l’arte è una parola GALLERIA IL PONTE FIRENZE 12 dicembre 2009 – 26 marzo 2010 Vincenzo Agnetti (Milano, 1926 – Milano, 1981) Vincenzo Agnetti nasce a Milano il 14 settembre 1926. Diplomatosi all’Accademia di Brera, nei primi anni Cinquanta esordisce nell’ambito della pittura informale, ma ben presto capisce che tutti i codici di comunicazione, pittura compresa, risultano falsificanti di fronte al fluire libero del pensiero. Per sottrarsi ai vincoli di qualsiasi linguaggio, cessa di produrre arte privilegiando l’attività teorica: dà così avvio ad un periodo che egli stesso definirà “liquidazionismo” o “arte-no”. Negli stessi anni si avvicina a Piero Manzoni e agli altri membri del gruppo Azimuth con cui collabora all’omonima rivista. A partire dalla pubblicazione dell’ “antiromanzo” Obsoleto (1967), non credendo più alla possibilità di esprimersi attraverso la pittura, né per mezzo di altre forme d’arte già codificate, avvia un lavoro di matrice concettuale, in cui la pratica artistica viene concepita come pura analisi dei concetti che mira a sovvertire e decostruire i parametri del linguaggio. Dopo aver tenuto nel 1967 la prima personale, Principia, a Palazzo Diamanti di Ferrara, affronta il tema dell’assenza e il valore della memoria ne i Libri dimenticati a memoria (1968): volumi dalle cui pagine ritaglia le parti stampate lasciando intatta solamente la cornice bianca. Nel 1970 realizza un film sperimentale con Gianni Colombo e si dedica a sperimentazioni sulla scrittura: si ricordano, Utopia (1971), Tesi (1972) e gli Istanti-lavoro, ispirati alla ricerca sviluppata dal gruppo Art & Language. Dopo aver partecipato nel 1972 alla Quadriennale di Roma e a Documenta 5 di Kassel, espone alla Biennale di San Paolo del Brasile, allestisce un'antologica alla Pinacoteca Nazionale di Bari ed è invitato alla Biennale di Venezia (dove tornerà nel 1976, nel 1978 e nel 1980). Nel 1975 è presente a Arte video e Multivision a cura di Tommaso Trini alla Rotonda della Besana di Milano e tre anni dopo partecipa alla seconda settimana internazionale della 'Performance’ a cura di Renato Barilli presso la Galleria d'arte moderna di Bologna. Nel 1981 espone al Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano e nello stesso anno scrive il suo ultimo lavoro di poesia, Lucernario. La morte improvvisa, il 2 settembre del 1981, lo coglie ancora nel pieno della sua attività.
Assioma, 1973 Bachelite, 80x80 cm Firmato e datato sul retro Provenienza: Daniela Palazzoni, Milano Esposizioni: “Exempla”, Pinacoteca Civica, Teramo, a cura di B. Corà, 2002 Bibliografia: Cat. “Exempla”, 2002
Senza titolo, 1973 Inchiostro a tampone su carta, 76x56 cm Firmato e datato 1973 Provenienza: L’uomo e L’arte S.P.A. Centro d’arte contemporanea e primitiva, Milano Esposizioni: Galleria Milano, Milano 1978
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Art & Language Art & Language è il nome di un gruppo fondato nel 1967-1968 nel Regno Unito dagli artisti Terry Atkinson (n. 1939) e Michael Baldwin (n. 1945), artisti che si erano conosciuti ancira studenti al Coverty College of Art nel 1966. Il nome Art & Language deriva dal periodico Art-Language, pubblicato dal 1969 al 1976. Nel 1970 si uniscono al gruppo Charles Harrison e Mel Ramsden e tra il 1968 e il 1982 aderiscono a tale ricerca circa 40 artisti tra i quali Ian Burn, Michael Corris, Preston Heller, Howard Graham, Joseph Kosuth, Andrew Menard, Terry Smith e da Coventry Philip Pilkington e David Rushton. La storia del gruppo può essere distinta in tre fasi diverse: fino al 1972 (anno della presentazione a Documenta V di Index 001), periodo i cui gli artisti si concentrano intorno all’omonima rivista; dal 1972 al 1977, anni in cui il gruppo si scinde tra New York e Regno Unito e ruota intorno alla rivista The Fox, la cui pubblicazione viene interrotta nel 1976; dopo il 1977, quando il gruppo newyorkese inizia a frammentarsi fino a ridursi, verso la fine degli anni Settanta, a Baldwin, Harrison e Ramsden. Art & Language fino alla metà degli anni Settanta si pone l’obiettivo di demistificare, attraverso analisi e studi, l’arte in senso tradizionale.Per questo, svolge una profonda riflessione sul linguaggio e sullo statuto dell’arte come linguaggio. Dalla fine degli anni Settanta, invece rivolge la sua attenzione alla pittura esplorando anche con ironia generi e convenzioni diverse e si addentra in riflessioni politico-ideologiche e in un’analisi critica del rapporto artista-pubblica, potere-rappresentazione. Ben presto, molti membri abbandoneranno il gruppo per intraprendere attività politicamente più attiviste. I rimanenti, nel 1986 vengono nominati per il Turner Prize e nel 1999 partecipano a PS1 al MoMA di New York con una grande installazione intitolata The Artist Out of Work. Oggi il gruppo continua a lavorare a Middleton Cheney, nello Oxfordshire. Warm Cool, 1967 24 pagg. dattiloscritte + 1 bianca 25x19,5 cm cad Firmato e datato sul verso della pagina bianca Terry Atkinson 1967, M. Baldwin Provenienza: Daniel Templon Milano
Robert Barry (New York, 1936) Rober Barry nasce il 9 marzo 1936 a New York. Fino al 1967, si dedica alla pittura inserendosi nella tendenza al riduzionismo allora diffusa. Molti dei lavori di questo periodo consistono in quattro tele quadrate, di piccolo formato, monocrome e disposte a distanze regolari così da costituire un quadrato più ampio in cui le parti di parete vuota tra le quattro tele divengono parti integranti dell’opere, anzi, quelle su cui l’osservatore è chiamato a concentrarsi con più attenzione. Nel 1967 abbandona la pittura per realizzare installazioni, performances utilizzando fili di nylon e materiali impercettibili alla vista (Inert Gas Series, Radiation Pieces) inserendosi così nel processo di dematerializzazione dell’arte in corso in quel periodo. Nel 1968- 69 inizia a riflettere sul linguaggio: a Prospect 69, presso la Kunsthalle di Düsseldorf, l’opera da lui presentata consiste in un’intervista pubblicata nel catalogo della mostra e nello stesso anno affigge sulla porta della galleria Art Project di Amsterdam, dove si sarebbe svolta una sua personale, un piccolo avviso con la scritta "Per il periodo della mostra la galleria sarà chiusa". L'artista dunque vuole che il pubblico sviluppi il significato e la forma dell’opera che viene privata della sua concretezza per divenire completamente un fato mentale, concettuale appunto. Riducendo al massimo l'ingombro fisico dell’opera d’arte, vengono così posti in evidenza i processi mentali che stanno a monte della sua creazione. Nel 1971 realizza 29 Pieces as of June 7 1971 in cui emergono chiaramente le questioni che stanno alla base del lavoro dell’artista tra cui quella di che cosa sia e dove sia l’opera d’arte. Robert Barry assieme a Lawrence Wiener, Joseph Kosuth, Douglas Huebler e Sol Lewitt partecipa alle prime mostre e alle pubblicazioni curate da Seith Siegelaub, tra cui il Xerox Book che rimane ancora oggi il vero “manifesto” dell'arte concettuale.
