Sophie. Se ci sei, batti un colpo!

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Sophie sentì i passi di qualcuno che si avvicinava. Tremante alzò lo sguardo e si trovò davanti il fantasma di un ragazzo. E non un ragazzo qualunque. Alto e piuttosto magro, indossava un giubbotto di pelle sgualcito, jeans e scarpe da ginnastica. Aveva i capelli neri con una lunga frangia che ricadeva sugli occhi, coperti da un paio di occhiali da sole. Sophie si sentì quasi svenire per l’emozione e nalmente capì cosa intendevano le sue amiche quando parlavano di colpo di fulmine.

«Tutto bene?» le chiese il motociclista. «Tu sei viva o mi sbaglio?»

UAO

Universale d’Avventure e d’Osservazioni

Nicola Brunialti

Sophie. Se ci sei, batti un colpo!

ISBN 979-12-221-0670-0

Prima edizione settembre 2024

ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2028 2027 2026 2025 2024

© 2024 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Pubblicato in accordo con Walkabout Literary Agency

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Nicola Brunialti Sophie

Se ci sei, batti un colpo!

Capitolo primo

«Hai visto come piove oggi, nonno? Per fortuna ho messo il giubbotto con il cappuccio! Lo so, un ombrello sarebbe stato meglio… Ma io odio gli ombrelli, sono da vecchi!»

Seduta a gambe incrociate davanti alla tomba del nonno, Sophie sorrise. La foto sulla lapide l’aveva scelta lei: il nonno aveva appena spento settantaquattro candeline. In quella originale, lei gli stava accanto e lo abbracciava, ma nell’ovale di ceramica si vedeva solo lui che rideva, con un braccio attorno al collo. Fosse stato per lei l’avrebbe lasciata intera, ma la mamma le aveva detto che non poteva comparire nella foto di un morto. Peccato, aveva pensato Sophie, sarebbe stato un modo per rimanere vicini per sempre. Anche se, in fondo, vicini lo erano lo stesso.

Ogni giorno, prima di andare a scuola, si fermava una mezz’oretta a Ober-Sankt-Veit, uno dei tanti, bellissimi, cimiteri di Vienna. La tomba di suo

nonno Thomas era circondata da quelle di grandi artisti e personaggi importanti. Intorno a lei c’erano angeli disperati e busti impettiti, tempietti greci, croci e stelle di David.

E, soprattutto, c’era un grande silenzio. Motivo in più per apprezzare quel posto.

«Sai cosa pensavo? Finalmente hai vinto la tua terribile insonnia!» disse ridendo, mentre la pioggia le scivolava dolcemente sul giubbotto.

Poi, all’improvviso, cambiò argomento: «Ti ho detto che la professoressa Meyer non ha voluto correggere il mio compito in classe? Quella strega dice che sono andata fuori tema. Mi ha detto che faccio sempre di testa mia! E che non posso parlare del mondo dei morti se il tema del compito è Dove e come ti vedi fra vent’anni. Ma io mi chiedo, cosa ne sa lei di dove voglio essere io fra vent’anni?»

Fissò assorta la scritta sulla lapide. Aveva la testa così piena di pensieri che a volte faticava a metterli in ordine.

Come tornando in sé, riprese quella stramba conversazione: «Vabbe’, lasciamo perdere… Non voglio annoiarti. Sarà meglio che corra a scuola, altrimenti prenderò un’altra nota per l’ennesimo ritardo…»

Si ravviò i capelli, si infilò il cappuccio e lanciò

un bacio alla foto del nonno, promettendo di ritornare il giorno successivo: «Domani è sabato, verrò dopo pranzo. Ciao, nonnino mio!»

Infine si voltò, si infilò le cuffie del telefono nelle orecchie e sparò a tutto volume l’ultima canzone del suo gruppo preferito, i Funeral Destroyers, quattro ragazzi americani che tra i loro fan, oltre a lei, probabilmente annoveravano solo i propri familiari.

Il silenzio assoluto o la musica a palla: Sophie non conosceva vie di mezzo. E con quel sottofondo si diresse verso l’uscita del cimitero.

Poco più in là, qualcuno la stava osservando.

Qualcuno o qualcosa: Wilfred Gospel, infatti, era puro spirito da ormai centocinquant’anni.

Aveva un viso paffuto, incorniciato da due folte basette, lunghe quasi fino al mento. I capelli erano piuttosto radi e sul naso portava un paio di occhialetti d’oro senza stanghette.

Indossava con fierezza un elegante completo di lana marrone, con il panciotto abbinato e l’orologio da taschino in bella vista.

Wilfred aveva abbandonato il suo corpo materiale il giorno in cui era stato investito da una carrozza mentre attraversava la Stephanplatz, una me-

ravigliosa piazza al centro di Vienna, e da quel momento aveva smesso di essere un orologiaio ed era diventato un fantasma da cimitero a tutti gli effetti.

L’incarico gli era stato affidato non appena aveva messo piede nel regno dei morti. Suo nipote Julius, invece, era stato più fortunato: era morto nel suo letto circondato dall’affetto dei familiari ed era stato nominato fantasma da seduta spiritica, il lavoro più ambito nel Mondo di Sotto.

Da ciò che raccontava, Julius si divertiva un mondo a comparire durante quelle riunioni segrete, frequentate da persone curiose e spesso un po’ eccentriche.

Sull’argomento “aldilà” i fantasmi dovevano mantenere il più assoluto riserbo. Dare informazioni circa familiari defunti invece era consentito, a patto che non si eccedesse con i particolari.

