Rivista20 marzo-aprile 2020

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N°38 marzo-aprile 2020

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periodico bimestrale d’Arte e Cultura

www. f a c e b o o k . c o m/ Riv is t a 2 0

ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE

RAFFAELLO IN MOSTRA A ROMA

Edito dal Centro Culturale ARIELE


ENZO BRISCESE

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE

del Centro Culturale Ariele

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Hanno collaborato: Giovanna Alberta Arancio Monia Frulla Tommaso Evangelista Lodovico Gierut Silvia Grandi Irene Ramponi Letizia Caiazzo Graziella Valeria Rota Alessandra Primicerio Virginia Magoga Enzo Briscese Susanna Susy Tartari Cinzia Memola Miriam Levi Barbara Vincenzi

www. f a c e b o o k . c o m/ Rivi s t a 2 0 ----------------------------------------------------------

Omaggio a Marino Marini- 2010- t.m. su tela - cm60x70

Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedĂŹ al venerdĂŹ tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com -----------------------------------------------------

Omaggio a Casorati- 2011- t.m. su tela - cm60x70

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In copertina: Raffaello - Madonna della seggiola


Raffaello Sanzio in mostra alle Scuderie del Quirinale di Roma

Dal 5 marzo al 2 giugno, le Scuderie del Quirinale di Roma celebrano il genio di Raffaello con una mostra monografica mai realizzata prima. Nell'anno in cui si celebrano i 500 anni dalla morte di Raffaello Sanzio, Roma dedica una importante mostra dal titolo Raffaello, in collaborazione con la Galleria degli Uffizi. RAFFAELLO IN MOSTRA A ROMA Le Scuderie del Quirinale ospiteranno una mostra monografica, con oltre duecento capolavori tra dipinti, disegni ed opere di confronto, dedicata a Raffaello nel cinquecentenario della sua morte, avvenuta a Roma il 6 aprile 1520. L'esposizione porrà particolare attenzione al periodo romano di Raffaello che lo consacrò quale artista di grandezza ineguagliabile e leggendaria, racconta con ricchezza di dettagli tutto il suo complesso e articolato percorso creativo attraverso un vasto corpus di opere, per la prima volta esposte tutte insieme. Sono molte le istituzioni che hanno contribuito ad arricchire la rassegna con capolavori dalle loro collezioni: le Gallerie Nazionali d’Arte Antica, la Pinacoteca Nazionale di Bologna, il Museo e Real Bosco di Capodimonte, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, la Fondazione Brescia Musei, e all’estero, oltre ai Musei Vaticani, il Louvre, la National Gallery di Londra, il Museo del Prado, la National Gallery of Art di Washington, , l’Albertina di Vienna, il British Museum, la Royal Collection, l’Ashmolean Museum di Oxford, il Musée des Beaux-Arts di Lille. Tra le opere in mostra potrete trovare la Madonna del Granduca e l'opera Velata della Galleria degli Uffizi, la

Santa Cecilia dalla Pinacoteca di Bologna, la Madonna Alba in prestito dalla National Gallery di Washington, il Ritratto di Baldassarre Castiglione e l'Autoritratto con amico provenienti dal Louvre, e la Madonna della Rosa dal Museo del Prado.

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E’ una grande mostra che costituisce l’apice delle celebrazioni in tutto il mondo per raccontare uno dei massimi geni italiani, del Rinascimento e non solo: Raffaello Sanzio (1483 – 1520). Dalla data della sua morte, avvenuta a Roma è trascorso mezzo millennio di fama ininterrotta. Questo evento epocale si ricorda nella capitale romana che ha visto l’artista al lavoro nel periodo creativo più intenso e fertile di capolavori. Si tratta di una preziosa mostra monografica che vede radunate insieme per la prima volta splendide opere sparse tra Musei e collezioni varie. Si contano oltre duecento lavori, dipinti e disegni soprattutto, che tracciano il percorso artistico di Raffaello con ricchezza di dettagli. Raffaello Sanzio nasce ad Urbino; suo padre, un pittore

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locale, si accorge delle sue doti precoci ed eccezionali in campo artistico e lo manda a bottega dal pittore più rinomato, ossia da Pietro Perugino da cui il giovane impara a dipingere creando forme morbide e armoniose e superando ben presto in bravura il maestro stesso. Cresce nella raffinata corte dei Montefeltro di Urbino, un mondo dove la figura dell’artista va mutando e da mero artigiano diventa partecipe del mondo degli intellettuali. Nel 1504 va a Firenze e si misura con il classicismo di Botticelli: egli è un ricettivo e questo suo eclettismo, che durerà tutta la vita, gli permette di assorbire il meglio dei grandi maestri e di elaborarlo nella sua poetica con armonia e grazia. Contribuisce alla sua formazione anche Leonardo da Vinci.


Nel 1508 si stabilisce a Roma , è giovanissimo e in piena carriera; lavora come architetto e pittore, si presenta anche come uomo di lettere ed è già notissimo per i capolavori compiuti nell’Italia

tosco-umbra. Si trova ad avere un “posto” burocratico affidatogli dal papa, Giulio II, che si farà ancora più articolato in una serie di incarichi paralleli dopo l’elezione di LeoneX nel 1513, fra i quali l’incarico di Sovrintendente alle Antichità Romane. Affresca le Stanze Vaticane e le sue figure sono ormai ben lontane dalle forme del Perugino mentre si evidenzia una fisicità vigorosa, appresa osservando i personaggi “muscolari” di Michelangelo Buonarroti a cui si ispira nelle sue ultime orchestrazioni pittoriche. Nella decorazione delle Logge in Vaticano è coadiuvato dai pittori della propria bottega. L’ultima opera del Sanzio pittore è la Trasfigurazione di Cristo, incompiuta in alcune parti marginali, lavoro calibrato ma carico di una forte tensione drammatica. Raffaello è sepolto nel Pantheon con un epitaffio in latino che dice: “ Qui c’è il famoso Raffaello, dal quale mentre era in vita, La Grande Madre Natura temette di essere vinta, e quando morì di morire con lui” Si è spento giov,ane, a 37 anni.

DATE ORARI E PREZZI La mostra si terrà a Roma dal 5 marzo al 2 giugno 2020 nei seguenti orari: Da domenica a giovedì dalle 10.00 alle 20.00 Venerdì e Sabato dalle 10.00 alle 22.30 Il biglietto è acquistabile a questo link a partire da 17,50 euro per il biglietto intero e 15,50 per la tariffa ridotta.

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PIEMONTE

ARTEDONNA intenso sguardo della poetica femminile

Palazzo Opesso - Chieri

Centro Culturale ARIELE

Il Centro Culturale Ariele, dal 14 al 29 marzo 2020, apre le porte ad una mostra di artiste visive di buon livello presso il Palazzo Opesso di Chieri Siamo liete per i risultati professionali e poetici raggiunti ma abbiamo la consapevolezza che c’è ancora molta strada da percorrere. Occorre continuare con costanza a elaborare i nostri linguaggi e nel contempo affrontare le opportunità di crescita personali e di lavoro nel settore artistico, anche in termini di rimunerazione e di carriera. Quest’ultima è stata finora appannaggio di poche donne nel nostro mondo dell’arte a preminenza maschile, specie per quanto riguarda l’accesso ai livelli dirigenziali. E’ una problematica purtroppo tipica delle condizione femminile per cui la ritroviamo in ogni campo del sociale, acutizzata dalla crisi generale, la quale riserva di solito alle donne le ricadute più pesanti. A partire dal secolo scorso molte artiste hanno dato il loro contributo ma non si può però affermare che le pittrici, le scultrici, tanto meno le fotografe, del Novecento abbondino nei libri di storia dell’arte, eppure quell’epoca ha visto un fiorire artistico delle donne di tutto rispetto e di indubbia vitalità. All’oggi, numerose opere femminili, dimenticate da tempo tra la polvere dei sottoscala, rivedono la luce nelle sale di Musei e Gallerie. Va detto che non di rado accade che la riscoperta sia penalizzata da un vizio di forma, ossia la notorietà diventi un modo per costruire un mito, un personaggio di cui è agevole spettacolarizzare le vicende

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biografiche catalizzando l’attenzione su aspetti secondari invece di puntare su un accurato e rigoroso esame dei lavori. Ultimamente tali ambigue operazioni mediatiche stanno diminuendo a tutto vantaggio di interessanti rassegne femminili in cui centrali sono il talento artistico e la potenza creativa emergenti dai lavori esposti, Anche da parte delle donne si intravvedono dei cambiamenti: non si sentono più i toni rivendicativi accesi degli anni Sessanta e anche le opere sono mutate. Ora nessuna di noi disconosce il valore del nostro patrimonio artistico che ci invidiano tutti, e, sebbene consapevoli che si tratta di una elaborazione maschile, ogni pittrice, scultrice, fotografa, ..vi attinge e riconosce la necessità di uno studio attento da rielaborare secondo le proprie capacità così da innestare il proprio contributo che col tempo può diventare sempre più autonomo e particolarissimo. Il sessismo linguistico maschile riguarda ogni tipo di linguaggio ed è pertanto impresa utopica e impraticabile pensare di poterlo evitare o modificare significativamente in tempi brevi. E’ invece possibile e desiderabile, tra uomo e donna, condividere valori, incoraggiare reciprocamente immaginazione e specificità. Ogni sensibile creativo ha fissato per secoli lo sguardo della sua Musa; ora è proprio questo intenso sguardo della donna che si fa luce, poetica dialogante. In una realtà mortificata da tante brutture questo messaggio dona un leggero ma significativo respiro. Giovanna Arancio


Carla Silvi

Patrizia Caffaratti

Tatiana Cecet

Mirella Caruso

Anna Azzalini

Mariangela Gemelli

Anna Mostacci

Gina Fortunato

Lucia Pelagi

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Roberta Coral

Vittoria Arena

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Paola Adornato

Laura Galavotti

Rita Boccuni

Eugenia Di Meo

Sandra Cerutti

Raluca Misca


Enrica Maravalle

Rachele Carol Odello Laura Lepore

Rosaria Piccione

Mrazova Sarka

Elisa Fuksa-Anselme

Aurora Cubicciotti

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LOMBARDIA

DONNE NELL’ARTE. DA TIZIANO A BOLDINI Palazzo Martinengo - via dei Musei 30 BRESCIA dal 18 Gennaio 2020 al 07 Giugno 2020

Stefano Novo (Cavarzere, 1862 - Padova, 1927), Conversazione al balcone

La storica residenza nel cuore della città, ospita la mostra DONNE NELL’ARTE. Da Tiziano a Boldini, che documenterà quanto l’universo femminile abbia giocato un ruolo determinante nella storia dell’arte italiana, lungo un periodo di quattro secoli, dagli albori del Rinascimento al Barocco, fino alla Belle Époque. L’esposizione, curata da Davide Dotti, organizzata dall’Associazione Amici di Palazzo Martinengo, col patrocinio della Provincia di Brescia, del Comune di Brescia e del-

Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 - Parigi, 1931), Donna che si pettina i capelli

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la Fondazione Provincia di Brescia Eventi, in partnership con Fondazione Marcegaglia onlus, presenterà oltre 90 capolavori di artisti quali Tiziano, Guercino, Pitocchetto, Appiani, Hayez, De Nittis, Zandomeneghi e Boldini che, con le loro opere, hanno saputo rappresentare la personalità, la raffinatezza, il carattere, la sensualità e le più sottili sfumature dell’emisfero femminile, ponendo particolare attenzione alla moda, alle acconciature e agli accessori tipici di ogni epoca e contesto geografico.

Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 - Parigi, 1931), Calze nere

Antonio Rizzi (Cremona, 1869 - Firenze, 1940), Nudo su lenzuola gialle


Ettore Tito (Castellammare di Stabia, 1859 - Venezia, 1941), Con la rosa tra le labbra

Vittorio Matteo Corcos (Livorno, 1859 Firenze, 1933), Colibrì

Grazie alla collaborazione con la Fondazione Marcegaglia Onlus, sarà possibile approfondire tramite appositi pannelli di sala alcune tematiche di grande attualità sociale e mediatica quali le disparità tra uomini e donne, il lavoro femminile, le violenze domestiche, l’emarginazione sociale e le nuove povertà. Le opere d’arte diverranno quindi formidabili veicoli per sensibilizzare il pubblico - soprattutto quello più giovane - verso argomenti di grande importanza socio-culturale. Il percorso espositivo, suddiviso in otto sezioni tematiche - Sante ed eroine bibliche; Mitologia in rosa; Ritratti di donne; Natura morta al femminile; Maternità; Lavoro; Vita quotidiana; Nudo e sensualità - documenterà il rapporto tra l’arte e il mondo femminile per evidenziare quanto la donna sia da sempre il centro dell’universo artistico. “Dopo il successo registrato quest’anno con Gli animali nell’arte - afferma il curatore Davide Dotti - ho deciso di proseguire il percorso di indagine su argomenti di grande attualità sociale e mediatica scegliendo per il 2020 il tema così affascinante e coinvolgente della donna che gli artisti, soprattutto tra XVI e XIX secolo, hanno indagato da ogni prospettiva iconografica, eternando le “divine creature” in capolavori che tutt’oggi seducono fatalmente il nostro sguardo. Per il visitatore sarà l’occasione di compiere un emozionante viaggio ricco di sorprese, impreziosito da dipinti inediti scoperti di recente in prestigiose collezioni private, opere mai esposte prima d’ora, e incontri ravvicinati con celebri donne del passato, tra cui la bresciana Francesca (Fanny) Lechi, ritratta nel 1803 dal grande Andrea Appiani in una straordinaria tela che dopo oltre venticinque anni dall’ultima apparizione tornerà visibile al pubblico”. Tra i capolavori della mostra, si segnala la Maddalena penitente, un olio su tela di Tiziano, firmato per esteso, proveniente da una collezione privata tedesca, esposto per la prima volta in Italia. A proposito di questo dipinto, Peter Humfrey, una delle massime autorità a livello internazionale di Tiziano e autore del catalogo ragionato delle opere del maestro cadorino, ha scritto che “si tratta di una variante di alta qualità di una delle composizioni più avidamente ricercate di Tiziano. Le altre redazioni autografe sono state dipinte non solo per i suoi più importanti committenti - come il re Filippo II di Spagna - ma anche per altri illustri personaggi del suo tempo, quali Antoine Perrenot de Granvelle - consigliere dell’imperatore Carlo V d’Asburgo nonché viceré del regno di Napoli - e il potente cardinale Alessandro Farnese. Le vigorose pennellate frante e il denso impasto cromatico, suggeriscono una datazione al 15581563 circa, in prossimità della realizzazione della versione della Maddalena penitente dipinta per Filippo II nel 1561”. “Il nuovo appuntamento espositivo, organizzato dall’Asso-

