuralità e portati alla loro dimensione primaria, al fine di dare vita a composizioni che tendono a unire bidimensionalità e tridimensionalità in modo da restituire la profondità del reale, senza cedere alla tentazione figurativa. L’interesse per la natura, il paesaggio e la dimensione esistenziale trova,pertanto, forma nelle “accumulazioni” realizzate dalla Halip, proponendoci una serialità e ricorsività compositiva che dà forma a una dimensione, al contempo, astratta, matematica e onirica e che, integrandosi con la fisicità e il lessico dei materiali, ci trasporta in paesaggi naturali e in porzioni di realtà che sfidano la mimesi per tendere all’essenzialità. La riproduzione delle logiche della natura e l’attenzione per l’emotività e la poetica dell’esperienza umana nel mondo danno così vita a opere, realizzate con materiali poveri e di recupero, capaci di presentarsi come icone delle geometrie esistenziali che innervano il mondo della natura. Queste porzioni di materia riarticolata, assemblata e ordinata diventano così porta di accesso al nostro comune paesaggio interiore, al nostro immaginario culturale e artistico e alla complessità del mondo.
La mostra è ancora visitabile nel salone aulico della villa Amoretti a partire dal 27 giugno al 8 luglio
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Alessandra Brollo
Alessandro Gilardi
Daniela De Grandis
Anna Rita Corvino
Elena Ninni
Carla Gemetto
Francesco Galluzzo
Giovanni Varetto
Ida Dorella
Gabriele Savaris
Ilaria Falco
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Luigi D’Angeli
Matteo Maso
Piero De Ruvo
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Luigi Pogliani
Mattia Pigozzi
Rosemma Francesconi
Marco Prinetto
Patrizia Forte
Susanna Fusaro
GABRIELE IERONIMO Un racconto che si lascia condurre dal dinamismo della linea, dalla pienezza del segno e dalla vivacità cromatica; che si costruisce nella fluidità incondizionata del gesto, dell’istinto, delle sensazioni subitanee dell’artista. Con Gabriele Ieronimo la pittura diventa espressione di un “sentito” che si sostanzia nella materia del colore, stesa in maniera corposa, intensa, spesso densa e vibrante all’interno di forme ora astratte ora figurative del reale. Il suo è uno stile personale e riconoscibile, frutto di passione e sperimentazione continua, che ha indotto l’artista a mescolare ed indagare tecniche e materiali, studiare le relazioni di forma e contenuto, tratto e cromia. E se la sua più felice espressione si è condensata per anni soprattutto nella forma geometrica dell’astratto, nella sua produzione più recente si può notare una virata al figurativo, specie nell’analisi esplorativa dell’universo femminile attraverso i volti. “my sweet love” fa parte proprio di questo filone che individua un ciclo in cui le sfaccettature dell’animo della donna emergono in tutta la loro carica espressiva attraverso la diversa valenza cromatica del colore entro cui l’artista ferma le emozioni. Disegnata nel contrasto dei colori accesi declinati e degradanti nelle loro sfumature, l’immagine si potenzia e si carica emotivamente calandosi in un’atmosfera astratta caratterizzata dai segni-simbolo distintivi dello stile dell’artista e riportando la scena ad una dimensione altra dove il sentimento della donna diventa sentimento universale.
acrilico su tela trattata con sabbia e resina - cm. 70x100
Nato nel 59, figlio di un paesino dei monti Dauni, fin da piccolo mostra una spiccata passione per il disegno e i colori, che lo portò a frequentare l’Istituto d’Arte Fausto Melotti di Cantù. Da giovane frequenta per diversi anni lo studio del Professor Paolo Minoli. Il lavoro da project manager lo tiene lontano, per un po’, dal mondo dell’arte, ma nel 2000 la passione per la pittura, mai sopita, riemerge prepotentemente. Ieronimo realizza numerose opere ripartendo da soggetti geometrici e figurativi finchè la sua continua ricerca lo porta alla realizzazione di opere astratte. Significativa è la personale allestita nel 2017 alla corte san rocco di Cantù “Dinamismo e colori dell’anima” con una quarantina di opere astratte che rispecchiano le diverse fasi evolutive della sua crescita artistica. La tecnica pittorica si evolve con la necessità dell’inserimento gestuale che porta a valorizzare le opere con interventi di action painting che permettono all’artista di esprimere al meglio le proprie emozioni. Le sue opere sono esposte in numerose inizia-
tive artistiche e pubblicate su riviste d’arte quali “IconArt Magazine” e “Rivista 20”. Nel 2019 partecipa alla collettiva “Astrattissima” a Chieri, curata da Enzo Briscese, Giovanna Arancio e presentata dal critico d’arte Giovanni Cordero. Nel 2020 partecipa ad “Arte Parma” con la galleria Ariele ed al premio “Icon Art 2020” indetto dalla rivista IconArt Magazine.Nel 2021 partecipa al premio “maestri a Milano” con la video esposizione al teatro Manzoni di Milano. Nel 2022 partecipa al premio “Giotto per le arti visive” con alcune opere sia astratte che figurative.Nello stesso anno partecipa ad alcune aste organizzatedall’associazione ART CODE di Armando Principe che attestano valutazione e certificazione alle varie opere.A maggio del 2022 partecipa, sempre con l’organizzazione Armando Principe, ad un’importantissima fiera“Affordable art fair” ad Hampstead Londra. mail.: Gabriele.ieronimo@live.com tel. 348.52 62 074
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MATTEO MASO VITA DA SPIAGGIA
Ho un sassolino nell’ombellico (e non nella scarpa)
Contorsioni
La vita sulla spiaggia mi affascina, o meglio: mi incuriosisce. Si osservano dinamiche di vite sconosciute che rappresentano però nell’insieme come siamo, i nostri modi di vivere, atteggiarci. E poi, ci puoi ricamare sopra delle storie. Credo che il mio interesse nasca da alcune sequenze del
cinema italiano anni ’60 e dal fatto che dopo un po’ che sono al mare non resisto a stare ad abbronzarmi come una lucertola e inizio ad osservare attorno. E se ho una macchina fotografica con me, non posso trattenermi dal fotografare gli attimi di vita che si paventano, soprattutto quelli che ad occhio nudo si perdono.
Colore preferito Turchese
Stella marina
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Vincenzo Agnetti : Il Superamento dell’Arte di Giovanni Cardone
In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Vincenzo Agnetti che è divenuta convegno interdisciplinare e seminario universitario apro il mio saggio dicendo : Vincenzo Agnetti artista, saggista e scrittore la sua arte nasce dall’incontro con Giorgio Strehler, mente le sue prime ricerche in ambito pittorico riguardano l’Informale nel contempo Agnetti percepisce il limite del mezzo pittorico ancora prediletto se ne allontana preferendogli la produzione poetica e critico-letteraria. Tra gli anni 1950 e 1960 instaura un rapporto di amicizia con Enrico Castellani e Piero Manzoni che insieme ad Agostino Bonalumi, danno vita al gruppo artistico Azimut punto di riferimento per le sperimentazioni più avanzate nella Milano dell’epoca, e alla quasi omonima rivista Azimuth. Nel 1962 si trasferisce con la famiglia in Argentina, dove resta fino al 1967, questo periodo della sua vita è definito Arte noLiquidazionismo si caratterizzata da una quasi totale assenza dal mondo dell’arte, prima assiduamente frequentato, se non fosse per alcuni sporadici contatti epistolari mantenuti con le sue personali conoscenze a Milano. Numerosi sono i quaderni, intitolati Assenza, le pagine di appunti prodotte come un fiume in piena di idee e progetti, caotiche, disorganiche quanto granitiche, pensieri depositati e mai più toccati, frutti di un’incessante attività di scrittura, come ricorda la figlia Germana, di quegli anni in Argentina. Le duemila pagine scritte portano in seno il concetto di dimenticato a memoria. Un ossimoro, inconciliabile nelle sue parti, paradossale alla stregua della vita. Ricordare e dimenticare, come avviene per la cultura che è l’apprendimento del dimenticare; come si
fa con il cibo dopo averlo ingerito se ne perde il sapore per lasciar spazio all’energia. Nei diari, cimeli indecifrati di quegli anni fuori dall’Italia, risiede lo sfogo di una mente in continua ebollizione, che produce e poi rimuove, che scrive e poi cancella. È in atto, in Agnetti, una ricerca artistica che va oltre il puro colore, il rapporto con la tela o l’energia sprigionata in un gesto. Le sue attività si coagulano nella necessità di liberare la mente, spaziare verso nuove possibilità non ancora calpestate. Il valore dell’opera d’arte non è più dato dalla componente fisica e materiale, ma dall’impalpabile presenza dell’idea. Piero Manzoni, padre di un concettuale ante litteram, pone l’accento sulla possibilità di guardare alla superficie della tela con estrema autonomia e autodeterminazione, verso uno spazio non tanto infinito quanto infinibile, come da lui definito, e altrettanto tale è anche il colore nell’uso che se ne fa nei monocromi: “una superficie d’illimitate possibilità è ora ridotta ad una specie di recipiente in cui sono forzati e compressi colori innaturali, significati artificiali”. Agnetti inizia a produrre opere varie, tasselli di filoni diversificati, ove spesso cede il posto alle parole per esprimere immagini, come per esempio in Ritratto. Chiuso e ucciso da una vita meravigliosamente non capita feltro inciso e dipinto risalente al 1971, tragico testamento del dramma umano. Tematica sicuramente nelle corde dell’artista, l’opera tratta della continua e costante riflessione che soffoca e opprime l’uomo dalla notte dei tempi, dove conta più dove andiamo che da dove veniamo, in cerca di sicurezze in una vita che si veste invece di sublimi incertezze.
