Alver Metalli
L’UOMO DELL’ACQUA
Alver Metalli
L’uomo dell’acqua
Alver Metalli L’uomo dell’acqua Prima edizione elettronica nella collana EGAL: marzo 2012 Prima edizione cartacea nella collana uG - universale Gallucci: marzo 2012 © 2012 Carlo Gallucci editore srl – Roma è un libro della sezione EGAL per l’editoria elettronica Libro elettronico formato pdf ISBN 978-88-6145-392-0 In copertina: Diego Rivera, Sogno di una domenica pomeriggio al Parco Alameda, 1947-48 (particolare) © Banco de México Diego Rivera Frida Kahlo Museums Trust, D.F., by SIAE 2012 © 2011 Foto Art Resource/Bob Schalkwijk/Scala, Firenze
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a Maria
L’uomo dell’acqua
“Colui che non abbiamo mai visto, che però aspettiamo con vera bramosia, che ragionevolmente però è stato considerato irraggiungibile per sempre, eccolo qui seduto” FRANZ KAFKA
1.
C
he la giornata non fosse destinata a essere del tutto uguale a quelle che l’avevano preceduta, Manolo Lagorreta fu il primo ad averne sentore. Forse perché la più vecchia delle sue capre belò con la prima luce del giorno, come nei tempi migliori, quando il latte le appesantiva le mammelle e reclamava d’essere munta al mattino presto e a pomeriggio inoltrato, o forse perché, chissà, le giunture del braccio destro gli dolsero per un reumatismo che aveva preso a manifestarsi un paio di anni prima ed era tornato a rabbonirsi; fino a quel giorno. Ma anche così, in quell’albore strano denso di segnali premonitori, Manolo Lagorreta non poteva certo prevedere che Melitone Carpizo sarebbe comparso di punto in bianco, in quel momento preciso – dovevano essere le dieci passate da poco, calcolò – meno ancora che sarebbe tornato al paese natio nella ricorrenza dei Caduti delle sette rocce. 11
E invece era lì, all’entrata di Riosecco, ed era proprio lui, uguale a se stesso, identico a quando se n’era andato all’alba della stagione di mezzo, “quando le stagioni potevano distinguersi, separarsi l’una dall’altra come la pula dal grano” disse tra sé e sé cercando di non accentuare il movimento placido del pensiero. Il buon Melitone era proprio lì, al centro della strada che tagliava in due il paese come le parti di una mela, ed era lui, lui in carne e ossa, 75 chili un po’ rilassati dall’età, le labbra carnose come le ricordava, la barba di due giorni a fargli ombra sugli zigomi un po’ sporgenti. Doveva tornare, si sapeva. Prima o poi su quella strada benedetta fuori dal mondo ci sarebbe dovuto passare, era questione di tempo: poco, tanto, solo questione di tempo… Nessuno sceglie di morire lontano dagli affetti come un esiliato. Ma che il rimpatrio fosse in quel giorno esatto e a quell’ora del mattino, questo no, non lo sapeva nessuno, né c’era chi ne fosse stato informato: nella stalla della vedova Araceli non erano state fatte convocazioni. Melitone Carpizo aspirò la sorpresa di Manolo Lagorreta a pieni polmoni, fletté il busto di lato e appoggiò la valigia a terra; non piegò neppure le ginocchia, irrigidite dall’artrite; la lingua scivolò sulle labbra perennemente asciutte e tornò al suo posto, tra due arcate di denti scuri tartassati dalla carie. 12
«Salve» disse Manolo. C’era impaccio in quel saluto, come se il periodo trascorso lontano dal paese avesse liquefatto l’intimità che un tempo c’era stata tra loro per via della piacente donna Rosalia, che Manolo aveva aiutato Melitone a conquistare. Manolo Lagorreta strofinò la mano sui fianchi in segno di riguardo. Doveva essere pulita. Fece alcuni passi in avanti e la sollevò. «Salve Melitone» ripeté. Melitone Carpizo fece altrettanto, e le due mani si strinsero in un saluto atteso. Manolo Lagorreta si chinò, strinse il manico della valigia e la sollevò senza fatica. Camminarono affiancati come ai vecchi tempi, verso la piazza del paese e la fontana.
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2.