Andrea Appiani (Milano, 1754 - Milano, 1817), Ritratto di Francesca (Fanny) Lechi

ciazione Amici di Palazzo Martinengo - afferma il Presidente Roberta Bellino - è dedicato all’universo femminile, da sempre soggetto tra i più amati e frequentati della storia dell’arte. Un tema di grande suggestione che avrà una ricaduta sulla contemporaneità. In collaborazione con la Fondazione Marcegaglia Onlus, infatti, si approfondiranno alcuni argomenti di grande attualità sociale quali la differenza di genere, le donne e il lavoro, la maternità, i femminicidi e le nuove povertà”. “Donne nell’Arte - conclude Roberta Bellino - è il sesto evento che si tiene all’interno della storica residenza bresciana che, anche grazie alle mostre proposte dagli Amici di Palazzo Martinengo e al sostegno della Provincia di Brescia, è diventata uno dei cardini della proposta culturale della città, registrando con le sue mostre oltre 250.000 visitatori”. ORARI: mercoledì, giovedì e venerdì, dalle 9:00 alle 17:30; sabato, domenica e festivi, dalle 10:00 alle 20:00; lunedì e martedì chiuso. Curatore: Davide Dotti Enti promotori: Patrocinio di: Provincia di Brescia Comune di Brescia Fondazione Provincia di Brescia Eventi Costo del biglietto: intero € 12, ridotto € 10 (gruppi superiori alle 15 unità, minori di 18 e maggiori di 65 anni, possessori del ticket di ingresso del Museo di Santa Giulia, studenti universitari con tesserino, soci Touring Club con tessera, soci FAI con tessera, insegnanti, possessori di carta di credito e bancomat Banco BPM), ridotto scuole € 6, tel.: +39 320.0130694 mail: mostre@amicimartinengo.it sito: http://amicimartinengo.it

Francesco Vinea (Forlì, 1845 - Firenze, 1902), Il ballo sul prato

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L’ Europa della luce Georges de La Tour 7 febbraio- 7 giugno 2020

Palazzo Reale - Piazza Duomo, 12

Le sale milanesi di Palazzo Reale si aprono per accogliere per la prima volta in Italia un ospite illustre: Georges de La Tour (1593-1652). E’considerato uno dei pittori più famosi del Seicento sebbene sia stato riscoperto soltanto nel primo Novecento grazie a uno studioso tedesco, Herman Voss, ma resta una figura “misteriosa” per le scarse notizie reperite sulla sua vita e sulle splendide opere. A questo artista lorenese vengono attribuite una trentina di capolavori di cui sono qui esposti una quindicina e messi in dialogo con i dipinti dei pittori del contesto a lui contemporaneo. Si tratta di una rassegna preziosa in quanto i lavori provengono tutti dall’estero, dalle pù importanti istituzioni internazionali, quali la Galleria Nazionale d’Arte di Washington, il Paul Getty Museo di Los Angeles, la Collezione Fric di New York, e altre. Il titolo “L’ Europa della luce” rimanda alle sperimentazioni luministiche condotte da questi pittori della realtà, chiamati anche “I caravaggeschi francesi” per la loro pittura del naturale e per la raffinatezza e la maestria nel dipingere la luce notturna artificiale, di solito una candela, e tutti gli effetti ombra-luce. Anche nella scelta dei personaggi raffigurati sono evidenti diverse somiglianze con le scelte del nostro Caravaggio: santi, mendicanti, scene di gioco, gente del popolo, risse, bari, zingare, maddalene, madonne, soggetti

umili, imperfetti, scene di genere. E’ improbabile che Georges de La Tour abbia conosciuto Caravaggio dato che è noto solo il suo viaggio a Parigi ma sicuramente avrà potuto osservare delle opere del Merisi. L’artista lorenese, nei suoi quadri diurni , rivela un realismo crudo mentre nelle tele dei notturni le figure appaiono silenziose, malinconiche, liriche. E’ una mostra imperdibile in cui si può seguire, in un serrato confronto di opere, la pittura barocca del Seicento francese, in primis Georges de La Tour, geniale ed avvincente per la sua poetica espressiva

Curatela: Francesca Cappelletti Promozione: Comune di Milano, Cultura-Palazzo Reale-Skira Costo:24 euro Orario: lun. 14.30/19.30 – mart. merc. ven. dom. 9.30/19.30 – giov. sab. 9.30/22.30 Sito: https://www.palazzorealemilano.it

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FRIULI VENEZIA GIULIA

L’ opinione

di Graziella Valeria Rota Trieste nell’Arte…. e dintorni Sklad Mitja Čuk Lo Sklad Mitja Čuk è un’associazione che aiuta bambini e giovani che necessitano di sostegno continuo o temporaneo a causa di situazioni di disagio. Organizza attività extrascolastiche, corsi, servizi di consulenza per l’educazione, lo sviluppo e la famiglia, incontri con esperti, centri estivi ed esposizioni d’arte alla Galleria Milko Bambič. Nel centro polifunzionale in cui ha sede l’associazione realizza un punto di incontro intergenerazionale. Il Centro Educativo Occupazionale Mitja Čuk Onlus, è emanazione dell’Associazione SKGZ Unione Culturale Economica Slovena, Pubblica la rivista 6KRAT (6VOLTE) e cura una rubrica sull’educazione nella stampa quotidiana. Gestisce a

MOSTRA d’arte SINTONIE> Esposizione dedicata a Hypatia di Alessandria d’Egitto -libertà di pensieroMusica con Martina Krapež voce e chitarra e Alessandra Spizzo in <Donne d’Arte>

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Contovello un centro per giovani e adulti con esigenze particolari. a Trieste è presidente Stanislava Sosič Čuk . La Slovenska kulturno-gospodarska zveza - Unione Culturale Economica Slovena è un’organizzazione autonoma e apartitica fondata nel 1954 ed aperta a tutte le componenti della comunità. Scopo principale dell’Unione è la difesa dei diritti e degli interessi della comunità slovena e dei suoi appartenenti in tutti i campi, ma anche l’affermazione della convivenza e della reciproca conoscenza tra le popolazioni di confine. La SKGZ riunisce, sostiene e coordina le attività delle varie organizzazioni associate.

1 < Hypatia - ciò che scorre sotto> 2 <Lupus IN FABULA> dedicato alle Mutilazioni Femminili 3 <Joker, portami al mare> pulsione e sadismo in famiglia 4 < Usa&Getta – 137 volte al giorno>

Opera di Alessandra Chiurco arterudimentALE 2020 assemblaggio installazioni dedicate a Hypatia.

Organizzazione: genteadriatica@libero.it Info Galleria Milko Bambič - Via di Prosecco 131 Opicina -Trieste - tel. +39 040 212289


Daniele Bianchi a Fiumicello (Flumisel in friulano; Clandorff nel tedesco medievale) un Comune italiano della provincia di Udine, in Friuli-Venezia Giulia.

Significati nuovi offerti dalle < PALE narrative> realizzate con materiali ritrovati come tracce vissute e scordate dagli eventi da cui sono nate

Nato a Milano, ma trasferitosi da anni a Fiumicello, dopo studi di architettura si è dedicato alle arti visive, prima nell’ambito della pittura e del disegno per poi passare agli assemblaggi e alle nstallazioni. La complessa personalità dell’artista e la molteplicità delle fonti d’ispirazione si riflettono nella multiforme fenomenologia delle tecniche e

dei materiali: dalla pittura al collage, dalle opere materiche alle mini-installazioni, dalla scultura alla grafica Un ragionare con le forme e con i colori In qualche modo riflette sul mondo proprio ed altrui

e-mail: danx.bianchi@gmail.com

Simboli, citazioni nella cultura, nella politica, e nella società come autobiografia. Tutto questo è sguardo sul mondo vissuto e su se stesso. Con passione seziona soprattutto ciò che è accantonato e raccogliendolo reinterpreta, perché nella rivisitazione del quotidiano ciò che è ritrovato può riprendere la sua nuova storia attraverso l’arte e un nuovo senso possibile. Il suo lavoro nell’arte si estende anche nella promozione e organizzazione di mostre ed eventi nella veste di direttore artistico a Fiumicello e di curatore presso la Galleria di arte contemporanea di Gorizia. (CIT di G.V.Rota- genteadriatica@libero.it)

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VENETO

’900 ITALIANO. UN SECOLO DI ARTE Dal 01 Febbraio 2020 al 10 Maggio 2020 Museo Eremitani - piazza Eremitani 8 - Padova

Giorgio de Chirico, La partenza del cavaliere ,1923. Olio su cartone, 49 x 67 cm. Roma

ARTISTI IN ESPOSIZIONE: ALBERTO BURRI · CARLO CARR · UMBERTO BOCCIONI · GIORGIO DE CHIRICO · RENATO GUTTUSO · GIACOMO BALLA · GIORGIO MORANDI · GIUSEPPE CAPOGROSSI · LUCIO FONTANA · MARIO SIRONI · FILIPPO DE PISIS · OSVALDO LICINI · FELICE CASORATI · EMILIO ISGR · ALBERTO SAVINIO · GINO SEVERINI · MUSEO EREMITANI Che si sia rifugiata nel mito della forma o nella sua negazione, nell’idea più astratta o nella materia più umile, l’arte italiana ha ritratto la folgorazione della modernità e le tragiche (dis)illusioni del “secolo breve” nelle opere degli artisti che l’hanno vissuto, amato e odiato, riscritto. Il Museo Eremitani ospita dal 1° febbraio al 10 maggio 2020 la mostra ’900 Italiano. Un secolo di arte, organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova in collaborazione con C.O.R, Creare Organizzare Realizzare di Alessandro Nicosia. Nelle intenzioni delle sue curatrici, Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti, la rassegna padovana vuole raccontare “una storia” del Novecento italiano, una delle sue

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possibili letture, e lo fa in novanta opere, senza pretese di esaustività. Il Novecento fluisce nei corsi e ricorsi artistici, nei repentini cambi di generazioni e mentalità pittoriche, scanditi dai rintocchi della Storia: questa mostra dal ritmo serrato riflette sugli aspetti rivoluzionari che hanno reso il XX secolo fecondo e inquieto, in una parabola artistica che si snoda tra salti e continuità, fasi di crisi e progresso, alla ricerca delle forme cangianti assunte da una bellezza non più salvifica. ’900 Italiano ricostruisce cronologicamente un secolo d’arte attraverso una selezione di capolavori emblematici, con l’intento di fornire al visitatore degli spunti di riflessione per la sua comprensione, grazie alla visione di opere straordinarie che documentano l’alto valore internazionale delle vicende creative italiane.


“Un nucleo di opere di squisito valore e interesse” dice l’Assessore alla Cultura Andrea Colasio, “e un emozionante percorso capace di affiancare esperienze diverse, ma tutte irrinunciabili. Abbiamo voluto dedicare una sala al Gruppo N il cui lavoro, oggi storicizzato, portò Padova alla ribalta dell’arte internazionale. È un tassello di un programma di esposizioni che stanno esplorando il ‘900, significativamente ambientate nel nostro museo civico in cui le collezioni moderne ancora non hanno trovato una collocazione definitiva: ed è quindi un progetto di importante valore culturale nella misura in cui offre anche al visitatore del museo una finestra aperta su esperienze artistiche recenti.”

Il percorso della mostra prende avvio dalla miccia futurista, accesa dalle scintille divisioniste di Giacomo Balla e dei suoi giovani allievi: l’uomo di Forme uniche della continuità nello spazio incede nel tempo futurista di Umberto Boccioni, in violenta accelerazione verso la deflagrazione della linea chiusa, nella stessa corsa impetuosa che di lì a poco lo avrebbe condotto al baratro dei totalitarismi. Nelle fiamme della prima Guerra Mondiale ardono fino alla cenere i mucchi di sogni di progresso delle Avanguardie e l’arte italiana rientra “all’ordine” negli anni Venti: l’appello è lanciato dal Grande Metafisico Giorgio De Chirico, che rievoca le suggestioni della classicità in un tempo sospeso. Recuperano la tradizione anche gli Italiens de Paris: Alberto Savinio esorcizza la tragedia in visioni ludiche al limite del surrealismo, mentre nei fugaci paesaggi di Filippo De Pisis languono bagliori impressionisti.

La rassegna fissa i movimenti artistici che hanno dimidiato il Novecento tra modernità ed eredità del passato: il Realismo magico di Giorgio Morandi e Carlo Carrà approda a un silenzio contemplativo sui segni nascosti dell’ordinario, insieme al nitore simbolico di Felice Casorati; il Primordialismo plastico assume la forma austera di un mito moderno che rievoca il Quattrocento italiano. Sono queste alcune anime della sperimentazione degli anni Venti e Trenta, che si accompagnano agli stravolgimenti visionari della ‘Scuola di Via Cavour’ e alla dimensione monumentale in Gino Severini e Mario Sironi. L’osservatore si lascia alle spalle il militante realismo di Renato Guttuso per inoltrarsi nella non figuratività del secondo Dopoguerra, introdotta dal raffinato onirismo di Osvaldo Licini. La seconda parte della mostra si focalizza sull’indagine spaziale di tre individualità miliari: Giuseppe Capogrossi segna il punto di transizione nella celebrazione del segno; nei sacchi laceri di Alberto Burri c’è la storia della miseria umana; il “sacerdote del gesto” Lucio Fontana indaga al di là della rassicurante bidimensionalità della tela. La poesia visiva di Emilio Isgrò esalta la forza della parola eliminata, mai tanto eloquente come quando è costretta al silenzio. In mostra non mancano il gruppo Forma e la Pop Art italiana, le sperimentazioni di azzeramento dell’Arte Concettuale e l’etica dell’Arte Povera, fino alla meritoria presenza delle provocazioni del padovano Gruppo Enne. Alla fine degli anni ’70 la Transavanguardia grida al “libera tutti” e l’artista torna a parlare in prima persona: superato il contrasto tra astratto e figurativo, il cerchio si richiude. Ma non per molto.

