Exodus

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Lo stillicidio divenne fiume e il fiume un diluvio di umanità. Ben presto l’esodo raddoppiò, triplicò la popolazione di Israele. L’economia del paese, già messa a dura prova dalla guerra, vacillò sotto quella piena migratoria. Molti arrivarono con poco più degli abiti che avevano indosso, molti erano vecchi, molti malati, molti analfabeti. Non si badò alle loro condizioni né al carico che cresceva sulle spalle della giovane nazione. Nessun ebreo fu respinto dalle soglie di Israele. Non fu un crogiolo, ma una pentola a pressione, perché gli immigrati venivano da ogni angolo della terra ed avevano vissuto sino allora nelle circostanze e negli ambienti più disparati. Città di tende e villaggi di baracche col tetto di lamiera spuntarono dal suolo, sfigurando il paesaggio, dalla Galilea al Nèghev. Centinaia di migliaia di persone vissero “sotto tela” o in capanne di fortuna. I servizi sanitari, scolastici, assistenziali si rivelarono sempre più insufficienti.


uG universale Gallucci



Leon Uris

Exodus


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Leon Uris Exodus traduzione di Augusta Mattioli ISBN 978-88-9348-373-5 Prima edizione italiana gennaio 2012 Nuova edizione italiana gennaio 2018 ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2018 2019 2020 2021 2022

© 2012 Carlo Gallucci editore srl Roma Pubblicato per la prima volta in lingua inglese con il titolo Exodus © 1958 Random House Inc. Tradotto in accordo con Knopf Doubleday Publishing Group, una divisione di Random House, Inc. Foto di copertina © Pascal Parrot/Sygma/Corbis L’editore ha cercato in ogni modo i titolari del diritto d’autore sulla traduzione di Augusta Mattioli, senza riuscire a rintracciarli. Si dichiara comunque a piena disposizione per l’assolvimento di quanto occorra nei loro confronti.

galluccieditore.com Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche (Bergamo) nel mese di dicembre 2017 Il marchio FSC® garantisce che la carta di questo volume contiene cellulosa proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su www.fsc.org e www.fsc-italia.it

Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.


Questo libro è dedicato a mia figlia Karen e ai miei figli Mark e Michael; e alla loro madre.



Premessa

La maggior parte delle vicende narrate in questo romanzo sono

eventi storici di dominio pubblico. Per esigenze narrative molte situazioni sono state inventate sulla base di fatti realmente avvenuti. È probabile che esistano nella realtà persone che hanno preso parte a eventi simili a quelli descritti. Non è quindi da escludere che alcune di esse possano venir confuse con i personaggi di questo romanzo. Ci tengo però a sottolineare che tutti i personaggi di Exodus sono creazione assoluta dell’autore e perciò completamente immaginari. Naturalmente fanno eccezione i personaggi storici del tempo, come Churchill, Truman, Pearson e altri, che appaiono con il loro nome. Per raccogliere il materiale necessario a questo libro ho percorso circa ottantamila chilometri. I metri di nastro inciso, il numero di interviste, le tonnellate di libri consultati, la quantità di pellicola impressionata e di dollari spesi raggiungono cifre non meno impressionanti. Per ben due anni decine e decine di persone mi hanno concesso il loro tempo, la loro attività, la loro fiducia. A ogni passo del mio cammino mi sono state consacrate fede e cooperazione davvero fuori del comune.

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Peccato che l’enormità del loro numero mi impedisca di ringraziare qui tutti coloro che mi hanno aiutato: il loro elenco basterebbe da solo a riempire un volume. Ma sarei davvero ingrato se non rendessi onore alle fatiche dei due uomini senza i quali non avrei mai potuto tradurre in realtà il mio romanzo. Spero di non stabilire un precedente pericoloso ringraziando pubblicamente il mio agente. L’idea di Exodus è nata da una conversazione avuta con lui un giorno mentre facevamo colazione, ed è diventata progetto concreto grazie alla tenace ostinazione di Malcolm Stuart, il quale si rifiutò di rinunciarvi nonostante una buona decina di pentimenti e di arresti da parte mia. Devo ringraziare con grande devozione Ilan Hartuv di Gerusalemme che mi preparò gli itinerari e percorse con me Israele, metro per metro, in treno, in aereo, in Vauxall e in Austin, in jeep e a piedi. E qualche volta il viaggio fu piuttosto faticoso. In particolare ringrazio Ilan di avermi messo a parte della sua vasta conoscenza dell’argomento.

