Rivista20

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N°30 novembre-dicembre 2018 www.rivista20.jimdo.com

periodico bimestrale d’Arte e Cultura ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE

MUSEO ETTORE FICO

“ NOVECENTO CORRENTE ASTRAZIONE INFORMALE”

Edito dal Centro Culturale ARIELE

CENTANNI DI CAPOLAVORI

MUSEO ETTORE FICO

“ NOVECENTO CORRENTE ASTRAZIONE INFORMALE”


ENZO BRISCESE

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE

del Centro Culturale Ariele

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Hanno collaborato: Giovanna Alberta Arancio Monia Frulla Tommaso Evangelista Lodovico Gierut Silvia Grandi Irene Ramponi Letizia Caiazzo Graziella Valeria Rota Alessandra Primicerio Virginia Magoga Enzo Briscese Susanna Susy Tartari Cinzia Memola Miriam Levi Barbara Vincenzi entropia - t.m. su tela - 2013 - cm70x80 -

www. riv is t a 2 0 . jimd o . c om ----------------------------------------------------------

Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedĂŹ al venerdĂŹ tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com -----------------------------------------------------

il vecchio e i suoi pensieri- t.m. su tela - 2013- cm70x80

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mail: enzobriscese6@gmail.com cell. 347.99 39 710

In copertina: foto di 100% Italia


Sommario N° 30 * novembre-dicembre 2018

In copertina

100% Italia - Museo Ettore Fico

CENTANNI DI CAPOLAVORI

4 100% ITALIA al Museo di Ettore Fico 7 GAM a Torino I Macchiaioli

26 Eventi Emilia Romagna Ferdinando Scianna 28 Eventi Toscana da Magritte a Duchamp

42 Enrico Meo 44 Eventi Campania - Klimt exsperience

30 Franco Margari

45 Jean-Loup Champion 46 L’Impressionismo

32 Eventi Molise Antonio Tramontano

47 Ophen Virtual Art Gallery celebra Cohen

33 Michele Peri Rocchetta

48 Letizia Caiazzo

18 Nicole Grammi

34 Pino Mantovani

19 Angeli e Dei Barbara Pellandra

35 Mario Surbone

50 Eventi Calabria

10 Dove va la pittura

di Giovanna Arancio

14 Mauro Chessa 16 Eventi Lombardia Marc Chagall

20 Eventi Veneto Il giovane Tintoretto 22 Eventi Friuli Antonella Peresson

36 Eventi Lazio Alessia Zolfo 38 Eventi Basilicata Giovanni Spinazzola

Del vero e dell’oro

51 Il Duomo di Gerace 52 Massimo Melicchio 54 Maria Teresa Oliva

24 Eventi Friuli Le opinioni

40 Eventi Puglia Michele Coccioli

56 Eventi Sicilia Mimmo Germanà

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41 Serate di Arte e Neurosienze

58 Giuseppe Greca

Chiara Poli

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PIEMONTE

TORINO Museo Ettore Fico Via Francesco Cigna 114 10155 39 011853065 info@museofico.it orari: mercoledì-domenica 11/19; lunedì e martedì chiuso costo: intero 10 euro, ridotto 8 euro,grupp 5 euro Curratela: Claudio Cerritelli, Elena Pontiggia Novecento Corrente Astrazione Informale 1 settembre 2018-10 febbraio 2019

CENTANNI DI CAPOLAVORI

-La mostra fa parte del progetto 100% ITALIA che si prefigge di raccontare l'arte italiana dagli inizi del secolo breve ai giorni nostri-

MUSEO ETTORE FICO

“ NOVECENTO CORRENTE ASTRAZIONE INFORMALE”

L’intento è quello di fornire chiavi di lettura condivise e interpretazioni riconosciute per periodo artistico ancora troppo vicino a noi: moltissimi musei, fondazioni, gallerie, etc.. hanno aderito e sono confluite numerose collaborazioni sul territorio. Molte generazioni non conoscono l’arte contemporanea e le sue radici, per questo è nata l’idea di un percorso storico in cui vengono coinvolti non solo i nomi più famosi ma anche gli artisti meno noti, ma rappresentativi dell’evoluzione dell’arte del Novecento e di questi primi decenni del Duemila. E’ messa a disposizione una produzione artistica di solito irraggiungibile, si contano più di 630 opere mai viste prima. Ci sono tre livelli percorribili: il primo lineare e cronologico, il secondo che analizza i movimenti che hanno di più

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condizionatole estetiche internazionali, il terzo didattico. Si inizia da Biella: Futurismo e secondo Futurismo. Segue Vercelli; Metafisica, Realismo Magico, Neometafisica. Si arriva a Torino dove si aprono quattro sedi espositive. Al Museo Ettore Fico: Novecento Corrente Astrazione Informale. Al MEF Outside: Pop Art. Al Museo della Cittadella: Optical, Minimalismo, Pittura Analitica, Arte Povera, Arte Concettuale. Al Palazzo Barolo:Transavaguardia, Nuova Figurazione, Internazionalità. I curatori sono tra i migliori per professionalità e per preparazione specifica sulla grande mostra : Luca Beatrice, Lorenzo Canova, Marco Meneguzzo, Elena Pontiggia, Claudio Cerritelli, Giorgio Verzotti.-


Il Museo Ettore Fico, dedicato alla memoria, alla storia e all’opera del pittore Ettore Fico opera con la Fondazione Ettore Fico e con le realtà artistico-culturali torinesi; considerato un luogo d’eccellenza si presenta con una concezione aperta e policentrica della città, progettualmente volto a creare le condizioni per un “museo diffuso” su tutto il territorio. Si pone come sede espositiva attenta nella selezione qualitativa e come centro dinamico, ospitale e ricco di stimoli. La mostra in corso passa in rassegna le opere legate a quattro movimenti artistici del secolo breve, il primo dei quali è “Novecento”. Ne fecero parte negli anni venti artisti quali Oppi, Bucci, Malerba, Marussig,Sironi, Funi, in un generale clima di ritorno all’ordine che metteva in risalto il recupero della tradizione italiana primitiva e rinascimentale. Nel 1923, sostenuti da Sarfatti, teorica del gruppo, esposero a Milano e nel 1924 alla Biennale di Venezia. Due anni dopo Mussolini inaugurò alla Permanente di Milano la prima mostra ufficiale del Novecento italiano presentando più di cento artisti tra cui

De Chirico, Carrà, Donghi, De Pisis, Campigli, Severini. Si trattava di delineare un movimento che esprimesse i valori del nazionalismo fascista, in realtà esso rimase un gruppo composito e contradditorio e a metà degli anni trenta si attestò su toni celebrativi mentre si svilupparono nuove forme poetiche. Corrente fu un movimento milanese di critici e pittori che rifiutarono il formalismo e la retorica in cui era scaduto il Novecento, iniziato nel segno di una classicità moderna; il nuovo gruppo sperimentava un’arte attenta al colore, alla luce, alla potenza drammatica ed espressiva con echi romantici. Fondato nel 1938 da Treccani contava tra i suoi più attivi esponenti Birolli, Guttuso, Sassu, Migneco, Cassinari, Vedova, Sereni, , Marchiori, Bini, Anceschi. Alla prima mostra di Corrente, tenuta alla Permanente di Milano nel 1939, parteciparono Carrà, Manzù, Martini. L’anno successivo, dopo la soppressione della rivista omonima, il movimento continuò fino al 1943 attraverso l’attività di bottega degli artisti.

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PIEMONTE

La terza sezione si apre sulla tendenza astratta in Italia che si sviluppa negli anni 30 anche se la sua prima apparizione si scorge nelle opere dei futuristi. In Lombardia lavorano due gruppi anche se è solo del 1934 la prima dichiarazione dell’Astrattismo italiano in occasione di una collettiva di Ghiringhelli, Bogliardi e Reggeni. Le influenze degli Astrattismi europei (Costruttivismo, Neoplasticismo, Bauhaus, Suprematismo) offrono forti stimoli. Sulla fine degli anni 40 sono significative le esperienze degli Spazialisti a Milano mentre a Roma viene formato il Gruppo Origine da Capogrossi, Bellomo e Cagli. Questi ultimi pervengono a soluzioni originali per l’arte astratta aprendo la porta alle ricerche informali degli anni 50

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Dopo la seconda guerra mondiale l’opera d’arte, pittorica o scultorea, si afferma come una realtà a sé, diversa dalla esperienza quotidiana e da ogni esperienza artistica anteriore. L’ Informale esalta il gesto, il segno, la materia e non si contraddistingue per uno stile dominante ma in esso, nonostante le differenti confluenze cui attinge, non si manifestano valori stabili, certezze; l’area informale si adopera in una continua ricerca senza riuscire a superare il trauma bellico se non tramite la drammatica potenzialità espressiva che l’attraversa.. Salvo pochi casi consolidati (Burri, Milani,..) l’Informale approda nel nostro paese non prima del 1954, anno in cui le contemporanee vicende americane stavano concludendone le sperimentazioni.


GAM GALLERIA ARTE MODERNA di Torino

I MACCHIAIOLI

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PIEMONTE

Alla GAM, la Galleria Civica d’Arte Moderna e contemporanea di Torino una grande mostra in onore dell’arte dei Macchiaioli I Macchiaioli. Arte italiana verso la modernità è la mostra in programma dal 26 ottobre al 24 marzo alla GAM. Infatti, la Galleria Civica d’Arte Moderna e contemporanea di Torino ospiterà il progetto espositivo a cura di Cristina Acidini e Virginia Bertone. In particolare, 80 capolavori ripercorreranno gli antefatti, la nascita, la stagione iniziale e più felice della pittura macchiaiola. Infatti, sarà raccontato il periodo che va dalla sperimentazione degli anni Cinquanta dell’Ottocento ai capolavori degli anni Sessanta. Inoltre, i capolavori presenti alla mostra provengono da musei italiani, enti e

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collezioni private. Le opere in questione appartengono soprattutto ad Antonio Fontanesi, agli artisti piemontesi della Scuola di Rivara e ai liguri della Scuola dei Grigi. Inoltre, questi artisti saranno al centro di un confronto con la pittura di Cristiano Banti, Giovanni Fattori, Telemaco Signorini e Odoardo Borrani. Comunque, il confronto tra le opere farà emergere l’educazione tradizionale dei protagonisti, fedele ai grandi esempi rinascimentali. Ma soprattutto la mostra avrà l’attenzione rivolta all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1855, un avvenimento decisivo per i giovani macchiaioli. Dunque, il pubblico compirà il suo viaggio attraverso anni di profonda sperimentazione della luce e del colore.


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PIEMONTE

“Pittura, lingua viva” Dove va la pittura. di Giovanna Arancio

Dipingere è una risorsa umana inesauribile: a confermarlo è la stessa millenaria storia dell’uomo. “Dove va la pittura” non intende addentrarsi in modo esaustivo in questo complesso racconto quanto piuttosto seguire sinteticamente alcune delle più recenti tracce che segnano significativi cambiamenti nel percorso pittorico a partire dal Medioevo europeo. Ci interessa partecipare e riflettere intorno ad una collettiva domanda che si interroga sulle motivazioni che supportano la problematica identità della pittura attuale. “Il Medioevo, sotto la sua apparenza immobilistica e dogmatica è stato, paradossalmente, un momento di rivoluzione culturale. Tutto il processo è stato naturalmente caratterizzato da pestilenze e stragi, intolleranza e morte” (U. Eco) L’Europa medievale fonda infatti la propria civiltà in tangibili forme a prima vista statiche , affidando la difesa della Res publica christiana alla tutela dell’Imperatore. La pittura serve prima di tutto ad alfabetizzare la gente, a quei tempi analfabeta, sulla”visione” del l’epoca, sui dogmi della fede, sulla liturgia, sui valori in auge, sui testi sacri, tramite narrazioni visive che tutti possono capire. I messaggi passano attraverso affreschi, dipinti, sculture etc., e accedendo alle celebrazioni nelle chiese e alla evangelizzazione in corso in ogni parte del territorio europeo. L’arte riveste un ruolo centrale e ha una funzione “documentaria”, ossia documenta il presente in quanto riveste compiti di “testimonianza”.

