THE Rolling Stones (1962) hanno influen-
morabile tour del 1972, Jim Marshall visse
zato con la loro musica la cultura internazionale
un’intera settimana insieme ai Rolling Stones
degli ultimi cinquant’anni. Keith Richards è
e li ritrasse in tutto il loro splendore sul palco,
membro fondatore della band.
jim marshall The Rolling Stones 1972
Inviato dalla rivista Life per fotografare il me-
ma anche nei momenti privati dietro le quinte. In questo volume sono raccolte le celebri im-
Jim Marshall (1936–2010) è stato uno dei
magini scattate da Marshall durante i concerti
primi fotoreporter musicali. Le sue immagini,
e nelle sedute di registrazione di Exile on Main
apparse sulle copertine di dischi, riviste, libri e
Street, insieme a molte altre mai viste prima.
mostre, sono conosciute in tutto il mondo.
Nell’intro Keith Richards, leggendario chitarrista degli Stones, ci offre una testimonianza
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diretta sull’ambiente rock degli Anni Settanta. Nella prefazione il critico musicale Joel Selvin spiega l’importanza storica del tour e di Exile on Main Street nell’evoluzione della band.
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The Rolling Stones 1972 Fotografie di Jim Marshall
intro di Keith Richards
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THE ROLLING STONES 1972 INTRO DI KEITH RICHARDS PREFAZIONE DI JOEL SELVIN
A CURA DI MICHELLE DUNN MARSH
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The Rolling Stones 1972 intro di Keith Richards prefazione di Joel Selvin a cura di Michelle Dunn Marsh fotografie di Jim Marshall traduzione di Fabio Genovesi ISBN 978-88-6145-391-3 Prima edizione giugno 2012 © 2012 Carlo Gallucci editore srl - Roma ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2017 2016 2015 2014 2013 2012 www.galluccieditore.com The Rolling Stones 1972 © Foreword © 2012 by Keith Richards Introduction © 2012 by Joel Selvin Additional text © 2012 by Michelle Dunn Marsh Photographs © The Estate of James J. Marshall Photograph of Jim Marshall courtesy and © Jock McDonald Stampato in Cina Tutti i diritti riservati Pubblicato per la prima volta in lingua inglese da Chronicle Books LLC, San Francisco, California All rights reserved under International Pan-American and Universal Copyright Conventions. Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.
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INTRO PREFAZIONE LE SEDUTE DI REGISTRAZIONE A L.A. DIETRO LE QUINTE I CONCERTI NOTA DEL CURATORE RINGRAZIAMENTI
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Los Angeles, California: Mick Jagger posa per un servizio pubblicitario, primavera 1972. 8
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PREFAZIONE JOEL SELVIN Estate 1972 – Dopo lo scioglimento dei Beatles, e con Bob Dylan che latitava, i Rolling Stones si ritrovarono senza rivali nell’olimpo del rock. Nuove leve come i Led Zeppelin erano riuscite a catturare l’attenzione – quella primavera “Stairway to Heaven” si sentiva ovunque e Led Zeppelin IV si predisponeva a rimanere in classifica per cinque anni – ma gli Stones regnavano ancora incontrastati, celebrati sopra ogni altra stella del rock. A maggio avevano pubblicato un disco doppio, Exile on Main Street, dopo aver realizzato tre dei più grandi album rock di sempre: Beggar’s Banquet (1968), Let it Bleed (1969) e Sticky Fingers (1971). Il tour dei Rolling Stones del 1972, alimentato da cocaina e Tequila Sunset, sarebbe stato il momento più scintillante della storia del rock, con un incasso di quattro milioni di dollari – cifra mai raggiunta fino ad allora – e con grandi personalità al seguito, tra cui lo scrittore Truman Capote e la principessa Lee Radziwill. La cricca degli amici ammessi sul jet privato degli Stones includeva il medico di fiducia della band, esperto di pronto soccorso e sempre disponibile a scrivere ricette, e il fotografo Robert Frank, che catturò l’apocalisse con le sue cineprese Super 8 e realizzò poi un documentario mai uscito (ma stravisto), Cocksucker Blues. C’erano Mick Jagger, pronto per un bel primo piano, e Keith Richards strafatto, che, in posa per il fotografo Ethan Russell, indossava una giacca con la scritta “Coke”, barcollando sotto un grande cartello che diceva “Abbiate pazienza… un’America senza droga viene prima di tutto!” Annie Leibovitz, il reporter Robert Greenfield e diversi altri, tra cui Jim Marshall, si unirono al tour chi prima e chi dopo. Decisero di chiamarsi STP - Stones Touring Party, e di adottare come emblema gli adesivi di una marca di olio per motori con la stessa sigla: nell’ambiente psichedelico STP indicava anche una famosa droga allucinogena. Erano come una ciurma di pirati, ognuno pronto a scolarsi l’impossibile. Era rock and roll all’ennesima potenza.
