Delitto d'autore

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Alta Definizione Gallucci



Pablo Echaurren

Delitto d’autore


Pablo Echaurren Delitto d’autore dello stesso autore, in queste edizioni: Controstoria dell’arte Majakovskij Caffeina d’Europa ISBN 978-88-6145-511-5 Nuova edizione completamente rinnovata novembre 2013 Prima edizione 2002 ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2013 2014 2015 2016 2017

© 2013 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Il marchio FSC® garantisce che la carta di questo volume contiene cellulosa proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council®) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su www.fsc.org e www.fsc-italia.it Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.


A Fulvio Gicca Palli, panurgo demiurgo



“O quante volte furono vedute le impaurite schiere de’ delfini e de’ gran tonni fuggire da l’impia tua furia!” Leonardo da Vinci (Codice Arundel, f. 156 r.)



Ritratto dell’artista incompreso

«Sììì! Cosììì!» disse Miguel dopo l’ultima staffilata ben assestata di vermiglione. «Finish! Stop! Perfetto!» Di scatto prese il trin­ cetto e inflisse la piccola lacerazione al centro dell’opera. Era il suo marchio di fabbrica. «Morì ammazzati… con pezzi così li stendo tutti quanti ’sti cornutacci!» Bea sospirò in sordina, sapeva perfettamente che la vita sottoforma di appendice del genio, per di più incompreso, era una roba pesa, da prendere con le pinze, per via che l’artista è sempre preferibile non sfruculiarlo con dei forse, dei ma, dei chissà. Il quadro, appoggiato al muro, pulsava percorso da sgocciolamenti eloquenti, si lamentava solcato da arabeschi maneschi, urlava schiaffeggiato da schizzi violenti che slumacavano sulla superficie finendo per ingrommarsi sull’impiantito. Un che di sacrificale permeava l’ambiente ma non riusciva ad averla vinta sull’intenso odore di cavoli amari che ristagnava nell’aria e di cui erano impregnate le pareti del misero “sottoscala vista piedi” adibito a studio-abitazione. Generazioni di portinai vi aveva9


no vissuto e cucinato e ripassato in padella verze, broccoli, scorze nere, e soprattutto avevano imprecato contro i condòmini dei piani alti. «Cristo santo, è una bomba!» Miguel, i peli irsutizzati e la camicia madida di sudore per l’ansia e lo stress da sgravamento creativo, stava spossato e imbambolato a rimirarsi il suo big masterpiece, straconvinto di trovarsi di fronte al massimo della secrezione cerebrale che si potesse offrire a un’umanità immeritevole, colpevole, appecoronata alla critica stitica che incredibilmente gli negava il successo. Per terra giacevano i secchi di giallo, di blu, di rosso, di nero, gli stracci che, dopo aver sguazzato nel colore, erano stati roteati e gettati con sperimentata maestria contro la tela a tracciare oscure geometrie non euclidee, a lasciare fluire sbrilluccicanti rigagnoli densi di idee. Idee che a qualche sprovveduto potevano pure sembrare caotiche, confuse, ermetiche, ma erano circonfuse di quell’impenetrabilità che rende l’arte astratta attraente soprattutto a chi non ci capisce niente di niente ma se la vede bene sistemata e coordinata sul divano in tinta pinta o dietro la scrivania da aspirante tycoon. «Non ti pare anche a te?» Bea non se lo fece ripetere due volte e annuì consapevole fino al midollo che il genio non si contraddice mai e poi mai che sennò sono guai, guai grossi. Era poco più che una ragazzina fresca di accademia, una groupie con il suo medagliere di chi10


mere ancora da completare, una che finora aveva raccattato: a) un minimalista coll’ego sconfinato, b) un cyber-digitale che scannerizzava solo il proprio genitale purpureo, c) uno stagionato paesaggista passatista col fascino del bastiancontrario controcorrente e col conto corrente in grascia di dio. In certi momenti di consuntivo autodepressivo da adolescente precocemente adulterata che si guarda alle spalle e non vede un futuro davanti a sé, in quei momenti dolenti, si sentiva un po’ musa&getta, una mona lisa, una giovane gnocca sdrucita e consunta dal troppo darci dentro. Ma ora era accanto a Miguel e fantasticava: lui invitato alla Biennale mentre lei si pavoneggiava per la sala personale come una novella Gala, Dalì. «Deve ancora asciugare…» propose timidamente Bea. Sotto sotto confidava nel fatto che seccandosi il capolavoro sarebbe migliorato, ci avrebbe guadambiato, si sarebbe consolidato nella sua struttura di bruttura perseguita con cocciuta determinazione. Metodicamente Miguel iniziò la sommaria pulizia di mani, faccia e di tutto ciò che era entrato in contatto diretto o indiretto con le pezze rotanti: il suo torso era esile, il petto incavato, l’occhio spiritato, il ghigno increspato in un moto di soddisfazione e di rivalsa sul mondo intero che prima o poi avrebbe dovuto riconoscere l’assoluta grandezza di lavori come quello. 11


«Mi lavo» disse laconicamente congratulandosi con se stesso, meditando su quanto era andato avanti, anche tecnicamente, dai primi impacciati lanci in cui lo strofinaccio si spiattellava sulla biacca del fondo inerte peggio d’un polpo morto. Nudo come un oseo spolentato si buttò sotto la doccia malata e scatarrante a cercare sollievo. Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchette, chchch… Dopo aver scaricato le proprie pulsioni ci passava un’eternità sotto il getto di quella cipolla semi ostruita dalle incrostazioni di calcare, era insieme battesimo, rinascita, lavacro rigenerante, nonché ipnotico ritorno all’amniotico. Bea, paziente, si spogliò e lo raggiunse, prendendo a insaponargli caritatevolmente il bigolo pendulo, mostrandosi in vena di palpeggiamenti crocerossini, di sfregamenti pistolini, di saliscendi segantini. Lui si ritrasse, la respinse, non certo per ferirla col diniego sdegnoso dello scarso, di chi è poco o per niente voglioso, ma di chi, viceversa, intende preservare il vigore per altra e più nobile tenzone. «Dài, non insistere, lo sai che non posso ché stasera c’ho la performance» «Ma devi proprio?» Bea trovava la cosa leggermente disgustosa. «Certo che devo… voglio, è l’unico modo… Non lo vedi che quelli cercano di schiacciarci? Peggio… di ignorarci… Piccoli borghesucci ucci ucci… 12




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