L’Africa di Attilio Pecile - Vittorio Carini e Luciano Martinis

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Quaderno 4 L’Africa di Attilio Pecile Gli oggetti di un itinerario (Gabon - Repubblica del Congo)

§ a cura di

Vittorio Carini e Luciano Martinis

Paolo Gaspari Editore


Questo quaderno è stato pubblicato in occasione della mostra

L’Africa di Attilio Pecile attraverso i resoconti della Missione Scientifica Brazzà-Pecile al seguito di

Pietro Savorgnan di Brazzà (1883-1886)

Fagagna Palazzo Municipale Dal 31 marzo al 16 settembre 2012.

Comune di Fagagna (Ud) Museo della Vita Contadina Cjase Cocèl - Fagagna Regione Autonoma Friuli Venezia-Giulia Provincia di Udine Comunità Collinare del Friuli Fondazione CRUP Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi di Udine


© ASC

Tutto è cominciato con un sogno. Due anni fa con una delegazione fagagnese mi trovavo al museo Pigorini di Roma nella sezione africana. Mi fermai davanti ad un prezioso reliquiario Kota, portato in Italia da Giacomo di Brazzà e Attilio Pecile, che furono protagonisti della terza spedizione in Africa al seguito di Pietro Savorgnan di Brazzà. Attilio Pecile è stato un fagagnese dimenticato purtroppo, un grande personaggio a cui la storia non ha tributato gli onori dovuti. Così ho sognato subito una grande mostra e anche la possibilità di portare a Fagagna gli oggetti di arte africana che avevo ammirato al Pigorini. Attilio Pecile infatti, attraverso le pagine del suo Giornale, aveva dato il giusto valore a quegli oggetti portatori di un pregnante significato antropologico e sacro, ma anche ispiratori di un’arte europea legata ai grandi artisti degli inizi del Novecento. Ho esternato il mio sogno che oggi è diventato realtà, grazie ad un gruppo di lavoro appassionato e competente, che ha fatto suo il mio desiderio, restituendoci la storia completa e ricca di Attilio Pecile, esploratore e naturalista intelligente e umano, che aveva in sé l’umiltà dei grandi. I preziosi oggetti, selezionati con rigorosi criteri scientifici, sono arrivati a Fagagna grazie alla collaborazione di grandi ed appassionati collezionisti, che ci hanno permesso di arricchire l’esposizione con pezzi unici di grande valore artistico, ma soprattutto antropologico, perché in grado di descrivere i collegamenti filologici con l’area geografica raccontata dal Giornale di Attilio Pecile. Ho realizzato un sogno e ringrazio tutti quelli che lo hanno permesso. Spero che la mostra, di respiro nazionale, sia visitata da tanti ospiti e soprattutto dai fagagnesi che ne rimarranno affascinati, sorpresi e come me, onorati. Aldo Burelli Sindaco di Fagagna


Mappa del percorso della Terza Spedizione Brazzà nei territori attreversati dai fiumi Ogoué e Alima. Piroghe sul fiume Alima. Congo 1884-1886. Foto di Giacomo Savorgnan di Brazzà. © ASC

