Abitanti Ambienti Visioni del rapporto tra corpo e spazio. Il proprio corpo, quello degli altri, corpi modificati. Relazioni. La casa, la cittĂ , habitat astratti. E gesti quotidiani, privati, rappresentati.
DANIELA DE LORENZO Geotropico, 2007 due video proiezioni, sonoro, 2’ 10”, 1’ 20” loop azione: Ramona Caia montaggio: Angelo Teardo girato ai Cantieri Goldonetta, Firenze Nella doppia proiezione, una danzatrice compie semplici azioni. Un movimento del corpo piegato in avanti, l’una. Un ergersi da terra e una caduta, l’altra. Il montaggio a rovescio della ripresa manuale genera una sorta di scarto interno al gesto, l’artista la chiama ‘contrattura’, misterioso e spiazzante. In Agile, la sua più recente personale (2005), la forma erano sparizioni, svanimenti, corpi sospesi senza corpo. Ora, l’esile corpo della danzatrice appare pesante e il ruotare su se stessa, mani a terra, o l’alzarsi, sono come trattenuti, affaticati nell’azione rallentata. Condizione ineludibile, il suo è un accrescere geotropico al modo degli organi vegetali che hanno la proprietà di orientarsi in una direzione corrispondente o contraria a quella della forza di gravità, volti verso il centro della terra come le radici, o in senso opposto come i fusti. La scena è un interno che si intuisce ampio, vuoto e silente, le pareti dipinte con illusionistiche cornici architettoniche. E quello spazio scarno ed essenziale, elegante e privo di magnificenza, serra l’azione incessantemente ripetuta in una visione schiacciata nella quale la prospettiva risulta appiattita, pittorica, a sottrarre essenza volumetrica alla forma. Tale visione dalla quale è bandito ogni orpello emotivo è scandita dal rumore provocato dall’azione stessa, qui rielaborato e amplificato fino a diventare suono continuo, plumbeo, carico. Daniela De Lorenzo (Firenze 1959) vive e lavora a Firenze. Agile, la sua ultima personale, si è tenuta nel 2005 presso la Galleria Nicola Fornello di Prato. Nello stesso anno ha partecipato a No code a cura di Cecilia Casorati (Slovak National Gallery, Bratislava), The gesture a cura di Sergio Risaliti, Marina Fokidis e Dafne Vitali (Quarter Centro produzione arte, Firenze), Donna, donne a cura di Adelina von Furstemberg (Palazzo Strozzi, Firenze), Nuove opere in collezione (Centro per l’Arte Contemporanea L. Pecci, Prato). Nel 2006 ha partecipato a Are you sensitive? a cura di Daria Filardo (Museo Marino Marini, Firenze), Cosa vedi, Alberto (D’A Spazio d’arte, Empoli), Nature and metamorphosis a cura di Marisa Vescovo (Urban Planning Exhibition Center, Shanghai / Beijing, L’immagine del vuoto. Una linea di ricerca nell’arte in Italia 1958/2006 a cura di Marco Franciolli e Bettina Della Casa (Museo Cantonale d’arte, Lugano).
ZOÈ GRUNI Copricorpo, 2007 trittico stampe lambda su alluminio La prima volta che ho incontrato Zoè Gruni, indossava uno strano copricapo-abito-scultura da lei cucito in tela di juta che la copriva fino a terra. Ha iniziato a girare su se stessa come in una danza sufi, e nel vortice le pesanti strisce di tessuto divenute improvvisamente leggere si sono allungate in un’ampia raggiera che catturava la velocità del movimento. Da allora Zoè ha continuato ad utilizzare la juta delle balle da trasporto nel suo lavoro realizzando prima complessi copricapo fatti da tutto un insieme di fantasiose forme, trecce, punte, ali, code che dipartono dalla testa quali prolungamenti del corpo nello spazio. Poi realizzando sculture a misura del suo corpo, gusci, involucri, che diventano in alcuni casi complessi attrezzi semoventi a forma antropomorfa, indossati e agiti sia in alcune performance sia in teatro per il quale sono divenuti l’elemento drammaturgico principale di uno spettacolo concepito dal regista e musicista Piero Corso di prossimo debutto. “Sono una donna e come una balla sono contenitore”, dice l’artista. Sta qui la ragione per la quale ha scelto quel materiale ruvido, maleodorante, ingrato a lavorarsi con le mani, che porta su di sé i segni di una vita nomade e di usi promiscui, passato di mano in mano in porti e stazioni ferroviarie. I lavori fotografici oggi presentati hanno come soggetto tre recenti Copricorpo nei quali la figura femminile viene quasi del tutto inglobata, come risucchiata, trasformata in essere primordiale, animalesco, esplicito, impudico alla luce fredda di un paesaggio immoto e senza tempo. Zoè Gruni (Pistoia 1982) vive e lavora a Pistoia. Nel 2006, si laurea con una tesi su Carol Rama all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nello stesso anno apre nella sua città insieme a Cristiano Coppi e Andrea Lunari lo spazio di arte contemporanea Studio 8. Ha partecipato nel 2006 al ciclo di incontri Confidenze dell’arte a cura del Centro di Documentazione arte moderna e contemporanea pistoiese, e a Liberolibrodartistalibero 3 (Museo archeologico statale, Spoleto). Nel 2005 ha partecipato a Rotte metropolitane a cura di Lorenzo Bruni (S.E.S.V., Firenze), Aqve (Giardino delle Terme, San Giuliano Terme), Artinformazione2news (Castello di Malgrate, Villa Franca), Humus. Gianna Scoino e Zoè Gruni (Cella d’arte di Villa Picchi Sermolli, Baggiano Castello). Nel 2004 a Fucine Tillanza (Area Ex Breda, Pistoia) e a In visita. Giovani artisti a Pistoia a cura di Silvia Lucchesi (Palazzo del Balì, Pistoia).
