Gli assalti costanti del vento contro la casa, il frastuono e le urla della tempesta, impedivano anche di pensare. Non si poteva fare altro che aspettare che finisse. E mentre macinavano frumento e facevano tronchetti, mentre accudivano il fuoco e si stringevano alla stufa per riscaldare le mani intorpidite e doloranti, i piedi insensibili e piagati dal freddo, mentre masticavano e inghiottivano quei bocconi di pane che non volevano andare giù, non fecero altro che aspettare che finisse.
UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Laura Ingalls Wilder Il lungo inverno traduzione di Paola Mazzarelli ISBN 978-88-3624-106-4 Seconda edizione italiana aprile 2021 ristampa 6 5 4 3 2 1 0 anno 2025 2024 2023 2022 2021 © 2016 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo dell’edizione originale: The Long Winter Testo © 1940, 1968 Little House Heritage Trust La presente edizione è pubblicata in accordo con HarperCollins Publishers, New York
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Laura Ingalls Wilder
Il lungo inverno La casa nella prateria romanzo 4
traduzione dall’inglese di Paola Mazzarelli
Il lungo inverno
Nota del traduttore Papà Ingalls suona con il violino canzoni della seconda metà dell’Ottocento, per la maggior parte ancora note oggi. Si tratta per lo più di ballate scozzesi e irlandesi, canzoni western, canti di minatori e di cercatori d’oro, marce militari, filastrocche. A volte modifica leggermente le parole per adattarle al contesto in cui canta. In altri casi, della stessa canzone esistono versioni diverse. Anche nella traduzione si è cercato di adattare le parole al contesto, se necessario staccandosi dall’originale. Se vuoi ascoltarle, le trovi su You-Tube digitando i titoli originali elencati qui di seguito. Pag. 37: The Big Sunflower Pag. 41: The Floating Scow of Old Virginia Pagg. 42, 133: All the Blue Bonnets Are Over the Border Pagg. 92-93: The Old Chariot Pag. 101: Little Annie Rooney Pag. 101: The Old Gray Mare Pag. 108: Sweet By and By Pag. 109: A Shelter in the Time of Storm Pag. 109: The Evergreen Shore
Pagg. 178-179: On Jordan’s Stormy Banks Pag. 192: The Banks O’ Doon Pag. 193: Home of the Soul Pagg. 230-231: The Song of the Freed Men Pag. 231: It Will Never Do to Give It up so Pag. 232: Great Is the Lord Pag. 232: When I Can Read my Title Clear Pag. 252: The May Queen Pagg. 264-265: Where There’s a Will, There’s a Way
Metti via il fieno finché c’è il sole
Da qualche parte a sud della baracca giungeva l’allegro ronzio della falciatrice. Laggiù, dove un tempo i bisonti venivano a rotolarsi nel fango, l’erba della prateria cresceva alta e fitta. Papà stava facendo il fieno. Sopra la prateria scintillante il cielo era alto e tremulo nella calura. Era pomeriggio inoltrato, eppure il sole bruciava come a mezzogiorno. Soffiava un vento torrido. Ma papà avrebbe lavorato ancora per ore, fino al calare del buio. Laura tirò su un secchio di acqua dal pozzo al margine della palude e risciacquò più volte la brocca di terraglia marrone finché non la sentì fresca tra le mani. Poi la riempì di acqua pulita, si accertò che il tappo di sughero fosse ben chiuso e partì di buon passo. Sul sentiero svolazzavano sciami di farfalline bianche. Una libellula dalle esili ali diafane inseguiva un moscerino. I citelli leopardini, quei piccoli, graziosi scoiattoli di terra che abitavano nella prateria, si rincorrevano tra le stoppie. A un tratto schizzarono via tutti e in un batter d’occhio sparirono sotto terra. Laura vide un’ombra saettare sul sentiero e guardando su si trovò a fissare gli occhi e gli artigli di un falco. Ma i citelli erano in salvo nelle loro tane. Papà si rallegrò nel vederla arrivare con l’acqua fresca. Scese dalla falciatrice e bevve una lunga sorsata. «Ah, ci voleva proprio!» 9
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esclamò, e bevve di nuovo. Poi tappò la brocca, la posò in terra e la coprì d’erba appena tagliata. «Con questo sole ci vorrebbe quasi un po’ di macchia che facesse ombra» disse. Ma scherzava. In verità, era ben contento che non ci fossero alberi: quanti aveva dovuto estirparne per coltivare la sua terra, laggiù nei Grandi Boschi! Lì nelle praterie del Dakota non c’era un solo albero, non un virgulto, non un filo d’ombra da nessuna parte. «Comunque, si lavora meglio quando ci si scalda un po’!» disse allegramente, risalendo sulla falciatrice e dando la voce ai cavalli. Sam e David ripresero il loro passo lento, trainando la macchina, e la lunga lama munita di denti d’acciaio ricominciò a tagliare gli steli, che cadevano piatti a terra. Dall’alto del suo seggiolino di ferro, la mano sulla leva, papà osservava l’erba cadere via via. Laura si mise a sedere, per guardarlo andare e venire una volta. Lì in mezzo all’erba la calura profumava di buono come un forno quando ci si mette a cuocere il pane. Intorno a lei era ripreso il viavai dei piccoli citelli striati di giallo e marrone e in aria era tutto uno svolio di uccellini, che andavano a posarsi ondeggiando in precario equilibrio sugli esili steli. Un serpente giarrettiera delle praterie uscì strisciando dalla foresta di erba. Seduta col mento sulle ginocchia raccolte al petto, Laura si sentì grande come una montagna quando il serpente rizzò la testa a guardare la parete di cotonina che gli si parava davanti. Gli occhietti tondi brillavano come perline nere e la lingua saettava così veloce da sembrare un minuscolo sbuffo di vapore. A guardarlo, il serpente aveva un che di amabile, con le sue belle strisce colorate. Laura sapeva che quel tipo di serpente non è dannoso, e anzi è bene che viva nei paraggi di una fattoria, perché si nutre di insetti nocivi per le colture. 10