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Figurativamente siamo chiusi in un labirinto senza un’uscita che possa dirsi veramente sicura, dove l’unica possibilità di evasione è la morte, schiacciante mistero e punto d’arrivo verso l’ignoto, ma dalle parole di Agnetti emerge un rassicurante meravigliosamente alla fine dei nostri giorni, lasceremo questo mondo con un sorriso sulle labbra, perché nonostante tutto è stato bello vivere senza capire. L’incredibile capacità di Agnetti, in tali creazioni, risiede, a mio avviso, nella sapienza con cui, nello scegliere ed accostare le parole, riesca a dar vita e forma ad immagini che nitidamente appaiono nella mente dell’osservatore, che ne stimolano l’interiorità, perché possa guardare all’opera come ad un racconto coinvolgente. Alla Galleria Blu di Milano, nel 1970, ha luogo la mostra che inaugura la serie degli Assiomi, anche se l’artista ne fa risalire la produzione, o comunque lo studio, dal 1968. Sono opere composte da lastre di bachelite nera, incise e trattate con colori ad acqua o nitro e riportanti frasi tendenzialmente tautologiche o contraddittorie. Vi si coglie una volontaria serietà e un rigore di fondo dati sia dal carattere quasi scientifico che utilizza servendosi di linee, punti, grafici e numeri, sia dal materiale stesso che nella sua freddezza rispecchia perfettamente il processo mentale che dietro vi si cela. Lastre
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statiche e dall’importante peso visivo, blocchi neri che conducono l’occhio dell’osservatore verso le profondità di un universo impenetrabile. Evidenti quindi i caratteri che differenziano gli Assiomi dai Feltri, che al contrario presentano frasi di tipo letterario-poetico, accostate a un materiale molto più morbido e caldo. E poi il teatro. Chiave di volta di tutto il suo operato. Agnetti è infatti assolutamente, magnificamente teatrale nell’allestimento materiale nell’utilizzo delle parole, in ogni caso sempre scenograficamente d’effetto. Ne fa un filone della sua produzione: il Teatro Statico. Opera certamente rappresentativa è Progetto per un Amleto politico, esposta per la prima volta nel 1973 presso la Galleria Forma di Genova. Agnetti occupa l’ambiente in questione, dando vita a un’installazione, o impianto, termini che ricorrono spesso quali definizioni dei suoi lavori, come nell’Elisabetta d’Inghilterra del 1976. Pone al centro un palchetto, statico e scultoreo, pronto ad accogliervi qualsivoglia narratore o decantatore, ma che per l’interezza della sua esistenza rimane vuoto, circondato, nel perimetro della stanza, da bandiere e scritte e accompagnato dalla voce dell’artista che onnisciente risuona mentre pronuncia serie di numeri.
Chiaro punto di partenza, da cui Agnetti muove verso la definizione di un processo concettuale, è il dramma seicentesco di William Shakespeare. Al principio vi è Amleto, emblema dell’uomo moderno, dubbioso e calcolatore, rappresentante dell’uomo qualunque, come dice Giorgio Verzotti; vi è il suo monologo e soprattutto la forza introspettiva che da esso scaturisce. Ma un uomo che, solitario, parla a sé stesso, frappone inevitabilmente il proprio io al contatto diretto con il pubblico, e mette in scena un discorso privo di un significato che possa dirsi comprensibile ai più, e anzi sensato solo nella mente del dicitore. Agnetti desidera ridefinire i caratteri del personaggio, rimodellarlo perché possa fuoriuscire dalla gabbia della propria maschera, dall’insensatezza delle proprie emozioni, per incontrarsi con lo spettatore. Spoglia perciò Amleto delle sovrastrutture che da anni ne dominano la rappresentazione e lo porta a parlare rivolgendosi “al pubblico per il pubblico e non a sé stesso per il pubblico”, come scrive Agnetti in Tradotto, azzerato, presentato del 1973, concetto avvalso anche tramite il pensiero di Oscar Wilde: “Oscar Wilde diceva che non si può evitare il futuro; il futuro del teatro è la sua scomparsa a favore dello spettatore”. Ciò che muove l’artista è quindi la ricerca di quel punto d’incontro fra individui, apparentemente perduto, acquietando la spasmodica ricerca di un linguaggio che
possa ritenersi veramente universale, per soddisfare il bisogno di sentirsi capiti e di capire. Ma un monologo, privato della propria carica emozionale, diviene semplice discorso,che intrinsecamente tende alla ricerca di approvazione, come nei politici: cibo per l’anima da ritrovarsi non più negli applausi, come un vero mattatore, ma nei voti. Quanto compiuto non può dirsi ancora completo, occorre che un gradino in più sia salito, perché la fredda affermazione sostituita alla dubbiosa introspezione genera inevitabilmente un comizio. Quest’ultimo ben si adatta al palchetto posto al centro dello spazio espositivo, come se tutt’intorno fosse gremito da una folla pronta a esprimere il proprio consenso, ma mal si addice all’esigenza di ritrovare un contatto vero e sincero, avulso da qualsiasi strumentalizzazione, con il pubblico. A conti fatti il vero problema non è da riscontrare, perciò, in Amleto come persona e personaggio, ma nel medium utilizzato, nel metodo scelto per rivolgersi all’osservatore, perché come dice Agnetti, “una parola vale l’altra ma tutte tendono all’ambiguità” e se vi è ambiguità non può esservi naturalmente comprensione; è quest’ultimo, perciò, il fulcro intorno cui verte l’intervento trasformativo attuato dall’artista: la ricerca della comprensione.
