Alta Definizione Gallucci
Carlo Lucarelli presenta
Esercizi di riscaldamento di Bottega Finzioni a cura di Jacopo Donati e Giampiero Rigosi
Carlo Lucarelli presenta Esercizi di riscaldamento di Bottega Finzioni ISBN 978-88-6145-713-3 Prima edizione maggio 2014 ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0
anno 2014 2015 2016 2017 2018
© 2014 Carlo Gallucci editore srl - Roma Questa antologia è presentata da Carlo Lucarelli, realizzata da Bottega Finzioni, a cura di Jacopo Donati e Giampiero Rigosi con la collaborazione di Eva Brugnettini e Marina Sangiorgi.
Il marchio FSC® garantisce che la carta di questo volume contiene cellulosa proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Fo rest Stewardship Council®) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su www.fsc.org e www.fsc-italia.it Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.
La scrittura è allenamento Carlo Lucarelli
Scrivere è un mestiere faticoso. Per farlo bene non basta sedersi alla scrivania e accendere il computer, e anche quando si trovano pazienza e concentrazione, si è solo all’inizio. Sono stati scritti centinaia di manuali su come diventare grandi scrittori, ma la verità è che nessuno può insegnarlo. Dipende da un elemento inspiegabile che possiamo chiamare talento, e dalla volontà di imparare. Si impara a scrivere come un tuffatore si allena per migliorare l’entrata in acqua. Tuffo dopo tuffo impara a tenere le gambe ben tese, i piedi dritti e a inarcare la schiena nel momento giusto. È questione di pratica e ripetizione, ed è ciò che fanno gli allievi di Bottega Finzioni. Imparare a raccontare è come imparare a tuffarsi. È come assimilare un movimento che di fisico non ha nulla ma nasce nell’immaginazione e poi, quasi per magia, finisce su carta. La magia non c’entra, ovviamente. C’entra la ri petizione di un gesto fino a quando questo non diventa naturale. E se si è fortunati, quando si trova la giusta concentrazione le parole sembrano uscire da sole, una in fila all’altra. È quella che un grande narratore come Don DeLillo chiama “la zona”: uno 7
stato mentale tipico degli atleti di cui a volte anche gli scrittori beneficiano. Ma per entrare in questa zona bisogna prima allenarsi a lungo. In fin dei conti sport e scrittura sono attività più vicine di quel che sembra. I racconti che state per leggere sono stati scritti da allievi di una scuola di narrazione che si trova a Bologna e si chiama Bottega Finzioni. Alcuni professionisti della scrittura – tra cui il sottoscritto – hanno guidato questi esordienti perché riuscissero a superare le difficoltà che di volta in volta si trovavano ad affrontare. Questi professionisti, in passato, si sono allenati sugli stessi esercizi, proprio come quando gli atleti diventano a loro volta allenatori e possono insegnare i trucchi e i metodi imparati nel corso della loro carriera. Perché la filosofia di Bottega Finzioni è proprio questa: far lavorare gomito a gomito, in un confronto continuo, chi sta cercando di imparare a raccontare storie e chi, facendolo già da tempo, si è trovato innumerevoli volte a confrontarsi con i problemi della narrazione. Molti di questi racconti sono stati pubblicati durante l’estate sul “Corriere della Sera” di Bologna. Di anno in anno gli allievi hanno affrontato temi come la prima volta, il sapore e la nostalgia. Sono temi all’apparenza semplici, ma che nascondono interi universi da esplorare. I protagonisti delle storie che compongono la raccolta sono alle prese non solo 8
con il primo appuntamento, ma anche con la prima volta in cui si sono liberati dalla paura; sperimentano la nostalgia per ciò che hanno perso, ma anche quella che fa impazzire; oppure hanno a che fare con il sapore di un paese straniero o della vittoria… Come atleti che devono ancora capire quale sarà la specialità in cui vogliono eccellere, alcuni degli scrittori di questa raccolta continueranno a cimentarsi nel racconto breve, altri preferiranno il romanzo, altri ancora, forse, cambieranno sport. Sono veri e propri esercizi di riscaldamento, questi, un allenamento in preparazione a quell’impegno quotidiano che, per alcuni, diventerà il mestiere dello scrittore. Poi, come accade appunto certe volte nello sport, capita che un ginnasta, mentre sta facendo un semplice esercizio preparatorio, ottenga a sorpresa un risultato eccezionale, batta un record, eguagli o addirittura superi un campione più famoso e più esperto. Quasi sempre episodi di questo genere tendono a rimanere nell’ombra, ignorati dai più, esclusi quei pochi che hanno avuto la fortuna di assistere all’evento. Questa raccolta vuole essere un tentativo di far conoscere alcune delle brevi narrazioni che, nate nel le aule di Bottega Finzioni, hanno raggiunto esiti particolarmente felici. Carlo Lucarelli 9
