N°23 settembre-ottobre 2017 www.rivista20.jimdo.com
periodico bimestrale d’Arte e Cultura ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE
Joan Mirò
a Palazzo Chiablese -Torino
Edito dal Centro Culturale ARIELE
ENZO BRISCESE
BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE
del Centro Culturale Ariele
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Lo stagno della memoria - t.m. su tela - 2007
Hanno collaborato: Giovanna Alberta Arancio Francesca Ramarony Tommaso Evangelista Lodovico Gierut Silvia Grandi Irene Ramponi Letizia Caiazzo Graziella Valeria Rota Alessandra Primicerio Virginia Magoga Roberta Panichi Enzo Briscese Paola Corrias Cinzia Memola Nicolò Marino Ceci Barbara Vincenzi www. riv is t a 2 0 . jimd o . c o m
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Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedì al venerdì tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com -----------------------------------------------------
albero - t.m. su tela - 2012
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mail: enzobriscese6@gmail.com cell. 347.99 39 710
In copertina: opera di JOAN MIRO’
Sommario N° 24 *settembre-ottobre 2017
In copertina
foto opere di Joan Mirò
Apertura al pubblico: 23 giugno - 10 settembre 2017
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Mirò, sogno e colore Palazzo chiablese - Torino
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L’opinione
di Giovanna Arancio linguaggi en luoghi dell’imm.
10 Giovanni Boldini alla Regia di Venaria - Torino
14 Felice Casorati 16 Eventi Valle D’AOSTA da Raffaello a Balla. castello di Bard.
17 Eventi Valle D’AOSTA Steve Mc Curry. castello di Bard.
18 Eventi LOMBARDIA Dentro Caravaggio Palazzo Reale - Milano
19 I Macchiaioli
Galleria GAM Manzoni - MI
20 Eventi LIGURIA
personale di Elio Randazzo Castello di Rapallo
22 Fulber e il suo Rivisitismo a Sanremo - La Mongolfiera
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Jorge Valladares Dieguez
26 Eventi VENETO David Ockney
28 Eventi FRIULI V. G. Graziella Valeria Rota...
48 Diego Perrone
Spazio Murat - Bari
50 Eventi CAMPANIA
Amori Divini - Museo Museo Archeologico di Napoli
30 Eventi TOSCANA
51 L’opinione di Letizia Caiazzo
32 Eventi TOSCANA
52 Sette secoli di arte sacra
36 Tommaso Andreini
53 Eventi CALABRIA
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54 I vent’anni del Maon di Rende
Roberto Barni - Controversie
Marino Marini
Giacomo Tinacci
38 Enzo Briscese
Giuseppe Oliva
40 Eventi LAZIO
55 Il ponte di Santiago Calatrava a Cosenza
43 Renzo Sbolci
56 Eventi SICILIA
44 Eventi UMBRIA De Chirico, Sironi, Depero ... le regole alle logge
57 Giuseppe Greca
46 Eventi PUGLIA
58 Salvatore Alessi
Jean Arp
Man Ray Castello di conversano
Renato Guttuso
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PIEMONTE
MIRÓ! SOGNO E COLORE 4 ottobre 2017 al 14 gennaio 2018 Palazzo Chiablese, Piazza San Giovanni, 2 - Torino Il calendario artistico torinese si arricchisce nel 2017 di un grande evento: la mostra “Miró! Sogno e Colore” in programma dal 4 ottobre a Palazzo Chiablese. Esposte a Torino ci saranno oltre 130 opere risalenti al periodo tardo quando l’artista catalano, dopo aver ottenuto numerosi riconoscimenti in patria e dopo aver creato la Fondaciò Joan Mirò a Barcellona, si dedicò alla pittura quadridimensionale, alla scenografia e alle grandi sculture e alla mail art. Le opere, quasi tutti olii di grande formato, saranno esposte a Palazzo Chiablese grazie al generosissimo prestito della Fundació Pilar i Joan Miró a Maiorca, che conserva la maggior parte delle opere dell’artista catalano create nei 30 anni della sua vita sull’isola. In mostra i prestiti eccezionali tra i quali capolavori come Femme au clair de lune(1966), Oiseaux (1973) e Femme
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dans la rue (1973), tutti esposti a Torino per raccontare la sperimentazione ricercata da Miró all’interno delle principali correnti artistiche del ventesimo secolo come il Dadaismo, il Surrealismo e l’Espressionismo.
Orari: Lunedì: dalle 14.30 alle 19.30 Martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica dalle: 9.30 alle 19.30 Giovedì: dalle 9.30 alle 22.30 La cassa chiude un’ora prima della mostra Biglietto intero: 15,50 € per informazioni: www.ticketone.it Aperture straordinarie: Mercoledì 1 novembre 9.30 – 19.30 Venerdì 8 dicembre 9.30 – 19.30 Domenica 24 dicembre 9.30 – 17.30 Lunedì 25 dicembre 14.30 – 19.30 Martedì 26 dicembre 9.30 – 19.30 Domenica 31 dicembre 9.30 – 17.30 Lunedì 1 gennaio 12.30 – 19.30 Sabato 6 gennaio 9.30 – 19.30
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Figlio di un orefice e orologiaio, Joan Miró cominciò a disegnare dall’età di 8 anni. Su consiglio del padre, Miró intraprese studi commerciali ma in parallelo frequentò lezioni private di disegno; dal 1910 al 1911 lavorò come contabile in una drogheria, finché un esaurimento nervoso non lo convinse a dedicarsi all’arte a tempo pieno. Fu il lungo periodo di convalescenza passato nella casa di famiglia a Mont-roig del Camp a consolidare definitivamente la sua vocazione; lo stesso Miró riconobbe in seguito in Mont-roig e Maiorca i due poli della sua ispirazione. Tornato a Barcellona nel 1912, frequentò l’Accademia Galí fino al 1915, dopodiché passò al Circolo Artistico di Sant Lluc. Nel 1916 Mirò affittò uno studio ed entrò in contatto con personalità nel mondo dell’arte. Furono questi gli anni in cui Miró scoprì il fauvismo e in cui tenne la sua prima esposizione personale alle Galeries Dalmau (1918).
Attirato dalla comunità artistica che si riuniva a Montparnasse, nel 1920 si stabilì a Parigi, dove conobbe Picasso e il circolo dadaista di Tristan Tzara. Già in questo periodo, in cui disegnava nell’accademia La Grande Chaumière, cominciò a delinearsi il suo stile decisamente originale, influenzato inizialmente dai dadaisti ma in seguito portato verso l’astrazione per l’influsso di poeti e scrittori surrealisti. Nel 1926 collaborò con Max Ernst per la scenografia di Romeo e Giulietta e realizzò il celebre Nudo. L’anno successivo,
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dopo la morte del padre, Miró si trasferì alla Cité des Fusains ed ebbe come vicini, oltre ad Ernst, anche Jean Arp e Pierre Bonnard. Sempre a Parigi, nel 1928, la sua esposizione nella galleria Georges Bernheim lo rese famoso. Il 12 ottobre 1929 Miró sposò Pilar Juncosa (17 luglio 190425 novembre 1995) a Palma di Maiorca; la coppia ebbe una unica figlia di nome María Dolores (nata il 17 luglio 1931 e morta il 26 dicembre 2004). Iniziò in questi anni la sperimentazione artistica di Miró, che si cimentò con le litografie, l’acquaforte e la scultura, nonché con la pittura su carta catramata e vetro. Con lo scoppio della guerra civile spagnola (1936) tornò a Parigi, dove si dedicò a raccogliere fondi a favore della causa repubblicana, ma fece ritorno in Spagna al momento dell’invasione nazista della Francia. Da questo momento visse stabilmente a Maiorca o a Montroig. Miró fu uno dei più radicali teorici del surrealismo, al punto che André Breton, fondatore di questa corrente artistica, lo descrisse come “il più surrealista di noi tutti”. Tornato nella casa di famiglia, Miró sviluppò uno stile surrealista sempre più marcato; in numerosi scritti e interviste espresse il suo disprezzo per la pittura convenzionale e il desiderio di “ucciderla”, “assassinarla” o “stuprarla”[1] per giungere a nuovi mezzi di espressione. La prima monografia su Miró fu pubblicata da Shuzo Takiguchi nel 1940. Dopo la morte della madre, avvenuta nel 1944, Miró iniziò a dedicarsi a lavori sfusi di ceramica e a sculture di bronzo.
Nel 1954 Miró vinse il premio per la grafica alla Biennale di Venezia e nel 1958 il Premio Internazionale Guggenheim. In questi anni fece molti viaggi ed esposizioni negli Stati Uniti. Fin dal 1956 si stabilì definitivamente a Palma di Maiorca in una casa progettata e costruita dal cognato, cui aggregò in seguito un laboratorio e uno studio di pittura grazie all’aiuto dell’amico Josep Lluís Sert. Al fine di preservare la
proprietà così delineatasi, per lui luogo creativo per eccellenza, Miró ne donò parte alla cittadinanza, che nel 1981 vi allestì la Fundació Pilar e Joan Miró. Negli anni Settanta e Ottanta Mirò si dedicò pure alla Mail art, come indicato nel libro Recupero della Memoria di Eraldo Di Vita, che ha avuto rapporti epistolari col pittore spagnolo. Già nel 1972, d’altronde, Miró aveva creato la Fundació Joan Miró a Barcellona. Nel 1978 si dedicò alla scenografia per uno spettacolo teatrale, nonché alla scultura monumentale. Risale a questo periodo la sua celebre scultura Dona i ocell (Donna e uccello), che si trova nel parco Joan Miró a Barcellona.
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Per i riconoscimenti in patria Miró dovette attendere gli anni della vecchiaia e la caduta del franchismo: nel 1978 ricevette la Medalla d’Or de la Generalitat de Catalunya; nel 1979l’Università di Barcellona gli conferì la laurea honoris causa (l’Università di Harvard aveva già provveduto nel 1968); nel 1980 ricevette la medaglia d’oro delle Belle Arti dal re di Spagna Juan Carlos; nel 1981 fu premiato con la medaglia d’oro di Barcellona. In età avanzata Miró accelerò il suo lavoro, creando ad esempio centinaia di ceramiche, tra cui i Murales del Sole e della Luna presso l’edificio dell’UNESCO a Parigi. Si dedicò pure a pitture su vetro per esposizione. Negli ultimi anni di vita Miró concepì le sue idee più radicali, interessandosi della scultura gassosa e della pittura quadridimensionale. Joan Miró morì a Maiorca all’età di 90 anni e venne sepolto a Barcellona, nel cimitero di Montjuïc.
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L’opinione Giovanna Arancio presenta
LINGUAGGI E LUOGHI DELL’IMMAGINARIO “L’opera d’arte è una sorta di presentazione, di ogni idea totalizzante. Si tratta però di allontanarsi da ogni iper-esperienza mentale, sovraeccitata fino a inaugurale esibizione di senso” disconoscere la realtà, e da opposte e complementari (M. Heidegger) Ci sono state modificazioni del tempo presente che hanno provocato, per certi versi, un forte indebolimento dell’immaginario collettivo, trasformato dalla eccessiva velocità, in specie dall’aggressività dei nuovi media: spesso manca una riflessione attiva sulle informazioni veicolate determinando di fatto anche un impoverimento linguistico generale.
isterie che trascinano all’acquiescenza e allo schiacciamento del gusto.
I riferimenti spaziotemporali infatti sono al di là di tempi e luoghi misurabili, la forma e il segno centrano il cuore del linguaggio mentre l’esperienza creativa rappresentata é reale ma non tangibile ed é rafforzata da un colorismo abile e intenso, qualunque sia la tavolozza prescelta.
Sebbene ciascun artista tenda a costruire un suo modo per comunicare e per realizzare il proprio percorso il fine comune che muove il desiderio di “ fare arte” é la condivisione; la sfida costante sta nel mettere in rapporto il soggettivo con il collettivo e la personale identità con la cultura del tempo storico in cui si vive. Il rapporto con la storia é pertanto condizionato dal potere dei nuovi immaginari che risentono della dimensione spettacolare, a sua volta debitrice della pubblicità e rispondente esclusivamente a un pensiero logico. L’immagine artistica si manifesta come metafora della vita, così riesce a incantarci. Soffermarsi su questo significa ripercorrere un aspetto primordiale dell’animo, ritornando al valore simbolico ed espressivo: é un confronto con l’altrove in cui emergono desideri, angosce, invenzioni, vale a dire un antidoto contro
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Splendida mostra alla Regia di Venaria - Torino dal 29 luglio 2017 al 28 gennaio 2018
GIOVANNI BOLDINI Con 115 capolavori tra olii e pastelli arriva, nelle Sale delle Arti della Reggia di Venaria -dal 29 luglio 2017 al 28 gennaio 2018- la mostra Giovanni Boldini: una raccolta ricca e spettacolare della produzione di Boldini e di altri artisti a lui contemporanei, tra cui Giuseppe De Nittis, Telemaco Signorini e Federigo Zandomeneghi. Il fascino femminile, gli abiti sontuosi e fruscianti, la Belle Époque, i salotti: è il travolgente mondo di Giovanni Boldini, genio della pittura che più di ogni altro ha saputo
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restituire le atmosfere rarefatte di un’epoca straordinaria. La mostra ricostruisce passo dopo passo il geniale percorso artistico del grande maestro italo-francese che non è stato solo uno dei protagonisti di quel periodo ineguagliabile, o solo il geniale anticipatore della modernità novecentesca, ma colui che nelle sue opere ha reso ed esaltato la bellezza femminile, svelando l’anima più intima e misteriosa delle nobili dame dell’epoca. Con il Patrocinio della Città di Torino, la mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia e La Venaria Reale, e curata da Tiziano Panconi e Sergio Gaddi. L’esposizione vanta la collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia, che ha concesso alcuni film d’epoca, e con la Fondazione Arte Nova, che ha prestato mobili e oggetti in stile Liberty floreale. La mostra si svolge presso le Sale delle Arti Dal 29 luglio 2017 al 28 gennaio 2018 Biglietti per la mostra e “Sere d’Estate con tutte le mostre in corso”, biglietto “Tutto in una Reggia”
Giovanni Boldini, Ritratto del padre Antonio Boldini, 1867, olio su tela, 65x53cm, collezione privata, Ferrara
A Firenze nel 1846, il pittore ferrarese entrò in contatto con i macchiaioli, liberandosi dai convenzionalismi della raffigurazione tardo-romantica a favore di una resa verosimile e vitale del soggetto, data dal fascino chiaroscurale del tratto. La prima sala regala al visitatore una delle opere più commoventi della collezione: è il Ritratto di Antonio Boldini (1867), padre dell’artista. Rappresenta un addio allo stile “didascalico” a favore di un’evoluzione definitiva – il ductus fluido della pennellata, la vibrante ariosità e l’effetto sprezzantemente neosecentesco sono le nuove peculiarità. Un legame necessario, quello con la pittura macchiaiola, intransigente e rigorosa nel fraseggio di luci e ombre.