“Gli uni onorano la bellezza terrena e se ne accontentano, gli altri onorano quella di lassù in quanto ne hanno un ricordo ma non disprezzano questa che è di quella un effetto e una rappresentazione” (riscoperta rinascimentale di Plotino)

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Nel Rinascimento fa la sua comparsa una nuova civiltà che rappresenta una svolta nel modo di essere collettivo. Si va consolidando un inedito concetto di redenzione che origina una nuova etica e che lascia spazio ad una visione rivalutativa dell’uomo. Le arti figurative continuano ad avere un ruolo fondamentale orientato ad esprimere questa positività tutta terrena e nel contempo enfatizzano le glorie del potere e dei suoi Principi, specialmente la forza della potenza della Chiesa di Roma così da impressionare in modo convincente il popolo. Storicamente si può parlare di “protocapitalismo” che fa capo ad una pesante società oligarchica gravante su folle senza voce e senza peso. La pittura, sempre più richiesta, pagata da un ricco mecenatismo, continua a sviluppare la sua opera “documentaria” nei confronti della società rinascimentale, sostenuta da un elitario, colto e raffinatissimo umanesimo. “ll Manierismo, da molti aspramente criticato, è invece uno dei momenti dell’arte che ci ha donato grandissimi capolavori” (M.Greco) Durante il Manierismo l’arte figurativa si fa “tormentata”, entra in crisi sia il trionfalismo cristiano precedente sia la visione ottimistica dell’uomo rinascimentale, artefice del suo destino. E’ tempo di affarismo sfacciato, di malcostume criticato dalla nascente opposizione protestante. Cardinalati, vescovati, commende, etc., sono ormai considerati solo come fonti di reddito da distribuire tra parenti, amici, cortigiani, favoriti dei pontefici o da usarsi come monete di


scambio nelle transazioni economiche. La pittura, sempre partecipe della cultura cristiana, risente delle vicende del difficile periodo e ne dà “testimonianza” continuando ad essere un importante punto di riferimento per la collettività.

“E’ come se tra noi e l’opera stessa si stabilisse uno scambio di sguardi” (G.Di Giacomo) Nei secoli successivi, fino ad arrivare all’Ottocento, il dipingere conserva la sua fondamentale funzione “documentaria” in un’Europa in costante trasformazione: lo sviluppo economico e scientifico spostano sempre sempre più i valori dominanti in direzione di una borghesia, in parte ancorata alle sue radici classiche e cristiane, ma ormai capace di un proprio immaginario laico, solidamente “storico”. Dal Medioevo all’Ottocento si possono definire le arti visive, in particolare privilegiando la pittura, come arti “epifaniche”, caratterizzate non solo da un ruolo “documentario” del contesto in cui si sviluppano ma anche da una prerogativa essenziale: riuniscono in sé armonia, bellezza, significato di unitarietà, accesso, tramite il particolare che rappresentano, all’assoluto. Sono una “manifestazione” che anzitutto appaga, e che esprime ciò che altrimenti resta inesprimibile. Inoltre sono tutte caratterizzate dalla “terza dimensione”, ossia adottano la visione prospettica, illusionistica.

“La linea ottocentesca formula pittoricamente il concetto di istante come un punto di luce, di vento, di tempo irripetibile” (M.B.Curuz) Nell’Ottocento, in specie l’arte pittorica, registra però un punto di rottura, di non ritorno. E’ la fine dell’arte tradizionale così come l’abbiamo finora delineata. Il secolo XIX è un’epoca di industrializzazione selvaggia, di una decisa rivoluzione scientifica, di un progresso senza precedenti per quanto riguarda le scoperte in ogni campo del sapere.

Il potere temporale della Chiesa va verso il tramonto, la società è perlopiù laica e il ritmo di vita si velocizza. Tra le novità del secolo si annovera anche la nascita della fotografia. Con essa inizia l’epoca dello “scatto”: la foto attesta il reale con una precisione documentaria, mai raggiunta dall’arte pittorica e mai registrata prima di allora. Con questa straordinaria capacità sbaraglia e rimpiazza il ruolo che era stato ricoperto fino ad allora dalla pittura la quale non può competere con un mezzo che riproduce il visibile creandone una copia perfetta. Abbandonata la funzione mimetica la pittura reagisce cercando nuove strade. In una società borghese che celebra le sue città e i nuovi riti il pittore coglie “l’impressione”, la luce, l’attimo; l’arte figurativa rompe con il passato e si volge con un rinnovato sguardo verso il reale abbandonando la mimesi per l’“interpretazione” con cui cerca di riacquistare la sua autonomia.

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PIEMONTE e proseguendo per strade che portano fuori dall’area della pittura. L’interpretazione pittorica verso la fine del secolo breve, soggetto a guerre atroci e a crisi sociali, disconosce, insieme alle deludenti ideologie, anche i miti e le grandi narrazioni diventando “orfana” della sua stessa storia : così non riconosce più i suoi valori fondativi appiattendosi via via verso linguaggi che rischiano di scivolare verso una soggettività disancorata. “L’opera d’arte è un messaggio fondamentalmente ambiguo, una pluralità di significati che convivono in un solo significante” (U.Eco)

“Per me la pittura è un’azione drammatica durante la quale la realtà si trova disintegrata” (P.Picasso) Nel Novecento lo sviluppo tecnologico avanzato si fa aggressivo, le metodologie belliche si raffinano e gli effetti sono devastanti in tutta Europa e non solo. All’interno di questo contesto l’arte visiva vive le sue nuove forme di autonomia su uno sfondo civile secolarizzato. La pittura, dopo la totale rottura ottocentesca, prosegue attraverso sperimentazioni continue e trasformazioni rapide e impensabili fino a due secoli prima. L’artista mette in opera un altro decisivo strappo. La figura, dopo aver già perso la funzione mimetica, illusionistica, e la sua epifanica armonia, ora viene scomposta, sfigurata, deformata, destrutturata, negata. L’arte pittorica esprime con forza la sua finitudine, disconosce la bellezza ritenendola inconcepibile in un mondo tragico e disarmonico. Si interviene fino in fondo sull’immagine fino a farla sparire e la sua scomparsa, per molti artisti, lascia posto agli astrattismi e all’informale. Il quadro è a due dimensioni: la bidimensionalità è fatta oggetto di sforamento e una parte della ricerca si dirige “aldilà dell’oggetto” abbandonando il quadro

Nel Duemila le guerre passano dallo scontro frontale a nuovi fronti a macchia di leopardo sterminando le nazioni anche attraverso simboli artistici e storici che segnano la loro identità e perpetrando esodi immani. Anche la cultura e il mercato si adeguano attestando diversità e cambi di potere a livello mondiale. La tecnologia informatizzata pervade tutti i settori sociali: diventa essenziale l’uso di Internet e con esso entra in circuito un flusso ininterrotto e incontrollabile di immagini. Iniziano a circolare, con velocità incredibile, foto digitali, elaborate al computer, in cui

la figura può venire manipolata fino ad ottenere contaminazioni singolari, figure scomposte, astratte, ,etc., “rubate” al pittore. Anche la nascita della digital art, che sostituisce cavalletto, colori, e pennelli con una tavolozza informatica, contribuisce a incrinare l’autonomia della pittura, la

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E’ importante ribadire che la pittura necessita di una forma fisica, quindi visibile, elaborata, senza la quale non si dà e che, fino al secolo XVIII, attraverso di essa si manifesta “l’invisibile”, l’assoluto, l’epifania. Oggi la pittura, rigorosa, autentica, è ancora vitale; per molti artisti nel quadro non c’è altro al di là del visibile e di un sentire poco rassicurante mentre la bellezza è confinata in uno sguardo di ricerca, dentro un equilibrio in cui le coordinate si confondono nell’incerto. La pittura però non può vivere appartata, come in una semplice nicchia: in un mondo globale-locale si tratta di individuare il suo ruolo, la nuova autonomia con cui possa affermare la sua presenza; essa per natura contrasta il vuoto, lo stallo, il decorativo, la provocazione. Lo sviluppo informatico, la robotica, i complessi problemi planetari che tormentano il duemila, di per sé non rappresentano, così come insegna da sempre la storia dell’uomo, un ostacolo insormontabile dal punto di vista creativo. Certo, l’evoluzione tecnologica mette gli artisti di fronte a fenomeni che nessuno, negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, aveva previsto.

quale è per sua natura lenta, bisognosa di matericità e di tempi riflessivi propri per la sue creazioni. Il quadro veicola il suo messaggio sotto forma diretta, fisica, “partecipata” anche se permette un’opportunità di interessante ma parziale fruizione in rete. La pittura è costretta ancora una volta ad affrancarsi, rivedendo la sua identità. La percezione, nel nuovo millennio, è sottoposta a nuovi sforzi di abitudini e accomodamento retinici provocando l’esigenza, da parte della collettività, di un ulteriore “salto visivo” nell’approccio al reale. Una parte dell’arte ha già rinunciato, a partire dal secolo breve, alla dimensione pittorica dichiarandone l’inattualità o attenendosi a forme derisorie, sfruttando ogni occasione per accanirsi, sbeffeggiare , spesso in modo atroce, con lo scopo di dimostrare che la difficile finitezza in cui si dibatte la pittura odierna è un’illusione e che non resta altro che “stupire” e provocare. A inasprire le problematiche in cui versa l’arte pittorica attuale si aggiungano le opere epigoniche, meramente decorative, che si aggirano sterili come merce esangue in spazi di frequentazioni salottiere.

All’ arte pittorica attuale compete di elaborare un’inedita visuale che richiede tempo, e che va a sedimentarsi: deve originare un immaginario specifico e ricorrere a tutt’altra logica rispetto a quella che presiede alla globalizzazione: detto altrimenti essa nasce nel caos culturale di un contesto fluttuante e mercificato e si propone di resistere alla standardizzazione dell’immagine costruendo una identità “altra”. Vanno fabbricati nuovi circuiti e occasioni di scambio tra segni, forme e modi di vita. Nelle immagini, non essendoci nessuna compiutezza, non si dà nemmeno alcuna pacificazione nei confronti del reale: esse sono luogo di tensione sempre irrisolta tra il ricordare e il dimenticare riconfigurando il passato a partire dalle esigenze di un presente che interroga. Il dipingere si confronta con la finitezza e con le sue contingenze storiche, e “l’invisibile” dell’animo umano che sfiora i suoi inderogabili limiti.

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PIEMONTE

MAURO CHESSA

New York, New York Il 17 settembre, alle ore 18.30, inaugura presso lo Spazio Don Chisciotte di via della Rocca, 37 a Torino la mostra di Mauro Chessa dedicata a New York. New York è la capitale del Novecento. Celebrata da artisti, fotografi e musicisti; immortalata dal cinema, che l’ha resa un luogo dell’immaginario prima ancora che un luogo fisico, reale. Si scopre Venezia, Londra o Parigi solo andandoci. A New York, in qualche modo, siamo stati tutti. Anche chi non si è mai mosso da casa propria. Ed è proprio il lavoro sulla superficie di immagini familiari, che parlano la lingua di Fitzgerald e Gershwin, di Scorsese e Hopper, al centro di questa mostra, composta interamente di vedute di New York. Vedute tratte da fotografie realizzate nel corso di un recente viaggio dell’artista nella città americana. Del resto, la riscrittura dell’immagine è, da sempre, elemento dominante nella poetica di Chessa, che lavora su fotografie che si trasformano in pretesti, punti di partenza, per un linguaggio pittorico la cui prima, più facile e immediata lettura è quella figurativa, ma che apre invece a un’astrazione delle forme che potremmo, a

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buon diritto, definire “musicale”, in cui l’oggetto è di fatto messo da parte dopo avere compiuto la sua missione


principale: mettere in contatto l’opera e chi la guarda. New York, New York! è, prima ancora che una mostra, un viaggio nell’idea di città, che mette in discussione il nostro rapporto con l’immagine e con il contemporaneo attraverso lo strumento artistico più vecchio del mondo: la pittura. “Pare che scopo d’un viaggio sia sottoporre a verifica tutto ciò che già si crede di sapere di un paese o di una città. Come in tutti i luoghi comuni c’è una parte vera e una falsa. Provate per esempio a mettere piede in un dinner, uno dei locali nei quali siamo entrati, al cinema, migliaia di volte (Hopper ne ha dipinto uno in “night hawks”) e mettetevi a verificare, che so, l’odore dei cibi (inesistente), il gusto dei medesimi (ottimo), la gentilezza standard della ragazza che vi serve e capirete quello che voglio dire. Sappiamo tutto, ma è tutto diverso. Così per New York (che i locali pronunciano “Nu” iork), era un mio sogno, che la delicatezza di mia figlia ha permesso di realizzare: sapevo tutto, eppure era una città di cui non avevo la più pallida idea. Ho dipinto quadri piccoli, ma numerosi; quasi appunti di viaggio. Ringrazio il mio caro amico Emilio Jona, per aver portato dalla lontana Furfaro, Uc terus, cae cerfect andero intis vid aderum inam in Arizona, un suo delizioso racconto, sugello di un’antica amicizia. Si chiedeva William Saroyan: “Che ve ne sembra dell’America?” Mauro Chessa, giugno 2015 Mauro Chessa studia pittura con Menzio e Calandri; esordisce nel ‘54. Partecipa alle Biennali di Venezia del

’56 e del ’58 ed espone in numerose mostre di giovani pittori in Italia e all’estero. Dal ’55 a tutti gli anni ’60: personali a Milano (a Le Ore e alla Gian Ferrari), a Torino, a Norimberga, a Roma e a Londra. In seguito abbandona la Pittura, per dedicarsi al Cinema. Nel 1981 riprende a dipingere e ad esporre, fino ad oggi. Nel 2001 la Regione Piemonte gli dedica una grande mostra antologica alla Sala Bolaffi di Torino e, nel 2004, dipinge due grandi opere sulla Resistenza (“Partigiani nella notte” e “I 23 giorni”) per il Municipio di Alba. Nel 2006-­‐07 esegue sei lunette (“Negozi” e “Mercati”), collocate nella Galleria Umberto I° a Torino.

