Consigliato dai ai anni
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Crossa al centro!
Darwin Pastorin è nato a San Paolo del Brasile nel 1955, figlio di emigranti veneti. Il piccolo italiano è cresciuto in Rua Nossa Senhora de Lourdes, giocando a calcio in strada con coetanei di tutte le nazionalità. S’intendevano attraverso il pallone. A 12 anni, già rientrato a Torino, venne preso in considerazione come centravanti dagli osservatori della Juventus. Diventato giornalista e scrittore, si è sempre occupato di sport con passione e cultura. Con Gallucci ha pubblicato anche Ragazzi, questo è il calcio!, I segreti dei mondiali, Il grande giorno della mia prima partita e, insieme al figlio Santiago, Io, il calcio e il mio papà.
Darwin Pastorin Darwin Pastorin
La tentazione di non passare mai la palla. Lo sfottò paralizzante dei compagni. La timidezza piena di grinta dei difensori. L’incubo del rigore, l’esaltazione del goal. La scoperta del gioco di squadra… Francesco, Bobo, Alex, Paolo e i loro amici si preparano al campetto per la Grande Sfida. Sono i Ragazzi Invincibili, calciatori per gioco. Ma con quei nomi e con quei caratteri non potrà che essere un trionfo.
CROSSA
al centro!
UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni 11
Darwin Pastorin
Crossa al centro! disegni di Desiderio
Darwin Pastorin Crossa al centro!
disegni di Desiderio
ISBN 88-88716-77-7 Prima edizione giugno 2006 © Carlo Gallucci editore srl Roma ristampa 5 4 3 2 1 0 anno 2011 2010 2009 2008 2007 2006 9
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galluccieditore.com Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.
Capitolo 1
pagina 13
Capitolo 2
17
Capitolo 3
21
Capitolo 4
25
Capitolo 5
29
Capitolo 6
35
Capitolo 7
41
Capitolo 8
45
Capitolo 9
49
Capitolo 10
53
Capitolo 11
59
Capitolo 12
64
Capitolo 13
69
Capitolo 14
74
Capitolo 15
78
Capitolo 16
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Miei cari giovani calciatori, questo racconto l’ho scritto per voi. Per voi che credete a un calcio pulito, al tifo come passione, che fate la raccolta delle figurine e pensate ai campioni come a degli eroi positivi. Questa è la storia dei fantastici “Ragazzi Invincibili”, una squadra di periferia che vincerà non solo una partita importante, una sfida impossibile, ma che supererà un vero e proprio esame di maturità. Con carattere, con orgoglio, con amicizia. Ragazzi dotati di talento e di cuore. In un pallone nella bufera, travolto dagli scandali, ho pensato di dedicare a voi, che vivete il calcio ancora come un sogno, queste pagine. Forse sono un’illusione. Sicuramente rappresentano una speranza. Con affetto, il Mister
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ono stato un allenatore di calcio, un “mister”: mi sono occupato dei giovani aspiranti giocatori, insegnando loro i segreti del pallone; e a comportarsi bene nella vita di ogni giorno. Con rispetto, con educazione, con carattere. Il football ha rappresentato la mia passione fin dalla più tenera età. Giocavo, appena imparato a camminare, con un gomitolo di lana. Il mio primo avversario fu il gatto Michelino. Provai a diventare un giocatore professionista, giocavo centravanti, possedevo coraggio e un buon colpo di testa: ma la mia carriera si fermò in serie D. L’intervento da tergo di un difensore, quel “crack”, e addio sogni di gloria. Non fu facile rinunciare al campo, all’emozione della partita, agli odori dello spogliatoio, all’abbraccio dei compagni: persino alle lacrime della sconfitta. Sì, perché anche le lacrime avevano una loro tenerezza. Facevano parte del gioco. Di quel gioco che metteva insieme la lealtà, la furbizia, la forza, l’intelligenza, la bravura, la fatica. Potevi essere, nello stesso tempo, Ettore e Achille. 13
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E io non volevo abbandonare quel mondo. Non potevo più correre? Pazienza, mi sarei seduto su una panchina. Avrei fatto l’allenatore. Dei ragazzi. Per potere regalare loro il mio sogno. Il sogno del pallone. Di giorno, fino al crepuscolo, lavoravo in una libreria. Ho sempre avuto la passione dei libri, soprattutto quelli di avventura. Non ho studiato molto, i miei genitori non potevano permettersi troppe spese, con papà che lavorava in fabbrica, dopo aver fatto per anni l’emigrante, e la mamma casalinga. I libri mi hanno sempre fatto compagnia. Potrei citare a memoria certi duelli del Corsaro Nero o certe imprese di Sandokan e dei suoi Tigrotti di Mompracem, oppure ricordare quando imitavo il modo di parlare e di camminare di Huck Finn, o ancora quando partivo in alto mare alla caccia di Moby Dick, la balena bianca. Di giorno, me ne stavo tra quegli eroi muti. Quei miei amici silenziosi e sempre presenti. Verso sera venivo in questo quartiere e per tre ore c’eravamo solo noi: io, i giovani calciatori e cinque, sei palle di cuoio. Certo, il quartiere era diverso. C’erano i prati, c’era tanto verde, le madri seguivano i loro figli dai balconi, tra i panni stesi e i vasi di gerani. Oggi, guardatelo il quartiere: palazzi, palazzi, palazzi, sale-giochi, ragazzi che se ne stanno appoggiati a un muretto. Motorini. Nessuno gioca più. Nessuno corre più. Non sento più urlare: «Crossa al centro!» 14
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Ecco il bar. C’è ancora il vecchio Guglielmo a gestirlo, quello che ci portava le bottigliette d’acqua al campo e metteva in palio le merendine per i giocatori più bravi. «Ohi, Mister, ancora qui?» Gli è rimasta la voce roca, a Guglielmo. E quell’eterno grembiule bianco, che ne ha viste di macchie di pomodoro, vino e senape! «Cosa vuoi, amico mio», gli rispondo, schiarendomi la gola, “la nostalgia è una cara, brutta bestia. Convive con te. Ti segue come un’ombra. Dai, fammi il solito caffè, corto e bollente»
