Rivista20

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N°51 MAGGIO-GIUGNO 2022 -

periodico bimestrale d’Arte e Cultura

ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE

TIZIANO

il ritratto femminile nel Cinquecento a Venezia

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Edito dal Centro Culturale ARIELE


ENZO BRISCESE

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE

del Centro Culturale Ariele

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Hanno collaborato: Giovanna Alberta Arancio Monia Frulla Rocco Zani Miele Lodovico Gierut Franco Margari Irene Ramponi Letizia Caiazzo Graziella Valeria Rota Alessandra Primicerio Enzo Briscese Giovanni Cardone Susanna Susy Tartari Cinzia Memola Concetta Leto Claudio Giulianelli

Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80 ----------------------------------------------------------

Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedì al venerdì tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com www.facebook.com/Rivista20 -----------------------------------------------------

Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80

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In copertina: Tiziano


TIZIANO E IL CINQUECENTO VENEZIANO Nuove prospettive per la raffigurazione femminile e ruolo più centrale per la donna

Tiziano - Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere, 1537 circa - Olio su tela, 114×103 cm - Firenze, Galleria degli Uffizi

Milano ha voluto aprire la stagione delle mostre, nell’anno in corso 2022, con una splendida esposizione che s’incentra sul grande artista Tiziano e sul suo modo di rappresentare la donna e, nel contempo, tratta il Cinquecento veneziano e i cambiamenti che avvengono all’interno della Repubblica lagunare, la “Serenissima”. Si allargano le prospettive attraverso le quali osservare le caratteristiche e le novità che si registranoper quanto concerne il ruolo femminile durante il Rinascimento a Venezia. Questa rassegna si presenta quindi anche come un importantedocunenoto storico e politico: mai in tutta Europa, fino ad allora, la donna aveva esercitato un ruolo centrale e ufficializzato. Ella a Venezia, invece, pur non potendo partecipare direttamente alla vita politica e finanziaria godeva di mansioni essenziali

quali quella di poter disporre dopo le nozze della dote e quella di poterla distribuire ai propri figli alla morte del marito. Inoltre era assai considerata nella presentazione del cerimoniale pubblico della prestigiosa e potente Repubblica.Il nucleo centrale espositivo ruota intorno alla figura femminile affrontata a partire da molteplici aspetti tematici, in primis attrraversoTiziano e tutti i pittori conterranei, riuscendo così a comparare le diverse modalità artiistiche secondo le quali la donna veniva rappresentata. La mostra comprende otto sezioni in cui sono distribuiti circa centoi lavori di cui 47 sono pitture e, fra queste, 16 sono tele di Tiziano, per lo più provenienti dal Museo di Vienna e sono presenti anche sculture, gioielli,libri, grafica, abbigliamento.

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Tiziano - Maria Maddalena, 1565 circa - Olio su tela, 114×99 cm - Stoccarda, Staatsgalerie Stuttgart

Palma il Vecchio - Giovane donna in abito blu, post 1514 - Olio su legno di pioppo, 63,5×51 cm Vienna, Kunsthistorisches Museum

Fra gli altri grandi pittori, contemporanei di Tiziano, annoveriamo Giorgione, Palma ill Vecchio, Veronese, Lotto, Tintoretto e diversi altri artiisti locali di indiscussa bravura ma meno conosciuti.C’è il ritratto realistico, appartenente a diverse classi sociali,quindi si passa a quello idealizzato delle “ belle veneziane”; si scoprono anche molte famose donne, ossia le eroine e lesante, , le scrittrici e le poetesse, a volte figlie o parenti di noti letterati. Nobildonne, cortigiane, cittadine,figure mitologiche, allegoriche, divinità: la Scuola Veneta apre le porte a tutte le raffigurazioni di donna, vista come simbolo di bellezza,grazia, sensualità. La dea della bellezza, Venere sorgente dalle acquesecondo il mito, fu dichiaratala patrona di Venezia, emersa anch’essa dal mare, ed ogni anno si celebrava questo duplice evento con impareggiabile fasto. Alla donna si attribuivano dignità e ammirazione, coraggio ed eleganza: tuttavia tra le forme di bellezza che la contrassegnavano si tendeva a dare maggior risalto al bello interiore, alla sua personalità, intesa come ‘femminilità’,al di là del ceto socialeal quale apparteneva o del contesto narrativo in cui era inserita. .Un altro aspetto da considerare era una peculiarità della Scuola pittorica veneta, legata alle usanze della Repubblica. L’oligarchia della ‘Serenisssima’ avversava il culto individuale volto a glorifcare il singolo antenato e pertanto gli artisti evitavano ritratti realistici della classe patrizia o borghese preeferendo idealizzare il soggetto rappresentato. Tuttavia poteva accadere che l’artista si permettesse di dpingere una tela con realismo purchè il soggetto dipinto fosse considerato uno “straniero”. Tiziano, ad esempio, fece un ritratto realistico della duchessa di Urbino e della marchesa di Man;tova ma ciò fu possibile in quanto erano donne

che provenivano da altri Stati. “lLe bellle veneziane”, in particolare, erano ritratte con abiti scollati e il seno scoperto, simbolo non di provocazione ma di fedeltà del cuore e suggello di nozze: in genere tutte le donne eranno dipintte a mezzo busto mentre gli uomini a figura intera. I letterati dell’epoca decantavano le virtù femminili, un fenomeno generale e inedito fino ad allora:la mostra mette in luce un cambiamento epocale di costum e di valori. E’ perciò innegabile che la rassegna espositiva del Palazzo Reale evidenzi una tra le aree culturali più avanzate del Cinquecento.

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Tiziano - Venere Marte e Amore, 1550 circa - Olio su tela, 97×109 cm - Vienna, Kunsthistorisches Museum


Tintoretto, Susanna e i vecchioni, 1555-1556 circa - Olio su tela, 146×193,6 cm - Vienna, Kunsthistorisches Museum

Milano ha voluto aprire la stagione delle mostre, nell’anno in corso 2022, con una splendida esposizione che s’incentra sul grande artista Tiziano e sul suo modo di rappresentare la donna e, nel contempo, tratta il Cinquecento veneziano e i cambiamenti che avvengono all’interno della Repubblica lagunare, la “Serenissima”. Si allargano le prospettive attraverso le quali osservare le caratteristiche e le novità che si registranoper quanto concerne il ruolo femminile durante il Rinascimento a Venezia. Questa rassegna si presenta quindi anche come un importantedocunenoto storico e politico: mai in tutta Europa, fino ad allora, la donna aveva esercitato un ruolo centrale e ufficializzato. Ella a Venezia, invece, pur non potendo partecipare direttamente alla vita politica e finanziaria godeva di mansioni essenziali quali quella di poter disporre dopo le nozze della dote e quella di poterla distribuire ai propri figli alla morte del marito. Inoltre era assai considerata nella presentazione del cerimoniale pubblico della prestigiosa e potente Repubblica.Il nucleo centrale espositivo ruota intorno alla figura femminile affrontata a partire da molteplici aspetti tematici, in primis attrraversoTiziano e tutti i pittori conterranei, riuscendo così a comparare le diverse modalità artiistiche secondo le quali la donna veniva rappresentata.

Tiziano - Giovane donna con cappello piumato, 1534-1536 circa Olio su tela, 96×75 cm San Pietroburgo, Museo dell’Hermitage

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Giorgione, Laura, 1506 Olio su tela su legno di abete, 41×33,6 cm Vienna, Kunsthistorisches Museum

La mostra comprende otto sezioni in cui sono distribuiti circa centoi lavori di cui 47 sono pitture e, fra queste, 16 sono tele di Tiziano, per lo più provenienti dal Museo di Vienna e sono presenti anche sculture, gioielli,libri, grafica, abbigliamento. Fra gli altri grandi pittori, contemporanei di Tiziano, annoveriamo Giorgione, Palma ill Vecchio, Veronese, Lotto, Tintoretto e diversi altri artiisti locali di indiscussa bravura ma meno conosciuti.C’è il ritratto realistico, appartenente a diverse classi sociali,quindi si passa a quello idealizzato delle “ belle veneziane”; si scoprono anche molte famose donne, ossia le eroine e lesante, , le scrittrici e le poetesse, a volte figlie o parenti di noti letterati. Nobildonne, cortigiane, cittadine,figure mitologiche, allegoriche , divinità: la Scuola Veneta apre le porte a tutte le raffigurazioni di donna, vista come simbolo di bellezza,grazia, sensualità. La dea della bellezza, Venere sorgente dalle acque secondo il mito, fu dichiaratala patrona di Venezia, emersa anch’essa dal mare, ed ogni anno si celebrava questo duplice evento con impareggiabile fasto. Alla donna si attribuivano dignità e ammirazione, coraggio ed eleganza: tuttavia tra le forme di bellezza che la contrassegnavano si tendeva a dare maggior risalto al bello interiore, alla sua personalità, intesa come ‘femminilità’,al di là del ceto socialeal quale apparteneva o del contesto narrativo in cui era inserita. .Un altro aspetto da considerare era una peculiarità della Scuola pittorica veneta, legata alle usanze della Repubblica. L’oligarchia della ‘Serenisssima’ avversava il culto individuale volto a glorifcare il singolo antenato e pertanto gli artisti evitavano ritratti realistici della classe patrizia o

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borghese preeferendo idealizzare il soggetto rappresentato. Tuttavia poteva accadere che l’artista si permettesse di dpingere una tela con realismo purchè il soggetto dipinto fosse considerato uno “straniero”. Tiziano, ad esempio, fece un ritratto realistico della duchessa di Urbino e della marchesa di Man;tova ma ciò fu possibile in quanto erano donne che provenivano da altri Stati. “Le bellle veneziane”, in particolare, erano ritratte con abiti scollati e il seno scoperto, simbolo non di provocazione ma di fedeltà del cuore e suggello di nozze: in genere tutte le donne eranno dipinte a mezzo busto mentre gli uomini a figura intera. I letterati dell’epoca decantavano le virtù femminili, un fenomeno generale e inedito fino ad allora:la mostra mette in luce un cambiamento epocale di costum e di valori. E’ perciò innegabile che la rassegna espositiva del Palazzo Reale evidenzi una tra le aree culturali più avanzate del Cinquecento.

Palazzo Reale n.12 Dal 23 febbraio al 5 giugno 2022 Organizzata dal comune di Milano Cultura in collaborazione con Skira editore e l’intervento del Museo di Vienna Sostenuta dalla Fondazione Bracco Curatela di Sylvia Ferino Orario: da martedì a domenica ore 10/19,30 Costo: 14 euro – ridotto 12 euro


Giorgio Billia

Cecità – Involucro – Azione – Silente – 2021/2022 Altorilievi in alabastrino e legno

Queste opere dicono molto di sé, cecità? Quanta cecità ogni giorno incontriamo? Molta, ha un altro nome, ma la rispecchia a pieno l’indifferenza. Per me sei trasparente, non esisti, o non esisti più. Ti attraverso quasi calpestandoti, tanto non proverò nessun sentimento, emozione, nulla. A mio parere è la cecità peggiore, quella dell’anima. E’ lo specchio del becero egoismo, o la difesa di chi non sa argomentare. Quanta cecità moderna, pensiamo a chi lo è davvero cieco, ma percepisce ogni movimento, cambio di suono della voce, tocco. Siamo diventati asettici, nei sentimenti, nei rapporti. L’ opera lancia un messaggio forte, non diventiamo ciechi a prescindere, asettici, privi di emozioni. Guardiamoci, annusiamoci, e viviamo vedendoci, e parlandoci, nulla è più mortale dell’indifferenza, uccide tutto anche il rispetto. “INVOLUCRO”,già il titolo di uno dei lavori è fonte di riflessione. Se ci pensiamo un attimo ognuno di noi

visto dall’esterno è diverso, ma l’interno, quello anatomico è quasi uguale per tutti. Il corpo è l’involucro dell’anima, del cuore, epicentro delle emozioni più vere, dirette e reali. Possiamo nascondere ogni cosa ma saremo anima e cuore per pochissimi, che sapranno vederci dentro, oltre. D’impatto è voluto il viso, diviso dallo scheletro. Due facce della stessa medaglia, oggi più che mai attuale. L’opera è diretta e bellissima, nella sua semplicità. Ma come ci suggerisce, non fermiamoci mai all’apparenza, guardiamo la vera essenza di chi abbiamo di fronte, sempre! Laura Cherubelli

mail.: giorgio.bil21@gmail.com Sito: www.giorgiobillia.it tel. 338.500 0741

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ENZO BRISCESE “I ragazzi del duemila”:

poetica e confronto generazionale.

L’epoca in cui eravamo noi ragazzi, ossia gli anni settanta, era molto diversa da quella in cui vivono gli adolescenti nativi del Duemila. Si può obiettare che le caratteristiche connaturate a quella età sono simili ma le specificità somatiche, intellettive, emozionali e psichiche, a contatto con ambienti radicalmente mutati vengono modellate in modo tale da originare comportamenti e modi di pensare e reagire che ci sembrerebbero impensabili se non fosse che sono in piena ribalta attuale e rappresentano la nuova realtà. E’ vero che ha subito cambiamenti anche la nostra generazione per affrontare le inedite sfide della globalizzazione e in particolare del clima pandemico che tormenta il pianeta da due anni. Inoltre ora soffiano venti freddi e bellicosi che speriamo si calmino. La nostra gioventù, invece, risentiva del clima post bellico: non dimentichiamoci che il secolo breve ci ha “regalato” due guerre mondiali e le condizioni in cui si cresceva in quegli anni erano difficili tempi di ricostruzione con

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tutto ciò che ne consegue. La gente sfollava nelle città sfasciate per lavorare ed era assai pesante il razzismo che si respirava in nord Italia verso gli immigrati meridionali. Eppure, strano a credersi, noi giovani eravamo carichi di entusiasmo, di vitalità positiva. E, salvo nelle zone estreme di degrado, la maggioranza dei ragazzi non presentava una lacerata problematica comunicativa come quella presente negli adolescenti delle nostre attuali periferie. Ora i nativi del terzo millennio provano un disagio diffuso e una depressione strisciante oppure sfogano una gratuita violenza come conseguenza della separatezza che li opprime: sono costretti nelle loro piccole stanze dove, così isolati, cercano rapporti virtuali attraverso gli strumenti tecnologici che hanno a disposizione. In una società in piena crisi riorganizzativa essi sono soli, trascurati, marginalizzati e non capiti, con pochi amici veri e reali con cui socializzare in modo sano. Anche loro soffrono le conseguenzenon indolori del passaggio epocale che stiamo vivendo.