Replaced, useless, 1990 Tecnica mista su carta, 37x37 cm Provenienza: Galleria Massimo Minini, Brescia Esposizioni: “L’espressione verbale nell’arte contemporanea”, Martano, Torino, 2000 Bibliografia: Del Segno del Suono e della Parola, Berchidda, 2003
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Gianfranco Baruchello (Livorno, 1924) Nato il 29 agosto 1924 a Livorno, nel 1959 circa dà inizio alla sua attività artistica realizzando Altre Tracce, tele bianche attraversate da un groviglio di linee nere, e una serie di oggetti costituiti a partire da materiali trovati. Dal 1962 crea opere su superfici bianche solcate da poche tracce o forme vaghe e da linee tracciate a tampone con il colore minio. Invitato per la prima volta ad esporre a New York nella collettiva The new realists (1962), l’anno successivo ottiene una personale a Roma alla galleria La Tartaruga e stringe una collaborazione con la galleria Schwarz di Milano. In questi anni realizza i primi quadri costituiti da vari strati di plexiglas sovrapposti a fondi di cartone o metallici e nel 1964 produce il suo primo film, in collaborazione con Alberto Grifi, dal titolo La verifica incerta. Tra il 1965 e il 1968 si dedica alla pubblicazione di libri quali Mi viene in mente (Schwarz, 1966), La Quindicesima riga (Lerici, 1967), Avventure nell'armadio di plexiglas (Feltrinelli, 1968) e di oggetti definiti "happening mentali", come il Multipurpose Object (1966). Il 1968 è l’anno della nascita della società Artiflex, seguita, nei primi anni Settanta, da esperimenti con l'immagine elettronica e dalla realizzazione di oggetti-assemblaggi in forma di scatole-vetrina. Dal 1975 si trasferisce in campagna e fonda Agricola Cornelia S p A., una società regolarmente costituita "con lo scopo sociale di coltivare la terra" e di operare una rivisitazione delle culture e delle tradizioni agricole e della zootecnia sotto l'aspetto dell'attività artistica. Nel 1981 si tiene la mostra Agricola Cornelia in cui vengono esposti materiali, testi e fotografie relative agli anni dell'operazione 1973-81 e nel 1984 esce il libro Bellissimo il giardino, una riflessione dell’artista intorno al tema del giardino che dal 1992 si estende ad una riflessione sul bosco realizzata attraverso una bonifica, ripulitura riapertura della strada etrusca affiancata da disegni, pittura, video e libri. Nel 1998 viene istituita la Fondazione Baruchello, con sede nella casa-studio archivio dell’artista che si propone un'ampia attività sulla ricerca artistica contemporanea. Attualmente l’artista vive e lavora tra Roma e Parigi.
Piccolo contesto: la tenia solium invia un disperato appello a Porto Azzurro, 1967 Tecnica mista su carta e plexiglass 18x24 cm Provenienza: Artiscope Bruxelles
La lettura negata, (primi anni ’60) Smalto su volumetti Provenienza: Galleria La Salita, Roma
Mel Bochner (Pittsburg, Kansas, 1940) Mel Bochner nasce nel 1940 a Pittsburg nel Kansas e lì, dal 1958 al 1962, si forma presso il Carnegie Institute of Technology per poi, laureando in filosofia presso la Northwestern University di Chicago, dedicarsi allo studio delle teorie della Fenomenologia e dello Strutturalismo. Dal 1964 lavora a New York presso il Jewish Museum ed entra in contatto con artisti appartenenti all’ambito del Postminimalismo e Concettualismo. Inizia così a realizzare disegni basati sulle possibilità di variazione di quadrati, caratterizzati da un concettualismo intellettualistico molto spiccato. Nel 1966 partecipa alla prima grande mostra dedicata al Minimal, Primary Structures presso il Jewish Museum di New York e a Working Drawing and Other Visible Things On Paper Not Necessarily Meant to Be Viewed As Art in cui non vengono esposte opere compiute ribadendone così la loro natura concettuale. Con questo progetto, l’artista inizia un tipo di arte che egli definisce “pensiero reso visibile”. Sperimenta il medium fotografico e realizza disegni in serie per poi, dal 1967-68, effettuare misurazioni degli spazi in cui espone, riducendo i mezzi artistici a numeri e parole, ispirati alla logica matematica di Choan Chomsky (Measurement Rooms), poi sostituiti, dal 1973, con colore a caseina disteso direttamente sulla parete in forme geometrizzate e dinamiche che conferisce alle opere il carattere di sistematicità unitaria proprio dell’arte. Da ricordare la sua produzione di films, tra cui Walking a Straight Line through Grand Central Station (1965), e le mostre a cui negli ultimi decenni ha partecipato: nel 1969 espone a When Attitudes Become Form, organizzata presso la Kunsthalle Bern di Berna, nel 1970 tiene una mostra personale alla Galleria Sperone di Torino e partecipa alla mostra"Conceptual Art/arte povera/land art presso il Museo Civico d'Arte Moderna di Torino. Infine, nel 1972 si ricorda la personale alla Galleria Sonnabend di New York. Nel 2006 l'Art Institute di Chicago gli ha dedicato un'importante retrospettiva: Mel Bochner, Language 1966-2006. Oggi vive e lavora a New York.
Punish, 2006 Olio su tela 102 x 76 cm Provenienza: Galleria Il gabbiano, Roma
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Language is not transparent, 1999/2000 Scrittura su carta, 100x73 cm Provenienza: Esso Gallery, New York Esposizioni: L’espressione verbale nell’arte contemporanea, Martano, Torino, 2000 Bibliografia: Del Segno del Suono e della Parola, Berchidda, 2003
Alighiero Boetti (Torino 1940 – Roma 1994) Nato a Torino il 16 dicembre 1940, autodidatta, approda all'arte dopo aver abbandonato gli studi di Economia e Commercio svolti presso l'Università di Torino. Appassionato alla matematica e alla musica, nel 1957 scopre l'arte tantrica, gli acquarelli di Wols e i tagli di Fontana ed è particolarmente affascinato dalle culture extra-europee, soprattutto orientali e africane. A vent'anni dipinge paesaggi ad olio suggestionato dal pittore russo Nicholas De Staël, studia e pratica incisioni a Parigi e, fra il 1963 e il 1965, si dedica a sperimentazioni con il gesso, la masonite, il plexiglass e alla realizzazione di disegni su carta a china di oggetti industriali per la registrazione (microfoni, cineprese, macchine fotografiche). Nel 1967, alla prima mostra personale presso la Galleria Christian Stein di Torino, espone i suoi primi lavori tridimensionali caratterizzati dall'impiego di materiali industriali (eternit), dal riferimento a oggetti di uso quotidiano, dall'applicazione di gesti semplici (il raddoppiare, l'accumulare, il dilatare). Germano Celant lo inserisce subito nel movimento Arte Povera: da qui la partecipazione a mostre quali Arte povera-IM spazio alla galleria La Bertesca di Genova (1967) e Arte Povera + Azioni Povere negli spazi degli Antichi Arsenali della Repubblica di Amalfi (1968). Tuttavia Boetti sarà il primo a distaccarsi dal gruppo, mostrandosi fin da subito interessato alla scrittura e alla bidimensionalità piuttosto che all'oggetto e alla scultura. Nel 1969 colora ad acquarello e pastelli un planisfero politico inserendo le bandiere delle nazioni nella loro collocazione geografica e inizia la serie dei Viaggi postali (o Dossier postale) che si concluderà l’anno successivo. Nel 1970 avvia la catalogazione dei grandi fiumi in base alla loro lunghezza, a cui seguirà, nel 1977, la pubblicazione del celebre libro in 500 esemplari, Classificando i mille fiumi più lunghi del mondo. Nello stesso anno partecipa alla mostra Vitalità del negativo al Palazzo delle Esposizioni di Roma per poi partire per l'Afghanistan dove realizzerà il suo primo ricamo su tessuto. Tornato in Italia, nel 1972 dà inizio ai lavori a biro (Mettere al mondo il mondo) e ai ricami basati sulla quadratura di parole e frasi (Ordine e disordine). Quattro anni dopo si tiene la grande antologica alla Kunsthalle di Basilea a cura di J.C.Amman, tra il 1981 e il 1982 l’artista partecipa alla mostra curata da G. Celant al Centro Georges Pompidou a Parigi Identité italienne - L'art en Italie depuis 1959 e nel 1990 vince il Premio speciale della Giuria alla Biennale di Venezia con l’opera Fregio. Nel febbraio 1993 si inaugura l’ultima personale in Italia negli spazi della Galleria Christian Stein a Torino e nel 1994 si tiene la mostra Alighiero Boetti, origine et destination al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles. Il 24 aprile dello stesso anno, Alighiero Boetti si spegne nella sua abitazione romana.
ALIGHIERO E BOETTI, 1970 ca. Penna biro blu su carta 48,7 x 68,7cm Archivio Alighiero Boetti, Roma n. 2148 datato 18/06/2003 Esposizioni: Milano-Torino 1958-1968: Birth and Identity, Moderna Museet, Stockholm, 1/5- 7/9/08 e pubblicato sul catalogo relativo a pag. 129 Kunsthaus Zurich 2009
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Sophie Calle (Parigi, 1953) Sophie Calle nasce il 9 ottobre 1953 a Parigi. Dopo un'infanzia difficile e un'adolescenza impegnata nella politica, nel 1973 lascia la sua città natale e inizia a girare il mondo. Nel 1978 ritorna a Parigi e si appassiona di fotografia. Nel 1980 partecipa all'XI Biennale de Paris. Manifestation International des jeunes artistes al Musée d'Art Moderne con Les Dormeurs (1979) entrando così ufficialmente nel mondo dell’arte. La cifra stilistica caratterizzante di tutto il lavoro dell’artista è la sua "marque de fabrique": l'unione di fotografie e testi che si riscontra fin dalla sua prima opera e che trova un precedente utilizzo nella corrente artistica degli anni Settanta della Narrative Art. Negli stessi anni realizza i suoi primi Journaux intimes, ricchi di riflessioni e immagini di commento. Negli anni Ottanta dà l’avvio a numerose opere di forte impronta autobiografica e dalla spiccata attitudine voyeuristica, quali Suite vénitienne (1980), Le Carnet d'Adresses (1983) e Fantômes (1989-1991). Vita e arte costituiscono nella sua poetica un’unità inscindibile come aveva già sostenuto Allan Kaprow alla fine degli anni Cinquanta a cui Sophie Calle sembra far riferimento. Yve-Alain Bois rintraccia invece le radici della ricerca dell’artista nel Situazionismo, soprattutto nella teoria sostenuta da Guy Debord, di cui l’opera dell’artista sembrerebbe una realizzazione pratica. Da ricordare, la mostra Sophie Calle. M'as tu vue tenutasi al Centre Pompidou dal 19 novembre 2003 al 15 marzo 2004 che ha riunito le opere storiche e le più recenti dell'artista e la sua partecipazione come rappresentato della Francia al Padiglione nazionale della LII Biennale di Venezia del 2007 con l'opera Prenez soin de vous (Abbia cura di sé). Sophie Calle attualmente vive e lavora tra Parigi e New York.
