Niente che sia al suo posto

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Alta Definizione Gallucci



Alberto Bellini

Niente che sia al suo posto


Alberto Bellini Niente che sia al suo posto ISBN 978-88-6145-562-7 Prima edizione luglio 2013 ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2013 2014 2015 2016 2017

© 2013 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Il marchio FSC® garantisce che la carta di questo volume contiene cellulosa proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship ® Council ) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su www.fsc.org e www.fsc-italia.it Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.

Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso CDC Arti Grafiche srl di Città di Castello (Pg) nel mese di luglio 2013


Per Annalisa. Ubi tu...



Ciò che esiste, da tempo ha avuto un nome, e si sa che cos’è un uomo Qoèlet 6, 10

Dovremo imparare un’altra volta a conoscere noi stessi Etty Hillesum



Animali Dolomiti italiane, luglio 2004



La sua è una delle ultime auto rimaste. Ettore apre il bagagliaio e ricambia gli ultimi saluti lanciati un po’ a casaccio. Carica lo zaino di Davide, il sacco a pelo e la borsa della roba sporca, gonfia e maleodorante. Immagina di poter vedere attraverso il gore-tex colorato: gli indumenti del figlio appallottolati come stracci, cacciati dentro alla rinfusa insieme a scarponi, poncho, gavetta di metallo. E poi ciabatte, borraccia, torcia. Richiude il portellone. Finalmente si riparte. Attraverso il lunotto posteriore lo vede. Davide, sedici anni. Pieno di fierezza sta mostrando alla madre, seduta davanti, un pezzo di legno sul quale ha inciso col coltellino il proprio nome. Accanto a lui, Sara, undici anni, sta protestando vivacemente. Anche lei vuole vederlo. Il pezzo di legno o il coltellino?, si domanda Ettore. Con un ultimo sguardo circolare, passa in rassegna le cime rocciose, i pascoli e i boschi; il grande prato ai margini del quale sorgeva il crocchio di tende appena smontate. Al loro posto adesso restano tante pezze di erba esangue. Si riempie i polmoni d’aria, il profumo della legna bruciata per la grigliata conclusiva ancora pungente. Si torna a casa. Apre la portiera e si mette alla guida. 11


Dopo un tratto assolato la strada si inoltra nel bosco e prende a scendere tra due plotoni di abeti imponenti. Di tanto in tanto, oltre le cime degli alberi protese verso il cielo luminoso del pomeriggio estivo spuntano costoni quasi verticali di roccia grigia. L’auto scivola sull’asfalto perfetto senza sforzo ed Ettore guida spedito, limitandosi a impostare al meglio le curve. Accanto a lui Silvia dorme già. Ha inforcato gli occhiali da sole e si è incuneata nel sedile. Prima di cedere al sonno ha intercettato il suo sguardo. Sollevando gli occhiali sulla fronte, gli ha sorriso e gli ha indirizzato un bacio muto. Ettore le ha restituito il sorriso ma un tornante lo ha costretto a concentrarsi sulla guida. Quando si è voltato di nuovo a guardarla, gli occhiali scuri lo fissavano inespressivi. Sul viso di Silvia le ombre del bosco avevano una consistenza diversa, una fluidità subacquea. Nel giro di un quarto d’ora anche i figli sono crollati. Ettore ha sentito la conversazione alle sue spalle, intessuta di quel linguaggio da iniziati, smagliarsi e languire in un monologo. Quando si è accorto di parlare ormai da solo, Davide si è affacciato tra i sedili anteriori. «Ti dispiace se dormo anch’io?» gli ha domandato con gli occhi già velati di sonno. Attraverso il retrovisore, Ettore gli ha strizzato l’occhio. «Se foriamo ti sveglio». Davide ha sorriso e si è lasciato cadere contro lo schienale. Era accaduto un anno prima. Era sera, tornavano dalla cena della pallacanestro e pioveva. Ettore aveva sentito il volante tremare sempre più forte fino a che il 12


muso dell’auto si era inclinato da una parte. Era sceso e aveva cambiato la ruota facendo attenzione a non svegliarlo. Quando più tardi Davide lo aveva scoperto si era arrabbiato a morte con lui. Appena la strada si raddrizza Ettore ne approfitta per sbirciare il retrovisore. Le maniche della maglietta di Davide rivelano il segno dell’abbronzatura. Sul gomito destro spicca una crosta già nera. I capelli lunghi e bisognosi di una bella sgrassata gli danno un’aria selvatica. Ettore ha la sensazione che negli ultimi dieci giorni qualcosa in suo figlio sia cambiato, evolvendo verso un nuovo stato di pienezza. La peluria sul labbro superiore, imbiondita dal sole, si è infoltita. La sua voce, se prova a riascoltarla dentro di sé, ha raggiunto profondità inedite. Adesso Davide russa sommessamente, la testa rovesciata contro il poggiatesta. Sara dorme addossata alla portiera, la fronte a contatto col finestrino a cercare forse un po’ di refrigerio, le palpebre che tremano, solleticate da un sogno. Sulla fronte di Silvia un muscolo si contrae involontariamente. Ettore posa lo sguardo sulla moglie in tempo per coglierne il guizzo repentino e irriflesso. All’improvviso, qualcosa schizza fuori dal bosco. Un cervo. No, è una femmina. Una splendida cerva, seguita a breve distanza da due esemplari più giovani. Gli animali sgusciano dal bosco con una fluidità stupefacente. Sfilano a una ventina di metri dall’auto. I corpi snelli ma muscolosi, il mantello splendente, i 13