La signora in rosa
Stabilitosi a Parigi nel 1872, il pittore italiano diverrà il massimo rappresentante del ritratto d’epoca, mondano o di rappresentanza, distinguendosi tra i ritrattisti della sua epoca per l’abilità del disegno, la ricerca preziosa del colore, ottenuta sia attraverso una tavolozza ridotta ai soli bruni e neri, sia attraverso toni talvolta violenti, ma sempre gustosamente accostati, abilmente disposti con un virtuosismo che lo condusse a uno stile del tutto originale e personale, superando per successo molti altri pittori quali Stevens, Sargent, Lenbach, Lazlò, Fortuny, Lavery, Zuloaga, Blanche, Besnard, Orpen, dediti tutti ad immortalare la bella società.
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Tra i moltissimi ritratti ricordiamo quello di Emiliana Conca De Ossa esposto alla Galleria d’Arte Moderna di Milano per il quale vinse la medaglia d’oro al Salon del 1899 e quello del pittore inglese Whistler, che presentò all’esposizione Universale di Parigi del 1900, il ritratto di Montesquieu ora al Musèe d’Orsay e la celeberrima testa di Giuseppe Verdi ritratto a pastello. Non ancora femme fatale, la contessa è raffigurata in un’atmosfera di intimità, senza messa in posa: colpiscono, oltre all’uso del pastello e all’originale inquadratura mossa che rimandano a Degas, la rapidità di esecuzione e la maniera sottile dei tratti neri che ospitano le modulazioni di ombre e colori luminosi. Artista sempre attento a captare ogni segnale della Storia, Boldini era affascinato dai nuovi riti urbani e dal mito del progresso: in quadri come Corse a Longchamp (1890) sembra anticipare il Futurismo per la velocità d’esecuzione e allo stesso tempo caratterizza la figura umana, definendola e delineandola. Nel tumulto sociale del cambiamento, la donna, di contro, viene sottratta alla quotidianità per essere sublimata in una condizione di divinità terrena basata sulla bellezza. In Ritratto di signora in bianco con guanti e ventaglio del 1889, infatti, Boldini non imita il reale, ma aggiun-
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ge vita alla vita. Il pastello della misteriosa donna, altera ed elegantissima nel suo abito bianco, è l’immagine della “femminilità suprema”, pudica, elegante e irresistibile. Il nuovo modello divenne quello delle “divine” (definizione, si dice, coniata dallo stesso pittore), immortalate in letteratura da D’Annunzio; figure vitali, tanto carnali e reali quanto ideali e trasfigurate, che segnarono, nell’arte come nella società, tutta la prima metà del Novecento.
Il Novecento consacrò Boldini tra gli artisti più celebri a livello internazionale; la sua fama venne sancita dalla mostra di New York del 1897, che lo vide all’apice del successo. Le “divine” di Boldini vennero descritte dal poeta ed esteta Robert de Montesquiou come “le Sfingi dell’atelier, il cui enigma modula, in cento tele, le due frizzanti parole: Modernità, Pariginismo”. I nuovi abiti luccicanti, il divertimento salottiero e l’idea di spensieratezza sono il simbolo della Belle Époque; le visioni folgoranti risaltano l’emancipazione della donna, finalmente consapevole della sua capacità espressiva.
Uno straordinario esempio è il Ritratto di Mademoiselle De Nemidoff (1908): l’opera rivela sia la personalità forte e volitiva, sia la capacità d’introspezione psicologica tipica di Boldini; fasciata nel lungo abito nero che risalta le nude spalle bianche, la famosa cantante dell’Opéra di Parigi è ritratta in una posa serpentina e ammiccante. Infine lo sguardo, celebrazione ipnotica di “emanazioni di calore, tremori, contraddizioni” che si confondono con i desideri
stessi dell’autore. Tuttavia, nella nevrosi della guerra mondiale, lo sfaldarsi di tutti i principi racchiusi nelle opere boldiniane definiscono una distanza ormai incolmabile con l’atmosfera privilegiata ai margini di un ulteriore mutamento, suggerendo il segno di un’imminente decadenza. Agli inizi della prima guerra mondiale Giovanni Boldini si trasferisce prima a Londra e poi sulla Costa Azzurra, a Nizza. Nel 1918, quando la guerra volge al termine, rientra a Parigi e l’anno dopo il Governo Francese lo insignisce della Legion d’Honneur. Boldini negli anni tardi della sua vita dovette abbandonare la pittura a causa di un calo della vista, ma nel 1926 conosce, concedendole un’intervista per la ”Gazzetta del popolo”, la giornalista trentenne Emilia Cardona, che diverrà sua moglie il 29 ottobre 1929. Giovanni Boldini, affetto da broncopolmonite, muore a Parigi l’11 gennaio 1931, all’età di 89 anni.
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FELICE CASORATI
Nasce a Novara il 4 dicembre 1883, muore a Torino il 1° marzo 1963. Trascorse l’infanzia a Milano, Reggio Emilia, Sassari e, infine, a Padova, dove si dedicò agli studi musicali con un’intensità tale da rimanere vittima di un esaurimento nervoso all’età di diciotto anni. Durante un periodo di riposo a Praglia, sui colli Euganei, cominciò a dipingere, eseguendo la prima opera nota, un paesaggio padovano del 1902. Affinò la tecnica presso l’artista Giovanni Vianello. Nel 1907 si laureò in Giurisprudenza nell’università di Padova, decidendo tuttavia di dedicarsi alla carriera artistica. Ritratto di signora, un’elegante immagine della sorella Elvira, fu ammesso dalla giuria alla Biennale di Venezia nel 1907. A Napoli dal 1908 al 1911, studiò l’opera di Pieter Brueghel il Vecchio, nella collezione del Museo Nazionale. Le sue opere furono esposte alla Biennale del 1909 e del 1910; in questa seconda occasione rimase fortemente impressionato dalla sala dedicata a Gustav Klimt. Lo stile simbolico e decorativo della Secessione viennese influenzò in maniera determinante le successive opere di Casorati. Tra il 1911 e il 1915 visse a Verona fondando insieme con altri, nel 1914, la rivista La Via Lattea, alla quale collaborò con illustrazioni di stile art nouveau alla maniera di Jan Toorop e Aubrey Beardsley. Durante gli ultimi anni fu vicino agli artisti di Ca’ Pesaro, Arturo Martini, Gino Rossi, Umberto Moggioli, Pio Semeghini, il cui orientamento europeo lo introdusse ai recenti sviluppi artistici di Parigi e Monaco.
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Casorati fu arruolato nell’esercito nel 1915. Alla morte del padre nel 1917 si trasferì con la famiglia a Torino, divenendo ben presto una figura centrale nei circoli intellettuali della città.
Strinse rapporti di amicizia con il compositore Alfredo Casella e con Piero Gobetti, aderendo nel 1922 al gruppo della “Rivoluzione Liberale”. Nel 1923, in conseguenza dell’amicizia con l’antifascista Gobetti, subì un arresto e alcuni giorni di carcere; dopo quell’episodio evitò di entrare in conflitto aperto con il regime. A Torino nel 1921 Casorati aprirà una scuola di pittura per giovani artisti, un’esperienza completamente nuova e lontana da ogni sistematicità d’accademia, allievi con cui esporrà nel 1929 alla mostra “Casorati fra i discepoli”, accompagnata da un testo di Giacomo Debenedetti in cui sono ricordati, tra gli allievi, Silvio Avondo, Nella Marchesini, Daphne Maugham, Marisa Mori, Andrea Cefaly junior, Sergio Bonfantini, Albino Galvano, Paola Levi Montalcini, Lalla Romano, Riccardo Chicco. Nelle opere della maturità, nel periodo post bellico, come il Ritratto di Silvana Cenni del 1922 e Meriggio del 1923, al dettaglio decorativo si sostituì la meditazione di una forma essenziale, influenzata dalle costruzioni spaziali matematiche della pittura quattrocentesca e, in particolare, dall’atmosfera di immobilità tipica dell’opera di Piero della Francesca. Nel 1924 Casorati tenne una personale alla Biennale, accompagnata da un autorevole saggio di presentazione in catalogo di Lionello Venturi. La purezza cristallina e il tono enigmatico delle composizioni casoratiane contribuirono a delineare il “realismo magico”, condiviso in origine dal gruppo di Novecento. Pur partecipando alle mostre del “Novecento italiano” del 1926 e del 1929, Casorati si mantenne tuttavia autonomo rispetto al movimento di Margherita Sarfatti. Nel corso degli anni venti assunse un ruolo guida nella vita culturale italiana. Nel 1923 aprì nello studio di via Mazzini a Torino una scuola per giovani artisti; tra gli allievi ebbe Francesco Menzio, Carlo Levi, Gigi Chessa e Jessie Boswell, che in seguito fecero parte del gruppo dei “Sei pittori di Torino”. Più tardi accolse anche i pittori piemontesi Enrico Accatino e Caty Torta, e la pittrice modenese Ida Donati Formiggini, moglie del deputato socialista Pio Donati. Nel 1930 sposò Daphne Maugham, che frequentava la sua scuola dal 1926; fu pittore anche il figlio Francesco. Nel 1925 fu tra i fondatori della Società di Belle Arti Antonio Fontanesi, allo scopo di promuovere mostre di artisti italiani e stranieri dell’Ottocento e contemporanei. L’amicizia con l’industriale e collezionista Riccardo Gualino incoraggiò l’interesse di Casorati per il design di interni. Nel 1925 lavorò con Alberto Sartoris al teatrino di casa Gualino. Alla III Biennale delle arti decorative organizzata dall’ISIA di Monza nel 1927 collaborò con Sartoris alla “via commerciale” per il padiglione piemontese; progettò inoltre l’atrio della Mostra dell’architettura alla Triennale di Milano del 1933. Nel 1935 lo studio di Casorati ed Enrico Paulucci ospitò la “Prima mostra collettiva d’arte astratta italiana”, comprendente opere di Licini, Melotti e Fontana. Casorati vinse il Gran Premio per la pittura alla XXI Biennale di Venezia nel 1938. Ricevette riconoscimenti ufficiali anche alle grandi esposizioni di Parigi, Pittsburgh e San Francisco
alla fine degli anni trenta. Fu particolarmente attivo nella creazione di scene e costumi per il Teatro dell’Opera di Roma, la Scala di Milano e il Maggio musicale fiorentino, attività che proseguì anche nel dopoguerra. Nel 1941 gli venne assegnata la cattedra di Pittura all’Accademia Albertina di Torino. La fama che allora lo circondava indusse il Verzocchi, a contattarlo alla fine degli anni quaranta, per contribuire alla sua collezione sul lavoro nella pittura contemporanea. Nel 1952 tenne una personale alla Biennale, e con Ottone Rosai, ricevette il premio speciale della Presidenza.
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VALLE D’AOSTA
I capolavori dell’Accademia Nazionale di San Luca.