La suggestiva pittura dell’ultimo ciclo tematico di Enzo Briscese centra un nodo cruciale e lacerante della realtà odierna, ossia la “comunicazione”,peggiorata anche dall’inaspettato dramma della separatezza sanitaria di lungo periodo per la pandemia da covid, a cui abbiamo sopra accennato. Questo nodo centrale, toccato dall’arte di Briscese in uno dei suoi aspetti più conturbanti, contribuisce ad originare la scarsa qualità della vita dei giovani. L’artista si accosta con un’attenzione discreta, un interesse partecipato e preoccupato. Egli dipinge cioè con delicatezza la precarietà comunicativa vissuta dai ragazzi di adesso. Nei suoi quadri essi sfilano con i telefonini in mano. Tali opere sono la messa a fuoco di una realtà e una dinamica inquadratura che non diventa mai un banale sfogo per provocare una delle tante denunce lamentevoli. Enzo Briscese, pittore, vive nelsuo tempo e lavora con gli strumenti che gli competono: tele, colori, e infine quadri che parlano. La concezione di libertà è strettamente legata al rispetto: riteniamo pertanto che prima i giovani necessitino di amorevoli e competenti guide e in seguito abbiano bisogno di un inserimento critico nella collettività attiva in un clima che è sicuramente problematico ma dovrebbe essere anche di dialogo fattivo. Il ciclo pittorico “I ragazzi del duemila” introduce lo spettatore nella nuova fase artistica di Briscese, evidenziata da una felice presenza di un dinamico figurativo, valorizzata da una ricca tavolozza e da un’elaborata composizione. Il suo complesso linguaggio pittorico è più vitale che mai, “metabolizzato” all’interno del quadro. Le figure sono dapprima sommerse da un confusivo caos di immagini e informazioni mentre negli ultimi lavori si configura un particolare assestamento stilistico. La rappresentazione del giovane evidenzia la sua fuga dall’oppressione che

lo attornia e le ultime tele mostrano uno spazio vuoto intorno alla figura che rende visivamente il totale “nulla” in cui il ragazzo si rifugia,, ossia un radicale distacco dalla realtà . Si tratta di una fuga illusoria che sul dipinto si colora di tinte pallide e tenui. Questa serie pittorica, visionaria e realista nello stesso tempo, merita di essere messa inmostra e visitata con particolare cura. Giovanna Arancio

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Quattro artiste si sono incontrate e hanno formato un gruppo per esprimere la loro creatività con la luce, il colore e la materia, declinando linguaggi differenti e sempre suggestivi. Le eleganti trasparenze di Lella Rosso coniugano sapientemente la manualità artigianale del vetro con il design e l’arte. La visione poetica di Manuela Incorvaia,con le

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sue sculture in ceramica, realizza un mondo ricco di figure emozionanti. Il piacevole incontro tra originalità e modernità di Valentina Aceto, scultrice e pittrice, con gli interessanti giochi di luci e di ombre. Le opere di Enrica Maravalle in cui le forme e gli accostamenti cromatici indagano nel sogno e nell’immaginario e si tramutano in sentimento e sensazione.


Valentina Aceto - Tympanon

Lella Rosso - Il volo

Manuela Incorvaia - Arcaica

Enrica Maravalle - LeTemps Qui Passe

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Opere di Afro alla Galleria Ca’ Pesaro Dall’Italia all’America e ritorno La Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro presenta una retrospettiva dedicata agli anni centrali della vita e dell’arte di Afro A cura di Elisabetta Barisoni e Edith Devaney dal 21 aprile – 23 ottobre 2022 Venezia, Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna

45 opere, in dialogo con disegni e materiali d’archivio, per raccontare la fase cruciale di una vita fittamente intrecciata a un percorso artistico, in un momento storico di grande vivacità culturale e non solo. Queste le premesse di “1950-1970 Dall’Italia all’America e ritorno”, retrospettiva dedicata ad Afro Basaldella, in esposizione dal 21 aprile al 23 ottobre 2022 alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, sotto l’egida di MUVE. La mostra sarà presentata durante i giorni della vernice della 59ma edizione della Biennale d’Arte di Venezia e, in questo contesto dedicato alla stretta contemporaneità, la riscoperta di uno dei maestri internazionali della pittura, tra gli autori che maggiormente hanno contribuito ad aggiornare il linguaggio visivo per eccellenza, rappresenta un’occasione ancora più preziosa, per interpretare l’attualità. Con la Direzione scientifica di Gabriella Belli e a cura di Elisabetta Barisoni e Edith Devaney, la mostra è realizzata in partnership

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con BNL BNP Paribas e con il sostegno di Magonza Editore.

Riconosciuto come figura centrale dell’astrattismo internazionale, Afro partì dalle atmosfere di Venezia e di Roma, prima di portare la sua ricerca negli Stati Uniti, diventando ben presto uno degli artisti italiani più conosciuti e apprezzati dal collezionismo d’oltreoceano. Grazie alla collaborazione con l’Archivio Afro e l’arrivo di alcuni importanti prestiti nazionali e internazionali, Ca’ Pesaro rende così omaggio a un autore ben rappresentato nelle proprie collezioni, portando una nuova luce sull’intenso rapporto che, nei fervidi anni Cinquanta, si instaurò tra l’arte italiana e quella americana, che in quella fase osservava la nascita dell’Espressionismo astratto e dell’Action painting.


Afro Libio Basaldella nacque a Udine, il 4 marzo 1912. A Venezia ebbe modo di immergersi nella storia dell’arte da Tiziano a Tintoretto, dal Rinascimento al Seicento. Tra la metà degli anni Trenta e lo scoppio della Seconda Guerra mondiale, si avvicinò agli artisti che operavano in laguna e a Roma, come Scipione, Mario Mafai, Corrado Cagli, Armando Pizzinato, Giuseppe Santomaso. A Milano frequentò gli studi di Arturo Martini e di Ennio Morlotti, diventando amico di Renato Birolli.

Durante tutti gli anni Cinquanta, Afro si propose come un instancabile esploratore della cultura visiva europea e americana: a New York vide le opere di Arshile Gorky mentre a Roma arrivavano, in momenti diversi, numerosi artisti americani come Cy Twombly, Philip Guston, Robert Rauschenberg, Conrad Marca- Relli, Sebastiàn Matta e Willem de Kooning, cui Afro prestò il proprio studio nel 1959.

Esposta nelle sale monumentali del secondo piano di Ca’ Pesaro, l’arte di Afro scandisce un racconto poetico e potente, intimo e universale, sostenuto da un inesauribile amore per la pittura. La mostra include anche una piccola ma preziosa selezione delle opere di artisti legati alla vita e alla produzione di Afro negli anni della maturità, come Matta e Scialoja, insieme ai contatti con la scena artistica americana, tra cui il legame spirituale, a distanza di tempo, con Arshile Gorky e il rapporto di amicizia stretto con Willem De Kooning.

Nel fervente clima di rinascita del Dopoguerra, Afro aderì per un breve momento al Gruppo degli Otto con Birolli, Morlotti Antonio Corpora, Mattia Moreni, Giulio Turcato, Emilio Vedova e Santomaso, pur mantenendosi sempre indipendente. Nel 1949 fu selezionato per partecipare alla celebre mostra “Twentieth Century Italian Art” al MoMA e nel 1950 fu invitato per la prima volta dalla galleria di Catherine Viviano a New York, che gli avrebbe dedicato numerose mostre monografiche, fino al 1968. https://capesaro.visitmuve.it/it/mostre/mostre-in-corso/afro-1950-1970-dallitalia-allamerica-e-ritorno/2022/02/21757/ afro-1950-1970/

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Collettiva degli Artisti del C.C. Ariele l’inaugurazione si terrà il 21 maggio alle ore 19,00

presso il Centro di Aggregazione Urbana in Via Cavagnolo, 7 dal 21 maggio al 4 giugno 2022

Fulvio Donorà

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Enrica Pedretti


Michele Roccotelli

Enzo Briscese

Leonardo Cherubini

Giorgio Billia

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Enrica Maravalle

Roberto Vione

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Guido Mannini

Angelo Buono


Aurora Cubicciotti

Enrico Meo

Nadia Lysakowska

Luigi Curcio

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Lorenzo Curioni

Alessio Mazzarulli

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Corrado Alderucci

Dimitra Papageorgiou


Umberto Salmeri

Mirella Caruso

Franco Tarantino

Letizia Caiazzo

Anna Mostacci

Claudio Giulianelli

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La Transavanguardia in Italia di Giovanni Cardone

Sandro Chia - Zattera temeraria 1982 v_0

In una mia ricerca storiografia e scientifica sugli Anni Ottanta del secolo scorso prendo spunto dalle parole dello Storico dell’Arte Flavio Caroli che disse : “La mostra fu suddivisa in quattro settori, Introiezioni, Archetipi, Alchimia, Eventi, ho scelto gli artisti che in Italia e all’estero mi sono parsi entrare in questi quattro punti. Il primo si riferisce a quelle esperienze di introiezione della tecnologia, Spoldi per intenderci, il secondo si riferisce a ricerche piuttosto di scultura come Gene Higstein, Nicolas Pope; Alchimia raggruppa la tendenza di molti giovani artisti di estrarre lo spirito dalla materia attraverso un rapporto tattile e manuale con essa. Infine Eventi comprende gli artisti di eredità concettuale come Queechers. “Alla rigidità programmatica dell’arte concettuale l’Arte Cifra oppone opere in cui forme espressive esagerate si accompagnano a simboli resi convenzionali, elementi allegorici a gesti figurativi astratti”, è individuato qui un altro superamento: quello della antitesi astratto/figurativo. Infine, concetto fra i più importanti, Faust indica l’aspetto che, nella sua inattualità, era destinato a suscitare in alcuni critici la più violenta opposizione: il ritorno alla pratica della pittura e del disegno. Disegnare e dipingere, la ripresa del rapporto artigianale con il materiale, permettono, secondo il critico, una spontaneità che in larga misura manca ai mezzi tecnici quali il video, il film o la fotografia. Contemporaneamente, questi procedimenti manuali permet-

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tono l’elaborazione di una produzione artistica che in un processo continuo, unisce tra loro testa e mano, sicché l’opera appare come un riflesso immediato di una coazione all’espressione. La guerra alla tradizione duchampiana era apertamente dichiarata. Nello scritto di Wolfang Max Faust sono, a mio avviso, già delineate, a tutti i livelli socio-politici, culturali, estetico-formali, le categorie teoriche fondanti in cui si collocherà in maniera estesa e compiuta la Transavanguardia. Un’ultima considerazione che Faust evochi a conclusione della sua pertinente analisi, come sfondo dell’Arte Cifra, strategie e aspetti delle politiche della sinistra italiana mentre la terza via,ovvero il femminismo e l’ emancipazione delle minoranze appare atteggiamento dettato dalla cautela preventiva di chi teme di essere tacciato come reazionario, cosa che puntualmente avvenne. In questo senso, come cautela di critico d’arte, va interpretato secondo me il richiamo a Mario Merz, capofila dell’Arte Povera, come autore con cui l’Arte Cifra istituiva un confronto critico. La mostra di Colonia può essere considerata la riuscita entrata in scena europea di alcuni artisti destinati ad entrare stabilmente nel novero dei transavanguardisti. Come abbiamo visto Arte Cifra è il nome che Faust elabora per gli artisti in mostra, “Transavanguardia” è la definizione che venne coniata di lì a poco dal critico che diverrà il suo più acuto e appassionato sostenitore, Achille Bonito Oliva.


Mimmo Paladino - Senza titolo 1982_0

“Ancora oggi l’intervento, il cui ruolo fu anche quello di legittimare teoricamente l’incedere dei successivi eventi espositivi, viene indicato dalla critica quale espressione quintessenziale della ideologia artistica della Transavanguardia”. Innanzi tutto quello che emerge fin dall’inizio è il tono di chi vuole proclamare una svolta ma, si badi bene, non in avanti, come proponeva l’avanguardia, bensì, all’indietro verso le “ragioni costitutive” dell’opera artistica. E’ la riconquista di un “pericoloso piacere”: quello di “tenere le mani in pasta”, di un movimento nomadico che rifiuta un approdo definitivo, che non si reprime davanti a niente, neppure davanti alla storia.

Francesco Clemente - senza titolo 1983-86_0

di cui l’avanguardia è stata vittima, prodotto di un “darwinismo linguistico” e di un evoluzionismo culturale perseguito con rigore puritano. A questa cattiva spinta in avanti la Transavanguardia oppone un percorso fatto di accelerazioni e rallentamenti, si volge ad un’autonoma evoluzione interna. Alle poetiche di gruppo si sostituisce la ricerca individuale come salutare antidoto ai sovrastanti sistemi a vocazione totalitaria: ideologie politiche, psicoanalisi, scienze. Di fronte all’austera immobilità del concetto produttivo, la Transavanguardia, afferma Achille Bonito Oliva, tende a far valere la soggettività dell’artista espressa attraverso le modalità interne del linguaggio: è, in sintesi, una “creatività nomade” che non rifugge dal ricorso alle tecniche tradizionali, alla manualità sperimentale al richiamo al al patrimonio del passato.