Papa, Mama 1990 Fotografia in bianco e nero su carta 180 x 110 cm Provenienza: Galleria Sollertis, Toulouse
Giuseppe Chiari (Firenze 1926 – Firenze 2007) Nato a Firenze il 26 settembre 1926, si iscrive alla Facoltà di Ingegneria di Firenze, ma ben presto il suo interesse si sposta verso l’arte. Dedito agli studi di pianoforte, nel 1947 crea con Giampiero Taverna il gruppo degli Amici del Jazz con cui organizza alcuni concerti. Negli anni Cinquanta studia musicologia e dà alla luce la sua prima composizione, Intervalli. Organizza conferenze, convegni e concerti finalizzati alla diffusione della Musica Nuova avvalendosi della collaborazione del compositore Pietro Grossi col quale nel 1961 istituisce l’associazione “Vita Musicale Contemporanea”. Nel 1962, insieme a Sylvano Bussotti presentata a Roma alla Galleria Numero e poi a Buffalo al Creative and Performing Art Center, la manifestazione Musica e Segno e a Milano alla Galleria Blu la mostra Gesto e segno. Fondato il Gruppo 70, dal 1963 intraprende ricerche sul valore visuale del testo: lo spartito musicale non viene considerato soltanto “come base per l’esecuzione del brano sonoro, ma anche come pittura da osservare nei suoi elementi visuali quali note e gesti”. In quegli anni, grazie a Metzger, entra in contatto con gli artisti appartenenti al gruppo internazionale Fluxus con cui dal 1962 partecipa ad alcune edizione del Fluxus Festival europeo e diventa membro del gruppo per l’improvvisazione musicale - MEV, Musica Elettronica Viva. Nella seconda metà degli anni Sessanta mette da parte l’attività di compositore per approfondire la dimensione “grafica” del suo lavoro: realizza libri manoscritti, fotografie, film, video, oggetti che usa nelle sue “azioni-concerto”. Parallelamente, si interessa dell’editoria: è redattore per La Nuova Italia e collabora con riviste quali Letteratura di Roma e Collage di Palermo. Dal 1970 sperimenta nuovi mezzi espressivi concepiti come strumenti “visualmente innovativi” atti ad aggredire il sistema dell’arte: collage su fogli di carta, su spartiti musicali, tavole di legno con la successiva aggiunta di forti tocchi di colore. Dagli anni Settanta fino ad oggi le sue opere sono state esposte in gallerie private e pubbliche in mostre personali e collettive (Kunstverein, Hannover, 1973; Galleria d’Arte Moderna, Roma, 1980; Galleria Depardieu, Nizza, 2005; Galleria Il Ponte, Firenze, 2006) in musei d’arte contemporanea (Museum of Contemporary Art, Chicago, 1993; Museum of Modern Art, San Francisco, 1994) e all’interno di manifestazioni nazionali ed internazionali (Documenta 5, Kassel, 1972; a varie edizioni della Biennale di Venezia e alla VIII Biennale di Sidney, 1990). Giuseppe Chiari muore a Firenze il 9 maggio 2007 all’età di 81 anni.
L’arte è finita. Smettiamo tutti insieme, 1974 Stampa tipografica su carta 100x70 cm Firmato, dedicato e datato 1974
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Philip Corner (New York, 1933) Philip (Lionel) Corner nasce a New York il 10 aprile 1933. Si forma al City College di New York (1955), al Conservatorio di Parigi (tra il 1956 e il 1957) e nel 1959 presso la Columbia University. Durante la sua permanenza in Corea con l’esercito statunitense nel 1959-60, si interessa alla musica orientale e alla calligrafia. Una volta tornato a New York, diviene uno tra i primi esponenti di Fluxus (dal 1961) e membro di alcuni gruppi di avanguardia e di musica sperimentale come il Judson Dance Theatre, e il Tone Roads, di cui è anche co-fondatore con James Tenney e Malcolm Goldstein. Collabora con diversi coreografi e con gruppi teatrali statunitensi ed europei. Ritiene che gli influssi da parte delle culture asiatiche e di altre culture non occidentali costituiscono un aspetto fondamentale della modernità. Il suo interesse per la meditazione lo induce a ridurre alla massima semplificazione i materiali musicali (Elementals, 1976). Nelle sue composizioni lascia alcuni elementi alla discrezione degli esecutori, in alcune utilizza la notazione standard, in altre compaiono elementi calligrafici così da rendere i suoi spartiti apprezzabili anche a livello visivo. Fondamentale nella sua tecnica compositiva è l’integrazione delle procedure metodiche e d’improvvisazione applicate a strumenti tradizionali e a oggetti naturali. Oltre ad essere compositore e musicista, realizza assemblaggi collages, disegni e dipinti, molti dei quali sono stati esposti a livello internazionale e attualmente si trovano in collezioni museali e gallerie di rilievo tra cui, la principale è UnimediaModern a Genova, diretta da Caterina Gualco. La casa discografica Alga Marghen di Milano, con la produzione di Emanuele Carcano gli ha recentemente dedicato una serie retrospettiva di incisioni. Philip Corner oggi vive tra New York e Reggio Emilia.
Hanne Darboven (Monaco di Baviera, 1941 – Amburgo, 2009) Hanne Daborven nasce a Monaco di Baviera il 29 aprile 1941. Dopo aver studiato dal 1966 alla Hochschule für bildende Künste di Amburgo, nel 1966 si trasferisce a New York dove realizza le sue Konstruktionen: opere su carta millimetrata piene di numeri scritti a penna, matita o macchina da scrivere, che espone per la prima volta nel 1967 presso la galleria di Konrad Fischer a Düsseldorf. Il tempo, come costituente della struttura essenziale della vita umana, diventa il tema centrale della sua indagine, evocato dall'immagine ricorrente all’interno del suo lavoro del calendario. Tornata ad Amburgo nel 1968, tre anni dopo partecipa a Documenta 5 e a rassegne fondamentali per l’affermazione dell’arte concettuale come 19651975: Reconsidering the Object of Art' al Museum of Contemporary Art di Los Angeles nel 1995 e Die Epoche der Moderne: Kunst im 20. Jahrhundert', al Martin Gropius Bau di Berlino nel 1997. Da ricordare, la mostra personale organizzata da Leo Castelli nel 1973 a New York e le partecipazioni a Documenta 6 e 7. In seguito Daborven trascrive nei suoi lavori grandi opere della letteratura occidentale al fine di registrare il passare del tempo reale e quello interno alla narrazione. A partire dal 1978 inizia a integrare i propri scritti con fotografie, dattiloscritti, disegni e pagine di giornale (Kulturgeschichte 1880–1983 [Cultural History 1880–1983]). Per quanto riguarda l’attività espositiva, importanti risultano le partecipazioni nel 1982 alla 40a Biennale di Venezia e nel 2002 a Documenta 12. I mezzi che la Darboven utilizza per le sue opere sono ridotti ai minimi termini: con penna stilografica e carta realizza strutture semplici, grafiche o numeriche, sottoposte infinite variazioni. Da ricordare, il ciclo degli "scritti" quotidiani realizzati a partire dagli anni Sessanta: numerosissimi testi a stampa o a mano, che raccontano la vita ed evocano il trascorrere del tempo. Hanne Daborven muore il 9 marzo 2009 nei pressi di Amburgo.
Sound 1985 Grafite su carta giapponese composto da sette fogli 76x56 cm cad.