KINKALERI WEST Video-stills, 2007 stampe lambda su plexiglas Il nuovo lavoro fotografico di Kinkaleri, qui presentato per la prima volta, è formato da stills tratti dai primi otto video del progetto WEST. Work in progress iniziato nel 2002 e che si concluderà nel 2007, WEST è un percorso di considerazione dell’Occidente attraverso le ‘spoglie’ di un atto ripetuto davanti ad una videocamera: anonimi abitanti vengono filmati in contesti urbani mentre cadono ‘come morti’. I set sono le strade e le piazze di dodici città scelte come icone della cultura occidentale, dove ‘occidentale’ più che nell’accezione geografica è da intendersi quale modello economico-antropologico dominante, e comprendono ad oggi le riprese realizzate a Parigi, Roma, Amsterdam, Atene, Berlino, Bruxelles, Vienna, Londra, alle quali nel novembre 2006 si è aggiunta la più recente Pechino. L’anonimo abitante ha interrotto il proprio percorso, la propria occupazione, ha guardato nell’obbiettivo della telecamera e, infine, senza alcuna interpretazione o melodramma si è lasciato ‘cadere’ con la propria consapevolezza di farlo in un gesto che dall’infanzia non ha potuto più compiere se non protetto dalla rappresentazione. Dell’azione della caduta, la silenziosa serie di immagini ferme dei video-stills inquadra il corpo steso a terra, ovvero il momento estremo di questa costruzione rappresentata di tanti atti del morire. La città resta lì: si dichiara unica e multipla, se stessa e tante altre città e sciogliendo le differenze l’Occidente si sforza di riconoscersi ovunque nell’ordine. WEST/Realizzazioni WEST Beijing, nov. 2006: in collaborazione con IIC Pechino – Set Pechino WEST London, feb. 2006: coproduzione RED ReggioEmiliaDanza 2006 – Set Londra WEST Bruxelles, giu. 2005: in collaborazione con Kaaitheater Brussels, XING / con il contributo del Comune di Firenze – Set Bruxelles WEST Berlin, apr. 2005: in collaborazione con Hebbel-Am-Ufer, ETI, XING – Set Berlino WEST Athina, sett. 2004: coproduzione VideoDance – Thessaloniki International Film Festival / in collaborazione con XING – Set Atene WEST Wien, sett. 2004: coproduzione TanzQuartier Wien / in collaborazione con XING – Set Vienna WEST Amsterdam, nov. 2003: coproduzione C-ARTE Centro per l’arte contemporanea L. Pecci / in collaborazione con XING – Set Amsterdam WEST Roma, sett. 2003: coproduzione FESTIVAL ENZIMI 2003 / in collaborazione con XING – Set Roma WEST Paris, dic. 2002: coproduzione BATOFAR, XING – Set Parigi Kinkaleri nasce nel 1995 a Firenze. Dal gennaio 2001 ha trasferito l’attività nello Spazio-K a Prato. Gruppo di teatrodanza fra i più apprezzati della scena sperimentale internazionale, ha ricevuto nel 2002 il premio UBU. L’andamento produttivo del gruppo si è sviluppato attraverso itinerari diversificati: spettacoli, performance, installazioni, produzioni video, sonorizzazioni, allestimenti, creazioni d’immagine, pubblicazioni. Tra le loro più recenti performance e installazioni: “Uh!” performance, Netmage 07, Palazzo Re Enzo, Bologna (2007); “STADIUM” video istallazione, Figura N° F.I.S.C.o. 6° Festival, GAM Galleria d’arte Moderna, Bologna (2006); “rthqk” installazione, Exhibition Arteast Collection 2000+23, Moderna Galerija, Ljubljana, Slovenia (2006); “Figaro” performance, L’esperienza della Cina: Arte Contemporanea in movimento, Centro Pecci, Prato (2006); “STADIUM” performance, DomusCircular, San Siro Stadio G. Meazza, Milano (2005). www.kinkaleri.it
RAFFAELE LUONGO Io, papà e gli amici del bar Charlie, 2003 video, muto, 17’