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Jagger con Chris O’Dell, assistente di produzione per il tour del 1972. Chris O’Dell aveva cominciato la sua carriera alla Apple Records coi Beatles. Dopo il tour del 1972 andò a lavorare con Dylan, Crosby, Stills, Nash & Young e con Linda Ronstadt, diventando una delle prime tour manager donna. < Los Angeles, California: Mick Jagger al Sunset Sound, primavera 1972.
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Los Angeles, California: Mick Jagger e Keith Richards al Sunset Sound durante il lavoro di post-produzione per Exile on Main Street, primavera 1972.
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La band registrò la maggior parte di Exile on Main Street insieme al produttore Jimmy Miller nelle cantine del castello preso in affitto da Keith Richards a Nellcôte, in Francia, ma per le ultime rifiniture si ritirò al Sunset Sound di Los Angeles. Quel vecchio studio nel cuore di Hollywood, dove Annette Funicello ha inciso tutti i suoi dischi, fu aperto negli Anni Cinquanta da Tutti Camarata, il direttore d’orchestra di Walt Disney. La Elektra Records lo utilizzò praticamente come studio privato: i Doors vi realizzarono diversi album e anche gli Stones ci avevano già lavorato in alcune sedute di registrazione per Beggar’s Banquet. Con l’album in uscita a maggio, e un tour di otto settimane per trenta città che doveva partire nel giugno del 1972, l’ingegnere del suono Andy Johns passò molte notti in bianco durante i primi tre mesi di quell’anno nel tentativo di portare a termine il progetto. A un certo punto subentrò il panico da ultimo minuto. Il disco richiese estenuanti sessioni di remixaggio, la sovraincisione del cantato e tutto l’impegno possibile perché l’album fosse pronto per uscire nei negozi. Incaricato dalla rivista Life, Jim Marshall andò a Los Angeles e immortalò Mick e Keith che vagavano per lo studio, realizzando inoltre una serie di ritratti del solo Mick. Queste foto sono un’anticipazione delle immagini private che Marshall catturerà nel backstage durante il tour. Il tour degli Stones oltrepassò i tradizionali confini del rock. Life era una rivista generalista. I Rolling Stones erano diventati famosi ben oltre la cerchia degli appassionati di rock and roll. La stessa musica rock era in piena ascesa e i Rolling Stones erano le sue star più clamorose. Questo tour sarebbe stato un giro d’onore sotto i riflettori più luminosi e sopra i palchi più giganteschi che gli Stones avessero mai visto. In seguito il rock sarebbe diventato una cosa ancora più grande, ma non avrebbe mai superato il tour americano dei Rolling Stones del 1972. Il tour partì da Vancouver, in Canada, dove duemila ragazzi senza biglietto si scontrarono con la polizia fuori dai cancelli. Nella serata successiva, a Seattle, la band tolse qualche pezzo dalla scaletta e accorciò lo show. Prima di loro si esibiva Stevie Wonder: un’esplosione di talento lunga mezz’ora, dall’iniziale assolo di batteria fino al saluto finale, con cui Stevie lasciava il palco dietro una fila di altissime e splendide coriste nere. Gli Stones tagliarono il loro set per portarlo sotto ai novanta minuti e, dopo due ottimi concerti a Seattle, la band era pronta per San Francisco. L’ombra di Altamont aleggiava ancora sugli Stones, soprattutto nella Bay Area: alla fine del tour del 1969 la band aveva lasciato la città in fretta e furia dopo che