CURATORI: Maria Teresa Benedetti, Francesca Villanti ENTI PROMOTORI: Assessorato alla Cultura del Comune di Padova COSTO DEL BIGLIETTO: intero: euro 10,00 ridotto: euro 8,00 (under 26, over 65, convenzioni Musei Civici, Padova Card, possessori di biglietto Cappella degli Scrovegni, dipendenti del Comune di Padova, docenti di ogni ordine e grado) gruppi adulti: euro 7,00 (per gruppi prenotati composti da più di 10 persone paganti, fino a un max di 25. 1 accompagnatore gratuito ogni gruppo) ridotto bambini: euro 5,00 (dai 6 ai 14 anni) gruppi scuole: euro 5,00 (riservato alle classi delle scuole primarie e secondarie) Da martedì a domenica 10-19. Chiuso lunedì non festivi e primo maggio tel: +39 049 2010010

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I D A A R E M FI AR P

VITTORIA ARENA

Vittoria Arena è nata a Messina nel 1962 ma da tempo risiede a Grezzago (MI). Fin dalla giovane età manifesta interesse per il disegno e la pittura. Dopo gli studi si trasferisce a Milano, ed è da questa città che inizia il suo iter artistico con la frequenza di corsi specifici per affinare le tecniche pittoriche. Dal 1985 partecipa a diverse manifestazioni e concorsi in estemporanee, oltre a mostre collettive e personali. Diverse sue opere sono state premiate in importanti concorsi artistici nazionali. In lei l’amore per la pittura è sempre vivo. Questo sentimento la porta a sperimentare nuove tecniche e a creare nuove forme. Ammirando i suoi quadri facilmente si rimane coinvolti nel gioco di colori, dove la sua anima artistica

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esprime emozioni attraverso la spontaneità dell’immaginazione. Dicono di lei: “ Pittrice che si distingue dal panorama odierno di chi vuole apparire e meravigliare con soluzioni gratuite è già fatte in ogni direzione. Il suo esprimersi è di una purezza che maggiormente conquista quando si ha la fortuna di poterla conoscere. Fragile, pura, sincera e con un trasporto per quanto esegue pari a una fanciulla al primo amore. Figurativa, è all’apparenza astratta, delinea decisamente i contorni di ciò che raffigura ed emoziona nel rappresentare non superficialmente i suoi lavori. mail : avitt_62@yahoo.com Cell: 339.52 12 602


Ha frequentato il liceo artistico e l’ Accademia di belle arti di Torino - insegna materie artistiche al liceo artistico “ A. PASSONI” di Torino. Vive e lavora a Rivoli (TO). Mostre collettive e personali dal 1987 al 2018 ...le opere di Billia rivelano un’inquietudine categoriale che le rende sfuggenti, come del resto sono sfuggenti le sue immagini, costruite con particolari tanto eloquenti quanto evasivi, che colpiscono per la loro intensità, mai per la loro completezza. Questa continua indicibilità, questo continuo sottrarsi non è un’esigenza formale. E’ un’esigenza mentale. Il proble-

I D A A ER M FI A R P

GIORGIO BILLIA

ma di Billia non è tanto quello di superare i generi espressivi. E’ già stato fatto. Il suo problema è quello di suggerire contrasti e irriducibilità, anche avvalendosi dell’opposizione dei mezzi espressivi. Elena Pontiggia

mail : giorgio.bil21@gmail.com Cell: 338.50 00 741

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I D A A R E M FI AR P

RITA BOCCUNI

Rita Boccuni, nasce a Taranto nel 1973, laureatasi in architettura presso la facoltà Federico II di Napoli, esercita ad oggi, tra le diverse attività, la libera professione come architetto. Come artista ha partecipato a numerosi concorsi artistici, vincendone alcuni nazionali e internazionali: - Concorso “Movement for Life”, Parlement Europeen Strasbourg 1990, Corte d’acces a la Tribune Officielle. 1 ° classificato - Concorso “Diritti umani oggi, duecento anni dopo la Rivoluzione francese”, Parigi 1990. 1 ° posto. - Concorso religioso “Pace”. Roma, incontro con Papa Wojtyla. 1989, 1 ° classificato.

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- Concorso di cultura scientifica, Lorenzo Spallanzani, 1990 1 ° classificato. - Concorso “Centenario Dante Alighieri”, Mostra Palazzo del Governo, Taranto. Premio Arnoldo Foà, 1 ° posto. - Concorso “Gli Ori di Taranto, Magna Grecia in vetrina” 1996, 1 ° posto. - Concorso “Handicap senza frontiere”, mostra Palazzo del Governo, Taranto. 1 ° classificato. mail : ritaboccuni@libero.it Cell: 366.49 08 324


Affiorano lacerti della memoria, nella pittura di Enzo Briscese. Affiorano, innanzitutto, la figura e la storia. E, di conseguenza, affiorano i miti e la filosofia, attraverso la rappresentazione figurativa della persona. E poi emergono, anche, codici numerici: assegnati a un immaginario fantastico (di forte potenza evocatrice in senso archetipale) e a progressioni algebriche che appaiono, in alcune circostanze, del tutto casuali - tuttavia, pur sempre, armoniche - e in altre situazioni rispondono, invece, a un calcolo preciso, sembra quasi desiderato, certamente ricercato, da parte dell’artista, il quale è come se avesse tutto prefissato dentro di se, nel suo immaginario e nel suo inconscio. Insomma, è come se le sequenze geometriche dei cerchi, dei triangoli e dei rettangoli- che l’artista crea sul pianoprospettico dell’opera – rispondano a un preciso apparato geroglifico, tutto suo, che racconta: sia la complessità del pensiero razionale e sia l’insostenibile leggerezza dell’individuo, attento a voler manifestare la sua fantasia e la sua immaginazione. E poi compaiono, pure, nei dipinti di Enzo Briscese: segni e simboli che sono descrittivi, in qualche misura, dello spazio sociale e relazionale, abitato dall’individuo contemporaneo.

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ENZO BRISCESE

Da altri dipinti emerge, per di più, un urlo. È l’urlo di un individuo che pone come epicentro, ideale, della sua condanna sociale, la ruvidezza del nostro tempo. Un tempo che conosce solo l’inquieta complessità del vivere quotidiano; dentro spazi architettonici che sono chiusi, a filo di refe, in una dimensione urbana che stringe, che soffoca e che opprime. Una realtà, insomma, che è comunque da condannare e da mettere da parte, ricorrendo al sistema dell’immaginario fantastico: a tratti, ludico, giocoso e disimpegnato e a tratti, invece, serio, greve, misurato e continente. La forza visionaria di Enzo Briscese sta in tutto questo. Sta nella sua capacitàdi mettere insieme la figura e l’espressione astratta di un’idea. E poi, anche, nella sua abilità di far convergere la forma in un “tutto armonico” dove c’è spazio per il segno, per la linea e per il colore. Rino Cardone e-mail: enzobriscese6@gmail.com sito: www.galleria-ariele.com www.facebook.com/enzo.briscese.9 tel. 347.99 39 710

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ANGELO BUONO

Silenti attese piene di luce. Angelo Buono. Allievo di Emilio Greco ha sviluppato una tipologia pittorica di forte espressivitĂ tridimensionale virata ad esperienze fauves dai colori cangianti e luminosi.Figure essenziali,quasi effimere, si diramano sulla tela come femmine presenze plastiche, collocate in scenografici interni, con brocche, teiere, vasi e fiori di matissiana memoria. Sapiente la linea nera di contorno, lungo una sinuosa sinopia, che accentua il gesto signico del definire accademico in una dimensione di pura tensione. Eleganti modelle , evidenziate a biacca, ammorbidiscono le forme, le architetture quasi filmiche e neorealiste, generando una piacevole asmosi tonale priva di ombre. I dipinti appaiono come suggestivi racconti esistenziali, in accadimenti inti-

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mi, frammenti di tempo perduto ed ora svelato da sottili percezioni compositivi, dove i colori primari si rilevano a metafisici sussurri della quotidianitĂ immagini lontane, raccontate da Angelo Buono con inedita poesia. Il silenzio pervade la tela,focalizza le numerose prospettive, a cende le sensuali atmosfere tra suggestioni di Luce e sottese presenze, uniche testimoni di la e riscatto.

mail: angelo.buono49@gmail.com cell.: 346.72 40 502


Viene il dubbio, in questa ulteriore scelta di Franco Cappelli, se è l’autore dei dipinti, Cappelli stesso- magari innamorato della storia di un architetto che ha profondamente segnato l’architettura del ‘900- a voler rendere omaggio a tanto personaggio, o se è Frank Lloyd Wright che con il suo stile e con il suo “segno” ha suggestionato Franco Cappelli e da qui questo originale “omaggio”. Forse le due eventualità coincidono. Tanto per uscire dal dubbio, mi azzardo ad affermare che vedrei difficile la scelta di omaggiare altri grandi del settore come, come ad esempio, un Antoni Gaudì. Ecco allora che Cappelli trova la sua massima realizzazione nel “giocare” con i segni di Frank Lloyd Wright. Con le sue linee che delimitano spazi, con i colori che creano emozioni, come “emozioni”devono aver vissuto i primi seguaci dell’architetto, se è vero che le sue linee orizzontale e verticali, avevano disegnato nuovi spazi abitativi, delimitanti, è vero, “fughe” verso tradizionali “evasioni”, ma aperte a spazi godibili sull’abitat dove erano realizzate. Era entrato nel vissuto popolare l’Architetto dell’Arizona. Trovai strano che i miei cugini che abitano a Chicago, gente con quella cultura media americana dove tutti sanno scrivere una lettera o riempire un bollettino postale ma nulla più,

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FRANCO CAPPELLI

la prima volta che li andai a trovare a South Chicago, loro che forse non erano mai stati nel centro di Chicago sotto la sky line, mi portassero a vedere la prima casa di Frank Lloyd Wright realizzata in quella città. Non brillavano di cultura i miei cugini. Forse non avevano mai camminato nella subway della città che sbuca nei vari edifici pubblici della e non avevano mai scoperto le istallazioni di arte moderna dei più grandi artisti contemporanei che punteggia la città spesso di fronte agli stessi edifici. Ma conoscevano Frank Lloiy Wright! Fu una felice sorpresa che mi è rimasta sempre in mente. Ed ora l’emozione ce la fa rivivere Franco Cappelli, che evidentemente si è ritrovato nel “segno” fondamentale, ma come sempre- era già accaduto con Carlo Scarpa- ne fa poi la sua rielaborazione ed in qualche modo lo attualizza, aggiungendone, senza stravolgere niente, le suggestioni dei nostri giorni. Un’avventura coraggiosa quella di Franco Cappelli, ma il risultato mi pare che ce ne faccia condividere a pieno la scelta fatta. testo critico Bardelli mail: francocappelli@hotmail.it cell.: 349.68 49 862

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MIRELLA CARUSO

Mirella Caruso è nata a Sciacca, luogo di atmosfere mediterranee che l’ha sempre ispirata nei suoi dipinti. Si è laureata in Giurisprudenza dedicangiuridiche ed economiche. Trasferitasi a Torino ha approfondito i suoi studi di arte pittorica, a lei particolarmente cara, seguendo i corsi dei maestri Gian Cravero, Titina Alacevich e Dino Pasquero. Ha ottenuto piazzamenti d’onore in concorsi nazionali e internazionali; ha sviluppato nel corso degli anni, in contrapposizione all’arte digitale, una pittura materica, facendo uso anche della spatola al fine di dare dinamicità e vibrazione ai suoi quadri. Nel suo percorso artistico è da citare la mostra collettiva a Mestre-Venezia presso l’atelier 3+10. Ha inoltre allestito una personale a Firenze nella Galleria Centro Storico, dove

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le è stato conferito il premio alla carriera. Tra le altre personali quella di Sciacca al Circolo di Cultura e la mostra al Container Concept Store di Torino. Ha inoltre preso parte a rassegne artistiche a Villar Perosa, Pescara e Torino, dove ha esposto nell’ambito di diverse collettive allestite alla Promotrice delle Belle Arti.

e-mail: mire.caruso@gmail.com website:http://www.mirellacaruso.com/ tel.: 339.36 56 046


Giuliano Censini nato a Sinalunga (Siena) nel 1951, vive ed opera a Torrita di Siena (SI) .Diplomato all’Istituto d’Arte “Piero della Francesca” di Arezzo , consegue varie abilitazioni per l’insegnamento di discipline artistiche e Storia dell’Arte. Dal ‘75 al ‘77 ha frequentato ,sotto la guida del maestro Remo Brindisi, i corsi di disegno presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata. E’ stato doecnte di design e progettazione dell’oreficeria presso gli Istituti d’Arte di Macerata, Pistoia e per oltre trent’anni, presso l’Istituto d’Arte di Arezzo. Dagli anni ‘70 partecipa alla vita artistica esponendo in mostre personali, collettive e rassegne; ha partecipato ad oltre cinquecento premi di pittura, conseguendo consensi e significativi riconoscimenti quali le medaglie del pontificato di SS Giovanni Paolo II,del Presidente della Camera dei Deputati e del Presidente del Senato della Repubblica Italiana oltre alla targa della Regiione Toscana e altre targhe di enti ed Amministrazioni pubbliche. Gli anni ‘80-’90 sono caratterizzati da svariati soggiornistudio nelle principali capitali europee , andando a cono-

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GIULIANO CENSINI

scere secifiche realtà e i grandi maestri del passato e del presente. Da una iniziale matrice figurativa, da circa venti anni si pone, invece, nel dibattito artistico verso un informale materico. Ha realizzato , sia in ambito pittorico che scultoreo , varie opere pubbliche, nonchè specifici manufatti in materiale prezioso, collocati in contesti sia civili che religiosi. Le sue opere si trovano esposte in musei, enti, Amministrazioni pubbliche , in collezioni private in Italia , in Europa , in Australia e Stati Uniti d’America.

Prof.GIULIANO CENSINI Piazza Giulio Neri n°11 53049 TORRITA DI SIENA (SI) Tel 0577 687653 cell.349 2842711 giulianocensini@gmail.com www.giulianocensini.it

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AURORA CUBICCIOTTI

Artista contemporanea e docente in Discipline Pittoriche negli istituti Superiori. Nasce come ritrattista ma dal 2007 fino al 2011 si è occupata solo di arte sociale, la sua è diventata una missione profetica di coraggiosa e lucida denuncia contro i mali della nostra società. I suoi eventi toccano temi scomodi come la pedofilia, la camorra , la mafia la corruzione politica,gli inquinamenti , il traffico degli organi, Auschwitz e le sue memorie. Vincitrice due volte del primo premio Pittura Città di Firenze. Presente col movimento Lex -Icon alla Biennale di Venezia nel 2011, sempre nel 2011 viene patrocinata la sua

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personale “Maria Maddalena” dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Attualmente vive e lavora a Parma, direttrice artistica della Biennale “ Argille D’Oro” a Matera, in occasione di “ Matera capitale della cultura 2019”. Le principali mostre a : Cadaques (Spagna),Wingfield (England), Barcellona (Spagna), Bages (France), London City, Firenze, Roma, Napoli, Parma,Torino..ecc mail: cubyaurora@gmail.com cell.: 339.18 38 913


Eugenia Di Meo nasce a Torino, frequenta l’Istituto d’Arte della moda e del costume e, successivamente, il Politecnico di Torino, presso il quale consegue la laurea in Architettura. Non è difficile accorgersi che il disegno, nelle sue forme più disparate, è stata una presenza costante nel suo percorso formativo e nelle successive esperienze lavorative, fino a trovare – oggi – il pieno compimento nell’espressione artistica e creativa. L’impegno professionale della Di Meo si è infatti articolato – in modo coerente con uno spirito indagatore, sempre proiettato alla ricerca del “suo” segno – in differenti settori, dall’arredamento d’interni alla moda e, in ultimo, all’insegnamento.