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Da Firenze a Viareggio, Marina di Pietrasanta, Forte dei Marmi, Collodi di Pescia, Siena... “Mantello della Coscienza” (autentica opera vibrazione dell’anima), a “Chronos”, a “Sisyphus”, a “Prometheus”, a “Europe” o ad altre equilibrate e armoniose creazioni, non si può fare a meno di pensare a quanta gioia e fatica abbia provato nel portarle a compimento partendo dalla fase progettuale, definendole materialmente e “vestendole” del proprio “Io”, cioè di quelle vibrate sensazioni ed emozioni che narrano od esplicano un tema e l’altro, unendo il mito alla leggenda ed entrando nella nostra contemporaneità donando un proprio coerente messaggio di fraternità, di amorevole condivisione d’amicizia, sublimando la bellezza/contenuto per portarla ad una visione/visibilità universale. Sempre in Versilia, a Marina di Pietrasanta, è ben visibile la mostra “Omaggio agli artigiani”, concretizzata da un percorso segnato da piastre bronzee di Matteo Castagnini con il posizionamento di ben 12 sculture (sino al 2 ottobre) di altrettanti artisti quali, ad esempio, Girolamo Ciulla (del quale proprio giorni fa è stata inaugurata “L’Acqua di Afrodite”, scultura-fontana stabilmente fissata nella rinnovata Piazza Statuto), Maria Gamundì, Bernard Bezzina, Francesco Mutti e Mohammad Sazesh (…) ed è in ogni modo giusto elencare i nomi delle ditte
Scultura di Anna Chromy (foto di Giacomo Mozzi)
“Girandola” vera e propria di esposizioni e di momenti d’arte assai vari nell’intera Toscana estiva, per cui penso opportuno iniziare la mia simbolica carrellata, questa volta più che altro di cronaca, da Firenze, dove il Museo Novecento celebra la figura dell’“Artista Copernicano” Corrado Cagli (Ancora 1910 – Roma 1976) con una mostra che chiuderà il 20 ottobre. Curata da Eva Francioli, Francesca Neri e Stefania Rispoli, l’esposizione dell’artista, ben noto per la sua versatilità, contempla dipinti, grafiche e sculture. A proposito di Firenze, mi preme sottolineare che alla storica dell’arte Cristina Acidini è stato assegnato dal Comune il ‘Fiorino d’oro’, la massima onorificenza per persone che si sono rese benemerite nei confronti della città. Non da meno è il territorio versiliese, dato che a Viareggio – lungo la nota ‘passeggiata’ – sono state posizionate, e penso vi restino per l’intera estate, alcune splendide scultore di Anna Chromy, artista di gran livello che ha opere sparse nel mondo, nata nel 1940 e scomparsa nel 2021, di cui non posso perlomeno non ripetere una parte di ciò che scrissi anni fa, e cioè che davanti al
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Scultura di Giovanni Balderi (foto Carolina Pellizzari, 2022)
Anna Chromy
artigianali presenti, anch’esse molto importanti: MarbleArtWork, Marble Studio Stagetti, Laboratorio Lorenzo Guiducci, Cervietti Franco & Co., Fonderia Artistica Da Prato, Fonderia Artistica Versiliese, Fonderia Artistica Mutti Francesco, Paolo Nello Galeotti, Giorgio Angeli & C., Fonderia d’Arte Massimo Del Chiaro, Fonderia Artistica Mariani, Laboratorio Marco Giannoni. Veramente interessante – a pochi chilometri di distanza, a Forte dei Marmi – la 72.ma Mostra del Gruppo Labronico a Villa Bertelli (per tutto il mese di luglio) A cura di Enrico Dei, Serafino Fasulo e Jacopo Suggi, con un omaggio alla stagione del “Club La Bohème”, nota anche per la presenza del compositore Giacomo Puccini. Troppo ampio anche per una semplice elencazione il programma della Fondazione Versiliana, a Marina di Pietrasanta, per cui, oltre a definirne il sito www.versilianafestival.it segnalo solo due momenti: il primo è il 17 luglio, presso lo ‘Spazio Bambini’, intitolato “La principessa Turandot e Giacomo Puccini”, mentre l’altro, presso ‘Agorà’ (facente parte della Fondazione) in località Tonfano, a lato di Via Versilia: “Omaggio a Giacomo Puccini. Vissi d’arte, vissi d’amore... vissi di poesia”, il 29 sera, ambedue con la “Compagnia de “I TrovaTTori” guidata dal viareggino Massimo Baroni (in arte si firma Max Baroni). A Collodi di Pescia, nel famosissimo Parco, è in essere sino alla fine di agosto la mostra da guinnes dei primati “Di Favola in fiaba. Il naso di Pinocchio più lungo del mondo” (vedasi, in ogni caso, il sito www.pinocchio. it), nata – come si sa – dalla fantasia di due bambini abruzzesi (Francesco e Ginevra Margiotta, in arte sono I_Bros); con loro Gianluca Petrini, artista sardo: “L’opera si allunga grazie all’adesione al progetto di grandi e piccoli, noti e non, ad un’opera collettiva infinita, in
Corrado Cagli, Mirko suona il flauto. Dipinto
continuo divenire. Oltre 14 le regioni italiane che hanno aderito con artisti di fama: A Collodi è stato possibile portarne solo una parte (quasi 20 metri disposti a ferro di cavallo presso la sala del Grillo)”. Termino i miei appunti segnalando, a Siena, “Come stelle in terra”, dato che il pavimento del Duomo si scopre ai visitatori per l’intero luglio e dal 18 agosto al 18 ottobre. Lodovico Gierut Critico d’arte e giornalista1
Il fonditore Gabriele Lucarini e lo scultore Bernard Bezzina (2022, foto di Lodovico Gierut)
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RAFFAELLA PASQUALI
Raffaella Pasquali è nata a Vercelli. A 17 anni segue un corso presso l’istituto Belle Arti di Vercelli con il maestro Renzo Roncarolo (detto Pimpi), che la invita a non perdere mai la purezza che esprime nei suoi lavori.Nel 2002 dopo un percorso professionale rivolto essenzialmente alla professione di Ingegnere si iscrive, per riprendere il percorso interrotto anni prima, alla Accademia Pictor di Torino ove segue i corsi dei maestri Aldo Antonietti e Giuseppe Musolino.Viaggiatrice attenta ai luoghi geografici, ma soprattutto alle culture che li abitano, ricerca nell’universo dell’arte sentieri di approfondimento filosofico e di recupero di quegli aspetti interiori e spirituali che nel caos del quotidiano restano soffocati e inespressi. Ad interessarla sono in particolare le popolazioni andine del Sud America e l’Oriente, che affiorano nei suoi lavori con declinazioni cromatiche e contenutistiche aperte a stratificate letture. Raffaella Pasquali identifica nella pittura ad olio su tela o su tavola il linguaggio più adatto al proprio sentire e al suo pensiero teorico. E’ stata selezionata per l’edizione del Catalogo di arte Moderna Mondadori nelle edizioni 56, 57 e 58. Ha partecipato ad oltre 60 mostre collettive e rassegne d’arte, regionali, nazionali ed internazionali. Hanno scritto sull’artista: Nucci Tirone, Paolo Levi, Stefania Bison, Silvana Nota, Lodovico Geriut, Elena Piacentini. Riportiamo di seguito un paio di recensioni. “ In Raffaella Pasquali, la figura la fa da padrona, chiusa com’è in una dimensione pulsante e universale. La sua è una fantasia genuina non impulsiva, nel racconto tranquillo e sereno che andando contro quel mondo dove in tanti urlano e sgomitano, giunge all’essenzialità tramite la semplificazione della forma. Le immagini muliebri - donne di nazioni diverse - dicono di una immobilità solo apparente entro la quale pulsa una vita fatta di grande discrezione, di felicità ed anche di profondo dolore. “ Lodovico Gierut - Presentazione mostra
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“Creare Vivi Arte” Museo Ugo Guidi, Forte dei Marmi. Luglio 2015 “[…] La costruzione del prodotto creativo è sobria, pacata la partecipazione emotiva, i soggetti sorgono da campiture scure, non sono necessariamente contemplate le soggettività dei personaggi che animano i mercati o i laboratori: l’autrice si concentra su gesti e costumi che descrivono società altre rispetto al nostro usuale. Poche le sfumature che susciterebbero sentimenti convenzionali, ma evidente una rappresentazione sincera di percezioni dirette e/o riflessioni spontanee. “ Elena Piacentini - CORRIERE dell’ARTE del 26 Ottobre 2018.
