n. 13 free magazine - Galleria civica di Modena
Jamie Reid, Los Pistoleros del Sexo, 1979 tutte le opere / all works Š Jamie Reid courtesy Isis Gallery pp. 2, 8, 12, 24, 44 Jamie Reid copyright Sex Pistols Residuals
FU VERA GLORIA? WAS THE REAL GLORY?
Marco Pierini
Esattamente quattro anni fa, in occasione del festivalfilosofia dedicato alla fortuna, “civico 103” faceva la sua prima, timida, apparizione, con il medesimo formato di oggi ma con una foliazione minima e con tutta la provvisorietà e la sperimentazione che un numero 0 porta necessariamente con sé. Dopo tredici numeri, altrettanti scrittori coinvolti per il racconto d’apertura (il nostro grazie va oggi a Enzo Mansueto), 70.000 copie cartacee distribuite, sarebbe forse utile tracciare un bilancio dell’impresa, tuttavia ancora troppo immersa nel presente e proiettata verso il futuro (è da poco on line la nuova Web App civico103.net) per riflettere sui propri ‘allori’, operazione ancor più pericolosa e sconveniente se tentata nel corso di un’edizione del festival dedicata alla gloria! Anzi, quasi a schivare preventivamente ogni tentazione, la Galleria civica e il suo house
Exactly four years ago, on the occasion of the festivalfilosofia dedicated to the theme of luck, “civico 103” made its first, timid appearance, in the same format as today but with a minimal number of pages and the provisional, experimental nature typical of a pilot issue. 13 issues later, and just as many writers involved in the opening short story (today our thanks go to Enzo Mansueto), 70,000 paper copies have been distributed, and it might perhaps be useful to take stock of the situation so far, even though the magazine is still too immersed in its present and projected towards its future (the new Web App civico103.net has recently become available online) to rest on its ‘laurels’, an operation ever the more risky if attempted over the course of a festival dedicated to glory! As a matter of fact, almost as if to nip all possible temptation in the bud, the 3
organ hanno scelto di confrontarsi con un artista che alla gloria ha saputo guardare in modi diversi e persino antitetici, Jamie Reid: denunciando l’arroganza, l’ottusità e persino la violenza dell’ordine costituito e dei suoi massimi rappresentanti e allo stesso tempo esaltando la bellezza, la spiritualità, le tradizioni, spesso rielaborate attraverso una personale rilettura dell’opera e del pensiero di figure esemplari come William Blake e Thomas Paine. La mostra, alla quale si è introdotti dalle parole, mai scontate, dello stesso Reid estrapolate da un’intervista con John Marchant, massimo conoscitore del lavoro dell’artista, pur senza ambire ad essere una retrospettiva, traccia un percorso dalla fine dei Sessanta fino ai giorni nostri, rendendo conto degli anni seminali del collettivo grafico anarchico e neo-situazionista “Suburban Press”, del periodo legato all’immagine dei Sex Pistols, delle altre avventure in campo musicale, dell’evoluzione mistica della sua arte – un misticismo non esclusivamente trascendente ma impregnato di fisicità e saldamente legato alla terra – in un itinerario coerente e consequenziale nel corso dei decenni. Del resto, che lo stesso fenomeno del Punk, nel triennio 1975-1977, non fosse una deflagrazione improvvisa, come le cronache di allora e troppi storici frettolosi hanno raccontato, ma trovasse radici profonde in alcuni aspetti della cultura d’avanguardia (il Situazionismo, 4
Galleria Civica and its house organ have chosen this time round to get to grips with an artist who has approached glory in various different and even antithetic ways: Jamie Reid. Denouncing arrogance, ignorance and even the violence of the powers that be and its highest representatives, while at the same time exalting beauty, spirituality and traditions, often elaborated through his personal rereading of the works and thought of key figures such as William Blake and Thomas Paine. The introduction to the exhibition is provided in the ever cutting words of Reid himself, extrapolated from an interview with John Marchant, the greatest expert on the artist’s work. Without aiming to be a retrospective, the show traces his development, from the end of the ‘60s right up to the present day, giving an account of the seminal years of the anarchic and neo-Situationist ‘Suburban Press’ graphic collective, of the period linked to the image of the Sex Pistols, of the other adventures in the musical field, of the mystic evolution of his art – a non-exclusively transcendent mysticism, but rather one imbibed with a physical nature and closely bound to the Earth – over a career in keeping with and consequential to it over the course of the decades. After all, the fact the Punk phenomenon itself, over the years 1975-1977, was not in fact a sudden explosion, as the chronicles of the day and over-hasty histori/ settembre 2014
ad esempio) e della cosiddetta sottocultura popolare (il Rock and Roll, i Teddy Boys) dei due decenni precedenti lo dimostrano innumerevoli richiami, echi, riflessi, ma anche il percorso formativo e le vicende biografiche di molti degli attori principali. Lo testimonia con efficacia, in mostra, la gouache Up They Rise: A Playground for the Juggler, dipinta da Jamie Reid nel 1968, che raffigura Malcolm McLaren come “un alchimista: un manipolatore del nuovo spazio urbano” (John Savage). Nell’anno del maggio francese, al quale pure idealmente aderivano, due studenti d’arte, poco più che ventenni, sembrano gettare inconsapevolmente i primi semi della successiva rivolta giovanile degli anni Settanta. Questa volta, però, l’avrebbero vissuta da indiscussi protagonisti.
ans would have us believe, but had deep roots in a number of aspects of avantgarde culture (Situationism, for example) and of the so-called popular subcultures (Rock & Roll, the Teddy Boys) of the two previous decades, is shown by countless references, echoes and reflections, but also the formative years and the biographical vicissitudes of many of its main protagonists. This is testified in the exhibition to great effect by the gouache Up They Rise: A Playground for the Juggler, painted by Jamie Reid in 1968, featuring Malcolm McLaren as “an alchemist: a manipulator of the new urban space” (John Savage). In 1968, the year of the French May, to which they gave their ideological support, two art students, little over 20 years old, seem to have unwittingly cast the first seeds of the ensuing youth revolt of the 1970s. This time, however, they were to do so as unquestioned protagonists.
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RAGGED KINGDOM JAMIE REID MOSTRA, CONVERSAZIONI, MUSICA E VIDEOCLIP Galleria civica di Modena Palazzo Santa Margherita corso Canalgrande 103 in occasione del festivalfilosofia chiostro / eventi
sala grande / mostra
venerdĂŹ 12 settembre ore 22.30 Art, Music, Power conversazione tra Jamie Reid, John Marchant e Marco Pierini
12 settembre 2014-6 gennaio 2015 Jamie Reid. Ragged Kingdom
sabato 13 settembre ore 22.30 Songs From Before the Future una scelta di videoclip dal 1976 al 1982 presentata da Giuliano Larry Bolognesi e Marco Pierini ore 24.00 dj set di Larry Bolognesi
orari: venerdĂŹ 12 settembre ore 9.00-23.00 sabato 13 settembre 9.00-1.00 domenica 14 settembre 9.00-21.00 dal 17 settembre al 6 gennaio mer-ven 10.30-13.00 e 15.00-18.00 sab, dom e festivi 10.30-19.00 lun, mar chiuso ingresso gratuito a tutte le iniziative
BRING SOMETHING BACK...! Enzo Mansueto
Meningite, la diagnosi. Un blackout mentale di quasi un anno. Memorie azzerate: sette anni e passa di vita bruciati. E un anno perso a scuola, a Eden Grove. Il mio Eden, figùrati, perduto. Gli altri bambini giocavano felici tra i ratti, ai margini dell’insediamento industriale di Finsbury, ed io, chiuso nelle due stanze squallide della nostra casa senza cesso, puntavo su una crepa del soffitto due occhi spalancati e chiusi. Alla radio, quei fighetti del Kent coi capelli lunghi cantavano: It’s All Over Now. L’avessero finita davvero. Li avrei ammazzati tutti. Chissà quando sono stato concepito? Mia madre mi raccontava di certe notti elettriche, col babbo. Lui tornava tardi dal turno di lavoro, dopo qualche pinta scura al pub, lasciata al deposito la gru. Lei tornava da casa della vicina, la maestra, quella con l’apparecchio televisivo, dopo la diretta di The Quatermass Experiment. Tornava spaventata alle sue preghiere di immigrata cattolica. Il giorno dopo, al negozio all’angolo, era tutto un parlare di missili, contaminazioni, creature dallo spazio. No. I conti non tornano. Se così fosse stato, sarei nato prima, chessò, nel 1954, come il rock’n’roll di Elvis. No, davvero, io del rock’n’roll sarei stato piuttosto la pietra tombale. Una versione diversa della saga famigliare dice che mamma mi teneva già in grembo – ero dunque appena un feto, un aborto mancato, un fottuto impiastro sanguinolento –, mentre guardava le puntate nuove di Quatermass II (o forse mentre vedeva 9
al cinematografo il film tratto dalla prima serie). Anno del mondo: 1955. E qui i conti tornano. E per fare tornare pure quelli della trilogia, mentirò dicendo che le uniche schegge superstiti della mia infanzia smemorata, qualche anno dopo, sono le immagini di Quatermass and the Pit, con quegli scavi che risuonavano cavi come gli impressionanti cantieri di Londra a quel tempo, da Knightsbridge alla City, mutata dalla guerra. Sputavano dalle viscere bombe, fossili e rovine dell’impero. Ah, proprio all’inizio di quel 1955, l’anno della mia sbrodolata concezione, la RAF si dotava del suo primo squadrone atomico. Ora che ci penso, tutta questa leggenda ruota attorno all’atomo e alla TV. Bombardamento catodico. Quello della maestosa incoronazione a Westminster che ci aveva fottuti, svenduti, amerikanizzati. Da colonizzatori a colonizzati. Hanno potuto più le antenne della BBC su Ally Pally che le V2 naziste sul sifilitico East End. La TV, la diretta, la tele-visione, non la visione del lontano, ma la visione allontanata. Elisabetta, nella navata virtuale del tinello di casa, splendeva salvatrice, che Dio la salvi: la gente aveva il mondo in casa, mentre i John, a Finsbury, ad Hackney, a Shepherd’s Bush, marcivano non visti. E però, uno di quei Johnny, a occhi spalancati e chiusi, bambino, per quasi un anno era stato nello spazio profondo. E da lì era tornato soltanto perché la mamma, malata, urlava, sulle note distorte del Lago dei Cigni: Bring Something Back...! Tornò che puzzava di spirito adolescente: coi capelli verdi e i denti corrosi. Poi ci finii io dentro alla TV. Merda. Tutte quelle luci del cazzo, a smaterializzarti. Anche fuori, c’erano le luci di Natale, già. Era il primo di dicembre, quando ci chiamarono per sostituire in diretta quelle seghe dei Queen (Queen: solo un caso?). Portammo anche la nostra cricca di giovani e carini. Qualcuno arrivava da Bromley. Quel coglione etilista del conduttore – quanto stava sul cazzo a mia madre! – ci provocò. Pensava di stare al gentlemen club coi suoi amici puttanieri. Lo distruggemmo. Tornai a casa col bus notturno. Avevo detto: merda. In TV. Ero una star. Ero una star, e non lo sapevo. Ma addosso, sulla pelle, nei capelli, nell’immagine pubblica illimitata, la mutazione era ormai evidente. Ero il fiore sbocciato da quella fogna. L’esperimento di Quatermass o di chissà quale altro servizio deviato governativo. Il prodotto indesiderato, l’effetto collaterale degli intrugli politico-sociali alla vigilia del Giubileo d’argento. Così pensavo. Londra era solo ripianificazione urbana, glam scaduto e pisciatura. Sui palcoscenici pirotecnici i 10