Da Raffaello a Balla - Castello di Bard Dall’1 luglio 2017 al 7 gennaio 2018
La sede espositiva più prestigiosa del Forte di Bard, le Cannoniere, dotata delle caratteristiche climatologiche e illuminotecniche adatte ad accogliere opere d’arte, ospita 115 opere tra olii su tela, tavole, bronzi, terrecotte e gessi, realizzati dal XVI al XX secolo, con un importante nucleo di dipinti e sculture risalenti ai secoli XVII e XVIII. Per la prima volta un insieme così ricco di opere di proprietà dell’Accademia Nazionale di San Luca, una delle più antiche e importanti istituzioni culturali italiane attive a livello nazionale e internazionale nel campo dell’arte, lascia la sede romana di Palazzo Carpegna e, in collaborazione con l’Associazione Forte di Bard realizza un evento espositivo di così ampia portata. La mostra si sviluppa lungo sette ampie sale e segue un andamento cronologico, iniziando con l’opera più preziosa in esposizione, un affresco staccato raffigurante un putto, dipinto da Raffaello Sanzio. Accanto a Raffaello, capolavori che documentano i due centri rinascimentali più influenti nella penisola, la Toscana e il Veneto, con opere di Agnolo Bronzino, Giambologna, Jacopo da Bassano e Palma il Giovane. Il Seicento è rappresentato da opere di Guido Reni, Guercino, Gian Lorenzo Bernini. Capolavori di Rubens e Van Dyck e di esponenti della pittura fiamminga e olandese come Jan De Momper e Michiel Sweerts. Giovan Battista Piazzetta e le splendide vedute archeologiche di Giovanni Paolo Pannini documentano la sezione dedicata al Settecento, che si chiude con il bellissimo olio di Angelika Kauffmann,
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“L’Allegoria della Speranza”. L’Ottocento presenta invece il tema del ritratto con i lavori di Andrea Appiani, Elisabeth Vigée-Lebrun, i gessi di Canova e Thorvaldsen e Francesco Hayez. La parte finale è dedicata al movimento milanese degli Scapigliati, con dipinti di Tranquillo Cremona e Federico Faruffini; due olii di Giacomo Balla, un “Autoritratto” e il “Contadino” del 1902 fra i capolavori del Novecento.
STEVE McCURRY Mountain Men
Il Forte di Bard presenta un inedito progetto espositivo di uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea internazionale, che affronta i temi della vita nelle zone montane e della complessa interazione tra uomo e terre di montagna. Una selezione di paesaggi, ritratti e scene di vita quotidiana mette in evidenza il continuo e necessario processo di adattamento delle popolazioni al territorio montano, che influenza ogni aspetto dello stile di vita delle persone: dalle attività produttive al tempo libero, dalle tipologie di insediamento, di coltivazione e di allevamento ai sistemi e mezzi di trasporto. Il tema della mostra è la vita in montagna, ossia evidenziare attraverso un percorso di immagini le specifiche antropologiche delle popolazioni di montagna, che vivono in montagna, i legami e le interazioni fra gli uomini e l’ambiente e la terra in aree non pianeggianti. La montagna influenza il modo di vivere e tutte le attività dell’uomo, dai trasporti al tempo libero, dall’agricoltura alla produzione di energia, al costo stesso della vita. Oltre a far conoscere al pubblico la vasta produzione di Steve McCurry, la mostra propone in anteprima assoluta, il frutto di una campagna fotografica condotta in tre periodi di scouting e shooting, tra il 2015 e il 2016, che ha avuto come teatro la Valle d’Aosta e le sue montagne; un vero e proprio “mountain lab”, laboratorio a cielo aperto sulle specifiche della vita di montagna, dove tra l’altro spiccano i quattro 4.000 metri delle Alpi: Monte Bianco, Cervino,
Gran Paradiso e Monte Rosa. Il progetto espositivo prevede anche, per i più appassionati, la possibilità di iscriversi ad un workshop con il grande fotografo, della durata di due giorni e mezzo con inizio al venerdì e termine la domenica , in programma dal 15 al 17 settembre 2017 e con numero chiuso di 20 partecipanti (per informazioni eventi@fortedibard.it). Dal martedì al venerdì: 10.00-18.00 Sabato, domenica e festivi: 10.00-19.00 Chiuso il lunedì Aperta tutti i giorni dal 30 luglio al 3 settembre. Intero: € 9.00 Ridotto: € 7.00 Gratuito per minori di 6 anni e persone con disabilità.
Tel: 0125 833811 E-mail: info@fortedibard.it Sito: www.fortedibard.it
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LOMBARDIA
“DENTRO CARAVAGGIO”
a Palazzo Reale - Milano dal 29 settembre 2017 al 28 gennaio 2018
La mostra di Caravaggio presso Palazzo Reale a Milano rappresenta un’occasione unica per vedere riuniti 20 capolavori di questo pittore geniale e dannato, dalla vita breve e turbolenta, autore di dipinti famosi in tutto il mondo. Caravaggio (1571-1610), definito “mostro di naturalezza” dai critici del’600, nelle sue opere ha sempre dipinto il vero interpretando la realtà scegliendo tra popolani e prostitute i suoi modelli per rappresentare le figure sacre, scontrandosi contro le consuetudini dell’iconografia ufficiale imposta ai tempi. E fu proprio il suo carattere ribelle e controcorrente che lo portò ad eccellere nell’arte, ad essere molto ammirato da artisti di tutta Europa tra cui Pieter Paul Rubens, ma anche a costringerlo a fughe precipitose per problemi con la giustizia, in varie tappe che da Roma, città molto amata dal pittore, lo portarono a Napoli, a Malta e in Sicilia, luoghi nei quali l’artista ha creato opere di straordinaria bellezza, arricchendosi di nuove influenze artistiche e lasciando una forte impronta sui pittori locali che saranno poi per questo definiti caravaggeschi. L’arte di Caravaggio è caratterizzata dalla piena realizzazione delle ricerche sulla luce, sul movimento e sui cosiddetti “moti dell’anima”, ovvero esperimenti di rappresentazione di espressioni estreme ispirati dagli studi su Leonardo Da Vinci e Giorgione. Nonostante all’epoca la sua arte fosse considerata sacrilega sotto diversi aspetti, è proprio la veridicità delle espressioni dei suoi personaggi che colpì gli spettatori del tempo e che ancora oggi riesce ad affascinarci. La mostra di Caravaggio a Palazzo Reale a Milano presenta una galleria di capolavori dell’artista di inestimabile bellezza, provenienti dalle più prestigiose istituzioni
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museali del mondo, messi in rapporto con i risultati delle indagini scientifiche che negli ultimi anni hanno permesso di gettare nuova luce sulla sempre misteriosa vicenda biografica e artistica di Caravaggio.
Orari Mostra: Lunedì: 14.30–19.30 Martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30-19.30 Giovedì e sabato: 9.30-22.30
“I MACCHIAIOLI”
LOMBARDIA
collezioni lombarde” presso la Galleria GamManzoni a Milano dal 20 ottobre 2017 al 25 febbraio 2018
La mostra “Macchiaioli. Capolavori da collezioni lombarde” presso la Galleria GamManzoni a Milano costituisce un’occasione imperdibile di approfondimento sull’esperienza pittorica che segnò il nuovo corso dell’arte italiana alla metà dell’Ottocento. Negli anni precedenti l’unità d’Italia, mentre in Francia si diffondeva la poetica del Realismo, a Firenze, presso il Caffè Michelangelo, si radunò un gruppo di artisti provenienti da tutta Italia, decisi a superare la tradizione accademica attraverso un rinnovamento dei generi pittorici. Così da un lato, nel quadro di storia, complice la partecipazione in prima persona di molti pittori alle guerre risorgimentali, si abbandonarono progressivamente i temi del passato a favore dei temi della contemporaneità. Dall’altro, sull’esempio francese, l’esigenza della rappresentazione del vero, portò all’affermazione della pittura di paesaggio e della scena di genere che vide rispettivamente protagonisti i territori agresti e marittimi della Toscana e gli esponenti della borghesia fiorentina. Al rinnovamento dei generi pittorici si accompagnò la rivoluzione dello stile, basata sull’accostamento dei colori attraverso pennellate essenziali , “macchie”, metodo che valse ai pittori del Caffè Michelangelo l’appellativo derisorio di “Macchiaioli”. Tale tecnica, usate nelle accademie solo per i bozzetti, venne elevata dai Macchiaioli a strumento per ottenere una presa rapida ed efficace della realtà, con effetti di straordinari contrasti tra luce e ombra. Nella mostra “Macchiaioli. Capolavori da collezioni lombarde” della Galleria GamManzoni è possibile ammirare trentacinque capolavori provenienti da collezioni private lombarde, realizzati dai principali protagonisti dell’esperienza artistica macchiaiola; spiccano in particolare Educazione al lavoro di Silvestro Lega, L’analfabeta di Odoardo Borrani, Silvestro lega che dipinge sugli scogli di Giovanni Fattori e Settignano di Telemaco Signorini. Tra
scene di vita quotidiana al femminile, paesaggi popolati da butteri e buoi e assolate marine un importante omaggio al movimento che ha rivoluzionato il corso dell’arte italiana dell’Ottocento.
orari mostra: da martedì a domenica: 10.00-13.00; 15.00-19:00
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LIGURIA
SOTTO QUELLE TELE
I profumi dell’aria di primavera e i colori immortali di ELIO RANDAZZO presso l’antico castello sul mare di Rapallo a cura di Enrica Marcenaro e Rossella Soro
1944 - Autoritratto - china su carta cm 24x18
1934- Aereo in volo sul mondo tempera su cartone cm 37x25
La mostra su Elio Randazzo, nelle suggestive sale dell’Antico Castello sul Mare di Rapallo, ha il compito di ribadire il valore e la necessità dell’attenzione nei confronti delle avanguardie dello scorso secolo, delle quali il maestro Randazzo è stato tra i protagonisti, proprio accanto a Filippo Tommaso Marinetti, vedendolo tra i fondatori dell’Aeropittura. L’attuale esposizione, che attraverso temi e diramazioni da questi movimenti via via si evolve, superandone intenzioni e forme,testimonia l’ampiezza e la complessità dell’arte di Randazzo. Colpisce e affascina della sua storia pittorica lunga quasi un secolo,
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1952 - Tetti tempera su tavola cm 63x100
1958- Jvonne - olio su tela cm 25x25
1963 La corrida di Saragozza olio su tela cm 60x70
il grande rigore compositivo e il dilagare del colore, meditato, ricco, esaltante.Malgrado la guerra, la scia degli orrori e delle delusioni che portò con sé, lasciate le formidabili stagioni delle avanguardie guidate dai grandi del futurismo romano, ecco per Randazzo il “ritorno all’ordine” che vide il paesaggio e il disegno, inteso in tutte le sue forme, protagonisti della sua pittura.Realizza quadri piccoli, distillati delle sue tappe umane e artistiche, costruite con attenzione e con divertimento, ma non privo di un giudizio implacabile.Sembra di vederlo ancora davanti al suo cavalletto, nello studio della sua abitazione, con il pennello in mano, concentrato e intento ad aggredire una tela con asprezza, oppure a sedurla, blandir-
la, per renderla viva.Non si nascose mai verso una pittura graziosa, fredda o sfacciata, come quelle che tra gli anni Sessanta e Settanta a Genova andavano per la maggiore; fedele a se stesso e alla propria storia preferì non esporre più.Furono i critici, dopo vent’anni di silenzio, quelli che lo avevano conosciuto e apprezzato a fondo, a chiedere un suo nuovo coinvolgimento nel mondo dell’arte. Per Randazzo nacque una nuova stagione pittorica, che lo rese protagonista delle sue prime personali. Non è solo l’arte e la bellezza ad essere trasmessa dalle sue opere, ma l’umiltà, la pacatezza, il saper fare e sentire. Il suo alfabeto talvolta cambia, ma la verve è sempre quella, la sua pittura è sempre una festa per gli occhi e per il cuore.
1995- Barche- olio su tela cm 24x30
1993 L'arciere- olio su tavola cm 32x18_
2003- Fiori - olio su tela cm 30x23
2000 - Figura - cm 30x40 21
LIGURIA
Fulber e il suo Rivisitismo Sanremo / Galleria d’Arte La Mongolfiera dal 2 al 9 settembre 2017
La mostra personale di Fulvio Bernardini, alias Fulber, dal titolo “Il Rivisitismo di Fulber, i sentieri di Roy” nasce in collaborazione con Mariapia Ciaghi, direttrice della casa editrice Il Sextante. L’occasione è quella di celebrare l’anniversario della morte di Roy Lichtenstein (19231997) uno dei protagonisti della Pop Art, a
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vent’anni della sua scomparsa, e di focalizzare l’attenzione su Fulber, artista trentino, famoso illustratore e cartoonist che vanta pubblicazioni da parte del famoso comic-book americano “MAD”, creatore di personaggi quali Gary e Spike, ed evidenziare la sua ricerca artistica che in questi anni la critica ha denominato “Rivisitismo”.