Nicola De Maria - Festival dell’atmosfera che brilla

Segue un attacco estremamente duro all’arte povera, almeno nelle sue espressioni teoriche, definita “repressiva e masochista”, incapace di sottrarsi alla censura imposta dalla dominante psicoanalisi freudiana. Non “povera” ma “opulenta” deve essere l’arte, ricca cioè di quella materia immaginale che procede come un flusso, zigzagante e discontinuo. Tale flusso è ora sottratto a quella “coazione al nuovo”

Enzo Cucchi - a terra-duomo 1980 - lapis-su-carta-intelatacm-180-x-210

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Misteri nel giardino dell’arte Confronti artistici tra Cracovia e Milano curatori: VERNISSAGE 7 MAGGIO ORE17.30 Galleria PALAZZO OPESSO Via S.Giorgio 3 CHIERI dal 7 al 22 maggio 2022

Zniechęcenie

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Tutti i giorni dalle 16.00 alle 19.00 Sabato e domenica anche dalle 10.30 alle 12.30

Paweł Rubaszewski

Anna Dziubas

Joanna Warchol

Jerzy Fober Whipping,

Karol Szostak

Andrzej Szarek

Teresa Żebrowska

Kinga Chromy


Grzegorz Bienias

Jacek Sroka

Jerzy Dmitruk

Lilla Kulka

Jacek Zaborski

Maria Luisa De Grada

Andia Afsar Keshmiri

Giulia Lungo

Maciej Gryglaszewski

Irena Popiołek

Gianpaolo Muliari

Gretaeta

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Alessandra Bisi

Adriano Pompa

Marcello Tomasi

Andrea Polenghi

Cinzia Fantozzi

Daniela Gilardoni

Il mio grande amore per la Polonia, la sua arte e i suoi artisti, storici e contemporanei , mi ha fatto raccogliere con grande piacere, grazie a “La Casa Delle Artiste “ che come sempre sostiene e promuove l’arte in tutte le sue forme e i suoi luoghi, l’idea degli amici Teresa Żebrowska e Leszek Żebrowski di organizzare un confronto di opere che sondasse alcune realtà che producono arte nelle nostre due storiche città: Cracovia e Milano. Questa mostra vuole dare un assaggio, una micro indagine dell’opera di artisti molto diversi, che vivono, lavorano e si sono artisticamente formati in due metropoli intrise di cultura e arte secolare, ma anche di contemporaneità e di contaminazioni. Un grazie a tutti gli artisti e a tutti gli “attori” che cosi generosamente hanno contribuito a questa panoramica. Daniela Gilardoni

My great love for Poland, its art and its artists, historical and contemporary, made me gather with great pleasure, thanks to “La Casa delle Artiste”( that has always supported and promoted art in all its forms and its places) the idea that my dear friends - Teresa Żebrowska and Leszek Żebrowski – gave me: organizing a comparison of works that would give probe of some of the realities that produce art in our two historic cities: Krakow and Milan. This exhibition wants to give a taste, a micro investigation of the work of very different artists, who live, work and have artistically formed in two metropolises steeped in culture and secular art, but also in contemporaneity and contamination. Thanks to all the artists and all the „actors” who so generously contributed to this overview. Daniela Gilardoni

la mostra sarà visitabile anche sulla piattaforma web. Link su www.lacasadelleartiste.it

Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano

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ROMANO BURATTI

La contorta e imprevedibile problematica della vicenda umana ha da sempre affascinato e conquiso Romano Buratti e di rimando questo eclettico e dinamico pittore ha focalizzato le sue indagini depurandole di ogni compiacenza deviante; i suoi personaggi sono quasi sempre immersi e avvolti dalla furia degli elementi in una consonanza etica che accentua le annotazioni comportamentali. La spigolosità quasi beffarda , il rimarco anatomico spinto all’abnorme , le posture allucinate e distorte, gli atteggiamenti inarcati e subbugliati dal contorto avvicendar- si degli elementi, la goffa e intenzionale sovrastruttura dei vestimenti, l’insistita e ripetuta scansione cromatica giocata sempre sul medesimo registro tonale sono tra le note più immediate che si raccolgono attorno ai personaggi del Buratti. Sono valori che rendono

unica la sua maniera espressiva portata avanti sempre sul filo di un’ampia, solida e sicura possessione illustrativa: infatti la dominante della sua pittura è pur sempre una rara ed insuperabile incursione grafica, e una scrittura decisa, scorrevole, precisa e di singolare spontaneità che partecipa brillantemente ogni modulo descrittivo rendendolo vivo e appassionato sia pure in una tematica aliena dai trionfalismi e dai giochi di maniera. Ed è per tali orientamenti compositivi, filtrati da una passionale disponibilità al dialogo, alla meditazione, alla considerazione dei troppi crucci che appesantiscono l’esistenza, che la tematica di questo pittore richiama sempre un particolare accorgimento al suo magmatico livello inquisitivo. Luciano Boarin

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“Da Viareggio ricordando Giuseppe Lippi, a Firenze con Oscar Ghiglia e a Lucca con “I Pittori della Luce”, oltre a Paolo Lazzerini, Ugo Guidi e altro ancora”.

Giuseppe Lippi, Il volto di Michelangelo, t. mista su carta Magnani cm 79x50, 2017

Le nostre pagine qui legate alla Toscana, brulicanti ad ogni uscita delle notizie più varie e analisi su artisti famosi, poco noti o nuovi, come di manifestazioni di vario livello, nazionali e internazionali, dedica oggi un primo spazio al pittore Giuseppe Lippi, nato a Viareggio nel 1948 e lì scomparso il 28 settembre 2021 lasciando un vuoto enorme, tristisimi anche coloro che ben lo conoscevano nell’unione uomo e artista. Di lui, oltre chi in questo momento scrive, se ne erano occupati i vari Raffaele De Grada, Dino Carlesi, Tommaso Paloscia e altri tra cui Marcello Ciccuto che testualmente ha scritto: “I quadri di Lippi mirano (…) a mostrare il momento specifico del ‘faccia a faccia’ del pittore con lo spazio e col tempo, in un movimento, in un’azione che tutto comprende, riassumendo memoria e istanti presenti in una tensione espressiva integralmente addensata nello “spazio d’accadimento” dell’opera”. Intenso, in Giuseppe Lippi, è il passaggio da una iniziale pittura e un disegnare legato al figurativo, ad una fase da molti definita “astratta” ma piena di simbologie durata per tutta la sua esistenza. Gli oggetti, la figura umana, gli stessi paesaggi sono i soggetti della sua quotidianità che pulsano grazie ad una sorta di unione tra allusione e rappresentazione, cioè con una stilizzazione estetica di gran contenuto, ben comprensibile pure in quei cicli tematici potenti e forti nella conduzione di cromatismi soprattutto neri e grigi, tipo quelli dedicati alle cave delle Alpi Apuane, alle genti di mare versiliesi e all’interpretazione delle opere di Michelangelo Buonarroti e di Giacomo Puccini, come persino di Dante Alighieri. Alcune delle sue opere, in attesa di una mostra che lo col-

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Giuseppe Lippi, La pioggia..., la peste, acrilico e carta velina su carta Magnani cm 63x48, 2017

lochi – come merita – verso l’opportuna conoscenza del collezionismo più vasto, anche se il suo curriculum vitae, pur non ampio, è di qualità, sono esposte in uno dei punti storici di Viareggio, ovvero al “Caffè Così Com’è”, un punto di incontro nato nel 1903 frequentato da allora da gente comune come da pittori, scrittori, poeti. Le nostre pagine qui legate alla Toscana, brulicanti ad ogni uscita delle notizie più varie e analisi su artisti famosi, poco noti o nuovi, come di manifestazioni di vario livello, nazionali e internazionali, dedica oggi un primo spazio al pittore Giuseppe Lippi, nato a Viareggio nel 1948 e lì scomparso il 28 settembre 2021 lasciando un vuoto enorme, tristisimi anche coloro che ben lo conoscevano nell’unione uomo e artista. Di lui, oltre chi in questo momento scrive, se ne erano occupati i vari Raffaele De Grada, Dino Carlesi, Tommaso Paloscia e altri tra cui Marcello Ciccuto che testualmente ha scritto: “I quadri di Lippi mirano (…) a mostrare il momento specifico del ‘faccia a faccia’ del pittore con lo spazio e col tempo, in un movimento, in un’azione che tutto comprende, riassumendo memoria e istanti presenti in una tensione espressiva integralmente addensata nello “spazio d’accadimento” dell’opera”. Intenso, in Giuseppe Lippi, è il passaggio da una iniziale pittura e un disegnare legato al figurativo, ad una fase da molti definita “astratta” ma piena di simbologie durata per tutta la sua esistenza. Gli oggetti, la figura umana, gli stessi paesaggi sono i soggetti della sua quotidianità che pulsano grazie ad una sorta di unione tra allusione e rappresentazione, cioè con una stilizzazione estetica di gran contenuto, ben comprensibile pure in quei cicli tematici potenti e


Il pittore versiliese Giuseppe Lippi (foto L. Gierut 2019)

Paolo Lazzerini, La barca di carta, t. mista su cartoncino telato cm 76x76, 2022,

forti nella conduzione di cromatismi soprattutto neri e grigi, tipo quelli dedicati alle cave delle Alpi Apuane, alle genti di mare versiliesi e all’interpretazione delle opere di Michelangelo Buonarroti e di Giacomo Puccini, come persino di Dante Alighieri. Alcune delle sue opere, in attesa di una mostra che lo collochi – come merita – verso l’opportuna conoscenza del collezionismo più vasto, anche se il suo curriculum vitae, pur non ampio, è di qualità, sono esposte in uno dei punti storici di Viareggio, ovvero al “Caffè Così Com’è”, un punto di incontro nato nel 1903 frequentato da allora da gente comune come da pittori, scrittori, poeti. Mentre a Firenze, presso Palazzo Medici Riccardi, è in corso sino al 13 settembre la mostra di pittura “Oscar Ghiglia. Gli anni di Novecento”, a cura di Leonardo Ghiglia, Lucia Mannini e Stefano Zampieri, promossa da Città Metropolitana di Firenze e organizzata da MUS.E in collaborazione con l’Istituto Matteucci di Viareggio, penso opportuno sottolineare, sino al 2 ottobre, presso lo “Spazio Cavallerizza” in Lucca, la collettiva di decine di artisti del Seicento (circa un centinaia di opere) “I Pittori della Luce” quali, per esempio, Caravaggio, Pietro Paolini, Mattia Preti (…) mentre a Pietrasanta, assai attesa, s’è finalmente aperta nella centralissima Via Giuseppe Mazzini (al n°108) la Galleria del pittore Paolo Lazzerini, gran colorista noto anche in Cina dove ha esposto più volte, di cui Marilena Cheli Tomei ha testualmente scritto: “La lettura delle opere di Lazzerini va ben oltre l’estetica onirica delle sue opere per i contenuti nei quali si manifesta lo spirito dell’artista, la volontà di comunicazione del suo sentire; sono tele che attraggono per l’indubbia grazia dei suoi soggetti, le cromie brillanti, l’interpretazione della realtà ma solo guardandole con estrema attenzione se ne coglie il profondo significato”. Andando verso il termine di queste mie essenziali note toscane, è opportuno sottolineare che la Città di Volterra (prima Città della Cultura in Toscana 2022) ha stilato l’intero calendario per gli eventi dell’anno titolandolo “Volterra/Ri/generazione umana”, mentre s’è aperta la stagione artistica a Forte dei Marmi sia con una mostra di grandi sculture di Stefano Bombardieri in vari spazi cittadini, sia con una vasta retrospettiva

con soggetto “Cavallo e Cavaliere” di Ugo Guidi – a 110 anni dalla nascita e a 45 dalla morte – presso lo storico e centralissimo Fortino, soggetti di cui proprio il Sindaco della città rivierasca Bruno Murzi parlò allorché tempo fa fu inaugurata una statua dello stesso dal medesimo titolo all’ingresso di Forte dei Marmi. Chiudo segnalando la seconda edizione del “Simposio Lunense” a Fivizzano in Lunigiana (quest’anno dedicato alla scultura di materiali quali marmo, sale, creta, alabastro) di cui è appena uscita la pubblicazione inerente il primo del 2021, e il cui regolamento è sul sito www.comune.fivizzano.ms.it Lodovico Gierut (Critico d’arte)

Particolare di una delle opere esposte per 'I Pittori della Luce'

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ALESSIA ZOLFO

Una pittura che riflette il travaglio dell’uomo contemporaneo, perchè questi volti, inizialmente ben definiti e poi resi irriconoscibili da graffiature, da contrasti di materie diverse, lasciano su di essi l’inquietudine e la solitudine dei personaggi che rispecchiano. In certi ritratti la veemenza del segno è mediata da una luce tetra, diffusa, che interviene sulle persone, rendendole in una trasfigurazione che è poetica e sconvolgente nello stesso tempo. Alessia Zolfo, con luci e colori passionali, ma simultaneamente agghiaccianti, propone soggetti che ci invitano alla riflessione o al dubbio su quelle figure, carnali e dolorose, come se qualcosa stia per verificarsi. Proprio l’ambiguità tra la calma e il potenziale turbamento, dona a esse una particolare capacità di rappresentare l’individuo di oggi, sospeso tra messa in scena di sè, identità multiple e volontà di fughe. Paolo Levi Critico e storico dell’arte

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Alessia Zolfo e’ nata a Napoli nel 1984. Si e’ diplomata in pittura presso l’Accademia di Belle Arti dì Frosinone. Dal 2009 è docente di Arte nella scuola secondaria di I grado. Sperimenta con molteplici tecniche espressive che spaziano dalla pittura alla grafica e da quasi vent’anni opera nel campo delle arti, ottenendo premi e riconoscimenti. E’ vincitrice del Premio Pandosia 2006 (Marano Principato, CZ), vincitrice del Premio Morgese 2009 (Terlizzi, BA); vincitrice del Premio Il Segno 2011 a Milano; vincitrice della Biennale d’Arte Imprimatur del 2012 (San Martino dall’Argine, MN). Nel 2007 partecipa alla V Biennale d’Incisione Città di Monsummano Terme; nel 2009 è al Premio Nazionale delle Arti a Catania; nel 2010 è selezionata al Premio Arciere (Isola di S. Antioco, CI); nel 2010 è segnalata per il Premio Celeste Italia nella sezione installazione, scultura e performance. Alessia Zolfo ha esposto le sue opere in eventi internazionali di rilievo, tra cui l’Esposizione Triennale di Roma del 2014 e la 54esima Biennale di Venezia. Vive ad Alatri (FR).