Contatti: segreteria@spaziodonchisciotte.it Tel. +39 011 1977.1755 www.fondazionebottarilattes.it Ufficio Stampa: Federica Mariani 3456442955 Simona Arpellino 3456449607 da martedì a sabato ore 10.30/12.30 e ore 15.30/19.30

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LOMBARDIA

MARC CHAGALL

“Come nella pittura così nella poesia” Palazzo della Regione- Mantova Dal 05 settembre 2018 al 03 Febbraio 2019

Mantova ospita una interessante mostra dedicata a un grande pittore del Novecento; Marc Chagall. Come fa intuire il sottotitolo questo grande artista ispirò sia scrittori che poeti e pertanto immergersi in questa esposizione significa fare un viaggio nell’arte e nel tempo, sentire la levità, la fantasia poetica, l’atmosfera onirica di questo inimitabile raccontatore che ci fa entrare nella sua storia vivente. Egli considerava l’arte non solo come atto creativo ma anche come missione e si portava dietro il retaggio della profonda tradizione ebraica presente nei villaggi dell’est unitamente ad un indubbio aspetto colto.

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Qui a Mantova Chagall è esposto negli ampi spazi del Palazzo della Ragione, monumento medievale nel centro della città, e viene rappresentato tramite le opere del suo periodo più vitale, tra il 1911 e il 1918, attraverso lavori eseguiti con diverse tecniche pittoriche. Le tempere e i gouache sono su tele di grandi dimensioni, seguono le pitture e gli acquerelli, mentre le incisioni, eseguite tra il 1923-39, annoverano anche le illustrazioni per “Le anime dei morti” di Gogol e le favole di La Fontaine. E’ un patrimonio artistico poco noto in Italia perché assai raramente presente.


Oltre le 130 opere in mostra sono visibili i sette teleri del 1920, preparati per il teatro da camera ebraico di Mosca, città dove si era recato dopo il disaccordo scoppiato con Malevick a Vitebsk; i lavori per il teatro sono dipinti parietali di carattere collettivo concentrati sulle arti delle apparenze. Di lato si trovano quattro quadri sulle Arti per-

sonificate: Musica, Danza, Teatro del Badchan, Letteratura e sulla porta è esposto il dipinto “Amore” che evidenzia una pittura tra le più sintetiche dell’artista. Il viaggio nel mondo di Chagall è pervaso dal suo colorismo lirico e “magico”. Curatrice Gabriella Di Millia

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LOMBARDIA

NICOLE GRAMMI

Nasco a Milano ed interpreto la luce, la terra e la porcellana attraverso lettere che compongono frasi, movimento e trasparenze che danno vita ad oggetti di senso compiuto. L’unione di questi elementi sono il filo conduttore del fare arte nel lessico della scultura unito ad una eccezionale conoscenza tecnica ceramica. – E’ per curiosità che ho avvicinato la ceramica… Inguaribile curiosa e sin da piccola alla ricerca del mezzo ideale per esprimermi, dopo la scuola d’arte ho lavorato in un laboratorio di scultura ceramica. E’ le che ho avuto modo di creare, sbagliare, sperimentare con il più alternativo dei materiali, la terra, da cui tutto è stato generato e in cui stanno tutte le dorme possibili, in attesa di essere rivelare. La terra è per me tabula rasa, pagina bianca, sulla quale scrivere ricordi, suggestioni, pensieri, strutture compresse e armoniose, liberando cosi ciò che la voce non riesce a dire e il pensiero ad esprimere. Le parole come gioco, stimolo, mantra ossessivo che chiarisce i pensieri, mela paper clay, porcellana a carta, traslucida e delicata, ma forte e preziosa; mi portano a stringere legarmi con persone affini a me, con le quali condivido passione, follia e ricerca.

Fear - tipologia di gres, porcellana, luci

FORMAZIONE Diploma di Maturità d’Arte applicata press l’Istituto Beato Angelico di Milano

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Una vita - porcellana ferro, luci e plexiglass cm 36x36

Tempesta - tipologia di gres, luci. diam. cm46x30


EMILIA ROMAGNA

“Angeli e Dei” all’Archeologico di Ferrara

A completamento di un progetto iniziato nel 2017, inaugura il 24 novembre, presso il Museo Archeologico Nazionale, Angeli e Dei, la personale dell’artista Barbara Pellandra. I vasi attici ed etruschi a figure nere e rosse abbracciano le opere realizzate con materiali odierni, come plexiglass e resine. Un incontro tra linguaggi e materiali distanti molti secoli, che nell’allestimento di questa mostra, esplode in un dialogo come solo l’arte e la sua bellezza riescono a fare. Non è la prima volta che l’arte contemporanea entra in un museo archeologico o di arte antica. Lo stesso Archeologico di Ferrara, ha già realizzato mostre molto interessanti. Ma, in un momento storico come quello che stiamo vivendo, dice Susanna Tartari – direttore artistico del progetto –, dove leggiamo spesso di musei che chiudono e dell’enorme quantità di reperti chiusi nei magazzini, una mostra come Angeli e Dei, arriva a rischiarare le nubi. Angeli e Dei, prevede un allestimento alquanto singolare, infatti le opere in plexiglass e resina, realizzate da Barbara Pel-

landra, verranno esposte assieme a vasi attici ed etruschi, recuperati dal magazzino del museo stesso e mai esposti fino ad ora. Il progetto, iniziato con lo shooting fotografico realizzato all’interno del Museo, dal fotografo Max Angeloni, ha l’approvazione del Dott. Mario Scalini, direttore del Polo Museale dell’Emilia Romagna e della Dott.ssa Paola Desantis, direttrice del museo. La mostra rimarrà visitabile fino al 9 di Dicembre 2018. Nell’allestimento della mostra, ci si immergerà ancora una volta, nel lavoro di questa artista che esprime tutta la sua arte attraverso forme ricavate dal plexiglass dove interviene con fonte di calore elevatissimo, colori, polveri e resine di vario tipo. titolo mostra; Angeli e Dei artista; Barbara Pellandra curatrice/art director; Susanna Tartari Museo Archeologico Nazionale di Ferrara La mostra – inaugurata il 24 Novembre alle ore 17,00 – rimarrà aperta fino al 09 Dicembre 2018 www.facebook.com/events/2178951279019552/

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VENETO

Il giovane Tintoretto’

alle Gallerie dell’Accademia le prime opere del pittore veneziano

Venezia - GALLERIA ACCADEMIA Campo della Carità 7 settembre 2018-6 gennaio 2019 Curatela: R.Battaglia, P.Marini, V.Romani “Mai sono stato così totalmente schiacciato a terra dinanzi a un intelletto umano, quanto oggi davanti a Tintoretto” scriveva Ruskin al padre, dopo aver visitato la Scuola Grande di San Rocco.

A 500 anni dalla nascita Venezia festeggia uno dei suoi più famosi pittori, Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, dedicandogli una mostra che mette in luce i capolavori e la formazione del giovane artista con uno sguardo allargato al contesto in cui si trovò ad operare. Negli anni 1530-40 vi furono vivaci stimoli, fermenti, ricerche tramite cui la

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pittura lagunare registrò grandi cambiamenti; a quel tempo operavano Schiavone, Salviati, Porta, etc. Tintoretto si inserì dimostrando grande talento e incredibile facilità nello schizzare rapidamente schiere di figure senza mai ripetersi e rivelò una non comune padronanza del colore, delle luci, ombre, contrasti e di ogni tecnica del mestiere.


Ben presto i dogi e le persone influenti della città chiamarono il giovane per abbellire i loro palazzi. La prima commessa pubblica avvenne nel 1548 per la Scuola Grande di San Marco: “Il Miracolo dello Schiavo”, un vero capolavoro. Venezia era il luogo operativo di Tiziano, Bordon, Vasari,Sansovino: nelle 4 sezioni in cui è articolata l’esposizione sono presenti anche i lavori degli artisti dell’epoca. Presso la Galleria Accademia sono raccolte 60 opere di cui 26 di Tintoretto particolarmente interessanti; i personaggi delle sue tele assumevano atteggiamenti impetuosi, le sue pennellate diventavano sempre più veloci e nervose, i colori sempre più intrisi di ombra e luce. Fu un gigante della pittura a livello europeo.

Orari: lunedì 8,15-14; martedì domenica 8,15 - 19,15 tel. info: 041 5200345 Costo: 15 euro intero; 7,50 ridotto www.mostraatintoretto.it

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fRIULI

ANTONELLA PERESSON

Antonella Peresson è nata a Udine dove attualmente vive e opera. Ha frequentato corsi di disegno e tecniche pittoriche sotto la guida di Giovanni Cavazzon, Gina Magini e Sergio Favotto. Negli anni 1995 e 1996 segue i corsi di pittura antropofica del pittore olandese Ale Hesselink: questa esperienza segnerà il passaggio fondamentale da una pittura accademica a un’espressione pittorica più personale. Partecipa a diverse mostre collettive e personali in Italia e all’estero. Antonella Peresson dà vita sulla tela a un complesso di sovrapposizioni e stesure di colore che esibiscono la forza di un rilievo variabile e secondo il potere significante assegnato ai vari elementi della composizione: tra questi, piccole porzioni geometriche disseminate sulla superficie, come pietre miliari per un viaggio fantastico nel passato; la memoria è uno dei perni ispiratori di questa poetica. Il primo impatto con l’opera sembra sospingere il fruitore dinanzi a un circuito elettronico oppure sopra una realtà urbanistica riportata alla luce da scavi recenti. Da un totale

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punto di vista la pittura, pur vicina a modelli di astrazione, è pienamente dentro la matrice figurativa, anche se il dato della realtà è quasi completamente trasfigurato da un segno incisivo e marcato e da una cromia che al bianco si affida per segnare stacchi o per distinguere tonalità in composizione. Per il resto, il quadro, solitamente giocato sulle dimensioni oblunghe e rettangolari, si avvale soprattutto dalle terre e dalle loro mille derivazioni tonali.


Indirizzo/Address: Via Misani, 29 - 33100 Udine - Tel. +39 0432 400544 - Cell. +39 335 6046794 coloranto89@yahoo.it - www.peressonantonella.it Antonella Peresson was born in Udine where she currently lives and works. She attended classes of drawing and pictorial techniques under the guidance of Giovanni Cavazzon, Gina Magini and Sergio Favotto. In 1995 and 1996 she attended Ale Hesselink’s classes on anthroposophic painting; for her, the encounter with the Dutch painter marked a fundamental passage from a purely academic paintng style towards a more personal pictorial expression. She then took part in several collective and personal exhibits, both in Italy and abroad. Antonella Peresson uses her canvass to give life to a complex of coats and coloroverlaps which highlight the artist’s use of reliefs, made to vary according to the signifying power assigned to every element of the composition: among these, small geometrical portions can be found, scattered like milestones throughout the surface, as to guide us in a fairy journey into the past; and memory itself is one of the pivotal inspirations of her poetry. At first sight, the piece seems to portray an electric circuit or an ancient city brought to the light by recent excavation. From every point of view, the painting, though still very close to abstract models, can surely be put within the framework of figurative art, although the reality frame looks almost completely transfigured by both an incisive and pronounced stroke and the use of white tonalities, meant

to mark contrasts or to separate the varying tones of the composition. For the rest, the painting, which as typically plays along rectangular and oblong dimensions, relies mostly on earth colors and their many tonal combinations.

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fRIULI

FRIULI VENEZIA GIULIA L’ opinione di Graziella Valeria Rota

Le opinioni Cinque artiste all’edizione della VII ° Rassegna Internazionale d’Arte di ESPANSIONI 2018, coinvolte assieme alle tantissime 68 artiste nella rete organizzativa, con Gente Adriatica associazione regionale che espongono al Museo Santa Chiara di Gorizia con il patrocinio dell’Università degli Studi, dal 6 al 25 novembre, sul tema dedicato a “EVA LUNA” il libro ispiratore dell’autrice Isabel Allende.

Notte” “Giorno e “Cammino” GrafhoScultura di G.V.Rota

“Iside” e “Rami” fotografia di Daniela Fogar

”Germoglio del cuore” acquarello di Lara Kobal

“Adamo ed Eva – Zelah” scultura di Alenka Deklic

“Liberi di volare” e “Lei Eva” encausto su tavola di Valentina Miani.