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«Io so come si chiama la tua nostalgia, Mister», mi dice Guglielmo, trafficando alla macchinetta, «si chiama la squadra dei “Ragazzi Invincibili”. Ma ti ricordi, Mister, ti ricordi quei campioncini?» «Sì, amico barista, ricordo, ricordo tutto, come fosse ieri…»
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gni anno cambiavo gruppo da allenare. I ragazzini, sugli undici-dodici anni, finito l’apprendistato sotto la mia guida, l’abc del calcio, andavano a provare per le squadre “vere”. Io ero per loro una specie di maestro delle elementari; cominciavano, sotto la mia guida, a calciare, stoppare, palleggiare, destro-sinistro-destro-sinistro, marcare, imparare il senso del collettivo: giocare più per gli altri che per se stessi. I ragazzi, quando cominciano a praticare il football, tendono a essere individualisti, soprattutto i più bravi. Preso il pallone, vogliono fare tutto loro: partire dalla loro porta e andare a segnare in quella avversaria. «Ascoltatemi», ripetevo fino a perdere la voce, «imprese simili appartengono soltanto ai fuoriclasse, cioè a quei calciatori capaci, da soli, con il loro talento, il loro intuito, di risolvere una partita. Ma calciatori così, nella storia del calcio, sono rari. Nascono a ogni stella cometa». A quel punto, raccontavo una storia. Una storia vera: «Dovete sapere che non sono nato in Italia, ma in Brasile: perché i miei genitori, come tanti altri poveri, 17
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rimasti senza niente, emigrarono dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nella loro città, Benevento, non c’erano che polvere e macerie. Così, chiusero alle loro spalle la porta di quel che rimaneva della loro casa, raggiunsero il porto di Napoli e partirono per il Brasile, con in mano soltanto una valigia di cartone e dentro il cuore una fiammella di speranza. Quella meta, per loro, in quel crepuscolo degli Anni Quaranta, era soltanto B-R-A-S-I-L-E, sette lettere a formare la possibilità di una rinascita, di un riscatto. «Dopo venti giorni di nave, lacrime e nostalgia, sbarcarono a Santos. Si ritrovarono in un altro mondo: ma subito accogliente, affascinante, colorato, con tanta musica e tanta gente allegra e disponibile. Affittarono una piccola casa in un piccolo rione dell’immensa San Paolo. Papà lavorava nell’industria di biciclette e motociclette di un ricco industriale di origini venete, il cavalier Giovanni, un tipo dai baffi folti e dai modi gentili. «Nel 1958, io avevo nove anni. I miei compagni di giochi, di calcio dovrei dire, perché era il nostro unico divertimento, erano i figli di mulatti, giapponesi, ebrei, polacchi, coreani. Tra di noi non esistevano differenze sociali, economiche, religiose, non importava il colore della nostra pelle. Eravamo bambini. Bambini felici dietro a quella palla, spesso formata da stracci legati insieme da uno spago. «Il Brasile, quell’anno, disputava la Coppa del Mondo in Svezia. Era la nazionale favorita, con una 18
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squadra votata allo spettacolo: Gilmar, elegante e serio, in porta; il possente Vavà centravanti; Garrincha, l’angelo dalle gambe storte, all’ala destra; e, con la maglia numero 10, giocava un giovanissimo fenomeno, destinato a diventare il più forte giocatore di tutti i tempi: Edson Arantes do Nascimento, detto Pelé, eguagliato, più tardi, solo dall’argentino Diego Armando Maradona. A nemmeno diciotto anni, rivoluzionò il calcio. Pelé, ex lustrascarpe in un paesino dello Stato del Minas Gerais, figlio di un calciatore fallito, si affermò nel Santos, prima di diventare la stella più lucente della coppa svedese. Sapeva fare di tutto: dalla rovesciata al colpo di testa, dal dribbling spiazzante al passaggio millimetrico. Il Brasile impazziva, letteralmente impazziva, per quel ragazzino. Era talmente bravo da giocare persino in porta! Eh sì, un tempo non esistevano le sostituzioni e quando un portiere s’infortunava il suo posto veniva preso da un com19
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Darwin Pastorin è nato a San Paolo del Brasile nel 1955, figlio di emigranti veneti. Il piccolo italiano è cresciuto in Rua Nossa Senhora de Lourdes, giocando a calcio in strada con coetanei di tutte le nazionalità. S’intendevano attraverso il pallone. A 12 anni, già rientrato a Torino, venne preso in considerazione come centravanti dagli osservatori della Juventus. Diventato giornalista e scrittore, si è sempre occupato di sport con passione e cultura. Con Gallucci ha pubblicato anche Ragazzi, questo è il calcio!, I segreti dei mondiali, Il grande giorno della mia prima partita e, insieme al figlio Santiago, Io, il calcio e il mio papà.
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La tentazione di non passare mai la palla. Lo sfottò paralizzante dei compagni. La timidezza piena di grinta dei difensori. L’incubo del rigore, l’esaltazione del goal. La scoperta del gioco di squadra… Francesco, Bobo, Alex, Paolo e i loro amici si preparano al campetto per la Grande Sfida. Sono i Ragazzi Invincibili, calciatori per gioco. Ma con quei nomi e con quei caratteri non potrà che essere un trionfo.
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