Dio denaro issuu

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Karl Marx

Karl Marx

DIO DENARO disegni di Maguma introduzione di Luciano Canfora traduzione di Norberto Bobbio

Le crescenti disparità economiche tra la parte ricca e quella povera dei singoli Stati, e tra il Nord e il Sud del mondo, rendono più che mai viva la celebre invettiva di Karl Marx contro il potere del denaro, tratta dai Manoscritti economico-filosofici del 1844. All’epoca il giovane filosofo già criticava lo sviluppo di una società in cui i consumi e la bramosia di ricchezze crescevano a dismisura. In Dio Denaro Maguma (pseudonimo dell’artista spagnolo Marcos Guardiola Martín) immerge nel mondo contemporaneo le parole appassionate di Marx, qui tradotte da Norberto Bobbio, e, attingendo all’episodio biblico della Caduta dell’uomo, fonde gli spunti dall’arte espressionista e dalla tradizione indiana con l’immaginario della pubblicità. Il risultato, come sottolinea Luciano Canfora nella sua presentazione, è un racconto surreale e spietato del mondo attuale e del suo asservimento a un’insaziabile avidità.

ISBN 978-88-9348-192-2 Prima edizione italiana giugno 2017 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2021 2020 2019 2018 2017 © 2017 Carlo Gallucci editore srl - Roma

traduzione © Giulio Einaudi editore Spa - Torino

16 99

ISBN 978-88-9348-192-2

Stampato in India

gal l uc c i e d i to re. c o m

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Consigliato dai ai anni

Maguma

Titolo dell’edizione originale: God of Money by Marcos Guardiola © Tara Books - Chennai, India www.tarabooks.com

disegni di

Karl Marx Dio Denaro disegni di Maguma traduzione di Noberto Bobbio introduzione di Luciano Canfora

dio denaro

Dio Denaro

E 18,00

23/03/17 10:15


La proprietà privata ci ha resi così ottusi e unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi quando esso esiste per noi come capitale…

…o è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato, eccetera, in breve, quando viene da noi usato.

Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi…

…il senso dell’avere.

Ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio…

…per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica.

Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione…

…ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo.

Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere.

Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali.


La proprietà privata ci ha resi così ottusi e unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi quando esso esiste per noi come capitale…

…o è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato, eccetera, in breve, quando viene da noi usato.

Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi…

…il senso dell’avere.

Ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio…

…per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica.

Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione…

…ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo.

Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere.

Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali.


La proprietà privata ci ha resi così ottusi e unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi quando esso esiste per noi come capitale…

…o è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato, eccetera, in breve, quando viene da noi usato.

Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi…

…il senso dell’avere.

Ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio…

…per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica.

Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione…

…ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo.

Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere.

Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali.


La proprietà privata ci ha resi così ottusi e unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi quando esso esiste per noi come capitale…

…o è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato, eccetera, in breve, quando viene da noi usato.

Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi…

…il senso dell’avere.

Ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio…

…per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica.

Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione…

…ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo.

Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere.

Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali.


La proprietà privata ci ha resi così ottusi e unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi quando esso esiste per noi come capitale…

…o è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato, eccetera, in breve, quando viene da noi usato.

Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi…

…il senso dell’avere.

Ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio…

…per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica.

Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione…

…ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo.

Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere.

Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali.


La proprietà privata ci ha resi così ottusi e unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi quando esso esiste per noi come capitale…

…o è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato, eccetera, in breve, quando viene da noi usato.

Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi…

…il senso dell’avere.

Ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio…

…per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica.

Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione…

…ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo.

Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere.

Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali.


Segue da sinistra

Il Capitale, oggi

I

l Capitale di Karl Marx (ma anche il Manifesto) è oggi, al tempo stesso, un classico e un libro analitico di estrema attualità. Non è certo casuale che, all’indomani della fine dell’URSS – e quando l’incolta schiera dei pentiti gettava nei cassonetti intere collezioni di opere di Marx e di Engels – fu il “Wall Street Journal” a raccomandare invece la lettura del Capitale. Non deve far meraviglia che un tale quotidiano, votato alla difesa del capitalismo e per giunta nel paese in cui più il capitalismo si considera a riparo da scosse o traumi, raccomandasse la lettura del libro che ha analizzato, in modo tuttora insuperato, il meccanismo del profitto. Così come il presidente Mao rispose – a chi si stupiva dell’accoglienza riservata a Nixon in Cina – che preferiva trattare coi reazionari perché parlano chiaro, analogamente i devoti assertori delle ragioni del capitale, lungi dal travestirsi da “democratici”, preferiscono prendere atto dell’analisi comunista (o meglio marxista) del loro sistema, e cimentarsi con tale analisi, metterla a frutto a fini, per così dire, difensivi. La democrazia politica, in quanto metodo delle “decisioni prese a maggioranza”, non interessa né tanto meno affascina gli assertori delle ragioni del capitale giacché essi sanno…

Quello che io non posso come uomo, e quindi quello che le mie forze essenziali individuali non possono…

…lo posso mediante il denaro. Dunque il denaro fa di ognuna di queste forze essenziali qualcosa che esso in sé non è, cioè ne fa il suo contrario.