Untitled, 3-12-1968 China e matita su carta, 21x28 cm Provenienza: Galleria Bertesca Genova
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Robert Filliou (Sauve,1926 – Les Eyzies, 1987) Nato il 17 gennaio 1926 a Sauve, in Francia, nel 1947 si reca negli Stati Uniti e lì intraprende gli studi fino al conseguimento di un master in economia. Nel 1951, divenuto consulente delle Nazioni Unite, per tre anni è inviato in Corea dove partecipa alla redazione della Costituzione e ai programmi di ricostruzione economica del paese. Dal 1954 al 1959 vive in Egitto, Spagna e Danimarca per poi tornare in Francia nel 1959. A Parigi Daniel Spoerri lo introduce nell’ambiente artistico parigino caratterizzato dalla nascita del movimento Fluxus e dal Nouveaux Réalisme. Nel 1960, progetta il suo primo lavoro, Le Collage de l'immortelle mort du monde: influenzato dal pensiero buddhista, considera l'opera d'arte un mezzo di azione diretta sul mondo. L’anno successivo, presso la Galleria Addi Kôcpke a Copenaghen si tiene la sua prima mostra personale, Suspens Poems. Incontrato poi George Maciunas, uno degli esponenti principali del movimento Fluxus, nel 1963 con l'architetto Gioacchino Pfeufer fonda il Poïpoïdrome come luogo di incontro e di "creazione permanente" tra l'azione e la riflessione. Nel 1965, con George Brecht, apre la Galleria “La Cedille qui sourit” a Villefranche-sur-Mer frequentata da artisti che fonderanno la Eternal Network, La Fête Permanente. Si dedica ad esperimenti cinematografici e nel 1974, si dedica a Recherche sur l'origine, un lavoro fatto di stoffa 90 metri di lunghezza e 3 metri di altezza, all'interno del quale lo spettatore può camminare. L’anno successivo, il progetto Poïpoïdrome à Espace Temps Réel P00 è stato presentato al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, e poi presso il Centro Georges Pompidou di Parigi (1978). Trasferitosi in Canada alla fine degli anni Settanta, gira diversi video al fine di lasciare una traccia delle sue performance e di far circolare il suo lavoro. Nel 1987 realizza il suo ultimo lavoro, Time is a Nutshell e il 2 dicembre muore a Les Eyzies, in Francia.
Pierluigi Fresia (Asti, 1962) Pierluigi Fresia nasce ad Asti nel 1962. Realizza fotografie di luoghi suggestivi corredate da brevi testi del tutto slegati dall’immagine che inducono lo spettatore a spostare la sua attenzione da ciò che vede alla concezione e quindi a compiere una profonda riflessione. Infatti, l’assoluta incongruenza tra parole e immagini viene a creare una situazione di disagio nell’osservatore, la cui mente, per poter ovviare a tale difficoltà, inizia a cercare i possibili legami tra immagine e parola/concetto facendo appello al bagaglio personale di esperienze e conoscenze. Tiene la prima personale nel 1998 alla Galleria Martano di Torino, intitolata Tempominimo, seguita da altre personali quali: Energiazero, Galleria Leonardi V-idea Genova (2000), Interni / Esterni, Galleria G7 Bologna (2000),...se qualcosa accade, Galleria Martano Torino (2004); La morte non fa paura, Galleria Catartica Torino (2006); Non cosi tanto da fuggire non così poco da restare, Galleria studio G7 Bologna (2008). Numerose le partecipazioni a collettive (nel 1999: ARCO 99, Madrid; Words Fly..., Esso Gallery, New York; Artissima 99, Galleria Martano, Torino; nel 2000, Il Sentimento del 2000, arte e foto 1960/2000 a cura di Daniela Palazzoli, Triennale di Milano, L’elemento verbale nell’arte contemporanea, Galleria Milano, Milano, Galleria Martano, Torino, nel 2002, Artissima 2002, Galleria Martano, Torino; Arte fiera, Galleria G7, Bologna; Landscape, Galleria Catartica, Torino). Recentemente ha esposto a: ARTVERONA 2008 e ARTVERONA 2009. Attualmente vive e lavora a Pino Torinese nella provincia di Torino.
Singing songs of freedom, 1972 Inchiostro e collage di tela su tela, 60x 60 cm Provenienza: Gallerie Alain Couturier, Nice Bibliografia:E.Pedrini, La freccia evolutiva dell’irreversibilità, Edizioni Ulisse&Calipso, Napoli Fluxus Constellation, Villa Croce Genova, Edizioni Neos
Perché il martellare del picchio fa l’eco e la mia voce no?, 2008 Stampa fotografica su carta, cm 90x120 Edizione in 3 esemplari
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Joseph Kosuth (Toledo, Ohio, 1945) Nato il 31 gennaio 1935, frequenta dal 1955 al 1962 la Toledo Museum School of Design per poi iscriversi all’Istituto d’arte di Cliveland e dal 1965 al 1967 alla School of Visual Arts di New York dove approfondisce la conoscenza del pensiero del filosofo Wittgenstein. La sua formazione viene poi ampliata con studi di antropologia e filosofia svolti tra il 1971 e il 1972 presso la Nuova scuola per la ricerca sociale di New York. In questi anni, dà inizio ad un’originale riflessione sulla natura linguistica e intellettuale di ogni operazione artistica che lo porta ben presto ad affermarsi come uno dei padri dell’arte concettuale. “L’arte è una tautologia. L’arte è una definizione dell’arte”, dichiarerà, mettendo così in luce i temi principali del suo lavoro, cioè il ruolo del linguaggio e del suo significato in ambito artistico, il linguaggio verbale come veicolo di idee e il rapporto tra arte e filosofia. Opere emblematiche di tale riflessione sono: Una e tre sedie (1965), esposta nel 1967 da Leo castelli a New York e la serie Arte come idea come idea (1966-67). Dal 1969 al 1973 collabora con il gruppo inglese Art & Language all’omonima rivista. Dagli anni Settanta trasferisce i suoi interventi su scala ambientale: su pareti e cartelloni pubblicitari riporta frasi e citazioni tratte da famosi personaggi della cultura contemporanea, fogli di giornale, fotografie di dipinti, oggetti eterogenei sulla relazione tra arte e linguaggio (Text/Context, 197879, Modus operandi, 1985, Zero & no, 1989). Kosuth sviluppa inoltre profonde riflessioni teorico–critiche raccolte nel volume L’arte dopo la filosofia pubblicato nel 1969. Numerose le mostre a cui partecipa e le onorificenze a lui assegnate (la Menzione d'Onore alla 45a Biennale di Venezia,1993, la nomina di Chevalier de l'ordre des Arts et des Lettres dal Governo francese, 1999, la Laurea Honoris Causa in Filosofia e Lettere dall'Università di Bologna, 2001). Attualmente vive e lavora tra New York e Roma.
Hans Haacke (Colonia 1936) Nato il 12 agosto 1936 a Colonia, si forma tra il 1956 e il 1960 alla Staatliche Werkakademie a Kassel e tra il 1961 e il 1962 alla Tyler School of Art presso la Temple University di Filadelphia. Inizialmente vicino al Gruppo Zero, i suoi primi lavori (inizio anni Sessanta) nascono come sperimentazioni processuali su fenomeni fisici e climatici come pesantezza, evaporazione, condensazione, circolazione di fluidi (Cubi di condensazione, 1963–1965). A partire dal 1965 si propone invece di rivelare attraverso questionari, scritti, fotografie e dati statistici, il rapporto esistente tra le strutture del sistema socio–politico e la politica o sistema dell’arte. La sua ricerca assume quindi una più marcata impronta concettuale e ideologica tanto che Haacke diviene insieme a Buren uno dei massimi esponenti della cosiddetta “critica istituzionale” degli anni Settanta. Tra il 1971 e il 1974 ben due mostre vengono annullate: quella organizzata al Guggenheim Museum di New York e quella all’interno di Project ’74 a Colonia poiché in entrambe l’artista si rifiuta di togliere dall’esposizone opere “scomode” come Shapolsky et al. Manhatthan real estate Holdings, A Real Time Social System as of May 1,1971 (1971) che rivela le discutibili operazioni immobiliari svolte da Herry Shapolsky tra il 1951 e il 1971. Dopo aver presentato nel 1970 al Moma di New York, l’istallazione MoMA Poll, nel 1978 tiene una mostra personale al Museum of Modern Art di Oxford a cui segue l’anno successivo la personale presso la The Renaissance Society. Dal 1980 si dedica alla pittura e alla realizzazione di installazioni scultoree tra le quali risulta di grande impatto quella che alla Biennale di Venezia del 1993 gli permette di vincere insieme a Nam Yune Paik il Leone d’Oro per il padiglione tedesco. Espone al New Museum of Contemporary Art di New York e al Centre Georges Pompidou di Parigi e pubblica alcuni testi teorici, tra cui: Framing and Being Framed, un libro sulle idee e sui processi che stanno alla base del suo lavoro, e Free Exchange, in cui vengono pubblicate le conversazioni da lui tenute con Pierre Bourdieu. Hans Haacke attualmente vive e lavora a New York.
