Il massacro di Cefalonia - H.F.Meyer

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La Nuova Storia Militare volume 3


Copertina: Gianluca Buttolo Impaginazione: Maurizio Burelli, Serena Giacchetta

Copyright Š 2013 Paolo Gaspari editore via Vittorio Veneto 49 33100 Udine tel. (39) 0432 512 567 - fax (39) 0432 505 907 www.gasparieditore.it e-mail info@gasparieditore.it ISBN 88-7541-296-0


Hermann Frank Meyer

IL MASSACRO DI CEFALONIA e gli altri crimini di guerra della 1 divisione da montagna tedesca a

a cura di Manfred H. Teupen


Copyright © 2013 - Gaspari Editore, Udine, Italia Traduzione in Italiano Copyright © 2013 – Gli eredi di Hermann Frank Meyer Traduzione: Enzo Morandi Editing: Barbara Minelli Il presente libro è una versione ridotta, voluta dallo stesso autore, del volume pubblicato in Germania nel 2008 per i tipi della Ch. Links Verlag (Berlin) con il titolo «Blutiges Edelweiß. Die 1. Gebirgs-Division im Zweiten Weltkrieg». Una traduzione integrale in greco è stata pubblicata nel 2009 dalla casa editrice Hestia (Atene)1. Si ringrazia la Ch. Links Verlag per la gentile concessione delle mappe pubblicate nel presente volume alle pagine 190 e 345. Il testo tra parentesi graffe riporta correzioni, integrazioni e aggiornamenti che sono stati aggiunti dal curatore dopo la traduzione del testo in lingua italiana, quindi non fanno parte del testo originale di H.F. Meyer. Correzioni di evidenti errori e refusi non sono state evidenziate nel testo.

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Indice

Ringraziamenti di Manfred H. Teupen

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Prefazione all’edizione italiana di Giorgio Rochat

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Prefazione di Hermann Frank Meyer Introduzione

1. La costituzione della 1a divisione da montagna 2. La carriera di Hubert Lanz fino alla carica di capo di stato maggiore delle truppe da montagna (ottobre 1914 - febbraio 1940).

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I. La 1a divisione da montagna dal settembre 1939 al marzo 1943

1. La «fulminea avanzata su Lemberg». I cacciatori da montagna nella campagna contro la Polonia (settembre 1939) 2. La guerra sul fronte occidentale: operazioni «Felix» e «guerra dei fiori». I cacciatori da montagna in Francia e Jugoslavia (maggio 1940 - aprile 1941) 3. Preparazione dell’operazione «Barbarossa» (maggio/giugno 1941) 4. Gli “ufficiali ideali” della divisione: Josef Salminger e Harald von Hirschfeld 5. «La 1a divisione da montagna stana il diavolo dall’inferno». - L’inizio della guerra contro l’Unione Sovietica e il pogrom di Lemberg (giugno 1941) 6. Attraverso la steppa fino al Mius (luglio - dicembre 1941) 7. I combattimenti nella zona di Karkov (primavera 1942) 8. L’operazione «Edelweiß»: l’avanzata nel Caucaso (luglio - dicembre 1942) 9. Bilancio, cambio al vertice e ripiegamento nella testa di ponte del Kuban (dicembre 1942 - marzo 1943)

II. Contro i partigiani nel Montenegro: l’operazione «Schwarz» (maggio - giugno 1943)

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III. La 1a divisione da montagna in Tessaglia, Epiro e Albania meridionale (giugno - agosto 1943) 1. Gli sviluppi in Grecia dopo l’invasione della Wehrmacht (aprile 1941 - febbraio 1943) 2. Le conseguenze delle operazioni inglesi «Mincemeat», «Animals» e «Washing» (aprile - giugno 1943) 3. La situazione in Epiro e nell’Albania meridionale: gli «ordini di rappresaglia» tedeschi ed italiani (estate 1943) 4. La «marcia verso Ioannina», guerra antipartigiana e crimini di guerra: i massacri di Borovë, Leskovik, Kalovrisi, Mazi, Aetopetra. Aidonochori, Vasiliko, Kefalovriso, Zienë e Draçovë (6 - 15 luglio 1943) 5. L’operazione «Salminger»: le «azioni di pulizia» italo-tedesche lungo la strada Ioannina-Arta e il massacro di Mousiotitsa (22 - 28 luglio 1943) 6. Il riordinamento dei comandi e l’operazione italo-tedesca «Augustus»: il massacro di 250 civili e l’incendio di 20 centri abitati (10 - 13 agosto 1943) 7. Il massacro di Kommeno 8. Kommeno: il giorno dopo e l’elaborazione

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IV. Il nuovo XXII corpo d’armata da montagna

1. La nomina di Lanz a comandante di corpo e le conseguenze della capitolazione italiana (luglio - settembre 1943) 2. La costituzione della 104a divisione cacciatori e il suo invio in Grecia (aprile - agosto 1943)

V. Il disarmo delle truppe italiane (settembre - ottobre 1943)

1. 2. 3. 4.

Parola chiave «Reise» Contrasti in merito al disarmo della divisione Acqui (10 - 12 settembre 1943) Il fallimento del tentativo di disarmo del contingente italiano a Corfù. Cefalonia: il generale Gandin temporeggia e oppone un rifiuto (13 - 14 settembre 1943) 5. Il fallimento dell’attacco tedesco a Cefalonia (15 - 18 settembre 1943) 6. L’ordine di Hitler di fucilare gli italiani a Cefalonia 7. L’avanzata tedesca a Cefalonia e i primi massacri (17 - 20 settembre 1943) 8. «Tutto ciò che capita sotto tiro, viene abbattuto». - Il massacro degli italiani a Cefalonia (21 - 23 settembre 1943) 9. La fucilazione del generale Gandin e il massacro alla «Casa Rossa» (24 settembre 1943) 10. Il destino dei sopravvissuti al massacro di Cefalonia 11. Il recupero dei resti mortali degli italiani uccisi a Cefalonia 12. Speculazioni e manipolazioni: il numero delle vittime italiane a Cefalonia 13. Le inchieste postbelliche 14. L’operazione «Verrat»: il disarmo delle truppe italiane a Corfù 15. L’operazione «Spaghetti»: il disarmo e la cattura delle unità italiane nel sud dell’Albania (27 settembre - 7 ottobre 1943)

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VI. La guerra partigiana, il «Gentlemen’s Agreement» tra i tedeschi e l’EDES, la 1a divisione da montagna e il suo impiego come «unità antincendio» nell’Europa sudorientale, la deportazione degli ebrei e la ritirata (settembre 1943 - maggio 1945)

1. La missione del delegato della Croce Rossa Internazionale Hans-Jakob Bickel: aiuti umanitari e mediazione tra tedeschi e EDES; l’uccisione degli ostaggi a Paramythia e Lyngiades in seguito alla morte di Josef Salminger (settembre - ottobre 1943) 2. Le operazioni contro i partigiani di Tito e in Ungheria; le operazioni «Gamsbock» e «Steinadler» nell’Albania meridionale e nella Macedonia occidentale e la deportazione della popolazione ebraica dall’Epiro (novembre 1943 - luglio 1944) 3. La ritirata dalla Grecia e il bilancio dell’occupazione italo-tedesca 4. Sanguinosi combattimenti nei Balcani e la fine

VII. Il dopoguerra

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Appendice Revisione del numero delle perdite tedesche a Cefalonia (13 - 24 settembre 1943)

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Sigle e abbreviazioni

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Bibliografia

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Indice dei nomi

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Fonti iconografiche

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Ringraziamenti

Un grazie particolare va a Marcella De Negri la quale, costituitasi parte civile nei procedimenti delle procure di Dortmund e Monaco di Baviera, ha potuto chiedere l’accesso agli atti tedeschi ottenendone una copia integrale che oggi si trova a diposizione dei ricercatori. La mia riconoscenza va inoltre al prof. Giorgio Rochat per aver curato la Prefazione a questo volume, esaudendo in tal modo un desiderio che H.F. Meyer aveva espresso già nel lontano 2009. Devo anche un grazie a Barbara Minelli che ha curato gratuitamente l’editing dell’edizione italiana, a Frediano Sessi che ha fatto da tramite con la Gaspari Editore e a Paolo Gaspari che ha voluto inserire il presente volume nel catalogo della sua casa editrice. Ringrazio infine Oriana Ferrari che con la sua insistenza ha fatto sì che io portassi a termine la non sempre facile revisione del testo italiano di H.F. Meyer. Manfred H. Teupen