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LIBRO PRIMO

Al di là del Giordano

…finché il Signore abbia concesso riposo ai vostri fratelli come lo ha dato a voi e finché anch’essi possiedano la terra che il Signore ha assegnato loro al di là del Giordano: e allora voi tutti rientrerete, ciascuno, nei vostri possessi che io vi ho dato. Parole di Dio a Mosè nel Deuteronomio



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Novembre 1946 Benvenuti a Cipro – William Shakespeare L’aereo sobbalzò lungo la pista e si fermò davanti all’enorme insegna: BENVENUTI A CIPRO. Mark Parker guardò fuori dal finestrino e vide in lontananza la stupenda frastagliatura del Picco delle Cinque Dita, punto culminante della catena costiera settentrionale. In un’ora circa avrebbe valicato in macchina il passo per scendere a Kyrenia. Avanzando nel corridoio si aggiustò la cravatta, abbassò le maniche della camicia che aveva rimboccate e infilò la giacca. “Benvenuti a Cipro, benvenuti a Cipro…” All’improvviso si ricordò. Era nell’Otello, ma non riusciva a rammentarsi il seguito della citazione. «Qualcosa da dichiarare?» gli chiese il funzionario della Dogana. «Due libbre di eroina pura e un manuale di arte pornografica» rispose Mark guardandosi in giro alla ricerca di Kitty. Tutti gli americani sono dei buffoni, pensò il funzionario lascian-

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dolo passare. Una hostess del servizio turistico governativo gli si avvicinò. «Siete Mr Mark Parker?» «Colpevole» «Mrs Kitty Fremont ha telefonato per avvertire che non poteva venirvi a ricevere all’aeroporto; vi prega di andare direttamente a Kyrenia, al Dome Hotel, dove vi ha fatto riservare una camera» «Grazie, angelo. Dove posso trovare un taxi che mi porti a Kyrenia?» «Penso io a procurarvelo, signore. Sarà cosa di pochi minuti» «E qui nei dintorni posso farmi fare una trasfusione?» «Certo, signore. Il bar è proprio in fondo al salone d’ingresso» Mark si appoggiò al banco e sorseggiò una tazza fumante di caffè nero… “Benvenuti a Cipro… Benvenuti a Cipro…” Non riusciva proprio a farsi venire in mente il resto. «Ma guarda!» tuonò una voce. «Mi pareva di avervi riconosciuto sull’aereo. Voi siete Mark Parker, vero? Scommetto che non vi ricordate di me». Ubicare il tizio in uno dei luoghi seguenti, pensò Mark. Roma, Parigi, Londra, Madrid (e cercare di mettere d’accordo esattamente luogo e tizio): il Bar di Josè, il Pub di James, l’Hideaway di Jacques, il Joint di Joe… A quel tempo ero corrispondente di guerra, di rivoluzione, d’insurrezione… Quella certa sera ero con una: bionda, bruna, rossa (o forse la ragazza aveva due teste). L’uomo gli stava davanti e parlava e parlava a perdifiato. «Sono quel tale che ordinò un martini, ma non avevano amaro all’arancio. Ora vi ricordate?» Mark sospirò, bevve un sorso di caffè per pren-