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Info: genteadriatica@libero.it


Quando il tempo diventa liquido…con Chiara Poli a Cividale del Friuli - Ud. Canzone…..”quando il tempo diventa liquido, tu non puoi restare chi eri. Quando il tempo diventa liquido, tu non puoi fermare te stesso. Quando il tempo diventa liquido, hai bisogno di una nuova identità. Quando il tempo diventa liquido, il tuo pensiero deve farsi semplice per aprirsi all’internet delle cose. Quando il tempo diventa liquido, il tuo corpo è meglio fluido. Quando il tempo sarà liquido, tu sarai sopravvissuto ad un epoca di grandi incertezze…Tieni un tempo per creare, tieni un tempo per ricordare un’ epoca in cui eri il solo a parlare sul pianeta...abbi cura delle nostre radici”. -C.Poli-

Poli Chiara, nata a Udine, nel 1984 si forma in pedagogia sulle metodologie espressive più efficaci rivolte a giovane ed adulti con sofferenza psichica, esperienza maturata negli anni 1973-77. In seguito si laurea in psicologia clinica, argomento Sociologia delle comunicazioni di massa e sta per conseguire una seconda laurea come educatore professionale in antropologia medica.

Mostre attuali: a marzo 2018 ,ha esposto alla Casa Delle Arti , Cividale del Friuli, mostra arte contemporanea collettiva LUCI DI PRIMAVERA, organizzata dall’ Associazione FORMAE MENTIS gruppo artistico culturale del FVG di cui fa parte . Luglio RITORNO ALLE ORIGINI, Casa delle Arti, Cividale del Friuli, collettiva e ESTATE IN ARTE- collettiva di arte contemporanea, a Baldasseria a Udin. Il video prodotto interessante per come raccontato, con immagini testo e musica didgeridoo e percussioni e la

copertura delle teste , evidenzia e supporta ciò che propone con “La società liquida delle forme” nel percorso con epistemologia gnoseologia estetica delle forme, perché hanno nella rappresentazione tecnologica del video, la testimonianza di come esprimere l’arte contemporanea. La rappresentazione della mostra e il colore principale ha coerenza in una direzione di verità, relativa e metafisica del pensiero spirituale che ti guida l’anima e il corpo. Info www.facebook.com/chiara.poli

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EMILIA ROMAGNA

VIAGGIO RACCONTO MEMORIA DI FERDINANDO SCIANNA “Non sono più sicuro, una volta lo ero, che si possa migliorare il mondo con una fotografia. Rimango convinto, però, del fatto che le cattive fotografie lo peggiorano” Ferdinando Scianna

La mostra dedicata a Ferdinando Scianna si intitola “Viaggio, Racconto,Memoria” perché mette in luce il criterio secondo cui si articola l’esposizione e sintetizza il “filo rosso” che lega l’ampio repertorio fotografico della retrospettiva. Scianna è uno dei più importanti fotografi viventi non solo conosciuto in Italia ma presente a livello internazionale. Fu il primo italiano a lavorare nel 1982 per la celeberrima Agenzia fotografica Magnum Photos; nato a Bagheria, in Sicilia, iniziò a lavorare partendo dalle sue radici isolane, illustrandone costumi e condizioni di vita. Al proposito ebbe la fortuna di conoscere Leonardo Sciascia con cui collaborò con le sue foto alla creazione di un libro sulle tradizioni religiose siciliane. Affrontò un impegnativo percorso narrativo, diviso tra attualità, moda, reportage di guerra, viaggi, ritratti, paesaggi, animali, cose, etc. Sono presentate 200 foto in bianco e nero e viene proiettato, nelle ore di visita, anche un documentario sulla vita professionale del fotografo. L’artista siciliano ci rivela la sua esigenza di distinguere le immagini “trovate”in cui si coglie attimi della realtà dalle immagini “costruite”, in ogni caso però chiarisce quale sia l’atteggiamento adeguato per fotografare: essere, cioè, sempre un testimone invisibile. La passione per lo scatto inizia negli anni Sessanta e fin dall’inizio le sue foto si dimostrano cariche di intensità e diventano il racconto di una vicenda umana e per se stesso un modo di situarsi nel mondo. Dotato di fine ironia, vive molte esperienze, anche nel settore della pubblicità, senza abbandonare mai il reportage sociale i ritratti, e il giornalismo. EMILIA ROMAGNA - Forlì (FC) 22 settembre 2018-6 gennaio 2019 Musei San Domenico Piazza Guido da Montefeltro 12 Curatela: D.Curti, P.Bargna, A.Bianda Ingresso; 12 euro, 15 euro intero open Orari: solo feriali 9-18, sabato 9-12

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TOSCANA

DA MAGRITTE A DUCHAMP “ IL GRANDE SURREALISMO” Pisa - Palazzo blu - Lungarno Gambacorti, 9 11 ottobre 2018 – 17 febbraio 2019 a cra di D. Ottinger

E’ in corso al Palazzo blu di Pisa una grande mostra dove si possono ammirare i capolavori del movimento pittorico del secondo periodo del Surrealismo, a partire dal 1929 che rappresenta un anno di svolta. Il teorico del gruppo fu Andrè Breton, scrittore, il quale pubblicò un iniziale manifesto nel 1924 in cui si affermava l’intento di giungere ad una realtà superiore, chiamata surrealtà, conciliando il pensiero di veglia con quello del sogno. Parigi all’epoca era la capitale mondiale dell’arte e i surrealisti vivevano in un clima culturale stimolante. L’approdo al Surrealismo è stato diverso da artista ad artista ma tutti creavano un mondo nuovo, fantastico e bizzarro, un’emozionante fusione di realtà e visione onirica. Nel 1929 comparve il secondo manifesto di Breton, iscrittosi l’anno prima al partito comunista francese, in cui si richiedeva ai pittori più rigore e sistematicità e nel contempo si dichiarava l’esigenza di una rivolta assoluta contro l’ordine costituito come unica strada per liberare l’individuo attraverso l’immaginazione creativa. Da quel momento iniziarono i conflitti interni ma il movimento non si ruppe, anzi si internazionalizzò; allo scoppio della seconda guerra mondiale un bel gruppo surrealista partì per New York, nuovo asse dell’arte internazionale,influenzando lo sviluppo della pittura americana.

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L’ Istituzione francese ( Centre George Pompidou) ha collaborato con successo con la Fondazione Palazzo blu e ha permesso questa rassegna pisana dove si trovano esposte 150 opere tra pitture, sculture, disegni, collage,fotografia d’autore, oggetti surreali. Si annoverano artisti come Pablo Picasso, Joan Mirò, Giorgio De Chirico, Renè Magritte, Max Ernst, Yves Tanguy, Alberto Giacometti, Paul Delvaux, Man Ray, Salvador Dalì, Marcel Duchamp, Alexadre Calder,.. De Chirico può dirsi un precorritore che riesce a dare misteriosi significati attraverso accostamenti di oggetti e invenzioni prospettiche; Mirò origina vere improvvisazio-

ni psichiche; Magritte lavora sullo spostamento di senso tramite immagini che ci trasmettono l’idea di una diversa realtà, Man Ray, fotografo e creatore di oggetti surreali, inventa nuove tecniche; Max Ernst propone scenari inconsueti; Dalì filtra la lezione di De Chirico esasperandola con visioni ossessive e stravagaanti, Duchamp esprime una radicalità dadaista che lo porterà a elaborare il ready-made, decontestualizzando l’oggetto e abbandonando la pittura. Il percorso espositivo permette una interessante panoramica delle avanguardie surrealiste, finora inedita per il pubblico italiano.

info@palazzoblu.it http://www.palazzoblu.it Costo: intero 12 euro, ridotto 10 euro Orari: lunedì-venerdì 10/19; sabato e domenica 10/20

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TOSCANA

FRANCO MARGARI

Hanno scritto di lui: ALVARO SPAGNESI, DINO PASQUALI, ROBERTA FIORINI, ELVIO NATALI, FRANCESCO SGANGA, FRANCESCA MARIOTTI, ANGELA SANNA, ROBERTO GALERIA MASTERSKAYA LEGA GAI, GIAMPAOLO TROTTA. FRANCESCA MARIOTTI, GIOVANNA SPARAPANI, ALDO MARIA PERO.

Numerose sono le presenze in collezioni pubbliche e private.

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Vive e lavora a Firenze: Inizia la sua esperienza artistica in campo grafico negli anni 80 e si specializza in tecniche incisorie, dai primi anni 90 si dedica contemporaneamente anche alla pittura. In questo arco di tempo ha qualificato la sua attivita’ espositiva partecipando a numerose collettive di prestigio e ha allestito molte personali, tra le più importanti quelle del 2000 alla Galleria Art Point Black con la quale ha presentato per la prima volta il suo ciclo “orizzonti”,così come in quelle al Centro d’Arte Puccini e alla Villa Medicea di Poggio Imperiale. Si ricorda inoltre la mostra del 2004 al Museo Diocesano di Firenze con 12 lavori ispirati al Vangelo di Giovanni, uno dei quali è presente nella collezione contemporanea del Museo e quella al Consiglio della Regione Toscana, dove ha esposto 20 lavori di intenso astrattismo evocativo, uno dei quali fa parte della Pinacoteca Regionale. Sempre nel 2004 ha partecipato al Concorso Internazionale Firenze e ha vinto il primo premio fiorino d’oro per la pittura. Ha fatto parte, nel 2006 del movimento “NE5” con altri 4 artisti fiorentini, coi quali ha partecipato a vari eventi fra i quali il più importante la mostra al Palagio di Parte Guelfa a Firenze. Nel 2008 è presente al padiglione arte italiana a Pechino in occasione delle Olimpiadi, una sua opera fa parte della collezione del CONI. Nel 2010 inizia una collaborazione con la galleria americana Damoka Gallery che lo porta a fare due personali a Los Angeles e a New York. Una importante personale è stata nel 2011 nei prestigiosi spazi del Circolo degli Artisti Casa di Dante a Firenze in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia. Si ripete nel 2013 sempre negli stessi spazi presentando i suoi ultimi lavori del ciclo “ respiri degli elementi“ Nel 2016 altra personale di rilievo alla Chiesa sconsacrata di Santa Maria dei Laici a Gubbio

Le ultime presenze dei suoi lavori sono nel 2016 ad Amsterdam -Istituto di Cultura Italiana, a Berlino – Galleria The Ballery – e Londra - ART MOOR HOUSE, Stoccolma GALLERIA SVEA. Mosca GALERIA MASTERSKAYA LEGA

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MOLISE

ANTONIO TRAMONTANO Pesche (IS) – Molise

TRAMONTANO ricerca l’espansione cromatica, oltre i limiti del supporto, indagando il colore percepito come elemento ambientale e di volume. Non dimenticando che l’istante è una misura di natura spaziale la sua ricerca pittorica è studiata in modo tale da risultare in armonia con il ritmo delle pennellate (e delle velature), e quindi dell’esistenza. Le tele sono una caduta dell’energia nel tempo e formano grandi cicli (quasi stagionali) caratterizzati da atmosfere e luce, saturi di «storie», nei quali il tentativo di riassorbire forme celate e lacerate nella dimensione immateriale del dipinto, rivestite da una manifestazione fluttuante e celeste, comporta un perenne misurarsi con la variazione e il mutamento. L’artista riscatta l’istante nel ricercare una rappresentazione che renda tangibile sequenze visive osservate dalle estremi-

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tà di uno spazio in movimento, corrispondente cromatico della vita emotiva, del momento opportuno. Dal chiarore dei lumi nasce un ritmo elementare, intermittente, irregolare, una conoscenza delle cose invisibili, un’illuminazione del mondo che principia da una precisa gamma cromatica e, rarefacendo l’atmosfera dello spazio interiore , crea una luce minerale, purificata, soprannaturale. C’è questa resistenza che sparge segni vitali e ovunque ristabilisce il disordine dell’arte, c’è questa opposizione chiamata poesia che, invisibile e essenziale, vaga e vagante, esaurisce una durata assolutamente pura. Tommaso Evangelista


Michele Peri Rocchetta Volturno (Is) Molise

PERI lavora con le strutture instabili, nella ricerca di una memoria archetipica che diventi impressione di forma al contempo organismo astratto e auto significante. Opera per moduli, investigando il tempo e il cosmo, impostando le fondamenta di un edificio virtuale del quale percepiamo la struttura ma mai il suo organismo. Le installazioni diventano miti di fondazione nel rapporto che crea tra ordine terrestre, spazio vitale e tempo ciclico. L’utilizzo di precisi punti cardinali, di snodi e simboli/segnali determina una dimensione interna, intima, quasi di orazione ma, se si riporta questo simbolismo statico ad una forma, “dinamica”, aumentata temporalmente, si nota come il movimento interno delle sue sculture diventa moto di rivoluzione, ri-

flesso del mondo materiale attraverso forme primigenie. Allo stesso momento il blocco delle storie, il loro ancoraggio a supporti precari, (mobili) e allo spazio espositivo, diviene trasmutazione della memoria di questo secolo nel “secolo futuro”. Nelle opere di Peri ogni punto di superficie può essere preso per centro del mondo, per veicolo di salvezza, nell’irraggiamento caotico di tutte le direttrici, nella ricerca modulare e compositiva, quasi naturale, di confine che comprende un’idea aumentata dello spazio, orientato non verso un nucleo lacerato bensì verso il limite, la periferia dello sguardo, l’estremità dello spazio e dell’istante, la soglia. Tommaso Evangelista

