Civico103 n. 12

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n. 12 free magazine - Galleria civica di Modena



SPRINGTIME NEWS Non di rado l’opera d’arte instaura un rapporto intimo, privato, riservato con lo spettatore, avvia un dialogo nel quale a nessun altro è consentito intervenire, stabilisce – anche in contesti affollati e dispersivi – un legame diretto, reciproco, esclusivo e totalizzante. Nei molti mondi, l’installazione progettata da Guido Acampa e Gabriele Frasca come omaggio a Philip K. Dick, appartiene a questa categoria di opere per sua natura, essendo concepita proprio come “videodramma a spettatore unico”, predisposta cioè per il godimento in assoluta solitudine, in una condizione immersiva e avvolgente che è possibile condividere soltanto a posteriori. E come il protagonista del racconto di Dick – ibernato ma cosciente viaggiatore nello spazio – lascia che il computer dell’astronave ne indirizzi i pensieri, così il visitatore conviene che si abbandoni completamente

It is not uncommon for a work of art to build an intimate, reserved or even private relationship with the onlooker, setting up a dialogue in which no one else my intervene, and – even in crowded and dispersive contexts – establishing a direct link, a reciprocal, exclusive and totalising bond. Nei molti mondi, the installation designed by Guido Acampa and Gabriele Frasca as a homage to Philip K. Dick, belongs to this category of works by virtue of its nature, having been conceived as a ‘video drama for single viewer,’ meaning that it is structured so as to be enjoyed in absolute solitude, in an immersive and all-enveloping condition which may only be shared in hindsight. And like the protagonist of Dick’s story – a hibernating yet conscious space traveller – he lets the computer of the spacecraft guide his thoughts, just as the onlooker 3


alle immagini, alle parole e ai suoni dell’opera, non avendo altra possibilità (eccetto la fuga) per rivolgere altrove occhi e orecchi. Questo numero di “civico 103” rende parallelamente conto dell’allestimento di Dreams and Conflicts, la mostra del collettivo IRWIN inaugurata a metà marzo alla Palazzina dei Giardini. Qui è invece la dimensione partecipativa (ma non necessariamente la fruizione collettiva) a porsi come caposaldo della ricerca e della poetica del gruppo, e la fondazione dello stato non territoriale NSK State in Time – del quale chiunque può divenire cittadino – ne rappresenta forse il più compiuto raggiungimento artistico. La ricchissima offerta primaverile della Galleria continua con gli allestimenti della collezione dedicati all’Informale in Italia e al fotogiornalismo, la cui apertura è stata prorogata in seguito al riscontro più che positivo di pubblico e critica. Proprio alle raccolte è riservata una sezione di questo numero della rivista, nella quale si ricorda la cospicua donazione di grafiche da parte dell’Associazione per la diffusione dell’opera artistica di Modena e si annuncia l’intensificarsi della campagna di incremento del patrimonio da parte della Galleria, in vista dell’allestimento di due piccole mostre interamente incentrate sulle nuove acquisizioni. La primavera si concluderà, come tradizione, col Festival Internazionale di Musica Elettronica e Live Media NODE. 4

may abandon him/herself entirely to the images, the words and the sounds of the work, having no other way (except by leaving) to turn to other eyes and ears. This issue of civico 103 also offers an account of the show Dreams and Conflicts, the exhibition by the IRWIN collective which opened in mid-March at the Palazzina dei Giardini. This instead offers a participatory dimension (though not necessarily one of collective fruition) as the centrepiece of group research and poetics, and the foundation of the non-territorial state NSK State in Time (of which anyone may become a citizen) perhaps represents the highest expression of its artistic achievement. The rich Spring offerings at the Gallery continue with the two shows from the Collections on the Informal movement in Italy and on photo-journalism, the opening of which has been extended due to the highly positive response both from critics and the general public alike. In fact, a section in this issue is given over to the Collections, reflecting on the major donation of graphic works made by the Associazione per la diffusione dell’opera artistica of Modena, thus marking a major increase in the Gallery’s own heritage, in view of which, two small upcoming exhibitions will be held, entirely given over to the new acquisitions. As is traditional, this Spring will come to a close with the NODE Festival.

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Aldo Bandinelli, Gatto seduto, 1936 china e biacca su carta. Collezione Galleria civica di Modena p. 2 Davide Benati, Canto, 2006, acquaforte acquatinta a cinque colori Galleria civica di Modena pp. 6-26 Guido Acampa e Gabriele Frasca, Nei molti mondi. Videodramma a spettatore unico omaggio a Philip K. Dick, frame da video

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VIVI VIAGGI VELOCI (ALLA GALLERIA CIVICA)

Gabriele Frasca

Buio e silenzio, così mi avevano detto. Anni e anni di buio e silenzio. Almeno dieci. Un lungo sonno senza sogni, profondo e stagno, per risvegliarsi poi in un mondo nuovo. Sarebbe stato semplice come addormentarsi. Persino per uno come me, che era da tanto che non prendeva facilmente sonno. Un lento scivolare senza sensi fra le pieghe in gelatina della mente. Nemmeno una goccia di carne molle sarebbe svaporata in una larva o in un pensiero. Solo silenzio e sabbia, dove sarebbe al dunque sprofondato quel sanguinario teatrino d’ombre da tutto esaurito in cui ogni notte, dal primo buffetto sul culo, ciascuno è accompagnato al posto che gli è stato riservato. Anni e anni, avevano assicurato a noi che eravamo sul punto di partire, in cui avremmo trascorso nient’altro che la secca dove, al primo calare delle palpebre, con tutto il corpo ci saremmo incagliati. Come mummie fra i loro balsami in una tomba incavata nel deserto, m’ero sorpreso a pensare quando lo psicologo della Compagnia aveva fatto pausa, perché ciascuno di noi potesse elaborare il concetto di quanto gli sarebbe accaduto. Era un uomo straordinariamente loquace, il dottor Smile, con la barbetta rada, secondo l’ultima moda delle minoranze alfabetizzate, e il camice d’ordinanza con fiori stampati. Amarillidacee gialle e blu, il simbolo della Compagnia: VVV, Vivi Viaggi Veloci. Dieci anni per lo meno, certo, ma a ognuno di noi, aveva ripreso, sarebbe parso di ridestarsi in un niente, persino troppo presto, addirittura più di quanto ciascuno non sperasse di arrivare. E aveva sorriso. Noiose, quelle sedute collettive, lo erano, ma anche obbligatorie, come le analisi mediche, le simulazioni, 7


e i processi di parziale ibernazione con cui, due volte alla settimana, si sviluppavano le capacità dell’organismo di tollerare temperature sempre più rigide. Un mondo nuovo a ogni battito di ciglia, questo per la Compagnia, aveva aggiunto il dottor Smile, non è solo uno slogan, ma una promessa puntualmente mantenuta di cui andiamo orgogliosi. Per noi che avremmo intrapreso il viaggio, insomma, il tempo non sarebbe trascorso, né oggettivamente, perché la sospensione criogenica avrebbe rallentato i processi vitali, lasciando per così dire il corpo in stand-by, né soggettivamente, perché non avremmo avuto nemmeno il tempo di chiudere gli occhi che, oplà, ci saremmo ritrovati a stiracchiarci nelle nostre vasche, impazienti della nuova vita. Come quando dopo un giorno particolarmente faticoso, il sonno giunge e libera sempre per un lasso di tempo così breve, che al risveglio nemmeno ci capacitiamo di avere chiuso gli occhi. Quand’è che mi sono addormentato, se adesso sono già sveglio? Ho per davvero dormito, oppure? Oppure cosa? Il tempo è un’impostura, pensai mentre ci stavano accompagnando in fila per sei nel salone del sonno della nave. Quanti eravamo in tutto? Una sessantina, su per giù, negli accappatoi che nascondevano la nudità del corpo che avremmo offerto al gelo di un lungo viaggio inavvertito. Gli abiti che sarebbero stati indossati nel primo giorno della nuova vita, se ne stavano stirati e lucidi negli armadietti, e i bagagli viaggiavano sotto plancia. Le hostess, con i loro sbrigativi sorrisi materni, ci avevano invitati a prendere posto nelle teche, ognuno secondo il proprio numero. Io avevo il 16. Ci sono nato, il 16, e mi era sembrato un buon auspicio. Si parte, mi ripetevo. Un lungo tuffo in un gelido utero, e poi avrei visto la luce di un altro sole, su un’altra terra. Questo momento, pensai per elaborare l’inquietudine infilandomi nella vasca, me lo voglio godere. Lo dovrò ricordare. Come le dita sottili dell’assistente di volo che mi stanno adesso assicurando gli occhialini termici. Non deve avere più di sedici anni, o almeno a quell’età l’ha riportata il chirurgo genetico, ed è assai carina. Anche io non dimostro che trent’anni, ma ne compirò più di ottanta a dicembre. Com’è passato rapido e insensato il tempo. E chissà quanto dureranno le operazioni d’imbarco. Nelle simulazioni era andato sempre tutto per le spicce, e ora invece ogni gesto mi appariva rallentato. E invece avevo fatto appena in tempo a distendermi nella vasca, che il coperchio trasparente s’era chiuso con un lieve sibilo. Sembrava un sospiro, mi aveva sempre ricordato un sospiro, dalla prima prova. Come se quel complicato congegno tirasse il fiato prima di mettersi all’opera. Era invece il gas soporifero che precedeva il gelo. Sfrigolava via dal suo beccuccio. Quell’emozione l’avevo già provata nel simulatore, così come l’improvviso pulsare del sangue 8