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NINO AIMONE

Nino Aimone e il disegno..-.Critica di Pino Mantovani - 2012

- (..) È nei disegni che si rende specialmente evidente una delle qualità più tipiche del l’invenzione di Nino, l’ironia. Che consiste nella capacità di “ interrogare “ e quindi smontare e rimontare a prova i meccanismi della realtà (segnalo, ad esempio, i disegni di animali morti e vivi che attraversano tutta la produzione) e della realtà in immagine ( segnalo l’uso anomalo del modello cubista), specialmente quando si applica al tema del teschio, o quando illustra storie di aggregazione e disgregazione ( allora mi sovviene lo scrittore Calvino, che dedicò a Nino una bella pagina, più di qualsiasi pittore), i meccanismi dell ‘immagine colta nella sua concretezza di struttura,

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non raramente rimescolando i diversi piani della realtà: la realtà fenomenica, la realtà concettuale, la realtà del linguaggio. È proprio nel disegno che l’esigenza di risolvere ogni parte e di capire ogni nesso raggiungono il massimo della chiarezza, della imtensità e perchè no? Del divertimento. Al di fuori dei generi, si può che Aimone, è prima di tutto un disegnatore. Non è un caso che nella gran messe di disegni - diverse centinaia- accada di incontrare di grandi dimensioni, tecnicamente e concettualmente tanto complessi da far dubitare all’artista stesso se collocarli nel catalogo dei dipinti. -


Incisioni di Nino Aimone.- Torino 1992 “ Intermittenze”

Scritto dallo stesso artista Nino Aimone - (..) Quando comincio un lavoro, non ho mai in mente un’immagine compiuta, ma parto da un’idea momentanea, una sensazione, un gesto. Questo primo segno, che spesso ha una componente di aggressività o di violenza, divide lo spazio portandolo dalla superficie piatta in profondità e segnando quindi la traccia da seguire (ironica, atmosferica, tragica, etc). A questo punto si mette in moto un processo quasi automatico, un dialogo istintivo tra sensazioni interiori ed è citazioni da parte sia dell’immagine stessa sia del tipo di supporto e di strumento che uso Fin quando la linea scorre istintivamente, la lascio andare. Nel momento in cui si interrompe il processo naturale, interviene un ripensamento su questa prima fase. Da cui scatta un secondo percorso “automatico”, che però tiene conto di quello che avviene in precedenza, (..) La difficoltà sta nel fatto che devo unire sempre di nuovo la mia componente razionale, più mentale, con l’altra più istintiva ed emozionale. Questa apparente contraddizione tra rigore e istinto porta spesso ad un movimento centrifugo dell’immagine, ccentuato dalle diagonali e dai triangoli

che evocano un certo senso di disagio ello spettatore. Questi stimoli conducono l’osservatore ad una posizione più ritica e meno passiva, lasciando gli aperta la possibilità di interpretazione. (..) “Riduzioni”: G. Arancio

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ITALO ZOPOLO

Italo Zopolo, partendo da oggetti di scarto (ma non è una novità nell’arte delle avanguardie storiche, perché ricordiamo tutti, negli anni ‘20, Duchamp e poi il dadaismo, Man Raye poi cosa è capitato successivamente soprattutto con l’arte povera qui a Torino). Però tuttavia, qui l’oggetto di scarto viene confezionato come se fosse l’emblema di qualcosa di aulico, di elevato, di una materia in qualche modo sofisticata e linguisticamente raffinata, e quindi c’è un ribaltamento della sostanza. Mentre prima c’era un work in progress riguardante l’esistenza e l’esistenzialismo, quindi un oggetto di scarto rappresentava la storia individuale coreografica di un ambiente, di una persona, qui invece quello che conta è la realtà,è l’oggetto che è confezionato - come se fosse uscito dal computer, però, guarda caso, ha tracce di memoria, di trasparenza, e di delicatezza - non con l’uso naturalmente di strumenti tra-

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dizionali come può essere l’olio, la tempera, il materiale canonico che ha sempre usato. Usando gli strumenti propri della massificazione (e qui certo il discorso si fa largo, molto interessante), ma come non vedere che in fondo il viaggio doppio, triplo, forse qualcosa di più, onirico, per quanto riguarda la serie delle interpretazioni? Perché un suo quadro non vive in se stesso. Si, può vivere nell’assolutezza di un’immagine ben pilotata, ma, guarda caso, è a sequenza; si, può esaurire un argomento, può cercare di tessere un racconto in qualche modo ironico o memoriale solo attraverso la sequenza di più immagini. E’ un’idea che, se vogliamo vedere, era quasi stata interamente dimenticata e certo il cinema ci ha insegnato ben altro. A d’altra parte è un racconto all’interno della propria fantasia e della propria coscienza.


Non è un caso che uno dei più grandi scrittori filosofi dell’epistemologia contemporanea, mi riferisco a Benjamin, nel Passagen-Werk abbia indicato che in fondo la centralità del discorso nella cultura contemporanea, - e questo testo, pensate, lo ha scritto nel 1926, - la centralità non sta in un racconto che abbia una tessitura semantica, ma sta fra schegge e frammenti che formano una specie di agglomerato e di idee che si possono vedere da più punti di vista: dall’alto e dal basso, di fronte e di traverso. Benjamin aveva profetizzato il discorso dell’Ulisses di Joyce che trasforma il linguaggio in una sorta di suggestivo magma proteiforme. Con le dovute differenze, è quello che capita anche al nostro Zopolo. (...) C’è una disquisizione sottile nella Repubblica di Platone: l’opacità costitutiva della soglia è chòra dove “le molteplici cose sembrano avere doppio senso, e non è possibile concepirle in modo univoco. E’ un’idea che oltrepassa naturalmente la vita, e che

va ad inoltrarsi in una pre-vita che altro non è che l’idea di un futuro che dovrà venire dopo di noi. Pertanto è il lavoro che sta facendo interamente il nostro artista. Eppure allora Platone certo non aveva letto Freud e neanche Jung. E allora quest’idea di oltrepassare la vita non è altro che il limite esterno del pensiero, il limite dove il pensiero incontra l’aisthesis, ossia la sensazione, che si può percepire solo per mezzo di un ragionamento sfuggente. (...) Heidegger in Essere e tempo scrive: “L’opera d’arte è uno slargo luminoso che continua a vibrare nella coscienza”. In questo senso devo dire che le opere del nostro Zopolo sono opere in qualche modo futuribili e filosofiche, intendendo dire che non si esauriscono in una prima visione ma che tuttavia hanno bisogno di essere digerite intellettualmente, mentalmente, senza mai dimenticare il faro della creatività e della sensibilità. Floriano De Santis

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Licei artistici, luoghi della memoria di Rocco Zani Nella provincia di Frosinone le scuole d’arte guardano alla storia dei “loro” autori. Credo davvero sia necessario sottolineare un cambio di rotta sostanziale sul rapporto tra il luogo della cultura – la Scuola – e il territorio cosiddetto di riferimento. Che non è un reperto geografico o toponomastico, direi piuttosto una sommatoria di accenti storici, culturali, di identità. E’ accaduto negli ultimi decenni che molti Istituti – in particolare quelli artistici – abbiano “smobilitato” la propria identità nominativa (di solito affidata a figure epiche della storia dell’arte – quanti Istituti Michelangelo, Raffaello, Caravaggio ci lasciamo alle spalle? –) per appropriarsi di riferimenti identitari di certo più vicini – non soltanto geograficamente – al proprio indirizzo, alla propria memoria, al proprio percorso, alle proprie aspirazioni. Ecco allora che i Licei artistici – cito specificatamente questi perché oggi ci occupiamo di questi – hanno recentemente fatto rete attorno ad uno spirito identitario di certo più marcato, intenso, evidenziato. Non è un caso allora che i vari Istituti Michelangelo, Raffaello, Caravaggio siano diventati – dopo un lungo percorso di “ripristino della memoria” – come nella specificità della nostra storia, l’Istituto Giovanni Colacicchi, l’Anton Giulio Bracaglia, il Vittorio Miele. Solo per citare le tre entità più rappresentative del nostro territorio , Anagni, Frosinone, Cassino, nella sequenza precedentemente indicata. Ma non è uno spirito di preservazione o di risarcimento della propria memoria. O quanto meno non è soltanto questo. Non basta attribuire un nome per farne un simbolo o per contrassegnarne il senso. Credo che i tre artisti che abbiamo citato, Colacicchi, Bracaglia e Miele siano dei riferimenti peculiari e corrispondenti con quelle che sono – ma direi con quelle che sono state - le loro impronte territoriali, come se avessero contribuito – per presenza, per storia, per indirizzo – a “costruire” le linee guida di ognuno di questi Istituti. Come se ogni artista fosse l’artefice, naturalmente involontario, di quel rapporto “coincidente” che negli anni si è alimentato tra lui e l’istituto che riconduce al suo nome. Come se, nei casi in oggetto, ci fosse un naturale filo sottile capace di riannodare la storia di ognuno con il proprio territorio di riferimento. Che è storia di immagini, di umori, di tradizioni ripercorse e disfatte, di simbologie più o meno evidenti. Giovanni Colacicchi era nato ad Anagni nel 1900 ma già a sedici anni è a Firenze, nello studio di Garibaldi Ceccarelli, pittore della corrente macchiaiola. Subito dopo la prima guerra – siamo negli anni venti del secolo scorso – ha un piccolo studio sul Lungarno e prende il via – lui è giovanissimo – una frenetica frequentazione del mitico caffè delle “Giubbe Rosse” riferimento artistico, culturale e politico della Firenze dell’epoca. Pensate che a 24 anni dipinge “Melancolia”, una grande tela che ripercorre i temi metafisici cari a De Chirico. E due anni dopo partecipa alla sua prima Biennale veneziana. Una storia artistica – quasi tutta consumata in Toscana – intensa, ricca di rapporti significativi, di incarichi prestigiosi, fino a farne figura di

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Vittorio Miele riferimento della pittura novecentesca italiana. Eppure credo, senza banali intendimenti, che la sua pittura – pur maturata per giudizi e approfondimenti - non sia mai stata orfana di reperti, di indizi, di simboli comunque patrimonio di una memoria finanche territoriale, giovanile, contrassegnata da una dimensione onirica (soprattutto nell’età matura) che è fatalmente sintesi di un congiungimento ideale con la sua terra d’origine e con la storia di questa. Lo testimoniano le solarità e i bagliori di certe opere della maturità; lo ribadiscono le incalzanti relazioni pittoriche con la sua città nei dipinti giovanili: basti ricordare il paesaggio ANAGNI (1921) “in cui la lezione di Cezanne” ebbe a scrivere Franco Solmi nel 1983 “s’è come pietrificata nel presagio di un nuovo Romanico, tutte le componenti della poetica dell’evocazione e della memoria, sono infatti presenti al massimo della tensione. Un’altra straordinaria opera giovanile ci riconduce a questo incontro costante con la propria origine. DONNA D’ANAGNI del 1930, questa figura a metà strada tra il metafisico e il somatismo di una maternità territoriale, di accenti e tracce direi quasi epifaniche. Come a dire – o a ribadire – che la pittura di Colacicchi (questo l’ho scritto qualche decennio fa…) ha radici salde che penetrano la terra antica. Come a dire – o a ribadire – che la sua pittura ha tratto linfa, sostegno, ispirazione da quella che mi piace definire “dimensione domiciliare” che il viaggio, la distacco, il trascorrere del tempo non hanno mai omesso. Non è un caso che anche il Liceo Artistico di Frosinone


Giovanni Colacicchi

Anton Giulio Bragaglia abbia legato la sua identità storico-culturale ad un’altra figura di spicco dell’espressività novecentesca, Anton Giulio Bragaglia. Un destino oltremodo simile a quello che ha accompagnato le vicende umane e artistiche di Colacicchi. Era nato a Frosinone nel 1890 Anton Giulio Bragaglia ma ben presto il trasferimento della sua famiglia a Roma, in quel “centro del mondo” che sarà luogo straordinario di scorribande culturali, di ricerca, di sperimentazione. “i miei fratelli prendono parte della mia vita come pezzi di me stesso” scriveva Anton Giulio “io sono me più loro, perciò posso sembrare più bravo di quello che sono. I miei fratelli sono tre: Arturo è un artista ma puro ingegno meccanico; Carlo Ludovico ha una sensibilità squisita; il terzo fratello è Alberto, mente geniale, vasta cultura, fantasia estetica di indirizzo rivoluzionario”. Come vedete una intera famiglia che sembra condividere – per ruoli e tendenze comunque indipendenti – una partecipazione comune, quella per l’arte ma direi soprattutto per l’applicazione di una inesauribile sperimentazione all’arte. Un artista a tutto tondo, un indagatore visionario capace di “traslocare” le sue osservazioni nel campo della fotografia, della cinematografia, del teatro. Sposa idealmente e concretamente il progetto (se così possiamo definirlo) futurista e si fa anticipatore di temi e tesi che segneranno – non solo concettualmente – la storia della fotografia, attribuendo ad essa, alla fotografia, un ruolo paritario rispetto ad altre forme dell’espressività. “Fotodinamismo futurista” è un volumetto che impone e suggerisce una visione davvero unica, sperimentale e rivoluzionaria su quelle che definiremmo le “proprietà della fotografia”. Scrive tra l’altro Anton Giulio Bragaglia: “ Noi vogliamo realizzare una rivoluzione, per un progresso, nella fotografia: e questo per purificarla, nobilitarla ed elevarla veramente ad arte. Rendere ciò che superficialmente non si vede” è la grande sfida. Una figura davvero unica nel panorama artistico del secolo scorso attraversandolo – per battiti inarrestabili – in ogni sua estensione, in ogni suo accadimento. Lui, protagonista del Futurismo, lui turista non per caso nella Parigi della Bella Epoque, lui, regista prolifico della cinematografia novecentesca, lui osservatore e attore delle frenetiche mutazioni ha sempre mantenuto fede a quel senso di appartenenza