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un concerto gratuito davanti a un pubblico di quasi mezzo milione di persone si era trasformato in un disastro. Gli Hells Angels, il club di motociclisti che in cambio di 400 dollari, pagati in birra, erano stati ingaggiati per gestire la sicurezza, aggredirono il pubblico con mazze da biliardo e presero a cazzotti anche il cantante dei Jefferson Airplane, Marty Balin, durante la sua esibizione. Gli Stones salirono sul palco al tramonto, solo per vedere la propria performance interrotta da risse e tafferugli nel bel mezzo di “Simpathy for the Devil”. Ci furono dei morti; una vittima, Meredith Hunter, fu uccisa proprio davanti al palco. La band e il suo seguito si allontanarono in volo a bordo del loro elicottero, come superstiti in fuga da Saigon. Dopo quell’episodio, l’impresario rock di San Francisco Bill Graham aveva avuto parole dure per Mick Jagger, ma riuscì comunque a portare la band al Winterland durante il tour del 1972. Nell’ex palazzetto del ghiaccio da 5.400 posti Graham organizzava concerti rock ogni settimana, generalmente con band molto meno famose. A San Francisco gli Stones ebbero il loro primo incontro con l’ambiente rock della West Coast, rappresentato da musicisti come Jerry Garcia e Neil Young. John Lee Hooker li andò a trovare nel backstage tra un concerto e l’altro. E, ovviamente, c’erano le folle: l’agenzia che si occupava della prevendita dei biglietti ricevette più di 100mila richieste a fronte di circa 20mila biglietti disponibili per i quattro concerti. Non mancavano i media. C’erano gli hipster di Rolling Stone, che già da soli formavano un bel gruppo. E c’era anche Jim Marshall. Marshall era un fotoreporter di altissimo livello ancora prima che la definizione fosse coniata. A New York aveva lavorato per le più celebri riviste patinate – Life, Look, Saturday Evening Post – e i suoi scatti erano finiti sulle copertine di centinaia di album, da Miles Davis a Johnny Cash. Sue le storiche foto di Jimi Hendrix che brucia la chitarra, di Bob Dylan che dà un calcio a un copertone, o di Janis Joplin che si coccola la sua bottiglia di Southern Comfort: vere e proprie pietre miliari nel settore emergente della fotografia rock. A trentasei anni, Marshall era già il grande vecchio del settore. Marshall aveva fotografato gli Stones per la prima volta durante il concerto del 1965 al Civic Auditorium di San Francisco, un momento epocale per la scena rock di quella città; di lì a qualche mese, molte persone che quella sera erano tra il pubblico avrebbero fondato le loro band, con nomi strambi come Jefferson Airplane, Grateful Dead, Big Brother and the Holding Company.
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L’impresario rock di San Francisco Bill Graham organizzò quattro concerti in due serate al Winterland, occupandosi inoltre della promozione degli show nell’area di Los Angeles.
> San Francisco, California: Graham comprò quasi duecento chili di noccioline da offrire alla folla in attesa per ore fuori dal Winterland prima del concerto, San Francisco, California.