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nelle tempie, e l’inconfessata paura di non svegliarmi più. Ma ora era diverso. Era la volta giusta, questa. Oppure mi stavo confondendo? La Compagnia era assai scrupolosa, e il check-in durava fra prove, indagini e visite mediche quasi un mese. Ma non potevo sbagliarmi. È la vera partenza, questa. Finalmente. Vediamo cos’altro potrò ricordare del mio ultimo giorno sulla Terra, mi chiesi, perché appena rinchiuso nel mio sarcofago traslucido provavo una gran voglia di parlarmi. Le hostess erano scomparse, con le loro gonne corte plissettate e le grosse tette ricoperte di pellicole multicolori. Avevano già abbandonato la nave, scivolando via come fantasmi. Non c’era più nessuno nel salone. Potevo a malapena distinguere qualche vasca come la mia, e un silenzio di ghiaccio. Tentai di guardare dentro quella più vicina, alla ricerca magari di uno sguardo, una smorfia di complicità, o un cenno di saluto. Un po’ di calore umano da qualche compagno di viaggio, con cui lasciarmi andare all’ultimo rigore. Ma non c’era più nulla da vedere nelle vasche. Una specie di fumo bianco scintillava il riflesso delle luci della cabina che si andavano attenuando, così denso da celarvi il corpo che conteneva. Anch’io non sarò altro che questo, pensai, una nebbia che rifrange abbagli. L’avrebbero spenta presto del tutto l’illuminazione nella sala, per anni e anni di navigazione al buio, nel silenzio. La navicella, coi suoi passeggeri addormentati, non avrebbe avuto bisogno di luci né di suoni, e nemmeno d’aria. Trascorrerò un decennio vivo nella morte. E a quel pensiero, invece di raccogliermi in quiete, come m’era stato raccomandato, cominciai ad agitarmi. 9


Tutte le angosce che durante le simulazioni il dottor Smile ci aveva insegnato come tenere a bada, mi tornarono a balbettare il loro sconforto. E se finissimo fuori rotta, dicevano, alla deriva, senza possibilità di essere più risvegliati, e senza nemmeno poter morire una volta per tutte, che cosa sarà di noi, sospesi per l’eternità al di qua della vita? Dovremmo solo sperare, senza nemmeno esserne coscienti, di finire nel campo gravitazionale di un pianeta, o di essere risucchiati da una stella, o intercettati dalla fuga di una cometa, e farla finita. Sarebbe stata, a lume di statistica, solo questione di tempo. E se invece non capitasse mai, se il computer di bordo riuscisse, anche una volta esaurito il propellente, a sottrarre la nave a ogni gravitazione, e scansasse persino gli sciami di meteore, così, un millennio dopo l’altro, senza guastarsi, e senza mai ritrovare la rotta? Una sola probabilità su miliardi di miliardi, ma comunque una. Per un caso sciagurato potevamo persino arenarci in una secca dell’universo. Ce ne sono qua e là di angoli morti nel buio siderale, depressioni inattese sottratte a ogni forza, dove a finirvi ci si blocca in eterno. Allora, e sempre senza poterla formulare, e nemmeno percepire, dovremmo solo impetrare al nostro niente la preghiera che il cosmo intero abbia termine. Diventeremmo Dio, condivideremmo la pena del Suo essere nulla. Ricongiunti a Lui, sconteremmo la colpa stessa dell’essere supremo. La morte cui destina ogni cosa, per vendicarsi di quanto Gli sia stata negata. ‘Fanculo a quell’idea del cazzo di una nuova vita! No, come al solito, non ci riuscivo proprio a controllare la propensione al pessimismo del mio carattere, malgrado tutte le ore di Autocontrollo e Disciplina della Mente trascorse con quella larva di psicologo. Mio Dio, pensavo. Non voglio restare qui, non è per me, non ce la faccio. È tutto così innaturale. Noi non siamo nati per questo, abbiamo un sangue che scorre caldo, ed è grazie a quel tepore che viviamo. Raffreddare un corpo ancora in vita, abbassargli la temperatura fino alle soglie della morte, è un atto sconsiderato, anzi, di più, è hybris, perché così sarà il corpo di mandorla di Dio, gelido e inerte nella rabbia del suo pensiero. Ma come mi sarà passato per la testa di emigrare, alla mia età. No, non è per me, tutto qui, non sono tagliato per queste cose. C’è chi ci riesce, e chi no, punto e basta. E adesso alzo la voce e glielo dico. Ma a chi? Basterà che mi metta in contatto con i tecnici della torre di controllo. Avranno certo previsto che qualcuno possa cambiare idea. Schizzerei via io stesso da questa teca, se riuscissi a muovermi. Merda, come me ne tiro fuori? Semplice, urlo. Ci sarà un microfono nella vasca, no? Strillerò con quanto fiato riuscirò a strappare a questo gelo che mi facciano uscire, che me ne voglio andare, e che non significa niente che ho superato tutte le prove, perché non ho fatto altro che fingere, ecco, ho soltanto simulato di essere in grado di affrontare questo viaggio, ma non ne ho il cuore, non 10

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ne ho la forza. Magari io stesso lo ignoravo, ma adesso lo sento che non fa per me. Non ne sono all’altezza, tutto qui, e finisce che ci muoio qui dentro, ci muoio a starmene immobile in questa nebbia. Non lo capite che non sono la persona che ho detto di essere, e poi, che cazzo, ho semplicemente cambiato idea, non voglio partire più. Mi sentite? Uno potrà ritornare sui propri passi, no? Se riuscite a sentirmi, per favore, mi fate uscire? Eh? Mi portate via di qui? Vi prego, imploravo, senza più sentire le labbra. Ma il panico, aveva spiegato il dottor Smile, qualora anche si fosse presentato, non sarebbe durato che un istante. Si abituerà presto, vedrà. Tutti conservano uno straordinario ricordo della fase che precede la sospensione. Le statistiche sono chiare. Magari andrà proprio così, mi dissi sprofondando nell’apatia, e provai qualcosa che rassomigliava a un sollievo, ma era molto di più, perché gli occhi adesso si appesantivano, proprio mentre il torpore, inaspettatamente, diveniva piacevole. E persino il gelo che rendeva la mia carne un cristallo, svanì nella carezza appena sfiorata d’una mano esangue. Come scorrono veloci le emozioni. Era bastato un attimo, e adesso tutte le paure s’erano dissolte, e mi sentivo solo stanco, e rappacificato. Finché non mi conquistò la più dolce delle sensazioni, quella di non essere costretto a lottare col sonno. Non per invocarlo, non per evitarlo. Giunge il torpore, infine, e dormirò quel tanto per svegliarmi in un mondo nuovo, e a questo pensiero, che a detta del dottor Smile ciascuno di noi avrebbe dovuto riservare ultimo, per davvero provai un po’ di gioia, e l’allegria del freddo. Sarà così la morte, quando infine nel suo ultimo sforzo di veglia tutto il corpo l’accetta, con quella paradossale estrema gioia infantile che talvolta acconcia le labbra al sorriso, prima che ne esali l’ultimo fiato. È molto più prossimo di quanto non si creda il paradiso. È il semplice assenso della materia, rapido e definitivo, cui, vi si assestasse tutta la mente, lo farebbe una volta per sempre. Stand bye bye. L’eternità è a portata di mano, e non è altro che un ultimo pensiero, che non smette più di pensare se stesso. Di pensare, Sì. Di pensare, Penso. Mi penso, sì, ma senza più un pensiero. Né un sogno. Né un ricordo. Né parole. Né me. Al buio. Nel silenzio. Per sempre. E invece qualcosa non era andata per il verso giusto.

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EXPERIENCE EXPRESS EXPEDITIONS (AT THE GALLERIA CIVICA)

Gabriele Frasca

Darkness and silence, that’s what I’d been told. Years and years of darkness and silence. At least ten. A long, dreamless sleep, deep and still, only to then wake up in a new world. It would be as simple as falling asleep. Even for someone like me, who had been having problems sleeping for a long time. A slow, senseless slipping between the gelatinous folds of the mind. Not even an ounce of soft flesh would be whittled away in this larvic state of thought. Just silence and sand, and even that familiar shadow theatre would sink away in due time, the one where every night, from the first soothing pat on the rear, we are all accompanied to our front-row seat. Those of us who were about to depart had been assured that for years and years we would venture no further than the sandbank in which our whole bodies run aground as soon as our eyelids fall. Like mummies in their embalming fluids in a tomb dug out in the desert, I found myself thinking when the Company psychologist paused in order that each of us might elaborate what was to happen to us. Doctor Smile was an extraordinarily talkative fellow, with his stubbly beard, in keeping with the latest trends among the medical literati, and the standard issue white coat with printed flowers. Yellow and blue amaryllidaceae, the symbol of the Company: XXX, Experience Express Expeditions. 10 years at least, of course, yet each 13


one of us, he had resumed, would have the impression of awakening once more straight away, almost too soon, even sooner than any of us might have hoped to arrive. And there he flashed a smile. Those group sessions certainly were a bore, but they were compulsory, just like the medical analyses, the simulations, and the partial hibernation processes with which, twice a week, the capacity of the organism to tolerate ever more severe temperatures was developed. “A new world in the blink of an eye: for the Company”, Dr Smile added, “this was not just a slogan, but a promise kept time and time again, and of which we are proud”. For us who were to undertake the journey, in other words, time would not pass, neither objectively (for the cryogenic suspension would have slowed down our vital processes, leaving the body in standby, as it were) nor subjectively (for we wouldn’t have time to close our eyes before finding ourselves stretching in our cases, impatient to get started on our new life). Just like when, after a particularly tiring day, we fall so quickly into such a deep sleep, that when we wake up we can hardly believe that we even closed our eyes. When was it that I fell asleep, if I’m awake again once more? Did I actually sleep at all…or? Or what? Time is just an illusion, I thought as we were taken, six by six, to the sleeping chamber of the ship. How many of us were there in all? 60 or so, roughly speaking, in our bathrobes that concealed the nudity of the bodies we were to offer up to the freezing temperatures of a long yet imperceptible journey. The clothes that were to be worn on the first day of our new lives hung pristine in our lockers, and all our other baggage was all stored below deck. The hostesses, with their dazzling maternal smiles, invited us to take our places in the cases, each according to the number we had been given. I had number 16. And I was born on the 16th so that seemed to me to be a good sign. We’re off, I kept saying to myself. A long dive into a frozen womb, and then I would see the light of another sun, on another Earth. This moment, I thought in order to deal with the restlessness I felt as entered the case, is one to be savoured. I will have to remember it. Just like the thin fingers of the flight assistant that are now checking my thermal goggles. She can’t be more than 16, or at least she’s been brought back down to that age by the genetic surgeon, and she sure is a pretty one. I myself look no older than 30, although I’ll be turning more than 80 in December. How quickly and numbly time has passed. And who knows how long the boarding operations will take. In the simulations, it always clipped along, but now it feels like every single movement is slowed right down. And yet I only just had time to lie down in the case before the transparent cover closed with a slight hiss. It almost sounded like a sigh, or at least I had always been reminded of a sigh, right from the first test. As if that complicated mechanism 14