Metti via il fieno finché c’è il sole
Il serpente abbassò di nuovo la testa e, non potendo arrampicarsi su Laura, la aggirò con una deviazione ad angolo retto e scomparve di nuovo tra l’erba. Poi il ronzio della falciatrice si fece più forte e apparvero i cavalli. Venivano avanti lentamente, alzando e abbassando la testa al ritmo dei passi. Laura disse qualcosa quando le furono quasi addosso e David scartò. «Ehi!» fece papà sorpreso. «Laura! Pensavo fossi andata a casa. Perché te ne stai nascosta in mezzo all’erba, come un gallo prataiolo?» «Pa» disse Laura «perché non posso aiutarti a fare il fieno? Perché? Mi piacerebbe tanto, Pa. Ti prego. Ti prego». Papà si levò il cappello e si passò le dita tra i capelli madidi di sudore, tenendoli dritti sulla testa perché il vento ci passasse in mezzo. «Non sei molto grande e nemmeno molto robusta, scricciolino» «Ho quasi 14 anni» disse Laura. «Sono in grado di aiutarti, Pa. Ne sono sicura». La falciatrice era costata tanto che papà non aveva più soldi per pagare un operaio che lo aiutasse. Non poteva nemmeno offrire in cambio giornate di lavoro, perché i coloni in quella regione erano ancora pochi e quei pochi avevano tutti già troppo da fare a casa loro. Ma era un fatto che ci voleva aiuto per fare i covoni. «Beh» disse papà «magari puoi darmi una mano, sì. Proveremo. Se ce la fai, perbacco! Riusciremmo a fare da soli tutto il fieno che ci serve!» Laura gli lesse negli occhi che la prospettiva lo sollevava molto e corse a casa per raccontare la novità a mamma. «Magari sì, potresti aiutare» disse mamma, dubbiosa. Non le piaceva vedere le donne lavorare nei campi. Solo le straniere facevano cose del genere. Lei e le sue figlie erano americane e le donne americane non facevano lavori da uomini. Ma se Laura dava una mano, il 11
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problema del fieno era risolto. Alla fine decise. «D’accordo, Laura. Prova». Carrie si offrì subito di collaborare anche lei. «Io vi porterò da bere. Sono abbastanza grande per trasportare la brocca!» Carrie aveva quasi dieci anni, ma era piccolina per la sua età. «E io farò la tua parte delle faccende di casa» disse Mary. Andava molto fiera del fatto che, pur essendo cieca, riusciva a lavare i piatti e a rifare i letti esattamente come Laura. Il sole e il vento caldo della prateria facevano seccare l’erba tagliata così in fretta che già l’indomani papà poté rastrellare il fieno, formando prima lunghe file e poi, da ogni fila, una serie di mucchi. E così la mattina dopo, all’alba, quando l’aria era ancora fresca e le allodole cantavano in cielo, Laura salì con papà sul carro. Quando furono nel campo, papà scese e a mano condusse i cavalli tra le file di mucchi. A ogni mucchio li fermava e con il forcone gettava il fieno nel carro. Le sponde erano alte, il fieno pioveva giù un po’ dappertutto e Laura lo pestava con i piedi. Pestava andando su e giù e di qua e di là, con tutta la forza che aveva nelle gambe. Intanto arrivavano altre forconate e lei ricominciava da capo, il carro avanzava un altro po’ e papà caricava un altro mucchio. Quand’ebbe finito una fila, cominciò l’altra, dall’altra parte del carro. Sotto i piedi di Laura il fieno aumentava sempre più, pigiato quanto è possibile pigiarlo. Su e giù, rapide e forti, si muovevano le sue gambe, per l’intera lunghezza del cassone, e poi di traverso. Il sole era sempre più caldo e dal carro saliva un profumo dolce e intenso. Il fieno cedeva sotto i piedi e altro ne arrivava di continuo dall’alto. Via via che il carro si riempiva, Laura si trovava sempre più in alto. Ora con la testa superava le sponde. Avrebbe potuto guardare la prateria da lassù, se avesse avuto tempo di fermarsi un momento. 12