Marshall aveva fotografato le esibizioni degli Stones alla Coliseum Arena di Oakland nel 1969. Era stato presente anche ad Altamont. Conosceva il Winterland come le sue tasche. San Francisco spalancò le sue porte agli Stones. Bill Graham organizzò una festa al Trident di Sausalito, un ristorante alla moda di proprietà di Frank Werber, manager dei Kingston Trio, che concesse il locale nonostante il lunedì fosse giorno di chiusura. In una serata libera tra un concerto e l’altro al Winterland, i ragazzi andarono a vedere gli Isley Brothers nel locale soul allestito in un prefabbricato di lamiera dall’altra parte del Bay Bridge. Nel tour del 1969 la band doveva dimostrare qualcosa. Dai tempi del loro primo tour americano nel 1964 erano sbocciate mille band. Nel 1969 gli Stones avevano provato la loro supremazia, anche se quel roboante trionfo si era concluso con l’imponente concerto gratuito di Altamont, che demolì il mito di Woodstock e chiuse il decennio su una nota amara. I Rolling Stones del 1972 erano tutta un’altra cosa. Questa volta, gli Stones erano certi del loro status. Ancor prima di tirare fuori le mille movenze studiate per conquistare le folle da stadio che la band stava per raggiungere, Mick Jagger era già il cantante rock più influente di tutti. Centinaia di vocalist hanno poi saccheggiato
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San Francisco, California: Bill Wyman insieme alla leggenda del blues John Lee Hooker nel backstage al Winterland. 18
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il suo repertorio. Ancora oggi domina il music business, nonostante siano passate varie generazioni di aspiranti rock star. Ma nei concerti del 1972 Jagger era al suo massimo, con performance che non si limitavano a definire una carriera, ma un intero genere, l’apice di un’intera forma d’arte. Da San Francisco il tour si spostò lungo la costa giù fino a Los Angeles. La band aveva un legame speciale con quella città: Los Angeles li aveva sempre trattati da star. Gli Stones, che avevano registrato “Satisfaction” negli studi della RCA, approdarono di venerdì all’Hollywood Palladium, un piccolo teatro sul Sunset Boulevard, da dove andava in onda il vecchio Lawrence Welk Show. Il sabato diedero lezioni di rock alla Long Beach Municipal Arena, un vecchio capannone vicino al mare, e la domenica chiusero con due show per i 18mila del Forum (casa dei Los Angeles Lakers). Furono sempre in perfetto orario, senza i lunghi ritardi che avevano caratterizzato il tour del 1969. La mattina dopo la band affrontò il breve volo fino a San Diego. Marshall scattò le sue foto ai concerti di Los Angeles, viaggiò con la band fino a San Diego e fotografò anche quello show. Per tutta la sua carriera, Marshall lottò duramente per ottenere l’accesso illimitato. Senza di quello, non avrebbe potuto fare ciò che faceva: respirare l’attimo e fissarlo sulla pellicola. Gli Stones conoscevano Marshall. Anche senza il prestigio datogli da Life, Marshall era una figura formidabile. Come Jagger e Richards, andava in giro armato e ben rifornito: una pistola addosso, un bicchiere di bourbon o scotch a portata di mano e, se possibile, una quantità generosa di cocaina su per il naso. C’era sempre qualcosa che non gli andava bene e a volte diventava scontroso. Non riusciva a stare alla corte degli Stones con la stessa facilità del nobile Ethan Russell, che era poco più di un fotoamatore quando entrò a far parte dello Stones Touring Party nel 1969 e che seguì alcune date del tour del 1972. Ma niente sfuggiva all’occhio acuto di Marshall. Nonostante il poco tempo e lo spazio limitato che aveva a disposizione, Marshall ha catturato l’essenza della band. La sua foto di Keith Richards, con la barba di qualche giorno e la sigaretta tra le labbra, che strimpella una chitarra al Sunset Sound, è stata pubblicata dappertutto (anche se non fu inclusa nell’articolo originale di Life). Marshall ha immortalato Jagger nel backstage prima di uno show, con addosso una vestaglia rosa e un ascot color pesca intorno al collo, mentre si regge a un bastone e parla con la signora Taylor. È uno dei più grandi ritratti spontanei di Jagger in circolazione: anche stando