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were drawing breath before getting down to work. Instead it was the sleeping gas that came before the freeze. It whistled out from its nozzle. I had already experienced that feeling in the simulator, as well as the sudden throbbing of blood in my temples, and the unmentionable fear of never waking up again. But now it was different. This was the real thing. Or was I getting confused again? The Company was rather scrupulous, and the check-in lasted almost a month, what with trials, studies and medical examinations. But I couldn’t be wrong. This is the real departure. At last. Let’s see what else I might be able to remember about my last day on Earth, I wondered, because as soon as I had been sealed off in my transparent sarcophagus, I was overcome with the desire to speak to myself. The hostesses had disappeared, together with their short pleated skirts and their large breasts covered in multi-coloured film. They had already abandoned the ship, slipping away like ghosts. There was no one left in the chamber. I could only just make out some other cases like my own, and then an icy silence. I tried to look into the neighbouring one, perhaps in search of a gaze, a grin of complicity, or a wave. A little human warmth from one of my travelling companions, with whom to let myself go at the last cold. But there was nothing to be seen in the glass cases. The white fumes sparkled as they reflected the dimming lights of the cabin, too thick to reveal the bodies in their midst. I too must appear as nothing but this, I thought, a cloud of fog reflecting flashes. Soon they would turn off all the lighting in the chamber, for years and years of navigation in darkness, in silence. The spacecraft, with its cargo of sleeping passengers, would have had no need for light nor sounds, and not even air. I was to spend years alive in death. And at that thought, instead of settling down as I had been told, I started to get agitated. All the angst that during the simulation sessions Dr Smile had taught us how to keep at bay re-emerged as a flood of doubt. What if we strayed off track, drifting through space, with no hope of being reawakened, and without even being able to die once and for all: what would become of us, suspended for eternity only just this side of life? Our only hope, without even being aware of it, might be to end up in the gravitational field of a planet, or to be sucked up by some star, or intercepted by a comet, and have done with it. Statistically, it would only have been a matter of time. And if on the other hand it didn’t happen, what if the onboard computer, even once the fuel had run out, managed to steer the craft clear of every gravitational field, even slipping through meteor showers, and so on, millennium after millennium, without breaking and without ever finding the route? A sole chance out of billions of billions, yet one all the same. By some mishap, we might even end up stranded in some universal rut. There are the odd dead corners in the sidereal 15


darkness here and there, unexpected depressions devoid of any force, and ending up there would mean being blocked for all eternity. In that case, even without being able to formulate the thought or even perceive the situation, we might only pray to our void that the whole cosmos might come to an end. We would become God, and we would share the suffering of His nothingness. Reunited with Him, we would serve the same sentence as the supreme being. Wishing death upon everything to avenge all that which had been denied to Him. “To hell with the whole fucking idea of a new life!” As usual, I was completely unable to control my natural propensity towards pessimism, despite all those hours of Self-Control and Mental Discipline spent with that larva of a psychologist. My God, I thought. I don’t want to stay here, this isn’t for me – I can’t deal with it. It’s all so unnatural. We weren’t born for this; it’s warm blood that flows through our veins, and it is thanks to that warmth that we live. Cooling down a living body, lowering the temperature down to the threshold of death is a reckless act, or rather it’s hubris, for such is the almond body of God, gelid and inert in the rage of His thinking. What was I thinking of, trying to emigrate at my age? It’s not for me, all of this; I’m not cut out for this sort of thing. There are those who can and those who can’t, that’s all there is to it. And now I’m saying it all out loud. But to whom? All I need to do is to get in touch with the technicians in the control tower. They must have foreseen that some people might have a last-minute change of mind. I would get out of this case myself if only I could move. Fuck, how am I going to get myself out of here? Simple. I’ll start yelling. There must be a microphone in the case, mustn’t there? I’ll scream with all the breath I have left despite the cold for them to let me out, that I want to go, and that the fact I passed all the trials is meaningless, because I was just pretending, I was only feigning that I was capable of facing this journey, but my heart’s not in it, and I haven’t the strength for it. Perhaps I was trying to ignore it myself, but now I feel that all this is not for me. I’m just not up to the task, that’s all there is to it, and I’m going to end up dying in here; I’ll die and then stay here motionless in this mist. Do you not understand that I’m not the person that I said I was, and after all, I’ve just changed my mind, I don’t want to leave any more. Can you hear me? There must be something you can do if you have second thoughts, isn’t there? If you can hear me, please, could you let me out? Could you just take me away from here? I’m begging you, I implored, no longer able to feel my lips. Panic, Dr Smile had explained, should it arise, would last no longer than a moment. “You will see just how quickly you get used to it. Everyone has an extraordinarily clear memory of the pre-suspension phase. The statistics leave no room for doubt”. Perhaps that’s how it will go, I said to myself, sinking into apathy, and felt 16

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a sensation somewhat akin to relief, yet which was much more, for my eyelids were growing heavy, just as the drowsiness overcoming me unexpectedly became pleasant. And even the cold which was turning my flesh into crystal felt like no more than the soft stroke of a bloodless hand. How quickly emotions rush past. It had taken no more than a moment, and now all my fears had just floated away, and I felt peacefully sleepy. Until I was overwhelmed by the very sweetest of sensations, that of not being forced to fight against sleep. Not to invoke it, and not to avoid it. The torpor will envelop me in the end, and I will sleep as long as necessary to wake up in a new world. And with this thought in mind, which according to Dr Smile each of us was supposed to feel in our final moments, I really did feel a little shiver of delight, the joy of the cold. Death must be like this, when finally with its last conscious effort the whole body embraces it, with that paradoxical utterly childish joy that sometimes turns the corners of the lips into a smile, just as the last breath is exhaled. Heaven is much closer than people think. It is merely the sudden and definitive absence of matter, and if the mind could properly grasp that, it would never turn back. Stand bye-bye. Eternity is within reach, and it is nothing but a final thought, one which never stops thinking of itself. Thinking, Yes. Thinking, I think. I’m thinking of myself, but without a thought anymore. Nor a dream. Nor a memory. Nor words. Nor myself. In the dark. In silence. Forever. And yet something had not quite gone the way it was supposed to.

Fra le ultime pubblicazioni di Gabriele Frasca (Napoli 1957) ricordiamo: Prime. Poesie scelte 1977-2007 (Luca Sossella, 2007), L’oscuro scrutare di Philip K. Dick (Meltemi, 2007), la cura e la traduzione di In nessun modo ancora di Samuel Beckett (Einaudi, 2008), e il romanzo Dai cancelli d’acciaio (Luca Sossella, 2011).

Among the most recent publications by Gabriele Frasca (Naples 1957) we might remember: Prime. Poesie scelte 1977-2007 (Luca Sossella, 2007), L’oscuro scrutare di Philip K. Dick (Meltemi, 2007), editing and translation of In nessun modo ancora by Samuel Beckett (Einaudi, 2008), and the novel Dai cancelli d’acciaio (Luca Sossella, 2011).

Foto Monica Biancardi

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GREETINGS FROM MANY WORLDS Gabriele Frasca

Nel dicembre del 1980 apparve su «Playboy» un testo che colpì a tal punto i lettori da essere votato come uno dei migliori contributi dell’anno. Era un racconto strano, di un genere ritenuto minore, e praticato con parsimonia persino dalla rivista, che nel corso della sua lunga storia aveva difatti ospitato, intorno all’attesissimo inserto color carne sempre meno proibita, non pochi autori assolutamente rispettabili della scena letteraria americana. Certo, un minuto drappello di scrittori accreditati alla science fiction vi aveva talvolta fatto capolino, se non altro coi suoi nomi più ripuliti, e persino uno degl’indiscussi capolavori del genere, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, vi era in verità nel 1954 apparso a puntate, a soli tre mesi dalla nascita dell’allora controverso mensile. Ma lo scrittore invitato in quell’occasione a collaborare, sebbene avesse già avu-

In December 1980, a text appeared in ‘Playboy’ which was striking to the point of being voted by readers as one of the finest contributions of the year. It was a strange tale of what was considered a minor genre, one published parsimoniously by the magazine, which over the course of its long history had in fact hosted – alongside the much-awaited and ever less forbidden flesh-coloured insert – more than a few well established representatives of the American literary scene. Of course, a very small selection of accredited science fiction writers had sometimes made an appearance, mainly from among the more acceptable of names, including one of the unquestionable masterpieces of the genre: Fahrenheit 451 by Ray Bradbury, which had in fact been featured in episodes in 1954, only three months after the founding of the then controversial monthly. 19


to modo di constatare l’attenzione crescente che soprattutto la Francia tributava alla sua opera, e potesse vantare di essere stato insignito del premio Hugo già nel 1963, non godeva di buona fama in patria, dove i suoi romanzi e le sue raccolte di racconti circolavano in edizioni pulp destinate a un pubblico per lo più di adolescenti. Come se non bastasse, correvano voci sul suo conto poco rassicuranti: che fosse completamente dedito agli stupefacenti, per esempio, e che in più di un’occasione avesse dato di matto, oltre ad aver visto Dio. Era pur vero che l’autore più rinomato del genere dell’altro blocco, Stanislaw Lem, l’aveva definito l’unico scrittore che valesse la pena di leggere fra tanti ciarlatani; e certo non era sfuggito ai critici più avvertiti quanto persino il misterioso Thomas Pynchon, i cui romanzi erano 20