Esercizi di riscaldamento 1 La prima volta
La corsa Filippo Chiodi
Alle due del pomeriggio Castel Paone era deserto. Nelle case di mattoni cotti, dietro gli stipiti, la gente si riparava dalla calura. Tutto scivolava nel sonno. Io e mio fratello non eravamo obbligati a dormire, ma non potevamo nemmeno uscire. Il sole avrebbe cucinato un uovo sul tetto della vecchia Alfa, diceva la nonna sferruzzando prima di addormentarsi davanti alla televisione. In quelle ore tutto sembrava immobile. Fuori, anche il cane si sdraiava sotto la panca del portico, inamovibile all’ombra del glicine. Dentro, la luce, filtrando dalle serrande, lasciava nitidi contorni giallo intenso sul muro d’ombra. Le lenzuola fresche e il ronzio distinto di una mosca, volando senza pace. Sdraiati sui pavimenti di pietra, io e mio fratello giocavamo con le biglie dei ciclisti. Lui progettava percorsi con tubi di carta igienica, ma io lo battevo sempre. Il mio ciclista preferito era Arturo Cavatorta, il diavolo rosso, e la biglia con la sua foto era mitica, presa durante l’ennesima fuga solitaria da campione imbattuto, la fronte aggrottata, la bocca storta. Correva come un lampo ed era l’unico di 13
quelle zone la cui foto fosse mai finita sul giornale, ad eccezione del Malpighi, quando aveva dato fuoco alla moglie con un set di diavolina ed era fuggito per le colline sulla motozappa. In questi pomeriggi infiniti ci emozionavano i duelli con Arnoldo Kostner, il demone di ghiaccio, favorito da mio fratello, un trentino biondo che a me sembrava un po’ nazista. Le curve in piega, i tornanti in salita, gli stacchi in volata, le attese in scia, Giro d’Italia, Tour de France: che corse!, sdraiati per terra a tirar cricchi alle biglie. Durante quelle ore di siesta, all’età di tredici anni, aiutandomi con un gradino, riuscivo a salire sulla bici di nostro padre e a fare dei giri in cortile. Mio fratello, ancora troppo basso, mi guardava dalla panca di pietra, stuzzicando il cane addormentato con una paglia. Quando anche lui riuscì a salire, uno pedalando, l’altro seduto sulla sella, andammo fino al bar per un cremino e una partita a flipper. Intento a non sgocciolare il gelato, il mio sguardo si concentrò sulla bacheca, tra la sagra dell’alice e l’annuncio della processione della madonna del mare. La nuova strada che girava attorno alla collina andava inaugurata e il comune aveva indetto una corsa. Tra gli atleti convocati, Cavatorta e Kostner. Mio fratello, che seguiva le gare in televisione, aveva preparato una bottiglia d’acqua e un asciuga14
mano da passare a Kostner durante la corsa. Mi pareva una buona idea ma volevo fare di meglio. Il giorno della gara arrivò. La gente sonnecchiava sulle sedie di vimini a bordo strada, proteggendosi con ombrelloni a strisce gialle da spiaggia. Le bandierine colorate, i cesti coi panini. L’odore intenso del timo e delle altre erbe cotte dal sole giungeva a tratti cullato dal vento. In cortile, attaccato alla canna, riempii d’acqua la bacinella del bucato. Mentre gli altri bambini avrebbero aspettato nella piazza, io sarei andato oltre la salita degli ulivi, dove, finiti i tornanti, la corsa sarebbe passata sotto il cavalcavia del treno. Da lassù avrei potuto innaffiare Cavatorta. Trascinai la bacinella fino al punto scelto. Il sole seccava la gola. Guardavo gli ulivi, i tronchi contorti, piegati come la schiena e le dita di mia nonna. Un bel po’ d’acqua era schizzata fuori, ma ne rimaneva abbastanza. Il tempo passava ma gli atleti non si vedevano, faceva caldo e sentivo le palpebre chiudersi. Il frinire delle cicale l’unico suono distinguibile, quasi assordante. Con gli occhi a fessura guardavo le rotaie roventi, infinite sul selciato bianco. Mi ero ripromesso di non farlo, ma immersi la testa nella bacinella e chiusi gli occhi, un vago sapore di candeggina. Quando mi tirai su vidi il mare, non era la prima volta, ma pensai che in fondo ogni volta lo sembrava. 15
Saltellando su un piede, con la testa inclinata per togliere l’acqua dalle orecchie, mi arrivò il rumore dei copertoni sull’asfalto colloso. Spuntò Cavatorta, seguito a breve distanza da Kostner visibilmente spompato: non me li aspettavo così veloci in salita. Scattando afferrai per i manici la bacinella e la spinsi verso il bordo. Un po’ per la foga, un po’ per il peso, non riuscii a mantenere la presa e la bacinella mi scivolò. Un inferno di gavettone si riversò sul diavolo rosso, che perse il controllo e si schiantò sul guardrail. Rimasi nascosto per venti minuti mentre il mio mito scrutava la campagna per farmi la pelle. Prendendo a calci la bacinella di mia nonna inveiva per il record ormai perduto. Più tardi venni a sapere che anche Kostner era caduto, schiaffeggiato da un asciugamano umido. Vinse Papucci, per la prima volta.
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