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dere forza e sostenere un altro assalto. «So che non farete che sentirvelo dire in continuazione, ma io leggo con vero entusiasmo i vostri articoli… Ma voi, ditemi, che cosa fate di bello a Cipro?» Dopo di che l’individuo strizzò l’occhio e gli diede un colpetto sulle costole. «Roba segreta, ci scommetto! Perché non ci troviamo a prendere qualcosa insieme? Sono alloggiato a Nicosia, al Palace». Un biglietto da visita si insinuò nella mano di Mark. «E ho anche qualche conoscenza qui». L’uomo strizzò di nuovo l’occhio. «Mr Parker, la macchina è pronta» Mark depose sul banco la tazza. «Felice di avervi visto» disse e uscì rapidamente. Mentre se ne andava lasciò cadere il biglietto da visita nel cestino dei rifiuti. Il taxi si avviò all’uscita dell’aeroporto. Comodamente appoggiato ai cuscini, chiuse gli occhi per un momento. Era contento che Kitty non fosse potuta venire ad incontrarlo. Era passato tanto tempo, e avevano tante cose da dirsi e da ricordare! Un’ondata di emozione lo attraversò al pensiero di rivederla. Kitty, la bella, la bella Kitty. Il taxi stava uscendo dai cancelli, e Mark era già perduto dietro ai suoi pensieri. …Katherine Fremont. Era una delle grandi tradizioni americane, come la torta di mele della mamma e i panini con la salsiccia calda e i Dodgers di Brooklyn. Sì, era la proverbiale “ragazza della porta accanto” e incarnava il classico tipo di monella con le treccine, le efelidi e l’apparecchio per raddrizzare i denti… E, sempre in omaggio al tipo, in seguito l’apparecchio era stato tolto, sulle labbra era comparso il rossetto, il pullover si era rigonfiato sul seno e il brutto anatroccolo si era trasformato in un cigno leggiadro. Mark sorrise fra sé – non era ancora così bella a quei tempi, ma tanto fresca e pulita!

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…e Tom Fremont. Anche lui era un’altra tradizione americana: il classico ragazzo con i capelli a spazzola e il sorriso infantile, che sapeva correre le cento yarde in dieci secondi, segnare un canestro da oltre dieci metri… e ballare come un disperato e rimettere insieme ad occhi chiusi una macchina modello A. Tom era stato il suo migliore amico da quando erano al mondo. Forse siamo stati svezzati insieme, pensò Mark. Tom e Kitty… Torta di mele e gelato alla panna… panini con la salsiccia e la mostarda. Il ragazzo americano tipo, la ragazza americana tipo, i tipici americani del Midwest, stato dell’Indiana. Sì, Tom e Kitty stavano bene insieme, come la pioggia e la primavera. Lei era sempre stata una ragazza silenziosa, molto raccolta, molto pensierosa. Nei suoi occhi c’era un’ombra di tristezza. Ma forse solo Mark aveva scoperto quella tristezza: infatti per tutti gli altri che le vivevano intorno Kitty era l’allegria fatta persona – una di quelle meravigliose “torri di forza”, sempre con le due mani sul timone, sempre con le parole appropriate sulla bocca, sempre corretta e avveduta. Ma c’era quella tristezza… A tutti gli altri era sfuggita, ma lui, Mark, se n’era accorto. Spesso si era chiesto che cosa la rendesse tanto desiderabile. Forse il fatto che gli era sembrata così irraggiungibile? Champagne ghiacciato – lo sguardo e le parole capaci di fare a pezzi un uomo… D’altronde Kitty era sempre stata la ragazza di Tom. Non gli restava altro che invidiargliela. Tom e Mark erano stati compagni di stanza all’università di stato. Il primo anno Tom non si sapeva rassegnare ad essere lontano da Kitty. Mark si ricordava di aver passato ore e ore ad ascoltare le desolate lamentele dell’amico e a cercare di consolarlo. Poi era venuta l’estate. Kitty era andata nel Wisconsin con i suoi genitori.