e-mail: raffaellapasquali@studioingpasquali.it e-mail PEC: raffaella.pasquali@ingpec.eu
GINA FORTUNATO
“Nell’arte di Gina Fortunato, la luce assume un ruolo fondamentale. È la struttura portante della sua raffinata espressione stilistica, con cui veicola i messaggi che intende trattare. Con la luce, l’artista illumina orizzonti lontani, punti da raggiungere per abbandonare situazioni angoscianti nel presente. Allo stesso modo, usa la luce per alimentare la profondità, plasmando ombre e contrasti alle proprie necessità espressive, quando a prevalere sono tribolazioni e tormenti. I tanti bianchi che ne caratterizzano le tele mettono in risalto l’aspetto spirituale dell’artista, ma anche la sua apertura mentale, volta al cambiamento e alla speranza. Proprio la luce è l’elemento che accende l’arte d Fortunato, conferendo alle tele quel tocco indispensabile per attirare chi osserva. Le opere sono magistrali manifestazioni di raffinatezza cromatica e di armonia delle proporzioni, dove non manca nulla e non c’è niente di troppo. La luce è usata dall’artista come un potenziometro dei sentimenti, che abbassa o alza a seconda dell’umore del momento, delle tribolazioni o delle gioie che animano i colori sui supporti. La luce, allora, diventa un vortice di spirito e materia, una biosfera che determina universi paralleli, in cui ogni cosa è ridotta all’essenza, a macchie cromatiche che sono luce a diversa intensità. La luce di Gina Fortunato, dunque, è filosofica, nel senso che lascia vedere ciò che non esisterebbe se non esistessero fonti luminose. La luce indica l’essenza stessa delle cose, mentre nelle ombre e negli spazi bui, l’artista relega le tribolazioni, i tormenti e quanto è negativo. Accanto a opere in cui si evince una forte sofferenza, con lacerazioni che sono metafora di profonde ferite dell’anima, si susseguono altre tele in cui si respira benessere e voglia di vivere in ogni cromatismo. L’uso della luce è da sempre un elemento tra i più ricercati da artisti e fotografi di tutto il mondo. Non a caso, è uno
degli elementi peculiari che hanno reso iconici alcuni famosi maestri del passato. Leonardo, Caravaggio, Van Honthorst, maestri che piegavano la luce per plasmare forme e scene con stili differenti, quanto unici. Allo stesso modo, Gina Fortunato piega la luce in base all’intensità e alla forma dei sentimenti, trasformandola nell’alfabeto della sua sintassi cromatica. Gina Fortunato è artista capace di raccontarsi e di raccontare il suo tempo, con il coraggio di mettersi a nudo, non risparmiando sentimenti, gioie e dolori profondi, che modella sulle tele con la raffinatezza del colore e l’uso suggestivo della luce. Un’artista in cui prevalgono l’ottimismo di chi è sempre pronto ad adoperarsi e la speranza di chi non vede l’ora di abbracciare il futuro.” Pasquale Di Matteo - Scrittore – Critico d’arte – Comunicatore multidisciplinare
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LEONARDO CHERUBINI
Leonardo Cherubini nasce a San Giovanni Valdarno (Arezzo) il 17luglio 1963, vive in provincia di Firenze, a Reggello dove svolge l’attività di pittore e architetto. Ha partecipato a varie mostre e rassegne di pittura in luoghi diversi e durante eventi organizzati da comuni, associazioni culturali e in spazi dedicati all’arte, in sintonia con il principio che l’arte debba uscire allo scoperto e diventare fruibile da tutti. Fra queste si può ricordare: mostra personale nelle vie del centro storico a San Giovanni Valdarno, partecipazione alla XXV Rassegna d’arte internazionale di pittura e scultura – La Telaccia D’oro a Torino, partecipazione al I° Premio Modigliani a Montevarchi, alla rassegna d’arte “Progetto per un mani-festo” in occasione degli 80 anni dalla fondazione del quotidiano l’U-nità, partecipazione all’evento culturale “Antonio Possenti incontra ipittori dell’ Ardengo Soffiici” a Rignano Sull’Arno, alla rassegna d’arte “Kunstvon Uns” a Rosdorfs in Germania, all’evento culturale “Donne e muse” presso il Museo delle Miniere e del Territorio nel Borgo di Castelnuovo dei Sabbionia Cavriglia. In questo anno di ripresa dopo la crisi dovuta al Covid è stato presente all’ “Art Parma Fair – Mostra Mercato di Arte Moderna e Contemporanea”.La pittura, afferma Balthus, “è un lungo processo che consiste nel far sì che ogni colore, paragonabile a una nota musicale, sì assembli agli altri e produca insieme il suono giusto……un colore assume il suo ruolo, il suo timbro, soltanto se ce n’è un altro accanto, in simbiosi”.
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Dipingere allora è come suonare uno strumento musicale, e come il musicista fa scaturire le note direttamente dalla sua anima, così il pittore attraverso il silenzio dei suoi colori si predispone ad ascoltare le voci che provengono dal suo mondo interiore e a penetrarne i segreti più intimi fino a raggiungere mondi sconosciuti. “Potrei andare in Norvegia a dipingere i fiordi, potrei andare in America a dipingere i grattaceli, invece sto a Poggio a Caiano da decine di anni e dipingo sempre di nuovo quel campo, quel filare di viti, quel gruppo di alberi, ma ogni volta sento di andare più profondo nella realtà, di avvicinarmi maggiormente alla verità” (A. Soffici). Scavare così nel segreto profondo del proprio spirito, dipingere per raccontare quello che sta all’interno e svelarne il mistero; creare “oggetti a reazione poetica” ed estrarre, dalle profondità dell’anima, verità appena percepite, rivelando le proprie emozioni più intime. Arte come aspirazione sublime a produrre bellezza, con l’armonia dei colori, la brillantezza dell’oro, la padronanza della materia che si evolve e si trasforma in stratificazioni successive fino a generare alchimie oltre l’immaginario, nella ricerca di suggestioni e passione. Leonardo Cherubini
tra poesia ed enigma, fantasia del reale ed una nuova geometria, razionalità e pulsione senti- mentale, in cui si Svelano vedute nebbiose dai vapori dell’atmosfera con squisite morbidezze tonali, improvvise accensioni, tra i gialli dorati, i rossi fiamminghi, i preziosi valori dei verdi, i grigi perlacei e gli azzurri polverosi che rendono i paesaggi incantati nei silenzi d’animo e nei misteri dell’esistenza. Ecco perché, in un clima metafisico e sognante, scorre la splendida pittura di Leonardo Cherubini: ora dolcemente apollinea, ora con un filo di malinconia, mentre i borghi antichi che parlano di storia e le incantate vedute appaiono in una dorata luminosità soffusa, mentre la luna nel blu giottesco, saluta poeticamente lo spettatore. Alla fine, sensazioni fermate nel loro momento evocativo ed attimi preziosi si fondono nel colore e nella luce in una pittura con accentuazioni quattrocentesche, dove la narrazione simbolica diviene allusiva, quanto,fantastica,mentre le armonie naturali e le figure femminili di classica bellezza primeggiano nelle visioni di fascino, svelando un candore compositivo nelle voci segrete dell’armonia pittorica. Carla d’Aquino Mineo
LA POETICA DELL’IMMAGINARIO NEI DIPINTI DI LEONARDO CHERUBINI Il dipinto appare come un’emozione d’animo: un orizzonte che si apre alla luce ed all’aria, mentre leggeri vapori colorano di nostalgiche rimembranze i paesaggi di sogno nei dipinti da Leonardo Cherubini. La sua narrazione figurativa è fatta di sfuggevoli sensazioni: lo sguardo le raccoglie, mentre la fantasia creativa le esalta in un mondo evocativo nella poetica dell’immaginario. Ecco che allora, le immagini escono dalla fisicità dei paesaggi: le accompagna la fuga dei pensieri, dove le vedute si dissolvono in una particolare luminosità che diviene sogno del reale ed un velo leggero di vapori dissolve le visioni in un alone di magica poesia. Tutto pare lievitare nelle velature finissime dell’aria umida, dove la raffinata trama pittorica, rivela una costruzione e decostruzione delle immagini nella coniugazione,
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Presentazione del libro EMBRACE a cura di Toti Carpentieri con interventi di Lino Patruno e Bianca Tragni Adda Editore Bari
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Dentro ad un abbraccio puoi fare di tutto. Paulo Coelho
DIPINGERE L’ETERNITA’ Il senso di un “Embrace”
Ci accade sovente nell’esercizio di quello che è il mestiere del critico d’arte, ma ancor più in quest’occasione (la messa in cantiere di “Embrace”, la personale di Michele Roccotelli artista dalla molteplice, durevole e importante creatività), chiedersi quale sia il ruolo dell’arte, e quale quello dell’artista. A prescindere dalle circostanze/eventi nei quali i due interrogativi si manifestano, o si possono manifestare, in maniera più o meno pacifica e/o conflittuale. Per cercare di rispondere ai due quesiti, in questo loro più immediato ri/proporsi, ci piace fare esplicito riferimento allo strumentalismo del filosofo e pedagogista statunitense John Dewey, ovvero a quel suo considerare l’esperienza (anche quella artistica del fare) quale rapporto interattivo tra l’uomo e l’ambiente, riconoscendole il potere dell’estensione del pensiero e il suo divenire realmente educativa nel momento in cui promuove lo sviluppo e il potenziamento razionale dell’individuo. Bisogna, quindi, partire dalla constatazione/conferma che l’uno (l’artista) e l’altra (l’arte), e quell’altro ancora che è il fruitore dell’opera d’arte, appartengono tutti alla normale quotidianità del
vivere, nella quale appunto l’attività/esperienza creativa si manifesta e attualizza inventando significati. Spesso, a prescindere dal linguaggio utilizzato, rivendicando/assumendo un ruolo comunicativo fondamentale e prioritario, in quella sua plurima sensorialità legata al vedere, al sentire e al toccare, e, quindi, al suo poter essere musica, video, architettura, cinema, oltre che pittura e scultura. Nella conferma, come accade appunto in Michele Roccotelli, della sincrona continuità tra arte ed esperienza. Riconoscendo all’immaginazione, e quindi all’esercizio della fantasia, la capacità, tra intuizioni, progetti e utopie, di modificare il reale, o meglio di pervenire ad una sua più profonda e pertinente conoscenza evolutiva. Quella che consente all’artista, in particolari situazioni, di andare oltre il ripetersi/ riproporsi di fatti/sentimenti/emozioni per approdare ad una differente modalità di relazionarsi con se stesso e con quanto gli è intorno, conferendo all’arte e al suo manifestarsi, ovvero all’opera, il superamento del puro e semplice aspetto formale/materiale, per divenire una congèrie di percezioni, emozioni e passioni.