La sostanza di tutte le cose, 2007 legno, cartoncino per acquerello, sangue Raffaele e l’autoritratto senza residui, 2007 cartoncino per acquerello, sangue Tra gli scritti (non pubblicati) di Raffaele Luongo ce n’è uno, soprattutto, intimo e sintonico con lo spirito segreto del suo lavoro d’artista silenzioso e appartato. Sono icastiche memorie fermate sulla pagina attraverso lo sguardo di bambino in una scansione temporale che parte dall’infanzia. Gli accade all’età di 6 anni che qualcuno gli regali dei libri a fumetti. Lui ne ricopia i disegni, l’interno di una fabbrica di biscotti, il percorso di un ruscello con un mulino. Andando l’estate nella casa dei nonni, gli accade all’età di 7 anni di notare che essa è piccola, povera e che odori di campagna. Al lato del camino c’è una riproduzione incorniciata di un ritratto di giovinetta. A 10 anni gli accade di trovare ai giardini pubblici delle pagine di una rivista pornografica. In un misto di paura e eccitazione sotterra quei fogli. Poi, quando può, li dissotterra e li guarda velocemente respirando l’odore di carta e terreno umidi. A 13 anni non gli piace studiare. Legge fumetti. Gli accade però di perdersi nelle illustrazioni di un libro di antologia con tre profili di uomini che ridono allungando smisuratamente le bocche. Tutto il lavoro di Raffaele è un unico autoritratto. Una rappresentazione di sé che, in una società che ostenta forza e sicurezza, non esita a riconoscere le proprie debolezze. Manifestando la propria dimessa umanità, l’artista respinge ogni velleità statutaria. Per questo disegna con il proprio sangue sempre e incessantemente la sua storia, e i soggetti appartengono al suo mondo di memorie, sono immagini e episodi della sua vita spesso resi attraverso la forma della vignetta e del fumetto. Il suo corpo diviene così una configurazione di superficie. “Disegno le immagini che mi hanno formato. Sono giunture che fanno coesistere i miei diversi tempi formando un organismo unico”, dice. Usando il sangue quale elemento residuale, l’evocazione del passato si lega all’autore in modo carnale. Esso infatti una volta esposto alla luce coagula immediatamente, bloccando i ricordi e conservandone la memoria. I suoi disegni sono talvolta calati in installazioni dall’atmosfera ludica e infantile, un po’ malinconica e delicatamente ironica. Anche il materiale scelto a raccogliere la traccia del suo corpo, cartoncino bianco satinato o da acquerello, è umile. Raffaele Luongo (Caracas 1966) vive e lavora tra Napoli e Firenze. Baruffa in galleria, inaugurata a dicembre 2006 alla galleria Alfonso Artiaco di Napoli, è la sua prima personale. Nello stesso anno ha partecipato a Innesti doc/Tuscia Electa a cura di Lisa Marrani e Desdemona Ventroni (Limonaia di Panzano, Panzano).
Per l’immagine Raffaele e l’autoritratto senza residui, 2004, courtesy Alfonso Artiaco, Napoli
FRANCO MENICAGLI A modo mio, 2005 video, sonoro, 4’51” loop
Senza titolo, 2007 cartoncino, colla a caldo Riflessione su una collezione di ninnoli in era tecnologica. Sono strani esseri in ceramica e in carta di piccole dimensioni dalle sembianze animali e vegetali, si direbbero geneticamente modificati. Ci sono un rinoceronte con una testa di uccello al posto della coda, un cavallo con delle ali a cui sono attaccati dei missili, un sommergibile con zampe di rettile, un carroarmato e un aereo con ali di uccello, un elefante bifronte. E ci sono delle piantine all’apparenza normali. Ma a guardar bene le foglie non sono uguali fra di loro, da una stessa pianta vengon fuori escrescenze diverse, presentano malformazioni. Come fragili e immacolati oggetti di una improbabile raccolta fanno bella mostra di sé appoggiati in fila su delle mensole, conservati, catalogati quali rarità. Nel video, le mani guantate di bianco li puliscono con cura e attenzione passando da uno all’altro e ripentendo maniacalmente lo stesso gesto. La voce inconfondibile di Frank Sinatra canta My Way. Sia gli uni che le altre sembrano il frutto di esperimenti, abitanti di un mondo ribaltato in cui la tecnologia, segno massimo del progresso dell’uomo, è impazzita. È così che nascono questi ibridi che evocano l’industria militare e la biogenetica. L’artista osserva e propone la propria critica visione non priva di ironia. Franco Menicagli (Campiglia Marittima 1968) vive e lavora a Firenze. Ginnasio Project Window, la sua ultima personale curata da