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dinosauri suonavano la loro interminabile masturbazione prog. In strada, montagne di immondizia. Fumi tossici e invisibili si spargevano sulla città dalle ciminiere della centrale di Battersea. I maiali coi colletti bianchi preparavano la mascherata reale nelle grandi arterie del centro o lungo il fiume. Ma il missile mi aveva sbarcato nei poveri caseggiati vittoriani di Benwell e lÏ, Pomp and Circumstance suonava straniante e irridente come una musichetta da vaudeville. Una beffa, una grande truffa, un mandarino ad orologeria. I primi tempi furono belli. Con tutti quegli extraterrestri nel pubblico, man mano che la contaminazione dilagava. Non c’era poi tanta differenza tra le band sul palco e la gente di fronte. La Donna-Gatto, il ragazzo al guinzaglio, l’infermiera nazista. Ognuno si inventava qualcosa: abiti, acconciature, soprannomi, modi di ballare. I gruppi si mescolavano, dai Flowers of Romance ai London SS. Ma era solo la prima fase. 11
Cominciai a capire che qualcosa non andava, quando comparvero nel pubblico i primi cloni. Repliche di me: spille da balia, creeper, abiti di tartan, capelli appuntiti color carota, sguardi sbarrati (ma senza meningite). Distoglievo lo sguardo, mi disturbavano. Non era il timore del sosia. Era peggio. Prendeva piede in me la consapevolezza che forse i miei agenti mutogeni erano stati strumentalizzati. E non parlo solo di Malcolm e dei suoi viscidi calcoli. Qui c’era di mezzo qualcosa di piÚ grosso: chi mi aveva 12
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sparato nel vuoto? chi aveva buttato la prima spazzatura nello spazio? i Russi, gli Americani? che cosa mi si era attaccato addosso? che cosa stavo spandendo a mia insaputa? Ero diventato paranoico. Molto paranoico. Ever get the feeling you’ve been cheated? Di mezzo c’era stato il 1977: l’anno della canonizzazione. Ometto la cronaca ben nota. All’inizio dell’anno successivo, lasciai tutto. Di punto in bianco, proprio lì, in America. Nessun divertimento. Non si cantava ancora California Über Alles, eppure vedevo chiaro il senso della Cosa. Vidi che le iniezioni nelle vene del mio amico col nome da criceto – uno dei John – non elargivano fluido spaziale. Fu un incubo, un esilio: e la Regina con gli occhi a svastica non mi permetteva di tornare. Seguii dal poster sul muro un bus con destinazione Nowhere e, con scalo decivilizzante nella Giamaica degli schiavi, presi la via del controesperimento. Dovevo strapparmi di dosso la pelle artificiale che mi avevano cucito. Ci sarebbero voluti anni, decenni, forse. O un colpo di teatro, alla Riccardo III. Tornai. Scagliai sul pianeta la mia poesia acida, rinchiusa in una scatola di metallo. Rinchiuso nella mia casa a Gunter Grove, a Chelsea, tutto ciò che mi rimaneva: un delirante nido con le finestre oscurate a due passi dal retrobottega del Sex, dove mi avevano eletto prima Anticristo e poi, soliti Giuda, fottuto. All’orizzonte, la nube tintinnante degli anni Ottanta stampava un sorriso idiota sulla classe lavoratrice. Il contagio, intanto, veicolato dai miei cloni e dalla mia immagine pubblica, replicata all’infinito, dilagava nel mondo. Le tracce della contaminazione, come fossili o rovine, sarebbero più tardi finite nei musei, nelle teche, sulle carte di occhialuti osservatori nelle università. Il sistema scolastico britannico mi aveva espulso, ed ora eccomi là, oggetto di tesi di laurea e dottorati. Studi culturali, sottoculture, stili di vita, dadaismi e situazionismi da salotto gonfiavano i curricula di impostori che ragliavano io-c’ero io-c’ero io-c’ero. Non avevano ascoltato una sola parola che avessi detto. Erano interessati a qualcosa di più profondo: il colore dei miei capelli. Qualcuna di quelle saccenti sanguisughe cominciò a studiare la Cosa. Quattro lettere. Sostenevano che tutto fosse cominciato a New York, prima. Stronzate. Tutto era cominciato nello spazio profondo, nel buco nero a Finsbury, tra le maglie invisibili della guerra permanente. E se proprio volessi trovarmi degli antecedenti, inciampando su realtà slittate, dovrei spingermi a sud-est, nell’inferno di cemento di Thamesmead. Ci aveva visto giusto Stanley K. 13
Eppure, adesso, a rileggere queste squinternate parole, il sospetto che gli Americani in qualche modo c’entrassero ce l’ho pure io. Tutto mi si rovescia. Giro il cannocchiale dall’altra parte e vedo una svastica sventolare sulla Casa Bianca e su Buckingham Palace. Vedo Stanley K. che vede il mondo, e ce lo fa vedere, con le lenti della NASA. I Ramones, uno dopo l’altro, sono stati “ritirati”. Di Sid, ho già detto. Quel che restava di noi si sputtanava con un ladrone alla voce e un finto Martin Bormann al basso. La cosa più brutta che avevo scritto non l’avevo scritta io e parlava di Belsen. Un errore. A Belsen non c’erano i gas. Non volevamo dire quello. Ma che era una figata. I wish you were here, gridavamo. Solo uno scherzo di cattivo gusto? O una premonizione della nuova Belsen? Sì, in un certo senso. Dai campi di sterminio ai centri commerciali. Altre vacanze. Altri gas. Ci hanno sterminati. Ritirati. Sostituiti. È stato un lampo, la vita di quegli anni. Per i più fortunati, giusto una vacanza economica nella miseria degli altri. No, Belsen non era un errore: noi avevamo capito tutto. Per lo più, siamo stati fraintesi. Guardo oggi la mappa di Londra, chiusa dalla grande strada orbitale M25, e strappandola a pezzi con gli occhi spalancati e chiusi, come in un décollage di Jamie Reid, vedo emergere gli strati mnemonici occultati da sessant’anni e passa di “ricostruzione”. E penso: chissà dove caddero i missili. Chissà perché il Blitz si accanì sull’East End. Chissà perché, tra quei vicoli purulenti, sempre si ripetono sordide storie all’ombra della Regina. Chissà cosa scorre nelle acque interrate sotto Farringdon. Chissà perché la propaganda nazista dei giochi olimpici ha scelto e cancellato Hackney? Domande per bizzarrie psicogeografiche nei passaggi di una città derelitta. La nostra storia, per la verità, cominciò dall’altra parte, nell’agiato e modaiolo West End, in fondo là dove la lunga Kings Road fa un gomito che segna quella zona ricostruita dal nome inequivocabile: World’s End. Anche lì, poco più di trent’anni prima, erano cadute le bombe. Poco più di trent’anni. Lo stesso gap che oggi ci separa dai primi anni Ottanta, se ci pensi. Oggi, da quella distanza, te, giovane musicista, devi fare i conti con Boy George o i Sigue Sigue Sputnik, noi, invece, facevamo i conti con le bombe. Senza le bombe, mi pare ovvio, non sarebbe stata la stessa storia. Sai cosa intendo? E allora, come poteva la Cosa nascere a New York? Me lo cantava mamma: portami qualcosa da lassù, cambiando questa volta le parole di We’ll meet again. E non sarebbe stata una canzone d’amore. 16
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BRING SOMETHING BACK...! Enzo Mansueto
Meningitis, that was the diagnosis. A mental blackout almost a year long. Memories reset: more than seven years of life wiped out. And a whole school year lost, there at Eden Grove. My Eden, my paradise, lost. The other kids would play happily among the rats, on the edge of the Finsbury industrial estate, and me, locked away in those two filthy rooms of our bogless flat, staring at a crack in the ceiling with eyes wide shut. On the radio, those long-haired poofs from Kent were singing: It’s All Over Now. If only it had all been all over then. I would’ve killed the lot of ‘em. Who knows when I was conceived? My mum told me about certain electric nights with dad. He would come home late from his shift, after a few pints of stout at the pub, after leaving the crane at the depot. She would come home from the neighbour’s house, that schoolmistress, the one with the TV set, after the live broadcast of The Quatermass Experiment. She would come back in all jittery to her Catholic immigrant prayers. The day after, at the corner shop, all talk was of missiles, contamination and space creatures. No. That doesn’t add up. If it had been like that, I would have been born before, maybe in 1954, like Elvis’s Rock ’n’ Roll. No, really – if anything, I was gonna be Rock ’n’ Roll’s tombstone. 17
A different version of the family saga says that I was in my mum’s tummy – and so I was just a foetus, a missed abortion, a gurgling bloody mess – while she was watching the new episodes of Quatermass II (or perhaps when she was at the pictures to see the film based on the first series). Earth year: 1955. And that adds up better. To make the ones of the trilogy add up too, I’ll lie and say that the only surviving fragments of my forgotten childhood, a few years later, are the images of Quatermass and the Pit, with those hollow-sounding dig-outs like the gaping building sites in London at the time, from Knightsbridge to the City, all changed by the War. They rose out of the bowels of the bombs, the fossils and ruins of the Empire. Ah, so right at the start of that 1955, the year of my sloppy conception, the RAF was getting its own very first atomic bomb squadron. Now that I think of it, this whole legend revolves around the atom and the TV. Cathodic bombardment. That of the majestic coronation in Westminster which
fucked us up, sold us out, and Americanised the lot of us. From colonisers to the colonised. The BBC antennas on Ally Pally did more damage than the Nazi V2s raining down on the syphilitic East End. TV, the live broadcast, the tele-vision, which is not the vision of what is remote, but a remote vision. Elizabeth, walking down that virtual aisle through everyone’s parlours, shone like a saviour, God save her: people had the world in their homes, while the Johns, in Finsbury, Hackney, Shepherd’s Bush, rotted away unseen. And yet one of those Johnnies, eyes wide shut, just a kid, had been in deep space for nearly a year. He had come back only because his sick mum was screaming, to the distorted notes of Swan Lake: Bring Something Back...! He came back smelling like teen spirit: with green hair and bad teeth. Then I ended up right inside the TV. Shit. All those fucking lights, dematerialising you. And even outside, there were already the Christmas lights. It was the first of December when they called us on to substitute for those wankers called Queen (Queen: just a coincidence, right?). We brought along our own gaggle of pretty boys. Some came from Bromley. That boozy cockhead of a presenter – he really used to piss my mum off! – tried to wind us up. He thought he was sitting round at some gentlemen’s club with his whoremonger mates. We laid right into him. I went home on the night bus. I had said: shit. On TV. I was a star. I was a star, and I didn’t even know it. But now, on my skin, in my hair, in my unlimited public image, the mutation was unconcealable. I was the flower blooming forth from that sewer. The Quatermass experiment or who knows what other deviant government service. The undesired by-product, the unwanted side effect of the socio-political concoctions in the wake of the Silver Jubilee. That’s what I thought. London was just town re-planning, out-of-date glam and streams of piss. On their pyrotechnical stages, the usual old dinosaurs played through their endless progressive bollocks. Streets knee-high in rubbish. Invisible toxic fumes spreading across the city from the smokestacks of Battersea Power Station. The white-collared pigs preparing the royal masquerade along the great arteries of the centre or by the riverside. But my missile had landed in those little Victorian tenements of Benwell and there, Pomp and Circumstance sounded as estranged and off-key as a vaudeville jig. An outright rip-off, a great swindle, a clockwork tangerine. It was nice in the early days. With all those extra-terrestrials in the audience, as the 19