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Come, in realtà, è accaduto a Michele Roccotelli in questi due anni e passa appena trascorsi. E come, a ben guardare, sta ancora accadendoa lui e a tutti noi, tra un’epidemia infinita (della quale per alcuni versi siamo anche responsabili/colpevoli) e il ritorno,con sempre maggior virulenza, di quello status di belligeranza permanente, tipico dell’umano genere, a lungo e fortunatamente, dimenticato. Portandoci, l’artista incluso, a nuove ed impreviste, oltre che imprevedibili modalità del vivere, contraddistinte ad un’infinità di progressive, e talvolta, perfino problematiche e dolorose rinunce, quali l’incontro, il dialogo, la partecipazione, la vicinanza, l’abbraccio. Emergenza, quest’ultima, concreta e tangibile su cui riflettere ed interrogarsi, e con cui interagire.Partendo, ovviamente, dall’etimologia del termine, e quindi dal suo significare “cingere e chiudere tra le braccia” (che ci rimanda a Giacomino Pugliese e all’inizio del XIII secolo), e dai suoi sinonimi che, secondo il Pittàno, vanno da stretta ad amplesso. Cos’è allora l’abbraccio? Un gesto, un movimento delle braccia che stringe e avvolge l’altro a sé, una “dimostrazione di affetto, di intensa partecipazione o di amore, consistente nell’accogliere o nell’attrarre l’altra persona”. Un’azione, che va ben oltre il contatto fisico per essere anche immediatezza, pensiero, emotività, rapporto, sintonia, dialogo senza parole, che in questo lungo momento ci è maledettamente mancato, privandoci della sua immaginifica magia. Quella di cui scrive Pablo Neruda in una sua indimen-
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ticata poesia, chiedendosi dapprima:“Quanti significati sono celati dietro un abbraccio?”, per poi aggiungere: “Esistono molti tipi di abbracci”, e quindi concludere: “Ma il più delle volte un abbraccio/è staccare un pezzettino di sé/per donarlo all’altro/affinché possa continuare il proprio cammino meno solo”.Ma ancheed ancor più, quella percepibile nelle tante maniere e nelle tante materie in cui l’abbraccio è stato raffigurato dagli artisti nel corso dei secoli, a partire da “Memi e Sabu” l’egizio calcare dipinto del 2575-2465 a.C. per poi giungere alle infiniteraffigurazioni di Renato Guttuso degli anni Ottanta, passandoper il Beato Angelico, Peter Paul Rubens, Elisabeth Le Brun, Antonio Canova, Paolo Troubetzkoy, Pablo Picasso, Umberto Boccioni, Gustav Klimt,Oskar Kokoschka, Marc Chagall, Giorgio De Chirico, Egon Schiele, Henri Matisse e tantissimi altri. Fino allo sciame di “Embrace” di Michele Roccotteli, che costituiscono il risultato più recente della sua intensa/proficuaenergia immaginativa eil corpus di questa mostra/percorso. Da leggere secondo differenti tracciati e modalità, tenendo ben presenti alcuni presupposti da cui non poter prescindere. Primo tra tutti il tempo del fare, con il localizzarsi della totalità delle opere nelquinquennio che va dal duemiladiciotto al duemilaventidue, tranne due che dal duemilaventi vanno indietro di ben sei anniconfermando così la continuità operativa ben evidente nell’analisi del suo modus operandi, assolutamente personale e coerente.
Ribadita, a ben guardare, nelle altre opere dislocate negli anni, nelle quali le precedenti attenzioni tematiche di Roccotelli, tutte legate alla naturalità, urbana o ancora più ampia, si modificano secondo un’astrazione progressiva, assumendo nuove connotazioni/sembianzepiù figurali. Puranco embrionali, ma assolutamente tali. Quindi il colore e la materia, l’una propedeutica all’altro e viceversa, nella costruzione di uno spazio pittorico astratto nel quale i punti di osservazione si moltiplicano e si sovrappongono, tra ristagni cromatici ed improvvise linee di fuga effervescenti che alludono a forme ben identificate ed identificanti, giocando sull’allusione e sul ricordo. Perfino quello degli studi/approfondimenti effettuati nel tempo e del mestierea lungo esercitato e manifesto.Astrazioni cromatiche ed espansioni dinamiche da cui emergono corpi (quanti nudi, e quante aggettivazioni: seduto, sensuale, piegato, roseo, plastico, frontale, laterale, giallo, dormiente …) di donna e di uomo, e parti di essi: mani, profilo, rotondità, retro … . O forse, solo la loro memoria, in quell’essere l’uno e/o l’altra, e l’uno e l’altra insieme.
Come, appunto, negli “Embrace” dell’ultimissimo periodo. Nei quali Michele Roccotteli propone una sorta di geografia del corpo, vista attraverso la tematica dell’abbraccio con il suo essere materico, naturale, informe, rosso, avvolgente, audace … nellari/scoperta del bacio (giallo, notturno, … e strutturato in polittici) … e infine in quella fusione di corpi che è l’amplesso.Facendoci riandare ad alcune sue precedenti prove, ma anche e nuovamente, al lungo percorso della storia dell’arte e a quel suo costante muoversi tra sensualità ed erotismo, spingendoci ari/fermarci su questi suoi recentissimi dipinti che,in un crescendo di intensità emotiva, attualizzano la proiezione della fisicità dei corpi in quella dimensione immaginativa, misteriosa e misterica che caratterizza l’animo umano e identifica i sentimenti. Approdando a “La petite seconde d’éternité/ Où tu m’asembrassé/Ou je t’aiembrassée”, di cui scrive Jacques Prévert, ovvero alla sospensione del tempo. Toti Carpentieri
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“Oltre Caravaggio. Un nuovo racconto della pittura a Napoli” in mostra a Capodimonte
In esposizione 200 opere provenienti tutte dalle collezioni permanenti del museo, senza prestiti esterni. Una mostra, realizzata in collaborazione con le associazioni Amici di Capodimonte Ets e American Friends of Capodimonte, che si propone di rilanciare il dibattito presentando un’altra lettura del ‘600 napoletano, diventato per amatori e storici il secolo di Caravaggio. Il ’600 napoletano è una ‘invenzione’ recente. È stato riscoperto e definito meno di un secolo fa dallo storico d’arte Roberto Longhi (1890-1970). Secondo lo studioso, il naturalismo di Caravaggio sarebbe la spina dorsale dell’arte napoletana. Gli studi seicenteschi sul Sud derivano, quasi senza eccezione, dalle sue proposte formulate in una serie di saggi che sono stati pubblicati essenzialmente nel secondo decennio del secolo scorso. Dall’inaugurazione della Pinacoteca di Capodimonte nel 1957 fino ad ora, l’esposizione dei dipinti del ’600 napoletano è stata in gran parte il risultato di quest’analisi.