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Frequentava ancora le scuole medie, e forse anche la famiglia si era proposta di spegnere l’ardore di quell’amore con una separazione. Tom e Mark erano andati con l’autostop nell’Oklahoma a lavorare nei campi petroliferi. Quando si era riaperta la scuola Tom si era notevolmente calmato. Per non perdere la compagnia dell’amico si era dovuto gettare nell’arena, e così gli intervalli nella corrispondenza fra Tom e Kitty si allungarono, mentre si accorciavano gli intervalli negli appuntamenti che Tom dava alle ragazze dell’università. Sembrava proprio che tutto fosse finito fra l’eroe del college e la ragazza del paesello. Durante il secondo anno di studi Tom aveva completamente dimenticato Kitty. Era diventato il “Bel Brummell” dell’università, un ruolo che ben si adattava all’asso della squadra di pallacanestro. Quanto a Mark, si accontentava di riscaldarsi alla gloria dell’amico e di farsi fama come uno dei peggiori studenti di giornalismo della storia universitaria. Kitty arrivò all’università come matricola. Colpo di fulmine! Mark aveva un bel vederla migliaia di volte: la sua vista gli riusciva sempre eccitante come la prima. E anche Tom la vide con gli stessi occhi. Fuggirono. Un mese prima della laurea di Tom. Tom e Kitty, Mark e Ellen su una Ford modello A, quattro dollari e dieci centesimi in tasca, varcarono i confini dello stato e andarono alla ricerca di un giudice di pace. I due sposi fecero la loro luna di miele nel sedile posteriore del modello A, impantanato nella fanghiglia di una strada secondaria e trasudante acqua come un setaccio sotto un rovescio di pioggia. Un inizio augurale per la coppia americana tipo. Tom e Kitty tennero nascosto il loro matrimonio per un intero

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anno dopo la laurea di Tom. Kitty rimase all’università a finire il suo apprendistato di infermiera. Anche quel mestiere le si adattava, aveva sempre pensato Mark. Tom adorava sua moglie. Era sempre stato un po’ vivace e indipendente di carattere, ma non tardò a mettere la testa a partito e a diventare il classico marito devoto. Cominciò a lavorare come modestissimo funzionario di una grossissima società che si occupava di pubbliche relazioni. Si trasferirono a Chicago. Kitty faceva l’infermiera all’ospedale pediatrico. Passo passo fecero la loro strada, nel tipico stile americano: prima un appartamento e poi una casetta. Una nuova automobile, i conti mensili, le grandi speranze. Kitty rimase incinta di Sandra. I pensieri di Mark scorrazzavano nel passato, e intanto il taxi rallentava nell’attraversare i sobborghi di Nicosia, la capitale, adagiata in una pianura piatta e color mattone, fra le catene del Nord e quelle del Sud. «Autista, parlate inglese?» domandò Mark. «Sì, signore» «All’aeroporto c’è un cartello che dice: “Benvenuti a Cipro”. Com’è la citazione per intero?» «Per quello che ne so io» rispose l’autista «si è voluto solo accogliere cortesemente i turisti». Entrarono nella vera e propria Nicosia. La piattezza del terreno, le case di pietra gialla con i tetti a tegole rosse, il mare di palme da dattero ricordarono a Mark Damasco. La strada correva lungo le antiche mura veneziane che avvolgevano la città in un cerchio perfetto. Mark vide due minareti innalzarsi nel cielo dal quartiere turco: avevano fatto parte un tempo di S. Sofia, la splendida cattedrale dei crociati, trasformata poi in moschea musulmana. Percorren-

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do la strada lungo le mura passarono davanti agli enormi bastioni sagomati a punta di freccia. Mark si ricordava, dalla sua ultima visita a Cipro, che ce n’erano ben 11, di quelle punte di freccia sporgenti dalle mura. Stava per chiedere all’autista perché fossero 11, ma poi preferì tacere. Dopo pochi minuti erano già fuori da Nicosia, diretti a Nord lungo la pianura. Oltrepassarono, uno dopo l’altro, dei villaggi, tutti monotonamente uguali, composti di villette di grigi mattoni di fango. Ciascuno aveva una fontana con un’iscrizione, la quale ricordava che la fontana era stata costruita grazie alla generosità di Sua Maestà il Re d’Inghilterra. Nei campi incolori i contadini lavoravano al raccolto delle patate, spingendo avanti a sé quei magnifici animali che sono i muli di Cipro. Il taxi riprese velocità e Mark si immerse di nuovo nelle sue reminiscenze. Mark ed Ellen si erano sposati poco dopo Tom e Kitty. Sin dal primo giorno il loro matrimonio si era rivelato un errore. Due simpatici ragazzi, ma non erano fatti l’uno per l’altra. Fu la pacata e gentile saggezza di Kitty Fremont che li tenne insieme. Tutti e due andavano a riversare nel suo seno la piena dei loro cuori, e lei aveva conservato apparentemente intatto quel legame quando già da molto tempo, in realtà, esso aveva finito di esistere. Finalmente si spezzò, ed Ellen e Mark divorziarono. Mark ringraziò il cielo che non ci fossero bambini. Dopo il divorzio lui si era trasferito nell’Est e aveva cambiato un impiego dopo l’altro, poiché dal ruolo del peggiore studente di giornalismo era passato a quello del peggior giornalista del mondo. Divenne uno dei tanti sbandati dell’ambiente. Non che fosse uno