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Alla fine il carro fu pieno, ma le forconate continuavano ad arrivare, una dopo l’altra. Lassù in cima Laura continuava a pestare. Doveva stare attenta a non rotolare di sotto. Aveva la faccia e il collo madidi di sudore e un rivolo le scendeva per la schiena. La cuffia le sbatteva sulle spalle, appesa al nastro, le trecce si erano disfatte e i lunghi capelli castani svolazzavano al vento. Poi papà salì sulla stanga e posando un piede sull’ampia groppa di David si arrampicò anche lui sul carico. «Ottimo lavoro, Laura» disse. «Hai pigiato il fieno così bene che abbiamo fatto un gran carico». Mentre tornavano a casa, Laura se ne stette sdraiata a riposare sul fieno caldo e pungiglioso. Quando papà fermò i cavalli vicino alla stalla, scivolò a terra e andò a sedersi all’ombra del carro. Papà buttò un po’ di fieno a terra, poi scese dal carro e spianò il mucchietto per formare il grosso cerchio che doveva diventare la base del primo covone. Poi salì sul carro, buttò giù un altro po’ di fieno, scese, lo distese sulla base e lo pestò ben bene. «Posso spianarlo io, papà, così non devi continuare a salire e scendere dal carro» disse Laura. Papà spinse indietro il cappello e si appoggiò un momento al forcone. «Il fatto è che bisogna essere in due per fare i covoni» disse. «Sennò, in questo modo, ci vuole troppo tempo. La buona volontà è già qualcosa, ma tu sei un po’ piccolina, scricciolo». Poi però disse: «Va bene, il prossimo giro vedremo». E quando tornarono con un altro carico, papà le dette il forcone e la fece provare. Il forcone era più alto di lei e Laura non lo aveva mai usato, sicché andava per tentativi e faceva del suo meglio. Mentre papà buttava giù il fieno dal carro, lei si dava da fare per stenderlo e camminava girando in tondo, in modo da pressarlo il più possibile. Ma nonostante tutti i 13
Il lungo inverno
suoi sforzi e la buona volontà, papà dovette pareggiare il covone prima di andare a prendere un altro carico. Ora sole e vento erano più caldi e le gambe di Laura tremavano. Doveva costringerle a muoversi, perché loro volevano fermarsi. Per fortuna poteva riposarsi un po’ nel tragitto dal campo a casa. Aveva sete. Una gran sete. Una sete tale che non riusciva a pensare ad altro. Le parve un’eternità prima che fossero le dieci e Carrie arrivasse con la brocca mezza piena tra le braccia. Papà la fece bere per prima, ma le disse di non esagerare. Nulla era mai parso a Laura delizioso come quel liquido fresco che le scorreva in gola. Al primo sorso si fermò sorpresa e Carrie, battendo le mani, gridò: «Non dirlo, Laura! Non dire niente finché papà non la assaggia!» Mamma aveva mandato l’acqua di zenzero! Aveva aggiunto un po’ di zucchero all’acqua fresca del pozzo, un po’ di aceto per dare gusto e un bel po’ di zenzero per riscaldare lo stomaco, perché potessero bere fino a dissetarsi del tutto. Quando si è molto accaldati, troppa acqua fa male. Ma acqua di zenzero ne puoi bere a volontà. Era un lusso che trasformava quella giornata qualunque in una giornata speciale: il giorno del primo covone di Laura. A mezzogiorno avevano portato a casa tutto il fieno e finito il covone. L’ultimo tocco lo aveva dato papà. Ci vuole grande perizia per arrotondare la cima in modo che la pioggia scivoli via di lato e il fieno non si bagni. Il pranzo era pronto. Scrutando Laura con attenzione, mamma chiese: «È troppo faticoso il lavoro per lei, Charles?» «Oh, no! È robusta come un cavallino normanno. È stata di grande aiuto» disse papà. «Mi ci sarebbe voluta la giornata intera per fare quel covone da solo, così, invece, ho tutto il pomeriggio per falciare». 14
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Laura fu molto orgogliosa di quel commento. Le facevano un gran male le braccia e le gambe e anche la schiena. Quella sera, a letto, era così dolorante dappertutto che le venne quasi voglia di piangere. Ma non lo disse a nessuno. Quando papà ebbe falciato e rastrellato abbastanza erba, Laura lo aiutò a portarla a casa e a fare un altro covone. Le braccia e le gambe cominciavano ad abituarsi al lavoro e non dolevano più tanto. Le piaceva guardare i covoni, li sentiva un po’ anche suoi. Ne fecero uno di qua e uno di là della porta della stalla e uno lungo che copriva tutta la lunghezza della stalla sotterranea. Poi ne fecero ancora altri tre. «Ora che abbiamo tagliato tutto il foraggio sulla nostra terra, voglio fare ancora un bel po’ di fieno con l’erba della palude» disse papà. «Non costa nulla e chissà che a primavera, quando arriveranno i nuovi coloni, non riesca a venderne un po’». Andò a falciare l’erba alta e robusta che cresceva nella palude di Big Slough e Laura lo aiutò a portarla a casa e a fare i covoni. Era un’erba molto più pesante di quella della prateria, tant’è che Laura non riusciva a spostarla col forcone. Ma a pressarla coi piedi ce la faceva. Un giorno, quando papà salì sul carro pieno, Laura disse: «Hai dimenticato un mucchio, Pa» «Davvero?» fece papà sorpreso. «Dove?» «Laggiù, in mezzo a quelle erbe». Papà guardò. Poi disse: «Quello non è un mucchio di fieno, scricciolo. È una casa di topi muschiati». La osservò per qualche istante, poi aggiunse: «Vado a dare un’occhiata più da vicino. Vieni con me? I cavalli non si muoveranno da qui». Si infilò tra l’erba fitta, alta e robusta della palude e Laura gli andò dietro. Il terreno sotto i piedi era soffice e spugnoso e tra le radici della vegetazione si apri15
