Cecco Mariniello Il principe Siddharta disegni dell’autore dello stesso illustratore in queste edizioni: Viva la mamma Storie di Re Artù e dei suoi cavalieri
ISBN 978-88-6145-741-6 Prima edizione luglio 2014 ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2018 2017 2016 2015 2014 © 2014 Carlo Gallucci editore srl – Roma Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Lito Terrazzi (Firenze) nel mese di luglio 2014 galluccieditore.com Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.
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Cecco Mariniello
Il principe Siddharta
T
anto tempo fa nacque in India un bambino a cui fu dato il nome di Siddharta, che significa “colui che raggiunge la meta”. Era figlio di Suddhodana, re di un prospero regno ai piedi dell’Himalaya e capo della famiglia degli Shakya. Per questo il bimbo ebbe anche il nome di Shakyamuni, che significa “il saggio degli Shakya”. La regina Maia fu colta dalle doglie durante un viaggio e lo mise al mondo nel bosco ombroso di un lussureggiante giardino, a Lumbini.
Vi fu una gran festa nel regno. Uomini e donne accorsero a corte portando doni e vennero gli indovini a dire il futuro del bimbo. Vi era tra loro, sceso dalle montagne, il venerabile Asita. Egli guardò assorto il visino luminoso del piccolo principe e poi si rivolse ai suoi genitori dicendo: «Vostro figlio diventerà maestro di saggezza e sconfiggerà la sofferenza e la morte». E pianse, perché era troppo vecchio per vederlo crescere e sbocciare.
Suddhodana lo ascoltò contrariato e si oscurò in viso: questa non gli pareva la profezia adatta al figlio di un re. Il giorno dopo la regina Maia cadde malata e, in breve volger di tempo, morì. Il re fu sconvolto dal dolore, la pianse a lungo e affidò il bambino alla sorella di Maia, Mahaprajapati. In cuor suo giurò che suo figlio sarebbe stato suo successore e re. Avrebbe dovuto occuparsi della potenza e dello splendore del regno e non delle questioni dei santi e
degli asceti sul perché si nasce e si muore. Avrebbe dovuto avere a cuore soltanto il piacere della vita e la caccia, i cavalli, le armi e le donne, gli amori e l’esultanza, come si addice a un erede al trono. Per riflettere sulla sofferenza e sulla morte c’erano già abbastanza preti nei templi ed eremiti sulle montagne. Siddharta era figlio di re e re sarebbe dovuto diventare. Anzi, per impedire che la profezia di Asita potesse mai compiersi, Suddhodana decise che suo figlio sarebbe cresciuto isolato e protetto dalla sofferenza del mondo come un fiore in una serra. Così il piccolo Siddharta fu circondato da ogni sorta di cose belle e piacevoli e in mezzo a esse crebbe, splendido giovinetto.
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“La storia di re Solimano, della bella fata Iranì, sua sposa, e dell’invidia delle sorelle streghesche […] modulata da Luzzati con la consueta, lieve ironia capace di rischiarare la prosa della vita” Donatella Trotta Il Mattino