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stupido o mancasse di disposizioni naturali! Era solo assolutamente incapace di trovare il suo posto nella vita. Era nato per creare qualcosa, e il lavoro monotono del comune cronista stroncava le sue capacità creative: d’altronde non aveva nessuna voglia di tentare la carriera dello scrittore, perché sapeva di non possedere le doti necessarie per diventare un romanziere. E così viveva sospeso nel limbo, senza essere né carne né pesce. Ogni settimana arrivava una lettera di Tom, dalla quale trapelava l’entusiasmo e il vigore di qualcuno che sale un’erta, deciso a raggiungere la vetta. Le sue lettere erano anche piene del suo amore per Kitty e per la loro bambina, Sandra. Si ricordava anche delle lettere di Kitty. Una pacata valutazione dell’effervescenza di Tom. La vecchia amica inoltre lo teneva sempre informato degli spostamenti di Ellen, almeno fino a quando questa riprese marito. Nel 1938 il mondo si spalancò davanti a Mark Parker. C’era un posto vacante a Berlino, presso l’American News Syndicate, e Mark all’improvviso da “vagabondo dei giornali”, quale era, diventò un rispettabilissimo “corrispondente dall’estero”. In questa attività egli diede prova di essere un giornalista di talento; poté soddisfare in parte il suo bisogno di creare, formandosi uno stile che lo distingueva come individuo – come Mark Parker, diverso da qualsiasi altro uomo della terra. Non era affatto un gabbamondo, però possedeva quello che è il grande istinto dell’inviato di primo ordine: la capacità di fiutare un avvenimento ancora in via di maturazione. Stare al mondo divenne un grande spasso. Mark viaggiò l’Europa, l’Asia e l’Africa in lungo e in largo. Aveva una professione, un

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lavoro che gli piaceva, godeva di buon credito al Bar di Josè, al Pub di James, al Joint di Joe e all’Hideaway di Jacques e aveva una lista interminabile di candidate per il “club mensile” di bionde, di brune e di rosse. Quando scoppiò la guerra Mark scorrazzò per tutta quanta l’Europa. Fu piacevole ad un certo momento fermarsi per qualche giorno a Londra, dove certamente lo aspettava un pacco di lettere di Tom e di Kitty. Ai primi del 1942 Tom Fremont si era arruolato nel corpo dei Marines. Fu ucciso a Guadalcanal. Due mesi dopo la morte di Tom, Sandra, la loro bambina, morì di poliomielite. Mark si fece dare un congedo straordinario, ma quando arrivò in patria Kitty Fremont era scomparsa. La cercò senza successo fino al giorno che dovette rientrare in Europa. Letteralmente scomparsa dalla faccia della terra. Era strano, certo, ma quella tristezza che Mark aveva sempre scorto negli occhi di Kitty, gli sembrò una profezia avverata. A guerra finita egli era ritornato in America e aveva riprese le ricerche, ma le tracce ormai erano svanite. Nel novembre del 1945 l’ANS lo aveva richiamato in Europa come inviato speciale ai processi di Norimberga contro i criminali di guerra. Mark era uno specialista riconosciuto: lo si definiva ormai un “noto” corrispondente estero. Da Norimberga scrisse una serie di articoli brillanti finché, pochi mesi prima, i pezzi grossi nazisti erano finiti sulla forca. L’ANS gli concesse una ben meritata licenza prima di trasferirlo in Palestina, dove sembrava stesse maturando una guerra locale. Per trascorrere il congedo secondo il suo solito stile Mark aveva