Titled (Art As Idea As Idea)’ [orange][It], 1968 Photograph Collage, tampone e matita su carta su cartoncino cm 12,5x10,5 firmato e datato 1968
The road to profits is paved with Culture MOBIL OR Allied Chemical, 1976 Serigrafia su metacrilato, 130x110 cm Bibliografia: "Hans Haake" Galleria Suvremene, Zagabria 1980 Provenienza: Summan Gallery
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Jenny Holzer (Gallipolis, 1950) Jenny Holzer nasce il 29 luglio 1950 a Gallipolis nello stato dell’Ohio. Si forma presso l’Università di Athens (Ohio) e la Rhode Island School of Design per poi frequentare l'Indipendent Study Program del Whitney Museum of American Art a New York, città dove si stabilisce nel 1977. Se alla fine degli anni '70, rifiuta di far circolare a livello internazionale e istituzionale le sue prime opere (quali: Truisms, (1977) testi in stampatello nero su fogli bianchi, stampati e affissi abusivamente negli spazi urbani di Manhattan, Inflammatory Essay, (1978-79) testi ispirati agli scritti di Hitler, Lenin, Mao su supporti di diverso colore), dal 1982, attraverso finanziamenti pubblici e privati, inizia invece a progettare e a realizzare lavori sempre più monumentali in luoghi di alta concentrazione sociale (nel 1982 inserisce un'installazione costituita da led luminosi in Times Square a New York), per poi intervenire anche in spazi espositivi di musei e gallerie. Il successo che l’artista acquisisce negli anni Ottanta, viene suggellato nel 1990 con la vittoria del Leone d'oro alla Biennale di Venezia. Nel 1995 realizza il suo primo progetto interattivo per la rete, Please change beliefs per il portale adaweb. Dalla metà degli anni Novanta fino ad oggi, la sua produzione è costituita da proiezioni allo xeno (presentate per la prima volta a Firenze nel 1996) di frasi luminose che vanno a formare lunghi testi relativi alla quotidianeità, al potere, alla giustizia ai rapporti umani e, negli anni più recenti, alla morte e alla guerra, e che, scorrendo sulle superfici urbane, conferiscono loro inediti connotati e producono negli spettatori una grande suggestione visiva. Altri interventi dello stesso tipo sono stati realizzati sulla scalinata di piazza di Spagna, sul fronte della Neue Nationalgalerie di Berlino e sul Planetario di Rio de Janeiro e dal 28 febbraio al 24 maggio 2009 sulla facciata del Santa Maria della Scala a Siena. Importante è anche la realizzazione di libri d'artista tra cui si ricordano: Truisms and Essays. Halifax,Nova Scotia College of Art 1983, Eating Friends New York, Tanam Press, 1981, Black Book New York, pubblicato dall’artista, 1980, Living-Daytime New York, Tanam Press, 1980 e Diagrams New York, pubblicato dall’artista, 1977. Attualmente vive e lavora a New York.
Emilio Isgrò (Barcellona, Messina, 1937) Emilio Isgrò nasce il 6 ottobre 1937 a Barcellona di Sicilia. Lì frequenta il liceo classico e si cimenta con la poesia. Apprende da uno zio artista i primi insegnamenti di pittura e nel 1956 lavora come aiuto regista e aiuto scenografo per l’Aiace di Sofocle (con la regia di Michele Stilo), ma il suo nome viene cancellato dai manifesti dello spettacolo per un errore del tipografo. Trasferitosi a Milano, si iscrive alla Facoltà di Scienze politiche all’Università Cattolica, frequenta le lezioni di teatro di Mario Apollonio e pubblica presso Schwarz la sua prima raccolta di poesie, Fiere del Sud, seguita dalla raccolta L’anteguerra, edita dalla rivista Il Menabò. Negli stessi anni frequenta Arnaldo Pomodoro, Piero Manzoni, Lucio Fontana, Dadamaino, Nanda Vigo, Paolo Scheggi, Umberto Eco. Assunto come responsabile della terza pagina e dei supplementi culturali de Il Gazzettino, si trasferisce a Venezia. Nel 1964 realizza la Volkswagen e le prime Cancellature dichiarando con scritti e saggi che “la parola è morta”. Dapprima vicino alla poesia visiva, ben presto si allontana da questa con il testo teorico Dichiarazione I. Nel 1967 tiene una personale alla Galleria Apollinaire di Milano e, assunto come redattore del settimanale Oggi, torna a vivere in questa città. Attraverso Charlotte Moorman, che lo invita al Sixth Annnual Avantgarde Festival di New York, si avvicina al movimento Fluxus. Dal 1969 si susseguono mostre personali e collettive tra cui quella alla Galleria Schwarz (1970) dove presenta l’Enciclopedia Treccani cancellata (opera che verrà riproposta alla XXXVI Biennale di Venezia del 1972), nel 1971 presenta al Centro Tool di Milano l’installazione Dichiaro di essere Emilio Isgrò, nel 1973 partecipa alla rassegna Italian Visual Poetry 1912-1972 al Finch Museum di New York e firma un contratto triennale di esclusiva con Arturo Schwarz. Dopo la grande antologica al Csac di Parma (1976), vince il primo premio alla IX Biennale di San Paolo del Brasile e nel 1978 partecipa alla Biennale di Venezia per la seconda volta. Nel 1990 elabora il testo Teoria della cancellatura per la personale alla Galleria Fonte d’Abisso di Milano e due anni dopo partecipa alla collettiva The artist and the book in twentieth-century Italy organizzata dal MoMA di New York. Nel 2001 si apre l’antologica Emilio Isgrò 1964-2000 nel complesso di Santa Maria dello Spasimo a Palermo e nel 2008 il Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” di Prato ospita l’importante retrospettiva, Dichiaro di essere Emilio Isgrò. Recentemente si è tenuta la personale Fratelli d’Italia presso il Palazzo delle Stelline a Milano (2009). Attualmente vive e lavora a Milano.
I need to lie - Xenon for Berlin, 2001 Stampa a pigmenti su carta cotone, 110x150 cm Firmata, Edizione 3/10
Minima tratta da ‘I vespri siciliani di’ Giuseppe Verdi, 1972 Tecnica mista su tela, 65 x 90 cm Provenienza :Galleria Schwarz, Milano
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Ketty La Rocca (La Spezia, 1938 – Firenze, 1976) Nata il 14 luglio 1938 a La Spezia, dopo una formazione cattolica, a metà degli anni Sessanta entra in contatto con il Gruppo 70 e approfondisce la conoscenza dell'antropologia culturale, degli scritti di Barthes e di Eco. Avvertendo i limiti della ricerca sul linguaggio sviluppata dalla poesia visiva, decide di intraprendere un’ analisi delle strutture primarie della comunicazione al fine di superare il valore verbale del linguaggio per utilizzarlo invece come strumento di affermazione dell’identità personale che risulta ormai alienata. Tra il 1964 e il 1965 realizza collages in cui si interroga su realtà sociali, quali il ruolo della donna e della Chiesa cattolica nella nostra società e sull'uso che del linguaggio viene fatto da parte dei mass media. Alla fine degli anni Sessanta nascono le “lettere”: forme quasi astratte che non perdono mai la loro specificità di lettere dell'alfabeto, stimolando l'interazione con il pubblico attraverso questa ambiguità basata sulla negazione del valore semantico delle lettere finalizzata a rivelare il loro valore formale. Nel volume In principio erat (1971), emerge la cifra caratteristica della sua ricerca: l'artista isola il gesto fisico, traccia di un impulso corporeo e opposto alla parola, avvertita come astratta ed alienante e incapace di tradurre il linguaggio corporeo quello verbale se non tradendone il senso. Poiché le mani simboleggiano per lei l'apertura all'altro, la calligrafia da esse generata diventa un codice corporeo rivelatore di personalità. Così dal 1974 in poi, produce una serie di opere costituite da fotografie prelevate dal mondo dell'arte, locandine di vecchi film, immagini del proprio passato privato, unite a scritte autografe che riportano frasi tratte dal discorso nonsense, oppure iterano la parola "you", "misura minima di linguaggio" che attiva la comunicazione. Le immagini perdono il loro significato, divenendo stereotipi che veicolano l'ideologia della società massificata. Le sue opere vengono esposte in numerose mostre (Kunstlerhaus, Stoccarda, 1995, Kunsthalle, Vienna, 1995, College Marcel Duchamp, Chateauroux,1996, Fondazione Cassa di Risparmio, La Spezia, 1999, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 2001, Istituto Italiano di Cultura, Los Angeles, 2002), tutte postume dato che Ketty la Rocca muore prematuramente a Firenze il 7 febbraio del 1976.