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PINO MANTOVANI

Sono nato nel 1943, mi sono diplomato nel 1967 all’Accademia Albertina con Paulucci e Davico. Nello stesso anno mi sono laureato in Lettere moderne e ho cominciato subito ad insegnare, per mia fortuna non materie “artistiche” non avrei saputo che cosa insegnare

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- mentre alcuni colleghi, per esempio Piero Ruggeri e Gino Gorza, usavano metodi differentissimi ma assai efficaci. Essere docente di storia dell’arte mi ha permesso di allargare i repertori di riferimento e di “ “pensare” criticamente la

pittura che mi interessava fare. Cerco di costruire “figure”, che possono rappresentare forme riconoscibili nella esperienza quotidiana, oppure presentare forme che sono solo se stesse, per esempio di riferimento geometrico (elementare imperfetta geometria). Ma quando sono “figurativo” non mi interessa imitare le apparenze con particolare diligenza, semmai mettermi a confronto con altri che hanno affrontato lo stesso problema risolvendolo in tanti modi: come a dire che la “realtà” è per me quella dell’immagine , della storia dell’immagine; quando sono “astratto”, le forme tendono ad assumere aspetto e attributi “organici”: come un corpo vitale, cioé capace di alludere ad aspetti della realtà sensibile, quindi destinato a prossima fine. Mi pacciono le impostazioni simmetriche, ma per dimostrare che non ci sono forme identiche; mi seducono le ripetizioni, ma per trovare differenze nell’apparentemente identico. Il massimo, per me, sarebbe rappresentare echi e ombre, labili, tanto più quando il corpo sembra robusto ed elastico, una tela di sacco destinata nel tempo a sbriciolarsi.


MARIO SURBONE

Sono nato nel 1932 a Treville presso Casale, luogo al quale sono tuttora profondamente legato. All’Accademia Albertina sono stato allievo di Felice Casorati. Lunghi soggiorni a Parigi sul finire dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta mi hanno permesso di confrontarmi con la varietà delle proposte artistiche del momento. Le mie scelte sono peraltro guidate dall’intuizione più che dalla razionalità programmatica, dall’esigenza di mettere a fuoco una immagine dove il rigore costruttivo si coniughi con un altrettando fondamentale rapporto con la realtà visibile e visionaria. Così, attraversando esperienze apparentemente o forse davvero contraddittorie, mai troppo condizionate da ragioni o modelli esterni, mi muovo tra compromessa evocazione e astrazione ”concreta”. Gli “Incisi” fra ’68 e ’78, che rappresentano il momento di più spinta semplificazione e purezza, lontano dalle tentazioni pittoricistiche e dalla gestualità espressiva che avevano alimentato il precedente lavoro, non costituiscono l’approdo ultimo e definitivo (del resto, anche negli “Incisi” tento di mettere idee, particolari esperienze, fatti per me vitali). La stagione successiva, che tuttora prosegue, rimette in circolo la totalità delle esperienze elaborate sul piano formale e specialmente i contenuti emotivi che intimamente mi appartengono. I lavori che qui espongo esemplificano la mia ultima produzione: mi piacerebbe vi fosse riconoscibile, nella apparente elementarità dell’immagine, la

complicazione senza prove una “perfetta” mobili e, per

dei percorsi operativi per arrivare, non e riprove empiricamente condotte, ad integrazione di forme, colori, materie, così dire integrati nello spazio aperto

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LAZIO

ALESSIA ZOLFO

FAI BEI SOGNI - 2012 - mista su tavola

Lavoro con frammenti di carte strappate, raccolte ed accumulate nel corso del tempo e dei viaggi. La carta è trattata con resine, gesso e collanti, poi sovrapposta a strati, applicata su tela, disegnata e dipinta, poi successivamente “aggredita” con i solventi e graffiata con abrasioni. Anche la pelle umana è fatta di strati sovrapposti. Le figure, soprattutto su grande formato, sono visibili nell’insieme ad una certa distanza; più ci si avvicina ad essa, più la forma scompare. Il fruitore scopre, avvicinandosi, una pittura fatta di macchie, graffi e grumi, filamenti che ricordano le cellule nervose, i rilievi come colture di batteri visti al microscopio. Le figure si disfano in qualcosa che va oltre la forma, e lascia spazio al pensiero, all’immaginazione. Credo nell’arte come ad un processo del fare, mi piace la manualità che sta alla base del lavoro, dalla ricerca di materiali alle reazioni chimiche. Poi c’è una componente di casualità, che non si può gestire, perchè la materia segue un suo divenire altro. I materiali che utilizzo sono legati a questa idea della durata. Le tele e le tavole sono preparate da me, preliminarmente con il gesso e i collanti, dati a spatola e pennello, cosicché alcune parti sono estro flesse ed altre introflesse rispetto alla superficie della tavola o al telaio. Utilizzo i pigmenti e le terre, rossi e ocre cupe, resine sintetiche, oli vegetali, il carbone e la cera.

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BROTHERS 1 - 2011 - misto su tela


Dipingo aggiungendo e sottraendo colore e materia, progressivamente con solventi e abrasioni. Intendo dare forma a qualcosa che trascende la verità visibile, così i soggetti dipinti non hanno una precisa identità, non intendono ritrarre nessuno nello specifico, poiché sono solo un pretesto formale per esprimere un concetto ulteriore. Le domande riguardano l’anatomia del corpo, il tempo che viviamo, le ferite e le malattie del nostro tempo, le epidemie, la diversità, ma soprattutto quel qualcosa di noi, esseri umani, che va oltre la forma, oltre ciò che è riconoscibile, qualcosa che è uguale per tutti, una traccia di immaginazione... Molti dei miei lavori sono legati all’archetipo e al mito. Gli Infermi... le vittime non identificate, i degenti, i malati immaginari, gli schizofrenici, uomini, donne e bambini senza precisa identità, costruiti per pezzi, diversi, mutevoli. Ma fermi, al contrario, o meglio fermati e confinati in uno spazio che gli è stato attribuito, come del resto si confina la diversità. Un coro di spettatori silenziosi che sfidano l’osservatore a trovarsi dentro qualcosa che disturba. Un po’ di malattia c’è in ognuno di noi, ognuno di noi porta dentro qualcosa che si muove, l’infermo, in un modo o nell’altro. Ancora c’è l’anatomia, il decadimento, la traccia, il pensiero che mette insieme tutte queste parti separate. Il mio lavoro è aperto, volutamente interrotto e in parte incompiuto; lascio spazio alle interpretazioni. Suggerisco un nome comune, non un nome proprio. Non saprei circoscriverlo in una precisa definizione: per molti aspetti è formale, informale per altri. Tra gli opposti si muove la mia ricerca: finito-non finito, corpo-pensiero, bianco-nero, diluito-denso, razionale-emotivo... se esiste la coincidenza degli opposti. Alessia Zolfo

NEMESI 1 - 2011 - misto su tela

AMOR OMNIBUS - 2011 - misto su tavola

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BASILICATA

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GIOVANNI SPINAZZOLA

Giovanni Spinazzola nasce a Ferrandina (Matera) nel 1972. Si diploma prima al liceo artistico di Matera, poi consegue il diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano). Tra gli anni 1991-1997 collabora con la stamperia d’autore La Spirale (dove apprende le tecniche litografiche, xilografiche, serigrafiche e calcografiche) e con la Leo Burnett Company. Successivamente lavora come Designer di mobili imbottiti con le aziende Nicoletti s.p.a. ed Ego Italiano. Fra le mostre più significative: XV Congresso Europeo per la cardiologia “Zambon Group”, Inghilterra; Concorso per conto della società Calvin Klein, Milano; Trenta ore per la vita a favore dell’AISM, Milano; Gruppo d’Arte, Cinisello Balsamo; Salon 1°, Brera, Milano; Gruppo d’Arte, Cinisello Balsamo; Partecipazione alla Giornata Mondiale per la pace Swatch-Peace Unlimited, Milano; Giovani Proposte, Galleria La Roggia, Palazzolo sull’Oglio, Brescia; I colori del vento, Milano; Couleurs Printaniéres, Cristal D’Argentiére, Francia; Insieme per donare 2001, Aula Magna dell’ospedale


Luigi Sacco, Milano; Il Convito della Bellezza, salone Pontificio Seminario Regionale Minore, Potenza; I Custodi della Memoria Collettiva, Museo Provinciale, Potenza; Campionesi del III Millennio, Galleria Civica, Campione d’Italia; Cib’arte e Universo Cartesiano, Galleria d’Arte della Certosa, Milano; I custodi della Memoria Collettiva, Museo Provinciale, Potenza; Segni di fede nel battistero sul lago, Museo dello Stucco e della Scagliola Intelvese, Comunità Montana Lario Intelvese e Comune di Lenno (Co); Un Tempo e uno Spazio per l’omaggio alla bellezza, Salone Pontificio Seminario Regionale Minore di Potenza; Nuovi percorsi, Galleria “L’Ariete”, Potenza; PagliaronArte, Senise (Pz); Arte in Tasca, Centro culturale “Annotazioni d’arte”, Milano; Arte Estate Spinoso, Spinoso (Pz); Progetto scenografico del Recital Chi è come te tra i Muti?, Teatro “Due Torri”, Potenza; Rosari Virginis Mariae, Salone Seminario Minore, Potenza; Ciò che è infinitamente piccolo, artisti del 1900 e contemporanei, Galleria Civica, Palazzo Loffredo, Potenza; Personale Passante, Galleria Idearte, Potenza, Libro in arte – L’autunno profuma di libro, Castello di Lagopesole (Pz); Padiglione Italia alla 54. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia per il 150° dell’Unità d’Italia a cura di Vittorio Sgarbi, Galleria Civica Palazzo Loffredo, Potenza; I care (io me ne curo), Galleria civica, potenza; Personale cityscapes, Galleria idearte, Potenza.

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PUGLIA

Michele Coccioli

“In queste opere celebra il passato utilizzando le vecchie fotografie in bianco e nero che appartengono ad ogni famiglia, che fanno parte di ognuno di noi, le cala in ambientazioni fatiscenti che forniscono sfondi dai colori caldi tipicamente mediterranei. Non sceglie una via né semplice né scarna per quanto riguarda la realizzazione delle sue fotografie, predilige l’utilizzo di molteplici immagini che, trattate come inserti, si rincorrono e si sovrappongono in un caleidoscopico divenire. Attraverso quella che potrebbe essere definita una correzione ottica, Coccioli combina superfici e persone, crea un’orbita dove le figure riportano al passato e al contempo spingono in avanti provocando nello spettatore una sospensione spazio-temporale che, separandolo dal contesto specifico nel quale si trova, da origine al

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ricongiungimento tra individuo e genere umano, tutti riconosciamo le persone ritratte, tutti le guardiamo con lo stesso moto del cuore che ci fa inevitabilmente sorridere, tutti proveniamo dallo stesso tempo passato, quindi tutti abbiamo lo stesso futuro”. (Mariangela Mutti)


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PUGLIA

ENRICO MEO

Nasce a Grottaglie (Ta) il 20 aprile 1943. Vive a Reggio Calabria, dove si è trasferito terminata la carriera di docente di Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico di Cosenza. Ricerca, sperimenta e realizza i suoi lavori nello studio privato a Gallico Marina (RC). Artista versatile e meditativo, Enrico Meo può davvero definirsi un maestro completo, esperto in varie tecniche artigiane e in espressioni pittoriche che affondano le radici, in primis, nella sua formazione di bottega e poi in esperienze creative aggiornate ai linguaggi del concettuale. La sua arte spazia in vasti repertori figurativi rivelatori di una poetica tesa alla speculazione e alla ricerca mistica sui temi esistenziali dell’uomo, rivelati attraverso immagini o forme archetipe e composizioni di sapore surrealista. Meo ci conduce quindi all’interno di un universo misterioso, enigmatico, dove una moltitudine di figure, uomini, donne, angeli, demoni, ominidi, come la serie degli acefali, si muovono solitarie o dialogano all’interno di scenari naturali estremi, quasi primitivi, o in ambienti metafisici sinteticamente evocati, che sembrano affiorare alla memoria da una dimensione interiore. Tutto nella sua pittura si rivela attraverso un repertorio iconografico polisemantico, simbolico, al quale non è estranea la profonda conoscenza della figurazione bizantina, sia nella qualità del colore sia nella stesura per campiture, sia nelle immagini, declinate secondo tipologie “ortodosse“, come la serie dei ritratti-icone, o nelle geometrie compositive con l’impiego del ribaltamento dei piani o nell’alterazione delle proporzioni. Le opere in mostra appartengono a varie fasi della produzione di Meo, ma in tutte si riconosce una costante poetica/ espressiva, una tensione spirituale tesa alla ricerca dell’origine, al mistero dell’esistenza, al desiderio di allontanarsi dalla pesantezza o ottusità del quotidiano, alla volontà catartica e rigeneratrice di superare la frammentarietà e superficialità nella quale l’umanità spesso si adagia. Alcune tele rivelano già nel titolo tutta l’indagine del maestro, come il dipinto ἀυτό εἴναι ὀ ἄνθρωπος, o ecce homo, opera inedita concepita all’interno di un ciclo pittorico sul tema “Che cos’è l’uomo”. Un volto umano, indefinito nella sua restituzione grafico-pittorica, contiene quello definito di Cristo che qui non riveste il significato confessionale del dio cristiano, ma è simbolo del divino/umano o essenza interiore spirituale dell’uomo. La sua posizione fissata nel

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punto percettivo/compositivo della tela coincide con il centro della croce, simbolo arcano, che sintetizza la vita nell’ortogonalità degli assi, verticale e orizzontale, coordinate spaziali e segni lineari opposti che si equilibrano in uno spazio infinito, un colore-spazio che esprime un forte simbolismo mistico, simile a quello delle pale medievali. L’umanità, quindi, nella sua essenza di materia –spirito, e nel suo libero determinismo tra bene- male è l’elemento distintivo dell’immaginario di Meo che si dipana anche nella serie de “Gli Angeli” o nei ritratti, “I Tipi”, o “Protesi”, come in altre composizioni.