Prefazione all’edizione italiana

Hermann Frank Meyer, nato il 26 settembre 1940, era un imprenditore di successo che scelse di dedicare vent’anni di ricerche alle operazioni delle truppe tedesche contro la resistenza greca 1941-1944. Nella sua Prefazione Meyer spiega le ragioni di questo impegno personale e elenca gli studi sulla guerra e gli eccidi tedeschi in Grecia che ha condotto e pubblicato in più volumi con ricerche su diversi fronti, la storiografia e le fonti edite dei diversi paesi coinvolti, soprattutto gli archivi tedeschi, e poi greci, italiani, inglesi e statunitensi, infine le testimonianze di protagonisti di ogni livello. Ricerche condotte in piena indipendenza rispetto alle fonti ufficiali. Meyer conosce bene le relazioni dei servizi storici militari, le utilizza, ma non esita a metterle in discussione, documentando gli aspetti rimossi o sottovalutati della guerra non soltanto tedesca. Nella sua Premessa dice anche perché sia passato a occuparsi del maggiore e più noto degli eccidi tedeschi in Grecia, le migliaia di soldati italiani trucidati nell’isola di Cefalonia nel settembre 1943. Purtroppo il volume che presentiamo è stato il suo ultimo, Meyer è morto il 12 aprile 2009. Dopo la resa italiana agli anglo-americani dell’8 settembre 1943, i circa 650.000 militari che presidiavano le occupazioni italiane nei Balcani, da Lubiana all’Egeo, furono travolti dalle forze tedesche con vicende diverse, in pochi giorni sulla costa jugoslava e albanese e nella Grecia continentale, salvo il caso di Cefalonia e Corfù, in tempi più lunghi per le isole dell’Egeo, in più casi con una serie di eccidi locali, fino alla fucilazione di decine di ufficiali. Per molti decenni la memoria italiana ha rimosso queste vicende. Dobbiamo a un ufficiale della marina tedesca e storico affermato, Gerhard Schreiber, l’unico studio documentato sugli avvenimenti del settembre 1943 da Lubiana alle isole dell’Egeo1. Le quattro maggiori isole ioniche: Cefalonia, Corfù, Leucade e Zacinto ebbero vicende diverse. A Zacinto, poco a sud di Cefalonia, 4.250 militari italiani si consegnarono ai tedeschi senza alcuna resistenza la mattina del 9 settembre, un caso sempre dimenticato. Leucade, 1 Gerhard Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943-1945, Ufficio storico dell’esercito, Roma 1992 (edizione tedesca 1990). Le prime 300 pagine del volume sono dedicate agli avvenimenti prima e dopo l’8 settembre, in Italia e nei Balcani. Il contributo specifico di Schreiber su Cefalonia e Corfù nel settembre 1943 è citato nella nota successiva. Si veda poi Gerhard Schreiber, La vendetta tedesca 1943-1945, Mondadori, Milano 2000 (edizione tedesca 1996). Un volume di sintesi che non ha i limiti di diffusione delle pubblicazioni dell’Ufficio storico dell’esercito, anche se ignorato in molti studi su Cefalonia.


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Hermann Frank Meyer - Il massacro di Cefalonia

poco a nord di Cefalonia, era collegata alla terraferma da un pontile in muratura, le truppe tedesche se ne impadronirono il 10 settembre uccidendo il comandante italiano e alcuni suoi ufficiali. Un altro caso dimenticato. A Corfu, più a nord, il comandante italiano, il colonello Lusignani, rifiutò di cedere ai tedeschi e il 13 settembre respinse con perdite il tentativo di sbarco di reparti della 1ª divisione tedesca da montagna. Il 23 settembre un nuovo sbarco con forze maggiori ebbe successo, in due giorni i tedeschi ebbero il controllo dell’isola. I caduti italiani furono 600-700, quasi tutti uccisi dopo la resa. Poi vennero fucilati Lusignani e alcune diecine di ufficiali italiani2. Queste vicende sono documentate3, ma ugualmente dimenticate. Le vicende di Cefalonia sono più note per il massacro di alcune migliaia di soldati italiani. I comandi italiani e tedeschi davano molta importanza al controllo dell’isola perché la consideravano uno dei primi obiettivi della grande offensiva anglo-americana nella penisola balcanica, che Churchill chiedeva, in concreto mai programmata. E quindi nel 1943 Cefalonia ebbe un forte presidio italiano e uno sviluppo delle difese costiere di artiglieria, che i tedeschi continuarono quando si impadronirono dell’isola4. Il 9 settembre il comandante italiano di Cefalonia, il generale Gandin, rifiutò di obbedire all’ordine di arrendersi ai tedeschi che aveva ricevuto dai comandi del VIII corpo d’armata e della XI armata italiana da cui dipendeva. Temporeggiò per alcuni giorni, lo poteva fare perché le truppe tedesche sull’isola erano poche, poi il 14 settembre, dopo avere ricevuto da Brindisi un ordine tardivo e finalmente chiaro, scelse di combattere: “per ordine del Comando supremo italiano e per volontà degli ufficiali e dei soldati, la divisione Acqui non cede le armi”. Il testo è conosciuto soltanto dalle testimonianze posteriori. Il senso mi pare chiaro, il richiamo insolito alla volontà degli ufficiali e dei soldati valeva come rafforzamento della decisione di Gandin di affrontare un combattimento con ben poche speranze di successo. E invece le autorità militari italiane dell’immediato dopoguerra lo videro come un cedimento alle disordinate proteste delle truppe di Argostoli che chiedevano di combattere, un’interpretazione ripresa in non pochi studi successivi senza basi concrete5. Nei decenni successivi siamo passati alla sacralizzazione dei caduti di Cefalonia, diventati “i 2 Rinvio al volume La divisione Acqui a Cefalonia, settembre 1943, pubblicato a mia cura (con la collaborazione di Marcello Venturi per i rapporti con il comune di Acqui e poi la scelta dell’editore) nel 1993, Milano, Mursia Editore, e in particolare ai contributi di Giorgio Rochat, Introduzione, e poi La divisione Acqui nella guerra 1940-1943; Mario Montanari, Cefalonia, settembre 1943. La documentazione italiana; Gerhard Schreiber, Cefalonia, settembre 1943. La documentazione tedesca. Contributi d’ora in poi citati senza rinvio al volume. 3 Si vedano le pp. 199-204 e 341-350 del volume di Meyer che presentiamo 4 L’importanza che gli alti comandi italiani e tedeschi davano a Cefalonia come antemurale della difesa della penisola balcanica dimostra quanto poco avessero capito del nuovo potere aeronavale. Cefalonia era un’isola tutta di montagne senza un porto, né un aeroporto, quindi non poteva avere interesse per gli anglo-americani. Se mai avessero pianificato uno sbarco nella penisola balcanica, non avrebbero disperso forze per occupare Cefalonia. 5 La protesta delle truppe di Argostoli che chiedevano di combattere, come quelle di un piccolo gruppo di ufficiali che si rivolsero direttamente a Gandin, non sono facili da inquadrare per le strumentalizzazioni successive, che ne hanno esagerato la portata. Non è facile capire perché in una situazione drammatica la richiesta di combattere di un gruppo di ufficiali e delle truppe del capoluogo, seppure in forme poco ortodosse e di fatto accettata da Gandin, sia stata vista nel dopoguerra come insubordinazione e rivolta anziché apprezzata. Cfr. Giorgio Rochat, Ancora su Cefalonia, settembre 1943, “Studi e ricerche di storia contemporanea. Rassegna dell’Istituto bergamasco per la storia della resistenza”, n. 65, giugno 2006, pp. 5-21.