But the writer invited on that occasion to collaborate, although he had already been able to witness the slow rise of attention given to his work – especially in France – and could lay claim to having been awarded the Hugo Prize as far back as 1963, was not looked upon kindly in his homeland, where his novels and collections of short stories circulated largely in pulp prints, destined to a largely adolescent audience. As if that were not enough, a number of rather disarming rumours also circulated about him: that he was an outright slave to narcotics, for example, and that on more than one occasion he had gone completely out of his mind to the point of having seen God. What’s more, the most famous author of the sci-fi genre on the Eastern side of the Iron Curtain, Stanislaw Lem, had defined him as the only writer worth read/ aprile 2014


in cima alle letture nelle università del paese, gli dovesse qualcosa. Ma le due circostanze, al più, potevano valergli solo ad aggiungere la taccia di radicale e comunista alla già conclamata nomea di drogato e psicopatico. Quando dunque «Playboy» comprò I Hope I Shall Arrive Soon, a Philip K. Dick non sarà parso vero di doppiare, dopo appena due mesi, la prima uscita di tutta la sua lunga carriera su una pubblicazione periodica ritenuta prestigiosa. Rautavaara’s Case, difatti, altro racconto tutto cerebrale sospeso fra la vita e la morte, era apparso a ottobre su «Omni», rivista patinata di divulgazione scientifica. Qualcosa insomma stava accadendo nella vita di un autore che era in verità appena riemerso da una sua personalissima stagione all’inferno. All’inizio dell’anno successivo, a conclamare la svolta popolare, gli si sarebbero spalancate persino le strade per Hollywood, esattamente al primo ciack del film che avrebbe infine contribuito a consacrare la sua fama, Blade Runner. Ma Dick fece in tempo a vederne appena un po’, di girato: sostanzialmente gli effetti speciali, che gli piacquero molto, così come si sa quanto l’avesse irritato la prima sceneggiatura. Le cose però andarono come andarono, e neanche gli fu data la soddisfazione di sedere fra tante star alla prima del 25 giugno del 1982. Philip K. Dick, minato nel fisico da una vita dedita alla farmacopea sperimentale, sarebbe morto d’infarto il 2 marzo di quello stesso anno.

ing among so many charlatans; and of course it had not gone unnoticed to the sharpest critics how much even the mysterious Thomas Pynchon – whose novels were the most read in universities across the country – owed to him. Yet the two circumstances, at best, only served to add the labels of ‘radical’ and ‘communist’ to his already tarnished reputation as a drug addict and psychopath. And so when Playboy purchased ‘I Hope I Shall Arrive Soon’, it must have seemed unreal to Philip K. Dick to follow his first publication of his long career in a magazine of a certain prestige only two months later: ‘Rautavaara’s Case’, another entirely cerebral tale, suspended between life and death, in fact appeared in October in ‘Omni’: a glossy science magazine. In other words, something had started happening in the life of an author who had actually just emerged from his own highly personal version of hell. By the start of the following year, reaffirming his new-found popularity, even the red carpet to Hollywood was rolled out in front of him, with the filming of the first scenes of the movie that would consecrate his fame: Blade Runner. However, Dick only managed to see a part of the shooting (mainly the special effects, which he greatly appreciated, just as much as he was known to have been irritated by the first screenplay). For the way things turned out, he was not even granted the satisfaction of sitting among the many stars at the pre21


Ai primi del 2008 mi giunse una strana richiesta. Per una rassegna su Dick curata dal Teatro Masque di Forlì, m’invitavano a tenere una sorta di conferenza che fosse al contempo lo spettacolo conclusivo della serata. Non ricordo se sia stata per davvero l’idea iniziale, ma mi parve chiaro a un certo punto che proprio quel racconto apparso sulla rivista di Hugh Hefner potesse tornarmi utile. La strana vicenda di Victor Kemmings, ibernato ma cosciente per un malfunzionamento del sistema durante il suo viaggio decennale nello spazio profondo, e intrattenuto pertanto dal computer di bordo un ricordo dopo l’altro perché non impazzisse, mi parve l’ossatura perfetta sulla quale innestare la polpa dell’immaginario dickiano, in specie l’ultimo, quello per così dire teologico. In più, pensavo, nessun’altra storia si sarebbe prestata con maggiore puntualità a rendere conto di una teoria della fisica quantistica molto praticata da Dick, quella che presuppone l’esistenza di mondi che vivono in parallelo, e fra i quali la realtà subatomica, e forse non solo quella, non farebbe che scivolare. Mi ritornava alla mente una singolare affermazione cui s’era lasciato andare l’alfiere dei mondi possibili, David Lewis, pochi mesi prima di morire: a dar per buona l’ipotesi dell’assenza del collasso quantistico, aveva dichiarato, a ciascuno di noi non sarebbe mai toccata la morte, solo un crescente deteriorarsi da un ramo all’altro di molti mondi, che 22

mier on 25th June 1982. Philip K. Dick, his body destroyed by a life of experimental pharmacopoeia, was to die following a heart attack on 2nd March that same year. In early 2008 I received a strange request. For an evening on Dick staged by the Teatro Masque in Forlì, I was invited to hold a sort of conference which would at the same time constitute the concluding moment of the show. I don’t recall whether it really was the initial idea, but it seemed clear to me at a certain point that that short story published in the pages of Hugh Hefner’s magazine might come in handy. The strange tale of Victor Kemmings, hibernated yet conscious due to a malfunctioning of the spacecraft system during his decade-long journey into deep space, and thus entertained by the onboard computer with one memory after the next in order to stop him going mad, appeared to be the perfect skeleton to flesh out with Dick’s imagery, especially that of his latter period, the theological stage, as it were. What’s more, I thought, no other story would lend itself so well to the explanation of the quantum physics theory so widely practiced by Dick: that which presupposes the existence of parallel worlds, and between which subatomic reality – and perhaps not only that – might simply slip back and forth. I was reminded of a remarkable statement uttered by the greatest exponent of the possible worlds theory, David Lewis, only a few months / aprile 2014


ci avrebbe lasciati «eternamente morenti». Da brividi. Da tutto questo cavai fuori una prosa da vocalizzare, un oratorio. E quando fu il momento di mettere in scena Spero di arrivare presto, il 18 maggio di quell’anno, coadiuvato da Roberto Paci Dalò, compagno di tanti eventi performativi, bastò macchinare un po’ la voce, sporcare l’aria di suoni statici, e l’effetto ventriloquo di tante creazioni radiofoniche si diffuse rapidamente fra gli spettatori sprofondati nel buio, che avrebbero del resto condiviso per un’ora buona con lo stesso personaggio: «Lei è sveglio, signor Kemmings». La storia non finì lì. Erano anni che mi lambiccavo il cervello, con Nino Bruno e Massimiliano Sacchi, su come proseguire la nostra collaborazione. Nel 2003, a nome ResiDante, avevamo registrato

before he died: if the hypothesis of the absence of quantum collapse were valid, he stated, none of us would ever reach death, but only a growing deterioration stretching from one branch to the other of many worlds, thus leaving us “eternally dying”. Scary stuff. I used all this to put together a form of prose to recite, a kind of oratory. And when the time came to stage Spero di arrivare presto on 18th May that year, with the support of Roberto Paci Dalò, my long-standing performance partner, it was suffice to change voice a little, fill the background with the static hiss, and the ventriloquist effect of so many radio plays rapidly spread among the spectators sitting in the dark, and who for a good hour were to share the space with the character: “You are awake, Mr. Kemmings.” 23


per Luca Sossella un cd, Il fronte interno, spremendo da un gruppo di poesie la musica necessaria a farne mezze-canzoni, come ci piaceva definirle. Sarebbe stato facile proseguire in quella direzione, ma a nessuno dei tre piaceva ribadire soluzioni già trovate. C’era invece capitato, in un paio di occasioni dal vivo, di provare a riorganizzarci intorno alla prosa. Pareva funzionare, ma non del tutto. Mi fu chiaro allora che quel testo sarebbe stato l’ideale per il gruppo. Fu così. Avevo sollecitato la vena psichedelica dei miei sodali, e quello che ne venne fuori mi parve sùbito di grande impatto, una specie di radiomelodramma dalle tinte stranamente vintage. Eppure, ancora una volta, da un mondo all’altro, quella storia non voleva finire di finire. Ricordo bene quando mi sorprese l’idea del videodramma. Avevo deciso di 24

But it didn’t end there. Together with Nino Bruno and Massimiliano Sacchi, I had been racking my brains for years about how to continue our collaboration. In 2003, with the name ResiDante, we had recorded a CD for Luca Sossella, Il fronte interno, squeezing from a group of poems the music needed to create a series of half-songs, as we liked to define them. It would have been easy to continue in that direction, but none of us was fond of retracing his own footsteps. However, in a couple of live performances, we had happened to try and come together around prose. It seemed to work, but only up to a point. It became clear to me then that that text would be perfect for the group. And so it was. I had triggered the psychedelic nerve of my companions, and what came out immediately appeared to be of / aprile 2014