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vano piccole pozze d’acqua. Laura vedeva solo la schiena di papà e le erbe tutt’attorno. Erano più alte di lei. Camminava con cautela, perché il terreno era sempre più intriso d’acqua. A un tratto si trovò sul bordo di una grossa pozza scintillante. La casa dei topi muschiati era lì sulla sponda della pozza. Era più alta di lei e così grossa che le sue braccia non sarebbero bastate a circondarla. Il colmo e le pareti tondeggianti erano grigi, duri e grezzi. I topi muschiati avevano fatto a pezzettini le erbe secche della palude e le avevano mischiate con il fango. Con quel cemento si erano costruiti una casa solida e robusta, che avevano arrotondato e lisciato bene in cima, in modo che la pioggia scorresse via lungo le pareti. La tana non aveva ingresso. Non c’era nessun sentiero che portasse lì, nessun segno di passaggio, nessuna impronta tra le stoppie, né sul bordo fangoso della pozza. Nulla che indicasse come facevano i topi muschiati a entrare e uscire. A quell’ora della giornata, spiegò papà, tra le pareti spesse e silenziose della loro tana, i topi muschiati dormivano, ogni famigliola nella sua stanzetta tutta foderata di soffice erba. Ogni stanza aveva un piccolo ingresso rotondo affacciato su un corridoio che dalla cima della tana scendeva descrivendo una curva fino in fondo e portava direttamente nell’acqua. Era quella la porta di ingresso. Dopo il tramonto, i topi muschiati si svegliavano, scendevano zampettando lungo il liscio corridoio di fango, si tuffavano nell’acqua nera e, nuotando sott’acqua, sbucavano in mezzo alla pozza, sotto il vasto, silenzioso cielo notturno. E per tutta la notte, alla luce delle stelle o della luna, nuotavano e giocavano sulle sponde del loro laghetto, cibandosi di radici, steli e foglie delle varie piante ed erbe acquatiche. Alla prima, spettrale luce dell’alba, tornavano a casa a nuoto e tuffandosi sott’acqua infilavano la loro porta segreta. E di lì, tutti gocciolanti, risalivano il loro corridoio e ognuno torna16
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va nella sua stanzetta, dove si acciambellava contento e si metteva a dormire. Laura posò la mano sulla tana. La grezza malta di erbe e fango era calda sotto il sole e il vento torrido della prateria, ma all’interno, dietro quella spessa parete, nel buio, l’aria doveva essere fresca. Le piaceva pensare che là dentro i topi muschiati dormivano. Papà scosse la testa. «Ci aspetta un brutto inverno» disse, preoccupato. Laura lo guardò stupita. «Come lo sai?» «I topi muschiati costruiscono le pareti della loro casa tanto più spesse quanto più sarà freddo l’inverno che viene. E io non ho mai visto una tana con pareti così robuste». Laura guardò la tana. Era grande e solida. Ma il sole le bruciava le spalle sotto la cotonina lisa dell’abito e il vento era caldo; e più forte del sentore di umido e di fango che saliva dalla palude si avvertiva il profumo di fieno delle erbe che seccavano nella calura. Le era difficile pensare al ghiaccio, alla neve, all’aria tagliente dell’inverno. «Pa! Ma come fanno, i topi muschiati, a sapere come sarà l’inverno?» «Come fanno non lo so» disse papà. «Ma lo sanno. Forse Dio ha un modo per dirglielo» «E allora perché non lo dice anche a noi?» chiese Laura. «Perché» disse papà «noi non siamo animali. Siamo esseri umani e, come sta scritto nella Dichiarazione di Indipendenza, Dio ci ha creati liberi. Il che vuol dire che dobbiamo provvedere a noi stessi» «Ma non è Dio che provvede a noi?» disse Laura, poco convinta. «Sì, certo» disse papà. «Se ci comportiamo bene. E ci dà la coscienza e il cervello per sapere che cosa è bene. Ma ci lascia fare come ci pare. Questa è la differenza tra noi e tutto il resto del Creato» 17
Il lungo inverno
«Perché? I topi muschiati non possono fare quello che vogliono?» chiese Laura stupita. «No» disse papà. «Perché non possono, non lo so. Ma è evidente che non possono. Guarda quella casa. I topi muschiati devono costruire quel tipo di casa. Hanno sempre fatto così e faranno sempre così. Non possono costruirne nessun altro tipo, è chiaro. La gente invece può costruire case di ogni tipo. Uno può farsi qualunque casa riesca a pensare. Perciò, se ha una casa che non lo ripara dal freddo, sono fatti suoi. Perché lui è libero e indipendente». Papà tacque e restò lì a pensare per qualche istante. Poi, scuotendo la testa, disse: «Su, scricciolo. Meglio mettere via il fieno, finché c’è il sole». Le fece l’occhiolino e Laura rise, perché c’era un sole che spaccava le pietre. Ma per il resto del pomeriggio, furono tutti e due alquanto meditabondi. I topi muschiati avevano una casetta solida e calda per tener fuori il freddo e la neve dell’inverno, ma la baracca in cui abitavano loro era fatta di tavole di legno che col caldo dell’estate si erano ristrette, tanto che le asticelle che le univano non coprivano più tutte le fessure delle pareti. Tavole di legno e carta catramata non erano il miglior riparo contro il freddo di un brutto inverno.