E se il denaro è il vincolo che mi unisce alla vita umana, che unisce a me la società, che mi collega con la natura e gli uomini, non è il denaro forse il vincolo di tutti i vincoli?

Non può esso sciogliere e stringere ogni vincolo?

Il denaro, in quanto è il mezzo e il potere esteriore universale di ridurre la rappresentazione a realtà e la realtà a semplice rappresentazione…

…trasforma le forze essenziali reali, sia umane che naturali… in penose fantasie.

La confusione e il rovesciamento di tutte le qualità umane e naturali, la fusione delle cose impossibili – la forza divina propria del denaro – risiede…

…nella sua essenza in quanto è l’essenza estraniata, che espropria e si aliena, dell’uomo come essere generico. Il denaro è il potere alienato dell’umanità.

Il Capitale, oggi

…che il capitalismo è un modo di organizzazione massimamente gerarchico, cioè agli antipodi delle “decisioni a maggioranza” (della cui sostanziale impraticabilità riceviamo peraltro quotidiane conferme). Analogamente gli avversari dell’organizzazione capitalistica del lavoro sanno benissimo che l’operaio di fabbrica è una figura sociale numericamente minoritaria e che non può certo attendersi difesa efficace e convintamente tenace da variegate, cangianti e di fatto inesistenti “maggioranze”. Entrambi i soggetti che si affrontano (lavoro salariato e capitale) sanno dunque di doversi giovare soprattutto delle loro specifiche “armi”, anche se va da sé che nella quotidianità cercano entrambi alleanze e, in paesi dalle consolidate tradizioni elettoralistiche, cercano anche, quanto possibile, di giovarsi di escamotage politicistici. Ma nel secolo nuovo, ormai da tempo lanciato nella sua corsa, alcune variabili sono sorte, che sarebbe errato trascurare, e altre divengono obsolete. Portando al massimo livello la sua natura di forza a carattere transnazionale, il capitale ha trovato a sua disposizione – ai quattro angoli del pianeta – un “esercito di riserva”, come Marx lo chiamò, immenso e reclutabile con salari adatti a schiavi (anche gli schiavi nell’antichità classica ottenevano un minuscolo “peculium”). Inoltre, è il capitale finanziario – cioè per definizione parassitario – che ha ormai in pugno i destini anche del capitale produttivo (e quello di interi paesi grazie ai “cartelli” bancari quali ad esempio quelli che governano la Dis-Unione europea). In tal modo il profitto si centuplica (e magari svanisce nel nulla, grazie a fortunate speculazioni, con un colpo di mail o di fax). La grande malavita planetaria, che ricicla masse ingenti di denaro “sporco”, fa ormai parte integrante del sistema, guidato dal capitale finanziario. Ciò è largamente percepito, ma la “libera” stampa non ha il permesso di parlarne apertamente. Il fascismo italiano, al confronto, era una specie di rumoroso e coreografico “esercito della salvezza”. C’è però l’altro versante: quello che, col suo lavoro, produce il profitto. Ma sarebbe errato pensare unicamente al soggetto otto-protonovecentesco dell’operaio di fabbrica come unico produttore di profitto. È l’intero apparato intellettuale-tecnico, che opera in tutti i gangli del sistema, che – col suo lavoro essenzialmente intellettuale – produce profitto. A questo punto non giova più rimirare il declino numerico dell’operaio di fabbrica: che costituisce una parte, ma sempre meno centrale, delle forze in conflitto. Il grande e nuovo soggetto è chi lavora col cervello e, con tale raffinato strumento, arricchisce altri ben più che se stesso. Negli interessati manca consapevolezza di ciò e, ancor più, manca la percezione che chi dispone di competenze e intelligenza non ha bisogno di un “patron” (individuale o collettivo) che intasca il grosso dei dividendi. La liberazione del lavoro è dunque, ancora una volta, agli inizi. Ma il conflitto parte da un punto più alto. Per avere operatori capaci, il capitale (sia finanziario che produttivo) deve pretendere – dai suoi sfruttati – il massimo di competenze. E dunque ancora una volta, come previsto da Marx, il capitale è costretto a fornire le “armi” (le competenze) al suo antagonista, a chi potrà, liberandosi, affossarlo, quando avrà acquisito consapevolezza di poter fare da sé. Luciano Canfora


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Il Capitale, oggi

I

l Capitale di Karl Marx (ma anche il Manifesto) è oggi, al tempo stesso, un classico e un libro analitico di estrema attualità. Non è certo casuale che, all’indomani della fine dell’URSS – e quando l’incolta schiera dei pentiti gettava nei cassonetti intere collezioni di opere di Marx e di Engels – fu il “Wall Street Journal” a raccomandare invece la lettura del Capitale. Non deve far meraviglia che un tale quotidiano, votato alla difesa del capitalismo e per giunta nel paese in cui più il capitalismo si considera a riparo da scosse o traumi, raccomandasse la lettura del libro che ha analizzato, in modo tuttora insuperato, il meccanismo del profitto. Così come il presidente Mao rispose – a chi si stupiva dell’accoglienza riservata a Nixon in Cina – che preferiva trattare coi reazionari perché parlano chiaro, analogamente i devoti assertori delle ragioni del capitale, lungi dal travestirsi da “democratici”, preferiscono prendere atto dell’analisi comunista (o meglio marxista) del loro sistema, e cimentarsi con tale analisi, metterla a frutto a fini, per così dire, difensivi. La democrazia politica, in quanto metodo delle “decisioni prese a maggioranza”, non interessa né tanto meno affascina gli assertori delle ragioni del capitale giacché essi sanno…