Prefazione all’edizione italiana

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martiri di Cefalonia”, rivendicati come primo momento sia della Resistenza antifascista che della guerra di Liberazione condotta dalle forze armate italiane. I fatti di Cefalonia sono poi diventati un terreno aperto a opere cinematografiche e televisive melodrammatiche di successo, romanzi storici6, anche una ricca produzione “spazzatura” di protagonismi e sciacallaggi. Meyer affronta queste vicende da una prospettiva diversa. Il suo volume ha come tema principale la storia della 1a divisione tedesca da montagna, che fu la protagonista del successo tedesco a Corfù e Cefalonia. Un’unità di élite, di cui Meyer ripercorre le vicende nella campagna di Russia del 1941: grandi successi e grandi perdite, 4.625 tra morti e dispersi e 13.420 feriti su una forza combattente di partenza di 14.684 (più gli ammalati, che le statistiche militari sempre dimenticano). Con un lungo elenco di eccidi di prigionieri russi, di civili e di ebrei. Tra l’autunno 1942 e l’inverno la divisione fu impiegata sul Caucaso, senza successi decisivi. Nella primavera 1943 fu inviata nei Balcani per combattere la resistenza partigiana, maggio e giugno in Montenegro a fianco delle truppe italiane, luglio e agosto nella Grecia settentrionale. In questi due mesi, scrive Meyer, la divisione distrusse 184 villaggi e oltre 3.900 case e uccise 1.287 greci e 472 albanesi. Nel settembre fu destinata all’occupazione delle isole ioniche, Corfù e Cefalonia, dove diede prova della sua efficacia sia in combattimento sia nell’esecuzione degli ordini della fucilazione dei militari italiani che si erano arresi. Una continuità di comportamento che fa parte della guerra hitleriana, truppe di grande efficienza e dedizione anche nella repressione più dura di ogni nemico, dai russi ai greci e agli italiani. La 1. divisione da montagna ebbe un ruolo decisivo anche nel tragico settembre 1943 di Cefalonia, cui Meyer dedica la maggior parte del suo volume. Vicende note nelle grandi linee, che Meyer ripercorre con una grande ricchezza di nuovi materiali e dettagli. La documentazione italiana sui fatti di Cefalonia è andata perduta, le carte conservate negli archivi dell’Ufficio storico dell’esercito neppure ci dicono con certezza quanti fossero i militari italiani a Cefalonia nel settembre 1943. Le memorie dei sopravvissuti all’eccidio sono poche, in parte condizionate dalla tragedia dei massacri, dalle rivendicazioni e dalle polemiche successive, i volumi dei cappellani Formato e Ghilardini hanno fatto testo al di là dei loro meriti. E invece la documentazione tedesca si presenta esauriente a tutti i livelli, dalle direttive degli alti comandi alle relazioni dei battaglioni sul campo. Salvo che per la ricostruzione dell’eccidio, i rapporti delle unità tedesche non danno molti particolari sulle fucilazioni degli italiani dopo la resa. Meyer ripercorre questa documentazione con attenzione, soprattutto aggiunge una grande ricchezza di testimonianze sugli eccidi raccolte tra i reduci tedeschi, anche tra i pochi sopravvissuti italiani e tra i civili greci7. Questa di Meyer è la più grande ricostruzione mai condotta di quanto avvenne a Cefalonia, difficilmente superabile per l’ampiezza di documentazione e per la grande onestà. Meyer 6 Il solo romanzo storico da ricordare è il primo: Marcello Venturi, Bandiera bianca a Cefalonia, per la discrezione e il rispetto con cui tratta la tragedia di Cefalonia e il contributo che ha dato alla diffusione della sua memoria, anche se i dati sull’eccidio non sono affidabili (Feltrinelli, Milano 1963, poi edizioni successive). Le altre opere romanzate su Cefalonia hanno un solo obiettivo, il successo commerciale, valgono soltanto per il numero di copie vendute. 7 La sola critica che si può fare a Meyer è la mancata utilizzazione degli archivi dell’aeronautica tedesca, i cui bombardamenti ebbero un ruolo decisivo nel piegare la resistenza delle truppe italiane. I morti dovuti a queste azioni rientrano nei calcoli generali sulle perdite italiane nei combattimenti.


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Hermann Frank Meyer - Il massacro di Cefalonia

non fa sconti a entrambe le parti. E tuttavia il calcolo dei caduti italiani a Cefalonia rimane un problema aperto. Le molte testimonianze tedesche raccolte da Meyer documentano una serie di eccidi di centinaia di soldati italiani, ma non bastano a contare i morti, che furono ammucchiati nelle cave, bruciati, dispersi, buttati in mare, poveri resti dimenticati. Soltanto le poche diecine di tedeschi caduti a Cefalonia ebbero sepoltura cristiana nel cimitero di Argostoli. Nel dopoguerra una serie di missioni italiane furono impegnate nel ricupero di questi corpi senza nome. Meyer ne ripercorre le vicende e i risultati, il conto dei resti ricuperati: “è certo che a Cefalonia furono trucidati almeno 2.313 italiani… Non sarà mai più possibile stabilire con certezza quanti furono gli uomini della Acqui che persero effettivamente la vita sull’isola. Sicuramente furono di più” (p. 303). E’ molto difficile arrivare a dati più precisi. Come dice Meyer, siamo dinanzi a un “balletto delle cifre”. Anche la documentazione tedesca è stata messa in discussione, il numero di 4.000 italiani caduti o fucilati, “ufficiali tutti fucilati”, che Meyer ricupera dal diario di guerra del gruppo di armate E del 24 settembre (p. 306) è stato contestato e ridotto dai comandanti tedeschi sul campo. Peggio da parte italiana, gli autori più diversi hanno dato cifre variabili senza base documentale, da poco più di mille a oltre 9.000. Meyer ne fa un elenco impietoso, da cui risulta l’inaffidabilità delle molte e diverse cifre date dai reduci, da fonti ufficiali, dai diversi studiosi. Devo ammettere di avere contribuito anch’io a questa confusione, nel 1993 scrissi di 6.500 caduti a Cefalonia, faccio ammenda8. Ripartiamo da capo con Meyer. Una cifra approssimativa (di più non è possibile) dei caduti di Cefalonia si può ricavare da tre ordini di dati. Partiamo dai militari italiani presenti nell’isola nel settembre 1943, il totale di 11.500 uomini (di cui 525 ufficiali) generalmente accettato ha certamente origine nella documentazione militare italiana, manca però un’indicazione precisa della fonte. Abbiamo l’elenco delle forze italiane a Cefalonia e la loro forza nei mesi precedenti, ma non nel settembre 1943. Nel 2005, nel corso di un serrato e amichevole confronto con Meyer, ripercorsi con attenzione tutte queste cifre, reparto per reparto, arrivando alla conclusione che il totale di 11.500 non è garantito, ma accettabile9. Meyer non discute i miei calcoli, ma ritiene che questo totale non tenga conto degli uomini in licenza, per i quali indica una media costante del 7%. Quindi riduce la forza della Acqui nel settembre 1943 a 10.700 uomini. Registro questa stima senza condividerla10. 8 Il problema non sono i 6.400 militari italiani trasportati via mare da Cefalonia al continente, cifra accertata su cui torniamo dopo, ma i 4.250 che il 9 settembre si arresero ai tedeschi a Zacinto. Tutti portati sul continente entro ottobre, dice Schreiber, ma un solo trasporto di 1.700 prigionieri accertato. Avevo creduto che gli altri 2.250 fossero stati portati sul continente passando da Argostoli, quindi da dedurre dai 6.400 citati, con la conseguente riduzione dei caduti. Mi ero sbagliato, è quasi sicuro che i 6.400 partiti da Argostoli fossero tutti uomini della Acqui. Come i 2.250 prigionieri di Zacinto siano arrivati al continente rimane uno dei problemi non risolti dell’8 settembre nelle isole ioniche. Cfr. Giorgio Rochat, Introduzione, cit., e Gerhard Schreiber, Cefalonia, settembre 1943, cit. 9 G. Rochat, Ancora su Cefalonia, cit. Nella nota 1558 Meyer accenna a questo confronto di dati, ma non ritiene necessario dare attenzione alle mie note documentate. Continuo a ritenere che accettasse dati troppo bassi per la forza necessaria per il servizio delle unità di artiglieria e per i reparti della marina e della sussistenza. 10 Dal mio studio La divisione Acqui nella guerra 1940-1943, cit., pp. 36-38, risulta che al 15 novembre 1942 erano in licenza il 15% dei 700 ufficiali e il 7% dei 15.800 uomini della Acqui, che allora presidiava Corfù, Cefalonia, Zacinto e isole minori. Meyer ritiene valida questa percentuale anche per il settembre 1943, senza tenere conto della mia precisazione che le licenze per la truppa erano di regola concesse soltanto nella stagione invernale, in turni succes-