A Wilfred, che da giovane si dilettava con il teatro, sarebbe tanto piaciuto essere nominato “fantasma del palcoscenico”. Si immaginava di solcare di nuovo le assi polverose di un palco, terrorizzando gli spettatori con le sue urla. Ma le suppliche accorate non erano servite a niente, né tantomeno erano servite le lunghissime lettere di protesta.

E così si era dovuto accontentare di quel posto al cimitero di Vienna, non certo di grande prestigio.

Per carità, l’ambiente era tranquillo e il lavoro poco, se si escludeva la notte, quando le apparizioni dei fantasmi dovevano essere più numerose. Però la morte lo rattristava. Per questo se ne stava in disparte, cercando di comparire il meno possibile: nel corso di un secolo e mezzo di onorato servizio era stato visto non più di una decina di volte.

La cosa gli era anche costata diversi rimproveri da parte del Comitato Centrale Fantasmatico, che gli aveva imposto almeno due apparizioni all’anno. Altrimenti, lo avevano minacciato i superiori, l’avrebbero declassato e trasferito come usciere al Ministero della Concordia, l’istituzione che si occupava di mantenere buone relazioni con il Mondo di Sopra.

Poi, era arrivata lei. Quella ragazza che si presentava tutti i giorni alle sette e mezzo in punto.

Doveva chiamarsi Sophie: il custode, di cui ormai la ragazza era diventata amica, usava sempre quel nome per salutarla. Al contrario di tutti i frequentatori del cimitero, lei non piangeva mai.

Era sempre allegra e fischiettava strambi motivetti. Poco importava se c’era la nebbia, la pioggia o la neve: Sophie si metteva seduta davanti alla tomba del nonno e gli raccontava nei minimi dettagli tutto ciò che le era capitato nel corso del giorno precedente.

Wilfred adorava le sue magliette: quelle con il teschio arrabbiato o con l’orsacchiotto suicida lo facevano impazzire, e quella con la scritta You are my problem la trovava geniale. Ma a incantarlo erano soprattutto i due enormi occhi neri, sempre molto truccati, e i capelli corvini su cui spiccava un ciuffo viola intenso. Ai suoi tempi nessuna ragazza si sarebbe dipinta i capelli di viola!

Anche quel giorno Wilfred vide Sophie salutare il nonno, lanciargli un bacio nell’aria e allontanarsi canticchiando verso l’uscita. Gli sembrava che a Sophie la morte non facesse paura. Anzi, aveva l’impressione che la divertisse. Sarà stato per quello che, ogni volta che la vedeva, Wilfred tornava sempre di buonumore, anche se si era alzato con il piede sbagliato, magari perché la moglie aveva russato come un vecchio troll o i pipistrelli avevano voluto fare colazione prima del tramonto.

“Soffiamorte”. Mi piace.

Quanta fantasia che hanno.

Eppure sono quarant’anni che mi cercano invano.

Non mi prendono e non mi prenderanno mai.

Io so come uccidere. E lo faccio bene. Senza sbavature. Senza ripensamenti.

Per questo mi considerano un mostro… Che brutta parola!

Dovrei sentirmi offeso!

Quei ficcanaso hanno analizzato così a fondo i miei comportamenti che ormai pensano di conoscermi perfettamente.

Qualcuno, addirittura, si è detto certo che da piccolo devo essere stato maltrattato.

Se sapessero quanto sono lontani dalla verità…

La mia infanzia è stata bellissima.

Ho avuto i genitori migliori che un bambino possa desiderare.

Mio padre con me non ha mai neanche alzato la voce. E neppure mia madre.

Non c’era bisogno. Anche se ricordo perfettamente una sera di tanti anni fa.

Eravamo tutti seduti intorno al tavolo per la cena.

Io non volevo mangiare i cavolini di Bruxelles: li odiavo. E li odio ancora. Solo a sentirne l’odore, mi viene da vomitare.

Be’, quella sera feci il diavolo a quattro. Ma i miei non emisero un fiato.

Semplicemente, non mi permisero di alzarmi finché non li finii tutti.

Ed era la mattina del giorno seguente.

Se lo raccontassi a quelli della televisione, troverebbero subito un nesso fra quell’episodio e i miei “delitti efferati”, come li chiamano.

Ma il nesso non c’è.

Io uccido perché mi piace. E perché ne ho bisogno.

Non per colpa dei cavolini di Bruxelles.

ha lavorato come pubblicitario per anni, firmando celebri campagne, tra cui quelle di Lavazza, Tim, Alitalia. È autore di Chi ha incastrato Peter Pan? e di altri programmi televisivi; ha scritto le canzoni Dormono tutti per Renato Zero e, con Simone Cristicchi, Abbi cura di me . Dal 2010 si dedica a tempo pieno alla scrittura di romanzi e di serie tv d’animazione per ragazzi. Incontra spesso i suoi lettori in occasione di festival letterari e nelle scuole.

In copertina

Illustrazione di copertina © PEPE nymi

Art director: Stefano Rossetti

Graphic designer: Eleonora Tallarico / PEPE nymi

Quando Sophie scompare senza lasciare traccia, sua madre è disperata: ha paura che sia vittima del Soffiamorte, il serial killer che terrorizza Vienna. La realtà è ancora più incredibile. Sophie, infatti, è stata evocata da due giovani e inesperti fantasmi, nel corso di una seduta “vivitica”… e così ora si trova nell’aldilà, circondata soltanto da spettri. Peccato che la cosa sia vietatissima! Risucchiata in un mondo di pipistrelli carnivori, case pericolanti e spiriti vendicativi, come potrà uscire viva da quell’universo da brividi?

La testa prese a girarle come sulle montagne russe, mentre nelle orecchie le rimbombava una lontana voce di bambina che chiamava il suo nome e ripeteva: «Sophie, se ci sei batti un colpo!» «Sì che ci sono» rispose...

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