Fondo Gesù

Page 1



Alta Definizione Gallucci



Maurizio Fiorino

Fondo GesĂš


Maurizio Fiorino Fondo Gesù ISBN 978-88-6145-941-0 Prima edizione settembre 2016 ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2016 2017 2018 2019

© 2016 Carlo Gallucci editore srl – Roma

gallucciHD.com All rights reserved. Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.


A James, con me da una vita


Nomi, circostanze e personaggi descritti in questo libro sono frutto della pura fantasia dell’autore. Qualsiasi riferimento a persone esistite o esistenti e a fatti realmente accaduti è da ritenersi puramente casuale.


Parte prima Fondo Gesù

Scusa mademoiselle non mi innamoro di sicuro / lascia stare i fiori / ti rimorchio a cazzo duro / zero galanteria, invitami a casa tua / ti faccio l’argenteria / e dopo pure la bua. da Il peggio di Zein, rapper di Fondo Gesù



1

Crotone, 8 giugno 2007

Nonostante fosse soltanto un noioso tardo pomeriggio di inizio settimana, via Vittorio Veneto era gremita di adolescenti a passeggio. Normalmente, tutte quelle persone si vedevano nei fine settimana, quando flotte di ragazzi – rumorosi e in gruppo, come branchi – a caccia di ragazzine – cinguettanti e rigorosamente a braccetto – facevano le vasche sul Comune. Così era chiamato quel tratto di via che andava da piazza della Resistenza, dove si trovava per l’appunto l’imponente palazzo comunale, sino alla rotonda di piazza Pitagora: qualche centinaio di metri appena da percorrere avanti e indietro e dove si erano incrociate, date occhiate sfuggevolmente focose, seguite e infine suggellate migliaia di coppiette crotonesi. Anche gli Amerigo si erano conosciuti passeggiando sul Comune. O meglio, così aveva raccontato Bernardo a suo figlio Mario, mentre la mamma, Rosa, ricordava di averlo conosciuto alla Ragioneria, l’istituto superiore che entrambi avevano frequentato negli Anni Ottanta, per poi cominciare a uscire insieme, mano nella mano, sotto i portici di piazza Pitagora, che era invece il tratto 9


di strada delle coppie già fidanzate o addirittura maritate. C’era un’aria elettrica, quella sera di inizio estate. La scuola era appena terminata, le ultime interrogazioni tolte e le sorti già decise; non restava che aspettare il fatidico giorno in cui sarebbero stati esposti i quadri che avrebbero rivelato i promossi e i bocciati di quell’annata. A Mario poco importava dell’arrivo di quel temutissimo giorno: che fosse stato bocciato per il secondo anno consecutivo già lo sapeva e non vi era miracolo possibile visto che a fine gennaio si era ritirato da scuola. Da appena due giorni aveva compiuto 16 anni e quel pomeriggio continuava a rimirare il suo viso riflesso nelle vetrine di Marafioti, l’enorme bazar che di via Veneto rappresentava il punto di ritrovo per eccellenza, pensando a ciò che don Simon Pietro, consegnandogli il regalo – una catenella con un piccolo crocefisso d’oro – gli aveva sussurrato in un orecchio il giorno del suo compleanno. «Ti stanno crescendo sia la barba che i baffi, ti stai proprio invecchiando Mariù» aveva detto a Mario che, distratto, pensava già a quanti soldi avrebbe fatto vendendo quella catenella agli zingari suoi amici che compravano l’oro di contrabbando. Lui, in realtà, era fiero di quei sottilissimi peli che gli stavano finalmente cominciando a crescere sul viso, seppure troppo timidi e in ritardo, e anzi 10


ne avrebbe voluti avere almeno il doppio. Lo affascinava l’idea di diventare adulto e probabilmente questo era il motivo principale che lo aveva spinto ad abbandonare gli studi. Era deprimente, per un adolescente che desiderava già essere un uomo bell’e fatto, dover frequentare ancora il primo anno delle scuole superiori. Non vedeva l’ora di compiere 18 anni, lui, e diventare maggiorenne, avere un vero paio di baffi piuttosto che qualche pelo che i baffi li annunciava soltanto, e la voce da uomo, che spesso in maniera goffa cercava di tirare fuori. Addirittura ambiva a qualche rughetta ai lati di quei suoi occhi verde acqua, occhi tali e quali a quelli della mamma ma che, a differenza del viso materno, paffuto e morbido, sul suo volto troppo magro e troppo lungo parevano due fari sempre accesi e trasmettevano appieno tutta l’inquietudine dei suoi 16 anni appena compiuti. Continuava ad ammirarsi nel suo riflesso, un po’ deluso nel non scorgere né rughe né barba, quando Eugenia gli spuntò alle spalle. «Scusami Mariù» fece con un filo di voce «mamma ha fatto ritardo al lavoro e così sono dovuta scendere in autobus» «Suca» «Eddai» «Va bene» la perdonò Mario squadrandola spudoratamente dalla testa ai piedi per poi posarle lo 11