Maurizio Coccia e Mara Predicatori, si è tenuta nel 2006 al Trevi Flash Art Museum (Trevi). Nello stesso anno ha partecipato a Cantieri d’Arte a cura di Marco Trulli (Cortile del Palazzo di Donna Olimpia, Viterbo), Il giardino immaginato a cura di Bruno Corà (Palazzo di San Clemente, Firenze), Godart 06 a cura di Enzo De Leonibus (Museo Laboratorio, Città Sant’Angelo), Officina Umbra a cura di Maurizio Coccia e Matilde Martinetti (Trevi Flash Art Museum). Nel 2005 ha partecipato a In Luogo (installation site specific) a cura di Angelo Bianco (Fondazione Southeritage, Matera), La mossa delle idee. Videodays 2 a cura di Fiammetta Strigoli. (Sala Santa Rita, Roma), Senza lavoro, lavoro senza a cura di Angelo Capasso in collaborazione con Galleria Nicola Ricci, Pietrasanta (ex Ospedale di San Giacomo, Carrara), Contemporary Ceramic Art a cura di Betta Frigeri (Castello di Spezzano, Modena), Corto Circuito a cura di Nicola Ricci (Galleria Nicola Ricci, Pietrasanta).
VIRGILIO SIENI Family/Bratto Ballet, 2006
due video proiezioni, muto, 5’ 37’’ loop con: Anna Covati Bratto, Cecilia Bratto, Chiara Bratto, Marialuce Bratto, Matteo Bratto, Patrizia Salvestrini Bratto, Tommaso Bratto, Gianluca Cinci, Elisa Montanelli, Marta Montanelli, Roberto Montanelli riprese video e foto: Luca Ballini produzione: Comune di Siena Assessorato alla Cultura, Compagnia Virgilio Sieni, in collaborazione con Palazzo delle Papesse Centro Arte Contemporanea
Il dittico Bratto Ballet è una delle tre videoinstallazioni (comprende inoltre i trittici Madre-Figlio e Gemma) realizzate da Virgilio Sieni nell’ambito di Family, progetto di residenza della Compagnia svoltosi a Siena nel 2006 (oltre alle opere video anche laboratori, eventi performativi e manifesti). Realizzati grazie all’incontro con quattro famiglie senesi e ad un lavoro di studio e produzione durato tre mesi, i video indagano il tema della famiglia attraverso visioni simultanee, sorta di finestre iconografiche in cui il lento fluire delle immagini apre lo sguardo sul contesto domestico. Nella famiglia intesa quale elemento rituale, il mistero dell’interiorità è lezione di convivenza. I suoi membri, bambini, adulti, anziani, legati da gradi diversi di parentela, affrontano uno studio coreografico e figurativo centrato sul rispetto della naturalità del gesto rivolto a un approccio conoscitivo, antropologico ed etico dei vissuti quotidiani e della loro trasfigurazione. Il set sono gli spazi domestici ripercorsi e agiti dalle persone stesse che li vivono abitualmente attraverso precise coreografie che lasciano emergere il senso enigmatico delle relazioni spaziali, le attitudini posturali, il senso quotidiano e ineffabile di brevi cerimonie gestuali. Virgilio Sieni si forma nella danza tra Amsterdam, New York e Tokyo, accanto a studi di arte e architettura. Nell’83 fonda il gruppo Parco Butterfly e nel ’92 la Compagnia Virgilio Sieni Danza, con la quale svolge un intenso e originale lavoro di ricerca coreografica e scenica anche in collaborazione con artisti visivi, musicisti e compositori. Nel 2000 gli viene assegnato il premio Ubu per la ricerca pluriennale intorno alla fiaba; nel 2004 riceve il secondo Ubu per lo spettacolo Empty Space-requiem. Oltre al lavoro con la compagnia, realizza progetti che vanno dalla performance, all’installazione, a lavori fotografici e di arte visiva, alla produzione video, tesi ad esplorare formati originali delle opere e modalità inedite di produzione e fruizione. Insieme al Comune di Firenze ha curato il recupero e l’ideazione di CANGO- Cantieri Goldonetta Firenze, di cui è direttore artistico dal 2003: un centro di concezione innovativa dedicato alla sperimentazione sulla danza, alle discipline legate al corpo e ai linguaggi contemporanei dell’arte. Tra le sue produzioni recenti sono Un respiro (2006), Mi difenderò> five dreams (2006), Mi difenderò (2005), Osso (2005), Visitazione Mother Rhythm (2005). www.sienidanza.it www.cango.fi.it