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seguito a ruota un’ardente francese, già incontrata in precedenza, e ora trasferita all’UNRRA di Atene. Poi… Un fulmine a ciel sereno! Se ne stava un giorno seduto all’American Bar a far passare il tempo con un gruppo di colleghi, quando, chissà come, la conversazione cadde su una strana infermiera americana che a Salonicco faceva prodigi con gli orfani greci. Uno dei corrispondenti era appena ritornato di là con un articolo su quell’orfanotrofio. L’infermiera era Kitty Fremont. Mark si informò immediatamente e venne a sapere che ella si trovava in permesso a Cipro. Il taxi lasciò la pianura e cominciò a salire per una piccola strada tortuosa che attraverso il passo entrava fra le montagne del Pentadaktylos. Si faceva buio. Raggiunta la cima, Mark ordinò all’autista di fermarsi sul bordo della strada. Scese di macchina e guardò giù, quel piccolo gioiello della città di Kyrenia, annidata contro il mare, ai piedi delle montagne. A sinistra e sopra di lui si ergevano le rovine del castello di Sant’Ilarione, dominato dal ricordo di Riccardo Cuor di Leone e della sua bella Berengaria. Mark si ripromise di ritornarci con Kitty. Era quasi buio quando raggiunsero Kyrenia. La cittadina era tutta stucco bianco e tetti di tegole rosse: in alto il castello, il mare accanto. Più pittoresca, appartata, misteriosa di così non avrebbe potuto essere! Passarono il porto in miniatura, zeppo di pescherecci e di piccoli panfili, e racchiuso fra i due bracci di un molo: uno di essi costituiva la riva, sull’altro si ergeva il bastione di un antico forte, il castello della Vergine.

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Da tanti anni Kyrenia era diventata rifugio preferito di artisti e di ufficiali britannici a riposo – in verità pochi luoghi del mondo erano più tranquilli di quello. A un isolato dal porto si trovava il Dome Hotel. Con quella sua mole il grande edificio sembrava sproporzionato e fuori posto nella cittadina sonnolenta. Ma il Dome Hotel era diventato un vero e proprio crocevia dell’impero britannico. Ovunque sventolasse l’Union Jack, esso era famoso come luogo di ritrovo degli inglesi. Un vero labirinto di sale, di terrazze, di verande a picco sul mare. Un molo lungo un centinaio di metri collegava l’albergo a un’isoletta che serviva agli ospiti che volevano nuotare o fare i bagni di sole. Il taxi si fermò. Un facchino raccolse i bagagli. Mark, pagato l’autista, si guardò intorno. Era novembre, ma faceva piuttosto caldo e il cielo era sereno. Che splendido luogo per un incontro con Kitty Fremont! Il portiere consegnò a Mark un messaggio. Mark caro, sono bloccata a Famagosta fino alle nove. Mi vorrai perdonare??? Muoio dall’impazienza. Affettuosamente Kitty

«Desidero dei fiori, una bottiglia di scotch e un secchiello di ghiaccio» disse Mark. «Mrs Fremont ha già provveduto a tutto» rispose il portiere, consegnando una chiave al facchino. «Vi abbiamo assegnato due camere comunicanti, che danno sul mare». Mark colse un sorrisetto sul volto del portiere: la stessa espressio-

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ne maliziosa che lo aveva accolto in un centinaio di alberghi dove era sceso con un centinaio di donne. Fu tentato di mettere le cose in chiaro, ma poi concluse: all’inferno! Pensi pure quello che gli pare! Si raccolse nello spettacolo del mare sotto le tenebre che scendevano, poi sfece le valigie e si preparò un whisky all’acqua, che bevve immerso in un bagno caldissimo. Le sette… Ancora due ore di attesa. Aprì la porta di comunicazione. Che buon profumo! Un costume da bagno e un paio di calze lavate di fresco appese sulla vasca. Le scarpe erano allineate accanto al letto e gli oggetti da toilette disposti sulla valigetta a mano. Mark sorrise. La camera, anche in assenza di Kitty, rivelava una personalità fuori dal comune. Ritornò nella sua stanza e si stese sul letto. Che cosa avevano fatto di lei gli anni e le sciagure che l’avevano colpita? Kitty, bella Kitty… speriamo che tu sia ancora come sempre! Era il novembre del 1946. Quando l’aveva vista per l’ultima volta? Nel 1938… Poco prima di raggiungere l’ANS a Berlino. Otto anni. Kitty, ora, doveva averne 28. Era nervoso, impaziente ma stanco, e cominciò a sonnecchiare. Il tintinnio dei cubetti del ghiaccio – dolce suono per Mark Parker – lo strappò da un sonno profondo. Si fregò gli occhi e cercò a tastoni le sigarette. «Dormivate come se vi avessero drogato» disse una voce dall’accento spiccatamente inglese. «Ho bussato alla porta per cinque minuti. Finalmente un cameriere mi ha fatto entrare. Spero che non vi dispiaccia se mi sono servito un whisky». La voce era quella di Fred Caldwell, maggiore dell’esercito