Angelo sulla colonna, 1974 Fotografia, china e matita su carta 6 fogli di 25,5x17,5 cm cad. Esposizioni: Al limite, a cura di Angela Madesani, Bergamo, R. Emilia, 2006 Bibliografia: L. Saccà, “KLR i suoi scritti”, p. 56
Il Punto, 1970/71 Vernice su masonite diam. 16 cm
Mario Merz (Milano 1925-Torino 2004) Nato A Milano il 1° gennaio 1925, ben presto si tra sferisce a Torino. Abbandonata la Facoltà di medicina, nei primi anni Cinquanta inizia a dipingere quadri ad olio con impasto denso e materico influenzato dall’Espressionismo Astratto americano. Nel 1952 espone la prima volta alla mostra collettiva Pittori astrattoconcreti alla Galleria Gissi di Milano e nel 1954 ottiene la prima personale alla Galleria La Bussola di Torino. Nel 1957 partecipa alla mostra Quattro giovani pittori torinesi alla galleria Il Milione di Milano e nel 1958 a Tre nuovi pittori aformali alla Galleria Notizie di Torino dove nel 1962 terrà una personale. Nel 1964 realizza una serie di “strutture aggettanti”, concepite come possibili fusioni tra pittura e scultura, che verranno esposte nel 1966 presso la Società Promotrice delle Belle Arti. Dal 1967 inizia a lavorare con il neon, forma di energia che penetra strutture di tela e oggetti quotidiani per distruggerli e trasformarli. Il critico Germano Celant lo inserisce nel gruppo di artisti dell’ “Arte Povera” e nello stesso anno partecipa a Con temp l’azione organizzata dalla Galleria Il Punto di Torino, Gian Ezio Sperone, Christian Stein. Partecipa così a Prospect ’68 a Düssendorf e alla mostre dell’Arte Povera in Italia (Arte Povera, Galleria dè Foscherari, Bologna; Percorso, Galleria Arco D’Alibert, Roma; Arte Povera+azioni povere, Amalfi). Nel 1968 Merz realizza i primi igloo: costruiti da materiali sempre diversi (vetro, pietra, bitume, juta, argilla, fascine), che spesso alludono a temi politici e sociali (Igloo di Giap, 1968; Object cache-toi; Sit-in). Dopo aver partecipato nel 1969 alla mostra When Attidudes Become Form a Berna, nei primi anni Settanta, inizia ad utilizzare la sequenza di Fibonacci: simbolo della proliferazione, viene tracciata su pannelli in vetro, su muro, in forma di spirale. Nel 1973 si ricorda la prima personale negli Stati Uniti al Walker Art Center di Minneapolis e alla XXXVI Biennale di Venezia e a Documenta 5 a Kassel. Nella primavera 1980 in Australia viene in contatto con la cultura aborigena che lo ispirerà nella realizzazione negli anni successivi di grandi dipinti con animali concepiti come creature appartenenti al mito: coccodrilli, iguane, lucertole, bisonti. I riconoscimenti internazionali includono personali al Guggenheim Museum, New York (1989), al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, al Centro Luigi Pecci, Prato (1990) e alla Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Trento (1995). Partecipa a Documenta IX Kassel (1992), alla Biennale di Venezia (1997), a Zero to Infinity: Arte Povera 1962-1972 (2001), la prima antologica sull’Arte Povera nel Regno Unito organizzata dalla Tate Modern di Londra e dal Walker Art Center di Minneapolis. Tra le numerose onorificenze, riceve la Laurea honoris causa dal Dams di Bologna (2001) e il Praemium Imperiale dalla Japan Art Association (2003). Muore all’alba del 9 novembre 2003 a Milano nella stessa casa dove era nato.
Che fare? 1969 Intervento alla Galleria L’Attico di Roma Fotografia di Claudio Abate, cm 100x100
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Maurizio Nannucci (Firenze, 1939) Nato a Firenze il 20 aprile 1939, dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti a Firenze e a Berlino, prende parte attivamente alle sperimentazioni artistiche internazionali degli anni Sessanta, lavorando per diversi anni con gruppi di teatro sperimentale, disegnando scenografie ed elaborando ricerche sulle strutture verbali e l'impiego dei nuovi media (audio, foto, video, radio, ologrammi, cartoline). Nei primi anni Sessanta, instaura rapporti con il movimento Fluxus e si unisce al gruppo di fonologia musicale di Firenze "S 2FM", realizzando esperienze di musica elettronica, computer music, collegate a processi visivi. Negli stessi anni realizza i Dattilogrammi in cui restituisce alla parola valore simbolico e svolge una profonda riflessione sulle relazioni tra arte, linguaggio e immagine. Nel 1967 tiene la sua prima personale al Centro Arte Viva di Trieste, in occasione della quale espone i primi testi realizzati con lampade al neon. L’anno successivo fonda a Firenze la casa editrice Exempla e la Zona Archives Edizioni. Assume la direzione ed il coordinamento della rivista Melà e l’attività di Zona non profit Art Space di Firenze. Successivamente, nel corso degli anni Novanta, interessato al rapporto opera-architettura-paesaggio urbano, collabora con gli architetti Auer & Weber, Mario Botta, Massimiliano Fuksas e Renzo Piano. Realizza installazioni permanenti tra cui quella al Carpenter Center della Harvard University di Cambridge, all’Auditorium del Parco della Musica di Roma, all’Aeroporto di Fiumicino a Roma e alla Bibliothek des Deutschen Bundestages di Berlino. Negli stessi anni partecipa più volte alla Biennale di Venezia, a Documenta a Kassel e alle Biennali di San Paolo, Sydney, Istanbul e Valencia. Le collezioni di numerosi musei in tutto il mondo espongono le sue opere: dal Museum of Modern Art di New York allo Stedelijk Museum di Amsterdam; dal Centre Georges Pompidou di Parigi al Paul Getty Art Center di Los Angeles. Attualmente vive e lavora a Firenze dove è impegnato nelle attività promosse da Base.
Bruce Nauman (Fort Wayne, Indiana, 1941) Nato il 6 dicembre 1941 a Fort Wayne, Indiana, studia matematica, musica e arte presso la University of Wisconsin di Madison e si diploma in belle arti alla University of California di Davis. Nel 1964 abbandona la pittura e si dedica alla scultura, alla performance e a collaborazioni cinematografiche con William Allan e Robert Nelson. Approfondisce la conoscenza dell’opera di Samuel Beckett, della filosofia di Ludwig Wittgenstein, della sperimentazione musicale di John Cage e La Monte Young. Tra il 1966 e il 1970 realizza video in cui il proprio corpo viene utilizzato come mezzo per esplorare le possibilità dell'arte e il ruolo dell'artista, per indagare stati psicologici e codici comportamentali. I suoi lavori, in bilico tra ricerca concettuale, body art e video arte, comprendono sculture (From Hand to Mouth, 1967; Animal Pyramid, 1989), pannelli con scritte al neon ispirati a frasi e calembouls da Beckett, Robbe-Grillet, Wittgenstein (Finestra o insegna a parete, 1967), fotografie (Autoritratto come fontana, 1966), film (Art Make-Up, 1967/68), video (Slow Angle Walk, 1968), performances e installazioni (Performance Corridor, 1969). Attraverso l’ironia e il gioco di parole Nauman rivela la natura ambigua del linguaggio, indaga le problematiche della comunicazione o della mancanza di quest’ultima. Nel 1966 tiene una personale alla Nicholas Wilder Gallery di Los Angeles. Collabora con i galleristi Leo Castelli a New York e Konrad Fischer a Düsseldorf (1968) e nel 1968 è invitato a Documenta 4 a Kassel. Nel 1972 tiene la personale, organizzata dal Los Angeles County Museum of Art e dal Whitney Museum of American Art di New York. Già insignito del Leone d’oro alla 48a Biennale di Venezia nel 1999 e a quella del 2009, nel 2004 riceve il Praemium Imperiale per la scultura e realizza per la Tate Modern di Londra l’opera Raw Materials. Ventinove suoi lavori storici sono stati recentemente restaurati grazie al Preservation Program dell'Electronic Arts Intermix (EAI) di New York. Attualmente vive e lavora negli Stati Uniti.
Everybody needs a place to think, 1993 neon, 12x180 cm
Collectors are welcome, 1980 Smalto a fuoco, 15x15 cm Firmata edizione 17/30
Normal Desires, 1973 Litografia e acquatinta su carta, 54.6 x 90.2 cm Firmta, es. C/2-80
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Giulio Paolini (Genova 1940) Nato a Genova nel 1940, dopo aver compiuto gli studi di grafica, dall'inizio degli anni Sessanta indaga i metodi e gli strumenti del fare artistico (tele nude e telai, colori, retini: Disegno geometrico, 1961), il rapporto dell’opera con lo spazio (Orizzontale, 1964), il tempo (Diaframma 8, 1965; fotografie giocate sull'espediente della mise en abîme, in cui l'immagine contiene una piccola copia di sé in una sequenza apparentemente infinita, 1965-67), lo spettatore e la figura dell'autore come operatore del linguaggio. Nel 1964 si tiene sua prima mostra personale alla Galleria La Salita di Roma. Ben presto la sua riflessione di matrice concettuale si concentra sul problema dell’arte come duplicazione, frammentazione, citazione intesa sia come riproduzione fotografica di opere del passato (Giovane che guarda Lorenzo Lotto, 1967), sia come calco in gesso, (Mimesi,1975-76) sia come antiche stampe e brani letterari divenendo così lo spunto per una riflessione colta sui codici del vedere e sull’arte come struttura linguistica tautologica. Le sue opere risultano improntate su una forte teatralità: evocano un'immagine incognita che però sfugge costantemente al suo modello e alla sua definizione. Nel 1967 partecipa alla prima mostra di Arte Povera ed entrato così a far parte del gruppo, espone alle mostre successive dedicate a tale movimento. Partecipa poi a Information (New York, 1970), Vitalità del negativo (Roma,1970), Projekt '74 (Colonia, 1974), a varie edizioni di Documenta a Kassel (1972, 1977, 1982, 1992) e della Biennale di Venezia (1970, 1976, 1978, 1980, 1984, 1986, 1993, 1995, 1997). Molte le grandi antologiche organizzate nei musei (Städtisches Museum, Mönchengladbach, 1977; Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma, 1989). Si ricordano inoltre gli scritti, i libri d'artista e le altre pubblicazioni che accompagnano costantemente la sua produzione: Idem (Einaudi, Torino 1975), La verità in quattro righe e novantacinque voci (Einaudi, Torino 1996), la trilogia Lezione di pittura, Black out e Giro di boa (Exit Edizioni, Bologna 1994-98), poi raccolti nel volume Giulio Paolini: la voce del pittore. Scritti e interviste 1965-1995 (Edizioni ADV Publishing House, Lugano 1995). Al 2005 e 2007 risalgono infine gli allestimenti scenografici per le opere wagneriane Valchiria e Parsifal, rappresentati al Teatro San Carlo di Napoli con la regia di Federico Tiezzi. Attualmente, vive e lavora a Torino.