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Una commissione in paese
Una mattina di settembre trovarono l’erba bianca di brina. Era una brinata leggera, che si sciolse col primo sole. Quando Laura guardò fuori, non c’era più nulla. Ma a colazione papà disse che una gelata così presto nell’anno era davvero sorprendente. «Rovina il fieno?» chiese Laura. «No» disse papà. «Una gelata così leggera fa solo seccare l’erba più in fretta, una volta tagliata. Ma è meglio che mi sbrighi, perché tra non molto non si potrà più fare il fieno». Lavorava così di lena, quando Laura gli portò la brocca a metà pomeriggio, che quasi non volle interrompere nemmeno per bere. Stava falciando nella palude. «Metti tu il tappo, scricciolo» disse, restituendole la brocca. «Voglio assolutamente finire questo tratto prima di sera». Diede la voce a Sam e David, che ripartirono, tirandosi dietro la falciatrice. Poi, a un tratto, la macchina mandò un rumore secco e metallico e papà disse: «Accidenti!» Laura corse a vedere che cosa era successo. Papà stava guardando la barra della falciatrice. C’era un vuoto nella lucida fila di denti. Ne era saltato via uno. Ma tutti i tentativi per cercare di rimetterlo al suo posto furono inutili. «Niente da fare» disse papà. «Bisogna comprare un’altra sezione». 19
Il lungo inverno
Laura non disse nulla, perché non c’era nulla da dire. Papà ci pensò su un momento. «Laura, vorrei che andassi tu in paese, a prenderla. Io non voglio perdere tempo. Posso andare avanti anche così per il momento. Ma cerca di fare in fretta. Costa cinque centesimi. Mamma te li darà. Vai al negozio di ferramenta di Fuller» «Sì, Pa» disse Laura. Non le piaceva andare in paese perché c’era tanta gente. Non che avesse paura, ma la metteva a disagio sentirsi osservata da occhi estranei. Un abito pulito da mettersi ce l’aveva e anche le scarpe. Mentre correva a casa, pensò che forse mamma le avrebbe lasciato legare i capelli con il nastro della domenica e mettersi magari anche la cuffia appena stirata di Mary. «Devo andare in paese, Ma» disse, piombando in casa senza fiato. Raccontò che cos’era successo. Carrie e Mary stettero a sentire e anche Grace smise di giocare per guardarla con i suoi attenti occhi azzurri. «Vengo a tenerti compagnia» si offrì Carrie. «Può venire, Ma?» chiese Laura. «Basta che sia pronta anche lei quando sei pronta tu» disse mamma. Indossarono il vestito pulito, calze e scarpe. Mamma però disse che non c’era motivo di mettere anche il nastro tra i capelli, dato che non era domenica. Quanto alla cuffia, Laura aveva la sua. «Sarebbe molto più in ordine, se tu te ne curassi di più» disse. La cuffia di Laura era tutta sgualcita, perché la lasciava sempre pendere sulla schiena, invece di portarla in testa. E anche i nastri erano spiegazzati. Ma era colpa sua. Mamma le dette cinque centesimi presi dal borsellino di papà e Laura partì con Carrie per il paese. 20
Una commissione in paese
Seguirono la strada tracciata dalle ruote del carro di papà: passarono il pozzo, scesero l’arido pendio erboso che portava alla palude, la attraversarono e risalirono dall’altra parte. Tutta la pianura scintillante da lì appariva diversa e anche il vento faceva un altro rumore, più selvaggio. A Laura piaceva. Avrebbe preferito non dover andare in paese, dove le false facciate degli edifici incombevano alte e squadrate sulla strada, per far mostra che le case, là dietro, fossero più grandi di quello che erano. Quando arrivarono in Main Street, né Laura né Carrie dissero più una parola. Sulla veranda delle botteghe stazionavano crocchi di uomini e c’erano due carri a cavalli legati ai pali. Solitario, dall’altra parte della strada sorgeva il magazzino di papà. Era affittato e c’erano dentro due tizi che parlavano. Nella bottega di ferramenta trovarono due uomini seduti sui barilotti dei chiodi e un terzo su un aratro. Smisero di chiacchierare e tutti e tre le fissarono senza dir nulla. La parete dietro il banco scintillava di barattoli di vernice, secchi e lampade. Laura disse: «Mio papà ha bisogno di una sezione della barra della falciatrice». Quello seduto sull’aratro commentò: «Ne ha spaccata una, eh?» e Laura rispose: «Sì, signore». L’uomo incartò il pezzo, un aguzzo dente triangolare di metallo. Doveva essere lui il signor Fuller. Laura gli dette i cinque centesimi e prendendo il pacchettino disse: «Grazie». E uscì con Carrie dalla bottega. Tutto lì. Ma non parlarono finché non furono fuori dal paese. Poi Carrie disse: «Come sei stata brava, Laura» «Beh, si trattava solo di comperare una cosa» rispose Laura. «Lo so, ma mi fa strano quando la gente mi guarda. Mi… non è che mi fa proprio paura, ma…» 21