L’angelo in opposizione al “demone” appare come una sorta di alter ego, una proiezione di sé, una guida interiore che interpella la coscienza e la libertà di scelta dell’uomo. La sua immagine è presenza costante, muta e imponente, sulla quale si proiettano le ombre o i pensieri dell’artista, come nell’opera “L’Altro”; «Il messaggio racchiuso nella figura alata richiama gli artisti alla funzione di educare a vedere oltre la superficie, a suscitare percezioni non puramente sensoriali ma profonde, capaci di portare nuovo humus sul terreno dei valori e della scoperta» . Nei ritratti, icone moderne della contemporaneità, misurate sui caratteri greco-bizantini della frontalità e fissità, si concentra l’indagine critica dell’artista che sembra invitarci a una riflessione sulla condizione esistenziale dell’uomo. A volte lo sguardo del maestro ironizza sul tema, servendosi d’immagini combinate sui paradossi o sul gioco di elementi iconici surreali, affini al repertorio visionario di Magritte, come nel dittico “Protesi”. La visione frontale/tergale della figura, schermata dalle protesi-occhiali, diventa metafora di un’umanità “cieca”, distratta, concentrata sulla materialità o vanità del contingente, e quindi impossibilitata a proiettare lo sguardo nel proprio mondo interiore. Altre opere nascono semplicemente da suggestioni o paure ataviche, in esse si distinguono i segni di fratture emotive o proiezioni del vissuto personale, paradigmatiche della condizione umana, in tutte traspare una grande poesia che ha il potere di condurci verso i sentieri più profondi dell’animo umano nei quali ognuno può riconoscere la propria fragilità come pure l’unicità e sacralità dell’esistenza. L’arte di Meo sembra quindi invitarci a una sorta

di viaggio interiore alla ricerca dell’origine-uomo: “Da dove veniamo, Chi siamo, Dove andiamo”? Paul Gauguin, 1897-98. Roberta Filardi

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CAMPANIA

KLIMT EXSPERIENCE

a Napoli dal 20 ottobre al 3 febbraio 2019 a cura di Vittoria Samaria

Dopo il grande successo ottenuto nelle città di Firenze, Roma, Caserta e Milano, la mostra “Klimt Experience” che celebra i 100 anni dalla morte del celebre pittore viennese, sbarca a Napoli nella Basilica dello Spirito Santo in via Toledo. Si tratta di una mostra multimediale fatta di video installazioni ed effetti sonori diffusi che coinvolgono tutti i sensi dei visitatori immergendoli totalmente, per gli 85 minuti necessari per la visita completa, nel mondo di Gustav Klimt, uno tra i più importanti esponenti dell’Art Nouveau (conosciuta in Italia anche come Stile Liberty). In mostra riproduzioni fedelissime dei capolavori del maestro, ricreate grazie al supporto di 30 proiettori laser e maxischermi sui quali saranno diffuse ben 700 immagini in Full Hd. Dipinti famosi come il celebre Bacio, Giuditta o L’Albero della vita, potranno essere fruiti in maniera totale nella Sala Immersiva realizzata nella Navata Centrale della Basilica dello Spirito Santo, dove grazie alla forza espressiva della narrazione per immagini e suoni, pensata e realizzata dal regista Stefano Fake, prenderà vita, ad altissima definizione ed a 360°, l’ arte klimtiana, grazie alle opere selezionate dallo storico dell’arte Sergio Risaliti. Obiettivo della mostra è entusiasmare e affascinare un pubblico di giovani e adulti, invitandoli ad approfondire la conoscenza dell’uomo e dell’artista attraverso la comprensione delle sue opere. Gustav Klimt, protagonista della Secessione Viennese e motore di un rinnovamento dell’arte europea, nacque a Baumgarten presso Vienna nel 1862, da una famiglia colta ma povera. Artista eclettico, Gustav, ebbe una vita amorosa molto intensa che sublimò nella rappresentazione, nei suoi quadri, di molte donne seducenti e avvolte da fitte decorazioni. Solo le donne infatti furono le muse ispiratrici della sua arte mentre gli uomini rimasero assai rari nel suo repertorio iconografico, rappresentati mai come protagonisti e quasi sempre di spalle. “Aveva cento legami: donne, bambini, sorelle, che per amor suo diventavano nemiche tra loro”. Così la sua biografa Alma Mahler ci racconta, rafforzando la fama di impenitente donnaiolo di Klimt, che, fedele al pensare comune dell’epoca, considerava nemica dell’arte ogni relazione esclusiva.

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Interessante e caratterizzante della sua arte, l’ispirazione che Klimt trasse dalle sue visite a Ravenna nel 1903, che diede inizio al suo “periodo aureo”. Dopo aver visto i mosaici bizantini della Basilica di San Vitale, Gustav entrò in un periodo di grande esaltazione e ciò è testimoniato dalle innumerevoli cartoline e foto che l’artista acquistò come ricordo del suo soggiorno in città e che inviò numerose alla sua compagna Emilie Floge, addirittura 8 al giorno. Frutto di questa ispirazione è un corposo uso dell’oro puro in foglia e carta dorata, l’oro klimtiano, quell’oro che giovinetto aveva imparato ad amare nella bottega del babbo orafo, il metallo per eccellenza, con il quale l’artista regalò l’immortalità e la trascendenza alla realtà rappresentata nei quadri del suo terzo periodo, sublimandola e rendendola perfetta.

Basilica dello Spirito Santo a Napoli in piazza Sette Settembre, lungo via Toledo, di fronte a palazzo Doria d’Angri. e-mail: info.napoli@klimtexperience.com sito: http://www.klimtexperience.com tel. + 39 055 0684115


Jean-Loup Champion

La mostra sarà ospitata fino all’11 gennaio 2019 presso Palazzo Serra di Cassano di Redazione Ecampania.it - 03 Ottobre 2018

“Bianchi i giorni che sovrastano le notti” è il titolo della personale di Jean-Loup Champion, a cura di Maria Pia De Chiara, che inaugura presso il Palazzo Serra di Cassano in via Monte di Dio, a Napoli, giovedì 18 ottobre 2018, a partire dalle ore 19.00. Di origine francese, l’artista Jean-Loup Champion è nato a Tours, ma vive e lavora a Parigi. Si è avvicinato alla scultura nel 2006, continuando il suo lavoro di editore e la sua attività di storico dell’arte. Il trauma generato da tre trapianti di fegato consecutivi, gli ha fatto scoprire, e quindi esprimere, un altro corpo e un altro mondo, bianco e tridimensionale. Dopo avere realizzato ed esposto le sue sculture, circoscritte dentro i confini di “scatole”, che hanno suscitato l’attenzione di collezionisti, artisti, curatori e storici dell’arte, Jean-Loup Champion si è dedicato, nel 2017, ad una nuova serie di opere intitolate Monumenti. Tali opere, evocative a volte delle tombe etrusche, riman-

dano ai monumenti funerari barocchi di Napoli e alle sculture bianche di Cy Twombly. Questi bozzetti di sepolcri o fantasmi, risolutamente contemporanei e concettuali, sono realizzati in legno e materiali vari, sempre dipinti di bianco. La Mapils Gallery di Napoli li esporrà per la prima volta, assieme a quattro bronzi patinati.

La mostra sarà aperta al pubblico all’11 gennaio 2019, dal lunedì al venerdì dalle ore 16.00 alle 19.00 e su appuntamento. Ingresso libero. NapoliData/e: da 18 Ottobre 2018 a 11 Gennaio 2019 Costo: gratuito Telefono: +39 334 93 31 436, +39 081 7646948 info@mapilsgallery.com Il sito della Mapils Gallery

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CAMPANIA

L ‘IMPRESSIONISMO

L’Impressionismo è un movimento artistico nato in Francia, a Parigi, nella seconda metà dell’Ottocento ed è durato fino ai primi anni del Novecento. Questo movimento ha apportato importanti cambiamenti nel settore: in primis la riscoperta del paesaggio e l’uso del colore piuttosto che del disegno. SI fa leva sulla prevalenza delle emozioni sentite dell’artista, che con rapidi colpi di pennello o di spatola, crea superfici sia uniformi che irregolari aiutato dalla scoperta del “ tubetto del colore ad olio” che in breve tempo trasferiva sulla tela, osservando la natura, le sue percezioni visive ed interiori: il suo vedere le cose . Si dipingeva in “ enplein air” cioè all’aria aperta e con questa tecnica e questo fare , l’artista con veloci pennellate, catturava la luce e le ombre del paesaggio osservato dal vivo tutto in tempi brevi, diversi e nelle varie ore del giorno. Lo sfondo dell’opera avvolgeva le figure, anche se queste non erano predominanti ma erano dipinte con le stesse pennellate dello sfondo che le circondavano, riuscendo a metterne in risalto anche i particolari. Gli artisti più importanti di questo movimento che hanno cambiato il dipingere classico, sono stati:Claude Monet,che è rimasto sempre fedele a questa corrente artistica, Pierre Auguste Renoir, Alfred Sisley, Federico Zandomeneghi, Camille Pissarro, Jeen Fréderic Barille e Manet. Ognuno di questi ha rappresentato , attraverso la propria sensibilità e il proprio sentire, l’Impressionismo.

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Ancora oggi molti artisti si ispirano a questa corrente e come ha detto Vincent van Gogh “ Voglio dipingere ciò che sento e sento ciò che dipingo” ed è esattamente ciò che oggi fanno e sicuramente con il cuore, con il talento e la tenacia sempre rivolta alla ricerca e ad esprimere le proprie emozioni . Letizia Caiazzo


Lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery celebra Cohen In esposizione a Salerno, una mostra collettiva internazionale di 164 opere dedicate all’artista giapponese “Marginali Attivi / 70 Ryosuke Cohen” è il titolo della mostra collettiva internazionale, curata da Sandro Bongiani, che sarà ospitata presso lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno dal 31 luglio al 1 dicembre 2018, dedicata all’artista giapponese, uno dei più longevi e interessanti artisti contemporanei nati negli anni quaranta, in concomitanza con la speciale ricorrenza del suo settantesimo compleanno

Il percorso espositivo prevede 164 opere su un totale corpus grafico di ben 281 opere arrivate da ogni parte del mondo da importanti artisti internazionali che, periodicamente, si sono avvicendati a collaborare con impegno e assiduità con Cohen. Ryosuke Cohen, nato nel 1948, Osaka, in Giappone, è un Mail Artista. Il nome della famiglia è Kouen ma su consiglio di Byron Black, ha adottato il nome inglese ‘Cohen’ come in ebraico. Cohen, scoprì la mail art in Canada. Ryosuke è il figlio di un noto scrittore di haiku in Giappone, Jyunichi Koen. I primi lavori di Cohen sono il risultato di un misto di tradizione e immaginario giapponese, numeri e icone contemporanee così com’è la sua firma, la lettera “C”. L’artista giapponese per lungo tempo è stato interessato al movimento Dada e Fluxus, in contatto con Shozo Shimamoto e i membri del gruppo Gutai condividendo in modo spontaneo e naturale un nuovo modo di fare arte contemporanea.