territoriale, a quel “genius loci” mai omesso, anzi puntualmente rinnovato nei suoi scritti. “Questo discorso più sentimentale che geografico” ebbe a scrivere a tre anni dalla sua scomparsa, nel 1957 “benché scritto con aria di fantasia divagata, farà inorridire gli snobs che sdegnano il nome dei Ciociari temendo di essere riconosciuti cafoni. Io, che questo timore non ho, voglio essere detto ciociaro, giacchè sto a casa mia nelle capitali d’Europa, d’Asia e d’America, dove sono andato e tornato più volte in vita di ciociaro emigrante”. L’ultimo protagonista di questo nostro viaggio è Vittorio Miele a cui è stato intitolato di recente il Liceo Artistico della città di Cassino. In questo caso il rapporto dell’artista con l’istituto che porta il suo nome, ma direi con l’intera città, è certamente più marcato rispetto agli esempi precedenti. Probabilmente perché Vittorio Miele è stato testimone diretto, insieme a gran parte di quella comunità del dramma collettivo che vide protagonista la città di Cassino con i bombardamenti della seconda guerra mondiale che ne fecero teatro sconvolgente di morte, di terrore, di intolleranza. Nato a Cassino nel 1926 Miele visse in prima persona i fatti bellici che segnarono la storia della sua terra. Miele affida alla ricerca pittorica il senso concreto e intimo della sua esistenza. Formatosi artisticamente nella Urbino dell’immediato dopoguerra inizia la sua attività espositiva a metà degli anni sessanta. Una attività che lo porterà in seguito – anche con lunghi soggiorni – in America, in Canada, nella ex Jugoslavia. A metà degli anni 80 del secolo scorso Vittorio Miele ci consegna un’ampia raccolta di opere che narrano il tempo ingrato della guerra. Gli orrori, i drammi, l’insostenibile tormento che vide protagonisti migliaia di uomini e donne di quel territorio. La raccolta, alla quale intenzionalmente Miele affida il titolo di Testimonianza, sembra rimarcare con il linguaggio del segno e del colore la necessità di NON DIMENTICARE e di fare della propria esistenza di uomo e artista un piccolo cortile della memoria da cui attingere il senso e la sostanza di taluni errori-orrori che la civiltà contemporanea non dovrebbe (sottolineo non dovrebbe) più permettersi. Anche se i fatti recenti sembrano distogliere ancora una volta lo sguardo da quella testimonianza per immergerci in una condizione di rinnovato dolore.

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Enrico Meo

ANNUNCIO 2022, trittico, acrilico su tela, 30x75cm

La pluridirezionalità dei messaggi contenuti nelle opere di Enrico Meo spiazza e disorienta il riguardante che cerca l’appiglio nella minuzia e nel dettaglio la chiave coloristica, magari, per entrare nello spazio scenico di una dimensione ambigua, di una classica indecifrabilità e caratterizzato da architetture essenziali in prospettive impossibili, da figure realistiche in pose metafisiche, da nitide immagini splendenti in una luce allucinata, da congrue, razionali, geometriche strutture rappresentati in mondi-rovesciati, dentro spazi extra personali o in fuorimondi diversi e irraggiungibili, ma tutto ciò che può fare, lo spettatore, è lasciarsi andare e immergersi nel clima, nell’atmosfera magica e misteriosa dell’Enigma Meo. Se lo fa è già avanti perché ha soggiornato nell’enigma, ovvero nell’arte del maestro, che richiede, per essere non dico decifrata, ma quanto meno interpretata, di soggiornare in essa più a lungo possibile, trovarvi, per così dire, dimora e sostarvi come in una grotta in religioso raccoglimento fino

ad arrivare, se possibile, ad ascoltarla. Sembra retorica eppure è così. L’opera di Enrico Meo è talmente alluvionata di simboli, di significati mistici ed esoterici da presentarsi come una sorta di indefinibile irrealtà che, fuori dalle coordinate spazio-temporali, echeggia negli anfratti del rito e del mito in un insieme di desiderio, pathos, tragedia e sogno. Ciò che conta, per il riguardante, è soggiornare nell’opera, l’arte non essendo altro, alla fine, che un urto e un incontro, uno scontro e un abbraccio che dipendono da un sussulto, un sobbalzo, una specie di lotta che ci costringe a chiederci ”che cos’è?“, che cosa essa sia e a fermarci in silenzio per “ascoltare”, se ne siamo capaci, cosa voglia dire. Perché l’opera d’arte, alla fine, è come un re. Bisogna stare in silenzio e aspettare che parli. Le singole opere parlano alla coscienza che sa interrogarle.

SARDINE.Trittico.2020.acrilico su tela

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Gianfranco Labrosciano


NON E’ GIUDITTA 2022, acrilico su tela, 80x60cm

Eroina del popolo ebraico Giuditta, nel racconto biblico, vendica il suo popolo liberandolo dal generale aggressore con un taglio netto di testa usando la sua stessa spada. La novella Giuditta brava massaia porta alla tavola della giustizia una testa d’uomo, non cerca onori, né intende essere l’eroina dei social, ma afferma la liberazione da una schiavitù di genere che la rende fragile al cospetto della violenza degli dei olimpici o della stessa Genesi che la vuole costola/oggetto personale del suo simile

maschile. La normalità dell’atto è accompagnata dalla normalità di una Natura Madre che vuole continuare la vita liberandola dalla ostile malvagità dell’oppressore. Solo l’altra metà del cielo né è tutrice, la difende a oltranza, con determinatezza, come solo madre sa fare. Nel vassoio da portata non c’è atto cruento ma il filo della vita che si offre perché l’umanità non si estingua. Carmela Amati

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Dal 21 aprile al 5 maggio 2022 negli spazi di MICRO Arti Visive – Viale Mazzini 1, ROMA sarà ospitata la mostra “Uccio Biondi. Dietro le quinte, dentro il colore”, curata da Paola Valori per le iniziative di MICRO. Della sterminata produzione di Uccio Biondi, artista salentino di profilo internazionale, verrà esposto per la prima volta a Roma il nucleo centrale della sua principale indagine artistica, all’insegna della centralità della figura femminile, elemento chiave di un lavoro continuamente in fieri, in costante arricchimento.

che omaggiano la donna nella sua dimensione più contemporanea. Attraverso un’analisi leggera e acuta Biondi dipinge le donne del suo tempo, cogliendone la loro complessità e diversità: donne che indossano occhiali da motocicliste, o sul cui corpo si tracciano storie antiche attraverso primitivi tatuaggi, ma anche donne che riprendono modelli anni ’60 di pin-up, donne simbolo che somigliano a divinità preistoriche o che rievocano figure ancestrali. 25 le opere esposte con una selezione dell’ultima produzione attraverso un taglio che ripercorre l’intera vicenda dell’artista. Uccio Biondi ha avuto una carriera lunga e riconosciuta che ha prodotto una vastissima collezione di opere, contraddistinta da una poetica che ha attraversato diversi linguaggi.

Classe 1946, Biondi ha esposto in importanti gallerie e istituzioni italiane, fino all’approdo in collezione presso la Galleria di Carlo Frittelli di Firenze, e la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 2011. Dall’archivio storico del suo lavoro, saranno quindi estratte le opere

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Se inizialmente la sua ricerca ha navigato in acque della tradizione espressionista, si è presto smarcata per affrontare visioni più informali, e attraversare codici linguistici che vanno dal segno più gestuale al semplice cartone, fino, negli ultimi anni, a un percorso che ha visto sperimentare installazioni intermediali e persino l’inserimento nelle sue tele di materiale extrartistico. Della sua arte ha fatto una ricerca costante, una inedita e produttiva sperimentazione di un linguaggio personale, come le altopitture, dove l’elemento plastico confluisce nella pittura. Interessante anche la sua dimensione performativa legata al teatro, attraverso azioni di intensa suggestione. Durante l’evento inaugurale il giorno 21 aprile 2022 sarà possibile assistere alla performance muta “Love. Sillabe di carta”alla presenza di donne del teatro, della scrittura, della musica e del mondo dello spettacolo,

che hanno aderito come madrine dell’evento: Alessandra Panelli, Cinzia Leone, Margherita d’Amico, Ginevra Giovanelli, Cristiana Polegri, Roberta Beta. Paola Valori che ne cura la personale ha dichiarato quanto “la dimensione teatrale del lavoro di Biondi sia precipuo nella sua indagine artistica, un carattere che si declina nella varietà dell’espressione quanto nella essenza formale delle opere”. “Uccio Biondi. Dietro le quinte, dentro il colore ” è il titolo scelto per questa mostra e non a caso; il teatro nella vita di Biondi ha messo radici “come seconda pelle” e aperto nuove visioni comunicative. Il catalogo della mostra è pubblicato da Gutenberg Edizioni con testo introduttivo di Paola Valori, e con testi critici di Simona Capodimonti e Marcello Francolini.

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“EMBRACE”: LA NUOVA COLLEZIONE PITTORICA DI MICHELE ROCCOTELLI

Cinquant’anni di esperimenti, mutazioni stilistiche, ricerca e ispirazione, tutti racchiusi nella pennellata densa e corposa sulla tela: la nuova collezione pittorica del maestro Michele Roccotelli è il risultato del confluire di tutti i periodi che scandiscono il suo percorso artistico, rappresentandone l’apice. La negazione del contatto umano durante il complesso periodo pandemico, ha portato l’artista a sentire particolarmente vicino il tema dell’abbraccio, e a svilupparlo nella rappresentazione delle sinuose linee dei corpi, avvinghiati in intrecci passionali e smaniosi di trovare il contatto perduto, rifacendosi allo studio del “nudo” appreso alla Scuola d’Arte di Roma. I soggetti sono adagiati su fondi informi che riprendono il periodo dell’ astrattismo. Abbinamenti di figure geometriche e informali, uso emozionale del colore, pennellate cariche e sovrapposte: un’esplosione di colori ad olio caldi e freddi a contrasto, che conferisce alle opere una frenetica dinamicità. Nonostante il progresso della tecnica e del soggetto, il legame con l’amata Minervino Murge resta per Roccotelli un tema sempre degno di nota; dall’ informità dello sfondo emergono figure geometriche dettagliate di elementi paesistici.

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Con il cubismo delle forme, è evidente il richiamo ad “Urbe”, quella collezione che aveva riempito le gallerie di Giorgio Ghelfi a Montecatini, Verona e Taranto: finestre, comignoli e panorama della Murgia raffigurati attraverso la regolarità delle linee e dei contorni, figure accostate e sovrapposte, tutti elementi che richiamano le opere donate al comune pugliese ed ora esposte nella pinacoteca dedicata all’artista. La pennellata che in passato aveva ornato anche materiali di recupero, rendendoli arte, adesso lega saldamente insieme le tappe salienti di una carriera illustre: le linee tortuose del nudo fotografico, la soluzione del colore inteso come espressività, l’astrattismo dello sfondo e la geometria degli oggetti. “Embrace” è quindi il prodotto del lavoro di una vita interamente dedicata all’ar-

te e al suo studio, incentrato su un tema personale ma, ad un tempo, universale: l’artista immortala un gesto di uso non più così comune, un’azione che ci è scivolata tra le dita e che, ancora ad oggi, si fatica a recuperare. Si segnala che novanta delle nuove composizioni saranno pubblicate nel romanzo biografico del giornalista Lino Patruno (editore Adda, presentazione e critica Toti Carpentieri, revisione Bianca Tragni). Giulia Caracciolo

La collezione è visionabile per intero sul sito online dell’artista (www.roccotelli.it)

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GIOVANNI CARPIGNANO

Diplomato al Liceo Artistico di Taranto, ha completato gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bari. La sua ricerca muove tra identità storica e archeologia dell’anima, dai RitrovaMenti alla RiCreazione attraverso genetica, corpo, memoria e spirito. Nel 1987 viene segnalato al “Premio Italia per le Arti Visive” a Firenze da “Eco d’Arte Moderna”, con mostra premio presso la galleria “Il Candelaio” del capoluogo toscano. Nel 2011 è stato invitato a partecipare alla 54a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Padiglione Italia Regione Puglia – Lecce, a cura di Vittorio Sgarbi. Dal dicembre 2012 con l’opera “Guerriero o Contadino” (2007) viene invitato da Massimo Guastella ad aderire al progetto “Simposio della scultura”, raccolta permanente del Museo Mediterraneo dell’Arte Presente (MAP) allestito da CRACC, spin-off dell’Università del Salento, nell’ex chiesa di San Michele Arcangelo a Brindisi.Nell’agosto 2013 è invitato dalla Fondazione San Domenico a presentare le sue opere presso il Parco Rupestre di Lama d’Antico a Fasano (BR), in occasione dell’inaugurazione da parte del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Massimo Bray con la presenza di Mimmo Paladino. Nello stesso mese partecipa alla mostra “Mustinart. Corpo 2. Il percorso della scultura”, progetto espositivo ideato e coordinato da Toti Carpentieri presso il museo MUST di Lecce.Nel 2014 viene invitato dalla Fondazione Museo Pino Pascali a “Piccolo Mondo Antico”, a cura di A. Frugis e R. Lacarbonara, con un’installazione site-specific presso il Giardino Botanico “Lama degli ulivi”, Monopoli (BA).

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Nel 2015 in occasione del progetto “Sull’arte contemporanea. Metodologia e ricerca nei luoghi dell’Università”, a cura di Letizia Gaeta e Massimo Guastella, ha presentato un’installazione site-specific dal titolo “Comunicazione tra due volatili”, Università del Salento, Dipartimento di Beni Culturali . sempre nel 2015 espone alla Galleria del Mitreo Iside di Roma nella mostra “Percorsi d’Arte in Italia” a cura di Giorgio Di Genova. Nel 2016 presenta delle installazioni alla Fondazione San Domenico in occasione del “VII Convegno internazionale Civiltà Rupestre”, Savelletri di Fasano (BR) su segnalazione del Direttore Cosimo Damiano Fonseca, Accademico die Lincei.