Quello che io non posso come uomo, e quindi quello che le mie forze essenziali individuali non possono…

…lo posso mediante il denaro. Dunque il denaro fa di ognuna di queste forze essenziali qualcosa che esso in sé non è, cioè ne fa il suo contrario.

E se il denaro è il vincolo che mi unisce alla vita umana, che unisce a me la società, che mi collega con la natura e gli uomini, non è il denaro forse il vincolo di tutti i vincoli?

Non può esso sciogliere e stringere ogni vincolo?

Il denaro, in quanto è il mezzo e il potere esteriore universale di ridurre la rappresentazione a realtà e la realtà a semplice rappresentazione…

…trasforma le forze essenziali reali, sia umane che naturali… in penose fantasie.

La confusione e il rovesciamento di tutte le qualità umane e naturali, la fusione delle cose impossibili – la forza divina propria del denaro – risiede…

…nella sua essenza in quanto è l’essenza estraniata, che espropria e si aliena, dell’uomo come essere generico. Il denaro è il potere alienato dell’umanità.

Il Capitale, oggi

…che il capitalismo è un modo di organizzazione massimamente gerarchico, cioè agli antipodi delle “decisioni a maggioranza” (della cui sostanziale impraticabilità riceviamo peraltro quotidiane conferme). Analogamente gli avversari dell’organizzazione capitalistica del lavoro sanno benissimo che l’operaio di fabbrica è una figura sociale numericamente minoritaria e che non può certo attendersi difesa efficace e convintamente tenace da variegate, cangianti e di fatto inesistenti “maggioranze”. Entrambi i soggetti che si affrontano (lavoro salariato e capitale) sanno dunque di doversi giovare soprattutto delle loro specifiche “armi”, anche se va da sé che nella quotidianità cercano entrambi alleanze e, in paesi dalle consolidate tradizioni elettoralistiche, cercano anche, quanto possibile, di giovarsi di escamotage politicistici. Ma nel secolo nuovo, ormai da tempo lanciato nella sua corsa, alcune variabili sono sorte, che sarebbe errato trascurare, e altre divengono obsolete. Portando al massimo livello la sua natura di forza a carattere transnazionale, il capitale ha trovato a sua disposizione – ai quattro angoli del pianeta – un “esercito di riserva”, come Marx lo chiamò, immenso e reclutabile con salari adatti a schiavi (anche gli schiavi nell’antichità classica ottenevano un minuscolo “peculium”). Inoltre, è il capitale finanziario – cioè per definizione parassitario – che ha ormai in pugno i destini anche del capitale produttivo (e quello di interi paesi grazie ai “cartelli” bancari quali ad esempio quelli che governano la Dis-Unione europea). In tal modo il profitto si centuplica (e magari svanisce nel nulla, grazie a fortunate speculazioni, con un colpo di mail o di fax). La grande malavita planetaria, che ricicla masse ingenti di denaro “sporco”, fa ormai parte integrante del sistema, guidato dal capitale finanziario. Ciò è largamente percepito, ma la “libera” stampa non ha il permesso di parlarne apertamente. Il fascismo italiano, al confronto, era una specie di rumoroso e coreografico “esercito della salvezza”. C’è però l’altro versante: quello che, col suo lavoro, produce il profitto. Ma sarebbe errato pensare unicamente al soggetto otto-protonovecentesco dell’operaio di fabbrica come unico produttore di profitto. È l’intero apparato intellettuale-tecnico, che opera in tutti i gangli del sistema, che – col suo lavoro essenzialmente intellettuale – produce profitto. A questo punto non giova più rimirare il declino numerico dell’operaio di fabbrica: che costituisce una parte, ma sempre meno centrale, delle forze in conflitto. Il grande e nuovo soggetto è chi lavora col cervello e, con tale raffinato strumento, arricchisce altri ben più che se stesso. Negli interessati manca consapevolezza di ciò e, ancor più, manca la percezione che chi dispone di competenze e intelligenza non ha bisogno di un “patron” (individuale o collettivo) che intasca il grosso dei dividendi. La liberazione del lavoro è dunque, ancora una volta, agli inizi. Ma il conflitto parte da un punto più alto. Per avere operatori capaci, il capitale (sia finanziario che produttivo) deve pretendere – dai suoi sfruttati – il massimo di competenze. E dunque ancora una volta, come previsto da Marx, il capitale è costretto a fornire le “armi” (le competenze) al suo antagonista, a chi potrà, liberandosi, affossarlo, quando avrà acquisito consapevolezza di poter fare da sé. Luciano Canfora



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