Prefazione all’edizione italiana

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Il secondo ordine di dati riguarda il trasporto verso la terraferma di buona parte dei militari italiani sopravvissuti agli eccidi del 21 e 22 settembre. In merito fanno testo le accurate ricerche di Gerhard Schreiber negli archivi della marina tedesca. Il 28 settembre il primo piroscafo, carico di prigionieri oltre ogni limite di sicurezza (secondo precisi ordini di Hitler e del generale Lanz), affondò su una mina appena partito da Argostoli; si salvarono tutti i 60 tedeschi imbarcati come scorta, ma soltanto 120 degli 840 italiani chiusi nelle stive11. Il 13 ottobre un secondo piroscafo affondò in alto mare su una mina con la morte di 544 dei 900 prigionieri imbarcati (e di 5 dei 25 tedeschi). I successivi quattro piroscafi ebbero più fortuna, arrivarono a Atene con quasi 4.500 prigionieri, come due motovelieri con 102 prigionieri. Un terzo motoveliero fu affondato, mancano dati sulle perdite, al massimo una cinquantina di morti. In sostanza, 6.400 prigionieri imbarcati, di cui 1.350 morti in mare, cifre con un margine di errore piuttosto piccolo, secondo Schreiber. Con piccole correzioni possibili, dai 6.400 prigionieri imbarcati vanno dedotti i 120 che si salvarono dall’affondamento del primo piroscafo appena partito, riportati sull’isola. Un piccolo numero di prigionieri fu poi portato sul continente con battelli minori, 300 secondo Meyer, in realtà manca una documentazione. Tutti costoro entrarono a far parte dell’esercito degli IMI, i militari italiani presi prigionieri dai tedeschi nel settembre 1943, più di un mezzo milione di soldati che avevano rifiutato la guerra di Hitler e Mussolini, pur sapendo che andavano incontro al lavoro forzato in una prigionia dura e spesso bestiale12. Il terzo ordine di dati riguarda i militari italiani rimasti sull’isola come forza lavoro al servizio dei tedeschi, non per loro scelta13. Circa 1.300, una cifra non documentata, ma attendibile per il concorso delle fonti disponibili. Cui Meyer aggiunge “circa 300 uomini, per lo più slosivi. In una situazione di crisi come l’estate 1943 è più che probabile che le licenze fossero sospese o ridotte al minimo. Inoltre il mio studio documenta la disastrosa organizzazione delle licenze dei militari italiani nei Balcani, anche perché una licenza di 30 giorni veniva raddoppiata o triplicata dal viaggio lungo la costa adriatica o via mare da Atene e non di rado aumentata quando le autorità locali accettavano di prolungarle. Come risulta dalla documentata testimonianza del cappellano Formato sugli uomini della Acqui, che il 2 marzo 1942 scriveva: “nel mio reggimento ancora 598 artiglieri devono usufruire di licenza da oltre tre anni e 450 da oltre due anni”, su una forza di circa 2.000 uomini. Per fare un altro caso, nel 3° Gruppo contraerei della Acqui il premio in denaro per chi non aveva potuto usufruire della licenza ordinaria negli ultimi 12 mesi fu assegnato nel luglio 1942 a 9 ufficiali su 11 e a 186 tra sottufficiali e uomini su 220. Per quanto ci risulta, dati stimati su cifre parziali, dal 1940 al 1943 tutti gli ufficiali della Acqui ebbero almeno una licenza, la maggioranza dei soldati una sola e una minoranza nessuna. 11 Il dramma della nave affondata a breve distanza dalla costa, dinanzi agli occhi dei prigionieri italiani scampati alla morte perché destinati a un trasporto successivo, vale a spiegare sul piano emotivo perché tutti i reduci aumentino il numero dei morti in mare fino a 3.000. Un dato accettato da molti studi successivi di poche pretese scientifiche, anche quando erano già disponibili le accurate ricerche di Schreiber. 12 Dei 650.000 militari italiani rimasti prigionieri dei tedeschi nel settembre 1943, in buona parte nei Balcani, la grande maggioranza (due terzi dei 30.000 ufficiali e il 90% dei soldati) preferirono una massacrante prigionia all’adesione alla guerra di Hitler e Mussolini. Considerarli prigionieri di guerra avrebbe indebolito la pretesa della repubblica di Salò di presentarsi come nuovo stato italiano, quindi i tedeschi li classificarono come “internati militari”, una definizione priva di senso giuridico. La sigla IMI fu sentita dai militari italiani come un tradimento della loro condizione di prigionieri di guerra, oggi viene rivendicata con orgoglio. 13 In un testo recente si dice che gli uomini rimasti sull’isola avevano aderito alla guerra nazifascista, un’affermazione miserevole. Per quanto sappiamo, gli ufficiali cui fu risparmiata la vita dovettero firmare una dichiarazione di adesione alla guerra hitleriana che in quelle circostanze non aveva alcun valore (e infatti quelli deportati nei lager furono considerati prigionieri, non optanti per la guerra nazifascista). Nulla fu chiesto ai soldati; i tedeschi classificarono come aderenti quelli rimasti sull’isola, un gesto arbitrario preso senza averli consultati. Ho già detto che i soldati e gli ufficiali portati sul continente furono considerati IMI, come tutti i militari italiani catturati all’8 settembre, di cui divisero le sorti nei lager del Reich hitleriano (salvo successive opzioni per la Rsi, è il caso di un ufficiale che si era salvato dalla fucilazione perché trentino).


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Hermann Frank Meyer - Il massacro di Cefalonia

veni… inquadrati in quattro compagnie lavoratori”, che non risultano da altre fonti, e circa 200 soldati che “vennero nascosti dalla popolazione e in seguito entrarono nelle file della resistenza greca”, un dato certamente sovrastimato. Tiriamo le somme. Secondo Meyer (quadro riepilogativo alle pp. 321-322) i militari italiani a Cefalonia nel settembre 1943 erano circa 10.700. “Il numero degli uomini che vennero effettivamente trasportati sul continente greco da Cefalonia fu di 6.227”, un dato sicuro; più altri 300 trasportati con battelli minori, documentazione approssimativa. Alla fine del 1943 restavano a Cefalonia 1.286 prigionieri come lavoratori coatti, cifra sicura, più 300 nelle compagnie lavoratori, per lo più sloveni, e 200 passati con la resistenza greca, non documentati. Di conseguenza “gli uomini della Acqui che morirono a Cefalonia furono all’incirca 2.500; non pochi di loro sotto i bombardamenti, pochi durante i combattimenti, la maggior parte a causa delle esecuzioni di massa che ebbero luogo dopo la fine dei combattimenti”14. Vanno ricordati a parte i 1.350 prigionieri morti in mare nell’affondamento sulle mine inglesi di navi stracariche oltre ogni limite di sicurezza. Fanno parte della tragedia di Cefalonia, non degli eccidi sull’isola. Continuo a credere a cifre in parte diverse. La differenza maggiore con le stime di Meyer riguarda il totale della forza italiana a Cefalonia. Ho già detto che i calcoli rifatti in contraddittorio con Meyer mi hanno portato a accettare il dato tradizionale di 11.000 uomini e 500 ufficiali. Licenze possibili poche e non documentate. Per i prigionieri portati sul continente, continuo a fare credito alle cifre di Schreiber, 6.418, di cui 1.360 morti in mare, con differenze minori rispetto alle cifre di Meyer. Per i prigionieri rimasti sull’isola mi fermo ai 1.300 citati. Quindi calcolo circa 3.800 italiani caduti sull’isola e 1.360 morti in mare15. Cifre approssimative, credo siano oggi le più credibili e documentate, ma concordo con Meyer che non sarà mai possibile arrivare a cifre sicure; non è però il computo preciso dei morti che ci può dare la dimensione della tragedia di Cefalonia. Nella terza parte del suo volume Meyer ritorna al suo tema centrale, la storia della 1a divisione tedesca da montagna. Nella prima parte del volume ne aveva raccontato le vicende dalla Russia 1941 ai Balcani 1943, la dura repressione condotta in Grecia in collaborazione con le truppe italiane. La parte maggiore del volume è dedicata alle vicende di Cefalonia e Corfù che abbiamo ripercorso, la 1a divisione da montagna ha un ruolo decisivo nei combattimenti e negli eccidi, che però è soltanto una breve fase della sua storia. E infatti la divisione torna subito a contrastare la resistenza greca. Ancora una lunga serie di operazioni per il controllo del territorio, devastazioni e eccidi, che Meyer riporta con la sua consueta ricchezza di documentazione. Nel 1944 il quadro cambia, le truppe tedesche devono cedere terreno dinanzi ai progressi dell’armata partigiana di Tito. Una lunga serie di battaglie e di ritirate, che la 1a divisione da montagna conduce con dedizione e perdite crescenti, fino al collasso finale della 14 Non si può non rilevare il contrasto tra le due cifre sui caduti italiani che Meyer accetta. Ho già detto che, sulla base delle ricerche dei resti dei caduti condotte nel dopoguerra, Meyer scrive che “è certo che a Cefalonia furono trucidati almeno 2.313 italiani. […] Sicuramente furono di più”. Poi però il nuovo calcolo dei morti si ferma a 2.500 circa. Non è necessario dire che quando Meyer tenta di ridurre il numero dei caduti italiani non intende affatto diminuire le responsabilità tedesche negli eccidi. 15 Rochat, Ancora su Cefalonia, cit.