L
a notizia dell’arrivo di Melitone Carpizo si sparse per tutto il paese con la velocità di un fuoco tra le stoppie. Era un avvenimento per Riosecco, uno di quelli che smuovono gli animi, che li rivoltano nel profondo come il vento la polvere dei cortili. Gli abitanti, quelli che erano rimasti, lasciarono le occupazioni del momento. Il vecchio Melchiorre trascinò la gamba secca dalla chiesa fino alla piazza, dov’erano arrivati già Ignacio Aranda e i fratelli Barrero. Manuel Camacho tardò poco di più e dietro di lui gli altri, in eccitata processione: i coniugi Marulana con la signora Lagorreta al fianco, Reynoso il nipote del Ghiro, poi l’altro Reynoso, il Sampaio, e la vedova Araceli, che attese Lupita Sanchez e il figlio Jaramillo; accorsero anche Vicencio Parra e l’anziano Sepúlveda che viveva oramai per aggiungere ricordi ai ricordi e non voleva perdersi nulla di tutto quello che avrebbe
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potuto diventarlo. Maria Espina girò la chiave nella toppa, e si unì a Ignacio Aranda e a Jennaro Palma che passavano in quel momento davanti alla sua bottega. Le mani, decine di mani, si alzarono, s’intrecciarono come i giunchi di un canneto scompigliati dal vento. Melitone Carpizo le strinse una a una, salutò, sfiorò guance di paesane mai dimenticate, abbracciò i più giovani, li aveva lasciati glabri e li ritrovava con baffi e barba, rispose ai saluti dei compagni con l’allegria del ricongiungimento. A Riosecco, Melitone Carpizo c’era arrivato da giovane, un giorno afoso di quarant’anni prima. Non aveva scelto lui di fermarsi in quel posto assolato, pieno di polvere e avaro di proprietà. Vi aveva solo fatto sosta, intenzionato a riprendere il cammino verso Mercedes dopo il ristoro, di lì a due giorni, col camion del servizio postale che collegava Riosecco a Cuatro Bocas e Trinidad. Si trattenne una notte di troppo, giacché per la festa della patrona e protettrice del paese, i trasporti furono sospesi e i fuochi d’artificio illuminarono l’oscurità fino a tarda ora. Gli aromi del maiale affumicato impregnarono l’aria, il granturco scoppiettò tra le braci da mattina a sera; la banda di Apuleyo suonò e stonò finché ebbe fiato, la giostra sulla piazza caricò bambini a più non posso e fu fermata all’alba, quando 15
il sole s’era staccato dalla superficie liscia della pampa e la canicola aveva preso a picchiare senza riguardi per nessuno. L’attesa fu fatale. I bollori dell’età e le grazie ancora incorrotte dal male di donna Rosalia nel fulgore della giovinezza fecero il resto. A Riosecco, Melitone Carpizo ci rimase per sempre, per quelle ragioni che è più facile tacere che spiegare. Vi aprì bottega, di un ciabattino c’era bisogno: «non c’è chi ripari le scarpe con mestiere» gli aveva sussurrato la giovane Rosalia tra un sospiro e l’altro. Rosalia Carmina Mendoza fu ben lieta di dividere la casa con lui, presentendo, chissà, lo svelarsi di future, eccezionali bontà d’animo, così come eccezionali furono le attenzioni che da allora in avanti ebbe per il marito. Il matrimonio si celebrò con fasto: vino, cinque capre di Manolo in età per essere macellate, e musica di Apuleyo e la sua banda, ché non c’erano alternative. Don Crispino, fresco di ordinazione e incarico, benedisse d’un sol colpo nozze, sposi e festa. Non gli dette figli, donna Rosalia, non poteva darglieli e non glielo nascose, ma lo circondò di cure amorevoli e amoroso riserbo, finché il malanno covato in silenzio con gran sopportazione non ebbe la meglio sulla dedizione con cui lo aveva accudito. 16
Tardò a morire, donna Rosalia, sputò l’anima con le mucosità che le stringevano i polmoni, e quando il momento arrivò si congedò dal marito con le lacrime agli occhi. Venne pianta per un giorno intero, dall’alba al tramonto, seppellita il giorno dopo dal giovane curato di Torreón Mojado quando il calore aveva cominciato a devastarne il corpo e il puzzo si attaccava alle pareti della stanza come il muschio sulla facciata della casa. Melitone Carpizo l’accompagnò al cimitero con la banda alle sue spalle, che Vicencio Parra precedeva camminando all’indietro come un gambero. Visse senza di lei una vita mesta; laboriosa anche, e onesta, senza mai più allontanarsi da Riosecco e dal suo cimitero. Fin quando ripose le formelle per le scarpe in una cassa, unse la macchina da cucire col grasso di maiale, arrotolò il cuoio, piegò le pelli e chiuse la bottega. Il giorno dopo assicurò i battenti della porta e partì per la città. Di clienti ce n’erano sempre meno e il costo in aumento dei pellami conciati che arrivavano da terre lontane non gli aveva lasciato scampo. A Tacuarembò, dove si fermò dopo due giorni di viaggio sulla carrozza di don Alfredo Puertas, non ebbe soddisfazioni maggiori a quelle che cercava. Ma neppure dispiaceri che gli rovinassero la vita. 17
Indice
L’uomo dell’acqua Strane cose a Magdalena Zia Concezione
pagina 7 75 123
Un luogo imprecisato dell’America Latina, dove i paesani di un villaggio rinsecchito ricevono la notizia di una visita che potrebbe cambiare la loro penosa condizione. Un villaggio del Sud dell’Argentina, dove un uomo dai poteri singolari riceve la visita di persone che anelano i suoi benefici. Un punto lungo il confine tra Messico e Stati Uniti, dove una pattuglia caccia chi tenta il salto. Su tutto aleggia un mistero benigno in attesa di rivelarsi…
Alver Metalli è nato nel 1952 a Riccione e, nonostante il nome faccia pensare a origini nordiche, è romagnolo a tutti gli effetti. Il mestiere di raccontare lo ha portato dapprima a Roma, poi in Argentina, quindi in Messico e in Uruguay. Attualmente vive a Buenos Aires. L’America Latina è il mondo che meglio conosce e al quale ha dedicato saggi e romanzi, tra i quali il libro per ragazzi La vecchia ferrovia inglese, pubblicato da Gallucci.