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EUGENIA DI MEO

L’attenzione dedicata da Eugenia alla ceramica e la sua successiva passione per la calligrafia, sviluppata e approfondita per anni, oltre che rivelarne la forte disposizione estetica ne tradiscono la crescente vena creativa. In modo particolare la seconda, nella quale è riuscita a unire i molteplici stili di questo variegato mondo con l’eleganza di un tratto personale che sa riassumere, artisticamente, ciò che ha assorbito e metabolizzato da alcuni fra i principali maestri del ‘900, quali Kandinskij, Mirò, Balla, Depero, Picabia, Pollock.

mail : eugenia.dimeo@gmail.com Cell: 340.60 75 719

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GABRIELE IERONIMO

Ieronimo Gabriele nasce nel 1959 in un paesino dei monti Dauni, denota fin dall’infanzia una spiccata passione per il disegno e i colori, dipingendo già dalle elementari, passione che coltiva poi negli anni. Si iscrive all’istituto d’arte Fausto Melotti e dopo qualche anno inizia a frequentare lo studio del professor Paolo Minoli, collaborando alla realizzazione delle sue opere sullo studio del colore e alla esecuzione di serigrafie d’arte di opere degli astrattisti comaschi. Dopo varie vicissitudini, inizia a lavorare nel settore Contract alberghiero che lo impegna a tempo pieno per molti anni. Nel 2000 la passione per la pittura, mai sopita, riemerge prepotentemente, Gabriele inizia la produzione di numerose opere, ripartendo da soggetti geometrici con colori vivaci, spaziando poi i vari generi ,la continua ricerca lo porta alla realizzazione di opere astratte, con una forte presenza materica, sempre caratterizzate da forme sinuose e armonie di colori. Realizza diverse mostre personali, la prima delle quali intitolata “Passione di forme e colori”, caratterizzata da quadri di diversi stili dal geometrico al figurativo e alcune opere astratte, alla ricerca della propria identità creativa .Realizza poi la mostra alla Corte San Rocco di Cantù, “dinamismo e colori dell’anima” , con una quarantina di opere astratte che rispecchiano diverse fasi evolutive della sua crescita artisti-

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ca, caratterizzate da forme dinamiche, importanti texture materichee colori corposi da cui traspaionodifferenti stati d’animo dell’artista. Partecipa a diversi eventi culturali e di beneficienza, come la festa del legno di Cantù, importate manifestazione,dove venti artisti si sono sfidati con opere pittoriche a tema“La donna è mobile “. Realizza varie mostre collettive , partecipando ad eventi organizzati dall’associazione culturale Calabro-Brianzola e a serate intitolatefood art and wine alle quali Partecipa con una mostra ad hoc, dove l’arte pittorica si intreccia con l’arte culinaria. Nel 2018 realizza la mostra personale alla Pro Cantù intitolata “tu chiamale se vuoi emozioni “ con opere materiche sempre caratterizzate da armonie di colori ed evoluzioni dinamiche. La tecnica pittorica si evolve grazie alla necessità dell’inserimento gestuale, che porta a valorizzare le opere con interventi di action painting che permettono all’artista di esprimere al meglio le proprie emozioni. Prosegue con forte passione la propria ricerca artistica, esplorando tecniche, materiali e strumenti che gli permettono di esprimersi liricamente. mail : gabriele.ieronimo@live.com Cell: 348.52 62 074


Enrica Maravalle è nata a Roma. Ha frequentato il Liceo Artistico S. Orsola. Ha poi conseguito l’abilitazione all’insegnamento del disegno nelle scuole medie e nei licei scientifici. Nello stesso periodo, ha approfondito i concetti della pittura moderna alla scuola di Arcangelo Leonardi, fondatore della “Rivista di arte cultura e attualità AL2”. Dopo successivi corsi di specializzazione ha insegnato alcuni anni a Roma e, in seguito, a Canelli, dove si è trasferita nel 1972. Il suo è stato un lungo percorso artistico con la partecipazione a mostre collettive e personali. La sua pittura inizialmente è di ispirazione cubista, con un’analisi attenta della purezza e della precisione delle linee, in una proiezione geometrica della realtà; la composizione cromatica è pura pittura tonale. Il colore è protagonista e diventa sentimento, sensazione. Con l’andare del tempo l’espressione cambia e porta ad un ammorbidimento dei toni ed alla vicinanza con soggetti di altra natura, fiori, interni, nature morte. Poi riprende il suo primo stile immergendolo in un mondo fantastico, pieno di colore: la fantasia e la creatività si incontrano in un luogo immaginario in cui tutto può avvenire. È possibile seguire l’evoluzione pittorica di Enrica Maravalle da uno stato in cui l’elemento spazio-figura è trasferi-

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ENRICA MARAVALLE

to sulla tela nella essenzialità delle forme ad un altro stato in cui il disegno, il contorno, la stesura della materia pittorica si impregnano della realtà naturale, si arricchiscono di luci e di ombre, si immergono in colori corposi. Questi concetti però si trasformano ancora, in tempi recenti, in una ricerca di pieno astrattismo. I colori, forti e brillanti, accendono nuove speranze e voglia di vivere. Le forme danzano una musica già scritta o ancora da inventare. Una pittura tutta da godere; mai tradita dall’ispirazione che, anzi, è sempre sostenuta dai toni smaglianti e solari. Alla meditata ispirazione corrisponde sempre l’impianto di composizioni e di impasto, sottolineato dalla lievitazione cromatica, quasi legame tra le opere più antiche e le espressioni più recenti della sua arte, come un continuo studio della armonia delle cose. Enrica Maravalle, negli ultimi anni, si è anche dedicata alla scrittura, con racconti e poesie. Sue opere sono presenti in collezioni private in Italia e all’estero.

mail: enrica.merlino@gmail.com Cell: 320.70 34 545

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ANNA MOSTACCI

Diplomata al Primo Liceo Artistico di Torino nel 1969, allieva di Casorati, Terzolo e Chessa, regista attrice e pittrice, ha fatto parte dal 1976 al 1981 della Cooperativa della Svolta di Torino e dal 1981 al 2006 della compagnia “Teatro del canto di Torino”.Specializzata nel Teatro d’ombre e nella ricerca del Colore nell’Ombra. Dal 2003 ad oggi partecipa al Progetto Europeo MUS-E – laboratori Artistici x l’infanzia – con Laboratori di Teatro d’Ombre che creano storie a partire dai personaggi che popolano le opere di MIRO’ e di Paul Klee Nel 2008 Mus-e - Regia spettacolo THOT nel Museo Egizio di Torino, in collaborazione con la RAI. Tale progetto ha prodotto un DVD. Dal 2013 riprende intensamente a dipingere frequentando la Scuola d’ Arte Arte e Arti di Bussoleno(TO) della maestra Daniela Baldo partecipando ogni anno alla rassegna LIBERA L’ARTE

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-Associazione Culturale “Le Radici” NONE 20 maggio 2016 - premio rappresentanza -San Saturnino... en plenair... SUSA 20 MAGGIO 2017 3° Posto nella V categoria pittura -Associazione Culturale “Le Radici” NONE 11 giugno 2017 – premio sponsor -Mostra collettiva “LeMisureNonContano” Hotel Neapolis NAPOLI gennaio-febbraio 2018 -Mostra “L’arte delle donne” Ecomuseo Urbano di Torino 7-21 marzo 2018, organizzata dall’Associazione Culturale Ariele di Torino

mail: filidombra@tiscali.it tel.: 347.49 78 456


Lucia Pelagi nasce a Grottaglie nel 1973 e tuttora vi risiede. La sua formazione artistica inizia all’interno del laboratorio di famiglia, per poi proseguire gli studi presso l’Istituto statale d’ Arte indirizzandosi sulle arti orafe in cui si diploma e successivamente, su quelle pittoriche. Si ricordano le maggiori mostre collettive e personali al castello D’Ayala,a Mesagne si classifica seconda per due anni consecutivi alla XV e XVI ed. del Premio Nazionale Città di Mesagne, XXXVI ed. Rassegna di Pittura” Nel mito di Rodolfo Valentino “, Urbino alla Galleria Federico

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LUCIA PELAGI

Barocci,a Pescara “ nell’ Aurum”,a Firenze riceve la segnalazione della giuria al premio internazionale UT Picttura Poesis, a Firenze mostra di pittura “Giubbe Rosse”, gemellaggio tra il comune di Moscufo e la città di Mlawa in Polonia, a Fuerteventura, in Belgio galleria Nan Yar a Blankberge, a Chieti”200 ,a Lecce,“ a Francavilla Fontana, Matera “Per amore e per gioco “ III ed. , ed altri eventi di solidarietà.

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ROSARIA PICCIONE

Rosaria piccione nasce a San Giorgio Jonico ne1 967 ha studiato a Taranto, ha esposto le sue opere nelle gallerie : Maccagnani Lecce , Farini Bologna, Aurum Pescara, museo Barbella Chieti, museo Guidi Forte dei Marmi, casa museo Gabriele D’Annunzio Chieti, museo Fortezza Civitella del Tronto, Uffizi Firenze, Giubbe rosse Firenze. vince primo premio internazionale Tiepolo arte Milano palazzo Clerici, terza classificata convitto Ragusa città di Noto Sicilia, premio internazionale René Magritte Bruges

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Belgio, una sua opera è entrata nella collezione privata del museo Le Bois du Cazier di Marcinelle Belgio.


Roccotelli è nato a Minervino Murge, Ha seguito gli studi artistici a Bari e si è perfezionato a Roma. Si è rivolto ben presto alla pittura e all’insegnamento, cominciando ad esporre nel 1968. Da allora ha allestito numerosissime personali in prestigiose gallerie, rassegne nazionali e fiere d’arte contemporanea. Le esposizioni all’estero sono numerosissime. Sì dedica anche alla ceramica e alle illustrazioni di libri. Hanno scritto di lui numerosi critici, giornalisti e scrittori.

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MICHELE ROCCOTELLI

mail: micheleroccotelli@libero.it cell.: 347.58 23 812

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CARLA SILVI

Carla Silvi è una pittrice di Verona. E’ un’artista che mostra di avere un’ottima formazione classica che esprime con una tecnica notevole. I suoi soggetti preferiti sono i paesaggi, le vedute inquadrate da porte o finestre o gli interni di abitazioni, ma anche le nature morte. Il suo stile si esplica prevalentemente in un realismo oggettivo ma non disdegna anche delle rappresentazioni più corsive dal carattere tendenzialmente impressionistico. Lo stile della pittrice Carla Silvi generalmente si configura in un realismo piuttosto oggettivo in cui il colore si stende in maniera uniforme nelle sue tonalità brillanti e piene di luce. Tuttavia in alcuni dipinti, per lo più scorci paesaggistici o urbani, la pittrice non rifugge dalla tentazione di immortalare il soggetto in maniera più veloce e immediata. Allora il tratto si fa più corsivo, rapido a cogliere le forme e trasferirle nel dipinto. I volumi subiscono un certo grado di corrosione, sempre controllato, a causa di un più accentuato atmosferismo. Sono dunque opere in cui Carla Silvi mostra di preferire un maggior carattere di freschezza rispetto all’immagine oggettiva sospesa nel tempo. I colori risultano sempre vivi e pieni di vibrazioni cromatiche. mail: carlaerbi@libero.it tel.: 333.44 14 541

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nato a Torino il 30 aprile 1954, Diplomato al Liceo Artistico di Torino. Allievo di BEPPE DEVALLE, nel 1970 collabora con il Maestro nella ricerca concettuale per la realizzazione di una grande opera di pittura-scultura sulla scia dell’opera African Tree, e porta a casa dallo studio i compiti per “giocare con i colori” fino al trasferimento del Maestro Devalle a Brera. Attore, autore di testi teatrali e pittore. Dal 1976 al 2004 lavora in laboratori di arti figurative ed espressione pittorica nelle scuole di Torino (coop.Della Svolta, Teatro del canto, Teatro in Rivolta, Progetto Mus-e). Dal 1978 al 2004 collabora con alcuni gruppi teatrali storici di Torino e contribuisce a fondarne altri, lavorando nel frattempo come mimo lirico e acrobata al Teatro Regio di Torino. Primo premio al concorso di Pittura La Radice d’Oro di None (TO), maggio 2017, con il quadro “Scacchiere” Secondo premio fotografia al San Saturnino, En Plein Air, città di Susa, 20 maggio 2017. Esposizione artistica Libera L’Arte nel centro storico di Bussoleno (TO), agosto 2017. Mostra concorso Premio Byron città di Terni, 13° Edizione, Ott. Nov. 2017. Christmas Art Expo di Torino all’EcoMuseoUrbano di-

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ROBERTO VIONE

cembre 2018 Mostra collettiva “LeMisureNonContano” hotel Neapolis NAPOLI gen.feb.2018 Mostra Personale nei locali della gastronomia “I sapori di Gea” a Bussoleno, maggio 2018. DAL SEGNO AL COLORE” a FERRARA alle Grotte del Boldini, Mostra collettiva presentata dal critico Nadia Celi, (organizzata dal Centro Culturale Ariele di Torino), giugno-luglio 2018 Esposizione Libera l’Arte a Bussoleno agosto 2018 Mostra collettiva “Sulla bellezza attuale” al Palazzo Opesso di Chieri (TO) organizzata dall’Associazione Ariele di Torino, ottobre 2018 Mostra concorso ad Almese (TO) per la 2° edizione del Premio Agnese Milani organizzata dalla associazione Cumalè, novembre 2018

mail : roberto.vione@gmail.com Cell: 328.21 23 245

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EMILIA ROMAGNA

PICASSO. LA SFIDA DELLA CERAMICA. 1 novembre 2019 – 13 aprile 2020

A Pablo Picasso (1881-1973) è dedicata la mostra che Faenza, città famosa per le sue ceramiche, allestisce con l’intento di creare un interessante dialogo fra la sua collezione e quella picassiana, proveniente da Parigi grazie ad un prezioso prestito di una cinquantina di opere del Museo Nazionale di Picasso. La rassegna è un omaggio alla “mediterraneità” di questo grande artista spagnolo del Novecento. Picasso diventò ceramista relativamente tardi ma trovò subito congeniale questo linguaggio e non lo abbandonò più sperimentando e intrecciandolo con gli altri suoi lavori su tela, scultura e grafica. Si accostò alla ceramica dopo la fine della seconda guerra mondiale; nel periodo compreso fra il 1947 e il 1960 fece un’enorme produzione di ceramica a Vallauris, nel sud della Francia. Inventò migliaia di pezzi unici, forme sorprendenti e bizzarre, mai

convenzionali, anche quando trattò forme più vicine alla tradizione come piatti, bicchieri, brocche. Fece dell’opera artigianale un’opera d’arte. Non eliminò la funzione dell’oggetto ma vi aggiunse altre caratteristiche. Picasso affermò apertamente che si proponeva il rinnovamento di questa arte millenaria. La trasformò , la dipinse, aumentando le varietà tonali e scultoree. Esplorò i confini tra pittura e scultura passando dalla bidimensionalità del piatto alla tridimensionalità modellando dei rilievi, Si servì del mito, disegnò delicate figure femminili, plasmò al tornio l’originale donna-vaso. In mostra è esposta anche la colomba della pace a forma di piatto che Picasso inviò come primo oggetto a Faenza nel 1950. E’ una rassegna da non perdere. Faenza (Ravenna) Via Baccarini, 19 Orari: mar-ven 10/16 sab-dom 10/17,30 Curatela: Harald Theil, Salvador Haro con collaborazione di Claudia Casali Costo:14 euro, 10 euro ridotto Tel: +39 0546 697311 Sito: http://www.micfaenza.org

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TOSCANA

Per i cento anni dalla presentazione della tuta inventata dal “futurista irregolare” Thayaht e in attesa del “Museo Mitoraj”. Di Lodovico Gierut

Ernesto Thayaht, Dux, scultura h cm 33, diam. 57,5, 1929

La nostra attenzione, pur rivolta senza stasi a mostre di gruppo e personali d’ogni tipo che in vari casi illuminano la frenetica attività espositiva toscana, si volge oggi prevalentemente su due colossi della creatività ben diversi – nel tempo – che però è impossibile non celebrare convenientemente in questo inizio del 2020: Ernesto Michahelles, in arte Thayaht, ed Igor Mitoraj. Thayaht, fiorentino del 1893, scomparso a Marina di Pietrasanta nel 1959, pittore e scultore, illustratore e orafo, è stato talmente versatile che consigliamo l’ipotetico lettore, qualora non lo conosca o desideri saperne di più, di fare ricerche su internet, o, sempre sia possibile, di trovare nelle migliori biblioteche e leggere

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l’esaustivo volume di Alessandra Scappini “Thayaht. Vita, scritti, carteggi” (Skira, Milano 2005) voluto dal Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, luogo dove si trovano conservate molte documentazioni sull’artista. La Versilia, oltre che Firenze e Parigi, è stato uno dei luoghi più frequentati da Thayah, dove – in località Tonfano – ha avuto un’abitazione soprattutto estiva chiamata “Casa Gialla” frequentata sino a primi anni Quaranta da molti intellettuali, e un’altra in cui, cinque anni prima di morire, costituì il CIRNOS (Centro Indipendente Raccolta Notizie Osservazioni Spaziali).