Prefazione all’edizione italiana

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guerra tedesca nei Balcani dinanzi all’arrivo delle forze sovietiche. L’ultimo capitolo è la degna conclusione di un volume grande per documentazione e onestà. Meyer ripercorre la difficoltà della Germania democratica nel fare i conti con il passato nazista studiando le vicende dei reduci della 1a divisione da montagna. Cita lo scarso successo delle condanne dei responsabili dei maggiori crimini, e invece il ricupero nelle nuove forze armate tedesche di ufficiali con un brillante stato di servizio, senza tenere conto degli eccessi commessi nelle operazioni di repressione. Il generale Lanz nel primo caso, il maggiore Klebe nel secondo, per entrambi gli eccidi di Cefalonia sono soltanto un anello di una catena più vasta di responsabilità. E poi Meyer studia e denuncia la continuità e diffusione della memoria promossa dalle associazioni dei reduci, che ricorda e celebra la dedizione, l’efficienza e la compattezza degli uomini della 1a divisione da montagna, ma dimentica tutto il resto, la brutalità e i crimini commessi nella repressione, oltre ogni esigenza o regole di guerra. Non sono soltanto problemi tedeschi, anche le devastazioni e i crimini commessi dalle truppe italiane nei Balcani prima dell’8 settembre 1943 sono state rimosse, Meyer ce lo ricorda. Giorgio Rochat



Prefazione

Il 28 ottobre 1940 l’Italia attaccò la Grecia. Solo il massiccio appoggio tedesco e l’intervento della Wehrmacht nell’aprile del 1941 evitarono a Mussolini una umiliante sconfitta. Con una spettacolare azione di sabotaggio, nel novembre del 1942 un gruppo di partigiani greci e di commandos inglesi fece saltare il viadotto ferroviario sul Gorgopotamos (linea Salonicco-Atene) lungo 211 m e posto sotto la sorveglianza delle truppe italiane. In tal modo venne per qualche tempo notevolmente ostacolato l’afflusso dei rifornimenti diretti alle truppe tedesche di stanza nel sud della Grecia e sulle isole dell’Egeo. Della ricostruzione del ponte venne incaricato un reparto costruzioni del quale faceva parte anche mio padre in veste di ufficiale pagatore addetto al vettovagliamento. Nel marzo del 1943 egli venne rapito da un gruppo di partigiani e poco dopo fu dato per disperso. L’incertezza circa la sua sorte non mi ha mai dato pace e vent’anni dopo sono partito alla volta della Grecia per cercare di fare luce sulle circostanze della sua scomparsa. Allora non potevo sapere che quel viaggio avrebbe segnato l’inizio di una odissea che sarebbe continuata praticamente fino ad oggi. Dopo essere riuscito a chiarire le circostanze della morte di mio padre, a rintracciare il luogo dov’era sepolto e a riportarne in patria i resti mortali, decisi di raccontare la mia sofferta vicenda in Vermißt in Griechenland16 [Disperso in Grecia]. Il libro ebbe una vasta eco anche in Grecia, con il risultato, tra l’altro, che un sacerdote della località epirota di Kommeno mi scrisse per farmi sapere che nell’agosto del 1943 un reparto di soldati tedeschi che come distintivo portavano sul berretto una stella alpina massacrò nel suo paese centinaia di civili. Disse che avrebbe volentieri voluto saperne di più sui retroscena del massacro e mi chiese se ero disposto ad aiutarlo. Dalle ricerche da me effettuate risultò che in effetti a Kommeno un reparto appartenente alla 1a divisione da montagna aveva brutalmente massacrato diverse centinaia di civili, tra cui molti neonati e bambini. Dopo aver dato conto delle mie ricerche in loco nel libro Kommeno17, mi sono occupato della guerra nel Pelopponeso e soprattutto dei massacri compiuti dalle truppe tedesche a Kalavryta e dintorni. Il libro che ne trassi – Von Wien nach Kalavryta18

16 H.F. Meyer, Vermißt in Griechenland. Schicksale im griechischen Freiheitskampf 1941-1944, Berlin 1992. 17 H.F. Meyer, Kommeno. Erzählende Rekonstruktion eines Wehrmachtsverbrechens in Griechenland, Köln 1999. 18 H.F. Meyer, Von Wien nach Kalavryta. Die blutige Spur der 117. Jäger-Division durch Serbien und Griechenland, Mannheim/Möhnsee 2002.


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[Da Vienna a Kalavryta] – avrebbe dovuto mettere fine alle mie ricerche sugli eventi bellici in territorio greco, ma di fronte alle molte lettere e segnalazioni ricevute in merito ad altri massacri non solo di civili ma anche di appartenenti alla divisione Acqui a Cefalonia e Corfù e nel sud dell’Albania, decisi di tornare sulla questione e di approfondirla. Portata sul berretto e sul braccio, la stella alpina era il distintivo della 1a divisione da montagna della Wehrmacht, un reparto d’elite che 11 anni dopo la fine della guerra non solo tornò a far parte della Bundeswehr con lo stesso distintivo e con nelle sue file diversi ex ufficiali che già avevano combattuto durante la seconda guerra mondiale, ma nel volgere di poco tempo divenne anche la più grande unità militare della Nato. Per quanti hanno militato nelle sue file e per il «Kameradenkreis der Gebirgstruppe»19 fondato dopo la guerra, l’«Edelweiß» costituisce ancora oggi il simbolo «delle migliori tradizioni del soldato tedesco in pace e in guerra», con il risultato di passare sotto silenzio i massacri compiuti dalla 1a divisione da montagna durante la seconda guerra mondiale. Come si è giunti a questo, chi impartì gli ordini criminali, le brutali modalità della loro esecuzione e le incredibili motivazioni con cui vennero archiviati nel dopoguerra tutti – tutti! – i procedimenti avviati contro i responsabili e come e perché questi non vennero mai chiamati a rendere conto del loro operato, sono queste le principali questioni da me trattate nel presente volume e alle quali ho cercato di dare una risposta. In quasi venti anni di ricerche ho preso visione ed esaminato tutti i più importanti documenti della Wehrmacht, l’intera e non di rado agiografica memorialistica di guerra degli ex Gebirgsjäger (cacciatori da montagna), compresi i loro diari privati, e le pubblicazioni di storici e specialisti uscite nel dopoguerra in Germania, Italia, Grecia e nel Regno Unito aventi per oggetto la 1a divisione da montagna. Inoltre, ho esaminato tutti gli atti relativi ai procedimenti aperti in Italia, Germania e Grecia contro gli ex appartenenti alla 1a divisione da montagna, nonché gli atti del «processo contro i generali del settore sud-est» svoltosi nel 1947 davanti ad un tribunale militare americano. Le ricerche compiute mi hanno condotto in 10 Paesi e in più di due dozzine di archivi. A volte in circostanze e in condizioni non agevoli e spesso come primo tedesco dopo la fine della guerra, mi sono recato in più di 200 località greche ed albanesi occupate e distrutte durante il conflitto dalle truppe italo-tedesche per svolgere ricerche in loco e per ascoltare i testimoni ancora in vita. Nonostante il tempo trascorso dall’epoca dei fatti – più di sei decenni – le atrocità commesse in questi paesi sono ancora ben vive nella memoria delle popolazioni. Ne è risultata una ampia descrizione delle vicende che hanno avuto per protagonista la 1a divisione da montagna nella seconda guerra mondiale – dagli inizi fino alla sua «rinascita» nella Bundeswehr. Nella introduzione si dà conto della costituzione della divisione sotto il nazismo e della carriera compiuta dal suo uomo più rappresentativo, il generale delle truppe da montagna Hubert Lanz, che comandò la divisione nella campagna all’Est e in seguito la ebbe alle sue dipendenze operative nella sua veste di comandante del XXII corpo d’armata da montagna. Fin dall’inizio del conflitto i Gebirgsjäger presero parte sempre in prima linea a tutte le campagne – Polonia, Francia, Jugoslavia e guerra di sterminio contro l’Unione Sovietica – condotte dalla Wehrmacht nei vari scacchieri (cap. I). Dopo l’«operazione Caucaso», che si concluse con notevoli perdite, la divisione venne trasferita – per «riprendere fiato» – nei

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Associazione dei camerati della truppa da montagna. Ha sede a Monaco di Baviera.


