“Molto tempo fa, quando i nonni di oggi erano bambini, o addirittura non erano ancora nati, papà, mamma, Mary, Laura e la piccola Carrie se ne andarono dalla loro casetta nei Grandi Boschi del Wisconsin. Partirono, lasciandola sola e vuota nella radura tra gli alberi, e non la videro mai più. Andavano nel paese degli Indiani...”
UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Laura Ingalls Wilder La casa nella prateria traduzione dall’inglese di Paola Mazzarelli ISBN 978-88-3624-049-4 Seconda edizione italiana dicembre 2020 ristampa 6 5 4 3 2 1 0 anno 2024 2023 2022 2021 2020 © 2016 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo dell’edizione originale: Little House on the Prairie © 1935, 1963 Little House Heritage Trust Pubblicato per la prima volta nel 1935 Prima edizione rivisitata 1953 Prima edizione Harper Trophy 1971 La presente edizione è pubblicata in accordo con HarperCollins Publishers - New York, Usa
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Laura Ingalls Wilder
La casa nella prateria
traduzione dall’inglese di Paola Mazzarelli
Nota del traduttore Papà Ingalls suona con il violino canzoni della seconda metà dell’Ottocento, per la maggior parte ancora note oggi. Si tratta per lo più di ballate scozzesi e irlandesi, canzoni western, canti di minatori e di cercatori d’oro, marce militari, filastrocche. A volte modifica leggermente le parole per adattarle al contesto in cui canta. In altri casi, della stessa canzone esistono versioni diverse. Anche nella traduzione si è cercato di adattare le parole al contesto, se necessario staccandosi dall’originale. Se vuoi ascoltarle, le trovi tutte su YouTube digitando i titoli originali elencati qui di seguito. Pag. 32: Daisy Deane Pag. 40: The Gypsy King Pag. 41: Arkansas Traveler, Irish Waterwoman, Devil’s Hornpipe Pag. 41: Old Dan Tucker Pag. 48: Roll on Silver Moon Pag. 117: Bye, baby bunting Pag. 121: Green Grows the Laurel Pag. 128: There is a Happy Land Pag. 135: The Blue Juniata Pag. 147: Bean Porridge Hot (la versione più comune è Peas Porridge Hot) Pag. 191: Oh Susanna Pag. 192: Dixie’s Land Pag. 192: The Battle Cry of Freedom Pag. 193: Gum Tree Canoe
Verso Ovest
Molto tempo fa, quando i nonni di oggi erano bambini, o addirittura non erano ancora nati, papà, mamma, Mary, Laura e la piccola Carrie se ne andarono dalla loro casetta nei Grandi Boschi del Wisconsin. Partirono, lasciandola sola e vuota nella radura tra gli alberi, e non la videro mai più. Andavano nel paese degli Indiani. Papà diceva che ormai nei Grandi Boschi c’era troppa gente. A Laura capitava spesso di sentire i colpi sonanti di un’ascia che non era quella di papà, o l’eco di uno sparo che non veniva dal suo fucile. Il sentiero che passava davanti alla casa era diventato una strada e quasi ogni giorno lei e Mary smettevano di giocare per correre a guardare stupite un carro che passava di lì cigolando. Gli animali selvatici se ne sarebbero andati da un posto dove c’era tanta gente. E anche papà voleva andarsene. A lui piacevano i posti dove gli animali selvatici non avevano paura dell’uomo. Gli piaceva vedere i cerbiatti e la loro mamma che lo spiavano dal folto del bosco e gli orsi grassi e pigri che si abbuffavano di bacche. Nelle lunghe sere invernali descriveva a mamma le terre dell’Ovest. Là era tutta pianura e non c’erano alberi. L’erba cresceva alta e folta. Gli animali selvatici trovavano abbondanza di cibo, come 5