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L’Africa “improbabile” di Attilio Pecile Fino alla seconda metà dell’800 le fonti sull’Africa erano estremamente scarse e limitate rigorosamente alle coste; si favoleggiava di immensi fiumi, di popoli cannibali, di animali mostruosi, di territori sconfinati. Gli interessi europei erano prettamente di tipo mercantile sostenuti dalle grandi potenze dell’epoca oppure di evangelizzazione da parte di missionari di varie confessioni, rarissimi erano gli accenni alle espressioni artistiche da parte dei primi esploratori e dei missionari, motivati a minimizzare i costumi e le capacità intellettuali delle popolazioni con cui venivano in contatto. Parole come progresso, evangelizzazione, conoscenza, commerci, indipendenza, solitamente servivano solo a mascherare e a giustificare imposizioni, sfruttamento e atrocità; particolare significato assume dunque questa frase di Attilio Pecile: “... Le razze indigene dell’interno, che non hanno mai visto un bianco, che nelle manifestazioni della vita, nelle loro armi, nei loro ordigni non hanno nulla che accenni ad avere imparato qualche cosa dalle popolazioni civili, vivono ciò non pertanto, producono, si procurano ciò che è neccessario ai loro limitati bisogni, e, quello che più monta, sono felici. ...” * 1 Così, dopo un breve preambolo, il giovane Attilio Pecile iniziava il suo discorso alla Società Geografica Italiana il 19 dicembre 1886, tre anni dopo il suo ritorno dai territori attraversati dai fiumi Ogoué e Alima, fino alla confluenza di quest’ultimo nel Congo. Il suo soggiorno in Africa era durato tre anni e mezzo, al seguito del conte Giacomo Savorgnan di Brazzà che lo aveva coinvolto in una missione scientifica nei territori recentemente “aperti al commercio del mondo” dal fratello esploratore Pietro Savorgnan di Brazzà. La Mission de l’Ouest Africain, era partita da Lisbona a bordo della nave portoghese Benguella il primo gennaio 1883. La spedizione era sotto il comando del conte Pietro Savorgnan di Brazzà ed era il suo secondo viaggio in quei territori, finanziato dal governo francese,2 alla ricerca di nuove possibilità di sfruttamento di quei territori ancora vergini dell’Africa. Partirono con il compito di raccogliere campioni di minerali, catalogare esemplari di flora e fauna da inviare in Francia, con l’accordo che eventuali doppioni potevano restare di proprietà dei due ricercatori.3 I nostri esploratori si trovarono dunque di fronte ad un immenso tesoro naturale di specie animali e vegetali sconosciute e inevitabilmente incontrarono le popolazioni indigene, le loro culture, le loro realizzazioni materiali e intellettuali. Queste genti in gran parte non conoscevano ancora l’ “uomo bianco”: fu dunque un’ irripetibile occasione di studio e osservazione antropologica. Attilio Pecile ci ha lasciato due diari di viaggio in cui documentò con dovizia di particolari e disegni di sua mano l’esperienza dell’incontro con le genti africane, descrivendone usi e costumi e sforzandosi di mantenere un punto di vista obiettivo, scientifico e laico. Questo atteggiamento mentale positivista, assolutamente differente dalle relazioni di viaggio dei primi esploratori, tese a collezionare primati o dalle cronache missionarie intrise di paternalismi moralistici, rende queste testimonianze pressocché uniche e tuttora strumento utile per gli studi sull’Africa.

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Attilio Pecile aveva interrotto i suoi studi scientifici ma le sue privilegiate origini sociali, unite ad un notevole background personale e ad una esuberante curiosità, lo portarono ad un approccio intellettuale originale e anticonformista di quel mondo nuovo che si trovò a studiare in modo piuttosto diverso da Pietro e Giacomo Savorgnan di Brazzà. Inoltre una sua innata sensibilità alle espressioni artistiche, specialmente riguardo alla musica, fu probabilmente all’origine di certi suoi commenti annotati “a caldo” nei giornali di viaggio, decisamente in antitesi con le concezioni eurocentriche dei suoi tempi. Per capire il clima culturale dell’epoca è neccessario fare almeno un esempio pertinente. Nel 1881, due anni prima della partenza della missione scientifica per l’Ogouè, era apparso un interessante volume dal titolo Istruzioni scientifiche per i viaggiatori.4 Ne era curatore il geologo e paleontologo genovese Arturo Issel, già compagno di viaggio degli esploratori Orazio Antinori e Odoardo Beccari in Africa Orientale. In un imponente volume di 560 pagine, corredato da numerose tavole fuori testo, aveva raccolto i lavori di altri nove eminenti scienziati. Toccando tutte le discipline ritenute utili a chi partiva per viaggi in contrade inesplorate, vi erano indicate tutte le nozioni scientifiche basiche per le catalogazioni e le classificazioni oltre alle istruzioni per l’uso delle apparecchiature più moderne per compiere misurazioni e statistiche. Nel lungo capitolo dedicato all’antropologia ed etnologia si dava grande spazio alle nozioni di morfologia, fisiologia, tassonomia, antropometria, etc. Tuttavia ecco quanto possiamo leggere a pagina 355 alla voce “Bisogni intellettuali”: “… Lo studio delle arti belle fra i popoli selvaggi non ci sembra che abbia bisogno di lunghe spiegazioni, e il raccogliere oggetti, e il descriverne i monumenti, non può avere regole fisse. La musica, lingua, la letteratura, meritano una particolare attenzione. Nella musica, oltre che studiare gli strumenti, è neccessario in che la scala musicale differisce dalla nostra, e quale effetto faccia la nostra musica sopra altri popoli. Chi ha le cognizioni neccessarie, potrà anche scrivere qualche brano di musica dei popoli che ha visitato…”. I due eminenti autori (E. Giglioli e A. Zannetti) in otto righe eludevano qualsiasi coinvolgimento e dubbio a riguardo delle espressioni artistiche di tutti i popoli extraeuropei. Inoltre, suggerendo una diretta contaminazione musicale, agivano in maniera addirittura antiscientifica. Il Pecile mise anche in pratica questo curioso suggerimento: “Riuscirono interessanti gli esperimenti sull’impressione della nostra musica in quei selvaggi, con un organetto a varie suonate, fra cui un’arietta di Madame Angot, che un Bateke era riuscito ad imparare e cantava talvolta in pubblico davanti i suoi amici estatici.” e più avanti: “Quei selvaggi credono che dentro nell’organo vi sia un feticcio (idolo) che produce la musica e per poco non lo adorano.”.5 Da parte sua però era in possesso di una solida preparazione musicale, poichè fu in grado d’individuare d’istinto l’esistenza di strutture codificate di ritmi e di cellule melodiche nelle musica degli indigeni africani, facendo anche delle osservazioni sulla trance indotta dai suoni e dalle danze. Sebbene si intuisca un approccio empirico a queste materie, ebbe delle intuizioni geniali ed estremamente moderne.6 Con queste premesse non c’è da meravigliarsi quindi se nella conferenza che tenne a Roma nella sala del Collegio Romano dopo il suo ritorno Pecile glissò disinvoltamente sull’argomento “Arte”: “... In fatto d’arte figurativa, tutti quei selvaggi sono molto indietro. Non vidi mai escire dalle loro