contamination slowly spread. There wasn’t so much difference between the bands on the stage and the folks in the crowd. Catwoman, the lad on a leash, the Nazi nurse. Everyone came up with something: kit, hair, nicknames, ways of dancing. Groups mingled, from the Flowers of Romance to the London SS. But that was just the beginning. I started to sense that something was going wrong when the first clones started to appear in the audience. Replicas of me: safety pins, creepers, tartan suits, pointy ginger hair, staring (but without the meningitis). I would look away; they disturbed me. It wasn’t just the fear of the lookalike. It was worse. I started to become aware that perhaps my mutagenic agents had been exploited. And I’m not just talking about Malcolm and his vicious calculations. There was something bigger here: who was it that shot me into the void? Who was it that threw out the first space trash? The Russians or the Americans? What had got stuck on to me? What was I spreading behind my own back? I had become paranoid. Very paranoid. Ever get the feeling you’ve been cheated? 20
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In the middle there was 1977: the year of canonisation. And we know all too well how that went. At the start of the following year, I left everything. Walked out on it all, right there, in America. No fun. California Über Alles wasn’t even being sung yet, and yet I could see the sense of the Thing all too clearly. I saw that the jabs in the veins of my friend with a hamster’s name – one of the Johns – no longer spouted space fluid. It was a nightmare, an exile: and the Queen with her Swastika eyes wouldn’t let me go back. I followed a bus on the road to Nowhere from the poster on the wall, and with a de-civilising stop-off in slave-trade Jamaica, I chose the path of the counter-experiment. I had to tear off that artificial skin they had sewn me into. It would take years, perhaps decades. Or maybe a touch of theatre, à la Richard III. I came back. I cast my bitter poetry against the planet, sealed off inside a metal box. Locked away in my house in Gunter Grove, Chelsea, with everything that I had left: a delirious nest with shaded windows, a stone’s throw away from the backdoor of the Sex, where first they elected me Anti-Christ and then, like the 21
usual Judases, fucked me over. On the horizon, the jingling cloud that was the ‘80s served to put a stupid grin on the faces of the working class. In the meantime, the spread, driven by my clones and my public image, replicated ad infinitum, was making its way around the world. The traces of the contamination, like fossils or ruins, would later end up in museums, in glass cases, among the papers of bespectacled observers in universities. The British school system had expelled me, and now look where I was, the subject of dissertations and doctorates. Cultural studies, subcultures, lifestyles, armchair Dadaisms and Situationisms to bloat the CVs of impostors bleating I-was-there-I-was-there-I-was-there. They hadn’t listened to a word I’d said. Their interest went so much deeper: it must have been the colour of my hair. Some of those smart-arsed bloodsuckers started studying the Thing. That fourletter word. They said it all started in New York, before. Bullshit. It all began in deep space, in that black hole in Finsbury, in the invisible tangle of the permanent war. And if I really wanted to hunt down a predecessor, tripping over slippery realities, I should go further South-East, into the concrete hell of Thamesmead. Stanley K. had not been far off at all. And yet, now, re-reading through these tattered lines, even I am getting the suspicion that the Americans somehow had something to do with it all. This turns the tables on me. I look through the other end of the binoculars and see a Swastika flying over the White House and Buckingham Palace. I see Stanley K. looking at the world, and showing it back to us through NASA lenses. The Ramones, one after the other, had been “retired”. And I already mentioned Sid. What was still left of us were getting their kicks with a crook on vocals and a wannabe Martin Bormann on bass. The nastiest thing I wrote, and I didn’t write it, was about Belsen. A mistake. In Belsen they didn’t use gas. That’s not what we meant. But that it was shit hot. I wish you were here, we would shout. Just a bad taste joke? Or a premonition of the new Belsen? Yeah, in a certain sense. From the extermination camps to the shopping centres. Other holidays. Other gases. They wiped us out. Retired. Substituted. It all took place in a flash, life in them days. For the luckiest ones, just a cheap holiday in other people’s misery. No, Belsen was not a mistake: we had understood everything. But on the whole, we were completely misunderstood. 22
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Today I look at the map of London, locked in by that great orbital, the M25, and tearing it to bits with my eyes wide shut, just like in a décollage by Jamie Reid, I see the mnemonic layers emerge, obscured by 60 odd years of “reconstruction”. And I think: who knows just where the missiles fell. Who knows why the brunt of the Blitz hit the East End. Who knows why, among those pokey alleyways, there were always sordid stories about the Queen to be heard. Who knows what’s in the water flowing under Farringdon. And who knows why the Nazi propaganda of the Olympic Games chose to obliterate Hackney? Questions of psycho-geographical trivia in the passageways of a derelict city. Our history, truth be told, started on the other side, in the well-heeled and trendy West End, down there where the long Kings Road suddenly bends, marking that reconstructed area with such an unmistakeable name: the World’s End. Even there, just over 30 years before, the bombs had fallen. A little more than 30 years. The same gap that today stands between us and the early ‘80s, if you think about it. Today, after the same length of time, you young musicians have to come to terms with Boy George or Sigue Sigue Sputnik: we had to deal with bombs instead. Without those bombs, it seems obvious, it wouldn’t have been the same thing. D’y’ kna’at ah mean? And so, how could the Thing have been born in New York? My mum used to sing it to me: bring something back from up there, this time changing the words to We’ ll meet again. And it certainly wasn’t gonna be a love song.
Enzo Mansueto (Bari 1965). Poeta, saggista, critico letterario e musicale, insegnante, è stato figura di spicco della scena post-punk italiana nei primissimi anni Ottanta, raccontata nel suo contributo per Lumi di Punk, a cura di M. Philopat (Agenzia X, 2006). Ha pubblicato le raccolte poetiche Descrizione di una battaglia (Scheiwiller 1995) e Ultracorpi (Edizioni d’if, 2006). Nel 2010 ha pubblicato il libro/cd di poesia fonografica Scassata dentro (Edizioni d’if ).
Enzo Mansueto (Bari 1965). A poet, essayist, literary and music critic and teacher, he was a leading figure on the Italian post-punk scene in the early ‘80s, as recounted in his contribution to Lumi di Punk, edited by M. Philopat (published by Agenzia X, 2006). He has also published the poetry collections Descrizione di una battaglia (Scheiwiller 1995) and Ultracorpi (Edizioni d’if, 2006). In 2010, he authored the book/ CD of phonographic poetry entitled Scassata dentro (Edizioni d’if).
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RAGGED KINGDOM Cristiana Minelli
Un uomo-contro con l’anima dello sciamano. Un artista britannico prossimo ai movimenti anarchici, celebre soprattutto per aver legato nei secondi anni Settanta il suo nome alla grafica dei Sex Pistols, divenuto, più di recente, un druido dei nostri giorni, autore di opere a metà fra l’installazione e l’inno alla pace e al dialogo. Dal 12 settembre a Palazzo Santa Margherita, la mostra dedicata a Jamie Reid presenta al pubblico disegni, dipinti, collage, fotografie che danno conto del talento di un artista da sempre in conflitto con il potere costituito che ha aperto nuove strade nel mondo dell’immagine e della comunicazione. La sala grande ospiterà l’installazione che dà il titolo alla mostra (“Ragged Kingdom”) composta da alcuni tepee
A man who has always gone against the grain, with the soul of a shaman. A British artist close to the anarchist movements, well-known above all for his name having been linked in the second half of the ‘70s to the graphics of the Sex Pistols, and more recently having become a modern-day druid, the author of works midway between the installation and an ode to peace and dialogue. From 12th September at Palazzo Santa Margherita, the exhibition dedicated to Jamie Reid will feature drawings, paintings, collages and photographs that offer an account of the talent of an artist who has always been in conflict with the powers that be, and who has beaten new paths into the world of imagery and communication. The Main Hall will host the installation 27
indiani – figure di accoglienza, rifugio, protezione, dunque di pace e dialogo – dipinti e stampati con immagini dell’artista, all’interno dei quali ciascun visitatore troverà una pila di fogli con cui potrà costruirsi il proprio personale “catalogo” della mostra. Al piano superiore invece circa sessanta disegni, dipinti, collage, grafiche, progetti, fotografie che ripercorrono la carriera artistica di Reid a partire dagli esordi, durante i quali elabora lo stile e alcune immagini – si pensi agli autobus con destinazione “Nowhere” – che confluiranno poi nell’iconografia punk, per soffermarsi più approfonditamente sul periodo strettamente connesso con i Sex Pistols. Di questa intensa attività, durata dal 1976 al 1980, sono presenti in mostra una trentina di lavori, compreso un collage di quasi 8 metri di lunghezza (“Mural”), che ne rappresenta una vera e propria summa. Non manca una selezionata scelta di opere più recenti, nelle quali alle tematiche anarchiche e situazioniste si affiancano motivi legati a un universo magico e sciamanico molto caro all’artista, espresso attraverso simboli cosmologici, druidici, esoterici. Realizzata in collaborazione con la Isis Gallery di Brighton, con la partecipazione di ONO arte contemporanea di Bologna, la mostra, sponsorizzata da Hera Group, è inserita nel programma di eventi del festivalfilosofia, il cui tema, quest’anno, è stato individuato nel concetto di “gloria”. 28
from which the title of the exhibition is taken (‘Ragged Kingdom’) made up of a number of North American tepees – symbols of welcome, shelter, protection and thus of peace and dialogue – painted and printed with images by the artist, inside which each visitor will find a pile of sheets with which s/he may piece together his/her own exhibition ‘catalogue’. Instead, on the upper floor there are around 60 drawings, paintings, collages, graphics, projects and photographs tracing Reid’s artistic career ever since his early days, during which he elaborated the style through a number of the images – such as the buses on the way to ‘Nowhere’ – which were to become part and parcel of punk iconography, then focusing more in detail on the period most closely connected to his collaboration with the Sex Pistols. Of this intense activity, which lasted from 1976 to 1980, around 30 works may be found on show, including a collage almost eight metres long (‘Mural’), which represents the apex of his production over this period. There is also a selected range of his more recent work, in which the anarchic and situationist themes go hand in hand with motifs linked to a magical and shamanic universe very dear to the artist, expressed through cosmological, druidic and exoteric symbols. Staged in collaboration with the Isis Gallery of Brighton, and sponsored by the Hera Group, the exhibition is part of a programme of events for the / settembre 2014
Per tutti gli appassionati del genere, fino al 6 gennaio, a Palazzo Santa Margherita, per non dimenticare “Who Killed Bambi?” (da un collage del ’78), “We dont’ care about the music” (collage del ’79), mentre un letto di legno annuncia “Fuck forever” e la cover di un Lp suona ancora con “Los Pistoleros del Sexo”.