“rivedere” Blue di Derek Jarman per la prima volta al computer, indossando le cuffie. Fu una sorta di rivelazione: la potenza del sonoro di quel singolare film cieco mi prese in una maniera così radicale che d’improvviso, appena sfalsate dietro la cortina di blu dello schermo, intravidi chiaramente delle immagini. Non potevo giurarci, ma sembravano proprio fibrillare dal di sotto. «Che trovata!» pensai. Ovviamente le immagini non c’erano, non ci sono mai state... E non era proprio quello che accadeva al personaggio di Dick, così come me l’ero immaginato, disteso fra un ramo e l’altro dei tanti mondi, in balia delle allucinazioni guidate dalla voce del computer? La guida, persino nel nome, era fortunatamente a disposizione. Avevo conosciuto Guido Acampa relativamente da poco, e stimavo molto il suo lavoro di videomaker. Le sue opere avevano un forte impatto visivo, in cui lo spettatore veniva sottoposto, in modo per me del tutto misterioso, a una sorta di tensione crescente, come se si dovesse verificare d’improvviso sullo schermo un evento terribile. Che puntualmente non accadeva. L’idea insomma, con Guido, prese la sua forma definitiva: da una coltre formata dalla compresenza di molteplici colori, che chiamammo il «grigio di Hilbert», sarebbero con difficoltà emerse immagini instabili, pronte a scomporsi e ricomporsi ancora. Il teledramma sarebbe stato per lo più una lunga soggettiva, con cui si sarebbe scivolati a poco a poco

great impact, a sort of radio-melodrama with a strangely vintage hue. And yet, once again, even when hopping from one world to the next, that story just did not want to stop stopping. I clearly remember when I was struck by the idea of a videodrama. I had decided to ‘watch’ Derek Jarman’s ‘Blue’ again on the computer, with headphones on. It was a sort of revelation: the power of the sound of that very particular blind film grasped me so radically that suddenly, shaded just behind the blue curtain of the screen, I clearly glimpsed a series of images. I couldn’t swear to it, but they really seemed to shimmer out from beneath. “What an amazing discovery!” I thought. Obviously, the images weren’t there, and nor had they ever been... But was that not what happened to Dick’s character, just as I had imagined him, lying between one branch and the other of many worlds, at the mercy of the hallucinations guided by the voice of the computer? Luckily, a guide, even by name, was at hand. I had not met Guido Acampa so long ago, yet I was a great fan of his work as a video maker. His work had a very strong visual impact, in which the onlooker – in a manner that I found entirely mysterious – was subjected to a sort of growing tension, as if some terrible event should take place on the screen from one moment to the next. And which punctually did not occur. To cut a long story short, together with Guido, the 25



nella stessa posizione del personaggio. Bisognava solo prevedere un fenomeno d’immersione nel computer, con le cuffie, o mediante l’apposita creazione di uno spazio «claustrofilmico», cui far accedere uno spettatore per volta. Una fruizione individuale, come da libro a stampa. Letteratura, risonante e figurativa: quella che ci aspetta. Magari già nelle vasche criogeniche che la Galleria civica ha voluto mettere in funzione perché risuonasse il richiamo di quel remoto racconto apparso su «Playboy». «Lei è sveglio, signor Chemi».

idea took on its definitive shape: from a mist made up of many colours, which we called ‘Hilbert’s grey’, unstable images would slowly emerge, and which might fall apart and reform at any moment. The videodrama was mainly to be a long subjective, with which, little by little, the onlooker would slip into the same position as the character. All that was needed was to imagine such immersion was the computer (with headphones), or through the special creation of a ‘claustrofilmic’ space, to which only one spectator at a time would be granted access. An individual relationship, like with a printed book. Resounding and figurative literature: that’s what’s waiting for us. Perhaps already in the cryogenic tanks that the Galleria Civica has decided to activate so that the call of that distant tale that first appeared in Playboy might be heard once more. “You are awake, Mr Kemmings.”

Nei molti mondi Videodramma a spettatore unico Un omaggio a Philip K. Dick di Guido Acampa e Gabriele Frasca interpretato da Raffaele Ausiello musiche originali di Nino Bruno e Massimiliano Sacchi Luca Sossella editore, Roma 24 aprile-25 maggio 2014 sala grande, Palazzo Santa Margherita corso Canalgrande 103 ingresso gratuito su prenotazione al numero 059 203 2919

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IRWIN

DREAMS AND CONFLICTS Julia Draganović e Claudia Löffelholz

Essendo il collettivo più longevo dell’arte contemporanea, IRWIN ha sperimentato nel corso degli anni innumerevoli pratiche di collaborazione. Alcune opere, come Namepickers, NSK Garda, Madre con un figlio, Rekapitulacija, addirittura raffigurano i partner che hanno contribuito alla creazione delle opere. In altri lavori la collaborazione è meno ovvia, dato che gli IRWIN fanno riferimento a protagonisti della storia dell’arte o a certi immaginari, simboli o metafore tipici di certi artisti. L’uso di questo materiale, di simboli e immagini che fungono da citazioni per gli IRWIN, diventa un metodo di lavoro, uno stile che chiamano retroavantgarda. Fonte inesauribile d’ispirazione per il loro lavoro sono le avanguardie, soprattutto di origine russa, dell’inizio del Novecento, in particolare il lavoro di Kasimir Malevich con le sue semplici forme geometriche che per i suoi seguaci assumevano dei significati specifici e

Being the longest-standing collective on the contemporary arts scene, over the years the IRWIN have experimented with countless collaboration practices. A number of works, such as Namepickers, NSK Garda, Mother with a child, Rekapitulacija, also feature the partners who have contributed to the creation of the works. In other works, the collaboration element is less obvious, given that the IRWIN refer to protagonists from the history of art or to imaginary figures, or even to the symbols or metaphors typical of certain artists. The use of this material, of symbols and images which serve as citations for the IRWIN, becomes a working method: a style whi they call retroavantgarda. Indeed, a tireless source of inspiration for their work is that of the avant-garde movements, particularly those of Russian origin, from the early 20th century: most of all the work of Kasimir Malevich and his simple geometric shapes 29


spirituali. Gli IRWIN utilizzano non solo la croce bianca su fondo nero e il famoso quadretto nero, decontestualizzandoli a volte in modo quasi dissacrante (come nell’applicazione del quadretto nero al posto dei baffi sul ritratto del collettivo scattato da Andres Serrano), ma a volte anche gesti che deliberatamente aggiungono ai simboli ben definiti tutta una gamma di possibilità ulteriori (come nell’azione a sorpresa Black Square on Red Square durante la quale hanno steso un tappeto di 22x22 metri sulla Piazza Rossa a Mosca). L’obiettivo di queste citazioni è duplice: da un lato dare una scossa a contenuti e significati che consideriamo scontati, dall’altro incoraggiare lo spettatore a liberarsi da concetti preconfezionati e a mettere in discussione le sue convinzioni solo apparentemente ben consolidate. IRWIN Dreams and Conflicts Palazzina dei Giardini corso Canalgrande fino al 2 giugno 2014

that – according to his followers – took on specific and spiritual meanings. The IRWIN make use not only of the white cross on a black background and the famous black square, de-contextualising them at times in an almost desecratory manner (like in the addition of the little black square in place of a moustache in the portraits of the collective shot by Andres Serrano), or at times also gestures that deliberately add a whole range of further possibilities to the well-defined symbols (like in the surprise action Black Square on Red Square, during which they unfurled a carpet (22 x 22 metres) in the middle of the Red Square in Moscow). The aim of these citations is two-fold: on one hand to shake up contents and meanings that we look upon as givens; on the other, to encourage the onlooker to do away with preconceived concepts and to question his/her only apparently well-consolidated beliefs.

18 maggio, ore 16.30 visita guidata a ingresso gratuito senza prenotazione Ufficio Passaporti: giovedì, sabato e domenica 16.30-18.30 in occasione di Nessun Dorma sabato 17 maggio anche 21.00-23.00

pp. 28-35 IRWIN. Dreams and Conflicts allestimento alla Palazzina dei Giardini

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FOTOGIORNALISMO E INFORMALE FINO AL 25 MAGGIO Grande successo di critica e di pubblico per Fotogiornalismo e reportage e L’Informale in Italia prorogate fino al prossimo 25 maggio. Organizzate e coprodotte dalla Galleria civica di Modena e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, a cura di Silvia Ferrari e Marco Pierini, allestite rispettivamente in sala grande e nelle sale superiori di Palazzo Santa Margherita, le mostre presentano: la prima, una significativa selezione di opere dalla raccolta di fotografia, allestimento che attinge in gran parte dal fondo Franco Fontana, con un progetto incentrato sul fotogiornalismo e sul reportage; la seconda, circa 80 disegni disegni e incisioni dei massimi esponenti dell’Informale italiano in un arco cronologico compreso fra la metà degli anni Quaranta e la fine degli anni Sessanta selezionati dal patrimonio della galleria. A partire dal 24 aprile, in coincidenza con l’inaugurazione del prossimo pro36

Given the great success among both critics and the public of the exhibitions ‘Fotogiornalismo e reportage’ and ‘L’Informale in Italia’, they have both been extended until the next 25th May. Organised and co-produced by the Galleria Civica di Modena and the Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, curated by Silvia Ferrari and Marco Pierini, the shows are displayed respectively in the Main Hall and the Upper Rooms of Palazzo Santa Margherita. The former presents a major selection of works from the photography collection, with a project based on photo-journalism and reportage, mostly from Franco Fontana archive group; the latter, features more than 80 drawings and engravings by the greatest exponents of the Italian informal movement over a time span stretching from the mid-‘40s up to the end of the ‘60s, chosen from the Gallery’s own heritage. Starting from 24th April, to coincide with the inauguration of the upcoming project / aprile 2014


getto dal titolo Nei molti mondi. Videodramma a spettatore unico di Guido Acampa e Gabriele Frasca, cambieranno gli orari di apertura delle mostre che saranno visibili dal mercoledì al venerdì dalle 10.30 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.30; il sabato, la domenica e i festivi dalle 10.30 alle 19.30 con orario continuato. Lunedì e martedì chiuso. L’ingresso è gratuito.

entitled ‘Nei molti mondi. Videodramma a spettatore unico’ (‘In the Many Worlds. Single-Spectator Video Drama) by Guido Acampa and Gabriele Frasca, the exhibition opening hours will change: they will now be from Wednesdays to Fridays from 10.30am to 1pm, and from 4pm to 7.30pm. On Saturdays, Sundays and public holidays, the gallery spaces will remain open from 10.30am to 7.30pm non-stop. Closed on Mondays and Tuesdays. Entrance is free.