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vicino a una donna splendida con una gonna incredibilmente corta, Jagger domina la scena. Emana tutte le qualità della star, la sua presenza elettrizzante scintilla anche col motore al minimo dei giri. Life uscì all’inizio di luglio. In copertina c’era Jagger, immortalato da Marshall. Non era il solito servizio fotografico a cui erano abituati i cattivi ragazzi del rock and roll. La storia scritta dallo storico collaboratore Tommy Thompson, invece, era assai più prevedibile. “I Rolling Stones! Sono ancora tra noi? Com’è possibile? Nella prima società della storia in cui tutto è in vendita, dove qualsiasi cosa, dai pannolini ai gruppi rock, viene utilizzata e gettata via, come possono sopravvivere gli Stones? In una decade – dieci anni! – di attività, si sono guadagnati la peggiore rassegna stampa dai tempi di Mussolini. Si potrebbe dire che gli Stones abbiano cominciato il loro viaggio sul fiume Stige. Il loro marchio ufficiale – sulle etichette dei dischi, sui poster, sulle spille – è una strafottente linguaccia rossa come il demonio, rivolta verso il mondo. Il loro percorso è lastricato di scandali, lati oscuri, pettegolezzi, divorzi, adulteri, figli illegittimi, droghe (quando Jagger [così scriveva la rivista, ma in realtà si trattava di Keith Richards N.d.c.] mostra il marchio “Coke” cucito sulla giacca, non sta facendo pubblicità alla Coca-Cola) e anche sangue e morti violente”. Insomma, la solita vecchia robaccia alla “Lasceresti che tua figlia sposasse uno dei Rolling Stones?” che girava dai tempi in cui il loro impetuoso manager l’aveva messa in testa alla stampa inglese, contenta di stare al gioco. Le foto di Marshall, però, erano tutta un’altra storia. Spalmati su sei pagine tutte a colori, gli scatti di Marshall catturano gli Stones nel backstage, dentro anonimi scantinati in cemento. Si vedono Richards che si trucca utilizzando un set completo di colori da pittura, Jagger che si riposa prima dello show. Le foto durante i concerti mostrano Jagger che sparge petali di rosa sul pubblico del Winterland e scalda la folla del Forum indossando una tuta bianca. Con eleganza, Marshall entra nei dettagli della forza e della maestosità degli Stones. Le sue foto ridicolizzano la maligna stroncatura di Thompson.
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I suoi scatti sono potenti perché raccontano la verità. Marshall non ha mai tentato di manipolare un’immagine per adattarla a un musicista. Li fotografava così come li vedeva. Ai suoi occhi, queste persone erano più grandi della gente normale, ed è così che ce le ha offerte. Ecco cosa rende straordinarie le foto scattate da Marshall in quei pochi giorni in cui rimase con gli Stones: ce li mostra sia come star che come comuni mortali, e proprio per questo ci colpiscono ancora di più. La loro maestosità inossidabile risplende grazie alla Leica di Marshall. La composizione degli scatti era sempre impeccabile. Raramente tagliava un’immagine e non ricorreva mai ai trucchi in camera oscura. Una volta premuto l’otturatore, la fotografia era fatta. Con Marshall, tutto dipendeva dal suo occhio. Sul tasto dell’otturatore teneva il dito, ma era la sua pancia a premerlo. Nelle sue immagini degli Stones sul palco si riesce a vedere il suono e a sentire l’immagine. Quando invece scendono dal palco, Marshall ce li mostra come olimpionici in un momento di riposo. Non c’è nessuna maschera da togliere. Marshall vede i Rolling Stones come persone normali. Il tour si avviava alla conclusione il giorno in cui Jagger compiva 29 anni, il 26 luglio, al Madison Square Garden di New York. La lista degli ospiti nel backstage andava da Bob Dylan a Zsa Zsa Gabor: l’incontro della bella gente con il circo del rock and roll. Apparire sulla copertina di Life aveva dato ai Rolling Stones l’imprimatur dell’autorità culturale. Il rock and roll – fino a poco tempo prima considerato musica per adolescenti – stava raggiungendo l’età matura. Gli Stones gli avevano dato grande stile e grande drammaticità. La band era al suo meglio: quella fu l’età dell’oro per gli Stones e per il rock in generale. Anche se molte fotografie ritraggono le ore passate in camerino e on the road, in attesa dei successivi novanta minuti sotto i riflettori, nelle immagini degli Stones in California durante quei giorni e quelle notti del giugno 1972 Marshall riuscì a immortalare il rock classico al suo apice. È il ritratto di un’era finita prima che potessimo capire che si trattava di un’era. E se qualcuno ci chiedesse di questo specifico momento, se qualcuno volesse sapere che aspetto aveva questa particolare razza chiamata “stelle britanniche del rock” al suo massimo fulgore, non ci resterà che mostrargli le foto dei Rolling Stones scattate da Marshall nel 1972.
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Los Angeles, California: Jagger canta “Midnight Rambler” al Forum.
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Jim Marshall (1936–2010) è stato uno dei
magini scattate da Marshall durante i concerti
primi fotoreporter musicali. Le sue immagini,
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