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mani che idoli rappresentanti figure umane rozzamente scolpite o disegnate, e simili a quei fantocci che un bambino di cinque anni sa fare sul muro con un pezzo di carbone. Sul Congo ho visto talvolta dei tentativi di riprodurre quadrupedi o coccodrilli, ma sempre nel modo del tutto primitivo. ...” 7 Questa sbrigativa osservazione appare dettata più da una prudente accondiscendenza verso un pubblico prevenuto che da reali convinzioni, infatti era in netto contrasto con quanto si può dedurre dalle annotazioni nei suoi due giornali, il primo rimasto inedito fino al 1940, il secondo di recente pubblicazione.8 Difficilmente avrebbe potuto sostenere una tesi di tipo estetico poiché ancora su tali argomenti non esistevano studi e teorizzazioni. Inoltre va ricordato che Ascanio Savorgnan di Brazzà,9 il padre degli esploratori Pietro e Giovanni, era stato un allievo del Canova ed a sua volta era un affermato scultore neoclassico: l’ambiente che circondava Pecile non era certo dei più favorevoli ad apprezzare opere e rappresentazioni così “nuove” ed i valori estetici di riferimento del suo ambiente erano perfettamente all’opposto di quelle che un secolo dopo sarebbero diventate “les Arts premières”. Sorprende quindi la sua particolare attenzione per alcuni oggetti ed i suoi sforzi per descriverli e comprenderne il significato. Michel Leveau, collezionista e fondatore del Musée Dapper di Parigi, nel suo saggio La découverte des figures de reliquaire dites Kota, pubblicato nel 2006 riconoscerà esplicitamente il valore dell’approccio mentale del Pecile esprimendosi in questi termini: “... Parmi la vintaine de figures de reliquaire entrées dans les musées avant la fin du XIXe siècle, ce téimoignage d’Attilio Pecile est le seul à fournir l’origine, l’attribution et la date précise d’un objet parfaitement identifié.”10 Ecco di seguito l’annotazione del Pecile alla quale si fa riferimento: Martedì 11 settembre 1883: “... Oggi Tachi, capo del villaggio di tal nome, posto a qualche chilometro della stazione, venne a vendere un foetiche. È uno dei soliti idoli che si vedono nelle loro case di foetiches, ma ben lavorato ed invece di essere semplicemente in legno, è rivestito di fogli e striscie di rame e ottone. Ora mi domando perché sia egli venuto spontaneamente a vendere quell’idolo, d’ordinario sì gelosamente conservato nel villaggio? È forse un dio decaduto, o che non corrispose o non soddisfece a qualche desiderio dei suoi fedeli?”.11 Questa nota è corredata da uno schizzo che rappresenta uno dei due reliquiari Kota Mbulo-Ngulu portati in Italia dalla spedizione scientifica G. Brazzà-A. Pecile.12 Lo stesso episodio a sua volta è riportato da Giacomo di Brazzà nel suo “giornale di viaggio”che , da parte sua aggiunge Pagina 39 del “Giornale” di Attilio Pecile un elemento nuovo, il presunto nome dell’11/12/1883. © CRCR indigeno:

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Attilio Pecile ritratto a fianco della maschera Teke dell’Alima. Foto scattata ad Alima Lekéti il 14 febbraio 1884. © ASC

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“... ho comprato a Tochi un fetish che ha portato a vendere (cosa molto strana), il suo fetish non doveva avere per lui un gran valore, perché quantunque ne avesse domandato una gran campanella pure l’ho potuta avere con una piccola e con una carica di polvere. Ho poi domandato a Tochi che fetish era quello e mi ha risposto che era il fetish che si mette assieme ad un uomo morto quando si seppellisce (cosa che trovo improbabile). Tale fetish dice ancora che si mette assieme a delle mercanzie e che allora nessuno le tocca. Il nome indigeno di tal fetish è Muiti...”.13 Nel tacquino n°2 del “giornale di viaggio” del Pecile troviamo una descrizione più sorprendente ancora: “Venerdì 15 (febbraio 1884) Ieri ho assistito ad uno spettacolo nuovo per me. I Bateke vennero qui a far Mbuiri (spirito, fötiche). Questa cerimonia o meglio danza consiste nelle evoluzioni e danze d’un individuo assai stranamente mascherato al suono della musica indigena. La maschera consiste in una specie di elmo enorme tutto guarnito con stoffa perle conchiglie etc. che riposa su un cerchio che poggia sulle spalle. L’elmo ha un buco nel posto che figurerebbe la bocca pelquale il danzatore vede al di fuori. All’elmo è fissata una lunga sottana come un sacco di 3 a 4 metri di lunghezza. Il sacco è raccolto alla cintura ed il resto della cintura in giù copre le gambe lasciando uno strascico sul quale il danzatore cammina. L’elmo viene tenuto a posto per di dentro della sottana dalle mani dell’individuo che danzando lo solleva alzando le braccia in modo da allungare la persona come si vede talvolta fare dai nostri clowns. La musica suona e il danzatore parte in una danza vertiginosa. Egli comincia a danzare in giro facendo precisamente il passo delle prime ballerine quando fanno il gran vals sui nostri palchiscenici; colla differenza ch’egli ha il coraggio di continuare per delle ore a girare come una trottola e non si ferma finchè un individuo qualunque non venga ad abbracciarlo per farlo fermare. Ci vuole un’abilità non comune a far quello ch’egli fa soppratutto su un terreno ineguale e sabbioso e con una sottana che è d’un metro più lunga che le sue gambe: Non ho potuto capire se ciò sia una cerimonia religiosa o semplicemente un divertimento. Chissà se i Batekè non facciano il carnevale come noi? Difatti una maschera che balla in febbraio sarebbe il vero segno del carnevale. Nel basso Ogowe mi diceva il conte Pietro che si fa la stessa cerimonia collo stesso nome ma con un carattere religioso spiccato...”. 14 Nei ricordi di Charles de Chavannes pubblicati a Parigi nel 1935 si può trovare una descrizione molto simile con la sola differenza consistente nel modo di sollevare e abbassare la parte superiore della maschera: “... Le trou permettra au danseur de passer sa tête dans la masque et de s’en libérer alternativement. Un manche d’un mètre cinquante tenu par les mains du danseur sous la robe, permet à cette derniére de s’allonger en l’hauteur grâce au développement des godets quand le danseur, haussant la planchette en élevant son manche retire sa tête du masque et finit par donner au fétiche une taille de trois métres. De minces fenêtres ménagées dans le tissou de la robe permettent à l’homme de continuer à voir le public et de se conduir sur le terrain. La séance est drôle et me fait songer à certains jeux de clowns dans nos cirques...”.15 Di questa impressionante maschera conosciuta impropriamente come “Alima”, oltre allo schizzo del Pecile che accompagna la descrizione della danza, abbiamo una foto scattata sul campo attribuita a Giacomo Savorgnan di Brazzà16 e la maschera stessa che fu dapprima esposta al Jardin de Plantes di Parigi nel settembre del 1886 unitamente agli altri materiali raccolti e consegnati da Giacomo di Brazzà e Attilio Pecile e che alcuni anni dopo fu depositata al Musée du Trocadéro.17

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Congo. Maschera Teke dell’Alima. Disegno a pag.101 del libro di Napoléon Ney : “Conferences et lettres de P. Savorgnan de Brazza”. 1887.