Thayaht. Documentazioni Archivio Gierut

Uno tra gli elementi più rilevanti dell’artista non è stato la realizzazione della nota scultura “Dux” per cui l’accostamento a Benito Mussolini, o del “Carro-Vela” con cui nelle giornate ventose viaggiava sulla spiaggia che da Forte dei Marmi arrivava e arriva sino a Viareggio, bensì l’invenzione della “tuta”, l’universale abito ideato nel 1919 che fu ufficialmente presentato l’anno dopo

con ampie notizie sul quotidiano “La Nazione”. Thayaht è stato un “futurista irregolare”, come l’ha ben definito Daniela Fonti, e secondo noi, proprio per la passione e l’impegno professionale e la curiosità che ha mostrato sino all’ultimo giorno di vita, è ancora oggi attuale e ancora da scoprire totalmente da parte del grosso pubblico.

Igor Mitoraj, Coppia per l’eternità

La seconda figura, in ordine temporale, che in questi decenni ha catturato la nostra e l’altrui attenzione (non per nulla anni fa, proprio in questi spazi gli dedicammo alcune pagine), è stata quella dello scultore e pittore Igor Mitoraj (Oederan 1944 – Pietrasanta 2014) sulla cui grandezza è ben difficile parlare in modo esaustivo giacché la monumentalità dei suoi lavori, che abbiamo definito “... nel tempo e oltre”, è ancora da ampliare nonostante gli entusiastici giudizi già espressi dal mondo della più onesta critica d’arte.

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TOSCANA Se n’è andato lasciando l’immensità della propria espressione, ben visibile per chi ha o ha avuto la fortuna di ammirarne direttamente le opere collocate in grandi musei e in spazi aperti di vario tipo (Musei Vaticani, British Museum, Valle dei Templi ad Agrigento, Muso dei Bozzetti in Pietrasanta...). Non possiamo fare a meno di fogliare, ogni tanto, una delle monografie più belle, e di contenuto, qual è “Mitoraj Mito e Musica” del 2015, per cui le istantenee di un grande fotografo qual è Giovanni Ricci-Novara, accostate anche ad uno scritto di Jean-Paul Sabatié, ne fissano la sua profonda meditata finalità espressiva legata alla storia e alla bellezza e al sogno. Igor Mitoraj ha amorosamente tessuto una sorta di dialogo con Pietrasanta, dove sono nate molte delle sue opere sparse nel mondo. Non ha voluto lasciarla e quale indiretto dono per quella che Antonio Paolucci ha definito “La piccola Atene”, ecco che tra non molto tempo vi sorgerà il cosiddetto “Museo Mitoraj”, tanto che è nata una Fondazione con partecipazione del Ministero dei Beni Culturali, del Comune di Pietrasanta (ne era cittadino onorario) ed i suoi Eredi. Non è infatti un caso che Paolo Brescia dello Studio OBR, che col socio Tommaso Principi s’è aggiudicato lo specifico concorso internazionale, abbia testualmente affermato:

Igor Mitoraj, Per Adriano

“Questo progetto per il Museo Mitoraj è il risultato di un grande impegno collettivo. Insieme con Jean Paul Sabatié della Fondazione Mitoraj e al Sindaco Alberto Giovannetti, abbiamo condiviso una visione comune che vede il Museo Mitoraj come un polo di attrazione internazionale.

Sarà un luogo di cultura, capace di ospitare eventi legati all’opera e alla vita di Mitoraj, un volano non solo per Pietrasanta, ma per il sistema turistico e culturale della Versilia e della Toscana”. Noi l’attendiamo e saremo presenti all’inaugurazione.

Igor Mitoraj

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LA PERCEZIONE

Già dal 1980, nelle scuole di formazione artistica, i grandi maestri, sostituiti da nuove figure professionali che avevano solo delle nozioni teoriche, ritenevano l’esperienza tecnico-manuale non sufficiente per formare i nuovi talenti, in quanto limitava l’informazione ad uno stadio preanalitico e quindi inferiore al sistema puramente mentale perché più logico razionale e analitico. La drammaticità di questo problema, che tanto ha pesato in questi anni, ha contribuito alla decadenza e frantumazione di un patrimonio culturale che da secoli aveva contribuito ad illuminare il nostro territorio. Allo stato attuale, la scuola che avrebbe dovuto tutelare, sostenere e coltivare con più vigore la sensibilità dei nuovi operatori visivi, è diventata un luogo di ciarlatani, incapaci di trasmettere il senso con il quale da sempre ha formato i giovani alla disciplina del fare. Per chi non pratica la nostra attività è bene ricordare che essa nasce dalla relazione uomo-strumento-attività, procedimento che non invita ad un fare strettamente meccanico, ma stimola se trasmessa con una sana sensibilità a migliorare le varie qualità percettive, ovvero alla dinamica dei movimenti (cinestesi) dai quali scaturisce la qualità del pensiero visivo. In questa prospettiva, solo la nostra epoca ha ridato dignità all’attività del fare, ma i nuovi addetti ai lavori non conoscendo gli studi di Arnheim, si sono assestati in un principio didattico concettuale perché lo hanno ritenuto più “moderno” perché liberato dallo stretto contatto con la materia, dava più spazio secondo loro ad un pensiero ideativo libero dalle mani e dai sensi. Oggi, dopo la glaciale e logorante esperienza concettuale i risultati che hanno atrofizzato e standardizzato i nostri corpi, si riscoprono per altre vie le possibilità di riattivarli con l’intenzione di recuperare l’equilibrio tra corpo e men-

te. Allo stato attuale purtroppo le scuole d’arte vivono tra mille difficoltà. Gli addetti ai lavori penalizzati da una parte dagli scarsi contributi e dall’altra da una didattica poco adeguata all’esercizio dell’arte si chiudono come un riccio, con la speranza che le cose vengano risolte dall’alto. Dal mio punto di vista l’accademia non può essere la palestra di un rito mentale e esclusivamente fisico, perché non ci sembra possibile separare questi valori, considerando alcune cose sacre e altre profane: la sapienza più alta deve essere “mista” alla conoscenza pratica, la vita contemplativa combinata con quella attiva. Infatti l’antropologia insegna che le esigenze del corpo e quelle dell’anima sono soddisfatte insieme, invece il soddisfacimento dei soli bisogni corporei è la maledizione della civiltà contemporanea. Già con Paul Klee, l’idea dell’arte era quella di rappresentare ciò che è latente nascosto sotto la superficie, ma anche con il nostro grande maestro Leonardo l’idea forma nasceva non dalla copia della realtà, ma dalle qualità terziarie, che sono quelle di massima impressione della memoria visiva. Infatti, quando osserviamo qualcosa noi non ricordiamo gli aspetti ottici, ma semplicemente le qualità di massima impressione nella memoria visiva. Ricordo per esempio, l’atteggiamento amichevole od ostile, di simpatia o antipatia ecc. la stessa cosa mi accade quando ripenso una città che ho visitato. La memoria visiva trattiene ed evoca forme che non sono di rappresentazione ma di espressione, non sono analitiche, dettagliate, ma di sintesi. Oggi però accade che il segno diventi un surrogato della parola parlata e scritta, un mezzo anche visivo e quindi più rapido e sintetico. In questi casi i contesti di segni sono analoghi al discorso verbale – concettuale, costituiscono la comunicazione visiva che di frequente poco o nulla a che fare con l’educazione artistica Enrico Meo

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ITALO ZOPOLO

Italo Zopolo, partendo da oggetti di scarto (ma non è una novità nell’arte delle avanguardie storiche, perché ricordiamo tutti, negli anni ‘20, Duchamp e poi il dadaismo, Man Raye poi cosa è capitato successivamente soprattutto con l’arte povera qui a Torino). Però tuttavia, qui l’oggetto di scarto viene confezionato come se fosse l’emblema di qualcosa di aulico, di elevato, di una materia in qualche modo sofisticata e linguisticamente raffinata, e quindi c’è un ribaltamento della sostanza. Mentre prima c’era un work in progress riguardante l’esistenza e l’esistenzialismo, quindi un oggetto di scarto rappresentava la storia individuale coreografica di un ambiente, di una persona, qui invece quello che conta è la realtà,è l’oggetto che è confezionato - come se fosse uscito dal computer, però, guarda caso, ha tracce di memoria, di trasparenza, e di delicatezza - non con l’uso naturalmente di strumenti tra-

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dizionali come può essere l’olio, la tempera, il materiale canonico che ha sempre usato. Usando gli strumenti propri della massificazione (e qui certo il discorso si fa largo, molto interessante), ma come non vedere che in fondo il viaggio doppio, triplo, forse qualcosa di più, onirico, per quanto riguarda la serie delle interpretazioni? Perché un suo quadro non vive in se stesso. Si, può vivere nell’assolutezza di un’immagine ben pilotata, ma, guarda caso, è a sequenza; si, può esaurire un argomento, può cercare di tessere un racconto in qualche modo ironico o memoriale solo attraverso la sequenza di più immagini. E’ un’idea che, se vogliamo vedere, era quasi stata interamente dimenticata e certo il cinema ci ha insegnato ben altro. A d’altra parte è un racconto all’interno della propria fantasia e della propria coscienza.


Non è un caso che uno dei più grandi scrittori filosofi dell’epistemologia contemporanea, mi riferisco a Benjamin, nel Passagen-Werk abbia indicato che in fondo la centralità del discorso nella cultura contemporanea, - e questo testo, pensate, lo ha scritto nel 1926, - la centralità non sta in un racconto che abbia una tessitura semantica, ma sta fra schegge e frammenti che formano una specie di agglomerato e di idee che si possono vedere da più punti di vista: dall’alto e dal basso, di fronte e di traverso. Benjamin aveva profetizzato il discorso dell’Ulisses di Joyce che trasforma il linguaggio in una sorta di suggestivo magma proteiforme. Con le dovute differenze, è quello che capita anche al nostro Zopolo. (...) C’è una disquisizione sottile nella Repubblica di Platone: l’opacità costitutiva della soglia è chòra dove “le molteplici cose sembrano avere doppio senso, e non è possibile concepirle in modo univoco. E’ un’idea che oltrepassa naturalmente

la vita, e che va ad inoltrarsi in una pre-vita che altro non è che l’idea di un futuro che dovrà venire dopo di noi. Pertanto è il lavoro che sta facendo interamente il nostro artista. Eppure allora Platone certo non aveva letto Freud e neanche Jung. E allora quest’idea di oltrepassare la vita non è altro che il limite esterno del pensiero, il limite dove il pensiero incontra l’aisthesis, ossia la sensazione, che si può percepire solo per mezzo di un ragionamento sfuggente. (...) Heidegger in Essere e tempo scrive: “L’opera d’arte è uno slargo luminoso che continua a vibrare nella coscienza”. In questo senso devo dire che le opere del nostro Zopolo sono opere in qualche modo futuribili e filosofiche, intendendo dire che non si esauriscono in una prima visione ma che tuttavia hanno bisogno di essere digerite intellettualmente, mentalmente, senza mai dimenticare il faro della creatività e della sensibilità. Floriano De Santis

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LAZIO

LA DONAZIONE VITTORIO MIELE All’università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale LE OPERE DELLA TESTIMONIANZA

Venerdì 24 gennaio alle ore 15.00 presso il Palazzo degli Studi del Campus Universitario (Torre Giurisprudenza, Area Docenti) è stata inaugurata la Donazione Vittorio Miele. A venti anni dalla scomparsa del pittore, nato a Cassino nel 1926, la sua famiglia ha donato all’Università trenta dipinti e grafiche realizzati a metà degli anni ’80 del secolo scorso. La raccolta fa parte della serie “Testimonianza”, documentazione artistica di un’esperienza umana che ha visto Miele testimone diretto e protagonista degli eventi bellici che sconvolsero la città e l’Abbazia nel 1944. Secondo la critica queste opere, che hanno ora sede permanente in un suggestivo spazio espositivo dell’Ateneo cassinate, da tempo impegnato in un’attiva promozione dell’arte contemporanea, co-

stituiscono il nucleo fondamentale di tutta la poetica del pittore cassinate. La donazione restituisce al territorio che le ha ispirate opere di grande valore artistico e culturale, stabilendo un ideale dialogo con la memoria individuale e collettiva e aprendo spazi di riflessione e di approfondimento. Significativi gli interventi del Magnifico Rettore prof. Giovanni Betta, del figlio del pittore, Rocco Miele, del prof. Marcello Carlino dell’Università La Sapienza di Roma e della prof.ssa Giulia Orofino, Pro Rettore per la Diffusione della Cultura e della conoscenza-Scire. Organizzazione affidata alla D.ssa Anna Mariani e ad Edmondo Colella. Catalogo edito da Arthink Edition prodotto da Editoriale Oggi. Marcello Carlino

1 - Uno spettro aleggia minaccioso sopra questa civiltà alle soglie del Duemila, che appare nel segno incoraggiante della distensione e della pace e che pure nasconde un inquietante formicaio di contraddizioni. Lo spettro, uno dei tanti, è la smemoratezza. A forza di vedere tutto consumarsi in un baleno, come abiti di moda prestissimo dismessi; a forza di non pensare più progetti ed utopie, che disegnino un futuro possibile,

passando a contrappelo la realtà del passato; a forza di registrare senza allarmi cadute vertiginose di tensioni ideali per restringersi comodamente nel qui ed ora di un privatissimo particolare; a forza di proclamare, con editti postmoderni, che la storia, proprio quella che si diceva magistra vitae, è finita; a forza di demandarla a deresponsabilizzanti, efficientissimi (e rassicuranti) sistemi computerizzati, è facile che si perda la memoria.