Gianni Pettena (Firenze, 1940) Nato nel 1940, si iscrive in architettura all’Università di Firenze e frequenta assiduamente le gallerie d’arte, convinto del fatto che la disciplina architettonica deve essere ripensata sulla base di un’analisi interdisciplinare che coinvolga in primo luogo l’arte. Ancor prima della laurea (1968) inizia un percorso di ‘design alternativo’ (Divano Rumble, 1967), realizza installazioni in dialogo con luoghi significativi del contesto urbano (Carabinieri, Milite Ignoto, Grazia & Giustizia, 1968: parole ingigantite nella scala). In seguito alla pubblicazione su “Domus” di queste prime opere, nel 1971 viene invitato negli Stati Uniti come artist-inresidence al Minneapolis College of Art and Design ed inizia a svolgere un’intensa attività didattica in numerose scuole di architettura negli Stati Uniti, in Europa, e in Italia. A cavallo degli anni ’60 e ’70 collabora con Giuseppe Chiari (Concorso Trigon ’71), con Vittorio Gelmetti (Applausi, 1968), e con i musicisti del MEV, Musica Elettronica Viva, (Grazia & Giustizia, 1968). I suoi lavori sono connotati da intenti polemici, da una spiccata attenzione all’uso di materiali naturali, mediata dall’esperienza della funk architecture della generazione hippie e dallo studio del rapporto delle popolazioni nomadiche con lo spazio apparentemente vuoto dei deserti (About non-conscious architecture, 1972-73), Nel 1973 è tra i fondatori della Global Tools, scuola e sistema di laboratori che rappresenta il momento di massima intensità di strategia comune per il movimento dell’’Architettura Radicale. Nei primi anni ’70 scrive su Domus, Casabella, Su In e Inpiù e nel 1983 pubblica l’ultima versione de La città invisibile (la prima versione è del 1976) in cui per la prima volta vengono presentate in forma antologico-critica le sperimentazioni del ‘radicale’ tra il 1965 e il 1975 lavori e realizzazioni che non rinunciano mai alla loro ‘radicalità’ (Marea, 1974; Complementi di architettura, Biennale di Venezia 1978). Tra i testi da lui pubblicati, si ricordano anche; Hans Hollein/1988, Rodolfo Bonetto. Trent’anni di design/ 1992, Il linguaggio dell’acciaio/1992. Attualmente, vive e lavora a Firenze dove contribuisce a mantenere vivo il dibattito sul rapporto tra arte e architettura e sul ruolo del ‘radicale’.
Senza titolo, 1974 matita e collage su carta 36x28,5 cm
APPLAUSI, 1968 Oggetto di scena per l’opera “La descrittione del Grande Paese” di Vittorio Gelmetti. legno, vetro preparato, circuiti elettrici, 80x40x20 cm, Palermo, Teatro Biondo, VI Festival di Musica d’Avanguardia, 1968 Una valigia che si apriva in due sezioni uguali, con la medesima scritta (APPLAUSI) su entrambe le sezioni. Il compositore la portava dal fondo del palcoscenico davanti al proscenio e, dopo averla aperta, collocava le due sezioni con la scritta già lampeggiante ai due lati del palcoscenico, davanti al pubblico. In qualche modo, insieme ad altre scritte che definivano il piano, la cantante, il violoncello, etc., questo era un modo di provocare il pubblico, dequalificandolo al livello di pubblico televisivo.
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Ed Ruscha (propriamente Edward, Omaha, Nebraska, 1937) Edward (nome poi abbreviato in Ed) Ruscha nasce a Omaha, in Nebraska nel 1937. Dopo aver vissuto per 15 anni ad Oklahoma City, si trasferisce definitivamente a New York dove studia presso la Chouinard Art Institute dal 1956 al 1960. Le conoscenze tipografiche, le esperienze in campo pubblicitario e l’apprendistato da lui svolto presso la Disney sono confluiti, negli anni Sessanta, nelle innumerevoli composizioni di lettere e parole su sfondo monocromo o astratto, la cui enfatizzata superficie pittorica reinventa lo scarto tra significante formale e significato ordinario, con risultati che lo avvicinano all’arte concettuale. Questa prima produzione viene molto apprezzata dalla Ferus Gallery che lo invita ad unirsi al gruppo di artisti da questa promossi. Negli anni Settanta prosegue il lavoro su scritte e segni grafici sperimentando materiali inusuali tra i quali polvere da sparo, medicinali, alimenti e sangue. Amante del libro d’arte, lo utilizza come raccoglitore ideale di serie fotografiche tipologiche i cui soggetti sono motel, pompe di benzina (26 gasoline stations, 1962), parcheggi, appartamenti ecc. Questa sorta di ‘autopsia’ della banalità da lui svolta, gli permette di essere iscritto (anche se parzialmente) tra gli artisti pop. Il suo lavoro è stato esposto a livello internazionale per tre decenni ed è rappresentato in importanti collezioni museali. Numerose le retrospettive a lui dedicate (San Francisco Museum of Modern Art nel 1982, il Centro Georges Pompidou nel 1989, il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia nel 2002, e il Museum of Contemporary Art di Sydney nel 2004). Sempre nel 2004, The Whitney Museum of American Art ha organizzato due mostre simultanee: Cotton Puffs, Q-tips ®, Smoke and Mirrors: the drawings of Ed Ruscha (mostra itinerante) e Ed Ruscha e Fotografia. Nel 2005, viene invitato a rappresentare gli Stati Uniti alla 51° Biennale di Venezia ed infine tiene una grande retrospettiva alla Hayward Gallery di Londra nel 2009. Ruscha, che attualmente vive e lavora a Los Angeles è rappresentato ufficialmente dalla Gagosian Gallery e dalla Galleria di Leo Castelli, entrambe con sede a New York.
Salvo (Leofonte, Enna, 1947) Salvatore Mangione, che assumerà poi il nome d’arte di Salvo, nasce a Leonforte (Enna) nel 1947. Lì trascorre la sua infanzia per poi trasferirsi insieme alla famiglia a Torino nel 1956. Manifesta fin da subito un precoce interesse per l'arte: a soli sedici anni infatti, partecipa con un disegno da Leonardo, raffigurante una testa di vecchio, alla 12° Esposizione della Società Promotr ice di Belle Arti. Realizza copie da Rembrandt e da Van Gogh, da Fontana a da Chagall e nella Torino degli anni Settanta frequenta l'ambiente degli artisti dell'arte Povera e critici come Renato Barilli, Germano Celant e Achille Bonito Oliva ed entra anche in contatto con artisti di area concettuale, da Kosuth a Lewitt. Nel 1970 espone una serie di autoritratti fotomontaggio alla Galleria Sperone a Torino per poi dare inizio alla creazione delle Lapidi e la serie dei romanzi in cui l’autore sostituisce il proprio nome a quello dei protagonisti. Poco prima del 1975 torna a dedicarsi alla pittura da cavalletto realizzando i d’après per poi scegliere come tema principale del suo lavoro il paesaggio, scelta effettuata in occasione della sua partecipazione alla Biennale di Venezia di quello stesso anno. Le sue opere sono state esposte in importanti gallerie ed istituzioni in città italiane e straniere, Torino, Bologna, Trento, Venezia, Essen, Manheim, Lucerna, Lione, Nîmes, Parigi, Colonia, New York, Rotterdam, Monaco, Stoccarda e Berlino. Attualmente vive e lavora a Torino.