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in un pascolo immenso che si stendesse a perdita d’occhio. E non c’erano coloni. C’erano solo gli Indiani. Un giorno, alla fine dell’inverno, disse a mamma: «Dato che non hai obiezioni, ho deciso di andare a dare un’occhiata all’Ovest. Ho avuto un’offerta per questa casa, è quanto di meglio possiamo sperare di ricavarne e basterà per ricominciare da un’altra parte» «Oh, Charles, ma dobbiamo partire proprio ora?» disse mamma. Faceva ancora tanto freddo e la loro casetta era così calda e accogliente! «Se vogliamo andare quest’anno, dobbiamo partire adesso» disse papà. «Bisogna passare il Mississippi prima che il ghiaccio si spacchi». Fu così che papà vendette la casetta. Vendette anche la vacca e il vitello. Poi costruì degli archi di noce da fissare al cassone del carro e mamma lo aiutò a tenderci sopra un telone bianco. Un mattino, prima che albeggiasse, mamma svegliò Mary e Laura scuotendole con dolcezza. Alla luce del fuoco e delle candele le lavò, le pettinò e le vestì con gli abiti più caldi che avevano: mutandoni lunghi di flanella rossa, sottoveste di lana, vestito di lana e calze lunghe, anche quelle di lana. E poi ancora il cappotto e il cappuccio di pelo di coniglio e le muffole di lana rossa. Tutto quello che c’era in casa era stato caricato sul carro, tranne i letti, i tavoli e le sedie. Di quelli non avevano bisogno, perché papà ne avrebbe costruiti di nuovi. C’era ancora un sottile strato di neve per terra. L’aria era fredda, muta e buia. Dietro gli alberi spogli occhieggiavano gelide stelle. Ma a oriente il cielo era un poco più chiaro e dal grigio del bosco emersero lumi e carri e cavalli che portavano la nonna e il nonno, zii, zie e cugini. 6
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Mary e Laura se ne stavano lì, ognuna con la sua bambola di pezza stretta al petto, e non fiatavano. Anche i cugini stavano tutti impalati lì attorno, a occhi sgranati. Ma la nonna e le zie le baciarono e le abbracciarono e le baciarono di nuovo. Papà appese il fucile a un arco del carro, sotto il telone, in modo che fosse a portata di mano. Sotto il fucile appese la borsa dei proiettili e il corno della polvere. Poi sistemò con cura la custodia del violino in mezzo ai cuscini, perché gli scossoni non danneggiassero lo strumento. Gli zii lo aiutarono ad attaccare i cavalli. Ai cugini venne ordinato di dare un bacio a Mary e a Laura, perché stavano per partire. Poi papà le prese in braccio, prima Mary, poi Laura, e le sistemò sul letto approntato in fondo al carro. Aiutò mamma a salire sul sedile davanti e la nonna le porse la piccola Carrie. Poi con un salto salì anche lui e allora Jack, il loro bulldog pezzato, si infilò sotto il carro. Così se ne andarono. E poiché tutte le imposte erano chiuse, la loro casetta di tronchi non li vide partire. Se ne restò là, dietro lo steccato, accanto alle due grandi querce che d’estate formavano un bel tetto verde sotto cui andare a giocare. E di lei non seppero più nulla. Papà aveva promesso a Laura che all’Ovest avrebbe visto un papoose. «Che cos’è?» aveva chiesto lei. «Un piccolo pellerossa, un bambino indiano». Per un bel pezzo attraversarono solo boschi innevati, poi arrivarono a Pepin. Mary e Laura ci erano già state una volta, ma ora il paese aveva un aspetto molto diverso. La porta dell’emporio e quelle delle case erano chiuse, i ceppi erano coperti di neve e non c’erano bambini che giocavano per la strada. Tra i ceppi c’erano grandi cataste di legna e in giro si vedeva solo qualche uomo, con stivali, berretto di pelliccia e giaccone a quadri. 7
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Mentre papà barattava le sue pelli con cose che sarebbero servite durante il viaggio, mamma, Mary e Laura fecero colazione sul carro con pane e melassa, e i cavalli mangiarono un po’ di biada nella musetta. Non potevano fermarsi a lungo in paese, perché bisognava attraversare il lago quel giorno stesso. Il lago era una immensa distesa piatta, liscia e bianca, che si stendeva fino a dove cominciava il cielo grigio. Dalla sponda partivano delle tracce di carro, che però non si capiva dove andassero: le vedevi finire nel nulla. Papà portò il carro su quelle tracce. Sul ghiaccio gli zoccoli dei cavalli facevano un sordo clop clop clop e le ruote cigolavano. Dietro di loro il paese divenne sempre più piccolo, finché perfino l’emporio non fu che un puntino in lontananza. Intorno al carro non c’era nulla, solo un grande