La mostra, nel riproporre numerose opere di grandi artisti rivisitate dall’artista trentino, è inoltre occasione per porre in evidenza le affinità e gli accostamenti nelle modalità di esecuzione tra Roy Lichtenstein e Fulvio Bernardini; laddove l’artista americano si serve del fumetto per ragioni puramente formali, Fulber lo utilizza in modo più ironico e provocatorio inserendo al suo interno personaggi di fumetti da lui inventati, compiendo così, come lui stesso l’ha definita, un’operazione di “astrattismo”. L’inaugurazione si terrà il 2 settembre alle ore 18, presso la Galleria d’Arte La Mongolfiera a Sanremo. Sarà presente l’artista che verrà introdotto dal noto critico d’arte Maurizio Scu-
diero, studioso e specialista di arte moderna e contemporanea, in particolare degli artisti Fortunato Depero e Roberto Marcello Baldessari, nonché responsabile dei loro rispettivi archivi generali, curatore di mostre nazionali e internazionali e autore di oltre duecento libri, cataloghi di mostre e pubblicazioni di critica d’arte e grafica applicata. La mostra sarà visitabile fino al 9 settembre, tutti i giorni dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 16.00 alle 20.00, eccetto lunedì mattina e festivi. Per inf. tel +39 0184 508554 e/mail info@gallerialamongolfiera.it
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JORGE VALLADARES DIÉGUEZ
È nato nella provincia di Las Tunas / Cuba. e di inse gna me nto, divide il suo te mp o c o n È architetto, pittore, disegnatore e fotogra- l’ a r c hite ttur a , la f otogr a f ia , il dise g n o e la fo amatoriale. de c or a z ione d’ inte r ni. Gi à i n e t à p r e c oce disegna, dipinge e r e a l i zza l e su e p r i me esposizioni. . Nel 1984 vince il primo premio in un concorso di disegno a Puerto Padre, Las Tunas - Cuba. Nel 1 9 8 4 v i n c e il prim o prem io nel co nc ors o di d i se g n o n el comune di Puerto Pa dr e , Las Tu n a s- Cu b a. Nel 1 9 8 9 si l a u rea in architettura nell’ univ ers i t à d i C a m a guey/C uba. P i ù t a r d i f a c o r so e post-graduatorie e d e nt ra ne l l a p r e st i g iosa accademia di belle a r ti “s an a l e j a n d r o ” dove ha studiato le arti pla s t i ch e ( sp e c i a l i tà in disegno e pittura ) S i n d a l 1 9 9 5 r isiede in Paraguay. È sta to p ro fe sso r e n e l istituto superiore di be lle art i d i A su n c i o n , così come in divers e ga ll eri e d i a r t e e l a voratori locali. Nel l ’ a n n o 2 0 0 5 inaugura lo studio ar tistic i v al l a d a r e s, d o v e espone in m aniera p e r ma n ent e l e su e o p ere e fa corsi di disegn o te c n i co, d i se g n o a r tistico e pittura. Ol t re a l l ’ a t t i v i t à di plastica professio na le 24
Val l a d a r e s h a participato in varie e spos i zi o n i p e r so n a li e collettive, per le qua li al cu n e su e o p e r e si possono trovare ne lle col l e z i o n i a c u ba, E .U , P araguay, A rge ntin a, B r a si l , Ch i l e , C olom bia, E spaña, I ta lia , F ranc i a E a l t r i p aesi. A d i c e m b r e d e l 2008 ha ottenuto il pr imo p rem i o a l c o n c o rso - “Pintores S o l i d a r i o s N u evos”- organizzato da l c e nt ro U N E S CO della regione Murcia, UC O E R M, U C O MU R Y FMR M ad Asunci ón / P a r a g u a y. Nel l ’ a n n o 2 0 1 2 ha ottenuto m enzione a ll’ on o re a l c o n c o r s o D onna organizzato da lla F u n d a c i ó n F u n dar P Y. A di c e m b r e 2 0 14 partecipò alla bienn a le di P ari g i e i n si e m e a più di cento artisti d i dif -
f e r e nti pa e si otte nne il “ PREMI O EU RO PA I N ARTE” . Conse gna to da ll’ a ssoc ia z io n e ita lia na “ El Te mplo” . I n ge nna io 2015 e spone a Pa r igi e ric e v e il “ Pr e mio Ar t Pa r ís 2015” c onse gna to a un gr uppo di a r tisti se le z iona ti dal’ a c c a de mia Ac c a de mia de lla Nike ( I ta lia ) . Attua lme nte è me mbr o f onda tor e d e lla “ Asoc ia c ión de Ar tista s Solida r ios d e l Pa r a gua y” e me mbr o de lla Re d Cu ltu r a l Me r c osur.
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VENETO
DAVID HOCKNEY. 82 RITRATTI E UNA NATURA MORTA Cà Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna - Venezia dal 24 giugno al 22 ottobre 2017
Inglese di nascita ma californiano d’adozione, David Hockney è tra i più noti e affermati artisti contemporanei. Si forma al Royal College of Art di Londra tra il 1957 e il 1962 e dalla sua partecipazione nel 1960 alla mostra londinese Young Contemporaries alla Whitechapel Art Gallery viene catapultato sotto i riflettori sia in Inghilterra che, nel giro di pochi anni, in America. Dal 1964 si trasferisce a Los Angeles, dove traduce l’atmosfera della vita americana in opere famosissime dalle campiture sature dell’abbagliante luce californiana. L’elemento fgurativo riveste sempre nella sua produzione un ruolo cardine, declinato nei generi del ritratto e del paesaggio, associato a una costante interazione tra tecniche artistiche tradizionali e nuovi media. Eseguiti tra il 2013 e il 2016 e considerati dall’artista come un unico corpus di lavori, gli 82 ritratti esposti nella mostra di Ca’Pesaro offrono una particolare visione della vita di Hockney a Los Angeles, delle sue relazioni con il mondo artistico internazionale, con galleristi, critici, curatori, artisti, amici, volti celebri come quelli di John Baldessari, Lord Jacob Rothschild, Larry Gagosian, Stephanie Barron, ma anche di familiari e persone divenute parte della sua vita quotidiana. Hockney esegue ogni ritratto nelle medesime condizioni: il tempo di realizzazione è di tre giorni, durante i quali il soggetto si accomoda su una sedia, sem-
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pre la stessa, con alle spalle il medesimo sfondo neutro. Le 82 tele, tutte dello stesso formato, raccolgono una tassonomia di tipi e caratteri, un saggio visivo sulla forma e condizione umana che trascende le classificazioni di genere, identità e nazionalità. All’interno dell’apparentemente limitato formato della figura, assisa su uno sfondo bitonale, si frammenta e si esprime un’infinita gamma di temperamenti umani che testimoniano, ancora una volta, la grandezza di questo maestro della nostra contemporaneità.
In queste due pagine abbiamo riportato sette delle ottantadue opere in mostra a CĂ Pesaro - Venezia
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Friuli Venezia Giulia Graziella Valeria Rota Donatella Bartoli pittrice e scrittrice, è nata a Trieste, ha frequentato la Libera Scuola di Figura “Nino Perizi” in collaborazione con il civico Museo Revoltella. E’ stata recensita in diversi volumi delle edizioni Mondadori, sul “Governo delle cose” di Firenze e altre ancora. Sue opere sono presenti in collezioni sia pubbliche che private. Opera nell’ambito di
un realismo sintetico con uno stile personale inconfondibile. In arte una pennellata, una scelta di colore, un tratto, una sfumatura dovrebbe consentire l’identificazione di un’artista senza possibilità d’equivoco, senza essere confusa con il tale o il talaltra, Donatella Bartoli è il riconoscibile.
Ha questa fortuna, anzi, ha sviluppato questa capacità elaborando un codice di segni, forme e colori sempre personali e capaci di far riconoscere una sua opera al primo sguardo. I suoi personaggi, le sue ambientazioni, siano esse rocce o paesaggi boschivi, hanno impressa l’identità che proviene loro dalla personalità peculiare della Donatella che ha il vigore di un’artista consumata e il sorriso e la dolcezza di una bimba.
Ha esordito con la sua prima Personale nel 2002 e poi altre sue partecipazioni ad esposizioni nazionali in Italia oltre che nella natia rieste a Bologna, Torino, Venezia, Amalfi, Caserta, Roma, Napoli, Capri, Taormina, Forte dei Marmi, Treviso. Nel 2005 ha partecipato al Premio Regata storica ad Amalfi All’estero ha esposto a Parigi In Austria a Salisburgo in Slovenia nella capitale Lubiana, a Helsinki e a Sydney a Roma al Teatro Flaminio all’Expò di
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Shanghai, al padiglione francese Millenium Hotel di Dubai e “Imagoars” di Venezia. Si dedica anche alla scrittura e ha pubblicato opere di poesia quali: “ Fioriscono pietre” per le edizioni Libroitaliano World, e “Poesie nello spazio” per le edizioni Luglio, e “Come fiamma a lungo covata” Luglio Editore, autobiografia romanzata in cui descrive in modo ironico ma sincero le tappe della sua ricerca artistica e personale.
Info www.donatellabartoli.com - e-mail: donibartoli@yahoo.it
Rassegna d’ARTE “InConTra” a Trieste Biblioteca Statale “Stelio Crise” (Ministero Beni Culturali) L.go Papa Giovanni XXIII – settembre 2017
Graziella Valeria Rota - Lab. StudioGra Pina Nuzzo - Laboratorio Donn ae
Marija Pudane Lab. La Tessoria
Raffaela Ruju Tiloca Lab. Erboristeria Antichi Segreti
Laboratori info: studiograz2@yahoo.it – tel. 3389816181 29
TOSCANA
ROBERTO BARNI. CONTROVERSIE
Con inaugurazione sabato 26 agosto 2017 dalle ore 18.30, l’artista pistoiese Roberto Barni (1939) presenta il progetto Controversie appositamente pensato per gli spazi della Galleria Poggiali in via Garibaldi e per quelli in via Marconi nei suggestivi spazi dell’Ex Fonderia d’Arte Luigi Tommasi, sempre a Pietrasanta. La mostra presenta per la prima volta in una galleria le quattro sculture monumentali in bronzo: Atto Muto, Capogiri d’oro, Camminare in croce, Doppia controversia che erano state esposte a Venezia in occasione della Biennale nel complesso della celebre Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari e che avevano segnato il ritorno in laguna dell’artista pistoiese dopo le partecipazioni del 1980, 1984 e 1988, anno nel quale proprio all’ingresso del Padiglione Centrale ai Giardini era stata collocata la prima versione di Atto Muto: tre uomini silenti che sorreggono un piano circolare che adesso, in questa ultima apparizione, verrà collocata proprio nello spazio antistante l’Ex Fonderia. L’opera Capogiri d’oro verrà esposta nella Project Room di via Garibaldi 8. In questa scultura tre pedoni sono capovolti in una gabbia semi-conica: viene presentata quella che potremmo chiamare “drammaticità del quotidiano”, una drammaticità che
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non è frutto di gesti epici in una situazione tragica, ma della drammatica incapacità di governare la cultura materiale a cui abbiamo dato vita e di cui finiamo per essere vittime. Il punto culminante di questo filone di ricerca è esposto in questa mostra e costituisce un ulteriore momento di riflessione sulla condizione servile in cui si trovano gli uomini.
L’allusione del titolo al servomuto, mobile nato nel Settecento e ancora presente in diverse versioni per sostenere, senza l’intervento della servitù, oggetti, abiti o vivande riesce, per contrasto, a rendere palese la circostanza che, anche nell’era dei robot domestici, agli uomini continuano ad essere assegnati i ruoli più umili e alienanti. Quattro uomini, congiunti per i piedi, separati da uno spazio pari ad un angolo retto, percorrono direzioni opposte: si tratta di Camminare in croce. Qui il principale riferimento simbolico sembra essere, non tanto quello religioso della croce vessillo del Cristianesimo, ma l’accentuarsi dello smarrimento di uomini che camminano a piccoli passi in quattro direzioni diametralmente opposte, formando una croce, simbolo ormai secolarizzato di sofferenza. Uomini che, come osserva acutamente Alberto Boatto “hanno cessato di possedere il privilegio di un’individualità, di una fisionomia riconducibile a una persona singola, per presentarsi col profilo assottigliato di un emblema anonimo costantemente affaccendato e in cammino”. Le diverse combinazioni di questi individui archetipici e la loro collocazione in differenti contesti contribuiscono a rendere esplicito lo specifico messaggio di ogni singola opera. In Doppia controversia, una stele umana in cui la verticalità è accentuata dalla posizione delle braccia aderenti al corpo, sembra di poter leggere il tentativo di emanciparsi collettivamente, pur partendo da posizioni differenti (uomini con il capo alternativamente rivolto verso l’alto e verso il basso). A ciò si oppongono però “controversie” più radicali che “si mettono di traverso” al processo di emancipazione e impediscono la condivisione, indispensabile a tale processo, di almeno qualche visione e qualche obiettivo. L’inaugurazione della personale di Roberto Barni è fissata per sabato 26 agosto, alle 18.30, nello spazio di via Garibaldi 8, a Pietrasanta.
Dal martedì al venerdì dalle 18 alle 24; sabato e domenica dalle 10.30 alle 12.45 e dalle 18 alle 24.