festivalfilosofia, the theme of which this year has been identified in the concept of ‘glory’. An exhibition for all the fans of the genre, until 6th January, at Palazzo Santa Margherita, so as not to forget ‘Who Killed Bambi?’ (a ’78 collage), ‘We don’t care about the music’ (a ’79 collage), with a bed bearing the words ‘Fuck forever’ and the cover of an LP, still playing ‘Los Pistoleros del Sexo’.
p. 8 Jamie Reid, Nice work by nice lady (part.), 1977 p. 11 Jamie Reid, God Save the Royalties, 1987 p. 12 Jamie Reid, God Save the Queen, 1977 p. 14 Jamie Reid, Nowhere Buses (Suburban Press), 1972 p. 18 Jamie Reid, No Clause 28, 1988 p. 20 Jamie Reid, Dog Tin Label, 1980 p. 24 Jamie Reid, Senza titolo / Untitled (Holidays in the Sun Installation), 1977 p. 26 Jamie Reid, Ragged Kingdom, (part.)
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GUARDA AL FUTURO IMPARA DAL PASSATO VIVI NEL PRESENTE LOOK TO THE FUTURE. LEARN FROM THE PAST. LIVE IN THE PRESENT. Una conversazione con / a conversation with Jamie Reid di / by John Marchant, Isis Gallery pubblicata in /published in The Idler Magazine 38: The green man, 2006
Alcuni anni fa, mentre vivevo a New York, mi è stato chiesto di collaborare con l’artista britannico Jamie Reid per l’organizzazione di Peace is Tough, una vasta indagine retrospettiva sul suo lavoro. Sono risultate subito evidenti l’importanza e l’ampiezza della sua opera, che spazia dal ricorso a una raffica di riferimenti culturali con i Sex Pistols, riprodotti e rivisitati all’infinito, fino all’uso degli acquerelli estremamente contemplativi raffiguranti la natura, che rispecchiano il suo profondo legame con i movimenti impercettibili della terra. A un primo sguardo sembravano esserci forti contraddizioni fra i diversi periodi, ma dal momento in cui ho iniziato ad addentrarmi nel suo lavoro e a conoscere Jamie, tutto ha iniziato a fondersi. Man
Some years ago while living in New York I was asked to collaborate with the British artist Jamie Reid in organizing a large survey of his work to date called Peace Is Tough. It soon became apparent that the full extent of his work was a very broad canon indeed, from the endlessly reproduced and rehashed sustained volley of cultural musket-fire with the Sex Pistols to extremely contemplative nature-induced watercolours reflective of his deep connection with the earth’s subtler movements. Of course at first there seemed to be stark contradictions here but as I started to look at the work and get to know Jamie it started to coalesce. As the work arrived, so did his crew from his adopted home town of Liverpool. I lost count of them all but they all pulled together to produce a 31
mano che procedeva il lavoro, si presentava anche la sua équipe proveniente dalla sua città adottiva, Liverpool. Ho perso il conto di quante persone fossero, ma si sono tutte riunite per inscenare lo spettacolo Peace is Tough in uno spazio aperto a Manhattan, divenuto, nelle successive sei settimane, un luogo di indagine, un rifugio, uno spazio performativo, una casa-dormitorio e uno spazio dei sogni. Negli anni successivi ho avuto il piacere di conoscere Jamie molto meglio. Discendente spirituale del riformatore socialista post-edoardiano e capo druido George Watson MacGregor Reid, Jamie si muove attraverso punti di osservazione ancestrali disparati che spaziano da William Blake, Gerrard Winstanley and the Diggers, Thomas Paine, Wat Tyler e Simon de Montfort, ovvero, per dirla con le parole di Julian Cope, tutti i “fottuti giusti lungimiranti”. C’era comunque una cortina di fumo intorno a lui che velava la sua persona e il suo lavoro. Ignorato dal mondo dell’arte a causa della sua rigidità intellettuale, è stato etichettato in modo superficiale da parte di una stampa sempre più nostalgica il cui intento è sempre stato solo quello di nutrirsi del cadavere del Punk. Pare sia il momento giusto per iniziare a chiarire un po’ le cose. Qualche dato iniziale: nato nel 1947, Jamie Reid è stato membro fondatore del gruppo grafico ispirato al Situazionismo denominato Suburban Press con sede a 32
show called Peace Is Tough in a raw space in Manhattan that became, for the next six weeks, a locus for the inquisitive, a refuge, performance venue, doss house and dream space. In the intervening years, I’ve had the pleasure to get to know Jamie a lot better. Spiritual descendent of postEdwardian socialist reformer and Chief Druid George Watson MacGregor Reid, Jamie takes ancestral sighting points as disparate as William Blake, Gerrard Winstanley and the Diggers, Thomas Paine, Wat Tyler and Simon de Montfort: in the words of Julian Cope, all “righteous, forward-thinking muthafuckers”. There is however a smokescreen around him that veils his persona and work. He gets ignored by the art world for being unmaleable and gets pigeon-holed by an increasingly nostalgic press who only want to feed on the corpse of P*#k ad infinitum. It sees a good time to clear things a little. A quick primer: Born in 1947, Jamie Reid was a founding member of Croydon–based Situationist-inspired graphics unit Suburban Press and was responsible for graphics and layout for Christopher Gray’s Leaving the 20th Century. In late 1975 Malcolm McLaren asked him to work with the Sex Pistols, providing both image and political agenda. Following their demise, Jamie drifted through places and projects – Bow Wow Wow, Paris, performance work, the Brixton squat scene. In 1987 Up They Rise – the Incomplete Works of Jamie Reid was published by Fa/ settembre 2014
Croydon. Diviene quindi responsabile della grafica e l’impaginazione di Leaving the 20th Century di Christopher Gray. Alla fine del 1975 Malcolm McLaren gli chiede di lavorare con i Sex Pistols, per curare sia l’immagine che l’agenda politica. Dopo la loro scomparsa Jamie sperimenta nuovi luoghi e progetti: Bow Wow Wow, Parigi, attività performative, e l’ambiente squatter di Brixton. Nel 1987 Up They Rise – the Incomplete Works of Jamie Reid pubblicato da Faber and Faber, co-prodotto con il giornalista musicale Jon Savage, documenta le sue influenze e le opere eseguite fino 34
ber and Faber – co-produced with music journalist Jon Savage it documented his influences and works to date. Following this breath for air, Reid got increasingly involved with various bands and protest movements - No Clause 28, the Legalise Cannabis Campaign, Reclain the Streets and Warchild to name a few. In 1989 he started a ten year commission to revisualise and reinvent the interior spaces of both the recording and resting spaces of the East London-based Strongroom Studios using ‘colour magic and sacred geometry’ to encourage creativity and calm. As a result of this he also spent five years as vi/ settembre 2014
ad allora. Sentendo la presenza di un’aria nuova nella società, Reid viene progressivamente coinvolto in vari gruppi e movimenti di protesta, No Clause 28, Legalise Cannabis Campaign, Reclaim the Streets e Warchild, per citarne alcuni. Nel 1989 forma una commissione decennale per rinnovare e reinventare sia gli spazi di registrazione sia gli spazi ricreativi degli East Strongroom Studios londinesi, usando “la magia del colore e la geometria sacra” al fine di incoraggiare la creatività e la calma. Successivamente trascorre cinque anni nel ruolo di coordinatore visivo per le produzioni della band Afro-Celt Sound System. Dal 1997 la retrospettiva Peace Is Tough ha inaugurato a New York, Tokyo, Dublino, Atene, Glasgow e Liverpool, presentando collage, pittura, fotografia e filmati. Attualmente sta ultimando un progetto di dimensioni gigantesche (600-700 pezzi) basato sul calendario druidico Eightfold Year.
sual co-ordinator with the band Afro-Celt Sound System. Since 1997 the retrospective “Peace Is Tough” has opened in New York, Tokyo, Dublin, Athens, Glasgow and Liverpool, including collage, painting, photography and film. He is currently finishing a heroically-proportioned 600-700 piece project based on the Druidic calender the Eightfold Year.
Ci siamo incontrati di nuovo a est di Knighton, a Powys, ai confini del Galles, in un punto che fu ferocemente conteso nelle guerre con gli inglesi. Fu sempre in questa zona che nel 1921 il fotografo antiquario Alfred Watkins ebbe una rivelazione sulle connessioni nascoste all’interno del paesaggio britannico che poi riportò nell’irrinunciabile Old Straight Track, e fu in seguito visitato dal Leone di Giuda in persona: l’Imperatore Hailé Selassié!
IM: Jamie, you spend a lot of time now with your hands in the soil. Can you tell me about that? REID: It is part and parcel... sowing, planting, growing, harvesting, nurturing. We are custodians of this planet... the Garden of Eden, paradise on earth. We have mostly done our best to fuck the planet up. My work is deeply affected by my time spent working the land. Organic growth is integral to it. I’ll spend hours gardening and then go staight into hours
We convened east of Knighton, Powys on the Welsh borders, at a spot fiercely contended in the wars with the English. It was also in this area in 1921 that the antiquarian photographer Alfred Watkins had a revelation on the hidden connections within the British landscape that he later wrote about in the indispensable Old Straight Track – and subsequently visited by the Lion of Judah himself – Emperor Hailé Selassié! While we talk, Jamie takes out his trade tools and starts to paint.