Jusepe de Ribera
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Domenichino
La realtà è più complessa e i curatori della mostra, Stefano Causa e Patrizia Piscitello, sulla base degli studi degli ultimi decenni, propongono di riconsiderare lo schema di Longhi, ormai ampiamente storicizzato, e di ripensare l’intera articolazione di un secolo che non fu solo quello di Caravaggio, ma soprattutto quello di Jusepe de Ribera, uno spagnolo arrivato a Napoli nel 1616, sei anni dopo la morte di Caravaggio. La mostra “Oltre Caravaggio” porta Ribera, rappresentato nelle collezioni di Capodimonte da opere sacre, mitologiche e nature morte, al centro della scena artistica napoletana. Presentare la civiltà artistica napoletana vuol dire mettere in giusto risalto gli apporti esterni e gli scambi con gli altri centri, l’invio da fuori di opere e progetti, la residenza in città degli artisti ‘forestieri’. Napoli, infatti, era ed è una grande città portuale, crocevia della vita e della cultura italiana. Nel XVII secolo era diventata una delle megalopoli più popolose del mondo esercitando una profonda influenza sulla cultura europea; la sua storia si presenta come una ricca stratigrafia, fatta di diverse civiltà, popoli e espressioni artistiche che hanno lasciato tracce nel patrimonio artistico e monumentale. Per secoli ha subito attacchi, invasioni e distruzioni, facendo fronte a numerose catastrofi naturali: eruzioni vulcaniche, terremoti, maremoti e pestilenze.
In quest’ottica si può spiegare il ruolo centrale che hanno in questa rassegna, dedicata al XVII e XVIII secolo, lombardi come Caravaggio (1571-1610), emiliani come Giovanni Lanfranco (1582-1647), Domenichino (1581-1641) e Guido Reni (1575-1642), lo spagnolo (ma napoletano d’adozione) Jusepe de Ribera (15911652), i francesi Simon Vouet (1590-1649) e PierreJacques Volaire (1729-1799), il bergamasco Cosimo Fanzago (1591-1678), i romani Artemisia Gentileschi (1593- 1653) e Gregorio Guglielmi (1714-1773), il belga François Duquesnoy (1597-1643), che aveva collaborato all’altare per il cardinale Ascanio Filomarino (1583-1666) nella chiesa dei Santi Apostoli, imponente macchina realizzata tra il 1638 e il 1647 dall’architetto Francesco Borromini (1599-1667), tra i principali esponenti del barocco romano. Gli artisti napoletani traevano ispirazione da questi apporti, rielaborando in maniera del tutto personale iconografie, tagli compositivi e utilizzo delle luci, esportando il loro linguaggio in Italia e in Europa. Un esempio tra tutti è Luca Giordano (1634- 1705), che, campione della pittura barocca napoletana, viene chiamato a Venezia (1665, 1668), a Firenze (1682-83, 1685) e in Spagna (1692-1702), lasciando traccia sui pittori locali.
Museo e Real Bosco di Capodimonte - Via Miano, 2
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L’arte al “Tremenda Day” di Cosenza
Sabato 28 maggio2022, dopo due anni di pandemia, l’evento Tremenda Dayè tornato ad animare Corso Mazzini a Cosenza con Musica, Sport, Arte, Teatro e volontariato, come prevenzione del disagio giovanile. La Fondazione Exodus e i centri giovanili Don Mazzi, hanno preparato l’ottava edizione di un evento nazionale e unica manifestazione in Calabria del progetto “Don Milani2 Ragazzi fuoriserie” . La manifestazione si è svolta da Via Arabia a Piazza Municipio e ha coinvolto tutte le associazioni, gli enti di promozione, le Federazioni del territorio, sportive di volontariato, culturali e ambientali. La kermesse diretta da Exodus Cosenza, è stata guidata, come sempre, dalla Responsabile Deborah Granata, la quale per la sezione arte ha proposto come organizzatrice l’artista Rita Mantuano. Questo compito è stato svolto per anni dalla artista digitale Giuliana Franco, scomparsa recentemente e rimasta nel cuore di tutti. All’evento erano presenti le sue opere. Tra i tanti partecipanti ricordiamo alcuni noti artisti come Luigia Granata, Rita Mantuano, Antonio Oliva, Stefania Vena,Julia Vedenicheva,Maria Teresa Aiello, Marina Lanzafame e tanti altri. A Rita Mantuano, organizzatrice della mostra Tremenda Day ho rivolto alcune domande: D. Rita, parlaci delle tue emozioni quando Debora Granata, responsabile Exodus Cosenza ti ha proposto di organizzare la sezione arte del Tremenda Day ,ereditando un compito che fino all’ultima edizione di due
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anni fa fu della bravissima e amata Giuliana Franco. R. Quando Deborah Granata mi ha proposto di coordinare gli artisti per l’ottava edizione del Tremenda Day,dopo due anni di fermo a causa del covid, ne sono stata onorata. E’ stata una di quelle proposte che non si possono rifiutare.Accettando, ho sentito di rendere viva la memoria di Giuliana Franco in concreto e non solo con un post di commiato a mezzo social. Ho sempre preferito i fatti alle parole, D. Evidenzia la differenza tra partecipare come artista e partecipare a questa kermesse come organizzatrice. R. La differenza fra organizzare e partecipare solo come artista espositrice è immensa. Per farti capire: un conto è invitare e organizzare una cena, un altro è partecipare come invitata. Giuliana curava tutta l’organizzazione con amore, che è il motore propulsore di ogni cosa, facendo dell’evento un momento di unione e allegria fra artisti.Ho cercato di seguire le sue orme per mantenerne vivo il suo ricordo. Collaborando, continuamente per mesi fino alla giornata dell’evento, con il team ein particolare con Deborah Granata, che Giuliana stimava molto. Ho incoraggiato la presenza di artisti che avevano partecipato alle precedenti edizioni e di giovani artisti emergenti. Ho accolto due giovani artiste ucraine già note nel loro paese d’origine per dare un segno di solidarietà all’evento. Il Tremenda Day è un evento a carattere nazionale ed ogni cosa necessita di attenzione, cura infinita e certosina, anche per il messaggio che porta .
D. Hai incontrato difficoltà? R.Non ho incontrato grosse difficoltà. L’esperienza maturata in anni di organizzazione di eventi mi ha aiutato.
pensare che fisicamente non sia più con noi.
D. Ci sono state sicuramente anche tante soddisfazioni. Tira le somme dell’evento. R. Gli artisti hanno avuto piacere di ritrovarsi dopo un periodo di isolamento forzato ed è stata una gioia ricordare la compagna di tante belle iniziative. E’ stato molto commovente il momento in cui Deborah Granata ha consegnato una targa in memoria e in onore di Giuliana ai suoi amati figli, dinnanzi alle sue opere che ho chiesto loro di portare in mostra. I giovani hanno fiducia in me e si sono fidati, conoscevano l’operato di Giuliana che ha sempre accolto e saputo intessere buoni rapporti con tutti.E’ stata per noi artisti una mamma e sono onorata di essere riuscita a portare avanti il suo messaggio. In fondo forse prima ancora che artista la mia vocazione è quella di madre e questo Giuliana lo sapeva bene cosi come tutti i miei amici artisti giovani e “vecchi”. D. Se ti verrà riproposto ripeterai questa esperienza? R. Il prossimo anno se mi sarà proposto, sempre se le mie condizioni di salute me lo consentiranno, accetterò con piacere di guidare l’evento, proponendo alcune migliorie riguardo la location. D. Raccontaci uno dei tanti episodi che ti lega all’artista digitale Giuliana Franco R. Non basterebbe un articolo solo a raccontare cosa mi legava a Giuliana. Ti dico solo che abbiamo condiviso tanti bellissimi eventi e risate. Giuliana è stata la prima che mi ha introdotto nel mondo delle collettive e delle competizioni poetiche. La persona che mi ha accolto con benevolenza e col sorriso anche quando la malattia le impediva di essere presente.E’ dura
D. Parlaci del messaggio di solidarietà che è stato lanciato con la presenza delle artiste ucraine. R. I colori delle artiste ucraine,la loro fierezza mi hanno colpito molto. Colori puliti e .ricchi di luce che trasmettono amore per la vita. Una delle due artiste di soli 13 anni Vlda Veronica Mazurets è dolcissima. Mi è entrata nel cuore. Il pensiero che tante bambine e donne come lei stiano subendo la violenza di questa guerra ingiusta mi rattrista moltissimo. Sono lieta di avere offerto loro l’occasione di qualche ora di svago e spensieratezza. Alessandra Primicerio (critico d’arte)
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La scultura in bronzo di Giacomo Mancini, leader socialista.