Dal 26 Agosto 2017 al 31 Ottobre 2017 PIETRASANTA | LUCCA Galleria Poggiali ingresso gratuito tel.: +39 055 287748 mail: info@galleriapoggiali.com sito: http://www.galleriapoggiali.com
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TOSCANA Palazzo Fabroni dal 16 settembre 2017 al 7 gennaio 2018
Marino Marini
Cavallo - 1945 - Bronzo cm 80 x 89,5 x 35,3
Da settembre una grande mostra a Palazzo Fabroni racconterà l’opera di Marini a tutto tondo, contestualizzandola stilisticamente e storicamente all’interno del vasto alveo del Modernismo internazionale. La più completa retrospettiva mai dedicata all’arte del maestro toscano ne ricostruirà attraverso un ampio corpus di opere l’intero percorso creativo, soffermandosi su quell’attitudine all’invenzione plastica che ne caratterizzò l’attività di scultore. A fornire nuove chiavi di lettura sarà il confronto con modelli e fonti di ispirazione, dalle antichità egizie alla statuaria greco-arcaica ed etrusca, dal Medioevo al Rinascimento e all’Ottocento, in un itinerario in dieci sezioni che passerà attraverso i più celebri cicli di Marini inserendoli nel più vasto panorama dell’arte occidentale tra gli anni Venti e i Sessanta. Le terrecotte arcaiste, i nudi maschili, i Cavalieri e le Pomone, le ricerche sul volto umano e la stilizzazione dei corpi allungati, fino alle scomposizioni cubiste e alle deformazioni impressioniste che ne faranno uno dei massimi ritrattisti-scultori del secolo, saranno accostati di volta in volta al drammatico realismo di Donatello, alle ricerche di Pablo Picasso ed Henry Moore o all’arte dell’antica Cina. 32
Il trovatore - 1950 - Olio u tela cm 100 x 80
Piccolo cavaliere - 1950 - Bronzo cm 39 x 43 x 23,3
Marino Marini nasce a Pistoia il 27 febbraio 1901. A sedici anni si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dedicandosi in un primo tempo al disegno e alla pittura; alla scultura si avvicina solo a partire dal 1922. Nel 1929 si trasferisce a Milano, chiamato da Arturo Martini ad occupare la cattedra di scultura presso la scuola d’arte di Villa Reale a Monza. Dello stesso anno è la prima importante scultura, Popolo, in terracotta, con la quale Marino si rivela al pubblico e alla critica. Nel 1931 realizza Ersilia, una scultura in legno policromo considerata una delle opere fondamentali e nel 1932 presenta a Milano la sua prima personale. La sua opera comincia ad ottenere i primi riconoscimenti importanti con la partecipazione alla Quadriennale di Roma; alla II Quadriennale nel 1935 vince il primo premio per la scultura. Nel 1936 compare il Cavaliere, un’opera di notevole significato anche per la successiva evoluzione della ricerca, di cui Marino realizza due versioni, una in bronzo ed una in legno, ora in Vaticano. Nel 1938 incontra Mercedes Pedrazzini, che sposa alcuni mesi più tardi e che chiamerà affettuosamente “Marina” quasi a sottolineare il legame che unirà entrambi per tutta la vita. Nel 1943 Marino si rifugia nel Canton Ticino insieme con Marina: sono, questi, anni di esilio particolarmente impor-
tanti per l’artista. In Svizzera infatti conosce e frequenta alcuni grandi maestri dell’arte contemporanea - Giacometti, Wotruba, Otto Bänninger, Haller, Germaine Richier - la cui opera concorre all’approfondimento dei suoi temi e della sua ricerca.
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TOSCANA
Il grido - 1962 - Bronzo cm 76,8 x 125,3 x 66,5
Continua in questo periodo il ciclo delle Pomone, figure femminili simbolo di fecondità, un tema già avviato nel 1935. Con l’Arcangelo prende forma anche la serie dei Miracoli, opere che scaturiscono dall’angoscia, dal dolore, dalla distruzione che la guerra e la violenza provocano all’umanità e di cui Marino sente profondamente il peso. L’anno successivo al suo rientro in Italia (1947) sarà per lui decisivo: partecipa alla XXIV Biennale di Venezia con
una sala personale e, nell’occasione, Marino al lavoro nel giardino della Germinaia, la casa di Forte dei Marmi stringe profonda amicizia con Henry Moore; nello stesso periodo incontra il mercante americano Curt Valentin, che lo invita negli Stati Uniti e gli organizza una grande personale a New York ed una serie di esposizioni che contribuiscono a far conoscere la sua opera nel mondo.
Pomona - 1945 Bronzo, cm 162 x 66 x 53
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Pomona - 1941 Bronzo, cm 155 x 52 x 52
Il fondale - 1953 - Olio su tela cm 151 x 121
Le tre grazie - 1945 - Olio su tela cm 100 x 81,5
L’arte di Marino è ormai nella più alta considerazione: nel 1952 ottiene il Gran Premio Internazionale di Scultura alla Biennale di Venezia, nel 1954 il Gran Premio Internazionale dell’Accademia dei Lincei di Roma, nel 1959 esegue la grande composizione equestre, alta ben cinque metri, destinata ad una piazza dell’Aja. Si susseguono poi numerose mostre - a Monaco, Rotterdam, Stoccolma, Copenhagen, Oslo, Helsinki - che culminano con le grandi antologiche al Kunsthaus di Zurigo nel 1962 e in Palazzo Venezia a Roma nel 1966. Nel 1968 riceve a Göttingen la più alta onorificenza tede-
Giochi nello spazio - 1966 Olio su tela cm 149 x 118,6
sca con la nomina a membro dell’Orden pour le Mérite fur Wissenschaften und Kunst. Nel 1976 alla Nuova Pinacoteca di Monaco di Baviera gli viene dedicata una sala permanente e nel giugno del 1979 nelle sale del Palazzo Comunale di Pistoia si inaugura il Centro di Documentazione dell’Opera di Marino Marini, che raccoglie oltre i disegni e le incisioni, la grande scultura Miracolo ed altre opere di formato minore, una biblioteca specializzata, una fototeca ed una videoteca che documentano la vita e le opere dell’artista. Marino muore a Viareggio il 6 agosto 1980.
Loraine - 1963 Olio su tela cm 164 x 78
La Traviata - 1977 Tempera su carta cm 35,2 x 25
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TOMMASO ANDREINI
Nacqui in una città unica, crescendo, me ne innamorai. (Tommaso Andreini) Nascere a Siena è per certi versi un privilegio di cui forse non si è mai pienamente consapevoli. La città si offre agli occhi di tutti con la bellezza e la potenza di un glorioso passato dipinto e scolpito in ogni angolo. Per quelli che come Andreini si muovono, ormai da tempo, nel mondo dei cantieri dell’arte e del restauro pittorico, una cosa è chiara: Siena è un grande libro di pietra e colori dove leggere, apprendere e trovare ispirazione. Qui l’artista ha trovato infatti forza e passione per disegnare, dipingere e modellare la materia. Nel 2009 ha deciso di portare fuori dal laboratorio i suoi lavori artistici. Espone le sue opere in diverse gallerie italiane ed estere e nel suo atelier a pochi passi dalla Torre del Mangia.
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Non ci stupiremo quindi se nei suoi lavori, i risultati della qualita’ disegnativa hanno preceduto nel tempo e nell’ intensita’ i modi dell’espressione cromatica. In gran parte dei dipinti di Andreini, i mezzi grafici risolvono con sicura certezza l’invenzione dell’artista, precisandone figure e modulazioni, modificando e corredando il suo linguaggio con l’intervento dell’apporto chiaroscurale, costruendo con luci ed ombre, una suggestione plastica resa evidente anche da patinature, velature e trattamenti di finitura alle tele. Chi vuol guardare con occhi diversi i dipinti di Tommaso Andreini, troverà silenziosamente i colori e i temi di Siena, vero cuore della sua creatività. Stefano Andrei
GIACOMO TINACCI
Giacomo Tinacci lascia appena intravvedere qualche scorcio dei suoi paesaggi per concentrare la nostra attenzione sui volti di donna che hanno in sé qualche accenno delle suggestioni familiari e delicate delle colline toscane. D’altronde egli vive in una terra prescelta dall’arte, non soltanto per quanto concerne la pittura divenuta classica, a partire dal primo Rinascimento, ma anche per la continuità’ di una grande tradizione pittorica che si rinnova e persiste. Nel Novecento non si può non ricordare la qualità delle opere di Annigoni, in particolare la morbidezza di molte figure femminili ne’ si riesce a mettere sotto silenzio il suo testardo e un po’ datato bisogno di fare bottega che ha creato degli abili pittori come Pistolesi, Ciccone,etc. Il rinnovamento ha segnato il territorio anche attraverso vie più “contemporanee” ma di sicuro le influenze che permeano la valida pittura di figura e paesaggio passano anche da maestri come Annigoni, I visi di Giacomo Tinacci sono intensi, immersi in una dimensione tutta loro e con lo sguardo trasognato, perduto in qualche ricordo, o pensieroso, oppure ancora volutamente sfuggente, ma in
ogni caso lontano da qualsiasi sentimentalismo. Occorre osservare la proporzione rigorosa del costrutto, la disinvoltura nel tratto, l ‘essenzialità nella linea, le cromie assolutamente decise e calibrate che apportano vigore e fascinazione alle opere. Nei disegni il gesto scattante e i tratti sicuri si posano come sottili veli volumetrici mentre il contorno scuro incornicia ed evidenzia le forme. La donna di oggi e’ sulla punta del suo pennello, agile e silenziosa.
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ENZO BRISCESE - 2006/2008
Torino Olimpica - 2006
La poetica di Briscese affronta i temi legati al paesaggio urbano in cui vive, al suo studio inteso come fertile luogo di lavoro, più raramente a qualche personaggio capace di evocare forti suggestioni. E’ infatti l’emozione con le sue diverse sfaccettature, positive o negative a seconda dei casi, a costituire il fulcro del dipingere. Le sensazioni catturano, interpretano e guidano il racconto visivo, lasciando sulle tele frammenti di ricordi, sovente autentici mosaici nati e fermati all’interno di quel continuo scorrere delle storie in cui l’artista è coinvolto. Egli non intende quindi restituire un’immagine fotografica del soggetto prescelto bensì consegnare una fisicità percepita come struttura dinamica, filmica, vissuta come un insieme espressivo in successione.
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fabbrica dismessa 04 - 2006
Periferia urbana - 2006
Il pittore opera dentro questo “contenitore” cittadino e decifra, nel suo particolare linguaggio di astrazione, il volto delle periferie, in special modo delle fabbriche dismesse che appaiono come mute testimonianze di una Torino che “non c’è più”. Sono edifici divenuti angoli abbandonati, mura in rovina, che il pennello rileva e nel contempo è costretto a cancellare lambendo la visione con il bianco, il colore del “nulla” implacabile del tempo. è un lavorio da cui emerge un partecipe rimando ad un mondo che il presente mediatico lascia alle spalle ma ciò che affiora è anche una finestra impietosa da cui lo spettatore può sbirciare affacciandosi ora dall’interno ora dall’esterno. La tessitura cromatica della serie dei paesaggi evidenzia una tavolozza prevalentemente tenue che mostra la caratteristica gamma di grigi, di beige, di pastello, delle periferie e a volte le tinte scivolano verso il verde acqua oppure si rabbuiano all’improvviso. Nei lavori dedicati al tragico evento accaduto presso l’azienda torinese della Thyssenkrupp i colori si accendono di rossi lampi -lingue di fiamma, di sangue-, intensi fino alla brutalità, esternazioni di un sentimento struggente destinati via via a perdere virulenza accompagnando così il percorso dell’incendio che, infine domato, lascia spazio alla cenere, ad un grigio cupo che si riprende la scena. Questi quadri sono illuminazioni dell’immaginazione di cui l’autore si serve per comunicare il proprio pensiero sul sociale e sui suoi cambiamenti in atto; il movimento segnico scandaglia i tracciati del lungo viaggio nella realtà urbana. L’0cchio del pittore si consuma ad interrogare ogni forma, ogni colore, ogni vibrazione di luce che trasmutano nella composizione rigorosa e lo spazio e il tempo si intersecano, si richiamano, costruiscono le linee del narrare. Si tratta di un gesto essenziale che si oppone alla svalutazione della memoria, ingoiata dal processo di globalizzazione, e ciò che viene offerto allo sguardo di chi osserva è una sorta di spaesamento che accomuna fruitore ed artista, attoniti di fronte a questo effetto straniante.