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Mentre parliamo, Jamie estrae gli strumenti del mestiere e inizia a dipingere. IM: Jamie, passi molto del tuo tempo a contatto con la terra. Mi puoi dire qualcosa a riguardo? REID: È un tutt’uno... seminare, piantare, coltivare, raccogliere, nutrire. Siamo custodi di questo pianeta... il Giardino dell’Eden, il paradiso terrestre. Ci siamo impegnati al massimo per fottere il pianeta. Il mio lavoro è profondamente influenzato dal tempo trascorso lavorando la terra. La coltivazione biologica è parte integrante di questo. Posso passare ore a fare giardinaggio e poi andare avanti ore con la pittura; azioni che si fondono e si intrecciano l’una con l’altra. È veramente al centro del mio credo spirituale: l’amore e il rispetto per la natura, e il nostro ruolo all’interno di essa. IM: E cosa ci puoi dire rispetto ai tuoi valori spirituali? REID: Il druido estinto! Quando sottoponi veramente le cose all’attenzione della gente comune – intendo la gente comune che non si sarebbe mai presa la briga di andare in una fottuta galleria d’arte o in un museo – e credo a giusta ragione, per molti versi... Penso che la magia sia sempre esistita per il popolo della terra. Semplicemente sapevano – non avevano bisogno di un sacco di rituali farfugliati; sapevano e basta... perché guardavano, cazzo! Ora, invece, noi non riusciamo più a vedere. 36
of painting, they merge and intertwine with each other. It really is at the heart of my spiritual beliefs: love and respect for nature and our part within it. IM: And what about about your belief system? REID: Lapsed Druid! When you actually open things up to ordinary people – I mean ordinary people who would never fucking be bothered to go to an art gallery or museum – and I think quite rightly in lots of ways... I think magic has always existed to people of the land. They just knew – didn’t need loads of mumbo jumbo ritual, they just knew... because they fucking looked. And we can’t see anymore. IM: Have you done any of your own research into ley-lines? What they are, what they mean? RIED: Only by observing and looking and seeing. A few years ago I was doing a lot of geometrical paintings. I tend to do them and then find the source. I knew about sacred geometry but it wasn’t until I immersed myself in it that I realised what it was. In a way there was always that element of being self-taught. It’s just such a fundamental element in everything – from primitive to the Renaissance to anything you care to name. You can see it reveal itself in front of your eyes in the landscape. You just immerse yourself in it – it’s just a total experience where you completely lose yourself. It’s the same as I feel when I’m actually working because / settembre 2014
IM: Hai fatto delle tue ricerche sulle linee temporanee, sulle ley-lines? Che cosa sono, cosa significano? RIED: L’ho fatto solo osservando, guardando e cercando di vedere. Qualche anno fa facevo un sacco di dipinti geometrici. Tendo a farli e poi solo dopo ri-
I do go into a complete trance – which is why I can’t talk and paint. It’s very intense. It’s very deep in. IM: Were you ever a teenager? REID: I can’t remember! Maybe I’ve never stopped being one. I think music’s 37
Jamie Reid, Untitled Slate, 1994 p. 30 Jamie Reid, Gentle Grey Instigator, s.d. p. 33 Jamie Reid, Let’s Be Democratic. We’re All Junkies Now (TBC), commissione per / commission for The Guardian, s.d. p. 34 Jamie Reid, Ragged Kingdom, (part.)
salgo alla fonte. Sapevo della geometria sacra, ma solo quando mi ci sono immerso ho capito davvero di cosa si trattava. In un certo senso, ricorre sempre il fatto dell’importanza di essere autodidatta. È un aspetto così fondamentale in tutto – dall’epoca primitiva al Rinascimento, per qualsiasi cosa che tu voglia approfondire. Lo puoi vedere come si rivela davanti ai nostri occhi attraverso il paesaggio. Basta immergersi in esso – si tratta di un’esperienza totale in cui ti perdi completamente. È la stessa cosa che sento quando sto lavorando intensamente poiché mi succede di andare completamente in trance – che è il motivo per cui non posso parlare e dipingere contemporaneamente. È tutto molto intenso. È molto profondo. IM: Sei mai stato un teenager? REID: Non riesco a ricordarlo! Sarà perché non ho mai smesso di essere un teenager. Penso che la musica abbia costituito probabilmente la mia più grande influenza, fin dal primo rock’n’roll. Croydon è stato davvero un grande centro dei primi Teddy Boys... e tutto il fenomeno di Bill Haley ha avuto un influsso enorme su di me. Ma suppongo che più di ogni altra cosa la più grande fonte d’ispirazione sia stata ciò che stava accadendo nel jazz in America a quell’epoca. IM Come ne eri venuto a conoscenza? Attraverso la radio o tramite gli amici? REID: Compravo i dischi man mano che uscivano. Si trattava prevalentemen-
probably the biggest influence, from early rock‘n’roll. Croydon was a really big centre of early Teddy Boys... and the whole Bill Haley thing had a massive effect. But I suppose more than anything the biggest influence was what was happening in jazz in America at the time. IM Where was it coming from? Through the radio or through friends? REID: I was buying it as it was coming out. That would have been predominantly Mingus, Coltrane, Pharoah Sanders, Archie Shepp, Ornette Coleman. To me it was like a whole peak of 20th Century culture. It’s never been surpassed. I also went to see a Pollock exhibition when I was about 16 without knowing anything about modern art and just found them like entering other worlds. IM: You describe Pollock’s work as being like landscape painting. REID: It was just like fantasy worlds you could walk into and see what you liked. I loved the fact that they left themselves open to interpretation. And Blake. I was obsessed with the Blakes in the Tate. A lot of that I got through my father. There was always art and sport, and I was lucky enough to be really good at sport. As you know I was going to play professional football or cricket. I also used to go up to see Mingus and Sonny Rollins perform at Ronnie Scott’s and Soho then was a big influence – at the same time Zappa, Beefheart and all 39
te di Mingus, Coltrane, Pharoah Sanders, Archie Shepp, Ornette Coleman. Per me rappresentavano l’apice della cultura del Novecento. Qualcosa d’ineguagliabile. Sono anche andato a vedere una mostra di Pollock quando avevo circa 16 anni senza sapere nulla di arte moderna, e appena lo feci fu come entrare in un’altra dimensione.
that – it was an amazing period. There was a great element of experimentation. It was all part of a great belief in change, but I was brought up politically. My parents were diehard socialists and were very much involved – as was my brother – in the anti-war movement, so I was dragged off to Aldermasten marches at an early age.
IM: Tu descrivi le opere di Pollock come una pittura paesaggistica. REID: Erano proprio come mondi di fantasia, potevi camminarci dentro e vedere quello che volevi. Mi è piaciuto molto il fatto che le opere rimanessero aperte all’interpretazione. E Blake. Ero ossessionato dalle opere di Blake del-
IM: 1968 was something of a watershed in the history of public protest – Paris burned in the belief that revolution was imminent, Martin Luther King was assassinated, the Tet Offensive began in Vietnam and medal winners Tommie Smith and John Carlos raised their fists for the Black Panther movement at the Mexico
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la Tate. A quelle sono approdato per lo più grazie a mio padre. Nella mia vita di allora c’erano sempre l’arte e lo sport, e ho avuto la fortuna di essere veramente bravo nello sport. Come sai a quei tempi avevo intenzione di diventare un giocatore professionista di calcio o di cricket. Solitamente andavo a vedere Mingus e Sonny Rollins che si esibivano spesso al Ronnie Scott’s, e Soho all’epoca era una fonte di grande influenza. Così come lo sono stati Zappa, Beefheart e tanti altri. È stato un periodo incredibile. C’era una grande spinta legata alla sperimentazione. Era tutto spinto da un’enorme fiducia nel cambiamento, e infatti io sono stato educato alla politica. I miei genitori erano socialisti irriducibili ed erano molto coinvolti nel movimento contro la guerra – come mio fratello d’altronde – e così mi trascinavano fuori con loro, per le marce di Aldermasten, sin dalla tenera età. IM: Il 1968 fu una sorta di spartiacque nella storia della protesta popolare, Parigi ferveva nella convinzione che la rivoluzione fosse imminente, Martin Luther King veniva assassinato, l’offensiva del Tet in Vietnam era iniziata e i vincitori di medaglie come Tommie Smith e John Carlos alzavano i pugni a sostegno del movimento della Pantera Nera durante le Olimpiadi in Messico. Qual è stata la tua esperienza di Londra nel 1968? REID: Faceva tutto parte del periodo R.D. Laing e Cooper. Ognuno di noi stava cercando qualche alternativa. È sta-
Olympics. What was your experience of London in 1968? REID: It was part of that whole R.D. Laing and Cooper period. Everyone was looking for alternatives. It was a period of fantastic possibilities and change. People really believed that you could actually change things, and politically, things couldn’t have become more repressed since then. We’ve become more and more under the thumb. We’ve lost our belief that people can effectively change anything. But on one level we’re going through a period of the most massive change that we’ve ever been through in the history of woman or man-kind. There is a quickening process – we’re experiencing everything that everyone’s ever been through over millennia in one generation. I think America is Rome and it will fall very fast. On an economic level it’s going to China and India isn’t it? I think everything might just break down. We’ll go back in to small states. China will beak up, India will break up, everywhere will break up into smaller units because people can only really survive in smaller units. I think they can only really appreciate what a wonderful planet... God, I sound like Louis Armstrong! It’s such a beautiful fucking place and we’re the custodians of it and fucking economics... is Babylon. People could be very happy with fuck all. IM: Is this what connects the dots in your work – your wish to make people think that they can really enjoy this world? 41
to un periodo fantastico di cambiamenti e di possibilità. La gente aveva la convinzione di poter influenzare le cose davvero e invece, da allora, politicamente, la situazione non sarebbe potuta diventare più repressiva. Siamo stati progressivamente messi sotto controllo. Abbiamo perso la nostra convinzione che le persone possano davvero cambiare qualsiasi cosa. Ma in un certo senso stiamo attraversando il periodo di cambiamento più importante della storia dell’umanità. È in atto un processo di accelerazione, stiamo sperimentando nell’arco di una sola generazione tutto ciò che l’umanità ha passato nel corso di millenni. Penso che l’America di oggi sia come l’antica Roma e che cadrà molto presto. Sul piano economico stanno prendendo piede la Cina e l’India, non è vero? Beh, penso che tutto ciò potrebbe crollare. Andremo di nuovo verso i piccoli stati. La Cina crollerà, l’India si spaccherà, ovunque avremo uno sbriciolamento in unità più piccole, perché le persone possono davvero sopravvivere solo in realtà più piccole. Penso che si potrà veramente apprezzare questo mondo meraviglioso... Dio, mi sembra di parlare come Louis Armstrong! È un posto così dannatamente bello e noi siamo i suoi custodi mentre la fottuta economia... è come Babilonia. La gente potrebbe essere molto felice praticamente con nulla. IM: È questo il filo rosso del tuo lavoro, speri di riuscire a fare in modo che la 42
REID: To a great degree, yeah. I suppose on one level there is that element in a majority of my stuff which tends to be around painting or photography or bits of filming that I’ve done. There’s an appreciation... a great element of beauty in it, just seeing the magnificence of things. And there’s obviously that other element – the political element – the punk collage, punk whatever you want to call it – agit-prop – which is making comment about the evilness of the powers that be. I don’t see any contradiction in the two but it’s something that I do suffer from as an artist, in terms of the people who run Culture. I don’t fit into one category. I would’ve thought that the whole idea of an artist is to be expansive, like an explorer going forward. Not stuck in a rut. When it comes to a CV of exhibitions I’ve done about a third of them aren’t recorded. I did an exhibition with Ralph Rumney that I think Stewart Home organized. There was also a thing I did around the time of the first Gulf War which I did with John Michel (19332009) in Camden – an exhibition about peace where he had all this sacred geometry stuff. If we’re talking about influences John Michel is one. The man was like a modern day wizard. I love him because he was so benign. Such a lovely person. IM: When did you first cross paths? REID: Probably in the Sixties, with the pamphlets he did on sacred geometry and ley-lines. / settembre 2014
Jamie Reid, Peace Is Tough, 1994 p. 37 Jamie Reid, Ragged Kingdom, (part.) p. 40 Jamie Reid, Hare, s.d.