sguardo sui seni in bella vista. Fu compiaciuto nel vederla agghindata come lui le aveva chiesto al telefono. Minigonna, tacchi, camicia aperta sul petto. Sebbene avesse soltanto 13 anni e fosse considerata una ragazza carina, Eugenia aveva le tette di una diciottenne, così si diceva a Fondo Gesù, e a Mario del resto del corpo non importava. «Per quanto è brutta di viso è porca di tette» aveva confidato ad Angelo, il suo migliore amico, poche ore prima. «Sono grosse?» «Due meloni. Ma il resto, Angelì, è nu catu i vommicu» aggiunse, descrivendola nel modo più offensivo che il dialetto crotonese potesse offrire: un secchio di vomito. «E come farai quando ti bacia?» «Le ho già detto che non la bacio neanche se mi paga» mentì lui, che in realtà era stato meno brusco. «E poi non ci dobbiamo baciare, me lo deve succhiare e basta. Al massimo le copro il viso con una busta e la prendo. Anzi no, la prendo direttamente da dietro così la faccia neanche gliela guardo». Risero entrambi. Mario finì di squadrarla per poi invitarla a mangiare qualcosa. «Non mangio da stamattina, ti va un calzone fritto alla Romana?» le chiese, avvicinandosi subito dopo e sussurrandole all’orecchio, con la voce impostata da uomo grande «complimenti per la scelta della camicetta, me l’hai già fatto arrittare». 12


Lei sorrise, abbassò gli occhi e notò, provando un pizzico di piacere, il rigonfiamento nei jeans di Mario. «Se vuoi ti accompagno, ma ho già fatto merenda. E poi, ho fame d’altro» aggiunse, piena di malizia. Al suono di quella evidente dichiarazione d’intenti, gli occhi di Mario brillarono ancor di più. Era proprio vero, pensò, ciò che si diceva di lei in giro: che era una maiala. «Allora stasera ti farò mangiare a scattapanza» disse. Si diressero alla Pizzeria Romana e Mario fece merenda con tre calzoni, divorandone uno appresso all’altro. Lei, lieta di quei continui sorrisi audaci e delle occhiate piene di adolescente sensualità che lui le lanciava, non vedeva l’ora di arrivare al tanto famoso posto segreto di Mario. Cominciò a mangiucchiarsi le unghie, nervosa, specchiandosi in uno degli enormi specchi che addobbavano la pizzeria mentre lui, tranquillo, continuava ad addentare il calzone con morsi giganti da lupo mannaro. Indossava gli stessi vestiti che portava tutti i giorni. Era lunedì e non puzzavano come il fine settimana, quando finalmente li consegnava alla madre, che li cacciava direttamente in lavatrice. Poiché aveva scelto di non frequentare più la scuola, faceva il fruttivendolo insieme a suo padre, al mercato generale. Tutti i giorni, dalle sei di mattina fino alle quattro di pomeriggio. E da quando 13


il mercato si era spostato dalla minuscola piazzetta delle Rose alla più decente piazza Fratelli Bandiera – dove a ogni fruttivendolo era stato concesso un piccolo box da adibire a negozio – per Mario era stata una tragedia. In piazzetta, gli Amerigo avevano un carretto all’aperto e per lui era meglio soffrire il freddo che puzzare di banane e broccoli. Stando al chiuso, l’odore della frutta gli impregnava i vestiti e quando arrivava il giovedì, a volte anche già il mercoledì, cominciava a puzzare come un topo morto. Impaziente com’era, e con tutto il profumo che si era spruzzata addosso, Eugenia non sentiva nessun altro odore. E poi, anche se puzzolente, a lei Mario piaceva da morire, con quelle guance scavate e quei riccioli bruni disordinati che si facevano perdonare qualunque impetuosità. Perfino il rutto che si lasciò scappare volutamente, facendo voltare tutti i clienti della pizzeria che lo guardarono disgustati. Eugenia, invece, sorrise. «Ce la faccio a tornare a casa per le otto, vero?» «E come no?» rispose Mario col mento sporco d’un miscuglio di sugo e olio fritto. Si erano già fatte le sei e mezza. «Dieci minuti e ci sbrighiamo!» aggiunse, addentando il calzone con una tale foga che il sugo bollente gli schizzò sulle labbra e sul mento, ustionandolo e provocando una sonora risata di Eugenia. «Che sei buffo!» osò dire. 14


«Porca colonna, ridimi ’sto cazzo, mostra!» urlò Mario, sentendosi deriso e quindi offeso. «Cosa c’entro io?» cercò di giustificarsi lei, troppo tardi. «Ho solo detto che sei buffo. Nel senso che sei bellissimo così» si affrettò a dire. Ma era ormai troppo tardi. Con un gesto stizzito e teatrale, pieno d’ira, Mario gettò nella spazzatura ciò che restava del terzo calzone. Poi si diresse verso l’uscita senza neanche guardare in faccia Eugenia che, ancora immobile, si dette un’ultima occhiata veloce allo specchio, prese la borsetta e lo seguì.

15


Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Longo Spa (Bolzano) nel mese di agosto 2016




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.