E’ stata inaugurata a Cosenza la statua in bronzo di Giacomo Mancini, che fu segretario del Partito socialista italiano e più volte ministro, oltre che sindaco della città. L’opera è stata realizzata dallo scultore napoletano Domenico Sepe, autore anche della scultura di Diego Armando Maradona situata davanti allo stadio che ora porta il suo nome, a Napoli. La data 25 aprile è stata scelta per ricordare che Giacomo Mancini era anche un partigiano. L’artista, Domenico Sepe, che ha realizzato l’opera ha voluto rappresentare la grandezza di Mancini sia nella spiritualità che nella sua concreta umanità. «Appena ho iniziato a lavorare mi sono sentito particolarmente ispirato ed ho impiegato tutta la passione, il rispetto e l’impegno dovuti ad un personaggio così importante per la comunità» ha affermato Domenico Sepe. «A Cosenza mi sono sentito a casa – ha aggiunto – Sono felice dell’apprezzamento riscosso: mi onora e mi rende orgoglioso di essere stato coinvolto in questo straordinario progetto». Dopo pochi giorni, però, la statua di Giacomo Mancini ha ricevuto degli sfregi. Sul volto dell’ex sindaco, parlamentare e ministro, sono comparsi rivoli d’un liquido trasparente, successivamente lesioni nella parte inferiore dellastatua. L’artista Domenico Sepe. Note biografiche Nato a Napoli il 7 dicembre del 1977, scopre la scultura all’età di 5 anni manipolando oggetti in legno e pla-
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stilina. Scultore, pittore, scenografo, si è diplomato al liceo artistico nel 1995 e all’accademia di Belle Arti di Napoli nel 2001. Attualmente è docente di ruolo abilitato di storia dell’arte, disegno ed educazione artistica. Fornitore ufficiale della Real Casa Borbone Due Sicilie, presidente e ideatore dell’associazione culturale, SALOTTO CULTURALE TEMATICO. Sepe ama la scultura del periodo ellenico e studia le avanguardie. Il materiale che ama di più è il bronzo. Ha realizzato diversi monumenti e opere pubbliche, toccando varie tematiche, dalla scultura sacra a quella commemorativa Tra i monumenti pubblici ricordiamo: L’estasi di Padre Pio, inaugurato il 23 agosto 2000 in Colle D’anchise CB (figura in bronzo in dimensioni naturali). Fontana Gennarini, monumento dedicato al mare inaugurata il 6 febbraio 2001 Taranto( figura in bronzo, rappresentante un gruppo di delfini alta 350 cm). Cristo Risorto, inaugurato il 10 agosto 2001 Napoli (figura in bronzo in dimensioni naturali), Madre Anna Vitiello, fondatrice dell’ordine Redenzione, inaugurata il 29 dicembre 2003 Visciano, “Nassirya”, monumento dedicato ai caduti in guerra, inaugurato il 10 gennaio 2004 in Melito NA (figure in bronzo in dimensioni naturali). San Giorgio Martire, monumento equestre inaugurato il 1 maggio 2004 in Afragola NA(figura equestre in bronzo, alta 350 cm). Busto reliquiario di Sant’Antonio di Padova, inaugurato
il 12 febbraio 2005 presso la Basilica di Sant’Antonio di Padova in Afragola NA.(busto in bronzo in dimensioni naturali). La benedizione di San Pio, inaugurata il 30 settembre 2007, Orvieto.(figura in bronzo in dimensioni naturali). Mario Merola, rappresentante della canzone partenopea nel mondo, inaugurato il 12 novembre 2007, Napoli(Altorilievo in bronzo su base in marmo in dimensioni naturali), Santa Rita da Cascia, inaugurata il 20 ottobre 2007, Extrema MG Brasile(Figura rappresentante la salma di Santa Rita da Cascia, volto, mani e piedi in ceramica, corpo e vestiario in stoffa, racchiusa in una teca di vetro) opera consacrata da Benedetto XVI. Monumento ai caduti, inaugurato il 2 giugno 2008 Francolise CE( altorilievo in bronzo su base in marmo di Trani, altezza 250 cm). Sant’Anna, inaugurata l’8 settembre 2008, Napoli (figura in bronzo in dimensioni naturali). San Germano, inaugurato il 19 ottobre 2008, Santuario di Sant’Andrea del Pizzone Francolise CE(Figura lignea interamente decorata con incastona-
tura di occhi vitrei, dimensioni naturali). Luigi Grillo, rappresentante della cultura nella città di Afragola, ex arbitro internazionale, ex sindaco di Afragola, fondatore del premio internazionale Ruggiero II il Normanno, Inaugurato il 26 dicembre 2008 Afragola NA. San Francesco d’Assisi, inaugurato il 23 marzo 2009, Teano CE(figura in bronzo in dimensioni naturali), San Francesco d’Assisi, inaugurato il 11 agosto 2012, Castropignano CB (figura in bronzo in dimensioni naturali), Rita Levi Montalcini, busto in bronzo, gennaio 2015, Afragola Na, presente all’evento Piera Levi Montalcini, San Giorgio Martire, monumento equestre inaugurato il 23 aprile 2015 in Airola BN (figura equestre in bronzo, alta 350 cm) benedetto in udienza privata da Papa Francesco in San Pietro città del Vaticano, monumento “Vittoria Alata” scultura in bronzo alta circa sei metri e collocata a Sanremo il 2 giugno 2018. Alessandra Primicerio (critico d’arte)
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ALESSANDRA LANESE
Alessandra Lanese nasce a Messina il 01/06 1969. Frequenta l’Istituto d’Arte della sua città natale e successivamente l’Accademia di Belle Arti a Catania. Dal 1994 la sua tensione artistica è rivolta alla fotografia, con essa nasce il senso del rispetto e del pudore in rapporto all’immagine da catturare . Tale visione la porta a muovere i primi passi esprimendosi nei confini di numerosi “autoritratti”, liberamente determinati dal non voler vedere ciò che fotografa. A questo inizio segue la sua instancabile attenzione sulla “visione attraverso”: analisi dei rapporti che intercorrono tra visione e multimedialità, con un’attenzione al “divenire delle cose”. Significative partecipazioni a mostre di settore e pubblicazioni su riviste fotografiche, con riconoscimenti in ambito regionale, la portano a frequentare numerose gallerie d’arte di Milano dove conosce e stringe rapporti artistici con fotografi del calibro di Gianni BerengoGardin che ne apprezza la grammatica e la poetica. A Brescia, invece, negli spazi del Museo KenDamy, viene invitata a partecipare alla mostra dal titolo “Autoritratti al femminile”. Nel 96’ partecipa a portfolio in piazza a cura di Lanfranco Colombo, evento nel quale si aggiudica il primo riconoscimento che le consente di esporre in varie gallerie. In quest’occasione incontra Mario Cresci che la invita a rappresentare la sezione italiana del 98’ all’importante manifestazione “Rencontres d’Arles” (Francia). Nello stesso anno comincia ad insegnare a pieni meriti fotografia all’Accademia di Belle Arti di Messina, dove nel 2000 accetta l’incarico di Direttrice Didattica. Qui conosce numerosi artisti tra cui Antonello Arena e una successiva collaborazione che li vede impegnati nella mostra “Le pietre sono parole” del 2003, a cura di Lucio Cabutti al Monte di Pietà di Messina e successivamente in varie città e musei italiani. Quegli anni vedono l’avvento del “digitale” che in
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Alessandra sfuma l’entusiasmo nel mezzo artistico fin qui utilizzato in quanto in una sua intima lettura verrebbero a mancare “alchimia e temporalità”. Da qui “massificazione e sfruttamento dell’immagine” spostano definitivamente il suo interesse verso gli scenari della pittura che frequenta assiduamente a partire dal 2006 ma non prima di aver partecipato alla Biennale Internazionale di fotografia a Brescia a cura di KenDamy. L’esperienza pittorica di Alessandra Lanese ci parla oggi di una ricerca tutta personale e di un affermato interesse sulle “visioni” e sul “divenire”: luoghi che lasciano sempre meno spazio alla casualità.