Jorge Janiszewski, Funeral de Josè Manuel Parada, militante comunista degollado Santiago, 1985, Galleria civica di Modena

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NEW ENTRIES Francesca Mora

Grazie alle donazioni di artisti, gallerie, collezionisti e grazie al nostro pubblico, che partecipa attivamente con il libero contributo all’ingresso degli spazi espositivi, la Galleria civica di Modena prosegue la campagna di acquisizioni, volta a incrementare le raccolte del museo cittadino. Attraverso lasciti, acquisti e comodati, nati specialmente in occasione delle mostre, solo negli ultimi tre anni, sono confluite in collezione quasi 500 opere su carta firmate da artisti storici del Novecento e da autori più strettamente contemporanei. Per fare qualche nome, disegni di Arcangelo, Aldo Bandinelli, Vittorio Corsini, Gianfranco Ferroni, Helga Franza, Josep Ginestar, Mario Giovanardi, Abel Herrero, Giuseppe Maraniello, Roberto Paci Dalò, Nakis Panayotidis, Moe Yoshida; sul fronte della fotografia, Bruno Cattani, Mario Cresci, Franco Fontana (la cui collabo-

Thanks to the donations of artists, galleries, collectors and thanks to our own public, who take part actively with their voluntary offerings made at the entrance to the exhibition spaces, the Galleria Civica di Modena continues with its acquisition campaign, thereby broadening the collections of the city museum. Through legacies, acquisitions and loans, originating largely from the exhibitions, over only the last three years, almost 500 paper-based works have made their way into the collection, by classic 20th-century artists as well as by more contemporary artists. Names include drawings by Arcangelo, Aldo Bandinelli, Vittorio Corsini, Gianfranco Ferroni, Helga Franza, Josep Ginestar, Mario Giovanardi, Abel Herrero, Giuseppe Maraniello, Roberto Paci Dalò, Nakis Panayotidis, Moe Yoshida; as regards photography, Bruno Cattani, Mario 39


razione continua a portare all’interno del fondo numerose immagini), Mimmo Jodice, Silvia Lelli, Anna Malagrida, Roberto Masotti, Karin Szekessy, Davide Tranchina e Diego Zuelli. Con l’intenzione di rendere conto al pubblico dei risultati di questa campagna in divenire, la Galleria civica proporrà, a partire da gennaio 2015, un breve ciclo di mostre dedicate alle nuove acquisizioni: in prima battuta al disegno e alla grafica, successivamente alla fotografia. Sui contenuti del primo appuntamento, già in questo numero, troviamo un’anticipazione di Mauro Bini, fondatore della casa editrice “Il Bulino Edizioni d’Arte” e consulente dell’Associazione per la diffusione dell’opera artistica di Modena, di cui verrà presentata una selezione dalle 114 incisioni donate nel 2013.

Cresci, Franco Fontana (whose collaboration continues to add a great number of images to the collection), Mimmo Jodice, Silvia Lelli, Anna Malagrida, Roberto Masotti, Karin Szekessy, Davide Tranchina and Diego Zuelli. With the aim of raising public awareness of the results of this ongoing campaign, from January 2015 the Galleria Civica will present a brief cycle of shows dedicated to the new acquisitions: focusing firstly on drawing and graphic art, and then on photography. The contents of the first event are in fact outlined in this issue by Mauro Bini, founder of the publishing house ‘Il Bulino Edizioni d’Arte’ and consultant of the Associazione per la diffusione dell’opera artistica of Modena, of which a selection of the 114 engravings donated in 2013 will be featured in the show.

p. 38 Bruno Cattani, Playing Dreams, 2012 Galleria civica di Modena p. 41 Roberto Paci Dalò, Sun Tzu, 2010, china e acquerello su carta Galleria civica di Modena

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MEZZO SECOLO D'ARTE A HALF CENTURY OF ART

Mauro Bini

Recentemente le collezioni della Galleria civica di Modena sono state arricchite da una importante donazione costituita da circa 200 grafiche. Il 23 luglio 1962 venne costituita a Modena la “Cooperativa per la diffusione dell’opera artistica”, poi trasformata in Associazione. Gli scopi istituzionali furono determinati nella distribuzione ai soci di opere grafiche di artisti italiani e stranieri e nella promozione e partecipazione ad iniziative per la conoscenza dell’arte. L’idea era nata da un gruppo di amici, appassionati e attivi frequentatori della neonata Sala di Cultura, luogo deputato al dibattito e al confronto ma, soprattutto, primo spazio espositivo pubblico cittadino, appositamente ideato per rispondere alla crescente domanda di cultura da parte delle nuove generazio-

The collections of the Galleria Civica di Modena have recently been enlarged by a major donation consisting of several hundred graphic works. On 23 July 1962, the ‘Cooperativa per la diffusione dell’opera artistica’ (Cooperative for the spread of works of art) was founded in Modena, before later being transformed into an Association. The institutional goals were met by distributing graphic artworks to members by both Italian and foreign artists, and in the promotion of and participation in initiatives furthering a greater awareness of art. The idea originated from a group of friends, keen fans and active supporters of the newly-founded ‘Sala di Cultura’ (‘Hall of Culture’), a place given over to debate and confrontation, but most of all, the first public exhibition space, especially designed in response to the grow43


ni: dalle arti figurative al cinema, dalla musica al teatro, a tutte le espressioni del pensiero e dell’ideazione. L’azione dell’Associazione aveva una duplice finalità: quella di favorire la diffusione su larga scala del lavoro creativo degli artisti, sia quelli già noti, sia i più giovani desiderosi di misurarsi e di proporre nuovi stilemi espressivi, e quella di incentivare, in ragione del basso costo, il collezionismo anche tra gli appassionati appartenenti ai ceti più modesti. Fu un’attività intensa, seguita e apprezzata per diversi decenni non solo a Modena, e ne furono artefici alcune delle personalità – in primo luogo l’ex sindaco Rubes Triva e Martino Righi, che ne è stato il presidente nell’ultimo trentennio – che, nei loro specifici ruoli, si adoperarono per far crescere la cultura e la passione per l’arte nella nostra città. I primi protagonisti furono ovviamente gli artisti, che aderirono alle proposte del Consiglio con opere significative appositamente create e corrisposero, spesso con disinteresse, alle modeste possibilità finanziarie di un’Associazione senza scopo di lucro. L’elenco degli “Amici-Artisti” annovera nomi importanti dell’arte del secondo Novecento italiano e qualche presenza significativa europea. Da sottolineare la meritevole apertura verso gli artisti più giovani e, ovviamente, verso gli artisti modenesi. Le 278 opere distribuite ai soci (344 se si aggiungono le iniziative collaterali extra quota associativa, come le tre car44

ing demand for culture by the new generations: from the figurative arts to cinema, from music to theatre, to all the other expressions of thought and ideation. The aim of the Association was twofold: to foster the widespread diffusion of the creative works of artists, both those already known and the up-and-coming generation, eager to make themselves known and put forward new expressive styles, and to encourage collecting – given the low costs – also among even the humblest of art lovers. The activity of the Association was intense, widely followed and appreciated for various decades, not only in Modena, and it was carried on by a number of key figures – firstly the exmayor Rubes Triva, and Martino Righi, who served as president over the last 30 years – who, each in their own way, did all they could to nurture culture and a passion for art in our city. The early protagonists were obviously the artists, who responded to the proposals of the Association with meaningful works, some created especially for the purpose, and contributed works often disinterestedly, despite the modest financial resources of a non-profit Association. The list of the ‘artist friends’ included major names from the art field of the second half of the 20th century, some of whom of European standing. The laudable opening made towards younger artists should be noted, together with the promotion of Modenese artists. The 278 works distributed to the members (344 / aprile 2014


telle dedicate alla Resistenza italiana ed europea nel 1975), sono state create da 162 artisti, di cui 50 modenesi, di nascita o d’adozione. Accanto alla distribuzione annuale riservata ai soci (150 stabili per diversi anni, quando occorreva attendere qualche defezione per potersi iscrivere), vanno ricordate alcune altre iniziative: i 5 cataloghi, uno per decennio, con tutte le opere prodotte; alcune presentazio-

if we add the collateral initiatives that went beyond the membership fee, like the three folders dedicate to the Italian and European Resistance in 1975), were created by 162 artists, of whom 50 from Modena, by birth or adoption. Alongside the annual distribution of works among the members (the number of which was set at 150 for a number of years, when new members could join only if other members dropped out), several 45


ni pubbliche di opere scelte; una serie di gemellaggi che hanno consentito la costituzione di esperienze analoghe a Finale Emilia, a Livorno e a Milano; le numerose donazioni di opere a istituzioni pubbliche e associazioni e la consegna di fondi al Comune di Concordia per interventi socio-culturali postterremoto, grazie alla sottoscrizione di opere grafiche messe a disposizione da Giuliano Della Casa; i rapporti con le stamperie d’arte e, per l’ultimo trentennio, la stretta collaborazione con il Laboratorio d’Arte Grafica di Modena di Roberto Gatti. Il 25 ottobre 2012, con un incontro pubblico nella Sala del Consiglio Comunale, l’Associazione ha decretato la conclusione della sua cinquantennale esperienza. La ragione della cessazione consiste essenzialmente nella presa d’atto del cambiamento dei tempi. L’Associazione era stata ideata in un momento di grande crescita economica ed evoluzione culturale del Paese, con un mercato dell’arte di modestissima entità riservato ad una élite; condizioni che permettevano nuova creatività e nuovi strumenti di promozione. Ma il consolidamento del mercato artistico nei successivi decenni e l’insorgenza di tante iniziative artistico-culturali di alto profilo per rispondere ad una crescente domanda hanno di fatto “coperto” gli intenti originari del club. L’evoluzione socio-economica e quella tecnologica hanno rimesso in discussione il concetto di arte, le sue forme 46