gente pensi veramente di potersi godere questo mondo? REID: In linea di massima sì. Suppongo che da un lato ci sia questo aspetto nella maggior parte delle mie opere, sia che riguardi la pittura, la fotografia o i frammenti di riprese che ho fatto. C’è un apprezzamento... una grande considerazione per la bellezza, nel vedere la magnificenza delle cose. E c’è, ovviamente, anche l’altro elemento – l’elemento politico – il punk collage, punk qualunque cosa la si voglia chiamare (agit-prop) che commenta la malvagità dei poteri costituiti. Per me non c’è contraddizione tra questi due aspetti, ma è qualcosa che mi fa soffrire come artista, come persona che dà il suo contributo alla cultura. Io non rientro in una singola categoria. Ritengo che 44
Obviously there’s the big connection from him to Watkins. IM: So at last we get a mentor. REID: A very gentle mentor. IM: The London Psychogeographical Association had a section on their website about Druidry. What’s the connection? REID: I think we touched on it earlier when we talked about the whole period of say, the Golden Dawn and the early Druid Order in Britain – it was as much politically bound as spiritually bound – it was part and parcel of the same thing. If you look at the early trade union movement it was as much spiritual as it was political – but those things have become less and less apparent. / settembre 2014
il vero scopo di un artista sia quello di essere aperto, come un esploratore che va sempre avanti, non di essere ingabbiato nella routine. Se guardi un elenco delle mostre che ho tenuto, circa un terzo di loro non è neanche stato registrato. Ho fatto una mostra con Ralph Rumney che penso sia stata organizzata da Stewart Home. C’era anche una cosa che ho fatto intorno al periodo della prima Guerra del Golfo con John Michel (1933-2009) a Camden – una mostra sulla pace dove lui aveva tutta questa roba sulla geometria sacra. Se stiamo parlando d’influenze, quella di John Michel è unica nel suo genere. Quell’uomo era come un mago moderno. Lo amo perché era così affabile. Una persona così squisita. IM: Quando vi siete incrociati per la prima volta? REID: Probabilmente negli anni Sessanta, con gli opuscoli che ha fatto sulla geometria sacra e le ley-lines. Ovviamente c’è una grande connessione tra lui e Watkins. IM: In poche parole, si trattava di un mentore. REID: Un mentore molto cordiale. IM: La London Psychogeographical Association aveva una sezione sul proprio sito web che trattava di druidismo. Qual è il nesso? REID: Penso che l’abbiamo menzionato prima, parlando dell’intero periodo.
IM: Beuys used ritual as the kick-off point for a lot of his work, parts of which are now holy relics of his rituals. What comes first for you? Do you use artwork in rituals or does the work come from ritual? REID: They are totally intertwined and totally interdependent. The whole process of how I work is very ritualistic anyway, in many ways. Setting up, starting and just doing it – it’s very ritualistic but I do go into a state of trance. IM: Where do you go? REID: You go into an absolute void – making your mind absolutely blank. Just letting it flow through. IM: Do you have realizations in that state? REID: Well, the realizations manifest themselves in what you do and what the product is. It’s as much science as it is art – it goes into all sorts of situations. It’s the high end of chemistry, physics, mathematics – things astrological. But you have to go through a deep sense of void and purity to do it. It’s macrocosms, it’s microcosms, but it’s fundamentally there to make people feel uplifted. To make people feel good. Well, that side of my work is, but there is the other side – the overtly political side that’s purely to make comment on how fucking evil the powers that be are. IM: In 2011 you created an almighty installation with a circle of eight full sized tipis in an old warehouse in North Lon45
Prendiamo il Golden Dawn e il Druid Order in Gran Bretagna: erano tanto connessi politicamente così come lo erano spiritualmente; erano parte integrante della stessa cosa. Se si guarda al movimento sindacale nascente, era tanto spirituale quanto politico, ma le cose sono diventate sempre meno evidenti col passare del tempo. IM: Beuys ha utilizzato i rituali come punto di avvio per gran parte del suo lavoro, alcuni dei quali sono ormai diventati reliquie sacre. Nel tuo caso che cosa viene prima? Usi le opere d’arte nei rituali o viceversa le opere scaturiscono dal rituale? REID: Sono totalmente intrecciati e interdipendenti. L’intero processo del mio lavoro è molto ritualistico in ogni caso, in molti modi. L’impostazione, l’inizio e l’esecuzione... è tutto molto ritualistico, cado davvero in trance. IM: Dove vai quando sei in questo stato? REID: Entro in un vuoto totale – la mia mente è assolutamente vuota. Semplicemente la lascio fluire attraverso le cose. IM: Hai delle illuminazioni quando ti trovi in questo stato? REID: Beh, le illuminazioni si manifestano in quello che faccio e in ciò che produco. È tanto scienza quanto arte, e questo vale per tutti i tipi di situazioni. Mi riferisco al campo della chimica, della fisica, della matematica, e dell’astrolo46
don, and the new show in Brighton has a tipi jammed into a Georgian drawing room. What does this structure represent for you? REID: As a child I always wanted to be a Native American when playing cowboys and indians, and nurtured a great love for them. I have used tipis in numerous shows and at festivals. I like their association with being nomadic, they come and go with the seasons, they provide shelter and community. I also want them to represent a peaceful space, a place to dream and let the mind lift and expand. To spend some time in one of these structures, either by day or night, is so uplifting. They are also a sign of association and support of indigenous people everywhere. And now with my traveling show, RAGGED KINGDOM they will always feature, be it a large or small space. This has been exemplified with my collaborations with Navajo dancer Dennis Lee Rogers who provides a sense of ceremony and joy to our openings. IM: Lastly, in the light of all you have done: Ne Travaillez Jamais – please discuss! REID: Well, our culture is geared towards enslavement, for us to perform preordained functions, particularly in the workplace. I’ve always tried to encourage people to think about that and do something about it.
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gia. Si deve passare attraverso un profondo senso di vuoto e di purezza. Sia che si tratti di macrocosmi o di microcosmi, si tratta di cose che fondamentalmente fanno in modo che le persone si sentano elevate e stiano meglio. Beh, questo è un aspetto del mio lavoro, ma c’è l’altro lato, quello apertamente politico, che riguarda l’aspetto fottutamente malvagio dei poteri forti. IM: Nel 2011 è stata creata un’installazione imponente in un vecchio magazzino nel nord di Londra realizzata con un cerchio formato da otto tepee a grandezza naturale, e il nuovo spettacolo di Brighton ha un tepee infilato in un salotto in stile georgiano. Che significato ha per te questa struttura? REID: Da bambino volevo sempre essere un nativo americano quando si giocava a cowboy e indiani, e ho sempre nutrito una grande ammirazione per loro. Ho usato tepee in numerosi spettacoli e festival. Mi piace che li si associ al nomadismo, allo scorrere delle stagioni, al fatto che forniscano riparo e al senso di
comunità. Li uso anche per rappresentare uno spazio di pace, un luogo per sognare e lasciare che la mente si elevi e si espanda. Trascorrere qualche ora in una di queste strutture, sia di giorno che di notte, è così spiritualmente edificante. Sono anche un simbolo che rimanda ai popoli indigeni di tutto il mondo, ed è perciò una forma di omaggio nei loro confronti. E ora con il mio spettacolo itinerante, RAGGED KINGDOM, saranno sempre messi in mostra, in spazi grandi o piccoli. L’ho potuto fare anche grazie alla collaborazione con il danzatore Navajo Dennis Lee Rogers, che contribuisce con un senso di cerimonia e gioia alle nostre inaugurazioni. IM: Per finire, alla luce di tutto ciò che hai fatto: Ne Travaillez Jamais – parliamone! REID: Dunque, la nostra cultura è orientata verso la schiavitù, perché adempiamo funzioni prestabilite, soprattutto sul luogo di lavoro. Ho sempre cercato di incoraggiare le persona a ponderare questo aspetto, e eventualmente fare qualcosa a proposito.
p. 44 Jamie Reid, Fuck Forever Bed, s.d.
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IN AGENDA
FRANCESCO CARONE VOLTA BIBLIOTECA DELFINI, SALA CHIESA 12, 13, 14 SETTEMBRE 2014
Progetto editoriale a cura di blisterZine
Editorial project curated by blisterZine
Orario di visita: venerdì ore 9.00-23.00 sabato 9.00-01.00; domenica 9.00-20.00
Visiting hours: Friday 9am – 11pm; Saturday 9am – 1am; Sunday 9am – 8pm
“Nella cappella degli Scrovegni a Padova, Giotto dipinse 40 storie ad affresco. Ho pensato di cancellare da ognuna di queste scene tutta l’immagine, tranne le aureole dorate che pose intorno alle teste delle sue figure. Senza un supporto esplicativo, i riferimenti all’immagine primigenia sono impossibili da ritrovare. Vedendo queste tavole, a tutto si potrebbe pensare tranne che alla loro vera origine” (Francesco Carone).
“In the Scrovegni Chapel in Padua, Giotto painted 40 stories in his frescos. My idea was to remove the entire image from each of these scenes except the golden aureoles that he placed around the heads of his figures. Without an explanatory support, the references to the original image are impossible to grasp. On seeing these sheets, one might think of anything but their true origins.” (Francesco Carone).
La mostra, in collaborazione con la Galleria civica di Modena, presenta un volume, edito da blisterZine, realizzato a mano in copia unica che evoca un vecchio atlante celeste stampato ad un solo colore: oro. Su 40 tavole sono riprodotte “teorie” di cerchi d’oro, i dischi, disposti sui fogli in modo apparentemente casuale, ricordano costellazioni o sistemi planetari.
The exhibition, in collaboration with Galleria civica di Modena, features a volume, published by blisterZine as a handmade single copy, reminiscent of an old celestial atlas printed in a single colour: gold. It features 40 images with the outlines of the golden circles. The discs, laid out on the sheets in an apparently random fashion, are reminiscent of constellations or planetary systems.
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La ricerca di Francesco Carone (Siena 1975) parte da una rilettura personale dell’universo attraverso il quale egli realizza progetti e opere, ma anche libri ed oggetti di uso. Ideatore e curatore del progetto TEMPOZULU, con cui da anni invita artisti e operatori culturali a lasciare un contributo sulle pietre della pavimentazione delle vie di Siena. Ideatore del progetto USB gallery, dal 2012 è tra gli organizzatori della residenza artistica Made in Filandia. Le sue opere sono entrate a far parte di importanti collezioni private e pubbliche.