Nel 2017 una sua opera entra a far parte della collezione del “Museo del giocattolo povero e del gioco di strada” ad Albano di Lucania (Potenza). Sempre nel 2017 espone ad “At Full Blast” con istallazioni nei Giardini del Convento di Sant’Agostino a Matera. Il suo lavoro è stato oggetto di tesi di Laurea presso l’Università del Salento e dell’Università di Bari. Ha realizzato monumenti pubblici, inoltre sue opere figurano in musei, Università, Fondazioni, Chiese, Palazzi di città, e collezioni private. OLTRE IL VISIBILE La scultura è anzitutto uno scenario sperimentale entro cui una pietra sbozzata o delle lamiere contorte assumono la stessa dignità di un marmo scolpito. Un raffronto che può far inorridire i puristi eppure sostenuto da non poche attestazioni d’eccellenza. Dal legno nodoso della Maddalena donatelliana alla scomposta Portinaia di Medardo Rosso, fino allo Scolabottiglie di Duchamp e alle Sculture viventi di Piero Manzoni, la Storia dell’Arte brulica di esempi irriverenti. Opere uniche, accomunate dalla “povertà” – se non banalità – del materiale, rese eccezionali dallo spirito visionario dei rispettivi autori che hanno saputo guardare oltre il dato naturale, esaltando doti plastiche e potenzialità espressive di ciascun materiale. Scolpire, dunque, significa plasmare, fondere, incidere ma anche scegliere. Lo sa bene Giovanni Carpignano che da tempo scolpisce assemblando materiali eterogenei, spesso residuali, carichi di energie inespresse. Egli non leva e non pone, ma sceglie, per poi affiancare o montare; riutilizza oggetti già plasmati e decontestualizzati, rivelandosi un credente di stretta osservanza dell’autonomia plastica. Ferri di risulta, attrezzi agricoli arrugginiti, materiale da ferramenta sono i componenti primari del suo operare, elementi del quotidiano sottratti al consueto utilizzo ed elevati alla dimensione artistica: pretesti plastici riconsiderati, visti con gli occhi dello scultore anziché del fabbro, dell’agricoltore o del faccendiere. Consapevole testimone della civiltà rurale – fiera custode di un sapere ancestrale e crogiolo di tradizioni millenarie – Carpignano crea figure totemiche, prodotto di una coscienza forgiata nel rispetto di una secolare koinè artistica. Raffinato interprete della cultura mediterranea, compone sculture essenziali, filiformi o geometrizzate, archetipi di resistenza campestre e muti testimoni dell’eterno dialogo tra cielo e terra. Il suo modus operandi rivela un processo speculativo in cui alla nostalgia contemplativa segue la produzione attiva. Egli non appartiene alla categoria dei formatori del vo-

lume e del modellato di tradizione, bensì a quella del ferro e della fiamma ossidrica, mezzi con i quali si rende partecipe di quei problemi di linguaggio che da sempre rendono inquieta la cultura artistica. La sua è una ricerca plastica in cui un certo primitivismo dialoga con la grazia di una bella forma, conservando chiari rapporti con la memoria del passato attraverso una revisione della scultura classica, rivissuta in chiave esistenziale. Lavorato con sapienza artigianale e grande sensibilità estetica, il ferro si tramuta in organismi frementi di energia, in un’alchimia di contrasti capaci di esprimere tutta la potenza dell’atto creativo. Alla precarietà ideologica e all’insincerità di molte ricerche estetiche attuali, lo scultore contrappone un’indagine plastica ferrea nelle forme e nella condotta, foriera di valori stabili e rispettosa di sedimentate tradizioni culturali, ataviche e durature. Una ricerca nata dal passato e proiettata al futuro, ispirata dalla terra e indirizzata al cielo, senza spazio né tempo. Carmelo Cipriani

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Franco Tarantino

Franco Tarantino è nato a Monopoli. Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte di Bari con i docenti Spizzico e De Robertis ha conseguito la maturità artistica presso il Liceo di Lecce. Ha frequentato il corso degli “Artefici” all’Accademia di Brera di Milano e, successivamente, l’Istituto Superiore di Scultura al Castello Sforzesco, sempre nella medesima città. Dopo una serie di intense esperienze espositive personali e collettive, avvenute ovunque in Italia e all’estero (Svizzera, Germania, Belgio, Francia, Spagna, Stati Uniti), ha sviluppato l’ideologia della propria vocazione creativa. La sua lunga e magistrale produzione figurativa, frutto di un’opzione risoluta e serena, segna le ragioni di una pittura culturalmente densa e complessa, che guarda al retaggio

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del passato, alla grande e perdurante lezione di Chagall, del Surrealismo, degli Espressionisti germanici e mitteleuropei, di certo Novecento italiano, fino a Bacon. Inoltre Tarantino presenta di sè un’immagine nuova; una ricerca espressiva inedita e culturalmente attualissima, che l’artista sta intraprendendo da tempo, che si è andata nitidamente precisando e imponendo, e che finalmente è l’oggetto di questa personale dedicatagli dal prestigioso Museo Magi 900 di Pieve di Cento, fondato dall’imprenditore Giulio Bargellini, collezionista d’arte, mecenate e filantropo. Una verifica critica e museale adeguata dalla natura e alla qualità del fatto e dello snodo: un ciclo coerente e congruo di dipinti a olio, acrilici, vernici, collage.


In questa nuova “stagione” di Tarantino, la figurazione s’emancipa dal dato narrativo trasformandosi gradatamente ma inesorabilmente in una sintesi puramente informale, che privilegia la gestualità, la libertà e persino la casualità del dripping, delle colature, del collage materico, in una sinfonia di segni, di grafismi, di textures, di velature, ma dove il collegamento con l’opus precedente resta comunque sotto traccia, decifrabile nella sapienza e nell’armonia del gesto, nella ritmica squisitamente grafica della composizione, nei colori che sono quelli inconfondibili, di sempre. Impaginata sempre con eleganza, questa nuova pittura di Tarantino è una scena atemporale, collocata fuori dalla verosimiglianza del senso comune, bensì appartenente al regno degli archetipi e della psiche, dove primeggia la poesia. Amante del volo. Collabora per vari anni con l’Aeronautica Militare Italiana in qualità di assistente tecnico. é in questi anni che realizza opere di grande formato ispirate al mondo dell’aeronautica, attualmente si trovano in permanenza a Piazza Novelli -MI- Direzione Demanio, e all’Istituto Medico Legale Milano - Linate. Le sue opere sono inoltre presenti in varie collezioni d’arte in Italia e all’estero; il progresso propone un assiduo e scrupoloso lavoro di impegno senza intervalli, mai convinto che i codici di novità siano in qualche modo esauriti nel contesto di ogni possibile divenire in arte. È stato presidente dell’UCAI di Milano dal 2008 al 2013. Vive a Milano. Studio: Via San Mamete 37/A, Milano Atelier: Via Bixio 37, Monopoli (BA) Tel. 328 878 63 53 e-mail: 1francotarantino@gmail.com Instagram: tarantino_franco Facebook: Franco Tarantino

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GIOVANNI SPINAZZOLA

Giovanni Spinazzola nasce a Ferrandina (Matera) nel 1972. Si diploma prima al liceo artistico di Matera, poi consegue il diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano). Tra gli anni 1991-1997 collabora con la stamperia d’autore La Spirale (dove apprende le tecniche litografiche, xilografiche, serigrafiche e calcografiche) e con la Leo Burnett Company. Successivamente lavora come Designer di mobili imbottiti con le aziende Nicoletti s.p.a. ed Ego Italiano. Fra le mostre più significative: XV Congresso Europeo per la cardiologia “Zambon Group”, Inghilterra; Concorso per conto della società Calvin Klein, Milano; Trenta ore per la vita a favore dell’AISM, Milano; Gruppo d’Arte, Cinisello Balsamo; Salon 1°, Brera, Milano; Gruppo d’Arte, Cinisello Balsamo; Partecipazione alla Giornata Mondiale per la pace Swatch-Peace Unlimited, Milano; Giovani Proposte, Galleria La Roggia, Palazzolo sull’Oglio, Brescia; I colori del vento, Milano; Couleurs Printaniéres, Cristal D’Argentiére, Francia; Insieme per donare 2001, Aula Magna dell’ospedale

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Luigi Sacco, Milano; Il Convito della Bellezza, salone Pontificio Seminario Regionale Minore, Potenza; I Custodi della Memoria Collettiva, Museo Provinciale, Potenza; Campionesi del III Millennio, Galleria Civica, Campione d’Italia; Cib’arte e Universo Cartesiano, Galleria d’Arte della Certosa, Milano; I custodi della Memoria Collettiva, Museo Provinciale, Potenza; Segni di fede nel battistero sul lago, Museo dello Stucco e della Scagliola Intelvese, Comunità Montana Lario Intelvese e Comune di Lenno (Co); Un Tempo e uno Spazio per l’omaggio alla bellezza, Salone Pontificio Seminario Regionale Minore di Potenza; Nuovi percorsi, Galleria “L’Ariete”, Potenza; PagliaronArte, Senise (Pz); Arte in Tasca, Centro culturale “Annotazioni d’arte”, Milano; Arte Estate Spinoso, Spinoso (Pz); Progetto scenografico del Recital Chi è come te tra i Muti?, Teatro “Due Torri”, Potenza; Rosari Virginis Mariae, Salone Seminario Minore, Potenza; Ciò che è infinitamente piccolo, artisti del 1900 e contemporanei, Galleria Civica, Palazzo Loffredo, Potenza; Personale Passante, Galleria Idearte, Potenza, Libro in arte – L’autunno profuma di libro, Castello di Lagopesole (Pz); Padiglione Italia alla 54. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia per il 150° dell’Unità d’Italia a cura di Vittorio Sgarbi, Galleria Civica Palazzo Loffredo, Potenza; I care (io me ne curo), Galleria civica, potenza; Personale cityscapes, Galleria idearte, Potenza.

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Mostra a cura di Beniamino Levi direzione artistica di Roberto Pantè

Città di Vico Equense

19 Dicembre 2021 30 Settembre 2022

A Vico Equense (NA) La Mostra di Salvador Dalì “Luce. I Tesori del Maestro”: Fino al 30 Settembre 2022, le sale del Museo Mineralogico Campano di Vico Equense (NA) ospitano questa mostra sui preziosi realizzati da Salvador Dalì. Un mondo di Bellezza da ammirare e dal quale farsi affascinare L’esposizione, incentrata sui preziosi ideati da Dalí, è curata da The DalíUniverse, in collaborazione con Phantasya, con il patrocinio del Comune di Vico Equense, il supporto della locale Pro Loco. Organizzata da Beniamino Levi, (presidente de The DalíUniverse) e diretta da Roberto Panté,(creative director di Phantasya), ha omaggiato Vico Equense di una meravigliosaesposizione secondo un percorso “unconventional” . Si possono ammirare circa 70 opere: sculture e gioielli in oro e diamanti, in argento e tanti altri oggetti di uso comune realizzati dal maestro catalano in modo superbo e fantasioso. Sbalordisce la Collezione “Dalí e la moda”, l’eccezionale Collezione di abiti, che possiede il DalíUniverse. Per il genio Dalì, il significato simbolico di un vestito può essere riassunto nella sua memorabile citazione: “Vestirsi, travestirsi, è un modo di combattere il trauma più grande di tutti: quello della nascita.” Nelle sale del Museo Mineralogico Campano, inoltre, anche due opere museali: Omaggio alla moda e La Nobiltà del Tempo, una delle realizzazioni più famose del genio del Surrealismo. All’ingresso della città di Vico Equense, i visitatori saranno accolti nel loro viaggio surrealista dall’opera “Elefante del Trionfo”, una scultura monumentale dell’artista Dalí. La conoscenza più approfondita dell’arte di Dalì è un ottimo motivo per apprezzare e capire meglio il genio che si nasconde nell’ecclettico Maestro dalle mille sfaccettature, abilità e straordinario talento artistico. Istituto SS Trinità e Paradiso Viale della Rimembranza, 1 80069 Vico Equense NA info@daliavicoequense.it ORARI DI APERTURA La mostra è aperta dal martedì al giovedì dalle 10.00 alle 18.00, dal venerdì alla domenica dalle 10.00 alle 20.00 (Lunedì chiusa).

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Salvador Dalì : la magia e l’incanto Salvador Dalí fin da subito si impose per la sua arte originale e per la sua spiccata personalità. Dalì affermava:“La differenza tra me e i surrealisti è che Io sono Surrealista”, infatti ricoprì un ruolo fondamentale nel movimento surrealista, movimento fondato a Parigi da un piccolo gruppo di artisti e scrittori che utilizzavano elementi dei loro predecessori, facenti parte del Dadaismo e del Cubismo, per creare qualcosa di sconosciuto che cambiò totalmente il modo in cui l’arte veniva concepita. I surrealisti si concentravano sul subconscio come mezzo per sbloccare il potere dell’immaginazione, disprezzavano il razionalismo, il realismo letterario e credevano che una mente cosciente reprimesse immaginazione e creatività. I suoi temi prevalenti dell’arte surrealista sono legati all’amore, alla liberazione dai vincoli sociali e dalle regole ma soprattutto il suo universo surrealista è legato al sogno e alla follia.Ha vissuto una vita intensa muovendosi tra la realtà ela finzione, trasformando la sua esistenza in magia ed incanto, dove gli orologi si sciolgono al sole, i gatti volano e gli animali hanno zampe lunghissime e sottili.Dalìci catapulta nel mondo dei sogni, quello dominato dall’inconscio, quello della surrealtà, dove le coordinate spazio-temporali imposte dalla logica razionale non hanno più ragione d’essere. Letizia Caiazzo

Fu l’esaltazione dell’inconscio e del subconscio nell’ambito del processo creativo, perché solo senza le restrizioni della ragione l’uomo sarebbe stato libero di esprimere la parte più autentica del proprio essere. Il surrealismo divenne il movimento artistico più influente del ventesimo secolo e Dalìseppe piazzare il concetto di surrealismo in tutta la sua creazione artistica: pittura, scultura, progettazione, disegno, cinema, moda, ecc. La sua originalità e il suo talento gli consentirono di creare alcuni dei dipinti più famosi e riconoscibili del XX secolo.