spazio vuoto. A Laura non piaceva quel posto, ma c’era papà seduto lì davanti e c’era Jack sotto il carro. E finché papà e Jack era vicini, lei sapeva che non poteva succederle nulla. Finalmente il carro risalì una sponda di terra e si videro di nuovo degli alberi. C’era perfino una casetta di tronchi, in mezzo agli alberi. Sicché Laura si sentì subito rassicurata. In quella casa, però, non abitava nessuno. Era solo un posto dove potevi fermarti a dormire. Una casettina minuscola, e strana, con un grande camino e tavolati lungo le pareti. Ma quando papà ebbe acceso il fuoco, dentro fece subito caldo. Quella notte loro due dormirono con mamma e la piccola Carrie in un letto sul pavimento, vicino al camino. Papà invece andò a dormire fuori, sul carro, per fare la guardia alle loro cose e ai cavalli. Durante la notte, Laura si svegliò per un rumore strano, che non aveva mai sentito. Era come uno sparo, ma più forte e più prolungato. Ogni tanto lo risentiva. Stava lì con le orecchie tese e non riusciva 8
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a dormire. Ma poi la voce dolce di mamma disse nel buio: «Dormi, Laura. È solo il ghiaccio che si spacca». L’indomani mattina papà disse: «Ci è andata bene, Caroline. Non mi stupirei che oggi il ghiaccio cominciasse a cedere. È un po’ tardi per attraversare, ormai. Per fortuna non ha cominciato a spaccarsi quando eravamo là in mezzo» «Sì, ci ho pensato anch’io, ieri» mormorò mamma. Laura invece non ci aveva pensato. Cominciò a pensarci ora. Che sarebbe successo se il ghiaccio si fosse spaccato sotto le ruote del carro e in mezzo a quel lago sterminato fossero finiti tutti nell’acqua gelida? «Charles, c’è qualcuno qui che si spaventa» disse mamma. Allora papà strinse Laura tra le sue braccia forti e rassicuranti. «Abbiamo passato il Mississippi!» gridò tutto allegro. «Che te ne pare, scricciolo? Sei contenta di andare all’Ovest, dove vivono gli Indiani?» Laura disse di sì. E chiese se lì era già il paese degli Indiani. No, non erano ancora arrivati. Quello era il Minnesota. Ci volle molto, moltissimo tempo per arrivare nel territorio indiano. Ogni giorno viaggiavano finché i cavalli reggevano; ogni notte si accampavano in un luogo diverso. Ma qualche volta capitava che dovessero fermarsi per diversi giorni in uno stesso posto, perché c’era un fiume in piena e per passare dall’altra parte bisognava aspettare che le acque scemassero. Impossibile tenere il conto di quanti corsi d’acqua attraversarono. Videro posti stranissimi, con alture tutte piene di alberi, e posti ancora più strani, senza nemmeno un albero. I fiumi li passavano su lunghi ponti di legno. Poi arrivarono a un fiume larghissimo, con l’acqua gialla. E lì il ponte non c’era. Quello era il Missouri. Papà fece salire il carro su una zattera e poi se ne stettero tutti lì, zitti e muti, ad aspettare che la zattera 9
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lasciasse la terraferma e piano piano attraversasse tutta quell’acqua in corsa, gialla e fangosa. Passarono altri giorni e arrivarono di nuovo tra le montagne. In una valle il carro si impantanò in un fango nero e spesso. Pioveva a dirotto, con tuoni e fulmini. Non ci fu modo di accamparsi e accendere il fuoco. Dovettero restare sul carro, al freddo e all’umido, e accontentarsi di mangiucchiare qualcosa senza poterlo scaldare. L’indomani papà trovò un posto dove accamparsi, sul fianco di un’altura. Aveva smesso di piovere, ma ci volle una settimana prima che la piena rientrasse e il fango si seccasse abbastanza perché si potessero liberare le ruote. Un giorno, mentre erano lì ad aspettare, dal bosco uscì un uomo alto e magro, su un piccolo cavallo nero. Stette un po’ a parlare con papà, poi tutti e due andarono nel bosco e quando tornarono anche papà montava un piccolo cavallo nero. Aveva scambiato i suoi due bai, che ormai non ce la facevano più, con quei due cavallini. Erano mustang. «Sono cavalli piccoli, ma forti come muli