Un lavoro che raccoglie ogni 7-10 giorni circa le immagini di tanti artisti su un’unica pagina allegando un elenco di indirizzi di collaboratori, 55 in media per opera, che lo ha

visto coinvolto per oltre 30 lunghi anni, rifiutando l’opera unica e concetti consueti come l’originalità e quindi, preferendo maggiormente il gioco, la ricerca e la libertà concreta dell’artista volutamente collocato ai margini dell’attuale sistema culturale. Per questo modo di fare, egli è forse il più interessante e attivo artista nella rete di chiunque altro per la capacità organizzativa del progetto e per diffusione capillare dell’arte marginale. Cohen è l’artista contemporaneo che non rappresenta più colui che produce un’opera d’arte secondo le vecchie idee classiciste della tradizione, ma ricopre il ruolo di mediatore e di intermediario tra la realizzazione di un’idea progettuale (la sua) e coloro che partecipano al progetto. Praticamente, egli si fa promotore di un “fare” diventando regista di un intervento provvisorio, che nasce dal contributo degli altri e si materializza insieme nella collaborazione collettiva in cui tutti possono partecipare ed essere positivamente e appassionatamente coinvolti nella creazione dell’opera. In oltre trent’anni di lavoro ha esposto con mostre e svolto performance e incontri in diverse aree geografiche del mondo. Attualmente vive a Ashiya-City Hyogo in Giappone.

Informazioni Dal 31/07/2018 - al 01/12/2018 Via Salvatore Calenda 105/d - Salerno - Campania Audioguida inclusa Orari: continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00 di Redazione Ecampania.it - 25 Luglio 2018

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CAMPANIA

Schizzi sulla poetica di Letizia Caiazzo

Mi accosto al mondo artistico di L.C., mi intrufolo tra le pieghe e i crinali che abitano il suo orizzonte accorgendomi, o così mi pare a prima vista, che tutto sia stato detto di lei. Inoltre mi rendo conto che a sua volta l’artista sorrentina abbraccia con un approccio a tutto campo l’universo creativo in cui ha scelto di vivere. I molti linguaggi che la contraddistinguono sono come racchiusi dentro una ricerca personalissima di “arte totale”. Ancora: la donna e l’artista si fondono attraverso una sorta di continui rimandi nel segno della coerenza e della versatilità. Il frammento e il tutto. Oso girovagare tra i suoi quadri in digitale, immagino le sorgenti che li originano e mi spingo oltre ritrovandola fotografa, disegnatrice, informatica, poetessa, scrittrice, pittrice digitale altrettanto abile nelle tecniche tradizionali, organizzatrice, docente... “l’arte aiuta” sostiene L.C., e ha ragione. Musica, danza, recitazione, cultura in senso lato

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modellano un formidabile caleidoscopio in cui la sua curiosità creativa si anima. Nasce il dialogo fra le arti dentro una sorta di confronto costante che si instaura e che trova il suo limite solo difronte all’invalicabile rispetto per il proprio spazio personale, “inafferrabile” e sommerso. Mi chiedo quale retroterra sostenga la sua esuberanza intellettuale. Intravvedo stagioni ormai distanti che emergono sottotraccia: lontananze futuriste sono depurate da un loro un po’ folle dinamismo e dalla loro cieca passione di inglobare ogni piano della vita; richiami fauve affiorano nell’uso spavaldo e coraggioso dei colori. E potrei continuare: la percettiva arte cinetica, la matericità intimistica dell’informale, l’essenzialità dell’astratto, la raffinatezza secessionistica, l’elegante puntinismo e le chiazze macchiaiole, per farla breve gran parte del secolo scorso artistico è trasfigurato negli stilemi dell’artista.


Andando ancora a ritroso risento l’eco delle nostre più nascoste radici occidentali. La mediterraneità di L.C., antica e solare, ombrosa e tenace, si è pertanto incrociata con le principali correnti europee arrivando all’oggi con passo lirico e tecnologico. Mi avvicino con un’altra considerazione: la sua poetica mi allontana dal nichilismo di Beckett, dall’ ”Uomo senza qualità” di Musil e da “ Il processo” di Kafka, esempi che fanno riferimento a quella parte disperante del secolo breve mitteleuropeo che allunga la sua ombra sull’oggi. L’amore per la sua terra si respira dappertutto, impregna di luci, presenze e ricordi le sue opere. La figura artistica di L.C. mi si staglia davanti , ecco “Gli occhi del sud” di un suo quadro, profondamente pensierosi, vividi e scuri. Il messaggio che mi giunge dalle sue opere indirizza verso un diverso neoumanesimo, colto e aperto all’”oltre” con un ritorno contemporaneo dell’uso del simbolico. “Una e tante” è un altro dipinto digitale da cui schiudono mille sfaccettature che convivono in ciascuno di noi, nello specifico, di una donna. Diversamente che in Deledda ”Canne al vento” oppure “ Uno, nessuno, centomila” di Pirandello, le figure femminili e maschili non sono pensate come espressioni di un pesante destino ma vengono reinterpretate in chiave positiva, identitaria, la quale funge da collante dei frammenti. “In un vortice di fragili voli di farfalle una donna si schemisce” è un quadro sulla violenza di genere dove le mani femminili si alzano, insieme, all’interno di una cornice suggestiva ma inequivocabile. Le donne sono ritratte in lavori di grande potenza narrativa, in altre opere si rimarcano tutte le fragilità umane violate: L.C. diventa una voce ferma di impegno sociale e di pace e un sollecito invito civico che, come educatrice,

rivolge sopratutto ai giovani. La sua arte è talentuosa forza , a volte scanzonata e spesso assorta, passionale ed enigmatica, che mi getta letteralmente dentro avvolgenti atmosfere, cariche di sfrenata libertà, in un’aria tersa che spazza le marine e i paesaggi cercando di richiudere con la “ vera bellezza” qualche ferita di questo tormentato pianeta. Giovanna Arancio

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CALABRIA

Del Vero e dell’Oro. Il Barocco da Mattia Preti a Luca Giordano.

Nel Museo Diocesano di Tropea, cittadina della costiera vibonese, è visitabile fino al 31 dicembre una mostra dedicata agli splendori del Seicento Barocco nel Meridione. Il Museo, già ricco di statue lignee e opere di pittori locali, ospita le spettacolari tele di Gregorio Preti, Francesco Cozza, Mattia Preti e Luca Giordano inserite nella mostra Del Vero e dell’Oro. Il Barocco da Mattia Preti a Luca Giordano. Francesco Cozza è uno dei tre grandi pittori calabresi del Seicento insieme a Gregorio Preti e Mattia Preti. Nasce a Stignano(RC) ma vive a Roma e lavora nella bottega del Domenichino. Riceve molte commissioni pubbliche e private. Secondo la tradizione era cugino di Tommaso Campanella di cui dipinge un ritratto. Gregorio Preti è il fratello maggiore di Mattia, nati a Taverna di Catanzaro. Si trasferisce a Napoli, in seguito lavora anche a Roma dove entra nell’Accademia di San Luca. Negli ultimi dieci anni la figura di Gregorio Preti, offuscata dalla fama del fratello Mattia, è stata rivalutata per la sua vasta produzione ancora non conosciuta ma di grande valore. Mattia Preti , considerato da Roberto Longhi “secondo solo a Caravaggio”, è il pittore calabrese più importante di tutti i tempi. L’apprendistato avviene nella bottega del fratello Gregorio a Roma, dove vivrà per 30 anni. Viaggia moltissimo per lavorare nell’Italia settentrionale, a Bologna, Venezia, Genova e in Spagna. A Napoli esegue splendidi affreschi. Dal 1653 si ispira a Caravaggio, ma anche a Battistello Caracciolo e Massimo Stanzione, pittori napoletani, fondendo la luce caravaggesca con il colorismo veneto. Essendo dal 1642 Cavaliere dell’Ordine di Malta, viene chiamato dal Gran Maestro come pittore ufficiale e nella cattedrale di San Giovanni a La Valletta e in altre chiese di Malta, lascia importantissime opere. Muore nel 1699. Il napoletano Luca Giordano è uno dei massimi pittori del barocco italiano. Il suo apprendistato avviene nella bottega di Juseppe De Ribera a Roma e frequentò molti artisti importanti come Pietro da Cortona. Viaggiò moltissimo. Mise bottega a Napoli perché tante erano le commissioni

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da ogni parte d’Europa. Per la sua velocità nel produrre venne soprannominato Luca fà presto. Lavorò anche a Firenze e a Madrid come pittore di corte. A 70 anni tornò a Napoli dove continuò a lavorare incessantemente con l’aiuto di collaboratori. La sua produzione è ingente, si calcolano almeno tremila opere tra musei e collezioni private. All’arte del Cavalier Calabrese (Mattia Preti) , come afferma Pasquale Schiariti, si legano le opere luminescenti di Luca Giordano il cui pulviscolo dorato rappresenta l’apice della fusione tra le due anime di un secolo straordinario e contraddittorio: la terra ed il cielo, l’Oro ed il Vero. La mostra nasce dalla collaborazione tra collezionisti privati e il Museo, con il sostegno della delegazione di Vibo Valentia del Fai, con il patrocinio del Rotary Club e del club Unesco di Tropea e con l’Accademia dei Bibliofili Calabresi. Alessandra Primicerio Critico d’arte


IL DUOMO DI GERACE fra le “più insigni fabbriche della Calabria”

Il Duomo di Gerace è intitolato a Santa Maria Assunta . Fu costruito su un pre¬esistente edificio sacro dedicato a Santa Ciriaca (VIII secolo), tra il 1085 ed il 1120, sotto il dominio dei nor¬man¬ni. La chiesa consacrata al culto nel 1045 ebbe una seconda consacrazione nel 1222 alla presenza dell’imperatore Federico II di Svevia, che si trovava di passaggio a Gerace. L’esterno, in stile romanico, è stato costruito in pietra calcarea. Due delle tre absidi sono di forma semicilindrica. Sull’abside centrale si apre un portale ligneo del XIX secolo ad archi concentrici, sormontato da una finestra. Sovrastano le absidi due finestre circolari strombate. Incompleto è il campanile neoclassico di forma quadrata. L’interno è a croce latina con transetto sporgente. Le tre grandi navate, sono divise da colonne, in marmo policromo e granito. Sono scanalate o lisce e tutte diverse tra loro perché materiale di spoglio provenienti da antiche ville, mentre i capitelli sono in parte antichi e in parte rifatti. L’altare maggiore, in stile barocco, è stato realizzato con marmi policromi dai fratelli Palazzotto, originari di Catania e dall’artista messinese Amato. All’interno della cattedrale si trovano monumenti funerari, fra i quali il sarcofago del conte Giovanni Battista Caracciolo. La cappella gotica del SS. Sacramento risale al 1431, e gli arredi sacri sono con-

servati nella cripta bizantina. Nella chiesa si può ammirare L’Incredulità di san Tommaso, opera dei Gagini, del 1547. La cripta, scavata nella roccia nell’VIII secolo (quando Gerace era Santa Ciriaca), è a croce greca. Ventisei colonne, provenienti da ville di età imperiale (o forse da un tempio vicino), sorreggono la volta. All’interno della cripta si trova la cappella della Madonna dell’Itria, ottenuta nel 1261 da una chiesa rupestre. Sull’altare si nota la statua della Vergine col Bambino che gioca con una colonna opera trecentesca di Tino da Camaino, artista senese. La cappella di San Giuseppe ospita il museo diocesano del tesoro della cattedrale, con la stauroteca fabbricata a Gerusalemme o nei laboratori normanni siciliani nel XII sec., un ostensorio ottocentesco in argento dorato e ornato da pietre dure, una statua dell’Assunta in argento realizzata nel 1722, vari paramenti sacri e pregiati tessuti in oro e argento realizzati da artigiani locali e da argentieri napoletani quali Gennaro Pace e Romanelli. Alessandra Primicerio - Critico d’arte

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CALABRIA

“Segni multipli” la mostra dell’artista Massimo Melicchio al Museo del Presente di Rende

Massimo Melicchio nasce, vive e lavora a Cosenza. Viaggia in tutta Europa. Durante un soggiorno di studi in Portogallo viene colpito dalle azulejos, (piastrelle di ceramica con una superficie smaltata e decorata), tipico ornamento dell’architettura portoghese e spagnola e inizia a studiare decorazione della maiolica a Faenza (RA). Profondo è l’amore per l’Africa che coltiva anche leggendo libri sulle decorazioni murali africane e arriva così ad un tipico codice stile. Nelle sue opere ci sono i colori caldi del Continente Nero. Un continente antico quello africano, legato alle sue radici e dominato da un vocabolario fatto di segni . Appassionato della vita africana, si sofferma sulla figura della donna, custode della casa e della famiglia. La donna nella società tribale è importante perché porta avanti la stirpe e le sono affidati i compiti più pesanti, come la direzione della casa o il lavoro nei campi. Le donne africane fin da bambine giocano con le bamboline di fertilità per abituarle al loro futuro ruolo di madri. A proposito del colore l’artista Massimo Melicchio afferma che: “L’abbinamento colore-suono, la possibilità di sostituire l’uno all’altro, la loro intercambiabilità nella trasmissione delle emozioni, di stati d’animo e di sensazioni e l’individuazione dei colori dei singoli strumenti musicali, sono temi sui quali ho esplicato in questi ultimi tempi la mia ricerca espressiva”. Il colore è l’elemento principale delle opere di Melichhio. Utilizza il colore per raccontare, per comprendere e osservare l’interiorità dei personaggi che rappresenta.