Dalí in ogni caso fu un vero personaggio e la sua immagine, con l’onnipresente mantello, il bastone da passeggio, l’espressione altezzosa e i baffi fissati con la brillantina e all’insù, permane nell’immaginario collettivo. Resta famosa la sua affermazione: «Ogni mattina, appena prima di alzarmi, provo un sommo piacere: quello di essere Salvador Dalí!»

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Andy Warhol in mostra Al Pan di Napoli: in mostra con 130 opere inedite fino al 31 luglio

Oltre 130 opere mai o raramente esposte al pubblico, tutte provenienti da collezioni private, compongono l’ampio repertorio di Andy is back, la mostra antologica dedicata al rivoluzionario artista Andy Warhol, al PAN Palazzo delle Arti di Napoli dal 16 aprile al 31 luglio 2022. La mostra, prodotta da Navigare srl, curata da Edoardo Falcioni per Art Motors e patrocinata dal Comune di Napoli, mira a ripercorrere la storia artistica e personale del maestro della Pop Art, da quando lo sconosciuto ventenne Andrew Warhola arriva a New York da Pittsburgh nel 1949, a quando, divenuto Andy Warhol, l’amata, ammirata, discussa e criticata celebrità, muore nel 1987 per complicazioni post operatorie. L’esposizione allestita al PAN esibisce l’intero universo di Warhol, l’artista oggi più quotato al mondo: l’arte, la grafica, le frequentazioni mondane dello star system e quelle dei bassifondi, la musica, l’editoria, la moda, la fotografia, il cinema, rappresentati da serigrafie, litografie, disegni, fotografie, acetati, riviste e vinili, oggetti di culto autografati ed edizioni speciali, ritratti e autoritratti. Accanto al volto di Marilyn Monroe, di Mao e di Liz Taylor compaiono icone dei consumi di massa, come la Campbell’s Soup o il detersivo Brillo, ma anche oggetti di culto firmati da Warhol: la chitarra e il cappello di Michael Jackson, il vinile di debutto dei Velvet Undeground & Nico con la banana in copertina e il leggendario LP Sticky Fingers dei Rolling Stones.

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L’ampia galleria di memorabilia è veramente tutta da scoprire: tra i numerosi pezzi d’autore, anche la stampa serigrafica della t-shirt di Keith Haring autografata da Warhol, la banconota da 10mila lire firmata insieme l’artista tedesco Joseph Beuys, le foto in polaroid, la serie Ladies and Gentlemen, diversi numeri della rivista mensile Interview fondata da Warhol, con le sue interviste e fotografie a celebrità degli anni ’70 e ’80, e molto altro.

vato di Fabio Donato realizzati durante i soggiorni in città dell’artista americano, all’epoca coinvolto dal gallerista Lucio Amelio nel progetto Terrae Motus. Nella stessa sezione sarà esposta, per la prima volta al pubblico, parte del prezioso archivio storico del quotidiano, inclusa l’indimenticabile prima pagina del 26 novembre 1980 pubblicata tre giorni dopo il devastante terremoto dell’Irpinia e intitolata Fate Presto, che ispirò Warhol nella realizzazione di un enorme trittico. La mostra sarà visitabile tutti i giorni con orario continuato dalle ore 9.30 alle ore 20.30 nei giorni feriali, mentre resterà aperta fino alle ore 21.00 la domenica e nei giorni festivi. Domenica di Pasqua: 9.30- 14.00. Biglietti disponibili su etes.it, ticketone.it e sul sito navigaresrl.com. Riduzioni sul costo di ingresso per i visitatori della mostra Van Gogh Multimedia e La Stanza Segreta in corso a Palazzo Fondi.

A caratterizzare la mostra al PAN, è anche la ricostruzione fedele e dettagliata, in dimensioni reali, della Silver Factory, il laboratorio che Warhol creò a New York negli anni ’60, vera fucina di idee e sperimentazioni, crocevia di talenti e di personaggi dello spettacolo. Sono gli anni in cui l’eclettico Warhol è diventato un businessman, abile uomo d’affari, catalizzatore di nuove energie e spinte avanguardistiche in una America che sta conoscendo a pieno i fenomeni dei consumi e della comunicazione di massa. Andy is back segna anche un ritorno di Warhol a Napoli, città che ebbe modo di conoscere e amare nel decennio ’70 -’80. In una speciale sezione editoriale, con la partecipazione del quotidiano Il Mattino per i suoi 130 anni, la mostra sviluppa anche un racconto inedito di Warhol attraverso articoli di cronaca e fotografie dell’archivio pri-

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Timeless. Manufatti di un futuro passato

Dal 9 aprile al 26 giugno 2022 Tropea ospiterà la mostra “Dal 9 aprile al 26 giugno 2022 Tropea ospiterà la mostra “Timeless. Manufatti di un futuro passato” personale dell’artista Vinicio Momoli. Curato da Emanuele Bertucci e patrocinato dal Comune di Tropea, l’evento è stato promosso dall’Associazione Arte è Cultura e fortemente voluto dal Sindaco Giovanni Macrì che ha inteso inserirlo all’interno di un ricco programma artistico/culturale previsto in città per questa stagione. Per l’occasione è stato realizzato un catalogo edito da Mediano Editore. La mostra, espone le opere dell’artista padovano all’interno dell’ex convento delle Clarisse, in pieno Centro Storico, è in continuità con la tradizione intrapresa da qualche anno dall’Amministrazione guidata dal sindaco Macrì che vede la perla del Tirreno aprirsi all’arte contemporanea e si inserisce in un calendario di eventi che l’Associazione Arte è Cultura a programmato per tutto il 2022. Curato da Emanuele Bertucci e patrocinato dal Comune di Tropea, l’evento è stato promosso dall’Associazione Arte è Cultura e fortemente voluto dal Sindaco Giovanni Macrì che ha inteso inserirlo all’interno di un ricco programma artistico/culturale previsto in città per questa stagione. Biografia Vinicio Momoli nasce a San Giorgio delle Pertiche, Padova, nel 1942, in quel territorio padovano, dove si sono espressi, nel corso dei secoli, alcuni dei maggiori artisti e studiosi italiani ed europei. La sua vivacità e curiosità l’hanno portato, fin da giovane, a viaggiare e a muoversi attraverso il mondo dell’arte e della cultura, mettendolo in contatto con le avanguardie parigine e newyorkesi, dando inizio alla sua originale ricerca espressiva, riconducibile al pensiero minimalista e alla semplicità della forma - materia - colore. Prevalentemente attivo tra Riese Pio X (Treviso) e Parigi, ha esposto soprattutto in Europa, Canada e Stati Uniti. Ha partecipato alle biennali del Kuwait, di

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Pechino e di Venezia. Il suo esordio data dei primi anni settanta. Già nel 1971 partecipa a diverse collettive in Veneto e nel 1974 espone alla Galleria Harrison Club di New York. Dopo New York, partecipa ad alcune personali e collettive in gallerie e spazi espositivi dislocati sul territorio nazionale. Nel 1984 partecipa alla mostra “NouvellesPerspectives” allo spazio Bonvin dell’UNESCO, a Parigi. In occasione della personale alla Galleria Meeting di Mestre (VE), nel 1986 pubblica il catalogo “Il volo di Icaro” con il testo “Messaggi d’amore” di Giorgio Ruggeri. Presenta la mostra “Ultimi Lavori 88-89” a Castelfranco Veneto nel Museo Casa Giorgione, nel 1989, con testo in catalogo di Roberto Daolio e, l’anno successivo a Monaco di Baviera, alla Galleria Hartmann. Nel 1991 è invitato a Parigi a esporre nell’Espace Picasso del Palazzo dell’UNESCO, con testi in catalogo di Omar Calabrese e di Giulio Ciavoliello.


Tra il 1991 e il 1993 espone a Parigi al GrandPalais nell’ambito di “RéalitéesNouvelles”; a Vienna (Austria) alla Galleria Licandro; a Valencia, Spagna, alla Galleria Rita Garcia, a Taranto alla Galleria Extra, a Roma alla Galleria Fontanella Borghese. Nel 1994 è invitato alle mostre Diecidue Arte a Milano e L’Uovo di Struzzo a Torino, . Nello stesso anno partecipa, come invitato, alla Galleria Pohlhammer dell’ArbeitsweltMuseum di Steyr (Austria) e a Treviso, negli spazi espositivi di Cà dei Carraresi. Ancora a Palma di Mallorca, alla Galleria Gianni Giacobbi, nel 1995. Nel 1996 espone a Cittadella, “I segreti del luogo” e a Parigi a EspaceBranly-Tour Eiffel. Nel 1997è invitato a Torino nell’ambito della mostra “Và pensiero, Arte Italiana 1984-1996” ed espone alla Galleria Pohlhammer dell’ArbeitsweltMuseum di Steyr, Austria. Nel 1998 è invitato a Santillana del Mar (Santander, Spagna) a Las Casas del Aguila y La Parra. La mostra è stata presentata anche in occasione della Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea di Madrid ARCO. Personale a Verona alla Galleria La Giarina, ed invito al Symposium Internazionale “Scogliera viva” a Caorle (Venezia) dove si può ammirare la sua opera sul lungomare; nel 1998 e nel 1999, a Palma de Mallorca, espone nuovamente nella Galleria Gianni Giacobbi. Nel 2000 è invitato a Bologna, con mostra personale, alla Galleria g7 e alla Biennale d’arte contemporanea del Kuwait (Emirati Arabi). Poi, nel 2001, realizza l’istallazione “Insense”, a Sens, Francia, negli AnciensBâtimentsMunicipaux de la Ville. Espone a Casier, Spazio Juliet ; a Parigi, GalerieWeiller; a Trieste, Juliet’s Room. Nel 2002, ancora a Parigi, alla GalerieWeiller. Mostre all’Abbazia di Spineto (Siena), a Torrelavega (Spagna), al Centro Nacional de Fotografia “Parole nell’Aria”, e nuovamente in Spagna, all’Università di León, “Coin d’air”, con testo in catalogo di Maria José CorominasMadurell. A distanza di un anno

è invitato a Madrid, alla Galleria TiemposModernos e a Palma de Mallorca, alla Galleria Gianni Giacobbi. In occasione del suo XXV° Anniversario, l’Università di León commissiona una scultura monumentale da collocare nel Campus di Vegazana ed organizza una personale, con testo in catalogo di Javier HernandoCarrasco. La II Biennale di Pechino del 2005 lo accoglie con l’opera “Towards the future”, acquistata dal Ministero della cultura cinese. Nel 2017 l’ artista e curatore calabrese Salvatore Pepe, lo invita a Scalea (Cosenza) alla collettiva “Avamposto d’ Arte “ Nel mese di maggio, nella “Galleria dei Soldati” di Stefano Simmi a Roma, Vinicio Momoli presenta la sua personale “Piani(di)colore”. . Nel gennaio 2018 partecipa alla mostra “Qui ed Allora” attualità del post moderno II, collettiva a cura di Edoardo di Mauro, presso la Galleria Biffi Arte, Piacenza. Al Museo Comunale di Praia a Mare (Cosenza) inaugura la personale “Tra spazio e Materia” a cura del critico dott. Luigi Polillo e prof. Salvatore Pepe. Nel gennaio 2019 ad Acqui Terme (Alessandria), l’importante evento “artèplastica” presentato alla GlobArt Gallery a cura di Adolfo Carozzi, Al Museo Civico di Taverna (Catanzaro), presenta la mostra “Espansioni Materiche” a cura del dott. Luigi Polillo e del direttore museale Giuseppe Valentino. Voluta e organizzata da GAC3 - Gruppo Arte Contemporanea, la mostra pesonale al Museo Casa della Fantasia di Sarmede (Treviso) dà seguito a “Fermento Cromatico”, a cura di Edoardo Di Mauro con testo critico nel libro, presentato nell’occasione. A Portogruaro è invitato nella Galleria d’Arte Studio61 alla collettiva “Criminal camp - la materia impassibile”.

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Al MACA di Catanzaro la mostra di Caterina Arcuri

È iniziata sabato 9 aprile 2022 la mostra personale di Caterina Arcuri ospitata al MACA (Museo Arte Contemporanea Acri), (Catanzaro). L’artista si impegna nel campo della analisi e della indagine visiva ed espone dagli anni Novanta. Pur raccontandosi anche attraverso il video, la fotografia e la performance, la sua ricerca odierna è riconducibile soprattutto al disegno e all’installazione site specific. La mostra fa parte del progetto Bancartis, grazie al quale, annualmente, il MACA, in cooperazione con l’istituto bancario BCC Mediocrati di Rende (Cs), sostiene e valorizza l’arte dedicata ad un artista di origine calabrese, per riaccendere il forte legame territoriale stabilito, sin dalla sua fondazione (2006), dal museo alle pendici della Sila Greca con il suo territorio e le voci creative che ne sono i frutti più floridi. Ospita la mostra le sale del Piano Nobile del settecentesco Palazzo Sanseverino-Falcone, sede del museo. Compongono la mostra opere create con materiali vari e sono installazioni, sculture, disegni, che segnano un percorso di visita contraddistinto da un ideale viaggio nella poetica artistica di Caterina Arcuri ed anche nel tempo: verso il futuro e poi a ritroso, un’andata e un ritorno, dove le parti del corpo umano che “contano” sono i piedi, per camminare sulla terra, e la testa per compiere un viaggio “aereo”, ossia nell’aria, ma anche nel pensiero. Il percorso si conclude con la grande installazione

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“KA2019 macchina sensitiva”, che cattura le nostre emozioni, chiudendo il percorso e riaprendolo a ritroso. Negli ultimi tempi si ricorre spesso all’espressione “H24” che sta a comunicare la disponibilità continuativa e ininterrotta di determinate persone o servizi, ma realmente e concretamente esiste questa diponibilità? La risposta la dà l’artista Caterina Arcuri, quando dichiara che l’arte e la musica, ossia la creatività e le opere, rimangono sempre e totalmente a disposizione di chiunque ne voglia usufruire.