The research carried out by Francesco Carone (Siena 1975) starts out from a personal reinterpretation of the universe that surrounds him through which he produces projects and works, but also books and objects. Founder and curator of the project TEMPOZULU, with which for many years he has invited artists and other figures from Italian and international culture to leave a permanent contribution on the paving stones of the streets of Siena. Creator of the project USB gallery, since 2012 he has been among the organisers of the artists’ residence project Made in Filandia. His works may be found in major private and public collections. 51
GIORNATA DEL CONTEMPORANEO GALLERIA CIVICA DI MODENA SABATO 11 OTTOBRE 2014
In occasione della X Giornata del Contemporaneo che l’AMACI (Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani) promuove ogni anno su scala nazionale proponendo un programma articolato e multiforme di mostre, laboratori, eventi e conferenze, alla Galleria civica di Modena sono in programma diverse iniziative.
On the occasion of the 10th Giornata del Contemporaneo that AMACI (the Association of Italian Contemporary Art Museums) promotes every year on a nationwide scale, offering a varied programme of exhibitions, workshops, events and conferences, various initiatives have been planned at the Galleria civica di Modena.
Si comincia alle 15.30 con una visita guidata ad ingresso libero e gratuito alla mostra “Michelangelo e il Novecento” condotta da Giovanna Maria Dell'Acqua, a seguire, alle 17.00 una visita guidata alla mostra “Jamie Reid. Ragged Kingdom” a cura dello staff dell’istituto. Per partecipare è sufficiente presentarsi presso le sedi espositive, qualche minuto prima dell’inizio. Alle ore 18.00, si terrà presso la Sala Conferenze della Biblioteca Delfini a Palazzo Santa Margherita una conversazione dal titolo “1905. Un anno che cambiò la visione del mondo” con Marco Pierini, direttore della Galleria civica di Modena e con il fisico Francesco Tampieri, docente all’Università di Bologna e ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
The day begins at 15.30pm with a guided tour (free of charge) to the exhibition “Michelangelo e il Novecento”, hosted by Giovanna Maria Dell'Acqua; at 17pm a guided tour to the exhibition “Jamie Reid. Ragged Kingdom” curated by the staff of the institution. Participants should gather at the bookshops, a few minutes before the start of the tour. Then, at 6pm, at Sala Conferenze of Biblioteca Delfini (Palazzo Santa Margherita), a talk will follow, entitled “1905. Un anno che cambiò la visione del mondo” featuring Marco Pierini, director of the Galleria Civica di Modena and the physicist Francesco Tampieri, professor at the University of Bologna and a researcher at the Consiglio Nazionale delle Ricerche.
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Finalmente sulla terraferma, i marinai si ubriacano all’osteria. Escono e vagano casualmente, non sappiamo dove ciascuno va a finire. La spiegazione del moto browniano (Einstein, 1905) ci insegna a prevedere come si sparpaglia nel tempo la ciurma (a patto che sia numerosa). Il plastico e’ stato realizzato da studenti del Liceo Laura Bassi di Bologna. On dry land at last, the sailors get drunk at the inn. When they come out, they wander randomly; we do not know where each of them will end up. The explanation of Brownian motion (Einstein, 1905) teaches us to foresee how the crew will scatter over time (supposing that the crew is fairly numerous). The model was produced by students of the Laura Bassi High School in Bologna.
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1905. UN ANNO CHE CAMBIÒ LA VISIONE DEL MONDO 1905. A YEAR THAT CHANGED OUR VISION OF THE WORLD
Marco Pierini e Francesco Tampieri
Se lo scorrere del tempo è come il flusso della sabbia in una clessidra, il 1905 fu – casualmente? – la strozzatura che raccolse tanto del passato nell’arte e nella scienza e diede avvio a una grande rivoluzione della visione del mondo. Eventi, mostre, pubblicazioni hanno preso vita nel corso di un anno magico che ha raccolto eredità del passato e allo stesso tempo ha lanciato un ponte verso il futuro. Il 1905 è stato un anno casualmente paradigmatico, ed è bello ripercorrerlo con leggerezza per cogliere un’atmosfera, una congiunzione astrale (direbbero alcuni), e magari lanciare qualche spunto per l’attualità. È ben noto come gli inizi del XX secolo siano stati densi di novità in tutti i campi dell’attività umana; sappiamo anche che eventi oggi ritenuti epocali, furono talvolta spostamenti minimi, altre volte proposte incomprese e quindi momentaneamente rimosse, altre ancora manifestazioni violentemente contestate. 54
If the passing of time is like the flow of sand in an hourglass, 1905 was – by chance? – the watershed moment that withheld so much of the past of art and science, and marked the start of a great worldwide visual revolution. Events, exhibitions and publications came into being over a magical year which brought together past heritage while at the same time carving paths towards the future. 1905 was a strangely paradigmatic year, and it is interesting to trace it with sufficient light-heartedness to grasp the atmosphere, the astral conjunction (as some might call it), and perhaps dwell on a few elements shedding light on the present day. It is well known that the start of the 20th century was full of novelties in all fields of human activity; we also know that events deemed age-changing today were often in fact minimal shifts, others were not understood and so momentarily removed, while yet others were violently contested. Indeed, it is well worthwhile focusing on five ele/ settembre 2014
Val la pena converare attorno a cinque spunti che attengono a mondi tradizionalmente lontani: la fondazione del gruppo Die Brücke a Dresda, la pubblicazione di tre articoli di Einstein sui quanti di luce, sul moto browniano e sulla relatività, la mostra dei Fauves al Salon d’Automne a Parigi. Fritz Bleyl, Erich Heckel, Ernst Ludwig Kirchner e Karl Schmidt-Rottluff volevano rovesciare le convenzioni dei pittori che li avevano preceduti, esprimere le loro emozioni con intensità nuova. Erano dei giovani ribelli che volevano costruire un ponte tra i grandi “espressionisti” del passato tedesco e il loro futuro. Fortemente pervasi da un’angoscia esistenziale che li poneva in conflitto con la società borghese e sembrava prefigurare la deriva della guerra, dettero vita a un “universo parallelo” deformato, straniante, inquieto, non meno ‘vero’ e autentico di quello che per convenzione chiamiamo “realtà”. Albert Einstein credeva, potremmo dire, in una consistenza interna delle leggi della natura, che lo spingeva a lavorare su ipotesi fortemente rivoluzionarie pur di salvaguardare la sua visione del mondo (e non si parla di storia della scienza, ma piuttosto della necessità di sistematizzare brandelli di conoscenza). Così la sua ipotesi euristica – tale la definì nel titolo dell’articolo che fornì la spiegazione dell’effetto fotoelettrico – della quantizzazione dell’energia della radiazione di corpo nero, era rivolta a dare una descrizione unitaria fisicamente ‘sound’ alle ipotesi empiriche e applicabili parzialmente che erano state avanzate per descrivere i risultati sperimentali. L’analisi del moto browniano e la formulazione di un’equazione stocastica per descrivere il comportamento collettivo
ments that are traditionally associated with distant spheres: the foundation of the Die Brücke group in Dresden; the publication of three articles by Einstein on light quanta, Brownian motion and relativity; and the exhibition held by the Fauves at the Salon d’Automne in Paris. Fritz Bleyl, Erich Heckel, Ernst Ludwig Kirchner and Karl Schmidt-Rottluff wanted to turn around the conventions of the painters that had come before them, and express their emotions with a renewed intensity. They were young rebels who wanted to build a bridge between the great German expressionists of the past and their own future. Heavily pervaded by a sense of existential angst which placed them in conflict with bourgeois society and seemed to preempt the insurgence of war, they gave life to a deformed, estranged, restless ‘parallel universe’, no less ‘real’ and authentic than that conventionally known as “reality”. We might say that Albert Einstein believed in an inner consistency among the laws of nature, one which drove him to work on hugely revolutionary hypotheses in order to safeguard his own vision of the world (and we’re not talking about the history of science here, but rather the need to put various shreds of knowledge in place). And so his heuristic hypothesis – defined as such in the title of the article that provided the explanation of the photoelectrical effect – on the quantisation of the energy radiated by a black body set out to give a single, physically sound description of the partially applicable empirical hypotheses which had been put forward to account for experimental results. His 55
di un insieme di oggetti – le particelle inanimate osservate da Brown più di mezzo secolo prima – possono essere lette come se la tensione verso la comprensione dei fenomeni complessi si debba arrestare di fronte a un limite invalicabile – l’impossibilità di conoscere ogni singolo dettaglio del moto – e tuttavia la mente umana può formulare nuovi schemi di lettura dei fenomeni e di previsione. Il superamento dei paradossi che sorgevano dall’applicazione delle leggi della elettrodinamica di Maxwell e Lorentz imponendo l’idea newtoniana di spazio e tempo assoluti lo portò a formulare la teoria della relatività, per garantire che anche per le onde elettromagnetiche valesse il principio di relatività che Galileo aveva visto per la meccanica classica. Henri Matisse e André Derain guidarono una pattuglia di artisti inebriati dalla luce e dal colore che ottenne la sala centrale del Salon d’Automne parigino il 15 ottobre del 1905. Il critico Louis Vauxcelles, notando una statua in marmo in mezzo a una sala tanto violenta, squillante, accecante, proruppe nel celebre giudizio: “un Donatello parmi les fauves”, attribuendo così – sebbene inconsapevolmente – il nome al gruppo. La visione delle ‘belve’ era meno drammatica e più mondana di quella dei colleghi tedeschi, dei quali condividono comunque vigore, energia e intento sovversivo, almeno in campo estetico.
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analysis of Brownian motion and the formulation of a stochastic equation to describe the collective behaviour of a group of objects – such as the inanimate particles observed by Brown more than half a century before – may be read as if the tension towards the understanding of complex phenomena had to come to a halt in the face of an unsurpassable limit – the impossibility of knowing in advance all the single details of such motion – yet the human mind may formulate new schema of interpretation and prediction. The resolution of the paradoxes that arose from the application of Maxwell and Lorentz’s laws of electrodynamics, imposing the Newtonian notion of absolute time and space, led him to formulate the theory of relativity, in order to guarantee that the principle of relativity that Galileo had laid out for classical mechanics might also hold true for electromagnetic waves. Henri Matisse and André Derain headed a group of artists inebriated by light and colour who were given the central room of the Salon d’Automne in Paris on 15th October 1905. The critic Louis Vauxcelles, noting a marble statue in the middle of such a stark, dazzling and garishly furbished chamber, burst out with the famous condemnation: “un Donatello parmi les fauves”, thus unwittingly attributing the name to the group. The vision of the ‘beasts’ was less dramatic and more mundane than that of their German colleagues, yet of whom they shared the same vigour, energy and subversive intent, at least in the aesthetic field. / settembre 2014
FOTOGIORNALISMO E REPORTAGE SPAZIO MULTIMEDIALE SAN FRANCESCO CIVITANOVA MARCHE, 9 OTTOBRE-2 NOVEMBRE 2014
Dopo il grande successo di pubblico a Palazzo Santa Margherita, la mostra “Fotogiornalismo e reportage. Immagini dalla Collezione della Galleria civica di Modena”, a cura di Silvia Ferrari, trova una seconda occasione espositiva.