Il lungo inverno
«Non c’è niente di cui aver paura» disse Laura. «Non bisogna mai avere paura». Poi, inaspettatamente, disse: «Anche a me fa quell’effetto» «Davvero? Non sembrava. Da come ti comporti non si vede. Io mi sento più tranquilla quando ci sei anche tu» «Fai bene. Quando ci sono io non ti può capitare niente» rispose Laura. «Io mi prenderò sempre cura di te. Quantomeno farò del mio meglio» «Sì, lo so» disse Carrie. Era bello, essere lì insieme. Per non rovinare le scarpe, non camminavano nei solchi polverosi dei carri, ma sulla striscia di terra nel mezzo, dove solo gli zoccoli dei cavalli avevano impedito all’erba di crescere. Non si tenevano per mano, ma era come se lo facessero. Dacché Laura aveva memoria, Carrie era sempre stata la sorellina piccola. Prima era stata un affarino in fasce, poi era diventata una bimbetta sgambettante, che toccava tutto e chiedeva sempre «Perché?» Ora aveva dieci anni ed era davvero una sorella. Ed erano in giro da sole, senza né papà né mamma intorno. Avevano fatto quello che dovevano fare e potevano non pensarci più, e il sole brillava, il vento soffiava e tutt’attorno a loro si stendeva la prateria immensa. Si sentivano libere e indipendenti e contente di essere insieme. «È lungo, fare tutto il giro per arrivare da papà» disse Carrie. «Perché non passiamo da lì?» Indicava la zona della palude dove vedevano papà e i cavalli al lavoro. «Da lì bisogna attraversare la palude» rispose Laura. «Ma adesso non c’è acqua, no?» disse Carrie. «D’accordo, passiamo da lì. Papà non ha detto di seguire la strada. E ha detto di fare in fretta». Così non seguirono la carrareccia, che girava attorno alla palude, ma tagliarono dritto in mezzo alla vegetazione. 22
Una commissione in paese
All’inizio fu divertente. Sembrava un po’ di trovarsi dentro l’illustrazione della giungla che c’era nel libro verde di papà. Laura si apriva la strada tra i folti cespi di steli robusti, che si scostavano frusciando per richiudersi subito alle spalle di Carrie: milioni di steli con lunghe foglie sottili che là dentro, nell’ombra, avevano sfumature giallo-verde e verde dorato. Sotto i piedi, il terreno era secco e screpolato dalla calura dell’estate, ma dietro il profumo caldo della vegetazione si avvertiva un debole sentore di umido. Poco sopra la testa di Laura la cima delle erbe ondeggiava al vento, ma là in basso, vicino alle radici, tutto era immobile e quieto, rotto solo dal loro passaggio. «Dov’è papà?» chiese Carrie all’improvviso. Laura si guardò attorno. Il visetto appuntito di Carrie era pallido, lì nell’ombra. Gli occhi parevano quasi spaventati. «Da qui non possiamo vederlo» disse Laura. Vedevano solo le foglie e gli steli delle erbe e in alto l’azzurro del cielo. «È proprio davanti a noi. Tra poco ci siamo». Lo aveva detto senza esitare, ma come faceva a saperlo? Non era nemmeno sicura della direzione. Dove stava portando Carrie? Il caldo immobile e afoso che c’era lì dentro le faceva gocciolare il sudore lungo il collo e la schiena, ma dentro sentiva freddo. Le vennero in mente i bambini di Brookings, che si erano persi in mezzo all’erba alta della prateria. La palude era peggio della prateria. Mamma aveva sempre paura che Grace ci finisse dentro e non riuscisse più a uscire. Tese l’orecchio per cercare di sentire il ronzio della falciatrice, ma lì attorno c’era solo il fruscio dell’erba. E non c’era nulla nell’ombra baluginante di tutte quelle foglie ondeggianti che svettasse più alto e le dicesse dov’era il sole. Non si capiva nemmeno da che parte veniva il vento. Nessuna di quelle erbe avrebbe retto il suo peso. 23
Il lungo inverno
Non c’era nulla, assolutamente nulla su cui potesse arrampicarsi per vedere più in là e capire dove si trovavano. «Vieni, andiamo» disse con voce allegra, perché Carrie non si spaventasse. Carrie la seguiva passo passo, ma lei non sapeva dove stava andando. Non sapeva nemmeno se camminava in linea retta. C’era sempre un cespo da aggirare a destra o a sinistra. Ma anche se una volta andava a destra e la volta dopo a sinistra, non era affatto sicura di non camminare in cerchio. La gente si perde perché gira in tondo e perciò non trova mai la strada di casa. La palude continuava per un miglio e anche più e c’erano solo erbe che ondeggiavano qua e là: troppo alte per vedere al di là, troppo esili per arrampicarcisi sopra. Ed era vasta, molto vasta. Se Laura non riusciva ad andare sempre nella stessa direzione, rischiavano di restare là dentro per sempre. «Stiamo camminando da un mucchio di tempo, Laura» disse Carrie ansimando. «Perché non arriviamo mai da papà?» «Dovrebbe essere da qualche parte qui intorno» disse Laura. Non poteva neanche tornare indietro da dov’erano venute, per andare a riprendere la strada. I loro passi non lasciavano quasi traccia sul fango secco che copriva il terreno e quelle erbe, quelle infinite erbe ondeggianti, con le loro foglie secche e spezzate, erano tutte uguali. Carrie aprì la bocca. I suoi grandi occhi spalancati guardarono Laura dicendo: «Lo so, ci siamo perse». La bocca si richiuse senza una parola. Se si erano perse, si erano perse. Non c’era niente da dire. «Meglio andare avanti» disse Laura. «Sì. Finché ce la facciamo» disse Carrie. Andarono avanti. Dovevano aver superato il punto dove papà stava falciando. Ma Laura non era sicura di niente. Se ora cercavano di 24