colli eretti. Dignitosi, quasi alteri. La loro corsa è un dispiegarsi di grazia. Per nulla spaventato, forse nemmeno sorpreso, Ettore solleva il piede dall’acceleratore e sfiora appena il pedale del freno. Con lo sguardo accompagna la traiettoria di quella corsa elegante e silenziosa. Sul lato opposto della carreggiata la madre si sta già rituffando nel bosco. Un colpo inferto al muso della macchina lo strappa al suo incanto. Riporta gli occhi sulla strada e si ritrova faccia a faccia con lo sguardo stupito e allarmato di un animale disteso scompostamente sul cofano. Tutto accade in una frazione di secondo. Il piede affonda sul pedale del freno, i muscoli delle braccia scattano senza che lui possa impedirlo. Ettore sterza, imprimendo al corpo dell’animale steso sulla lamiera del cofano una spinta che genera una sgraziata piroetta. Ce n’era un altro, si dice in un misto di rimprovero e rassegnazione. Silvia e i ragazzi, improvvisamente svegli, scattano alla ricerca di un appiglio. Oltre il parabrezza frantumato, la testa del cervo è una macchia grumosa color fegato che scivola via. Fuori dall’abitacolo, il mondo vortica furiosamente. Dentro, per un lungo istante di immobilità assoluta tutti gli occupanti trattengono il respiro. Poi le leggi della meccanica si scatenano.

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Per tirarlo fuori sono costretti a usare il flessibile. Le lamiere resistono tenaci, sembrano volerlo custodire, quasi sapessero che ciò che verrà sarà peggio di ogni altra cosa. Scintille piovono sull’erba e sull’asfalto tutt’intorno, come pioggia meteoritica agli albori dell’universo. I pompieri indossano grandi guanti logori, bersagliati con violenza dai frammenti di metallo rovente. Si muovono rapidi ma senza concitazione. I paramedici predispongono tutti gli strumenti necessari al trasferimento in ambulanza: collari ortopedici, cucchiaio, barella spinale. Una donna dalla struttura minuta si è infilata nell’auto cappottata e sta tamponando la ferita sul cranio della ragazza seduta accanto a lui, ancora legata dalla cintura. Il sangue versato, rispettoso della gravità, ha trasformato il suo volto nella maschera di guerra di una civiltà primitiva. Qualcuno parla via radio all’unità emergenze, poi grida qualcosa attraverso il finestrino, ma il flessibile e le auto in corsa coprono la sua voce. Allora punta il dito indice contro il cielo e comincia a rotearlo. L’elicottero. Sollevati, i colleghi annuiscono. Qualcuno vuole far tacere quel bambino? Un agente di polizia, quello con più anzianità di servizio, dà un buffetto sullo stomaco del giovane collega, ipnotizzato dallo sfavillio che 15


zampilla dalle lamiere. Gli fa il gesto del tagliagole. Il giovane agente si riscuote e scatta verso l’ambulanza, dove il bambino in stato di shock continua a gridare come un’aquila. Due minuti dopo arriva l’elicottero. Come un avvoltoio, compie due giri completi sulla carcassa dell’auto, poi cala su un terreno incolto a lato dell’interstatale. Per un istante tutto è vento, svolazzare di fogli e martellare di pistoni. Più tardi, mentre il carro attrezzi issa a bordo il rottame dell’auto, l’agente più giovane e uno dei pompieri risalgono per un centinaio di metri la carreggiata raccogliendo i pezzi del campionario disperso durante i cappottamenti. Per un po’, per una comune naturale inclinazione all’ordine, provano ad appaiare le scarpe e a rimetterle nelle scatole di cartone. Poi rinunciano e infilano tutto alla rinfusa in grandi sacchi di plastica nera. Le prime gocce di pioggia, picchiettando il nylon, riportano l’agente indietro nel tempo. A una notte passata in tenda, quando era ancora soltanto un ragazzo e sognava di diventare uno scrittore famoso. Lo Stephen King della sua generazione.

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Nella collana Alta Definizione:

Andrea Emo La voce incomparabile del silenzio Federico Platania Il Dio che fa la mia vendetta Alberto Bellini Niente che sia al suo posto Grazia Verasani Accordi minori




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