fabbrica dismessa 15 - 2006
fabbrica dismessa 16 - 2006
Le chiavi di lettura stilistica della sua arte aprono verso scenari di ricerca, radicata in un solido retroterra classico ed aperta ad uno sperimentare fattivo e ricco di contaminazioni: in tal senso la sua vissuta astrazione fa parte di un cammino laborioso e sempre coerente tra i meandri di una difficile identità contemporanea. fabbrica dismessa 21 - 2006
incidente alla thyssenkrupp “9” Torino 2008
Fatti e fantasie finiscono con l’intrecciarsi sul supporto adibito come affabulatore visivo, in mezzo ad intensi e cupi paesaggi periferici in cui affiorano estese strisciate di bianco, simbolo del tempo che cancella ciò che è stato. Intorno al 2008 le tele vanno mutando con un conseguente trascolorare delle atmosfere e un lento spostamento tematico, sempre spalancato sul tragitto pulsante di viaggi e città. Si arricchisce il suo universo pittorico realizzando con pathos informale dipinti di solida bidimensionalità. Il bianco perde la sua funzione di simbolo temporale e accende i dipinti come luce con echi allusivi, ma del tutto contemporanei, al grande colorismo veneto. Si avvertono una dematerializzazione controllata, e sviluppa un processo di rimeditazione artistica e, in specifico, della sua poetica. Rimedita la situazione epocale dell’ arte sia quella
Periferia urbana - 2006
personale, gremita di dubbi e stimoli che lo inducono ad una nuova fase di rottura nella continuità. Si va dal figurativo alla Bonnard alle esperienze neocubiste e ai rimandi costruttivisti, dal passaggio all’informale all’astrazione cui segue l’ astrattismo, ed ora, nei lavori del 2013, si ravvisa pienamente avviata la reintroduzione della figurazione, anche il tempo, come lo spazio, ha sostituito le superate coordinate tenendo conto di questo primo quarto di millennio policentrico e frammentato Briscese vive il suo tempo senza subirlo pittoricamente sottraendosi alla percezione di un angoscioso appiattimento. Lo spazio pittorico, peraltro, controlla l’affastellarsi di tracce e figure mirando all’essenzialità verso cui il pensiero è proteso nel segno del divenire. Giovanna Arancio
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LAZIO
Jean Arp
Terme di Diocleziano, Grandi Aule, piazza della Repubblica - Roma Dal 30 settembre 2016 al 15 gennaio 2017
Grande mostra dedicata a uno dei maggiori protagonisti della storia dell’arte del Novecento, l’artista francese Jean Arp (1887-1966), che è stato uno dei fondatori del movimento Dada, di cui ricorre il centenario quest’anno. La mostra, curata da Alberto Fiz, presenta 80 opere fra sculture, rilievi, stampe e papier collé, dai primi rilievi in legno del 1915 alle sculture realizzate dal 1930 al 1966. Una sezione della mostra mette in relazione i lavori di Arp con quelli della moglie Sophie Taeuber-Arp (1889-1943), che
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si muove in un contesto più vicino al design e alla progettazione d’interni, sviluppando una ricerca astratta, tesa verso soluzioni spaziali di grande attualità. Telefono: 06/39967700; Sito: www.archeoroma.beniculturali.it Orari di apertura: 9-19,30. Lunedì chiuso Costo: 10 euro; ridotto 8 euro
Jean (Hans) Arp nasce a Strasburgo, Alsazia-Lorena, il 16 settembre 1886. Nel 1904 dopo aver lasciato l’Ecole des Arts et Métiers di Strasburgo visita Parigi e pubblica per la prima volta le sue poesie. Dal 1905 al 1907 studia alla Kunstschule di Weimar e nel 1908 all’Académie Julian di Parigi. Nel 1909 si trasferisce in Svizzera, dove nel 1911 è tra i fondatori del gruppo d’avanguardia Moderner Bund. L’anno seguente incontra Robert e Sonia Delaunay a Parigi e Vasily Kandinsky a Monaco. Partecipa nel 1913 all’Erster Deutscher Herbstsalon alla galleria Der Sturm di Berlino. Ritornato a Parigi nel 1914 conosce Max Jacob, Pablo Picasso e Guillaume Apollinaire. Nel 1915 si reca a Zurigo, dove realizza collage e arazzi, spesso in collaborazione con la futura moglie Sophie Taeuber. Nel 1916 Hugo Ball apre il Cabaret Voltaire, destinato a diventare il centro delle manifestazioni Dada a Zurigo per un gruppo di artisti comprendenti Arp, Tristan Tzara, Marcel Janco e altri. La partecipazione di Arp al Dadaismo continua anche dopo il suo trasferimento a Colonia nel 1919. Nel 1922 partecipa al Kongress der Konstruktivisten a Weimar. Poco dopo inizia la collaborazione a diverse riviste, come “Merz”, “Mécano”, “De Stijl”, ed in seguito “La Révolution Surréaliste”. Nel 1925 partecipa alla prima esposizione del gruppo surrealista alla Galerie Pierre a Parigi, e l’anno seguente si stabilisce in Francia, a Meudon. Nel 1931 aderisce al gruppo Abstraction-Création e collabora al periodico “Transition”. Durante gli anni ’30, e fino alla sua morte, continua a scrivere e a pubblicare poesie e saggi. Nel 1942 fugge a Zurigo; ma ritornerà ancora a Meudon nel 1946. l’artista visita New York nel 1949, in occasione di una sua personale allestita alla Buchholz Gallery di Curt Valentin. L’anno dopo gli viene commissionato un rilievo per l’Harvard Graduate Center a Cambridge, nel Massachusetts. Nel 1954 ottiene il Premio Internazionale per la Scultura alla Biennale di Venezia. Nel 1958 il Museum of Modern Art di New York e nel 1962 il Musée National d’Art Moderne di Parigi gli dedicano una grande retrospettiva. Arp muore a Basilea il 7 giugno 1966.
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Sophie Taeuber-Arp "Sentry" Marionette from "King Stag" 1918
Sophie Taeuber-Arp studiò arti applicate a Monaco e Amburgo. Nel 1915 incontrò Jean Arp, con il quale si sposò nel 1922. Entrambi parteciparono al Dada zurighese. La Taeuber disegnò burattini e scenografie per gli spettacoli del Cabaret Voltaire, dove apparve anche come marionettista e ballerina. Insieme al marito insegnò alla Scuola d’Arte di Zurigo dal 1916 al 1929. Nei tardi anni venti visse a Parigi e si cimentò nel design: la sua abilità si notò nella creazione dell’interno del Café Aubette a Strasburgo. Negli anni trenta si accostò al costruttivismo, aderendo in un primo momento al movimen-
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Sophie Taeuber-Arp "
to Cercle et Carré, fondato dal belga Michel Seuphor, e quindi al gruppo Abstraction-Création (Astrazione-Creazione), guidato dallo scultore Georges Vantongerloo. Pubblicò inoltre un personale giornale costruttivista chiamato Plastique. Successivamente Taeuber-Arp, Sonia Delaunay ed altri artisti crearono una colonia d’arte a Grasse, nella Francia meridionale, dopo aver abbandonato Parigi prima dell’invasione tedesca. La colonia fu attiva dal 1941 al 1943, anno in cui Taeuber-Arp morì, durante una visita in Svizzera, a causa di un incidente con una stufa.
Sophie Taeuber-Arp "
RENZO SBOLCI Renzo Sbolci riesce a trasformare la scultura in pittura e dominare la materia coi colori che la graffiano in magici accostamenti cromatici . . . ed allo stesso tempo Renzo sa fare il cammino inverso dare spessore e volume al disegno trasformandolo in bassorilievo . . . Il “graffio†, dato solo con l’uso delle matite, è “ l’alito†che crea cromie materiche . . . Non ci sono orizzonti certi nell’opera dello Sbolci. Tutto ed il suo contrario sono presenti nella sua opera. Sono, ed allo stesso tempo non sono, disegni, sculture, pitture . . . Nell’opera dello Sbolci si avverte il luminoso e sfolgorante eco delle vetrate gotiche, i volumi scomposti di tanto cubismo, l’essenzialità delle avanguardie della astrazione russa ed olandese, l’eleganza del liberty, il dinamismo del futurismo . . . ma anche il silenzio e la meditazione mistica delle pale d’altare romaniche e gotiche.... Fino alla fine degli anni novanta ho sempre lavorato su tela colorando con smalti e vernici acriliche inserendo spesso anche materiale come sabbia o piccoli stracci per dare spessore. Dal duemila il grande cambiamento. Abbandonai tele e pennelli per realizzare opere in legno che mi permettevano di creare forme di maggior spessore e soprattutto forme in cui erano presenti anche parti vuote. In questi nuovi lavori la colorazione è data solo con matite e pastelli cerosi. In questo mio lungo percorso sono sempre restato fedele nel cercare immagini dentro di me rifiutando totalmente la figura umana ed il paesaggio. La mia ricerca è sempre stata improntata alla ricerca del dinamismo e dell’equilibrio. Nulla è immobile Nulla è definitivo Nulla è perfetto Tutto si trasforma Ogni opera per me rappresenta solo un passo nel mio cammino che non ha la pretesa di desiderare una meta precisa.
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UMBRIA
“DE CHIRICO, SIRONI, DEPERO ….LE REGOLE ALLE LOGGE” a Gubbio in mostra la Collezione Rimoldi Dal 2 maggio al 5 novembre 2017
La raccolta d’arte di Mario Rimoldi (1900-1974) è protagonista della mostra voluta dalla Cassa di Risparmio di Perugia e organizzata dalla CariPerugia Arte dal titolo “De Chirico, Sironi, Depero…. Le Regole alle Logge”. Inaugurato il 2 maggio negli spazi rinnovati delle Logge dei Tiratori della Lana di Gubbio il progetto espositivo, a cura di Vittorio Sgarbi, comprende 43 opere della prestigiosa raccolta abitualmente custodita alla Casa delle Regole di Cortina d’Ampezzo, una splendida selezione che potrà essere ammirata a Gubbio fino al prossimo 5 novembre. Ecco dunque, che a Gubbio i visitatori si trovano di fronte a opere di Filippo de Pisis, Giorgio de Chirico, Mario Sironi, Massimo Campigli e Anton Zoran Music che hanno instaurato una fruttuosa amicizia con il collezionista che, nato a Cortina nel 1900, fu anche sindaco della città, dove ha promosso le VII Olimpiadi Invernali ottenendo numerosi riconoscimenti. Appassionato dapprima alla pittura dell’Ottocento, dal dopoguerra Rimoldi allarga i suoi interessi all’arte del suo secolo, invitando gli artisti ad eseguire ritratti o paesaggi a lui cari.
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Nel frattempo la raccolta si arricchisce di opere di Ottone Rosai, Tullio Garbari, Gino Severini, Arturo Tosi e Virgilio Guidi, maestri rappresentati nella mostra eugubina assieme ad altri legati all’ambiente veneto e veneziano, come Felice Carena, Umberto Moggioli, Pio Semeghini, Guido Cadorin, Fortunato Depero. Nei decenni seguenti, e sino alla scomparsa nel 1974, Rimoldi acquisirà opere con l’obbiettivo di creare una collezione “completa”, paragonabile a quelle dei musei italiani, europei e americani, una
collezione che arriverà a toccare 700 pezzi. Nella splendida cornice delle Logge di Gubbio sono infatti presenti, oltre a quelli citati, importanti maestri del tempo appartenenti a correnti artistiche differenti, tra tradizione e innovazione: Xavier Bueno, Michele Cascella, Felice Casorati, Raoul Dufy, Achille Funi, Antonio Ligabue, Marino Marini, Pietro Marussig, Fausto Pirandello, Karl Plattner, Gino Severini, Ardengo Soffici, Emilio Vedova e Lorenzo Viani.
Logge dei Tiratori della Lana – Piazza 40 Martiri, Gubbio Orari di apertura: martedì-venerdì dalle 15.00 alle 18.00; sabato e domenica dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00 Info:loggedeitiratori@fondazionecariperugiaarte.it
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PUGLIA
Man Ray: L’uomo infinito Castello di Conversano di Virginia Grazia Iris Magoga
Con una selezione di oltre 150 opere tra disegni, dipinti, fotografie, litografie, assemblaggi e una scultura, tutte provenienti dalla Fondazione Marconi di Milano, gli spazi del castello angioino di Conversano ospitano, fino a settembre 2017, l’ampia retrospettiva intitolata “Man Ray: l’uomo infinito”, dedicata al celebre artista protagonista dell’arte del Novecento. Man Ray, considerato uno dei massimi esponenti dell’avanguardia dadaista e surrealista, fu pittore, fotografo, scultore, cineasta ed esplorò le tecniche più diverse della sua epoca. La rassegna, la prima di queste dimensioni in Puglia, si articola in otto aree tematiche. Seguendo l’ordine cronologico e ripercorrendo le tappe della ricerca multiforme e sperimentale dell’artista americano guida l’osservatore in un percorso che permette l’acquisizione di una visione totale sulla complessa produzione di questo innovatore, che con libertà creativa creò icone su cui oggi si fonda l’imma-
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ginario moderno. I suoi lavori sono un enigma, una provocazione, dove la follia sembra prendere forma. Il percorso della mostra prende avvio con la sezione “New York 1912 – 1921”, dove sono ben esposte le opere del primo, denso periodo americano. Questi lavori illustrano la molteplicità espressiva di Man Ray, la cui attività si sviluppa già sul duplice binario di fotografia e pittura. La seconda sezione, “Il rapporto con Marcel Duchamp”, propone il legame tra i due grandi artisti che, affini e complementari tra loro, hanno lavorato fianco a fianco, pur sempre conservando la propria individuale originalità. Le opere di questa affascinante sezione restituiscono un percorso che parte dall’incontro con Marcel Duchamp, per mostrare gli Oggetti d’affezione, parenti stretti dei readymade, interventi concettuali eccentrici negli accostamenti e negli esiti semantici.
Le due sezioni “Gli amici artisti e autoritratti” e “Muse e Modelle” evidenziano una delle caratteristiche principali dell’opera fotografica dell’artista, quella di ritrarre le persone che lo ispiravano, tra cui tanti amici artisti, sé stesso e le sue muse e modelle. Nella sezione “Dadaismo ed avanguardie” ritroviamo opere più legate al movimento del Dadaismo, movimento europeo la cui funzione principale fu quella di distruggere la concezione ormai desueta dell’arte, stravolgendone le regole convenzionali, in favore di una totale libertà. “Realtà e finzione - voyeurismo e sadismo” corrisponde all’area della mostra dedicata alle opere realizzate tramite tecniche sperimentali. Tra questi i famosi rayographs: immagini fotografiche ottenute poggiando oggetti direttamente sulla carta sensibile che viene poi impressionata senza l’uso della macchina fotografica.
Infine le due ultime sezioni “Juliet”, all’interno della quale spicca l’album Fifty faces of Juliet - chiarissimo omaggio alla moglie, conosciuta ad Hollywood nel 1940, che riuscì a spronarlo per riprendere l’attività espressiva - e “Ritorno in Francia”, dedicata all’ultima fase della vita del protagonista di questa esposizione, nella quale l’artista tornerà inconsciamente alle origini della sua produzione, creando così una linea di continuità tra passato e presente. L’esposizione, curata da Vincenzo de Bellis e Eugenia Spadaro, è organizzata dall’Associazione Culturale Artes in collaborazione con la Fondazione Studio Marconi ’65 di Milano, l’Amministrazione Comunale di Conversano ed il Man Ray Trust, e si inserisce nell’ambito del Festival Libro Possibile nella sezione denominata l’Arte Possibile.