Una commissione in paese
tornare indietro, magari davvero finivano per allontanarsi sempre di più. No, l’unica possibilità era andare avanti. Ogni tanto si fermavano per asciugarsi il sudore dalla faccia. Avevano una sete terribile, ma acqua non ce n’era. Ed erano stanche. Spingere via tutti quegli steli era faticoso. Un singolo movimento non era niente, neanche te ne accorgevi, ma alla lunga era una gran fatica, peggio che pigiare il fieno sul carro. Il visetto di Carrie era bianco-grigio, da quanto era stanca. Poi Laura ebbe l’impressione che le erbe davanti a lei si diradassero. L’ombra sembrava più leggera e le cime ondeggianti, in alto contro il cielo, parevano meno numerose. A un tratto vide il sole, giallo dietro gli steli scuri. Che ci fosse uno stagno? Oppure, oh! Magari erano le stoppie, dove papà aveva tagliato l’erba, e allora c’era la falciatrice da qualche parte lì attorno, e sopra la falciatrice, c’era papà. Vide le stoppie nel sole e vide una fila di mucchi di fieno. Ma sentì una voce sconosciuta. Era la voce di un uomo, forte e robusta. Diceva: «Ti vuoi dare una mossa, Manzo? Portiamo via questo carico. Tra un po’ viene notte». Un’altra voce rispose pigramente: «Eddai, Roy!» Stringendosi l’una all’altra, Laura e Carrie sbirciarono fuori dagli ultimi steli. Il campo non era quello di papà. In mezzo al campo c’era un carro che non avevano mai visto e sul carro un mucchio enorme di fieno. In cima al mucchio, lassù in alto contro il cielo scintillante, era sdraiato un ragazzo. Stava a pancia in giù, con il mento sulle mani e i piedi in aria. L’uomo sollevò una immensa forconata di fieno e la buttò sul carro, seppellendo il ragazzo. Lui venne fuori ridendo e scuotendosi il fieno di dosso. Aveva i capelli neri e gli occhi azzurri e la faccia e le braccia scure di sole. 25
Il lungo inverno
Ora che era in piedi lassù, contro il cielo, vide Laura. Disse: «Ehi! Ciao!» e tutti e due, l’uomo e il ragazzo, guardarono Laura e Carrie che uscivano dalle erbe. Come conigli, venne da pensare a Laura. E per un attimo ebbe l’idea di girarsi e scappare a nascondersi. «Pensavo che qui ci fosse mio papà» disse invece, mentre Carrie si faceva piccola piccola dietro di lei. L’uomo disse: «Non abbiamo visto nessuno qui intorno. Chi è tuo papà?» Il ragazzo gli disse: «Il signor Ingalls. Vero?» chiese a Laura. Non smetteva di fissarla. «Sì» disse lei e guardò i cavalli attaccati al carro. Erano due magnifici bai, con la groppa che luceva al sole e la criniera nera sul collo lucido e forte. Quei cavalli li aveva già visti. Erano i cavalli dei fratelli Wilder. Dunque quell’uomo e quel ragazzo dovevano essere i fratelli Wilder. «Da quassù lo vedo. È laggiù in fondo» disse il ragazzo. Laura alzò gli occhi e vide che indicava un punto più in là. La guardava con gli occhi che ridevano, come se la conoscesse da sempre. «Grazie» disse seria seria e passò oltre, imboccando con Carrie la strada che il carro dei fratelli Wilder aveva aperto nella vegetazione della palude. «Ehilà!» fece papà quando le vide comparire. «Uff!» disse, levandosi il cappello e asciugandosi il sudore dalla fronte. Laura gli dette il pezzo che aveva comperato e restò lì con Carrie a guardare come faceva a cambiarlo. Papà aprì la scatola degli attrezzi, smontò la barra falciante, tolse il dente rotto, infilò il nuovo al suo posto e picchiò col martello sui rivetti per fissarlo bene. «Ecco fatto!» esclamò. «Dite a mamma che farò tardi. Voglio finire qui». Quando Laura e Carrie si avviarono verso casa, papà aveva già ripreso a lavorare. 26
Una commissione in paese
«Hai avuto paura, Laura?» chiese Carrie. «Un po’. Ma tutto è bene quel che finisce bene» disse Laura. «È stata colpa mia. Sono stata io a dirti di prendere da quella parte» disse Carrie. «No, è stata colpa mia, perché io sono più grande. Ma abbiamo imparato una lezione. D’ora in avanti staremo sulla strada» «Glielo dirai, a papà e mamma?» chiese Carrie timidamente. «Dovremo dirglielo. Se ce lo chiedono» disse Laura.