Nel 2012 mostra personale di pittura “Le immagini (s)velate” a cura di Teresa Pugliatti al Monte di pietà di Messina e successivamente Palazzo D’Amico Milazzo personale “Errata corrige”. Conclude l’anno 2012 con una bipersonale insieme ad Antonello Arena “I NON LUOGHI” Cartiere Vannucci, Milano a cura di Milo Goj. Nel 2013 personale“RICERCHE CONVERGENTI MA NON TROPPO” Fiumara d’arte, Tusa, Museo d’arte contemporanea. 2014 a cura di Carlo Franza espone a Firenze, progetto artistico internazionale “Strade d’Europa” in mostra con Palpiti e stagioni della pittura, e a Milano a cura di Antonio Lombardo “Neo-Figurativo Informale”, Villa VertuaMasolo. 2015 espone nuovamente al Monte di Pietà di Messina “Neo-Figurativo Informale”. Realizzazione opera pubblica insieme ad Antonello Arena “Sincronico 1” a Castell’umberto, “Sincronico 2” Villa Vertua Museo del fuoco, Milano. 2016 “WAR”? a cura di Saverio Pugliatti espone nella sala mostre Teatro Vittorio Emanuele di Messina. 2017 IN MEDIA RES a cura di Saverio Pugliatti espone negli spazi arte cinema Apollo, Messina. 2017 CONTEMPORANEAMENTE artisti siciliani in mostra, presso Università Telematica PEGASO, Messina. 2017 I non luoghi, Memorie Future –ST-ART, L’artista del mese Mondadori, presso spazi eventi del Mondadori Megastore di Piazza Duomo,1 Milano. A cura di Milo Goj, presentazione di Giorgio Grasso. 2017 I non luoghi, Memorie Future –ST-ART, L’artista del mese Mondadori, presso Mondadori Megastore in via Marghera,28 Milano. A cura di Milo Goj. 2017 Venezia, evento collaterale della Biennale di Vene-
zia “charter” Magazzini del sale. 2018, Messina, chiesa di Santa Maria Alemanna, “quadro clinico” a cura di team mutual pass, catalogo. 2018, Messina, Teatro Vittorio Emanuele, Arte in Centro, “I quattro di Dubai” a cura di G. La Motta, catalogo. 2021, Messina, Notte d’Arte 2021 2022, Artparmafaire, Parma, sezione contemporary art talents show 2022, Artparmafaire Parma, primo classificato premio Mediolanum 2022, Genova, Artparmafaire Genova, sezione contemporary art talents show
L’artista, libero da condizionamenti, più che dare insegnamenti si sforza di raccontare la vita che gli interessa, di stimolare risorse che sono già dentro di noi, di invitare ad avere delle esperienze personali e dirette. In quest’ottica quella di Alessandra Lanese è una pittura trasversale che percorre il tempo nelle sue declinazioni di “è stato”, “è”, “potrà essere”. Per ciascun ambito la pittrice siciliana è stata capace di ipotizzare a livello inconscio una grammatica dell’emozione apparentemente diversa, a volte “superficialmente” incongrua, ma in una lettura globale mentalmente ed emotivamente consequenziale: inevitabile. Le “mappe nel tempo”, affermazione di un’isola che c’è, le “architetture urbane”, richiamo a un presente che non ha ancora una storia e “bocce di memorie future”, frammenti per luoghi possibili, sono le firme dei tre momenti che identificano il percorso pittorico di Lanese. Cenni critici di Antonio Vitale.
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IO
nunzio fisichella
La prima mostra personale di Nunzio Fisichella a Noto, sarà molto personale, per questo si chiama IO, perché vuole indagare il suo animo, con le sue inquietudini vibranti, con le sue intense crisi, a volte emergendo altre scomparendo, plasmando sempre il segno sulle tele. Le dinamiche personali della vita di Nunzio Fisichella, nato a Catania nel 1968, dopo aver lasciato gli studi di ingegneria, lo portano a viaggiare e allontanarsi dalle certezze, ritrovandosi spesso solo con sè stesso. La dimensione dell’infinito e dell’immensità, riaffiorata nel suo animo, dopo un viaggio estremo in Nepal, prendono spazio nel suo orizzonte percettivo, stimolando in lui le passioni per la sperimentazione artistica e per la progettazione, connettendo con le sue intime emozioni il principale desiderio che ha, di esprimere attraverso l’arte i colori della vita. I formati delle sue tele, maestose e cariche di ambizioni,
si dilatano sempre più, avvolgendolo e divenendo i fondali della sua vita quotidiana. Le opere di Nunzio hanno i colori della notte e del buio, ma non risultano mai cupi, poiché la luce emerge sempre, riflette, irradia l’oscurità. L’Artista ama utilizzare una scala cromatica nella quale convivono e si esprimono le sue passioni e le sue aspirazioni, nutrite sempre dall’energia del vulcano Etna. E’ anche attraverso l’utilizzo della terra della sua “Montagna” che Nunzio, nell’intento di voler creare matericità e dinamismo, fa anche riaffiorare ricordi delle sue esplorazioni in solitaria, le emozioni e i frammenti, a lungo taciuti, alla ricerca di un equilibrio che non può più essere precario. Il visitatore potrà ascoltare tutte le inquietudini del suo IO, le contraddizioni, le paure, le battaglie dell’esistenza, ma soprattutto la ricerca del bello ed il bisogno di dare alla vita un significato che vada oltre l’apparenza, per percepire infine, un’intima serenità.
opening 25-06-2022 ore 18.00 Sala Gagliardi Palazzo Trigona via Cavour 91 - Noto (SR)
2 5 giugno - 31 luglio 2022 lunedì - giovedì ore 16,00 - 21,00 venerdì - sabato e domenica ore 10,00 - 13,00 e 17,00 - 21,00 60
St udi o B a r n u m
co n temp o ra ry
MONICA GROSSI
Sin da piccola nutre la passione per la pittura e segue le orme del padre pittore. Conferisce il diploma di Grafica all’istituto Adriano di
Torino e inizia subito un percorso lavorativo con l’architetto Ronfetto di Torre Pellice che consiste nel restauro di affreschi siti nelle ville sulla collina zona Gran Madre. Continua gli studi frequentando corsi di pittura su ceramica frequenta la scuola di pittura Giacomo Grosso di Cambiano per poi arrivare a conoscere la pittrice Pansini MariaTeresa assai nota in Piemonte e continuare lo studio con lei. Inizia a percepire nuove aperture artistiche meno accademiche che puntano sulle emozioni,sulla realtà mista a fantasia,dove l’interpretazione supera la visionalita’ con un gioco di pennellate,senso di equilibrio tra colore e colore con la consapevolezza che ogni movimento della mano è dettato dalla mente; Da qui la realizzazione raffinata libera e spontanea. Nel 2006 inizia a partecipare a diversi concorsi di pittura dove ha riscontro e vince numerosi premi. Primo a Viu,premio speciale Almese,secondo a None,primo a Cambiano ,secondo a Poirino, secondo al Villaggio leumann, secondo santuario di vicoforte, 2 premi al concorso nazionale a Portalbera,nonché numerose segnalazioni al merito. Viene selezionata al concorso Maestri a Milano con pubblicazione su Art Now. In ultimo partecipa alla mostra allestita nella sala Juvarra nella Biblioteca Nazionale di Torino.
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