Prefazione

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Balcani, dove per la prima volta prese parte ad operazioni antiguerriglia unitamente alle truppe italiane (cap. II). Siccome le potenze dell’Asse temevano una invasione alleata nel settore sudorientale europeo, la divisione venne successivamente inviata in Grecia e nel sud dell’Albania con il compito di dar manforte alle truppe italiane di occupazione. Alle sporadiche azioni compiute dalle bande partigiane greche e albanesi gli occupanti reagirono, spesso con operazioni congiunte, con la sistematica distruzione delle località situate lungo le principali vie di comunicazione e l’uccisone indiscriminata dei loro abitanti (cap. III). Nel frattempo Lanz aveva ottenuto il comando di una «Armee-Abteilung»20 nella zona di Karkov, dove secondo alcuni si sarebbe rifiutato di eseguire gli ordini del Führer e avrebbe altresì fatto credere di essere un suo oppositore (cap. IV). Dopo poche settimane egli venne rimosso dall’incarico e nel luglio del 1943 venne inviato in Grecia con il compito di costituire e comandare il XXII corpo d’armata da montagna, alle cui dipendenze operative vennero poste la 1a divisione da montagna e la 104a divisione cacciatori. In questa sua nuova veste nel settembre del 1943 Lanz venne incaricato di condurre le trattative di resa con il comandante in capo delle truppe italiane, il generale Carlo Vecchiarelli, e fu quindi responsabile delle operazioni di disarmo delle divisioni italiane di stanza nella Grecia occidentale e nell’Albania meridionale: operazioni nel corso delle quali vennero massacrati più di 2.000 ufficiali e soldati italiani. Proprio questo crimine – uno dei più gravi compiuti dalla Wehrmacht nel corso della seconda guerra mondiale – costituisce l’argomento centrale di questo libro. Sebbene su questa tragica vicenda siano usciti più di 200 tra libri e saggi specialistici e un’infinità di articoli, a tutt’oggi nessuno dei molti autori che se ne sono occupati ha ritenuto di dover esaminare le migliaia di documenti depositati negli archivi. Come non senza stupore ho potuto accertare nel corso delle mie ricerche, la maggior parte delle affermazioni prive di riscontri di alcuni sono state trasformate da altri in fatti inoppugnabili. Con il risultato che nel corso dei decenni si è giunti a descrizioni e ricostruzioni degli eventi infondate e/o esagerate e perfino alla diffusione di vere e proprie leggende (cap. V). Allorché in coincidenza con le operazioni di disarmo delle truppe italiane un commando partigiano uccise Josef Salminger, un comandante di reggimento molto popolare tra i suoi uomini, «per punizione» Lanz diede ordine di massacrare altri civili e di incendiare e saccheggiare interi paesi. A causa della sempre più forte pressione esercitata dalle forze di occupazione, Napoleon Zervas, comandante dell’EDES, movimento di resistenza di orientamento conservatore, decise di stipulare con i tedeschi un «accordo di cessate il fuoco». Anche in merito alla tuttora controversa questione del collaborazionismo, che fu tra le cause dello scoppio della guerra civile che dilaniò la Grecia fino al 1949, vengono presentati in questo libro molti documenti rimasti finora inediti. Mentre nel novembre 1943, dopo la vittoriosa «opera di pacificazione», la 1a divisione da montagna venne ritirata e fu impiegata fino al termine della guerra come reparto di intervento rapido in tutto lo scacchiere sudorientale europeo, il XXII corpo d’armata da montagna rimase in Grecia, dove prese parte ad altre uccisioni di ostaggi e alla deportazione di ebrei dalle regioni occidentali della Grecia (cap. VI). Il libro si chiude con un capitolo dedicato alle carriere postbelliche degli ex ufficiali della divisione e del XXII corpo d’armata nella ricostituita 1a divisione da montagna, e all’attività del «Kameradenkreis der Gebirgstruppe» (cap. VII).

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Sezione di armata.


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Senza l’incondizionato e amorevole sostegno di mia moglie Liesel non avrei mai potuto condurre a termine un lavoro così impegnativo, e quindi è a lei che dedico questo libro. Un grande debito di riconoscenza ho nei confronti del dott. prof. Heinz A. Richter e del dott. prof. Reinhald Stupperich, che hanno accompagnato buona parte della stesura di questo libro con parole di incoraggiamento e commenti critici. Ringrazio il dott. Carlo Gentile, Hannes Heer, Jakob Knab, il dott. Markus Mohr, il prof. Giorgio Rochat e Gregor Thaler per i loro consigli su questioni specifiche e per i loro manoscritti sul massacro di Cefalonia e la «salvaguardia della tradizione» delle truppe da montagna. Thomas Groth mi ha messo gentilmente a disposizione brani e foto del diario del padre, mentre il dott. prof. Hoffmann mi ha messo al corrente dei risultati delle sue ricerche in merito alla presunta partecipazione di Lanz al movimento di opposizione contro Hitler, e il dott. prof. Christoph SchminckGustavus ha messo a mia disposizione il suo manoscritto «Winter in Griechenland», nonché illustrazioni e materiale relativi alla deportazione degli ebrei da Ioannina. Takis Georgopoulos, il dott. Vladimir Misha, il dott. prof. Ilo Nele, Frideriki Nassi, Apostolis Papageorgiou, Alekos Raptis, Byron Tesapsides, Nikolaos Vazoukis e Doris Wille si sono recati con me in più di 200 località in Tessaglia, Albania meridionale, Aitoloakarnania (Etolia-Arcania) ed Epiro, nonché sui luoghi delle esecuzioni di massa avvenute a Cefalonia. Mi hanno assistito con le parole e i fatti e mi hanno aiutato con le traduzioni. Spero di poter continuare ad onorarmi della loro amicizia. Ringrazio i molti testimoni oculari e gli ex appartenenti alla Wehrmacht che hanno accettato di farsi intervistare. Anche Zanet Battinou (museo ebraico di Atene), Marcia Haddad Ikonomopoulos (museo ebraico «Kehila Kedosha Janina» di New York), la curatrice della mostra «Mediterraneo», Bruna De Paula, Nicholas Enessee (ad Argostoli), George Andronidis, Georgios Botti, il dott. prof. Hagen Fleischer, Giannis Koutsoumbouris e il dott. Franz Tsagaris hanno messo gentilmente a mia disposizione foto e documenti. Ringrazio il direttore, le collaboratrici e i collaboratori del Deutsche Dienststelle (WASt) di Berlino, degli archivi federali di Friburgo/Freiburg, Koblenz/Coblenza, Berlin/Berlino, Ludwigsburg e Aachen/ Aquisgrana, della «Zentrale Stelle der Landesjustizverwaltungen» (ZStL) di Ludwigsburg, dell’Archivo dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (AUSSME, Roma), degli archivi nazionali di Nuova Zelanda, Regno Unito e Usa, nonché dell’archivio del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) con sede a Ginevra. Ringrazio il dott. Baumann dell’archivio di Stato di Monaco per l’aiuto prestatomi nella ricerca degli atti relativi ai molti procedimenti tenutisi contro i cacciatori da montagna. Beate Kalbhenn del «Volksbund deutsche Kriegsgräberfürsorge» (Kassel) ha messo a mia disposizione preziose analisi in merito ai caduti tedeschi in Grecia. Ulrich Maaß, procuratore generale presso il tribunale di Dortmund, mi ha informato in merito al procedimento contro i crimini di guerra commessi a Cefalonia. Hans-Peter Mayer, vicepresidente del «Kameradenkreises der Gebirgstruppe», e Hermann Frank hanno reso possibili le mie ricerche nell’archivio delle truppe da montagna. Ali Zakouri, della «Max-Planck-Gesellschaft für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht» (Heidelberg), mi ha fornito un prezioso aiuto nell’esame degli atti del processo di Norimberga, e il generale Stavros Dermatas, direttore dell’archivio «Diefthynsi Istorias Stratou» di Atene, è stato altrettanto disponibile in occasione delle ricerche da me effettuate sulla vita di Napoleon Zervas. Il mio ringraziamento va inoltre al prof. Enzo Morandi per la sua eccellente traduzione in italiano del presente volume. Senza il sostegno, infine, di Manfred H. Teupen, non mi