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Della stessa serie:
Laura Ingalls Wilder LA CASA NELLA PRATERIA 1 196 pagg., euro 13,50 ISBN 978-88-3624-049-4
Laura Ingalls Wilder LA CASA NELLA PRATERIA 2 SULLE RIVE DEL PLUM CREEK 224 pagg., euro 13,50 ISBN 978-88-3624-050-0
“I romanzi di Laura Ingalls Wilder avevano un unico scopo, aiutare i ragazzi a comprendere quanto fosse cambiata l’America nel giro di pochi decenni” Rossana Sisti, Avvenire
“Oggi il lettore italiano sembra chiedere alla letteratura qualcosa di diverso: paesaggi rurali, piccole città e fattorie isolate. È l’altra America, che in Italia arrivò per la prima volta con un telefilm degli anni Settanta decisamente iconico: La casa nella prateria” Vanni Santoni, la Lettura - Corriere della Sera
Laura Ingalls Wilder LA CASA NELLA PRATERIA 3 SULLE SPONDE DEL SILVER LAKE 240 pagg., euro 13,50 ISBN 978-88-3624-051-7
Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Grafica Veneta spa (Trebaseleghe, PD) nel mese di aprile 2021
Laura Elizabeth Ingalls Wilder (Pepin, 1867 - Mansfield, 1957) aveva appena quattro anni quando suo padre decise di lasciare il Wisconsin per cominciare una nuova vita nei territori messi a disposizione dei coloni dal governo americano. Fu solo il primo dei numerosi spostamenti che la famiglia dovette affrontare in quegli anni. Studentessa brillante, nonostante i lunghi soggiorni in zone isolate e prive di scuole, Laura riuscì a coronare il sogno di dedicarsi all’insegnamento. Dalle sue memorie sviluppò la saga letteraria Little House, che ebbe un grandissimo successo. Dal terzo dei nove volumi scritti dalla Ingalls, prese avvio l’omonima serie televisiva, che in Italia è andata in onda innumerevoli volte ed è amatissima, come ovunque nel mondo.
“Oggi il lettore italiano sembra chiedere alla letteratura qualcosa di diverso: paesaggi rurali, piccole città e fattorie isolate. È l’altra America, che in Italia arrivò per la prima volta con un telefilm degli anni Settanta decisamente iconico: La casa nella prateria” Vanni Santoni, la Lettura - Corriere della Sera
“La Ingalls è perfetta nel raccontare la meraviglia dell’erba che vibra nel vento, la vita spartana in armonia con la natura, le vicissitudini, le battaglie, le malattie, la solidarietà” Bruno Ventavoli, ttL - La Stampa
“Alla fine ogni episodio diventa una magnifica avventura dove sono i valori dell’amicizia, del rispetto e della solidarietà a far superare le difficoltà, e dove prevalgono i gesti semplici e genuini” Francesca De Sanctis, l’Unità
Immagine di copertina: © Rodney Harvey / Trevillion Images Illustrazioni e lettering: Pemberley Pond Progetto grafico: Camille Barrios / ushadesign
Gli Ingalls affrontano con coraggio il terribile inverno nel Dakota. In casa tutta la famiglia lavora sodo per sopravvivere alle tempeste di neve. Ma l’intero paese resta senza provviste e il giovane Almanzo Wilder decide di affrontare un pericoloso viaggio alla ricerca di cibo…
Si strinsero tra la stufa e la lampada sul tavolo, ad ascoltare mamma che leggeva con la sua bella voce limpida e dolce. La storia le trasportò lontano dal vento e dal buio. Quando finì, ne lessero un’altra e poi un’altra ancora. Poi basta, perché volevano lasciarne anche per gli altri giorni.
La serie completa: 1. La casa nella prateria 2. Sulle rive del Plum Creek 3. Sulle sponde del Silver Lake 4. Il lungo inverno
5. Piccola città del West 6. Gli anni d’oro 7. I primi quattro anni Nei Grandi Boschi del Wisconsin La storia di Almanzo