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Sarà inoltre riprodotta in litografia una prima volta nel 1887 nel volume di Napoléon Ney dove verrà indicata come “M’bouri fétiche”.18 Una maschera similare verrà inoltre descritta da Leo Frobenius nel 1898, con il nome di Ssanga,19 e successivamente nel 1910 apparve una foto di una maschera simile, indicata come “Kadjouli” in un libro di Elso Dusseljé.20 Come si può ben notare non c’è una concordanza sul nome di questa maschera fra i differenti autori. Pecile si riferisce alla cerimonia chiamandola “Mbuiri”, inoltre si sente in dovere di aggiunge: “Nel basso Ogowe mi diceva il conte Pietro che si fa la stessa cerimonia collo stesso nome ma con un carattere religioso spiccato. ...”21 Nei territori del basso Ogoué erano stanziate le popolazioni che i primi colonizzatori chiamavano “Pahouins” o “Pangwe”, una miriade di etnie e sottoclan emigrati in tempi relativamente recenti da territori dell’Africa centrale, che ora vengono designati genericamente come Fang. Pur avendo abbandonato le loro terre di origine avevano conservato intatti i loro costumi ancestrali. Probabilmente i riti ai quali fa riferimento il conte Pietro Savorgnan di Brazzà erano le cerimonie a carattere sacro in cui, a conclusione dei riti iniziatici chiamati Malàn, le statue Byeri venivano staccate dai contenitori delle ossa degli antenati e animate da danzatori accuratamente nascosti da costumi vegetali. Si potrebbe ipotizzare che con le inevitabili deformazioni la parola “byeri” fosse usata come sinonimo sia di feticcio che di danza a carattere sacrale. Napoléon Ney da parte sua didascalizza come “M’bouri fétiche” la bella litografia di questa maschera che correda il suo libro. Oltre a questi due oggetti il Pecile descriverà minuziosamente moltissimi altri oggetti, completando le sue osservazioni con degli schizzi di oggetti d’uso, di armi, di monili, di capi d’abbigliamento di abitazioni ed altro. Uno degli inventari della collezione etnografica raccolta da Giacomo di Brazzà e Attilio Pecile, probabilmente di pugno di quest’ultimo, è conservato nell’Archivio Capitolino di Roma: è composto da 289 voci per un totale di 485 oggetti sommariamente descritti per forma ed uso, con la data e il luogo di raccolta.22 Per la maggior parte si tratta di armi, utensili d’uso e strumenti musicali ma vi sono elencati anche parecchi “fétiches”; gran parte di questi tesori non sono mai stati esposti e forse potrebbero riservare molte sorprese.

§ Pochi anni più tardi il riportare oggetti artistici dall’Africa per i musei europei e per gli amatori di curiosità diventerà una prassi abituale, anche se non sempre i metodi di raccolta furono discreti e corretti come quelli che distinsero Giacomo di Brazzà e Attilio Pecile. Da parte italiana senz’altro il più interessante raccoglitore fu il cav. Giuseppe Corona, Console d’Italia presso lo Stato Libero del Congo alla fine del XIX° secolo; a lui va il merito, fra l’altro, di aver inviato in Italia forse i più interessanti e maestosi “fétiches à clous” Ba-Kongo e Mayombe giunti in Europa. In una sua lettera datata 8 dicembre1888, indirizzata a Luigi Pigorini24 si premurò di precisare che gli oggetti da lui inviati erano “di autentica provenienza e non fabbricati per farne commercio”. Il corsivo è nostro.