M. RAY, s.d. Serigrafia su carta 35x51,5 cm Firmata es. 48/100 Edizione Anselmino, Torino
Prefazione all’opera acclusa, 1971 Caratteri lapidari incisi in una lastra di marmo bianco, 50x60 cm Opera in 3 esemplari Provenienza: Galleria Sperone, Torino
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Paolo Scheggi (Settignano, Firenze, 1940 – Roma, 1971) Nato a Settignano, nella provincia di Firenze, nel 1940, dopo aver frequentato l’Istituto Statale d’Arte e l’Accademia di Belle Arti, realizza tra il 1958 e il 1960, le prime opere in lamiera (esposte nel 1960 alla Galleria Numero di Firenze) e le prime tele. Nel 1961 tiene la sua prima personale alla Galleria Vigna Nuova di Firenze dal titolo Itinerario plastico prestabilito. Abbandonate le tendenze dell’Informale e del New Dada, si trasferisce prima a Londra, e dal 1961 a Milano dove frequenta Alviani, Bonalumi, Castellani, Manzoni e Fontana. Sarà proprio quest’ultimo a presentare la sua mostra personale alla Galleria Il Cancello di Bologna nel 1962. Dai primi anni Sessanta Scheggi si interessa di architettura (instaura rapporti con gli architetti Mendini e Olivieri, e progetta con Nozzoli l’ampliamento urbano di Bratislava) e di letteratura collaborando con riviste quali Marcatrè, In, Nuova Corrente. Nel 1964 tiene la personale alla Galleria Smith di Bruxelles e viene invitato alla XXXIII Biennale di Venezia. Nel 1967 realizza Intercamera Plastica: l’opera si integra completamente con l’architettura divenendo così percorribile. Negli stessi anni espone all’Expo 67 di Montreal, alla Biennale di Parigi, alla Galleria civica d’arte Moderna di Torino e riceve la cattedra in Psicologia della Forma all’Accademia di Belle Arti all’Aquila. Nel 1968 si interessa di teatro sperimentale poiché vi vede la possibilità di raggiungere un’esperienza totale attraverso l’unificazione di pittura, scultura, architettura, oggetti e ambiente: cura gli Interventi Plastico–Visuali dello spettacolo al Piccolo di Milano Visita alla prova dell’isola purpurea di Bulgakov e Scabia e realizza l’azione–teatro Oplà–Stick del 1969 alla Galleria Naviglio di Milano e Oplà, presentata per le strade di Firenze. Nel 1969 partecipa alla manifestazione Campo Urbano a Como, nel 1970 alla mostra Amore mio di Montepulciano e a Vitalità del negativo a Roma. L’ultima mostra si tiene al Naviglio nel 1971, Seiprofetiperseigeometrie, lavoro che verrà presentato postumo assieme alla Tomba della geometria alla XXXVI Biennale di Venezia nel 1972. Infatti Paolo Scheggi muore a Roma nel 1971 di una malattia cardiaca di cui era a conoscenza da tempo.
Ben Vautier (Napoli 1935) Benjamin Vautier (nome poi abbreviato in Ben) nasce a Napoli il 18 luglio 1935. Dopo aver vissuto in Turchia, Egitto, Grecia e Svizzera, nel 1949 si trasferisce definitivamente a Nizza. Negli anni Cinquanta dà inizio all’attività artistica, legandosi in un primo momento all’astrattismo. Nel 1954 apre un negozio di dischi usati che cinque anni più tardi trasforma in un luogo di incontro per tutti coloro che desiderano esporre e confrontarsi sull’arte contemporanea. Dal 1959, influenzato dal lavoro di Marcel Duchamp, dalle esperienze neodada, dagli esponenti del Nuveau Realisme (Yves Klein, Arman, Daniel Spoerri e in particolare da Jean Tinguely) e di Fluxus, prendendo spunto dal ready-made di Duchamp, inizia a praticare un’ estetica dell’appropriazione artistica imprimendo la propria firmasuggello sugli oggetti più vari trasformandoli così in opere d’arte. Da questa prima idea, nasce la cifra caratterizzante di tutto il suo lavoro evidente nei tableauxécriture: brevi riflessioni e istruzioni scritte a mano, in corsivo su tele o su oggetti comuni. La sua prima mostra personale, Ben espose rie net tout, si tiene nel 1960 al primo piano del suo negozio adibito a spazio espositivo. Nel 1962 conosce Gorge Maciunas, fondatore del movimento Fluxus a cui si unisce: così tra il 1962 e il 1970 prende parte ai Fluxus Festivals nel mondo e alle performances pubbliche del gruppo. Durante gli anni Settanta e Ottanta, partecipa a numerose mostre in Francia, in Germania, in Svizzera, Italia e negli Stati Uniti (René Block, Berlino, 1971; Daniel Templon, 1970; 1971; 1973; Gibson, 1975; Rinaldo Rotta, 1978, Genova; Pierre Huber, Ginevra, 1986). Negli anni Ottanta inserisce nei suoi lavori una nota figurativa ironico–grottesca definendo la nuova tendenza pittorica francese Figuration Libre. Negli anni successivi realizza performances (passa quindici giorni nella vetrina della One Gallery di Londra, in Public il suo unico gesto consiste nel fissare il pubblico), fonda il Thèatre Total, pubblica riviste e scrive un volume di interventi teorici. Durante gli anni Novanta realizza i Totem, sculture composte da oggetti di uso comune e, dal 1991, Oiseaux, assemblaggi di materiali eterogenei che prendono le sembianze di uccelli. Il successo di Ben dagli anni Novanta ad oggi è confermato dalle molteplici esposizioni e retrospettive in spazi pubblici e privati in Francia e all’estero (Centre Pompidou, Parigi, 1991; Kahn, Strasburgo, 2000; MAC, Lione, 2004; Gan, Tokyo, 1997; Zabriskie, New York, 1998; National Museum of Contemporary Art, Seoul, 2002). Attualmente vive e lavora a Nizza.
Copia dal vero, 1970 Caratteri lapidari su tavola, 60x60 cm Galleria Niccoli, Parma Cenobio – Visualta ass. Milano
Je crois que pour changer l’art il va failloir dire la vérité, 1970 Acrilico su tavola, 90x85 cm
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Bernar Venet (Château Arnoux-Saint Auban, 1941) Bernar Venet nasce il 20 aprile 1941 a Château–Arnoux, in Francia. Nel 1958, respinto all’esame di ammissione all’Ecole des Arts Décoratifs di Nizza, studia per un anno alla scuola municipale d’arte Villa Thiole e tra il 1959 e il 1960 è assunto come decoratore al Teatro dell’Opera della città. Durante il servizio militare, a Tarascona gli viene prestato uno studio dove dipinge ben 150 quadri facendo colare il catrame fino a coprire l’intera superficie della tela. Nel 1963 torna a Nizza e dà il via alla produzione dei grandi catrami neri e verso la fine dell’anno realizza i primi assemblaggi di cartone da imballaggio, verniciati a spruzzo con lacche gliceroftaliche. Trasferitosi a New York, realizza fotografie con riprese verso il suolo che mettono in luce la struttura della ghiaia nel rivestimento di catrame ancora caldo. Dal 1967 crea le prime scritture a mano su carta millimetrata, registrazioni su nastro magnetico ed ingrandimenti fotografici. Nel 1968 per la prima volta presenta le sue opere in occasione della mostra New York Art 1968 al museo di Rochester. Dopo un viaggio in Francia, Italia e Germania, nello stesso anno è presente a Prospect 1968 alla Kunsthalle di Düsseldorf e nel 1969 partecipa a numerose mostre in musei e gallerie in Europa e negli Stati Uniti (Language 3 alla Dwan gallery di New York e Art by Telephone al Museum of Contemporary Art di Chicago). Nel 1970 cessa la sua attività per poi riprenderla solo nel 1976. Di ambito concettuale, risultano i tubi tagliati in sbieco posti su pavimento, uniti a schemi descrittivi, e gli Shaped canvases: segmenti di cerchio, di triangoli su fondo bianco secondo rigorosi schemi. La linea diventa la cifra costante dei suoi rilievi in legno, sculture in acciaio, assemblaggi casuali, realizzati a terra, da cui trae fotografie e collage: essendo indeterminata e aleatoria, essa conferisce vitalità e immediatezza alla scultura che da essa si genera. Si ricordano i riconoscimenti da lui ricevuti (il Grand Prix des Arts de la Villa de Paris, 1989; il titolo di Commandeur dans l’ordre des Arts et Lettres dal Ministero della Cultura in Francia, 1996) e la grande retrospettiva tenutasi nel 2007 al National Museum of Contemporary Art di Seoul. Attualmente vive e lavora a New York.
Pansemic Polisemic Monosemic (Degrees of abstraction after Jacques Bertin),1974 Stampa e collage su due cartoni in unica cornice, cm 103x92 Flavio Caroli, Parola-Immagine, Edizioni Fabbri, Milano, 1979 David Kuspit, Bernar Venet: Le Sublime par le matematique, Editons de l'Yeuse, 2002
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