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PUGLIA
Diego Perrone “Sussi e Biribissi” - Spazio Murat– Bari di Virginia Grazia Iris Magoga
Lo Spazio Murat, uno dei maggiori contenitori culturali della città di Bari, diretto da Massimo Torrigiani, propone da luglio fino a settembre 2017 la personale dell’artista astigiano Diego Perrone, intitolata “Sussi e Biribissi” (omaggio al testo umoristico e fantastico di Paolo Lorenzini). Artista eclettico e creatore eccezionale, Perrone utilizza diversi mezzi espressivi come la fotografia, la scultura e l’istallazione e attinge alla storia culturale italiana e a movimenti artistici come il Futurismo e l’Arte Povera. Oggi è uno tra gli artisti italiani più significativi e seguiti della scena internazionale. Con i suoi lavori ha partecipato a numerose esposizioni in Italia e all’estero, tra cui la 53° e la 50° Biennale di Venezia. Per questa mostra, la prima in un’istituzione pubblica del sud, presenta sette sculture realizzate con un materiale tradizionale come il vetro ma trattato in modo completamente originale e una nuova serie di disegni a biro rossa su carta. Da sempre affascinato dai processi di manipolazione e trasformazione dei materiali nel 2011 l’artista inizia un’impegnativa collaborazione con l’azienda Vetroricerca di Bolzano che gli permette di approdare a una tecnica sperimentale con cui spinge all’estremo le possibilità del vetro. Materiale antiscultoreo per la sua natura rigida e pesante che non ha la fisicità plastica della scultura in pietra o in bronzo, ma che essendo trasparente consente di far vedere ciò che solitamente non si vede mai nella scultura: la sua
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struttura intrinseca. Una tecnica antica quella del vetro colato che l’artista studia partendo da sculture piccole sino a realizzare queste opere monumentali (alte 90 cm per 150 kg).
Nel processo di creazione si passa da una condizione di estremo controllo a quella di pura casualità. Perrone manipola e modella il vetro colorato, opaco e trasparente, colato in calchi di gesso refrattario plasmato dall’artista e posto in forni ad alta temperatura. Alla casualità sono affidati gli straordinari addensamenti cromatici ottenuti con miscele di minerali e ossidi infusi di pigmenti sciolti nel vetro che come nuvole colorate filtrano attraverso la superficie traslucida delle opere. Partendo da ritratti fotografici, Perrone elaborarao un dettaglio dell’immagine, la trasforma in disegno e poi la trasferisce nella tridimensionalità della scultura in cera. Da queste forme stranianti che sfuggono ad una identificazione precisa, se ne generano di nuove, dove non compare mai un senso univoco della visione. Le ambigue immagini pittoriche fondono paesaggi mentali, siano essi reali o immaginari. Dalla materia emergono anche stratificazioni di immagini della vita in campagna (il trattore) e del paesaggio sottomarino (le carpe). Una presenza costante nella simbologia delle opere è l’orecchio, con cui congiunge
la complessità delle forme anatomiche con la complessità del pensiero umano. Come spiega l’artista: “il cavo e il concavo aperto a ogni possibile simbologia, è una cavità dove pieno e vuoto si alternano continuamente, la soglia di accesso che consente di passare dal mondo esterno alla realtà interiore dell’uomo. Il canale uditivo ci trasporta dalla forma anatomica della testa ai confini sfumati della mente, il luogo dove si forma e custodisce il pensiero umano, imprevedibile e sfuggente”. In dialogo diretto con le sculture sono i tre disegni su carta di grandi dimensioni, realizzati con biro rossa, stratificazioni costruite attraverso un gesto continuo e fitto che dona profondità alle composizioni oniriche popolate sempre da pesci, elicotteri e volti umani mescolati a trattori, nubi e onde. Parte integrante dello spazio della mostra è l’opera di Sol Lewitt “All bands”, ovvero il dipinto inaugurato nel 2003 che domina una delle pareti dello Spazio Murat e che Perrone ribalta sul pavimento con una stampa in scala reale istaurando un dialogo insolito tra le sue opere e il luogo.
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CAMPANIA
AMORI DIVINI
in mostra al Museo Archeologico di Napoli “Amori divini” è la meravigliosa mostra che sarà visitabile fino al 14 ottobre 2017, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Sono ottanta opere sulla mitologia che provengono dai siti vesuviani, da vari Musei italiani e stranieri, tra cui l’Ermitage di San Pietroburgo, il Museo du Luvre di Parigi, il J.Paul Getty Museum di Los Angeles e il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Un percorso interessante e suggestivo nel mito greco attraverso la seduzione e la trasformazione. Il mito è il fondamento della vita, lo schema senza tempo, la formula secondo cui la vita si esprime quando fugge al di fuori dell’inconscio “Thomas Mann”. Le opere in mostra rappresentano i miti amorosi a partire dalla letteratura e dall’arte greca, attraverso le “ forme in mutamento “ di Ovidio, fino ai miti di Danae, Leda, Dafne, Narciso e poi allo straordinario e complesso racconto di Ermafrodito. Miti che fanno parte dell’immaginario collettivo di tutti noi. Per ciascuna opera c’è un confronto con un’opera di periodo più recente di artisti quali Baccio Bandinelli, Bartolomeo Ammannati, Nicolas Poussin, Giambattista Tiepolo. La mostra chiuderà il 16 ottobre. Secondo i programmi voluti da Paolo Giulierini, da metà settembre il Mann ospiterà una serie di eventi con scrittori, attori, filosofi e artisti ispirati proprio ai temi di amore ed eros e al significato del mito nella dimensione contemporanea. http://www.museoarcheologiconapoli.it/it/2017/06/06-
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06-2017-inaugurazione-amori-divini/ Museo Archeologico Nazionale di Napoli Piazza Museo 8I Aperto tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.30 (ultimo ingresso ore 19.00) Martedì chiuso T. 039.081.4422149 man-na@beniculturali.it www.museoarcheologiconapoli.it
L’opinione di Letizia Caiazzo Artisti di oggi all’ombra di una rinnovata memoria classica
Giorgio De Chirico
Gianfilippo Usellini
I miti, icone di classicità, di fascino, di fantasia e di eroismo ,da sempre sono nell’immaginario collettivo di tutti noi , specie di quegli artisti che tuttora continuano ad ispirarsi ad essi per le proprie creazioni. Il classico, con l’ arte figurativa e le opere letterarie, dalla Magna Grecia alla romanità, è una fonte inesauribile che crea, con rinnovata fantasia, impegno e nuove proposte, opere suggestive sia letterarie che musicali , dando così la possibilità di sognare e ad un tempo riflettere sulle tematiche del mondo di oggi. Penso che il rivolgerci ancora oggi ai modelli del passato sia la necessità di canoni di una vera Bellezza, fatta di armonia delle forme, di colore e di un ritorno alla perfezione di un’immagine non costruita o artefatta, bensì di qualcosa di enigmatico e di puro che ci riporti alle contraddizioni del tempo in cui viviamo. Rivive in tal modo l’Arte nel presente. Il Mito, infatti, ci riporta ad un mondo fantastico e irreale ma, pur sempre vicino alla realtà. Purtroppo oggi si vive di falsi miti quali: soldi, potere, una bellezza e una giovinezza illusorie che ci hanno sottratto la capacità di interpretare
il Bello vero. Attraverso ciò finalmente potremmo riscoprire quei vecchi ma sempre validi valori. A riguardo , ricordiamo grandi artisti che hanno immortalato i Miti e la Classicità, mantenendo, ovviamente uno stile proprio e contemporaneo. De Chirico con la Metafisica del Mediterraneo, Gianfilippo Usellini ,che ha trasformato la classicità in una visione surreale, in quanto i suoi eroi vengono collocati in una dimensione nuova, ricca di fascino. Si aggiunga a ciò il gruppo di “ Novecento”, di Margherita Sarfatti, Carlo Maria Mariani, Stefano di Stasio ed altri, tutti rivolti a fonti classiche ma con visioni mitiche originali. Concludo, perciò, dicendo che in questa nostra epoca di globalizzazione e nuovi confronti , il recupero della classicità e del Mito è valido solo se genera negli artisti nuovi spunti da proporre nell’arte contemporanea. In tal modo gli artisti opererebbero con una propria originalità e fantasia lasciando tuttavia, messaggi positivi per ritrovare tutte le allegorie del Mito in una più moderna e accattivante versione. Ciò farà scaturire energia e vita su quanti ne fruiscano onde alleviare la grigia quotidianità.
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CAMPANIA
Sette secoli di arte sacra in mostra
Basilica di San Giovanni Maggiore - Largo San Giovanni Maggiore Dal 02/06/2017 al 31/12/2017 - Lunedì-venerdì: ore 9.30-15; sabato: ore 9-13
Sette secoli di arte sacra in mostra Da Giotto a Raffaello, da Goya a Chagall: nella Basilica di San Giovanni Maggiore è allestita una mostra visitabile gratuitamente che propone un viaggio attraverso sette secoli di arte sacra, per iniziativa della Fondazione Ordine Ingegneri Napoli. Nelle navate vengono allestite riproduzioni di capolavori dell’arte sacra che, di volta in volta, seguono un tema legato al corrispondente periodo dell’anno liturgico. Attualmente i visitatori possono ammirare opere ispirate alla Passione e Resurrezione di Cristo e alla figura della Madonna. Ogni dipinto è illuminato con tecniche particolari per valorizzare la riproduzione pittorica di alta qua-
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lità. Ciascuna opera è inoltre corredata da una scheda informativa che contiene sintetiche, ma esaurienti indicazioni sull’autore e sull’opera stessa. “Questa iniziativa si inquadra nello sforzo di valorizzazione dell’area del centro antico di Napoli - spiega il presidente della Fondazione Ordine Ingegneri Napoli Luigi Vinci - che siamo attuando da cinque anni, quando abbiamo riaperto la Basilica di San Giovanni Maggiore. Coloro che visiteranno l’antico edificio di culto, potranno anche ammirare immagini di capolavori custoditi nei più importanti musei del mondo”. Orari: lunedì-venerdì: ore 9.30-15; sabato: ore 9-13: ogni domenica, alle ore 12, si celebra la Santa Messa.