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Note

*) In tutte le trascrizioni delle citazioni si è mantenuta la grafia degli originali. 1) Da: ATTILIO PECILE, Sulla vita delle tribù selvagge della regione dell’Ogòue (sic) e del Congo. Discorso tenuto presso la Società Geografica Italiana il giorno 19 dicembre 1886. Pubblicata in: Bollettino della Società Geografica Italiana, Serie II, Vol.XII, Giugno 1887, Fasc. 6, Pp. 432/464. 2) Il conte Pietro Savorgnan di Brazzà, pur di realizzare il suo sogno di esplorazione in Africa si fece cittadino francese. 3) I proventi della vendita al Museo Etnografico di Roma (ora Museo Pigorini) dei materiali portati in Italia, dovevano servire a finanziare una missione di soccorso al Capitano Gaetano Casati prigioniero in Equatoria. 4) Istruzioni scientifiche pei viaggiatori raccolte da ARTURO ISSEL in collaborazione dei signori Giovanni Celoria, Michele Stefano De Rossi, Raffaello Gestro, Enrico Giglioli, Guido Grassi, Angiolo Manzoni, Antonio Piccone, Gustavo Uzielli e Arturo Zannetti. Roma, Tipografia Eredi Botta, 1881. 5) Vd. La Patria del Friuli, Udine Lunedì 17 gennaio 1887, A. XI, n. 14. Trascrizione della seconda e ultima parte della conferenza: Tre anni in Africa conferenza del Cav. Attilio Pecile. La prima parte fu pubblicata nel n° del 17 gennaio 1887. 6) Osservazioni analoghe sulla musica africana si potranno trovare molti anni dopo (1925) nel “Giornale di viaggio” di André Gide pubblicato con il titolo di: “Voyage au Congo et le retour du Tchad”. Trad. it.: ANDRÉ GIDE, Viaggio al Congo e ritorno dal Ciad, Einaudi,Torino, 1950. A pag. 131 in nota si può leggere: “Un canto straordinariamente curioso (soprattutto il coro infantile) che impiega i quarti di tono, come si avverte benissimo per via della corretta intonazione delle voci, con un effetto straziante quasi intollerabile. Di solito, tutti i canti sono sulle note della nostra gamma.” 7) ATTILIO PECILE, Op. Cit. P. 455. 8) ELIO ZORZI, Al Congo con Brazzà. Viaggio di due esploratori italiani nel carteggio e nel “giornale” inediti di Attilio Pecile (1883-1886). Istituto per gli studi di politica internazionale, Milano 1940. AA. VV., L’Africa di Attilio Pecile attraverso i resoconti della missione scientifica Brazzà-Pecile al seguito di Pietro Savorgnan di Brazzà (1883-1886). Forum, Udine, 2012. 9) Ascanio Savorgnan di Brazzà, nobile friulano scultore e pittore neoclassico (1793-1877). Allievo di Antonio Canova, realizzò varie opere pubbliche fra le quali la Fontana del Pincio a Roma. Nei suoi viaggi in Medio Oriente e in Egitto realizzò circa 200 disegni in uno stile vicino alla corrente del romanticismo esotico. Nel 1837 sposò Giacinta Simonetti, marchesa di Gavignano. 10) In AA. VV. Gabon, présence des esprits, Paris, Musée Dapper, 2006. Michel Leveau, La découverte des figures de reliquaire dites Kota, Pp.101/102. L’articolo è inoltre corredato da una interessante foto del capo Tachi fatta nel 1886 da Pierre-François Michaud presso i Kota-Ndumu. 11) ELIO ZORZI, Op. Cit. P. 312 12) I due reliquiari Kota (mbulu-ngulu) portati da G. Savorgnan di Brazzà e A. Pecile raccolti fra il 1883 e il 1886 entrarono a far parte dell’allora Museo Preistorico Etnografico Nazionale nel 1887 ed ora sono della collezione africana del Museo Etnografico Nazionale Luigi Pigorini di Roma, inv. n° 33720 (reliquiario mancante dell’occhio destro) e n° 33721 (reliquiario descritto e disegnato da Pecile nel suo “giornale” al momento della raccolta nel villaggio di Tachi). V. Ezio Bassani, Scultura africana nei musei italiani, Bologna, 1977. Pp. 58/59. 13) GIACOMO SAVORGNAN DI BRAZZÀ, Giornale di viaggio (1 gennaio 1883-31dicembre 1885). A cura di Elisabetta Mori e Fabiana Savorgnan di Brazzà, Leo S. Olski. Firenze 2008. P. 200 Giacomo di Brazzà usando la parola “Muiti” a proposito del reliquiario Kota probabilmente si riferisce alla società iniziatica maschile “Bwiti” diffusa fra le popolazioni stanziali del Gabon e adottata per sincretismo locale dalle popolazioni migranti. 14) ELIO ZORZI, Op. Cit. Pp.369/370