e docili come micini» disse papà. Avevano grandi occhi miti e dolci, coda e criniera lunghe, zampe sottili e piedi molto più piccoli e veloci dei cavalli dei Grandi Boschi. Laura volle sapere come si chiamavano e papà disse che i nomi potevano sceglierli lei e Mary. Mary ne chiamò uno Pet e Laura chiamò l’altro Patty. Quando il ruggito del fiume si fece meno forte e la strada meno fangosa, papà liberò le ruote, attaccò Pet e Patty al carro e ripresero il cammino. Con quel carro coperto erano arrivati fin là dai Grandi Boschi del Wisconsin, attraversando il Minnesota, lo Iowa e il Missouri, e per tutto quel tempo Jack li aveva sempre seguiti trotterellando lì sotto, dietro le zampe dei cavalli. Ora dovevano attraversare il Kansas. 10
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Il Kansas era una sterminata pianura coperta di erba alta che ondeggiava al vento. Viaggiarono per giorni, senza vedere altro che erba e cielo. Il cielo era una cupola immensa che scendeva in un cerchio perfetto fino a congiungersi con la terra piatta e in quel cerchio il carro era sempre esattamente al centro. Per tutto il giorno Pet e Patty continuarono ad andare, al trotto, poi al passo, poi di nuovo al trotto, e non uscirono mai dal centro di quel cerchio. Al tramonto il cerchio era ancora là, intorno a loro, ma il bordo del cielo era diventato rosa. Poi a poco a poco la terra si fece nera. In mezzo a tutta quell’erba il vento mandava un suono lamentoso. Il fuoco del campo pareva piccolo, come sperduto in quella vastità. Ma le stelle appese in cielo erano enormi e così vicine che a Laura sembrava di poterle quasi toccare. Il giorno dopo fu uguale al giorno prima: stessa terra piatta, stesso cielo. E sempre quel cerchio tutt’attorno. Laura e Mary cominciavano ad averne abbastanza. Non c’era niente da fare e mai niente di nuovo da vedere. Il letto era nella parte posteriore del carro e sul letto era stesa una coperta grigia. Laura e Mary stavano sedute lì. Lungo le fiancate il telone era arrotolato e legato in alto, sicché il vento della prateria entrava nel carro e scompigliava e strattonava i lisci capelli castani di Laura e i riccioli d’oro di Mary. E la luce era così forte che ti faceva strizzare gli occhi. Ogni tanto un leprotto schizzava via davanti al carro e scompariva a balzi nell’erba ondeggiante. Ma Jack non ci badava. Anche lui era stanco, poverino, e gli dolevano le zampe da tanto camminare. Non finivano mai, gli scossoni del carro. Non finiva mai, lo schiocco del telone nel vento. Dietro il carro correva la debole traccia delle ruote nell’erba, interminabile, sempre uguale. La schiena di papà era curva, le redini cadevano lasche, la sua barba sbatteva nel vento. Mamma gli stava seduta accanto, dritta, 11
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muta, con le mani in grembo. La piccola Carrie dormiva in un incavo tra i fagotti più soffici. «Ah-aohh!» fece Mary sbadigliando. E Laura disse: «Non possiamo scendere e correre dietro il carro, Ma? Le mie gambe sono stufe di stare sedute». «No, Laura» disse mamma. «Ci fermiamo tra poco?» Sembrava passata un’eternità da quando avevano pranzato seduti nell’erba, all’ombra del carro. «Ancora no. È troppo presto per accamparci» disse papà. «Voglio fermarmi adesso! Sono stufa!» «Laura!» disse mamma. Solo quello. Ma significava “smettila di lagnarti”. Perciò Laura smise di lagnarsi a voce alta. Ma continuò a lagnarsi in silenzio dentro di sé. Le facevano male le gambe. Il vento le stropicciava i capelli. Era stufa di quell’erba sempre uguale, stufa degli scossoni del carro, stufa che non succedesse mai niente. «Laggiù c’è un fiume» disse papà. «Li vedete quegli alberi, bambine?» Laura si alzò in piedi, aggrappandosi a un arco del carro. Là davanti, in lontananza, si vedeva una bassa macchia scura. «Quelli sono alberi» disse papà. «Lo si capisce dalla forma delle ombre. In questi posti, alberi significa acqua. È là che ci accampiamo, questa sera».