other initiatives must be remembered: the five catalogues, one per decade, featuring all the works produced; a number of public presentations of selected works; a series of twinning operations which allowed for the constitution of similar experiences in Finale Emilia, Livorno and Milan; the numerous donations of works to public institutions and associations, and the transferral of funds to the Town Council of Concordia for socio-cultural interventions in the wake of the earthquake, thanks to the provision of graphic works made available by Giuliano Della Casa; the relationships with arts printers, and over the last 30 years, the close collaboration with the Laboratorio d’Arte Grafica in Modena of Roberto Gatti. On 25 October 2012, with a public meeting in the Town Hall, the Association decreed the conclusion of its 50 years of experience. The reason for this decision lay essentially in the growing awareness of how times had changed. The Association had been founded at the time of great economic growth and cultural evolution in the country, one with a tiny art market given over entirely to the élite; the ideal conditions to foster new creativity and new means of cultural promotion. But the consolidation of the art market over the following decades, and the emergence of many high-profile artistic/ cultural initiatives responding to a growing demand to all effects and purposes had ‘covered’ the original goals of the / aprile 2014


espressive e le sue modalità esecutive; il mercato è diventato ampio, aperto e conoscibile, di dimensione internazionale, accessibile ai collezionisti mediante strumenti informatici. Il modo più meritevole per uscire consapevolmente di scena è stato quello di lasciare alla Comunità modenese l’intera testimonianza di una bella esperienza. La decisione di donare la propria collezione di opere grafiche alla Galleria civica di Modena e la documentazione d’archivio alla Biblioteca Poletti permetterà di conservare la memoria di un frammento creativo di un nutrito gruppo di persone che, volontariamente e con passione, hanno cercato di essere interpreti e partecipi di un affascinante periodo storico per l’arte italiana.

club. The socio-economic and technical evolutions had brought into question the very concept of art itself, its expressive forms and its means of production; the market had become broader, more open and knowable, and stretched to cover the international dimension, accessible to collectors via communication technologies. The most deserving way to leave the scene knowingly was thus to bequeath the remains of a wonderful experience to the Modenese community. The decision to donate the collection of graphic artworks to the Galleria Civica di Modena and the archive documentation to the Poletti library will make it possible to preserve the memory of a creative fragment of a large group of people who, spontaneously and with great passion, strived to be both protagonists and participants of a fascinating historical period of Italian art.

p. 42 Giuliano Della Casa, senza titolo, 2012, litografia, serie 20/20 Galleria civica di Modena p. 45 Graziano Pompili, Mia terra, 2007, acquaforte acquatinta a due colori Galleria civica di Modena

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IN AGENDA




ITALIANI VERI Marco Raffaini

Nel 1962 il presidente della Repubblica Italiana Gronchi venne invitato in Unione Sovietica. Durante l’incontro ufficiale, per dargli il benvenuto, Nikita Khruschev, presidente dell’Unione Sovietica, disse: “Siamo onorati di ospitare il presidente di una nazione così importante, che ha dato i natali a personaggi come Michelangelo, Raffaello, Leonardo da Vinci e Robertino”. Gronchi trasecolò, non sapeva chi fosse Robertino. Un anno dopo, il 16 giugno 1963, Valentina Tereshkova, salì sulla navicella spaziale Vostok 6, e venne lanciata nello spazio, per una missione di tre giorni. Fu la prima donna cosmonauta: “Valentina Tereshkova, la famosa astronauta russa, chiede di ascoltare le canzoni di quello che chiamano il bambino delle stelle. Valentina Tereshkova, mentre girava intorno alla terra, le chiedevano ‘Come va? Come stai? Tutto bene?’ E lei disse ‘Sì, io sto tanto bene, tutto funziona bene, sono tranquilla’, dice ‘Ma come stai, lì da sola?’, dice ‘Beh, quassù è bellissimo, l’unica cosa c’è tanto silenzio, un profondo e assoluto silenzio’. Dice ‘E che cosa possiamo fare per aiutarti, Valentina? Vuoi sentire un po’

In 1962 the president of the Italian Republic Gronchi was invited to the Soviet Union. During the official meeting, in order to welcome him, Nikita Khruschev, president of the Soviet Union, said: “We are honoured to host the president of such an important nation, which has given the world figures such as Michelangelo, Raphael, Leonardo da Vinci and Robertino.” Gronchi was caught off guard: he had no idea who Robertino was. One year later, on 16th June 1963, Valentina Tereshkova climbed aboard the spaceship Vostok 6, and was launched into space for a three-day mission. She was the first female cosmonaut. “Valentina Tereshkova, the famous Russian astronaut, asked to listen to the songs of the one they call ‘the Star Child’. While making her way around the Earth, Valentina Tereshkova was asked “How is it going? How are you?”, and she would reply “Yes, sure, I’m absolutely fine, everything is working well, and I’m OK.” Then they asked, “But how are you coping, all on your own?” to which she replied “Well, it’s beautiful up here. The only thing is that it’s absolutely silent; there’s this profound and complete silence.” And so they asked, 51


di musica? Ti mandiamo qualche poesia?’, dice ‘No, se proprio mi volete fare un regalo, fatemi ascoltare una canzone di Robertino”. A parlare è Robertino, la cui voce di bambino prodigio, già famoso in Scandinavia, entrò non si sa come in Unione Sovietica e lo rese così famoso da vendere più di 50 milioni di dischi. Poi vennero gli anni Ottanta, con il Festival di Sanremo, trasmesso in diretta dalla televisione sovietica, e le canzoni italiane che si sentivano in ogni angolo di quell’immenso paese: “Una volta in Russia abbiamo interpretato la canzone di Toto Cutugno L’italiano, e alla fine del concerto si avvicinò una ragazza e ci disse in inglese: ‘Bravi, avete cantato in italiano un brano russo’”. A parlare questa volta è nientemeno che Fabrizio Masci, musicista poliedrico che accompagna Robertino nelle sue tournées.

“And so what can we do to help you, Valentina? Do you want to hear a little music? Shall we read you some poems?” To which she said, “No, if you really want to give me a present, let me hear a song by Robertino.” These are the words of Robertino, with his child prodigy voice. Already famous in Scandinavia, he somehow made his way into the Soviet Union, becoming so famous as to sell no fewer than 50 million discs. Then came the ‘80s, with the Festival of Sanremo, broadcast live on Soviet television, and the Italian songs were transmitted to every corner of that immense country. “Once in Russia we played that song by Toto Cutugno L’italiano, and at the end of the concert a girl came up and said to us: “Well done, you sang a Russian song in Italian.” This time, the words are those of none less than Fabrizio Masci, a multi-talented musician who accompanied Robertino throughout his tours.

Italiani Veri (2013), il film di Marco Raffaini e Giuni Ligabue, vincitore del Premio del pubblico al Biografilm Festival di Bologna nel 2013, parte proprio da Robertino per cercare di capire le ragioni di questa incredibile, dal nostro punto di vista, popolarità, creando al contempo un divertente e toccante ritratto di un paese, troppo spesso oggetto di stereotipati pregiudizi.

Italiani Veri (2013), the film by Marco Raffaini and Giuni Ligabue, winner of the Audience Prize at the Biografilm Festival in Bologna in 2013, starts out from Robertino himself to try and understand the reasons behind what we might look upon as an unbelievable degree of popularity, at the same time painting an amusing and touching portrait of a country, all too often subjected to stereotypes and prejudice.

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giovedĂŹ 8 maggio ore 21.00 sala grande, Palazzo Santa Margherita corso Canalgrande 103 presentazione del film Italiani Veri di Marco Raffaini e Giuni Ligabue con (fra gli altri) Robertino Loreti, Toto Cutugno, Al Bano Carrisi, Pupo, Gian Piero Piretto fotografia Marco Mello musiche Regipsy Jazz Ensemble scritto da Marco Raffaini regia di Giuni Ligabue e Marco Raffaini prodotto da Marco Raffaini, Giuni Ligabue e Marco Mello ingresso libero fino a esaurimento posti

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TALK | SHOW Giovedì 22 maggio alle ore 18.00 a Palazzo Santa Margherita è in programma il terzo appuntamento di Talk | Show. Il ciclo di incontri a cura di LaRete Art Projects tocca il tema dello spazio della rete e delle collaborazioni nei network globali. Insieme a proiezioni, presentazioni di casi studio della ricerca italiana e internazionale e alla condivisione di una bibliografia specifica, LaRete con Talk | Show cerca la condivisione con il pubblico di un dialogo e di un dibattito aperto su alcuni dei fronti più radicali della ricerca artistica contemporanea. In media partnership con campiture.com Ingresso libero

Here at its third event, the Talk | Show cycle of meetings, curated by LaRete Art Projects, focuses on the theme of the online dimension and that of collaboration across the global network. Together with the use of video, the presentation of case studies from both Italian and international research, and the sharing of a specific bibliography, LaRete with Talk | Show seeks to share a form of dialogue with the audience, with a debate opening onto some of the most radical fronts of contemporary artistic research.

In media partnership with campiture.com Free entrance

p. 48 Céleste Boursier-Mougenot, senza titolo / Untitled, 2013 collezione privata / private collection, foto Philine von Düszeln

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NODE

FESTIVAL INTERNAZIONALE DI MUSICA ELETTRONICA E LIVE MEDIA Venerdì 6 e sabato 7 giugno si svolge a Palazzo Santa Margherita NODE, Festival Internazionale di Musica Elettronica e Live Media. L’iniziativa, giunta quest’anno alla settima edizione, organizzata dalla Galleria civica di Modena e coprodotta con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Modena, è a cura di Filippo Aldovini e Fabio Bonetti. Il 6 giugno a partire dalle 21.00 si alternano sul palco del festival Shingo Inao (Giappone), Emptyset (Regno Unito), Kangding Ray (Francia), a seguire un aftershow al Vibra Club di Modena di DJ Rashad + DJ Spinn (Stati Uniti). Il 7 giugno animano la scena le performances di Lumisokea (Belgio-Italia), Roly Porter (Regno Unito), EGYPTRIXX (Canada); chiude il programma l’aftershow al Vibra Club di Om Unit (Regno Unito). L’ingresso a tutti i concerti è gratuito fino a esaurimento posti.