Caterina Arcuri è nata a Catanzaro, dove vive e opera. Ha compiuto studi artistici e musicali (Accademia di Belle Arti e Conservatorio di musica). È professore ordinario di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro. Opera nel campo della ricerca e della sperimentazione visiva utilizzando linguaggi diversi, dalla fotografia alla videoinstallazione, dalla pittura alle opere plastiche, alla performance. La sua ricerca ha una forza costruttiva che si identifica con il medium plastico. La sua identità generativa si connota nella sovrapposizione e interazione dialogica di semplici e minimali elementi in acciaio, terracotta e legno che si purificano in un progressivo itinerario di ascesi e di sublimazione in cui il simbolo definisce un tracciato essenziale tra dimensione mistica e arte relazionale. Ha esposto in mostre personali, collettive e di gruppo. È stata invitata a rassegne nazionali ed internazionali, tra le quali: Respiro silente, a cura di M. Bignardi, Museo FRAC, Baronissi; Fonti, a cura di P. Aita, Galleria TRAleVOLTE, Roma; Minime ETERNITÀ, a cura di M. Bignardi, Centro Open Space, Catanzaro; Padiglione Italia, Regione Calabria, LIV Biennale di Venezia, Villa Genoese Zerbi, Reggio Calabria; Action Poetry, Galleria Peccolo, Livorno; Tornare @ Itaca, a cura di M. Pasqua, Fondazione Mudima, Milano; A Sud del mondo, a cura di R. Branà, Palazzo Delli Ponti, Taranto; V Triennale d’arte sacra contemporanea, a cura di T. Carpentieri, Seminario Arcivescovile, Lecce; III Free International Forum, a cura di L. De Domizio Durini, Bolognano; Racconti I-Conici, a cura di V. Dehò, Pinacoteca Comunale, Pieve di Cento; IV Edizione Premio Celeste, a cura di G. Marziani, San Gimignano; 5ª Biennale del libro d’artista, a cura di V. Biasi, T. Pollidori, B. Tosi, Biblioteca Comunale “P. Malatesta”, Cassino; Videoart Yearbook 2007 e 2006, a cura di R. Barilli, Ex Convento di Santa Cristina, Dipartimento delle Arti Visive dell’Università di Bologna. La sua bibliografia è presente in pubblicazioni di carattere generale e monografico, tra le quali ricordiamo: Caterina Arcuri / Respiro silente, (con testi di P. Aita, M. Bignar-

di), Museo FRAC edizioni, Baronissi (Sa), 2014; Caterina Arcuri / L’altro corpo (con testi di R. Barilli, G. Bonomi, R. Cardone, L. P. Finizio, A. Sanna), Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Cz), 2012; T. Coltellaro, Fatti d’Arte, un percorso nel contemporaneo tra arte, società e territorio, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Cz), 2010; AA.VV., Videoart Yearbook, l’annuario della videoarte italiana 20062007-2008, Fausto Lupetti Editore, Bologna, 2009; R. Pinto, Le arti figurative al femminile nel mezzogiorno d’Italia dal cinquecento al duemila, Istituto grafico editoriale italiano, Napoli, 2009; T. Sicoli, Caterina Arcuri / Ekphrasis opere 2006-2008, Edizioni Museo Nuova Era, Bari, 2008; A. Lombardi, Caterina Arcuri / Itinerari (con testi di T. Altomare, R. Barilli, L. Caccia, M. Cristaldi, P. Doria, T. Ferro, G. Gigliotti, D. Nisticò), Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Cz), 2006. Sue opere sono presenti in Musei, collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.

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ALESSANDRA LANESE

Alessandra Lanese nasce a Messina il 01/06 1969. Frequenta l’Istituto d’Arte della sua città natale e successivamente l’Accademia di Belle Arti a Catania. Dal 1994 la sua tensione artistica è rivolta alla fotografia, con essa nasce il senso del rispetto e del pudore in rapporto all’immagine da catturare . Tale visione la porta a muovere i primi passi esprimendosi nei confini di numerosi “autoritratti”, liberamente determinati dal non voler vedere ciò che fotografa. A questo inizio segue la sua instancabile attenzione sulla “visione attraverso”: analisi dei rapporti che intercorrono tra visione e multimedialità, con un’attenzione al “divenire delle cose”. Significative partecipazioni a mostre di settore e pubblicazioni su riviste fotografiche, con riconoscimenti in ambito regionale, la portano a frequentare numerose gallerie d’arte di Milano dove conosce e stringe rapporti artistici con fotografi del calibro di Gianni BerengoGardin che ne apprezza la grammatica e la poetica. A Brescia, invece, negli spazi del Museo KenDamy, viene invitata a partecipare alla mostra dal titolo “Autoritratti al femminile”. Nel 96’ partecipa a portfolio in piazza a cura di Lanfranco Colombo, evento nel quale si aggiudica il primo riconoscimento che le consente di esporre in varie gallerie. In quest’occasione incontra Mario Cresci che la invita a rappresentare la sezione italiana del 98’ all’importante manifestazione “Rencontres d’Arles” (Francia). Nello stesso anno comincia ad insegnare a pieni meriti fotografia all’Accademia di Belle Arti di Messina, dove nel 2000 accetta l’incarico di Direttrice Didattica. Qui conosce numerosi artisti tra cui Antonello Arena e una successiva collaborazione che li vede impegnati nella mostra “Le pietre sono parole” del 2003, a cura di Lucio Cabutti al Monte di Pietà di Messina e successivamente in varie città e musei

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italiani. Quegli anni vedono l’avvento del “digitale” che in Alessandra sfuma l’entusiasmo nel mezzo artistico fin qui utilizzato in quanto in una sua intima lettura verrebbero a mancare “alchimia e temporalità”. Da qui “massificazione e sfruttamento dell’immagine” spostano definitivamente il suo interesse verso gli scenari della pittura che frequenta assiduamente a partire dal 2006 ma non prima di aver partecipato alla Biennale Internazionale di fotografia a Brescia a cura di KenDamy. L’esperienza pittorica di Alessandra Lanese ci parla oggi di una ricerca tutta personale e di un affermato interesse sulle “visioni” e sul “divenire”: luoghi che lasciano sempre meno spazio alla casualità.


Nel 2012 mostra personale di pittura “Le immagini (s)velate” a cura di Teresa Pugliatti al Monte di pietà di Messina e successivamente Palazzo D’Amico Milazzo personale “Errata corrige”. Conclude l’anno 2012 con una bipersonale insieme ad Antonello Arena “I NON LUOGHI” Cartiere Vannucci, Milano a cura di Milo Goj. Nel 2013 personale“RICERCHE CONVERGENTI MA NON TROPPO” Fiumara d’arte, Tusa, Museo d’arte contemporanea. 2014 a cura di Carlo Franza espone a Firenze, progetto artistico internazionale “Strade d’Europa” in mostra con Palpiti e stagioni della pittura, e a Milano a cura di Antonio Lombardo “Neo-Figurativo Informale”, Villa VertuaMasolo. 2015 espone nuovamente al Monte di Pietà di Messina “Neo-Figurativo Informale”. Realizzazione opera pubblica insieme ad Antonello Arena “Sincronico 1” a Castell’umberto, “Sincronico 2” Villa Vertua Museo del fuoco, Milano. 2016 “WAR”? a cura di Saverio Pugliatti espone nella sala mostre Teatro Vittorio Emanuele di Messina. 2017 IN MEDIA RES a cura di Saverio Pugliatti espone

negli spazi arte cinema Apollo, Messina. 2017 CONTEMPORANEAMENTE artisti siciliani in mostra, presso Università Telematica PEGASO, Messina. 2017 I non luoghi, Memorie Future –ST-ART, L’artista del mese Mondadori, presso spazi eventi del Mondadori Megastore di Piazza Duomo,1 Milano. A cura di Milo Goj, presentazione di Giorgio Grasso. 2017 I non luoghi, Memorie Future –ST-ART, L’artista del mese Mondadori, presso Mondadori Megastore in via Marghera,28 Milano. A cura di Milo Goj. 2017 Venezia, evento collaterale della Biennale di Venezia “charter” Magazzini del sale. 2018, Messina, chiesa di Santa Maria Alemanna, “quadro clinico” a cura di team mutual pass, catalogo. 2018, Messina, Teatro Vittorio Emanuele, Arte in Centro, “I quattro di Dubai” a cura di G. La Motta, catalogo. 2021, Messina, Notte d’Arte 2021 2022, Artparmafaire, Parma, sezione contemporary art talents show 2022, Artparmafaire Parma, primo classificato premio Mediolanum 2022, Genova, Artparmafaire Genova, sezione contemporary art talents show

L’artista, libero da condizionamenti, più che dare insegnamenti si sforza di raccontare la vita che gli interessa, di stimolare risorse che sono già dentro di noi, di invitare ad avere delle esperienze personali e dirette. In quest’ottica quella di Alessandra Lanese è una pittura trasversale che percorre il tempo nelle sue declinazioni di “è stato”, “è”, “potrà essere”. Per ciascun ambito la pittrice siciliana è stata capace di ipotizzare a livello inconscio una grammatica dell’emozione apparentemente diversa, a volte “superficialmente” incongrua, ma in una lettura globale mentalmente ed emotivamente consequenziale: inevitabile. Le “mappe nel tempo”, affermazione di un’isola che c’è, le “architetture urbane”, richiamo a un presente che non ha ancora una storia e “bocce di memorie future”, frammenti per luoghi possibili, sono le firme dei tre momenti che identificano il percorso pittorico di Lanese. Cenni critici di Antonio Vitale.

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BENEDETTO POMA

Benedetto Poma è senza dubbio una delle personalità più interessanti del panorama artistico siciliano. Nato e cresciuto a Catania, Poma si fa portavoce di una sicilianità depurata da falsi miti e ricontestualizzata in chiave contemporanea attraverso l’utilizzo quanto mai modernizzato di antiche glorie architettoniche e culturali tipiche della nostra terra di Sicilia. Il mito, in questa sua ultima fase produttiva pittorica, è il protagonista principale, trattato con magistrale perizia grafica e un superbo utilizzo del colore. Ulisse è il pretesto per la ripresa dell’antico, ma spunto essenziale per un nuovo viaggio omerico, Medusa, Ares e anche la fedele Penelope, le sirene altro non sono che l’alter-ego di ogni uomo, il quale percorre il proprio viaggio di vita. Il viaggio è infatti la metafora della vita stessa, se non si percorre non si giungerà mai alla consapevolezza di sé. Ogni divinità o personaggio dell’Odissea funge da specchio in cui ogni individuo può riflettersi scorgendo debolezze o punti di forza e lo fa lasciandosi accompagnare dalle superlative note artistiche di spettacolari spaccati di brani omerici o incantevoli volti di divinità greche fattisi pittura, segno, forma. Poma attinge dalla sua Musa, che in questo contesto, altro non è che una piccola gemma blu risalente al V sec. a.C., lavorata a stampo che l’artista ha potuto ammirare tra le numerose e preziosissime collezioni custodite al museo della Mandralisca di Cefalù, Palermo, appartenute un tempo al barone Enrico Pirajno di Mandralisca. Splendide le tele raffiguranti Penelope, Proserpina, Ares o il Centauro e le sirene, le quali alcune riportano riprodotte queste antiche gemme, tele che ci immergono nella mitologia ma attraverso una visione attuale che è ben lungi da mere riproduzioni di un nostalgico passato. Carmen Bellalba

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Pegaso

Ares

Le Sirene di Ulisse


FABIO MODICA

Becoming Colour - cm 85x95

Abandoned Circe - cm 50x60

Seguo da molti anni la pittura di Fabio Modica continuando, attraverso l’osservazione meditata dei suoi quadri, un’esperienza culturale intensa, a tratti sofferta, ma sempre particolarmente significativa. Non credo che un’analisi razionale possa esprimere compiutamente il fascino misterioso dei suoi quadri e soprattutto dei suoi volti. L’artista, pur mantenendo una certa aderenza alla realtà, attraverso il colore denso, materico, attraverso l’uso della spatola, viva nelle sue mani, “costringe” l’osservatore a superare ogni barriera logica per proiettarsi in una dimensione sconosciuta nella quale l’intuizione genera bagliori improvvisi e la forma,il segno,il colore squarciano, a volte in un grido, a volte in un sussurro, il velo di mistero che avvolge il senso dell’esistenza umana. Credo che la ricerca inesausta, mai compiutamente appagata, sia il tratto più significativo della pittura di Fabio Modica, ma l’elemento che assume maggiore rilevanza è la sua capacità di coinvolgere l’osservatore, di avviare con lui un dialogo, un percorso in cui i colori si fanno parola, il segno si fa musica per cantare la totalità della percezione e un mondo nuovo e diverso nasce dai suoi quadri, un mondo che non conosce la banalità del quotidiano e lo squallore meschino dei condizionamenti, un mondo che stordisce per l’intensità emotiva che genera

Evasion CMYK - cm 150x150 - 2013

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e… perdersi può significare rinascere, rigenerarsi nel miracolo operato da un’arte tanto sincera da apparire disarmata Non c’è nella pittura di Fabio Modica alcuna aprioristica difesa, non c’è l’esibizione di una “concezione” dell’arte razionalmente elaborata. C’è l’esperienza culturale ed esistenziale di un artista che si accosta alla vita, e soprattutto all’uomo, per coglierne il senso, quell’essenza vera che si cela dietro gli eventi, i riti sociali, la fretta inesausta e le nevrosi che caratterizzano lo smarrimento dell’uomo contemporaneo; c’è quanto meno il desiderio di esprimere, come dice Montale, “ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. I suoi volti sono a tratti inquietanti per l’abisso che spalancano davanti ai nostri occhi, per il nulla che ci circonda consapevolmente e compiutamente espresso; spesso, invece, ci esaltano per la forza vitale che li pervade restituendoci in parte il panismo di D’Annunzio e di altri autori decadenti, ma c’e in Fabio Modica qualcosa di nuovo e di diverso; c’è la vita che scorre nella forma e nel colore, c’è l’accettazione consapevole dell’angoscia e il suo superamento che, proprio per questo, conduce alla percezione dell’eterno, c’è l’armonia che colma ogni vuoto esistenziale e che manifesta il “miracolo” delle cose. Prof. Rosario Motta

Awakening - mixed media on canvas - cm 180x150

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