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Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Grafica Veneta spa (Trebaseleghe, PD) nel mese di dicembre 2020
Laura Elizabeth Ingalls Wilder (Pepin, 1867 - Mansfield, 1957) aveva appena quattro anni quando suo padre decise di lasciare il Wisconsin per cominciare una nuova vita nei territori messi a disposizione dei coloni dal governo americano. Fu solo il primo dei numerosi spostamenti che la famiglia dovette affrontare in quegli anni. Studentessa brillante, nonostante i lunghi soggiorni in zone isolate e prive di scuole, Laura riuscì a coronare il sogno di dedicarsi all’insegnamento. Dalle sue memorie sviluppò la saga letteraria Little House, che ebbe un grandissimo successo. Dal terzo dei nove volumi scritti dalla Ingalls, prese avvio l’omonima serie televisiva, che in Italia è andata in onda innumerevoli volte ed è amatissima, come ovunque nel mondo.
“Oggi il lettore italiano sembra chiedere alla letteratura qualcosa di diverso: paesaggi rurali, piccole città e fattorie isolate. È l’altra America, che in Italia arrivò per la prima volta con un telefilm degli anni Settanta decisamente iconico: La casa nella prateria” Vanni Santoni, la Lettura - Corriere della Sera
“La Ingalls è perfetta nel raccontare la meraviglia dell’erba che vibra nel vento, la vita spartana in armonia con la natura, le vicissitudini, le battaglie, le malattie, la solidarietà” Bruno Ventavoli, ttL - La Stampa
“Alla fine ogni episodio diventa una magnifica avventura dove sono i valori dell’amicizia, del rispetto e della solidarietà a far superare le difficoltà, e dove prevalgono i gesti semplici e genuini” Francesca De Sanctis, l’Unità
Immagine di copertina: © Krasimira Petrova Shishkova / Trevillion Images Illustrazioni e lettering: Pemberley Pond Progetto grafico: Camille Barrios / ushadesign
In viaggio verso il Kansas con la famiglia Ingalls. La vita nella prateria è difficile e talvolta pericolosa, ma papà, mamma, Mary, Laura e la piccola Carrie sono felici di realizzare il sogno di una nuova vita.
Laura era felice. Il vento frusciava tra l’erba, le cavallette frinivano nella prateria, dagli alberi laggiù, lungo il fiume, giungeva un lieve, ininterrotto ronzio. Ma tutti quei rumori insieme formavano un grande, caldo, felice silenzio. Nessun posto le era mai piaciuto tanto quanto le piaceva quello.
La serie completa: 1. La casa nella prateria 2. Sulle rive del Plum Creek 3. Sulle sponde del Silver Lake 4. Il lungo inverno
5. Piccola città del West 6. Gli anni d’oro 7. I primi quattro anni Nei Grandi Boschi del Wisconsin La storia di Almanzo