On Friday 6 and Saturday 7 June, NODE will be held once more at Palazzo Santa Margherita, the International Festival of Electronic Music and Live Media. The initiative, this year at its seventh edition, organised by the Galleria Civica di Modena and co-produced with the Culture Councillorship of Modena City Council, is curated by Filippo Aldovini and Fabio Bonetti. On 6 June from 9pm, the festival stage will host sets by Shingo Inao (Japan), Emptyset (UK), Kangding Ray (France), followed by an aftershow at the Vibra Club in Modena with DJ Rashad + DJ Spinn (United States). On 7 June, the scene will be animated by the performances of Lumisokea (BelgiumItaly), Roly Porter (UK), EGYPTRIXX (Canada); the programme will then come to a close with an aftershow at the Vibra Club with Om Unit (UK). Entrance to all concerts is free while space is available. 57




Per l’occasione, apre nelle sale superiori di Palazzo Santa Margherita Transiente, mostra dedicata all’incontro tra le arti visive con la musica e le nuove tecnologie e ai diversi modi in cui il suono viene utilizzato come mezzo artistico. L’allestimento presenta cinque installazioni di Céleste Boursier-Mougenot, Shingo Inao, Pe Lang, Donato Piccolo e Michele Spanghero, opere dove il suono rappresenta un cruciale elemento strutturale che viene indagato attraverso la sperimentazione di diversi materiali come dispositivi magnetici, elettrici e meccanici, strumenti e spartiti musicali grafici, o oggetti di uso quotidiano. La mostra, realizzata in collaborazione con Galerie Mario Mazzoli (Berlino), inaugura giovedì 5 giugno alle 19.00 e rimane aperta al pubblico nelle giornate di venerdì 6 e sabato 7 giugno dalle 10.30 alle 24.00 e domenica 8 giugno dalle 10.30 alle 19.30. L’ingresso è gratuito.

For the event, Transiente will open in the Upper Rooms of Palazzo Santa Margherita, an exhibition focusing on the meeting of the visual arts with music and new technologies, and the various ways in which sound is used as an artistic medium. The display thus features five installations by Céleste Boursier-Mougenot, Shingo Inao, Pe Lang, Donato Piccolo and Michele Spanghero, with works in which sound represents a crucial structural element, investigated through experimentation with various materials such as magnetic, electrical and mechanical devices, musical instruments and graphic scores or everyday objects. The exhibition, held in collaboration with Galerie Mario Mazzoli (Berlin), will open on Thursday 5 June at 7pm, and remain open to the public on Friday 6 and Saturday 7 June from 10.30am to 12am midnight, and Sunday 8 June from 10.30am to 7.30pm. Entrance is free.

info: node-live.com facebook.com/nodefestival twitter.com/nodefestival

info: node-live.com facebook.com/nodefestival twitter.com/nodefestival

p. 61 Donato Piccolo, HURRICANE (DOUBLE REVERSIBLE), 2010, collezione privata / private collection, foto Thomas Nitz p. 56 Kangding Ray, foto Elektra Montreal p. 58 Lumisokea

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NESSUN DORMA Sabato 17 maggio in occasione di Nessun Dorma, la Galleria civica di Modena presenta EcoFashion Show, sfilata di moda organizzata dall’Istituto Cattaneo Deledda – indirizzo Moda, e dall’Istituto d’Arte Venturi, in collaborazione con l’Associazione IncontrArti di Carpi e con il Museo della Figurina, nell’ambito del concorso “La scuola siamo noi” promosso da Coop Estense. La sfilata, ad ingresso libero, si terrà alle 18.00 nel chiostro di Palazzo Santa Margherita. L’iniziativa è parte della collaborazione cui la Galleria civica ha già dato vita da tempo con gli istituti scolastici coinvolti con il progetto e la linea di moda Per Grazia, borse e accessori ricavati dal riciclo dei banner pubblicitari delle mostre, in vendita al bookshop di Palazzo Santa Margherita. Nei giorni precedenti, giovedì 15, venerdì 16 e domenica 18 maggio saranno in programma altre iniziative a tema. Durante l’iniziativa le mostre aperte a Palazzo Santa Margherita e alla Palazzina dei Giardini resteranno aperte al pubblico con orario continuato dalle 10.30 alle 24.00.

On Saturday 17 May, on the occasion of Nessun Dorma, the Galleria Civica di Modena presents the EcoFashion Show, organised by the fashion students of the Cattaneo Deledda School Institute together with the Venturi Arts Institute, in collaboration with the IncontrArti Association of Carpi and with the Museo della Figurina, as part of the competition ‘La scuola siamo noi’ promoted by Coop Estense. The show, to which entrance is free, will be held at 6pm in the cloister of Palazzo Santa Margherita. The initiative is part of the collaboration project in which the Galleria Civica has been involved in for some time now with the schools taking part thanks to the Per Grazia fashion line, in which bags and other accessories are produced using the advertising banners of the exhibitions, then put on sale at the bookshop of Palazzo Santa Margherita. In the days prior to and following the event, on Thursday 15, Friday 16 and Sunday 18 May, other thematic initiatives will be held. Throughout the initiative, the exhibitions housed in Palazzo Santa Margherita and at the Palazzina dei Giardini will remain open to the public for longer: from 10.30am until 12am midnight.

info: galleriacivicadimodena.it

info: galleriacivicadimodena.it 63


GASP! LE STRIP DI CIVICO 103 A CURA DI / CURATED BY STEFANO ASCARI E / AND COMICOM.IT

La cosa che sente piÚ stupidaggini al mondo è molto probabilmente un quadro in un museo (Edmond de Goncourt)

The thing that has to listen to the most nonsense in the world in very probably a picture in a museum (Edmond de Goncourt)

IN QUESTO NUMERO

IN THIS ISSUE

Un omaggio a Philip K. Dick di Daniele Di Nicuolo. L'illustratore nasce a Milano nel 1987. Frequenta la Scuola del Fumetto di Milano, dove conosce Diego Cajelli, allora suo insegnante di sceneggiatura, con cui iniziano le prime collaborazioni su diversi progetti. Terminata la Scuola, segue Cajelli nel nascente Electro Banana Studio ed esordisce in edicola nel febbraio 2014 su Long Wei #8.

An homage to Philip K. Dick by Daniele Di Nicuolo. The illustrator was born in Milano in 1987. He attended the Scuola del Fumetto in Milan, where he met Diego Cajelli, at the time his storyboard teacher, and they began to collaborate on a number of different projects together. On graduating from the school, he followed Cajelli to the then newly-founded Electro Banana Studio, and made his publishing debut in February 2014 in Long Wei #8.

uomodellequinte.blogspot.it

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numero / number 12 anno / Year IV aprile / April 2014 free magazine della Galleria civica di Modena registrazione del Tribunale di Modena n. 2017 del 24.11.2010 direttore responsabile / editor in chief Marco Pierini

Galleria civica di Modena direttore / director Marco Pierini

progetto grafico / graphic design Greco Fieni

coordinamento generale / executive manager Gabriella Roganti

traduzioni / translations Bennett Bazalgette-Staples

curatrici / curators Silvia Ferrari, Serena Goldoni

ufficio stampa esterno / off-site press office CLP Relazioni Pubbliche, Milano hanno collaborato a questo numero / in collaboration with Mauro Bini, Daniele Di Nicuolo, Julia Draganović, Silvia Ferrari, Gabriele Frasca, Serena Goldoni, Claudia Löffelholz, Cristiana Minelli, Francesca Mora, Marco Pierini, Marco Raffaini, Martino Righi, Gabriella Roganti

responsabile allestimenti / exhibition design manager Fausto Ferri amministrazione / administration Raffaella Bulgarelli, Isabel Sandri ufficio stampa / press office Cristiana Minelli

crediti fotografici / photo credits Piernicola Arena per Intersezione (p. 28), Monica Biancardi (p. 17), Philine von Dueszeln (p. 48), Elia Mazzotti Gentili per Intersezione (p. 31), Elektra Montreal (p. 56), Francesca Mora (pp. 32-35, 54, 62), Thomas Nitz (p. 61)

archivio fotografico e documentazione / photo archive and records Francesca Mora

Strip a cura di

segreteria / secretary Paola Setti

pre-press e stampa / printed by Eurotipo, Verona si ringraziano / thanks to Guido Acampa, Associazione per la diffusione dell’opera artistica, Filippo Aldovini, Mauro Bini, Fabio Bonetti, Gabriele Frasca, Mario Mazzoli, Galerie Mario Mazzoli, LaRete Art Projects, Luca Sossella

segreteria generale / general secretary Daniela Rinaldi

allestimenti / exhibition design Giuseppe De Bartolo, Daniele Diracca Matteo Orlandi stage / interns Giada Antoniani, Maria Giovanna Dell'Acqua Chiara Levoni, Agnese Montanari

Galleria civica di Modena

L’editore è a disposizione degli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare

corso Canalgrande 103 41121 Modena ITALIA tel. +39 059 2032911 fax +39 059 2032932 www.galleriacivicadimodena.it galcivmo@comune.modena.it

cover: Nei molti mondi. Videodramma a spettatore unico di Guido Acampa e Gabriele Frasca, 2014, frame da video

museo associato AMACI www.amaci.org

© 2014 Galleria civica di Modena © gli autori per i testi © gli artisti e i fotografi per le immagini


civico 103 è una rivista pubblicata dalla Galleria civica di Modena in collaborazione con Intersezione

civico103.net

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