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15) CHARLES DE CHAVANNES, Avec Brazzà. Souvenirs de la mission de l’Ouest africain. Mars1883-janvier 1886. Paris, Plon 1937. In questo libro l’episodio riferito viene datato il 9 febbraio 1884 mentre il Pecile lo annota il 14 dello stesso mese. Probabilmente è corretta la datazione del Pecile poiché, stando al suo Giornale, quei giorni Charles de Chavannes era infermo: “ 11 febbraio (1884) Alima Lekéti. Si arrivò qui verso le dieci a.m. Il fiume non presenta più alcun pericolo per le scialuppe. De Chavannes è ancora sofferente da una ventina di giorni, egli soffre d’una forte infiammazione di vescica. ...” 16) Nell’Archivio Storico Capitolino di Roma vi è conservato un fondo di fotografie scattate in Congo da Giacomo Savorgnan di Brazzà, fra cui c’è anche la foto riprodotta a pag. 8. Sicuramente però questa foto fu scattata da altra persona poichè il 2 febbraio era partito da Lekéti discendendo in piroga l’Alima fino alla sua confluenza con il Congo. 17) Il Musée du Trocadèro. diventato poi Musée de l’Homme ed ora fa parte delle collezioni del Musée du quai Branly. , inventariata con il n° 71.1896.51.26-(AF 111). 18) NAPOLÉON NEY, Conférences et lettres de P. Savorgnan de Brazzà suivi de trois explorations dans l’Ouest africain de 1875 à 1886. Paris, Dreyfous, 1897. 19) LEO FROBENIUS, Die Maskenund Geheimbünde Afrikas, in Nova Acta, Abbandlungen der Kaiserl, Leop.-Carol, Deutschen Akademie der Naturforscher, Vol. 74, n° 1, Halle, 1898. 20) ELSO DUSSELJÉ, Les Tégués de l’Alima, Congo français, Anversa, 1910. Nella foto pobblicata appare anche un’altra maschera detta “N’Golli”, quest’ultima munita di un bastone simile a quello descritto da Charles de Chavannes 21) V. nota 13. 22) Esistono tre inventari di oggetti portati in Italia dalla spedizione Brazzà-Pecile: uno conservato presso l’Archivio Storico Capitolino di Roma, un secondo di pugno di Giacomo di Brazzà allegato agli oggetti acquisiti dal Museo Preistorico Etnografico L. Pigorini, ed un terzo, parziale, conservato dagli eredi Pecile. 23) In: AA. VV.,Oggetti e ritmi, strumenti musicali dell’Africa, Roma 1980. Strumenti musicali: cenni storici sul loro ingresso in Museo di Valeria Petrucci. Pag. 12.

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Gli oggetti di un itinerario Questa mostra si propone di ricostruire un itinerario ideale attraverso gli oggetti e gli stili dei territori attraversati dalla Mission de l’Ouest Africain negli anni 1883-1886. Giacomo Savorgnan di Brazzà e Attilio Pecile vennero in contatto con popolazioni molto diverse fra loro sia per credenze religiose che abitudini e abilità tecniche. Le espressioni artistiche delle varie etnie avevano caratteristiche e stili molto eterogenei determinati da archetipi e usi specifici peculiari. Purtroppo i preconcetti dell’epoca e le conoscenze in materia non erano in grado di fornire anche ai nostri esploratori validi strumenti di valutazione e valorizzazione di quanto raccoglievano. Gli oggetti presentati seguono il più rigorosamente possibile il loro percorso per approfondire quel mondo di forme che solo pochi anni più tardi avrebbe influenzato in maniera irreversibile la Storia dell’Arte mondiale. I criteri di scelta sono stati quelli dell’autenticità e della qualità artistica intrinseca; le datazioni, escludendo gli oggetti raccolti direttamente in un’epoca certa, sono neccessariamente ipotetiche, sia in eccesso che in difetto, basate sulla semplice comparazione con oggetti similari presenti in note collezioni private e nei musei nazionali ed internazionali. Gabon. Popolazione Kota (Ba-Kota). Disegno di Pàris, tratto da uno schizzo di Giacomo di Brazzà, che illustra alcuni reliquiari contenenti resti ossei di persone di rango, sormontati da figure di guardiani in legno ricoperto da lamine di metallo. Da: Le Tour du Monde, 1888.

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1. Gabon. Popolazione Kota Obamba. Secolo XIX, inizio XX. Figura di guardiano di reliquiario in legno ricoperto da lamine di ottone e di rame. H. cm.57. Collezione privata, Bergamo. Provenienza: Alain de Monbrison, Paris.