Prefazione

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sarebbe mai stato possibile condurre a termine un lavoro di questa mole. Sempre disponibile a rispondere alle mie domande, ha messo a mia disposizione il suo ricchissimo archivio, oltre ad aiutarmi con le traduzioni. Gli sono molto grato, in particolare per la sua costante e accurata consulenza. Le pubblicazioni sulla seconda guerra mondiale si contano a migliaia. Ma non ne conosco nemmeno una che, come questo libro, racconti in maniera altrettanto dettagliata e scrupolosa la storia e le azioni di una singola divisione della Wehrmacht. Dal momento che, con la sola eccezione di Lanz, non si è mai riusciti a portare alla sbarra nessuno dei molti responsabili dei crimini da essa compiuti, ho ritenuto che fosse un mio preciso dovere contribuire a far conoscere e a rendere omaggio alle sue innumerevoli vittime. Mi auguro che questo libro possa spingere i dirigenti del «Kameradenkreis der Gebirgstruppe», la Bundeswehr e la giustizia tedesca ad occuparsi in maniera molto più critica ed approfondita dei crimini compiuti dalla divisione con la «stella alpina» e delle ragioni che hanno condotto alla archiviazione dei numerosi procedimenti aperti contro chi nelle sue file ne fu responsabile. Bruxelles, dicembre 2008 Hermann Frank Meyer



Introduzione

1. La costituzione della 1a divisione da montagna

Diversamente dai suoi alleati e dai suoi nemici, all’inizio del primo conflitto mondiale il Reich tedesco era del tutto privo di corpi appositamente addestrati per la guerra in montagna. Lo stato maggiore tedesco era convinto di poter arrestare una eventuale avanzata italiana attraverso le Alpi sull’altopiano svevo-bavarese e di poter affrontare e sconfiggere i francesi con la sola fanteria nella zona dei Vosgi. Ma come sarebbe apparso chiaro già all’inizio della guerra, le forze armate tedesche non erano in grado di contrastare efficacemente i «chasseurs des Alpes» e la loro artiglieria da montagna21. Il 14 novembre del 1914 il ministero della Guerra bavarese decise di costituire un «corpo sciatori» che già un mese dopo si riunì a Monaco con la denominazione di «Schneeschuhbataillon (letteralmente: battaglione racchette da neve) n. 1». Dopo la costituzione in Baviera e nel Württemberg di altri battaglioni alpini, i nuovi reparti vennero dapprima riuniti in «reggimenti cacciatori» e a partire dal 18 maggio 1915 confluirono nel «corpo alpino tedesco»22. Il corpo era costituito da volontari, tutti esperti sciatori e alpinisti, che si sentivano in grado di affrontare le dure prove cui sarebbero stati sottoposti in montagna, e da altri che avevano già avuto modo di distinguersi sui campi di battaglia dell’Europa occidentale. La divisa dei «cacciatori da montagna», così vennero chiamati, era costituita da giacca, pantaloni di cuoio, berretto da sci e scarponi da montagna. Armi, munizioni ed equipaggiamento erano riposti in appositi zaini, mentre per il trasporto delle vettovaglie, della rimanente attrezzatura e soprattutto dei cannoni costruiti appositamente per la guerra in montagna venivano impiegati pony, cavalli e muli. Nel corso della guerra il corpo alpino combatté sulle Dolomiti (1915), in Serbia (1915), in Romania (1916/1917), in Macedonia (1917/1918) e soprattutto, nel 1917, sul fronte dell’Isonzo, operando all’inizio e per un lungo periodo agli ordini del Gen. Konrad Krafft von Dellmensingen23, considerato il “padre fondatore” delle truppe bavaresi da montagna. 21 Sulle origini e l’impiego delle truppe da montagna tedesche nella prima guerra mondiale si veda Die Gebirgstruppe, 1989, 2, pp. 7-14 e 1989, 3, pp. 13-22. 22 R. Kaltenegger, Die Geschichte der deutschen Gebirgstruppe 1915 bis heute, Stuttgart 1998. 23 Konrad Krafft von Dellmensingen nacque il 24 novembre 1862 a Laufen in Baviera e morì il 22 febbraio 1953 a Seeshaupt. Durante la prima guerra mondiale comandò il corpo alpino ottenendo due alte onorificenze: «Pour le Mérite» e la Croce di ferro di prima classe. Razzista convinto e antisemita, durante la seconda guerra mondiale affermò più volte, nel tipico gergo nazista, che la guerra in corso era «la guerra degli ebrei contro la Germania perché tutti i guer-


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A partire dal 1915 e fino agli inizi del 1917 la fanteria italiana, schierata lungo una linea che andava da Tolmino all’Adriatico, aveva già lanciato, in quella che è stata chiamata la «Verdun delle truppe austro-ungariche e italiane», nove offensive nel tentativo di aprirsi la strada verso Trieste o Lubjana. Nel corso del 1917 il numero delle divisioni italiane salì a 65 ma soprattutto venne aumentata la dotazione di mitragliatrici e rafforzata l’artiglieria. Nel maggio dello stesso anno si svolse la decima battaglia dell’Isonzo, che ancora una volta si concluse senza significativi cambiamenti sul terreno ma con gravissime perdite da entrambe le parti (112.000 tra morti, feriti e dispersi nelle file italiane e 76.000 in quelle austro-ungariche) a causa dell’impiego di armi sempre più moderne e micidiali24. Nell’agosto del 1917 i 600 battaglioni schierati dagli italiani per l’undicesima battaglia dell’Isonzo riuscirono a strappare agli austro-ungarici, tra Gorizia e Plezzo, sei km di terreno. Ancora una volta le perdite da entrambe le parti furono assai elevate, al punto che molti battaglioni ne uscirono letteralmente decimati (in qualche caso i loro effettivi si ridussero al 25% del totale iniziale). Nella convinzione di non poter resistere ad un nuovo attacco italiano, il Comando Supremo austro-ungarico chiese a quello tedesco sei divisioni ed il corpo alpino, in quel momento agli ordini del generale di brigata Ritter von Tutscheck. Sul fronte italiano Krafft von Dellmensingen ebbe un ruolo di primo piano25 nella pianificazione e nella direzione della inattesa e fulminea controffensiva che venne lanciata all’alba del 24 ottobre 1917 e nel corso della quale si fece anche largo uso di proiettili caricati con nuovi aggressivi chimici. Contrassegnati con una “croce blu” e una “croce verde”, da cui il termine «fuoco variopinto» usato nella circostanza, i loro micidiali effetti vennero ulteriormente aumentati dal tempo piovoso, che contribuì a trattenere i gas nelle postazioni difensive italiane. Dopo sei ore di ininterrotti bombardamenti, la fanteria riuscì a scardinare l’intero sistema difensivo italiano e dilagò nella pianura fin oltre Udine. Ai primi di novembre, quando la battaglia di Caporetto poteva ormai considerarsi conclusa, l’esercito italiano aveva perduto circa 40.000 uomini tra morti e feriti, 265.000 prigionieri e la maggior parte dell’armamento pesante26. Per l’Alto comando tedesco il successo fu in larga misura dovuto all’«eccellente prova fornita dal corpo alpino tedesco». Sicché quando 18 anni dopo, il primo giugno del 1935, nel quadro delle misure volte a creare la nuova Wehrmacht, venne reintrodotto il servizio militare obbligatorio, venne anche contestualmente deciso, proprio sulla base delle positive esperienze fatte durante la prima guerra mondiale, di costituire una brigata da montagna e di affidarne il comando all’allora quarantacinquenne colonnello Ludwig Kübler, in precedenza già comandante dell’unico reparto di cacciatori da montagna della Reichswehr27. rafondai inglesi o [erano] ebrei o di origine ebraica». Era in gioco, diceva, la «questione di tutte le questioni, vale a dire la inevitabilità di una guerra di sterminio contro l’ebraismo mondiale […], dal momento che è in primo luogo a questo che esso conduce». Cfr. T. Müller, Konrad Krafft von Dellmensingen (1862-1953). Porträt eines bayerischen Offiziers, München 2002. 24 G. Hirschfeld/G. Krumreich/I. Renz (a cura di), Enzyklopädie Erster Weltkrieg, Paderborn 2003, p. 589. 25 Ibid., p. 589. 26 R. Kaltenegger, Die Geschichte der deutschen Gebirgstruppe, cit., p. 78. 27 R. Kaltenegger, Ludwig Kübler. General der Gebirgstruppe, Stuttgart 1998, passim. Ludwig Kübler nacque a Unterdill, vicino a Monaco. Dopo aver brillantemente superato l’esame di maturità presso il Ludwigs-Gymnasium di Monaco intraprese la carriera delle armi e nel 1908 entrò come allievo ufficiale nel 15° reggimento della fanteria reale bavarese. Nell’agosto del 1914 venne inviato sul fronte occidentale dove venne gravemente ferito al viso. Nel prosieguo della guerra prestò quasi sempre servizio presso lo stato maggiore. Nel febbraio del 1919, dopo un nuovo, lungo ricovero in un ospedale militare, gli venne affidato il comando di una cosiddetta «compagnia di difesa territoriale» e per qualche tempo fece anche parte del «Freikorps Epp», che svolse un ruolo di rilievo nella brutale repressione della «Repubblica dei