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le radici da cui proveniamo e in cui si forma in larga parte la nostra identità. E che si cancelli, sotto la scolorina della rimozione, l’immagine di quei mostri che hanno abitato, nei sonni ricorrenti della ragione, la nostra storia. Ecco, quei mostri, nelle nebbie di una smemoratezza che non sa più distinguere e giudicare ed è solo capace di “con-fondere”, c’è il rischio di darli frettolosamente per addomesticati e inoffensivi; e c’è il rischio, una volta cancellati dalla nostra memoria e rubati alla nostra attenzione, che ritornino, riconvertiti ad un habitat diverso ma ugualmente feroci, in altri sonni della ragione. L’arte, che già la mitologia classica faceva compagna della memoria, può agire oggi da contravveleno per il morbo subdolo e letale della smemoratezza. E tanto più è contravveleno, non quando lascia tracimare la piena del vissuto così da tradurlo in parole e figure di intonazione e di vocazione patetiche, ma quando sa formalizzare le immagini della memoria e renderle asciutti segni definitivi, che hanno il peso e la consistenza oggettiva delle cose. All’arte è affidato, in questi anni che schiudono il terzo millennio, un compito di grande responsabilità: il compito di non smettere di tener desta la memoria; la responsabilità, che attraverso un giusto e consapevole uso delle forme, di praticare i luoghi della memoria come uno spazio collettivo di riflessione, come dimensione di una pubblica acquisizione di coscienza. Restituire ciò che siamo stati per meglio costruire quelli che saremo: non è compito da poco, in questi tempi nei quali il presente è l’unico tempo che sia coniugato, e certamente non è compito a cui basti, da sola, l’arte. Ciò non la esime, però, dal farsene carico. 2 - Chi lo conosce sa che all’origine della pittura di Vittorio Miele sta la ferita non chiusa, che la guerra gli ha inferto nei giorni che hanno fatto scempio della città martire di Cassino, travolgendola in un’ondata apocalittica. Le sue tele ne serbano spesso, a tratti, le tracce; e anche la voglia di innocenza, che si coglie nelle sue campestri figurine solari o nelle silhouettes in odore di belle époque, è una risposta di compensazione ad un trauma incomposto, che riaffiora infatti per labili, minimo indizi metaforici. Il comun denominatore della esperienza pittorica di Miele, lungo tutto l’arco del suo svolgimento, si riconosce nel profilo utopico (un profilo, perciò, velato di malinconia e di nostalgia, con

un sentore di lontananza tutt’intorno) di un’umanità vergine, tornata a meritarsi l’eden di una condizione di natura autentica e incontaminata (ed ecco la fisicità sublimata del mondo contadino della sua stagione più recente), scampata all’inferno della sopraffazione, del terrore, della crudeltà, della morte, della disumanizzazione. Un’utopia di liberazione è la cifra costante della pittura di Miele, che altrove sembra aggirare l’inferno (ma non lo tace del tutto e ne inscrive i ricordi nella metafora ossessiva di una montagna da incubo) e qui, nelle opere documentate in questo libro, lo attraversa per uscirne, stazione dopo stazione in una lunga via crucis. La liberazione, qui, fa mostra di non poter essere, prima di aver rivisto in presa diretta l’inferno e di averlo oggettivato nella forma: l’inferno della guerra e di una ferita non chiusa. E queste tele e questa grafica, pur appartenendo alla maturità del pittore, si pongono idealmente all’origine della pittura di Miele: la parola inaugurale, benché pronunciata più tardi, del suo organico e compatto; l’immagine prima, per quanto manifestatasi compiutamente in una sorta di flash-back, che giustifica e dà pieno senso alle immagini secondo di speranza di un’umanità liberata. A chi osserva è restituita, viva, la memoria di un orrore che tutti ci riguarda e ci ammonisce a non abbassare le difese della riflessione.

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LAZIO

3 – C’è un “faccia a faccia” di scritture ed immagini in questo libro-catalogo di Vittorio Miele. La necessità di esprimersi interamente sul tema della guerra e di una ferita non chiusa, senza che nulla rimanga di non detto, convoca a rapporto la parola (quella dell’autore e quella, che gli appartiene, del suo alter ego Rocco Zani) e il segno grafico e pittorico. Tra l’uno e l’altro modo di espressione, l’uno all’altro necessario, si danno continuità, coincidenza e anche differenza. Il testo scritto opera da didascalia, intanto, inanellando una sequela di note a piè di pagina. I particolari drammatici e laceranti dell’apocalisse ne vengono sbalzati in primo piano: una madre incinta di un figlio di cui non si sa se potrà mai nascere, “oltre il filo” spinato di un campo di morte; un padre avvolto in un insmettibile mantello nero, che più non occulta un rigurgito di istinto di sopravvivenza, pagato al prezzo di un empio abbandono; e la fame e le bocche di fuoco e il calore bruciante nel ventre di tanti che dicono disperatamente, per l’ultima volta, “io”; e una disperazione assoluta e un orrore che pietrifica e un bestiario ripugnante ( e sono i carnefici e sono le vittime, costretti a farsi carnefici); e un senso di colpa, come un dolore lampeggiante, per essere sopravvissuti e un ricordo che è segno indelebile “del mio tempo” e il fragile corpo della libertà stretto alla memoria delle radici di una vita che si spezzano. Ogni frammento di scrittura sta come a dichiarare l’evento che ha generato e segnato la figurazione pittorica; e di essa evidenzia il senso, mette in esponente il messaggio. E le figurazioni pittoriche investono i frammenti di scrittura di una funzione allocutoria e performativa: la parola interpreta, ma ad alta voce e pubblicamente, facendone azione, la stessa parte interpretata dalla pittura sul tema della guerra e di una ferita non chiusa. Ad alta voce: tutti insieme, i frammenti di testo impaginano una storia, che ha per refrain la desolazione e l’angoscia di una totale disumanizzazione, nella quale non si possono neanche più distinguere le vittime e i carnefici, e che ha per tono dominante il fortissimo dell’urlo. 4 – Ma, mentre scritture ed immagini convergono, le une facendo da eco alle altre, una differenza pure si ravvisa: la stessa storia, della guerra e di una ferita non chiusa, ha due interpretazioni dalle sfumature diverse. Il testo poetico è costruito per stratificazioni successive: la sua tecnica è il porre e l’aggiungere (di qui l’interazione e la gradazione come schema compositivo). Il testo grafico e pittorico, invece, sceglie la prassi del levare. I personaggi non hanno una riconoscibile, netta fisionomia: spolpati, svuotati, con la testa che è un

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teschio, sono come maschere di una tragedia, maschere di un bianco spettrale ed accecante che contrasta con il nero delle vesti. E dei colori si restringe la gamma: violetti sfrangiati di lutti incombenti e rossi abbaglianti di mortiferi aliti di fuoco si stiacciano sopra una bicromia di bianco e di nero, che emette soltanto i mezzitoni del grigio: la grafica, come dialettica di marmorea assenza e di convulsa, simultanea, autodenegante presenza di tutti i colori, esprime la vera vocazione di questa pittura di Miele, che semplifica all’estremo ogni suo gesto, fino a ritrovarsi, quasi, puro segno. E fino a piegare in forme geometriche la materia di un caos disumano: ed ecco la piramide di una Pietà senza riscatto, ed ecco le sfere tangenti, di elmetti di soldati o di crani in fosse comuni, ed ecco il guscio ovoidale che a fatica contiene il tumore d’angoscia della madre incinta, ed ecco il trapezio di un nero mantello in fuga (in vana fuga dal rimorso) mentre poco più che un viluppo di esilissimi cilindri sono ormai i tanti, poveri e piccoli Cristi vinti dalla fame. Veglia su tutto, sinistra, la montagna dell’apocalisse, , l’ossessivo triangolo di una divinità malefica. Gli stessi eventi sono trattati secondo il procedimento del levare, e si leggono, allora, per allusive, e ancora ossessive, corali atmosfere. Plotoni di esecuzione e ossari, tristi emblemi della guerra in ogni stagione e ad ogni latitudine, si conquistano anche in queste opere il loro tragico spazio; ma lo scompaginamento di un’ondata incontenibile (la deflagrazione estrema: un vortice di materia, un turbinio di schegge di colore) e la restrizione in una gabbia soffocante e la fissità di una via senza uscita (perciò quei confini sempre invalicabili: l’infausto triangolo della montagna, le linee parallele del filo spinato), ripetendosi per spostamenti metaforici da una tela all’altra, mostrano per immagini corali il senso più vero dell’evento. E caricano gli sguardi delle figure che si cercano disperate, disperando di trovarsi, di un urlo ricacciato in gola, di un grido che non esce: così muto, definitivamente fermato nello smarrito strazio di un volto, è l’urlo dell’espressionismo pittorico di Vittorio Miele sul tema originario della guerra e di una ferita non chiusa. Al lettore, per tecnica del levare (in rapporto alla tecnica del porre o dell’aggiungere che lavora i testi di scrittura), sono consegnate forme definitive, di plastica asciuttezza, di una semplicità e di una forma che non si dimenticano. Sono le forme dell’inferno che è stata la nostra storia e che dimora ancora in tutti noi; solo guardandole ed imprimendone i segni essenziali nella nostra memoria e nella nostra coscienza, potremo rendere un po’ meno precario il lungo e difficile cammino verso la libertà.


Vittorio Miele, La Testimonianza La nostra epoca, appena entrata nel terzo decennio del ventunesimo secolo, è senza dubbio un tempo di limitato silenzio, ove questo significhi uno spazio in cui ci si possa sottrarre dal continuo flusso di informazione, che imponente, non demorde dal voler plasmare la nostra percezione della realtà. Nel frastuono, ipnotico, le comunicazioni sono ormai difficilmente distinguibili, il vero sbiadisce, la parola perde il suo valore salvifico poiché inquinata da falsi profeti. Aumenta, dunque, il volume, la confusione e l’incredulità. Forse per questo, oggi più che mai, entrando nello spazio espositivo della moderna Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, messo a disposizione dal Magnifico Rettore Prof. Giovanni Betta, dove dal 24 gennaio 2020 sono esposte permanentemente ‘Le Opere della Testimonianza’ dell’artista Vittorio Miele, presentate dal Prof. Marcello Carlino, la prima percezione è proprio quella del silenzio. Nato nella stessa città della Ciociaria nel 1926 e maestro indiscusso del secondo dopoguerra, in questa collezione composta di trenta opere tra dipinti e grafiche e risalente alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, egli racconta la sua sconvolgente esperienza umana che, sotto i bombardamenti che distrussero la Città Martire nel 1944, lo vide perdere la sua famiglia intera. Eppure, a vent’anni dalla morte dell’artista, la scelta del figlio, Rocco Zani, di restituire alla città e alle prossime generazioni questa preziosissima documentazione, spirituale ed artistica, è il riscatto ultimo di un legame indissolubile. L’arte sublime di Vittorio Miele è, infatti, documentazione purissima, muta quasi, nella quale solo gli echi di una barbarie assurda emergono dalle immagini come urla sorde. Rimane allo stesso tempo priva di quella stessa violenza nel linguaggio pittorico. Al contrario, come nei disegni di un bambino che riporta il vissuto senza giudizio, la comunicazione è imbevuta di quella stessa innocenza e credibilità, per cui la drammaticità della narrazione esplode portando

lo spettatore in quella stessa realtà temporale, spaziale ed emotiva facendone ormai esperienza intima, non più confutabile. I colori, reminiscenti come nelle forme, dei più alti esempi della pittura espressionistica del Nord Europa – straordinaria l’evocazione de l’Urlo di Munch nell’opera a tecnica mista Lo sposalizio degli istinti – ne respingono la virulenza e sono invece sopiti, delicati, come la madre che regge il suo bambino in Il rosso e l’urlo. La notte, fisica e psichica, che incombe sui corpi ormai astratti di Fossa Comune o sui bianchi cadaveri in Senza titolo 1 non perde equilibrio cromatico, né struttura compositiva. La donna col suo bambino scheletro nella ‘pietà’ contemporanea che è il Prologo è lì, ferma, guarda fuori, senza fiatare. Se vi fosse mai bisogno di conferma dell’orrore della guerra, in un mondo deciso a rimuoverla dalla sua memoria storica e a dimenticarne le cause, l’opera di Vittorio Miele è La Testimonianza, resa innegabile dalla potenza e bellezza trasformante della sua maestria.

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NINO AIMONE

È nei disegni che si rende specialmente evidente una delle qualità più tipiche del l’invenzione di Nino, l’ironia. Che consiste nella capacità di “ interrogare “ e quindi smontare e rimontare a prova i meccanismi della realtà (segnalo, ad esempio, i disegni di animali morti e vivi che attraversano tutta la produzione) e della realtà in immagine ( segnalo l’uso anomalo del modello cubista), spe-

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cialmente quando si applica al tema del teschio, o quando illustra storie di aggregazione e disgregazione ( allora mi sovviene lo scrittore Calvino, che dedicò a Nino una bella pagina, più di qualsiasi pittore), i meccanismi dell ‘immagine colta nella sua concretezza di struttura, non raramente rimescolando i diversi piani della realtà: la realtà fenomenica, la realtà concettuale, la realtà del linguaggio.