Following the great public success of “Fotogiornalismo e reportage. Immagini dalla Collezione della Galleria Civica di Modena”, held at Palazzo Santa Margherita and curated by Silvia Ferrari, the exhibition will now be given a second showing.
Le oltre cento immagini realizzate da molti degli autori che hanno fatto la storia della fotografia di reportage a livello mondiale, come Weegee, Henri Cartier-Bresson, Tim N. Gidal, Robert Capa, Werner Bischof, William Klein e, per stare sul territorio italiano, Caio Mario Garrubba, Mario De Biasi, Gianni Berengo Gardin e Ferdinando Scianna, verranno esposte presso lo Spazio Multimediale San Francesco di Civitanova Marche, dal 9 ottobre al 2 novembre 2014, in occasione di Cartacanta festival.
The more than 100 images produced by many of the artists who have made the history of reportage photography on a world level, like Weegee, Henri Cartier-Bresson, Tim N. Gidal, Robert Capa, Werner Bischof, William Klein and, in Italy, Caio Mario Garrubba, Mario De Biasi, Gianni Berengo Gardin and Ferdinando Scianna, will be on display at the Spazio Multimediale San Francesco in Civitanova Marche, from 9 October to 2 November 2014, as part of the Cartacanta festival.
Info: Associazione Cartacanta www.cartacanta.it 57
SEGNO FORMA GESTO PINACOTECA COMUNALE DI CITTÀ DI CASTELLO 23 AGOSTO-16 NOVEMBRE 2014
Tra la fine degli anni Quaranta e i primi del Sessanta, in pieno clima informale, Carla Accardi, Afro, Vasco Bendini, Annibale Biglione, Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi, Mino Ceretti, Piero Dorazio, Lucio Fontana, Pinot Gallizio, Bice Lazzari, Leoncillo, Mario Nanni, Gastone Novelli, Cesare Peverelli, Concetto Pozzati, Bepi Romagnoni, Antonio Sanfilippo, Emilio Scanavino, Tancredi, Claudio Verna, Giuseppe Zigaina sono stati tra i protagonisti di un’articolata e multiforme avventura intellettuale, le cui tracce permangono ancora vive e nette nelle fragili carte custodite dalla Galleria civica di Modena, con i loro segni d’uso, le pieghe, le piccole macchie che ne raccontano la storia, il loro passaggio – tuttora in corso – nel tempo. Queste testimonianze artistiche sono ben visibili all’interno della mostra “SEGNO FORMA GESTO allestita fino al 16 novembre presso la Pinacoteca Comunale di Città di Castello e curata dal direttore della Galleria civica di Modena Marco Pierini, con il supporto tecnico e operativo di Atlante Servizi Culturali, in collaborazione con la Fondazione Burri e il sostegno 58
From the late forties to the early sixties, in the area of Informal Art, Carla Accardi, Afro, Vasco Bendini, Annibale Biglione, Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi, Mino Ceretti, Piero Dorazio, Lucio Fontana, Pinot Gallizio, Bice Lazzari, Leoncillo, Mario Nanni, Gastone Novelli, Cesare Peverelli, Concetto Pozzati, Bepi Romagnoni, Antonio Sanfilippo, Emilio Scanavino, Tancredi, Claudio Verna and Giuseppe Zigaina were among the protagonists of a various, intellectual adventure. Traces of this can clearly be seen on the precious sheets held in the Galleria Civica di Modena’s own Collection. The folds, marks and the general wear and tear all contribute to a story that is being told to this day. These artistic testimonies may now be seen in the exhibition “SEGNO FORMA GESTO”, on display until 16th November at the Pinoteca Comunale (Town Picture Gallery) of Città di Castello, curated by the director fo the Galleria Civica di Modena, Marco Pierini, with technical and operational support from Atlante Servizi Culturali, in collaboration with the Burri Foundation and the support of Città di Castello Town Coun/ settembre 2014
del Comune di Città di Castello e l’Associazione Palazzo Vitelli a S. Egidio. Oltre settanta le opere esposte per ripercorrere il particolare rinnovamento artistico e culturale che si è diffuso in Paesi e continenti diversi intorno anni ’50 e ’60.
cil, as well as the Palazzo Vitelli Association at St. Egidio. Through more than 70 works, the exhibition traces the great artistic and cultural renewal process which took place in various different countries and continents throughout the ’50s and ’60s.
Info: Pinacoteca Comunale Città di Castello www.atlantecooperativa.it
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MICHELANGELO E IL NOVECENTO MICHELANGELO AND THE 20TH CENTURY
Alla Palazzina dei Giardini prosegue fino al 19 ottobre la mostra “Michelangelo e il Novecento”, curata da Emanuela Ferretti, Marco Pierini e Pietro Ruschi, promossa dalla Fondazione Casa Buonarroti di Firenze e dalla Galleria civica di Modena, in occasione del 450° anniversario della morte di Michelangelo. Oltre 7 mila visitatori hanno potuto osservare, nella sede modenese, le opere di Aurelio Amendola, Michelangelo Antonioni, Gabriele Basilico, Jan Fabre, Kendell Geers, Yves Klein, Robert Mapplethorpe, Ico Parisi, Thomas Struth, insieme a due disegni del maestro rinascimentale. Michelangelo e il Novecento Palazzina dei Giardini corso Canalgrande aperture straordinarie in occasione del festivalfilosofia venerdì 12 settembre 9.00-23.00 sabato 13 settembre 9.00-1.00 domenica 14 settembre 9.00-21.00 dal 17 settembre al 19 ottobre mer-ven 10.30-13.00, 16.00-19.30 sab,dom e festivi 10.30-19.30 ingresso gratuito 60
At the Palazzina dei Giardini, the exhibition ‘Michelangelo e il Novecento’ will continue until 19th October. Curated by Emanuela Ferretti, Marco Pierini and Pietro Ruschi, promoted by the Fondazione Casa Buonarroti of Florence in a partnership with the Galleria Civica di Modena, the exhibition marks the 450th anniversary of the death of Michelangelo. More than seven thousand visitors have already come to the Modenese venue to see the works of Aurelio Amendola, Michelangelo Antonioni, Gabriele Basilico, Jan Fabre, Kendell Geers, Yves Klein, Robert Mapplethorpe, Ico Parisi and Thomas Struth, along with two drawings by the Renaissance master himself.
visite guidate gratuite, senza prenotazione condotte da Giovanna Maria Dell'Acqua nei sabati 20 e 27 settembre ore 11.30 e 15.00 11 ottobre ore 15.30 18 ottobre 11.30 e 15.00 / settembre 2014
GASP! LE STRIP DI CIVICO 103 A CURA DI / CURATED BY STEFANO ASCARI E / AND COMICOM.IT
La cosa che sente più stupidaggini al mondo è molto probabilmente un quadro in un museo (Edmond de Goncourt)
The thing that has to listen to the most nonsense in the world in very probably a picture in a museum (Edmond de Goncourt)
IN QUESTO NUMERO
IN THIS ISSUE
Andrea Riccadonna nasce a Torino il 1 maggio 1975. Allievo di Gabriele Maschietti e Cinzia Ghigliano si afferma inizialmente come d illustratore di pubblicazioni scientifiche e libri scolastici. Dal 2005 collabora con editori nazionali e internazionali realizzando diverse graphic novel ("David" e "Shutter Island" per Edizioni BD, "I vespri siciliani" e "Rigoletto" per la Fondazione Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena). Nel 2010 realizza il character design e numerosi episodi per "Mytico!” l’inserto settimanale a fumetti del Corriere della Sera e dal 2012 inizia la sua collaborazione con Sergio Bonelli Editore.
Andrea Riccadonna, born in Turin on 1st May 1975. A student of Gabriele Maschietti and Cinzia Ghigliano, he initially made a name for himself as an illustrator for scientific publications and school books. Since 2005 he has collaborated with national and international publishers, producing a range of graphic novels (‘David’ and ‘Shutter Island’ for Edizioni BD, ‘I vespri siciliani’ and ‘Rigoletto’ for the Fondazione Teatro Comunale Luciano Pavarotti in Modena). In 2010 he managed the character design as well as numerous episodes for ‘Mytico!’ the weeking cartoon-strip supplement of the newspaper Il Corriere della Sera, and since 2012 he has also collaborated with the publisher Sergio Bonelli Editore.
www.andreariccadonna.it
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numero / number 13 anno / Year IV settembre / September 2014 free magazine della Galleria civica di Modena registrazione del Tribunale di Modena n. 2017 del 24.11.2010 direttore responsabile / editor in chief Marco Pierini progetto grafico / graphic design Greco Fieni traduzioni / translations Bennett Bazalgette-Staples ufficio stampa esterno / off-site press office CLP Relazioni Pubbliche, Milano
Galleria civica di Modena direttore / director Marco Pierini coordinamento generale / executive manager Gabriella Roganti curatori / curators Daniele De Luigi, Serena Goldoni
hanno collaborato a questo numero / in collaboration with Daniele De Luigi, Serena Goldoni, Enzo Mansueto, John Marchant, Cristiana Minelli, Francesca Mora, Marco Pierini, Jamie Reid, Andrea Riccadonna, Gabriella Roganti, Francesco Tampieri
responsabile allestimenti / exhibition design manager Fausto Ferri
crediti fotografici / photo credits Giada Antoniani (p. 48), Francesca Mora (p. 61, 62), Declan O’Neill (p. 26, 37, 44)
ufficio stampa / press office Cristiana Minelli
Strip a cura di pre-press e stampa / printed by Eurotipo, Verona si ringraziano / thanks to Larry Bolognesi, Michelina Borsari, Paul Croucher, Giovanna Maria Dell’Acqua, Silvia Ferrari, Gabriele Frasca, Maurizio Guidoni, Enzo Mansueto, John Marchant, Vincenzo Pezzitola, Andrea Riccadonna, Francesco Tampieri, Tric&Trac
amministrazione / administration Raffaella Bulgarelli
archivio fotografico e documentazione / photo archive and records Francesca Mora segreteria generale / general secretary Daniela Rinaldi segreteria / secretary Oletta Tarabusi allestimenti / exhibition design Giuseppe De Bartolo, Daniele Diracca Matteo Orlandi
la mostra Jamie Reid Ragged Kingdom è realizzata in collaborazione con: con la partecipazione di
Galleria civica di Modena con il sostegno di
© 2014 Galleria civica di Modena © gli autori per i testi © gli artisti e i fotografi per le immagini L’editore è a disposizione degli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare cover: Jamie Reid, Untitled (Torn Press Shot), 1979 Jamie Reid copyright Sex Pistols Residuals
corso Canalgrande 103 41121 Modena ITALIA tel. +39 059 2032911 fax +39 059 2032932 www.galleriacivicadimodena.it galcivmo@comune.modena.it
museo associato AMACI www.amaci.org
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