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inglese. Mark sbadigliò, si stirò le membra per svegliarsi del tutto e gettò un’occhiata sull’orologio. Erano le otto e un quarto. «Ma che diavolo fate a Cipro?» domandò. «È proprio quello che voglio domandare io a voi!» Mark accese una sigaretta e guardò Caldwell. Il maggiore non gli era simpatico, ma neanche del tutto odioso. “Disprezzo” era la parola adatta. Si erano già incontrati due volte. Caldwell era stato l’aiutante del colonnello, e poi generale di brigata, Bruce Sutherland, un ottimo ufficiale britannico. Il primo incontro aveva avuto luogo sul confine olandese, durante la guerra. In uno dei suoi servizi Mark aveva messo in evidenza un errore tattico commesso dagli inglesi, errore che era costato la distruzione di un intero reggimento. Il secondo incontro era avvenuto a Norimberga, durante i processi contro i criminali di guerra, quando Mark era inviato dell’ANS. Verso la fine della guerra le truppe di Bruce Sutherland erano state le prime ad entrare nel campo di concentramento di BergenBelsen. Sutherland e Caldwell erano a Norimberga in qualità di testimoni. Mark andò nel bagno, si lavò la faccia con l’acqua fredda e brancolò alla ricerca di un asciugamano. «Che cosa posso fare per voi, Freddie?» «Il CID1 ha telefonato al nostro comando questo pomeriggio per avvertirci del vostro arrivo. Voi non siete in possesso delle credenziali necessarie» «Accidenti, che branco di sospettosi siete! Mi duole deludervi, 1

Criminal Investigation Department (Ndt).

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Freddie: sono qui in vacanza, in attesa di raggiungere il mio nuovo posto in Palestina» «Questa mia visita, Parker, non ha carattere ufficiale» riprese Caldwell. «Vi dirò solo che siamo un po’ sul chi vive… dati i nostri rapporti passati» «Ma che buona memoria avete!» esclamò Parker, e cominciò a vestirsi. Caldwell gli stava versando un whisky, e intanto Mark lo osservò attentamente e si chiese come mai quell’uomo riuscisse sempre ad irritarlo. C’era in lui l’arroganza tipica di coloro che appartengono alla particolare razza dei “colonizzatori”. Caldwell era un seccatore, antiquato e di mentalità ristretta: una partita a tennis fra gentlemen… vestiti di bianco… un robusto gin and tonic… e all’inferno gli indigeni! Era questa coscienza di Freddie Caldwell – o meglio codesta sua mancanza di coscienza – che dava sui nervi a Mark, quell’attingere la nozione del giusto e dell’ingiusto da un manuale militare o dall’ordine di un superiore. «Ehi, voi ragazzi, state cercando di nascondere qualcosa di losco qui a Cipro?» «Non fate il piantagrane, Parker! Siamo i padroni in questa isola e intendiamo sapere tutto ciò che ci interessa di sapere» «Vedete… ecco che cosa mi piace di voi inglesi. Un olandese mi direbbe semplicemente: “all’inferno”, voi invece dite: “andate all’inferno, per favore”. Vi ho già detto che sono qui in vacanza. Mi debbo incontrare con una vecchia amica» «Chi è?» «Una ragazza che si chiama Kitty Fremont» «Kitty, l’infermiera. Ah, sì, una donna straordinaria, davvero straordinaria! Ci siamo conosciuti qualche giorno fa dal governatore». Freddie Caldwell inarcò le sopracciglia in un’espressione inter-