MARIO SURBONE

Sono nato nel 1932 a Treville presso Casale, luogo al quale sono tuttora profondamente legato. All’Accademia Albertina sono stato allievo di Felice Casorati. Lunghi soggiorni a Parigi sul finire dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta mi hanno permesso di confrontarmi con la varietà delle proposte artistiche del momento. Le mie scelte sono peraltro guidate dall’intuizione più che dalla razionalità programmatica, dall’esigenza di mettere a fuoco una immagine dove il rigore costruttivo si coniughi con un altrettando fondamentale rapporto con la realtà visibile e visionaria. Così, attraversando esperienze apparentemente o forse davvero contraddittorie, mai troppo condizionate da ragioni o modelli esterni, mi muovo tra compromessa evocazione e astrazione ”concreta”. Gli “Incisi” fra ’68 e ’78, che rappresentano il momento di più spinta semplificazione e purezza, lontano dalle tentazioni pittoricistiche e dalla gestualità espressiva che avevano alimentato il precedente lavoro, non costituiscono l’approdo ultimo e definitivo (del resto, anche negli “Incisi” tento di mettere idee, particolari esperienze, fatti per me vitali). La stagione successiva, che tuttora prosegue, rimette in circolo la totalità delle esperienze elaborate sul piano formale e specialmente i contenuti emotivi che intimamente mi appartengono. I lavori che qui espongo esemplificano la mia ultima produzione: mi piacerebbe vi fosse riconoscibile, nella apparente elementarità dell’immagine, la

complicazione senza prove una “perfetta” mobili e, per

dei percorsi operativi per arrivare, non e riprove empiricamente condotte, ad integrazione di forme, colori, materie, così dire integrati nello spazio aperto

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CAMPANIA

Artemisia Gentileschi pittrice - guerriera Donna che si ribellò alla violenza subita, artista indipendente, vero simbolo del femminismo.

Nacque nel 1593 da Orazio, un pittore dell’epoca e amico di Caravaggio. Da subito si evidenziarono le sue doti di pittrice tanto che il padre cercò di divulgare la sua arte. A 17 anni Artemisia ultimò il suo primo dipinto Susanna e i vecchioni, che è un’equilibrata sintesi tra il realismo di Caravaggio e le forme dei Carracci. Artemisia Gentileschi continuò a dipingere seguendo e lavorando insieme al padre. La gestualità dei suoi personaggi era precisa, le espressioni realistiche e aveva una buona conoscenza dell’anatomia umana e dei colori. La sua vita e la sua carriera di grande artista purtroppo venne offuscata da un terribile scandalo ovvero lo stupro fattole a 18 anni da Agostino Tassi, un amico pittore del padre a cui le era stata affidata per insegnarle come costruire la prospettiva in pittura. Questo processo , all’epoca, segnò il disonore di Artemisia Si parlò di matrimonio riparatore, ma Tassi era già sposato. La vicenda comunque rimase poco chiara mentre la vera vittima rimase Artemisia che subì un increscioso processo in cui la giovane venne torturata fisicamente rischiando di perdere le dita. Tuttavia Artemisia, non ritrattò la sua deposizione, ribadendo più volte, con convinzione, la sua verità. Dopo il processo, lasciò Roma e sposò un artista fiorentino Pierantonio Stiattesi. Nonostante queste vicende turbolente, Artemisia continuò a mostrare tutto il suo talento, si trasferì a Firenze dopo le nozze e fu la prima donna ammessa all’accademia delle arti del disegno. Ebbe rapporti con Cosimo II de’ Medici, e fu amica di Galileo Galilei. Nel 1621 lasciò il marito e tornò a Roma con le due figlie, ma non ebbe il successo che sperava. Si trasferì, poi a Napoli dove finalmente trovò

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il suo equilibrio seguendo lo stile di Caravaggio. Alcuni suoi quadri sono simbolici: in “Susanna e i Vecchioni” , c’è chi vede il padre e il suo aggressore, Tassi. Nella “Giuditta e Oloferne”, opera di grande violenza, c’è chi legge il desiderio di vendetta della donna contro il suo stupratore. Una delle sue ultime opere famose è la sua prima eroina femminile, “Lucrezia”, personaggio nel quale Artemisia si identifica: una donna forte, abile e indipendente. Morì nel 1653 . Nonostante le sue mirabili opere, i critici d’arte non hanno su di lei scritto molto. Ciò che rimane della sua vita e della sua esperienza artistica sono 34 dipinti e 28 lettere. Per secoli, dunque, è stata poco conosciuta, anzi, sembrava condannata all’oblio, tanto da non essere menzionata neppure nei libri di storia dell’arte. Il culto di Artemisia Gentileschi si ravvivò solo nel 1916, anno in cui fu pubblicato l’articolo di Roberto Longhi denominato “Gentileschi padre e figlia”. La volontà del Longhi era quella di emancipare la pittrice dai pregiudizi sessisti che la opprimevano e di riportare all’attenzione della critica la sua statura artistica nell’ambito dei caravaggeschi della prima metà del XVII secolo. Longhi diede in tal senso un contributo fondamentale perché, spazzando via la nebbia dei preconcetti sorti attorno alla figura della pittrice, fu il primo a non esaminare la Gentileschi in quanto donna, bensì come artista, considerandola al pari di diversi suoi colleghi uomini, primo fra tutti il padre Orazio. Il giudizio del Longhi è molto perentorio e lusinghiero, e ribadisce senza mezzi termini l’eccezionalità artistica della Gentileschi. Letizia Caiazzo


L’Adorazione dei Magi di Artemisia Gentileschi in mostra al Museo diocesano di Pozzuoli

dal 6 febbraio al 30 maggio 2020 – solo sabato e la domenica dalle ore 9:30 alle 13:30 e dalle 15:00 alle 18:00 Una mostra per ammirare da vicino un’opera straordinaria assieme alle bellezze del Rione Terra di Pozzuoli e le eccezionali tele della Basilica Cattedrale di San Procolo Martire

La mostra è organizzata in collaborazione dalle diocesi di Milano e Pozzuoli ed è la prima nel territorio flegreo dedicata ad Artemisia Gentileschi. L’evento sarà un’occasione per vedere da vicino l’opera della grande pittrice in quanto collocata nella Cattedrale San Procolo Martire al rione Terra di Pozzuoli . Una chiesa ricca di grandi Capolavori L’adorazione dei Magi è una tela di grandissime dimensioni e appartiene al ciclo pittorico della Basilica Cattedrale di Pozzuoli, commissionata dal vescovo spagnolo Martin

de Lèon y Cardenas tra il 1636 e il 1649. Nella Basilica è esposta tra le altre stupende opere di Giovanni Lanfranco, Massimo Stanzione, Agostino Beltrano, Cesare e Francesco Fracanzano, Josè de Ribera e Paolo Domenico Finoglio ed è l’unica di una donna. Artemisia Gentileschi realizzò, per la prima volta in una chiesa, ben tre tele: San Gennaro nell’Anfiteatro, i Santi Procolo e Nicea, l’Adorazione dei Magi tutte stupende e esposte nella Cattedrale del rione Terra di Pozzuoli

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CAMPANIA

Napoli Napoli

21/09/2019 - 21/06/2020 Museo e Real Bosco di Capodimonte

Grazie a una scenografia fantasiosa ideata dall’artista Hubert Le Gall, l’Appartamento Reale del Museo di Capodimonte, diventa palcoscenico su cui vanno in scena il Teatro di San Carlo e le porcellane di Capodimonte. Un allestimento che racconta una vera e propria favola che permette di immergersi in un mondo incantato e senza tempo. Ogni sala ha un tema: l’egittomania, la chinoiserie, la musica sacra, la politica e la successione delle dinastie, il Grand Tour, l’arte del cucito, l’ironia delle parrucche del ‘700 e molti altri. Tutti questi temi saranno raccontati attraverso un’esposizione di oltre 500 porcellane delle Reali Fabbriche di Capodimonte e di Napoli, più di 100 costumi del Teatro di San Carlo selezionati da Giusi Giustino, Responsabile della sartoria del Teatro, strumenti musicali, dipinti, oggetti d’arte e di arredo e animali tassidermizzati oggi conservati al Museo Zoologico di Napoli. La musica è una vera e propria guida grazie all’uso di cuffie dinamiche che daranno la possibilità al visitatore di

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ascoltare i brani selezionati per ogni sala, accompagnandolo in un viaggio multisensoriale all’interno del Palazzo Reale che si trasformerà in un vero e proprio spettacolo teatrale. Orari Dal 21 settembre 2019 al 21 giugno 2019 Aperta tutti i giorni, tranne il mercoledì, dalle 8.30 alle 19.30 La biglietteria chiude alle 18.30


WAITING WOMAN CELEBRATION: INAUGURATA LA STAGIONE DELL’ARTE A VILLA FIORENTINO di Carlo Alfaro

“Waiting Woman Celebration” è una kermesse artisticopoetica ideata e prodotta da tre anni da Rosanna Rivas, biologa, giornalista-scrittrice, organizzatrice di eventi, ambasciatrice in Italia della Universum Academy Switzerland, una organizzazione non governativa no-profit fondata in Svizzera nel 1990 per la promozione della Pace tra i Popoli, della Non Violenza e della Mondialità nello spirito dei programmi dell’Unesco, dei Diritti Umani a livello globale, della Solidarietà e della Cultura, per la valorizzazione delle Diversità, per la lotta pacifica contro ogni forma di pregiudizio e di discriminazione, per la protezione dell’Ambiente ai fini di una migliore qualità della vita. La terza edizione di “Waiting Woman Celebration” si è svolta dal 31 gennaio al 2 febbraio 2019 a Villa Fiorentino, prestigiosa sede della Fondazione Sorrento, grazie all’attenzione dell’Amministratore Delegato, Gaetano Milano, con l’appassionata direzione artistica di Letizia Caiazzo, presidente dell’Associazione Ars Harmonia Mundi e rappresentante eletta dell’arte digitale in rassegne di grande rilievo nazionale e internazionale nonchè organizzatrice di mostre ed eventi volti alla promozione dell’arte e della cultura. Motto dell’iniziativa promossa a Villa Fiorentino è stato “Dipingi una Poesia”: agli artisti della mostra collettiva è stato richiesto infatti di abbinare il loro quadro a una poesia, entrambi legati al tema della questione femminile. La kermesse quest’anno ha accolto, oltre ad ospiti illustri come il critico d’arte Carlo Roberto Sciascia, artisti da tutta Italia (Adriana Mallano, Angela Vinaccia, Anna Di Maria, Anna Felvini, Barbara Ross Yulak, Carla De Gregorio, Claudio Morelli, Concetta Marrocoli, Emanuela Guggiola Pasolini, il poeta Giovanni Sardi con una sua lirica e un quadro dell’indimenticata moglie Gilda prematuramente scomparsa, Giuliana Maria Maddalena Fusari, Irene Capuano, Leonilda Fappiano Letizia Caiazzo, Loredana Angerami, Manuela Lavezzi, Maralba Focone,

MarinKa, Mario Citro, Nadia Lolletti, Stefania Guiotto, Stelvio Gambardella). Ognuno di loro, attraverso il linguaggio diretto e universale dell’arte visiva, mediato con la sua sensibilità e nella totale diversità delle tecniche e della libertà espressiva, ha interpretato a suo modo i versi che si riferivano alla tematica della forza e unicità della donna. La mostra infatti non fa emergere solo il tema della sofferenza della donna sottoposta a discriminazioni e violenza di genere, ma in assoluto la bellezza e la forza delle donne del mondo che nel loro vissuto quotidiano contribuiscono a portare avanti il Pianeta e creare il futuro con la loro operosità, fantasia, creatività, inesauribile umanità. Come ha detto Papa Francesco, “le donne sono la fonte della Vita, concepiscono e generano l’Amore, eppure sono continuamente offese, picchiate, violentate, sacrificate, sfruttate: colpendo loro, si umilia Dio“. L’iniziativa della Rivas ha ricevuto per il suo spessore artistico e morale il patrocinio della Universum Academy Switzerland, della International University of Peace Switzerland e di altre prestigiose Accademie ed Enti Nazionali e Internazionali quali la Fondazione AdAstra presieduta da Marinella Modica, la Fidapa sezione Penisola sorrentina presieduta da Cristina D’Esposito, l’Ars Harmonia Mundi della Caiazzo. Durante il galà di inaugurazione, presentato da Carlo Alfaro, è stato anche presentato il bellissimo video sulla manifestazione curato da Letizia Caiazzo. Come scrisse il grande Leonardo da Vinci, “La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura che si sente e non si vede. La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca”. La collettiva Waiting Woman Celebration ha magnificato perfettamente il rapporto tra poesia e arti visive, dimostrando che le due forme espressive possono rappresentare vie privilegiate per sublimare la stessa dimensione interiore dell’uomo.

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CALABRIA

Massimiliano Pelletti:

Looking forward to the past al MARCA a Catanzaro

Looking forward to the past, la personale dello scultore Massimiliano Pelletti si potrà visitare al MARCA a Catanzaro fino al 30 aprile. Trenta le opere esposte. Massimiliano Pelletti nasce e si forma a Pietrasanta (provincia di Lucca) punto di riferimento e luogo di incontro importante per gli scultori provenienti da tutto il mondo per apprendere l’arte del marmo e del bronzo. Il marmo di Pietrasanta fu scelto da Michelangelo per realizzare la facciata di San Lorenzo a Firenze e dopo l’ atto vandalico del 1972 venne utilizzato per il restauro della Pietà, al quale partecipò anche il nonno di Pelletti. Massimiliano utilizza marmo, onice, alabastro per creare opere di gusto classico reinterpretate e adattate al contemporaneo. La sua arte classico-contemporanea nella mostra di Catanzaro si incontra con l’arte africana. Pelletti afferma di essere affascinato dall’arte africana per la di-

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mensione “rituale, quasi liturgica, delle sculture africane, in cui ritrovo la stessa ieraticità della scultura ellenistica e la dimensione totemica dell’arte dei pellerossa americani”. L’artista tenta di stabilire con la materia un rapporto amorevole lasciando inalterati i difetti, le venature, i vuoti, le forme. Le opere di Pelletti possiedono una nuova perfezione imperfetta. Metamorphosis è una Venere che sporge da un cumulo di legni e travi sul quale sono stese teste di statue greche seguendo uno schema che ricorda la Venere degli Stracci .L’opera mostra una infinità di piccoli fori naturali che vengono evidenziati. Come il corpo umano è belli grazie alle proprie imperfezioni, anche il blocco di marmo con le sue venature irregolari, i fori e le crepe è perfetto. Alessandra Primicerio, critico d’arte


Metamorfosi, la Sfinge di Alba Gonzales a Cosenza.