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L’illustrazione qui a fianco raffigura un giovane guerriero Kota Obamba del Gabon. Da Le Tour du Monde, 1888.

2. Gabon. Popolazione Kota. Secolo XIX. Coltello da lancio e da parata in ferro e ottone, h. cm. 29. Collezione privata, Bergamo. Provenienza: Robert Duperrier, Paris. 3. Gabon. Popolazione Kota. Secolo XIX. Cavigliera in bronzo, h. cm.11. Collezione Gianni Mantovani, Modena. 4. Gabon. Popolazione Fang. Secolo XIX. Cavigliera in bronzo, h. cm. 6,5. Collezione Gianni Mantovani, Modena. 5. Gabon. Popolazione Kota Obamba. Secolo XIX. Tre coltelli in ferro e ottone, h. cm.29, cm.36, cm. 31,5. Collezione privata Bergamo Provenienza Pierre Robin, Paris. 6. Gabon. Popolazione Fang/Kota. Sec. XIX. Bracciale in bronzo, akurĂŠ. D. cm.14. Collezione Angelo Miccoli, Bergamo.

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7. Gabon. Popolazione Fang N’tumu. Secolo XIX, inizio XX. Figura legata al culto del byeri. Legno, h. cm. 32. Coll. privata, Milano. Provenienza: Musée Mortain, Abbaye Pères du St. Esprit, La Rochelle. 8. Gabon. Popolazione Fang N’tumu. Secolo XIX, inizio XX. Sommità di insegna di potere. Legno, metallo, depositi d’uso, h. cm.16,5. Coll. privata, Brescia. Provenienza: Vincent Simon, Bordeaux.

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9. Gabon. Popolazione Fang N’tumu. Secolo XIX, inizio XX. Figura di reliquiario, byeri. Legno, ornamenti in ottone, h. cm. 30,5. Collezione privata, Milano. Provenienza: Madeleine Rousseau, Paris.lia inglese

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Bibliografia parziale

Rilegatura del terzo quaderno del “Giornale di viaggio” di Attilio Pecile durante la Mission de l’Ouest Africain (1883-1886). (© CRCR) A pag. 61:

Indigeni Ba-Teke. Foto di Giacomo Savorgnan di Brazzà-1883/1886.(© ASC). A pag. 63:

Il re Makoko Illo dei Ba-Teke del Congo accanto al cofano contenente il Trattato d’Alleanza e di Protettorato con la Francia stipulato con Pietro Savorgnan di Brazzà nel 1880. Foto di Giacomo Savorgnan di Brazzà-1883/1886.(© ASC).

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Quaderni diretti da Vittorio Carini

n° 4 La mostra

“Gli oggetti di un itinerario” vuole essere l’omaggio a

Attilio Pecile da parte di un gruppo di cultori delle Arti Africane:

Gabriele Barbaresco, Michele Bondoni, Vittorio e Anna Carini, Beppe Fumagalli, Umberto Giacomelli, Alessandro Iacopi, Marco Madesani, Gianni Mantovani, Luciano Martinis, Angelo Miccoli, Eredi Pecile, Gigi Pezzoli, Elio e Onda Revera, Andrea Sandoli, Ferdinando Sottile, Vincenzo Taranto

§ Organizzazione della mostra Museo della Vita Contadina Cjase Cocèl - Fagagna Le foto degli oggetti esposti sono di Aurelio Barbareschi, Pietro Chiodi, Luca del Pia, Renzo Schiratti Le immagini che illustrano il seguente quaderno provengono da: Archivio Storico Capitolino (© ASC)

Centro Regionale di Catalogazione e Restauro dei Beni Culturali Villa Manin di Passariano, Codroipo.(© CRCR)

Daniela Bognolo, Milano Biblioteca delle Arti e Tradizioni Africane di Capriate Progetto grafico: Sylabantes Un ringraziamento particolare a Anna Maria Crippa, Roberto Cornacchia e Silvia Tullio-Altan per il loro prezioso ausilio Indirizzo Web: www.artesafricanae.com Copyright © 2012 Artes Africanae Copyright © 2012 Gaspari editore Via Vittorio Veneto 49 - 33100 Udine tel. (39) 0432 512 567 - tel/fax (39) 0432 505 907 www.gasparieditore.com - e-mail:info@gasparieditore.com ISBN 97888-7541-257-9 Finito di stampare nel mese di marzo 2012 da Poligrafiche San Marco - Cormòns (GO)



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