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È lo stesso artista a spiegarci il valore simbolico che dà ad ogni colore utilizzato: “Il rosso è centro vitale, infatti, le figure di donna, sono rosse perché creano l’inizio della vita. Il verde è la natura, luogo dove l’essere vivente si muove e realizza le proprie aspirazioni, svelando la sua razionalità ed il suo sentimento”. Il blu rappresenta il mare, la linea che divide ma non separa, che facilita il collegamento tra culture diverse, la linea che crea il logos. Il mare rende orizzontale un sapere che era verticale, spinge la fissità della terra a confrontarsi con il moto incessante delle onde. Il giallo, simile ad un raggio di sole, penetra le nubi della nostra esistenza, svelandone la realtà”. Segni multipli la mostra dell’artista Massimo Melicchio è ospitata al Museo del Presente di Rende ed è curata dal critico d’arte Roberto Sottile. La mostra resterà aperta fino al 3 novembre 2018. L’evento fa parte di un programma promosso dall’Amministrazione Comunale di Rende con il Sindaco l’Avv. Marcello Manna e con l’Assessorato alla Cultura ricerca ed Università diretto dalla Prof.ssa Marta Petrusewicz. Scrive nel testo della mostra il critico Roberto Sottile “Ogni opera contiene nello spazio visivo diversi linguaggi che sono il frutto di una ricerca e di uno studio dove il segno e il colore diventano universali. Sono opere che parlano un linguaggio artistico capace di scardinare i confini geografici, utilizzando la riconoscibilità geografica di quella cultura africana che diventa nelle pagine di Massimo il cardine per comprendere questa lettura artistica. e


Elementi che si accostano e si fondono in un percorso dove la memoria visiva, il segno che diventa gesto seppure riconosciuti vengono plasmati in una nuova sintesi e vigore creativo”. L’artista utilizza la tela di juta e altre tecniche miste. Per condurci in un viaggio “che parte dalla memoria … e ci raggiunge attraverso una esplosione di contenuti che parlano il linguaggio universale dell’arte.” Alessandra Primicerio Critico d’arte

MUSEO DEL PRESENTE – Rende Piazza Kennedy Orari: dal martedì al sabato dalle ore 9.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 20.00 Chiuso festivi e lunedì

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CALABRIA

MARIA TERESA OLIVA Maria Teresa Oliva è un’artista calabrese formatasi nell’ambiente accademico romano che ha maturato nel tempo una profonda cultura figurativa aggiornata ai repertori del contemporaneo e arricchita da una naturale attitudine nel piegare i materiali più disparati. La sua arte si dispiega attraverso varie forme, oggetti tridimensionali, installazioni, rilievi, creati e, spesso, organizzati con assemblaggi inconsueti, in tutte traspare una ricerca originale, autentica, sostenuta da una salda padronanza dei mezzi espressivi.L’artista riesce a declinare il linguaggio della scultura senza farci percepire di essa la “gravitas”, il peso della materia. Le sue creazioni modulate con l’impiego di diverse tecniche, dalla lavorazione della ceramica raku alle pratiche plastiche e scultorie, si rivelano ai nostri occhi come elementi biomorfici o forme organiche allo stato embrionale, primitivo, generate attraverso un processo immaginativo inconscio. In esse traspare un gusto raffinato per la materia, variamente trattata nelle superfici, e ricreata dentro composizioni che ne esaltano la sostanza tridimensionale nel rapporto spazio/luce.Molte produzio-

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ni nascono dal legame profondo dell’artista con la natura, con gli elementi materici dei luoghi originari, i “luoghi” della memoria e del vissuto personale.In esse si riconosce una sorta di sentimento panico, senso di appartenenza a un tutto, che richiama la vicinanza culturale della scultrice alle filosofie animistiche orientali ma soprattutto a una forma di empatia, di spiritualità e identità verso gli elementi semplici della natura, come pietre, cortecce, terre, piante, esaltate esteticamente nel contrasto di forme, luce, colore e materia. In questo immaginario creativo si declina una ricchezza di produzioni dal forte carattere simbolico, forme archetipe dell’esistenza, sostanze materiche rivelatrici dell’eterno ciclo vitale che si rinnova nel rapporto uomo/ natura- vita/morte. La bellezza dell’arte di Maria Teresa Oliva si esprime in questa creazione che nasce dalla riesumazione inconscia del rapporto idea/immagine, trasfigurata progressivamente in una forma materica che è espressione lirica dell’esistenza. ROBERTA FILARDI


Maria Teresa Oliva è nata e vive a Reggio Calabria. Progetta, sperimenta e realizza lavori nel suo studio privato a Pellaro (RC). All’attivitàartistica affianca l’esperienza didattica come docente di Discipline Plastiche presso il Liceo Artistico “Preti-Frangipane” di Reggio Calabria. Si è formata a Roma presso la Facoltà di Scultura dell’Accademia di Belle Arti sotto la guida del maestro Emilio Greco. Ha arricchito la sua già ottima preparazione nelle arti plastiche lavorando il marmo a Pietrasanta (Lu), dove ha affinato le sue pronunciate capacità, e si è avvicinata alla tecnica Raku per la realizzazione di opere in ceramica

di straordinaria qualità artistica. Vincitrice di Concorsi per Opere pubbliche, indetti dal Ministero dei L.L.P.P.e dal X° Comune di Roma, compie grandi bassorilievi collocati nelle città di Lecce e L’Aquila. Altre sue notevoli opere, affidate per committenza da Università e Enti vari del territorio nazionale, si trovano collocate in siti pubblici delle città di Roma e Reggio Calabria. Dal 1984 aoggi ha partecipato a numerosi Eventi d’Arte in Italia e all’estero tra mostre collettive e personali in spazi pubblici e gallerie private.

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SICILIA

MIMMO GERMANÀ. INTIMISMO MITICO Dal 17 Giugno 2018 al 11 Novembre 2018

È con una mostra di Mimmo Germanà che la Fondazione La Verde La Malfa – Parco dell’Arte di Catania (S.G.La Punta) - istituzione attiva nella valorizzazione dei quattro fondi patrimoniali di cui dispone (il parco dell’arte che fa parte del circuito di Grandi Giardini Italiani; la sezione di opere d’arte moderna e contemporanea; la collezione di abiti d’epoca e di libri antichi) e nella promozione artistica attraverso l’organizzazione di attività ed eventi culturali – allestisce, in occasione del decimo anniversario della sua istituzione, fortemente voluta dall’artista Elena La Verde. Sarà proprio una personale di un pittore autodidatta catanese di fama internazionale, esponente della Transavanguardia, a rendere omaggio a questi primi dieci anni di attività culturale promossa dai due presidenti che si sono succeduti,Elena La Verde e il prof. Alfredo La Malfa. Mimmo Germanà (Catania 1944 - Busto Arsizio 1992) diventa uno dei protagonisti, insieme a Enzo Cucchi, Sandro Chia, Francesco Clemente, Mimmo Paladino e Nicola De

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Maria, della Transavanguardia, movimento artistico - così denominato dal critico Achille Bonito Oliva - affermatosi negli anni ’80 con l’intento di “rilanciare” la pittura in risposta all’arte concettuale che negli anni ’70 aveva dominato la scena artistica internazionale. Lo stesso Achille Bonito Oliva scrive di Germanà che “un ritmo scorrevole regge la sua pittura, fatto di spessore e pennellate dense, di colori cupi e di materie forti…”. Il titolo “Mimmo Germanà. Intimismo mitico” rimanda a due aspetti molto presenti nella ricerca del pittore, ovvero, il suo mondo interiore e la simbologia mitologica, rappresentati in mostra da una cospicua selezione di lavori che ripercorrendo il decennio che va dal 1980 al 1991, seguono l’evoluzione stilistica e tematica della ricerca di Mimmo Germanà, pittore prematuramente scomparso all’età di quarantotto anni e apostrofato dal critico Salvatore Grasso come “lo Chagall italiano”


«Se il punto di partenza dell’arte di Mimmo Germanà, quella del decennio e poco più che l’ha reso noto, tra il 1980 e i primi del Novanta, che è rappresentato in questa bella mostra – spiega lo storico dell’arte Giorgio Agnisola - è indiscutibilmente la pittura, quella piena e densa, cromaticamente ed emozionalmente, sul piano espressivo la sua pronuncia muove da un sentire sensuale e psicologico dell’universo intimo, popolato di fiabe e di miti. Una sensualità piena e carnale ma anche ondivaga, pansessuale, specchiata nella natura, ma anche psicologica, espressa come avvertimento di interiorità, non solo come pulsione inconscia ma come condizione dell’essenza, come espressione vitale. Lo si intuisce leggendo i suoi ritratti così intensi nella retroflessione dello sguardo, così intimi e drammatici, così persistenti nell’onda di una intuizione visiva che trasmette una ulteriorità sensitiva e una ispirazione che va ben oltre lo sguardo e penetra il cuore e l’anima».

Le opere saranno esposte, insieme al tavolo da lavoro dell’artista, presso due spazi della fondazione così da creare contemporaneamente due percorsi di fruizione: uno interno alla mostra, e uno in dialogo con gli spazi che la ospitano. La mostra, realizzata in collaborazione con la Collezione Mimmo Germanà, è una realtà che intende svolgere attività di ricerca, studio, divulgazione delle opere di Germanà in Italia e all’estero, allo scopo di favorire una ricostruzione documentaria, filologica e storica sul suo percorso artistico. “Mimmo Germanà. Intimismo mitico” sarà in permanenza negli spazi della Fondazione La Verde La Malfa – Parco dell’Arte fino all’11 novembre 2018 e sarà visitabile su prenotazione da giugno a novembre, attraverso dei percorsi in visita guidata e dei laboratori didattici creati ad hoc per la mostra e suddivisi per tipologia di pubblico e di interessi, volti ad avvicinare sempre di più il grande pubblico al linguaggio dell’arte moderna e contemporanea, coerentemente con l’impegno dell’istituzione presieduta da Alfredo La Malfa. Sarà, inoltre, realizzato un catalogo in cui sarà presente un testo del critico Giorgio Agnisola.

Fondazione La Verde La Malfa – Parco dell’Arte Ttel. per info: +39 095 7178155 mail per info: parcodellarte@libero.it sito: www.fondazionelaverdelamalfa.com La mostra è visitabile su prenotazione e a pagamento tutti i giorni dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18

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SICILIA

GIUSEPPE GRECA

“ L’arte è la mia passione, un modo d’esperienza viva” ( Giuseppe Greca) E’ stato Brancati a parlare della passione degli artisti siciliani per il paesaggio, quasi a costruire una segreta corrispondenza con una struggente malia. Schivo e anticonformista, “istinto per natura e autodidatta

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per vocazione” Giuseppe Greca, pittore e scultore ennese, s’inquadra a pieno titolo in questa visione culturale attuale A partire dal 1975 l’interesse per la pittura lo induce ad intraprendere uno studio sistematico e metodico e a sperimentare al di fuori di formule preordinate e secondo libere direttrici culturali.


L’artista manifesta un peculiare astrattismo che gli consente magistralmente di rendere autonoma la sua arte eliminando del tutto il soggetto reale e la sua raffigurazione senza rinunciare ad un deciso impatto visivo ed emozionale. A proposito degli sviluppi più recenti della sua poetica Greca afferma una concezione del sociale inquietante:”Quanto più è spaventoso questo mondo ( come oggi) tanto più astratta è l’arte” (in “ Enna Arte). L’autore, spesso col titolo “Catrame” “Quasi un paesaggio” ci presenta lavori in cui domina la forza espressiva del colore; troviamo spesso il giallo che rappresenta il grano,

il rosso simbolo di protesta ed infine il nero racchiuso in un triangolo che urla al cambiamento. Greca coglie l’essenza delle cose mediante la felice individuazione di una realtà trasferita in simboli. Immaginate nello stesso tempo un artista e un linguaggio di nuovo conio che spiazzano lo spettatore evocando inconsuete dimensioni spirituali, immagini mentali di potente efficacia descrittiva e un commosso amore per la natura. Le sue opere sono infatti la rappresentazione di paesaggi, i quali scolpiscono l’eterno che è insito nella nostra effimera realtà.

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