Romana di nascita ma di origini siciliane, spagnole e greche. Negli anni ‘70 si dedica alla scultura per rendere nel migliore dei modi la plasticità dei movimenti della danza da lei praticata con sentimento e competenza. Dopo un ottimo inizio con la figurazione tradizionale, Alba, colpita da materiali come pietre, tufi e marmi inizia a semplificare il corpo per coglierne l’essenza allegorica, armonica e totemica. Vede crescere il suo nome e le sue tecniche accanto ai nomi dei grandi maestri della scultura contemporanea. Inizialmente ha privilegiato figure antropomorfe. Un altro tema che la stuzzica sono Sfingi e Chimere: la bestia che è in noi con componenti sensuali e fantastiche. Ha esposto in Italia e all’estero. Le opere in marmo Alba le realizza nei suoi laboratori di Pietrasanta e Carrara. Per le fusioni in bronzo si rivolge alle più importanti fonderie di Pietrasanta, Verona e altre. Ben 40 anni di attività in cui è affiorata la sua abilità di tramutare il bronzo e il marmo in sculture che sfiorano le emozioni della vita. La musica e la danza hanno da sempre guidato la sua scultura. Dieci anni di danza classica come allieva,4 come solista, poi ha studiato canto lirico. Dopo il matrimonio e la nascita delle figlie ha interrotto tutte queste attività. Solo tempo dopo venne presa dall’idea della scultura. Le sue prime opere furono una serie di opere in bronzo danzante che fece fondere per realizzare la sua prima mostra. All’inizio fu affascinata dagli etruschi riveduti dal suo estro . Di fronte ad un’opera di Alba si resta stregati e meravigliati: armonia delle forme e delle linee, plasmabilità dei movimenti, movenze passionali delle sue sculture. Riesce a foggiare la materia senza partire da un disegno o progetto preparatorio. Nelle opere della Gonzales si insatura un rapporto di armonia tra le forme modellate dell’artista e gli intimi moti dell’anima che sono in grado di stimolare. Professionista ballerina e cantante la musica è stata il leit motiv della sua vita e le sue molteplici origini siciliane, spagnole e greche hanno aumentato e modellato la sua inventiva. Si rifà al mito, alla classicità e al manierismo cinquecentesco. La sua ricerca è sempre quella della bellezza. Flessibilità, sensualità mai volgare sono la sua sigla stilistica. Model-

lando la materia evoca l’eternità della forma classica che si perpetua nei secoli. La sfinge di Cosenza alata e bestiale è in balia di una spietata trasformazione interiore. Non pone ai passanti enigmi perché è lei stessa un enigma, ha perso ogni potere divinatorio .Il suo corpo è femminile e flessuoso. Tre facce di donna mostrano tre diverse espressioni. La coda è a forma di serpente. Storicamente la Sfinge era un mostro inviato a Tebe da Giunone per punire Creonte. Chiedeva a tutti i passanti il più famoso enigma della storia: “chi, pur avendo una sola voce, si trasforma in quadrupede, tripede e bipede?” Il mostro strangolava o divorava chiunque non fosse in grado di rispondere. Nel mito Edipo spiegò l’enigma confutando “l’Uomo, che nell’infanzia striscia a quattro zampe, poi cammina su due piedi in età adulta, e infine utilizza un bastone da passeggio in età avanzata”. La Sfinge dopo essere stata sconfitta si lancia dalla sua alta roccia e muore. Un’altra versione attesta che la sfinge divorò se stessa. Alessandra Primicerio, critico d’arte

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SICILIA

L’Abbazia di Santa Maria di Corazzo. Testo Alessandra Primicerio, critico d’arte Foto Jacqueline Pucci

In frazione Castagna, un antico borgo della Sila Piccola (Catanzaro) poi unificato al comune di Carlopoli, sorge l’abbazia di Santa Maria di Corazzo edificata dai benedettini nell’XI secolo vicino del fiume Corace. Fu riedificata dai cistercensi nel XII secolo e infine danneggiata dai terremoti del 1638 e del 1783. In seguito il convento venne trascurato e depredato dalle sue ricchezze. Il primo abate cistercense fu il beato Colombano. Gioacchino da Fiore divenne abate dell’abbazia di Santa Maria di Corazzo e qui scrisse i alcuni dei suoi capolavori. A causa delle continue assenze di Gioacchino però nel 1188 il Papa aggregò l’abbazia ai cistercensi di Fossanova. Gioacchino salì in Sila e fondò a San Giovanni in Fiore la Congregazione Florense, approvata da Celestino III nel 1196. I luoghi isolati della Sila incoraggiavano l’esercizio del sostentamento dello spirito. La Chiesa di Corazzo è a croce latina con poche decorazioni. ll chiostro cuore della vita monastica, aveva il compito di far comunicare le zone conventuali isolate dall’esterno concentrandole in un unico nucleo riservato. I monaci cistercensi a Corazzo deviarono il corso del fiume Corace per aumentare la fertilità dei terreni vicini all’Abbazia. Costruirono un acquedotto , perfezionarono le colture arboree e del castagno, scelsero querce e ghiande per l’allevamento dei suini, fabbricarono mulini ad acqua, furono ingegneri, muratori, fabbri, idraulici, alchemici e grandi amanuensi. L’attività liturgica occupava dalle 3 alle 4 ore giornaliere. Il lavoro manuale durava invece circa 6 ore durante l’estate. In inverno si riservava più tempo alla lettura e alla meditazione I Monaci praticavano la mortificazione corporale. Dal 14 Settembre fino a Pasqua era concesso solo un pasto al giorno e per tutto l’anno era prescritta l’assoluta astinenza dalla carne. Di notevole importanza era il Calefactorium dell’Abbazia di Santa Maria di Corazzo: ambiente fornito di un grande camino dove i monaci meditavano, leggevano e preparavano gli inchiostri, le pergamene e scioglievano i colori sfruttando il calore. L’Abbazia di Santa Maria di Corazzo custodiva

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importanti reliquie: un legno della croce di Cristo. diverse vesti di Gesù, una pietra del Santo Sepolcro e una ciocca di capelli di Maria Maddalena, giunte per opera dei Cavalieri Templari. Quest’Abbazia accolse personalità importanti. Oltre a Giocchino da Fiore ricordiamo Jacques de Molay (l’ultimo Maestro dei Templari) e Bernardino Telesio (1509 – 1588), antiaristotelico e grande filosofo. L’Abbazia di Santa Maria di Corazzo finisce nel 1808, quando fu soppressa da un decreto del governo del Re di Napoli Giuseppe Bonaparte.


“Indelebile memoria …Shoah”(Ferramonti , Tarsia)

Ferramonti è il più grande campo di concentramento ed internamento italiano. Quando nel 1938 vennero emanate le leggi razziali italiane gli ebrei del nostro territorio insieme a greci, slavi e cinesi, ritenuti nemici dell’Italia, vennero arrestati. A Ferramonti vi erano 92 baracche con cucine, latrine e lavabi comuni. Il direttore fu presto incolpato di essere troppo tollerante con i detenuti e fu sostituito. Nel campo si svolgevano attività culturali e sportive che servivano a alleviare le difficoltà dovute a malattie e mancanza di cibo, infatti il campo di internamento di Tarsia fu definito “paradiso inaspettato” Il campo si salvò dal passaggio dei tedeschi nel 1943 perché fu innalzata una bandiera gialla, segnale di epidemia di tifo in quel posto, e i tedeschi passarono avanti. Il razzismo nato in Germania contro gli ebrei che individuava nella razza ariana quella superiore alle altre non è una novità. Nel mondo antico chi non aveva lo stesso aspetto o non parlava la stessa lingua era ritenuto barbaro cioè un estraneo. Il concetto di inferiorità nell’antichità però era legato a differenze sociali e culturali: come cucinare, mangiare o come vestirsi. Nel mondo contemporaneo le cose cambiano. Nella seconda metà del ‘700 gli intellettuali faranno una classificazione di gruppi umani (razza bianca, gialla, nera). Questa suddivisione servirà a stabilire la superiorità della razza bianca sulle altre. Gli stati europei protagonisti della guerra di espansione coloniale portarono avanti l’idea che la razza bianca era superiore alle altre. Questa idea si diffuse anche negli Stati Uniti con un regime di segregazione che fu combattuto da M.L.King. Solo nel 2008 avremo il primo presidente afro - americano: Obama. Ricordiamo anche l’appartaid in sud Africa dove una minoranza bianca tolse i diritti ai neri(1948). Solo nel 1994 venne eletto presidente della Repubblica Nelson Mandela. Oggi gli studi di genetica hanno dimostrato che il nostro DNA differisce di poco da quello delle scimmie e non ci sono differenze trai vari tipi umani. La differenza è solo il risultato del nostro adattamento all’ambiente in cui viviamo. Pitture della memoria sono le opere che ci hanno lasciato gli artisti dell’olocausto che hanno tramandato immagini che ricordano la crudeltà e l’orrore del pregiudizio. Quel bisogno di esprimersi, testimoniare e tramandare le paure dei campi di concentramento non si sono spenti ancora oggi. Marc Chagall ,artista ebreo, che dipinse la Crocifissione in giallo (1942) ispirandosi al Cristo in giallo di Gauguin, rappresenta Gesù in un’atmosfera da incubo con volti blu

e cavalli che simboleggiano la morte. Emblemi cristiani raffigurano la sofferenza. È l’Apocalisse: case che vanno a fuoco e disperazione ovunque. Alcuni artisti di quel periodo hanno rappresentato le loro tragedie in modo freddo e fotografico. Tanti iniziarono a disegnare per salvarsi e per produrre arte come strumento di memoria visiva. L’arte dell’olocausto si trova poco nei musei, mentre tante sono le opere pubbliche e commemorative. Nella mostra di Tarsia, curata dall’Associazione Isabella d’Aragona di Francesca Vena, gli artisti (Vincenzo Allevato, EmilioCiombo Arlia, Pietro Bonavita, Sabrina Dario, Ercolino Ferraina, Domenica Gualtieri, Rosy Imbrogno, Domenico Intrieri, Vittorio Greco, Adelaide La Valle, Silvana Lavorato, Sara Manna, Vincenzo Modafferi, Morena Molinari, Rossella Orlandi, Peppe Orlandi, Teresa Principe, Rocco Regina, Luigi Rizzo Fabio Vaccaro Julia Vedechineva, Francesca Vena, Stefania Vena, Antonio Viscardi) hanno rappresentato l’angoscia e il desiderio di libertà, le difficolta e le sofferenze spesso superate attraverso la fede rappresentata dall’occhio simbolo di Dio. Donne separate dai loro figli e messi in campi di concentramento diversi. Volti che esprimono afflizioni e atrocità. Opere simboliche, personaggi famosi, crudeli come Irma Grese detta la Bestia Bionda la donna nazista più crudele di quel periodo, o buoni come padre Kolbe, polacco francescano, che offrì la sua vita in cambio di un padre di famiglia. E ancora opere che mostrano l’ingresso di Auschiwtz avvolti dall’immagine di un monaco della morte o il filo spinato che si trasforma in uccelli simbolo della libertà tanto agognata. Alessandra Primicerio Critico d’arte

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SICILIA

NOVECENTO - ARTISTI DI SICILIA. DA PIRANDELLO A GUCCIONE Dal 04 Febbraio 2020 al 30 Ottobre 2020

La mostra “Novecento - Artisti di Sicilia. Da Pirandello a Guccione”, a cura di Vittorio Sgarbi, è un tributo alla Sicilia, ai siciliani e alla sicilitudine e si innesta perfettamente nel ciclo quinquennale, che ha visto Noto diventare palcoscenico di grandi mostre d’arte. Tali grandi mostre sono una parte del progetto culturale di Noto, che dispone di un palinsesto di assoluto valore e interesse a partire dalle chiese, dai monumenti, dai palazzi nobiliari, dai musei tra i quali quello archeologico, che sarà riaperto quest’anno dopo trent’anni di oblio. Esso di-

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venterà un contenitore di elevato prestigio internazionale, hub per mostre temporanee in collaborazione con tutti i grandi musei del mondo. La recente candidatura di Noto e dell’intero Val di Noto a capitale della cultura ha innescato sul territorio quelle sinergie idonee a concepire un progetto più vasto, offrendo una identità a questa Città e ad un distretto intero, che può e deve incidere in modo deciso sullo sviluppo economico della città netina.


“Un secolo di arte siciliana vuol dire, in larga misura, un secolo di arte italiana” - dice Vittorio Sgarbi. Non è lo stesso per quasi nessun’altra regione, non per l’Emilia Romagna, nonostante Morandi e De Pisis, non per la Toscana, nonostante Soffici e Rosai, non per Roma nonostante le due scuole romane. La Sicilia del novecento, sia in letteratura sia nelle arti figurative, ha dato una quantità di artisti e scrittori che hanno contribuito in modo determinante a delineare l’identità prevalente della cultura italiana. Sotto il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali, della Regione Siciliana e del Comune di Noto la mostra è prodotta da Mediatica ed organizzata da Sicilia Musei che vanta una lunga esperienza nelle mostre in Sicilia. Quando, nel 2003, Vittorio Sgarbi scandagliava con occhio attento e curioso il patrimonio pittorico e scultoreo italiano nella “ricerca di un’identità” artistica nazionale, vi comprendeva anche la Sicilia, di cui, come è suo gusto, cercava e indagava personalità nascoste e pur sorprendenti. Offrì allora un panorama inedito e affascinante. Ma più ne raccolse, giungendo fino alle ultime generazioni, nel 2014, con la prima edizione di “Artisti di Sicilia”, che attraversò con un grosso bagaglio di opere, una buona parte dell’isola da Favignana, a Palermo e a Catania. Una esperienza che raccolse ben 60.000 visitatori in soli sei mesi nelle tre sedi. Oggi “Artisti di Sicilia” viene riproposta a Noto variandone in parte il panorama con eliminazioni e aggiunte di nomi e con opere diverse degli stessi artisti, per ribadire e sottolineare ancora una volta l’ampiezza, la varietà e la forza del genio artistico dell’isola. Sgarbi ha allargato al massimo, sia numericamente sia nelle generazioni, sia nella diversità degli “esercizi di stile”, il panorama, offrendo al numeroso pubblico dei visitatori una rara occasione, per vedere raccolte insieme prove significative ormai storicizzate sia dei più noti maestri sia di personalità defilate, ma non ignorabili, sia dei più giovani artisti, spesso costretti ad una diaspora o ad un isolamento, che non ne ha consentito una pronta conoscenza. Obiettivo: una lettura pressoché unitaria, complessiva dell’arte siciliana, nel cui

eclettismo predomina, per lo più, un fil rouge, quello del realismo, della figurazione, che, ad eccezione di alcune parentesi di sperimentalismo innovativo, non trova ostacoli nel suo percorso. Un realismo, però, che agganciandosi a questi stimoli di innovazione e alle personali fantasie immaginative, perviene a interpretazioni sempre nuove, segnate dal sigillo delle singole personalità. Figura, Ritrattistica, Interni, Paesaggismo, Nature morte sono i maggiori ambiti di riferimento di questo realismo, su cui si sono cimentati e si cimentano ancora in molti: il nodo di una rete, in cui confluiscono le testimonianze creative delle più importanti personalità artistiche dell’isola.

LUOGO: Convitto delle Arti Noto Museum INDIRIZZO: corso Vittorio Emanuele 91 Noto CURATORE - Vittorio Sgarbi ENTI PROMOTORI: • Patrocinio di Ministero dei Beni Culturali • Regione Siciliana • Comune di Noto COSTO DEL BIGLIETTO: Intero € 12, Ridotto € 7 (stampa, over 65, gruppi di almeno 6 persone), Ridotto plus € 6 (universitari, ragazzi fino ai 18 anni, residenti), Ridotto scuole € 4. Omaggi Disabili con accompagnatore, membri ICOM, giornalisti previo accredito, bambini fino a sei anni non compiuti, guide turistiche, due insegnanti accompagnatori delle Istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado

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