Sito: http://www.napolitoday.it/eventi/basilica-s-giovanni-maggiore-mostra-arte-sacra-343646.html http://www.facebook.com/NapoliToday
CALABRIA
GIUSEPPE OLIVA Scarabocci nella pietra, la scultura gestuale
Il segno come stato esistenziale, come proposta di senso espresso nella materia che diventa scultura e poesia. Giuseppe Oliva, artista calabrese di Corigliano Calabro (Cs) nato a Stoke-on-Trent in Gran Bretagna (classe 1957) ha nella pietra leccese la sua materia di espressione di una visione di mondo che nell’alternarsi tra pieni e vuoti in un gioco di luci spontaneo e direttotrasforma il disegno in un moto spontaneo, uno “scarabocchio”come egli stesso afferma, curato in ogni minimo particolare da quando, 20 anni fa ha iniziato a realizzare sculture. La prima, una testa, nata dall’incontro con un blocco di legno mentre tagliava legna per il camino. “Ne ho fatto una decine in legno poi, sempre per caso durante l’acquisto del marmo per un nuovo camino ho scoperto la pietra leccese e me sono innamorato trovandola “facile” da lavorare”. La sua formazione artistica nasce però molto prima, in Gran Bretagna dove si è diplomato al College of Art di NewCastle Under Lyme dove lo studio e la passione per Bacon, Turner e Picasso hanno dato il background storicoculturale ad un percorso di ricerca culminato in uno stile unico e personale, con poche influenze esterne volendosi affermare come pura arte gestuale. “Non ricordo mai di pensare o cercare di usare lo stile o i colori di altri artisti, meno vedo meglio sto. Ho sempre amato scarabocchiaree le mie opere, le sculture in modo particolare, sono scarabocchi in 3D, non ho mai fatto ricerche o pianificato prima di iniziare un opera, mi siedo davanti alla pietra e con una matita scarabocchio. Che i miei scarabocchi si possono toccare e vedere a 360 gradi è una grande soddisfazione”. Con la scultura “Fusione” ha conquistato nel 2014 Biennale d’Arte Internazionale di Romaorganizzata dal CIAC (Centro Internazionale Artisti Contemporanei) dove ha esposto in Piazza del Popolo, Sale del Bramante e Galleria Lagostiniana ottenendo il primo posto nella categoria “Scultura”. “Nel campo scultoreo – si legge nelle motivazioni del riconoscimento – attua una delle costanti che più lo caratterizza, quella di riuscire a far sì che avvenga
una continua compenetrazione tra i corpi che riporta alla luce dalla pietra. Il soggetto in questione, l’opera chiamata “Fusione”, ci riporta l’unione tra due corpi, uno maschile ed uno femminile, adagiati su un letto posto in verticale. Le linee che i corpi disegnano riescono quasi ad annullare il genere femminile e maschile che i due corpi rappresentano, arrivando ad una sintesi, una “Fusione”, per cui l’uomo e la donna diventano un’identità unica e indivisibile. Il tutto è rimarcato dall’assenza di una precisa fisionomia dei volti, che apre lo sguardo verso un nuovo tipo di gender. I volti dei corpi non hanno un benché minimo rimando alla realtà e creano nuovi generi di umanoidi. Un ruolo molto importante viene giocato dal contesto in cui vengono inseriti i corpi, ovvero un letto. In questo caso proprio il letto ha la capacità di prendere le sembianze di un tavolo operatorio, su cui l’artista opera la sua personale visione degli esseri umani, arrivando alla sperimentazioni di nuovi gender umanoidi, proiettati verso futuribili visioni di nuove creature viventi, che hanno lasciato alle loro spalle la suddivisione per generi, maschile e femminile, formando così una nuova specie, in cui le differenze vengono annullate a favore di un’armonia comune delle forme e della vita”.L’ultimo importante riconoscimento ottenuto risale allo scorso marzo quando, partecipando al concorso artistico “I Dauni” (seconda edizione) presso il palazzo Bellusci di Vieste (Foggia, dal 25 marzo al 22 aprile 2017) ha ottenuto il 1° premio per la scultura surreale e il premio critica della giuria. Preambolo alla partecipazione al Festival Internazionale Deod’Art di Saint DiesDesVosges che, giunto alla sua seconda edizione, raduna dal 21 al 23 luglio più di 200 artisti europei intorno al tema proposto dall’artista francese Olivier Hodapp “La Siege de La Folie”, argomento indagato da sempre dal mondo artistico e letterario. Dal lavoro estemporaneo dei partecipanti con opere sull’argomento verrà lasciata traccia su un grande murales situato all’ingresso dell’EspaceCopernic. Mariangela Maritato
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CALABRIA
I VENT’ANNI DEL MAON DI RENDE (Museo dell’arte dell’Otto e Novecento)
Dal 20 luglio al 16 settembre 2017 il Centro Capizzano/ MAON (Museo dell’arte dell’Otto e Novecento) celebra i suoi vent’anni con un programma esclusivo che mette insieme artisti calabresi o collegati alla Calabria per nascita o perché hanno frequentato la nostra regione. Tre le proposte: “NEW ENTRY / Acquisizioni recenti”, curata da Tonino Sicoli e Gregorio Raspa; “MANIFESTARSI / Attività e comunicazione di un museo”, mostra a cura di Tonino Sicoli e Silvia Pujia; “MAONSTORY / Slideshow” curata da Carmelina Cosenza e Roberto Principe (Strategiaculturali) La prima esposizione presenta trenta acquisti di opere che vanno ad aumentare la collezione di Arte in Calabria. Il MAON, riconosciuto fra i luoghi del Contemporaneo dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è una delle poche istituzioni culturali meridionali dedicate all’arte moderna e contemporanea. Pippo Altomare, Giuseppe Amadio, Maria Luisa Belcastro, Francesco Antonio Caporale, Nicola Carrino, Antonio Cilurzo, Francesco Correggia, Rino Cosentino, Maria Credidio, Salvatore Dominelli, Francesca Ferraiuolo, Francomà, Tonina Garofalo, Antonio Gatto, Francesco Guerrieri, Hector & Hector, Bruno La Vergata, Elda Longo, Luigi Magli, Domenico Mendicino, Assunta Mollo,
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Mario Parentela, Antonio Pujia Veneziano, Antonella Rocca, Angelo Savelli, Nicola Spezzano, Camilla Thompson De Martino, Fiorenzo Zaffina sono alcuni dei nomi presenti in mostra. La seconda esposizione mette in evidenza i vent’anni di attività del Centro Capizzano: mostre ed eventi interessanti che hanno dato valore al museo come “Caro Novecento”, “Moderno Estremo”, “Zang Sud Sud”, “Omaggio a Umberto Boccioni”, “Around Rotella”, “Ottonovecento”, “Dal Secondo Futurismo all’Arte concreta e dintorni”, “Alberto Burri e i poeti”, “Nadar, “In ricordo di Jannis Kounellis”: Il terzo progetto è uno slideshow (un video con immagini fotografiche dell’attività di questi venti anni: allestimenti nelle sale, inaugurazioni, ospiti e personaggi della cultura che hanno frequentato il MAON). Il MAON, ubicato nel Centro Storico di Rende nel settecentesco Palazzo Vitari, è nato 1997 su iniziativa del Centro per l’arte e la cultura “A. Capizzano” fondata da Sandro Principe e si è arricchito nel corso degli anni di mostre permanenti. Il Museo nasce da un progetto del critico d’arte Tonino Sicoli. Alessandra Primicerio
L’antenna più alta d’Europa: il ponte di Santiago Calatrava a Cosenza.
Santiago Calatrava, architetto, ingegnere e scultore spagnolo, nato nel 1951 a Velencia, ha realizzato opere in Svizzera, Germania, Francia, Spagna e Canada. In Italia Calatrava ha costruito tre viadotti lungo il nuovo asse di Reggio Emilia, il quarto ponte sul Canal Grande di Venezia e per i mondiali di nuoto del 2009 a Roma ha progettato la città dello sport, nel territorio universitario di Tor Vergata, rimasta incompiuta. Inizialmente affascinato dalla pittura e dalla scultura giunge agli studi di architettura. Calatrava unisce nelle sue opere disegno, architettura e scultura, elementi basilari della sua ricerca.
Architetto-scultore” e “architetto-ingegnere possiede una forte propensione all’interdisciplinarietà, ricerca continua di forme espressive differenti, studio verso le scienze esatte e l’ingegneria, verso la plasticità e l’estetica delle forme. Le forme delle sue sculture richiamano l’immagine di flusso e di movimento. “...la scultura è alla base della mia ricerca formale al servizio sia della mia architettura sia della mia ingegneria”, scrive Calatrava. Un grande architetto spagnolo dai molteplici volti: architetto, ingegnere,
ceramista, scenografo, pittore, scultore. Ogni sua realizzazione è preceduta da dipinti ad acquerello che raccontano la sua filosofia e il suo progetto. I suoi lavori spesso sono ispirati alle forme ed alle strutture che si trovano in natura. Ritiene che l’architettura sia un armonizzare tutte le arti in una sola. Nel 2011 Benedetto XVI lo investe consultore del Pontificio Consiglio della Cultura. Il 23 luglio 2017 sono stati sollevati centoquattro metri di altezza e 800 tonnellate di peso per la tanto attesa antenna simbolo del ponte di Calatrava a Cosenza. L’ inaugurazione ufficiale sarà a settembre dopo 17 anni dalla progettazione. Il ponte più alto d’Europa, disegnato da Santiago Calatrava, è retto da una serie di cavi (gli stralli) ancorati a piloni di sostegno. L’antenna è stata montata tra via Reggio Calabria e via Popilia.Il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto ha ripreso una idea del sindaco Mancini. I suoi progetti hanno come obbiettivo la prosperità della città e fornire lavoro ai giovani. Il ponte unirà la città antica a quella nuova, collegando questa parte che diventerà pedonale con il parco Mancini. Alessandra Primicerio
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SICILIA
ROSSO GUTTUSO. OPERE1934-1978 Dal 19 Giugno 2017 al 05 Novembre 2017
Renato Guttuso, I martiri, 1954, olio, tempera, inchiostro di china su carta intelata, 162 x 300 cm
In occasione del suo nono anniversario di nascita, la Fondazione La Verde La Malfa – Parco dell’Arte di Catania (S.G.La Punta), istituzione attiva nella valorizzazione dei quattro fondi patrimoniali di cui dispone (il parco; la sezione di opere d’arte moderna e contemporanea; la collezione di abiti d’epoca e di libri antichi) e nella promozione artistica attraverso l’organizzazione di attività ed eventi culturali, è lieta di annunciare un’importante mostra dedicata al grande maestro siciliano Renato Guttuso. La mostra, pensata insieme alla Galleria De Bonis di Reggio Emilia che da molti anni si occupa della divulgazione delle ricerche e delle opere degli artisti del novecento italiano e in particolare delle opere di Renato Guttuso, sarà in permanenza negli spazi della Fondazione La Verde La Malfa – Parco dell’Arte dal 19 giugno al 5 novembre 2017. Rosso Guttuso presenta una selezione di lavori del pitto-
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re neorealista nato a Bagheria nel 1911 e morto a Roma nel 1987, tracciando un duplice percorso che è, allo stesso tempo, cronologico e tematico. In mostra, infatti, saranno esposte opere che vanno dal 1934 fino al 1978. Il testo critico è di Giorgio Agnisola.
SAN GIOVANNI LA PUNTA | CATANIA Luogo: Fondazione La Verde La Malfa – Parco dell’Arte Curatore: Giorgio Agnisola Costo del biglietto: tutti i giorni su appuntamento Tel: +39 095 7178155 e-mail info: fondazionelaverde@gmail.com sito: http://www.fondazionelaverdelamalfa.com
GIUSEPPE GRECA
Giuseppe Greca nasce a Enna nell’agosto del 1954. Esordisce nel 1975 nella collettiva di via castagna in Enna, cui seguono numerose collettive e personali. Schivo e anticonformista, “istintivo per natura e autodidatta per vocazione” Giuseppe Greca, pittore Ennese, si inquadra a pieno titolo in questa versione culturale attuale,proponendosi la mostra dal titolo “Trasparenze”. Egli si distingue per lo studio sistematico e metodico, intrapreso sin dal 1975, riguardo l’interpretazione della pittura, un interesse e una ricerca tecnica al di fuori degli schemi ideologici,di movimenti artistici o di formule preordinate a secondo libere direttrici culturali. L’artista aderisce ad un virtuoso astrattismo che gli consente magistralmente di rendere autonomo la sua arte eliminando del tutto il soggetto reale e la sua raffigurazione , ma non per questo perdendo il suo forte impatto visivo ed emozionale.
L’autore, spesso con titoli “ Cartame, quasi un paesaggio “ ci dimostra l ‘ importanza profonda del colore , troviamo spesso il giallo che rappresenta il grano , il rosso simbolo di protesta ed infine il nero racchiuso in un triangolo , che urla al cambiamento. L’ artista coglie l ‘ assenza delle cose mediante la felice individuazione di una realtà trasferita in simboli , immaginate nello stesso tempo un ‘ artista innamorato pazzo di questa Sicilia, che mediante un linguaggio nuovo conio, privando l’ esperienza visiva dello spettatore di quei tessuti connettivi , gli assicura riscontri immediati e superficiali certezze , evocando inconsuete dimensioni spirituali , immagini mentali di potente efficacia descrittiva e di un commosso amore della natura. Vi chiederete guardando i dipinti che cosa li lega alla natura. Essi non sono che la rappresentazione di Paesaggi, i quali colpiscono l‘eterno che immana alla nostra caduca realtà e di certo l’attende.
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SALVATORE ALESSI
Partendo dall’espressionismo astratto e dall’informale, Salvatore Alessi crea opere di forte impatto visivo, amalgamando segno e colore come un sapiente alchimista, costruendo coreografie di crescente intensità in cui cromatismi accesi si affiancano a tonalità con connotazione cupa fino a fondersi nel sovrapporsi delle trasparenze. Con tratto deciso l’artista stende il colore in campiture ampie, che si intrecciano con i segni grafici per disegnare architetture complesse eppure dotate di impatto espressivo immediato. Grazie all’utilizzo della tecnica mista, crea contrasti chiaroscurali e materici che scandiscono il ritmo della composizione. Questi lavori aprono una finestra sull’inconscio per metterlo in comunicazione con la realtà esterna, liberano emozioni che riescono a oltrepassare la superficie dell’anima fino a dialogare con l’osservatore in una reciproca ricerca di autoconsapevolezza.Paolo Levi
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FRANCESCO DI MARTINO
Nato a Caltagirone, la Faenza della sicilia, frequenta l’istituto d’arte per la ceramica conseguendo il titolo di Maestro d’Arte. Trasferitosi a Torino si iscrive all’accademia Albertina e ottiene il diploma in discipline plastiche seguito dallo scultore artista Sandro Cerchi. Si impegna nell’insegnamento d attività artistiche nelle scuole dell’obbligo di 1° e di 2° grado. Da anni si dedica alla ceramica sonora. Ha partecipato a molte manifestazioni, mostre collettive e concorsi nazionali riportando lusinghieri successi. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, vive e lavora a Torino dove tiene corsi di ceramica Le figure
geometriche piane e solide sono le forme più semplici e facilmente leggibili da tutti, piccoli e grandi. L’autore ha utilizzato queste forme per realizzare delle immagini altrettanto comprensibili: il toro, il cavallo, l’elefante, etc. Ciò è stato possibile mediante una particolare ricerca e approfondito studio di “manipolazione intellettiva” delle forme geometriche con lo scopo finale di ricavare delle sculture sonore. Infatti tutti gli elaborati sono oggetti in ceramica con un denominatore comune: soffiando in una parte ben definita emettono un suono.
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ELIO RANDAZZO
FUTURISMO & ALTRE STORIE 1-24 SETTEMBRE 2017 inaugurazione venerdì 1 settembre 2017 ore 17,30
Rapallo Antico Castello sul Mare venerdì/sabato/domenica h 16,30/19,30 ingresso libero
info +39 339 7228865 www.comune.rapallo.ge.it