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guardò da un capo all’altro la spiaggia per assicurarsi che non ci fosse in vista una pattuglia inglese. La figura emerse dall’acqua profonda e avanzò a guado. «David» chiamò una voce dalle onde. «Arì!» rispose David. «Da questa parte! Svelto!» Di corsa i tre uomini costeggiarono la riva, passarono davanti alla casa bianca e raggiunsero un sentiero. Là aspettava, mezzo nascosto nella boscaglia, un taxi. Ben Amì ringraziò il cipriota e con l’uomo sceso dalla barca partì a grande velocità in direzione di Famagosta. «Le mie sigarette sono fradice» disse Arì. David gliene passò un pacchetto. Una breve fiamma balenò sul viso dell’uomo che si chiamava Arì: era alto e robusto – tutto il contrario di Ben Amì, piccolo e magro. Aveva un bel volto dallo sguardo duro. Era Arì Ben Canaan, l’agente principale della Mossàd Aliyàh Beth – l’organizzazione illegale degli ebrei di Palestina.

3 Qualcuno bussò alla porta. Mark aprì e si trovò davanti Katherine Fremont. Era ancora più bella di come la ricordava. Si fissarono a lungo in silenzio. Egli scrutava quel viso, quegli occhi. Ora Kitty era una donna e aveva l’espressione dolce e comprensiva che hanno solo le persone provate da un terribile dolore. «Dovrei romperti il collo, accidenti, per non aver risposto alle mie lettere!» esclamò Mark.

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Indice

Premessa

5

Libro primo. Al di lĂ del Giordano

7

Libro secondo. La terra è mia

325

Libro terzo. Occhio per occhio

523

Libro quarto. Destatevi alla gloria

759

Libro quinto. Con le ali come le aquile

929

1005


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In queste edizioni: Pablo Echaurren Caffeina d’Europa - Vita di Marinetti Massimo Bubola Rapsodia delle terre basse Leon Uris Exodus

(due edizioni)

Leo Lionni La botanica parallela

(due edizioni)

Carlo Fruttero La linea di minor resistenza

(due edizioni)

Pablo Echaurren Majakovskij Age & Scarpelli, Mario Monicelli Brancaleone

(due edizioni)

Altan Cico&Pippo Altan Gordo Satie, Lord Cheminot, Poli, De Maria Genoveffa di Brabante Altan Colpi di coda

(con Cd)

(due edizioni)

Stefano Disegni L’ammazzafilm Marion Fayolle Gli amanti

(quattro edizioni)

(quattro edizioni)

Jacopo Fo Lo Zen e l’arte di scopare

(tre edizioni)

Giovanni Previdi, Alessandro Sanna Lettori Pablo Echaurren Controstoria dell’arte

(due edizioni)

(tre edizioni)

Pierre Riches Note di catechismo per ignoranti colti (due edizioni) Altan, Benni 10 Teorie sull’estinzione dei dinosauri

(due edizioni)

Roque Larraquy, Diego Ontivero Rapporto sugli ectoplasmi animali di Buenos Aires Leo Lionni Elementi di botanica parallela Agostino Tràini Che fretta c’è

(due edizioni)

Margherita d’Amico, Manuela Leno Conosco i miei polli Alfred Jarry, Andrea Rauch Ubu Re Altan Bestie umane


© foto Scala Florence/Heritage Images

Leon Uris (Baltimora, 1924

- Long Island, 2003), ebreo di origine russo-polacca, durante la Seconda guerra mondiale abbandonò gli studi per arruolarsi nel corpo dei Marines. Fu giornalista, scrittore e sceneggiatore. Firmò numerosi romanzi di successo tra i quali Miła 18, sulla rivolta del ghetto di Varsavia, e Topaz. Raggiunse la notorietà in tutto il mondo proprio con Exodus (1958), da cui venne tratto anche un film diretto da Otto Preminger e interpretato da Paul Newman.



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