Introduzione

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In un primo tempo la brigata si compose di due reggimenti: il 99° reggimento cacciatori da montagna di stanza a Garmisch, Füssen e Sonthofen, e il 100° reggimento con guarnigioni a Brannenburg, Lenggries e Reichenhall. Con unità già appartenenti a questi due reggimenti, nell’ottobre del 1937 venne costituito il 98° reggimento, che venne acquartierato a Mittenwald28. Kübler svolse l’incarico affidatogli con il massimo impegno. Considerato in privato piuttosto irresoluto e più che altro amante della musica (era un buon violoncellista), come comandante, invece, era molto temuto dai suoi subalterni, cui era solito impartire gli ordini con un tono e un atteggiamento tipicamente prussiani. Nonostante la grave ferita al viso riportata nel corso della prima guerra mondiale, voleva sempre e in ogni circostanza – con gli sci, a piedi in montagna o a cavallo – essere da esempio per i suoi uomini. Secondo uno dei suoi sottotenenti, «[aveva] una faccia che [sembrava] la parete nord»29, e il suo viso di pietra non lasciava trasparire alcuna emozione. Di lui si ricorda che in occasione delle numerose esercitazioni, fino a quando il battaglione non era pronto a partire in assetto di guerra, se ne stava con il cronometro nel cortile della caserma e controllava meticolosamente l’uniforme, il contenuto dello zaino, la sellatura degli animali da soma e così via, sempre pronto a trovare e correggere eventuali manchevolezze e ad introdurre eventuali miglioramenti30. Nonostante le angherie cui li sottoponeva, i suoi soldati lo chiamavano affettuosamente «Latschen-Nurmi», dal nome di un famoso sciatore di fondo finlandese, e avevano ribattezzato le sue mollettiere le «fasce [in] ricordo di Ludwig Kübler». Non pochi ufficiali, al contrario, lo ritenevano testardo, rigido, dispotico, e perfino malevolo, soprattutto nei confronti di chi non eseguiva scrupolosamente le sue disposizioni. Non diversamente dai paracadutisti e dai sommergibilisti, anche i cacciatori da montagna si ritenevano membri di un corpo d’élite. Come ha fatto giustamente rilevare lo storico Ralph Klein, il loro «culto della virilità, della forza fisica e del vittorioso cimento delle armi» si accordava perfettamente con aspetti fondamentali dell’ideologia nazionalsocialista: “Chi aveva a che fare con le montagne era considerato un uomo eccezionale, fuori dagli schemi e dalle regole del mondo borghese, un uomo dotato di straordinarie capacità e quanto mai valoroso31”. Quando nella primavera del 1938, in occasione dell’annessione dell’Austria, la brigata da montagna entrò per la prima volta in azione, divenne ben presto evidente che Kübler, nel frattempo promosso generale, aveva saputo creare un corpo di truppe alpine efficienti e ben addestrate. I suoi uomini attraversarono il confine il 12 marzo 1938 accolti ovunque con entusiasmo dalla popolazione austriaca e dopo aver raggiunto Salisburgo avanzarono indisturbati nella zona di Graz-Leoben. Nelle sue memorie, Michael (Michl) Pössinger, che nel corso della successiva guerra avrebbe avuto un ruolo di primo piano nei ranghi della 1a divisione Consigli» di Kurt Eisner. Giudicato uomo «coraggioso e dal sangue freddo», Kübler entrò nella Reichswehr. Dopo aver prestato servizio per quattro anni presso l’Ufficio operazioni del ministero della Guerra a Berlino, presso la 1a divisione a Königsberg nonché come comandante del primo battaglione nel reggimento di fanteria, nell’ottobre del 1933 Kübler venne nominato capo di stato maggiore della 7a divisione di stanza a Monaco e successivamente (luglio 1934) promosso colonnello. 28 Anonimo (a cura di), Geschichte des Gebirgs-Jäger-Regiments 98, Berlin 1938. 29 R. Klebe, Generale der Gebirgstruppe – General Ludwig Kübler, in: «Gebirgstruppe», 1985, 2, p. 8. 30 Ibid. 31 R. Klein, Das Polizei-Gebirgs-Jäger-Regiment 18. Massaker, Deportation, Traditionspflege, in: «Zeitsschrift für Geschichtswissenschaft», 2007, 1, p. 63.


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da montagna, ricorda le grida e le manifestazioni di entusiasmo – «Heil, Heil, Heil» – con cui tutti gli austriaci, nessuno escluso, li accolsero e li accompagnarono fino a Innsbruck32. Undici giorni dopo i cacciatori da montagna avevano già fatto ritorno nelle caserme dalle quali erano partiti. Dopo l’incruenta annessione della «Marca Orientale» (così veniva chiamata ora l’Austria) al Reich, il comando supremo dell’esercito decise (31 marzo) di elevare la brigata da montagna al rango di «1a divisione da montagna» e dispose33 che i suoi membri avrebbero d’ora in avanti portato sul berretto e sul braccio una stella alpina come segno distintivo della divisione.

2. La carriera di Hubert Lanz fino alla carica di capo di stato maggiore delle truppe da montagna (ottobre 1914 – febbraio 1940).

Oltre al bavarese Ludwig Kübler, anche lo svevo Hubert Lanz ebbe un ruolo di primo piano nel forgiare lo spirito di corpo della 1a divisione da montagna. Come vedremo, anzi, nel corso della seconda guerra mondiale, le sue vicende personali si intrecciarono strettamente, sia pure con diversi incarichi e posizioni di comando, con quelle della divisione. Primogenito di Otto e Berta Lanz, Hubert Lanz nacque il 22 maggio del 1896 a Entringen (Württemberg)34, e fin da ragazzo capì che il suo destino sarebbe stato quello di «servire il Paese in armi». Il padre, convinto monarchico e fervente cattolico, e i suoi insegnanti gli trasmisero valori come «il senso del dovere, la dedizione, l’onore, il patriottismo, lo spirito di servizio e l’obbedienza»35. Più che mai deciso ad intraprendere la carriera militare, già a tredici anni Lanz imparò a cavalcare e nel giugno del 1914, subito dopo aver sostenuto l’esame di maturità a Stoccarda, entrò come allievo ufficiale nella 12° compagnia del 125° reggimento di fanteria «Kaiser Friedrich, König von Preußen». Allo scoppio della guerra (agosto 1914), anche Stoccarda fu percorsa da un’ondata di entusiasmo e i suoi abitanti scesero nelle strade per salutare i giovani in procinto di «fare una passeggiata a Parigi» («A Natale saremo già a casa!»). Senza avere la più pallida idea dell’autentico inferno cui stavano andando incontro, anche gli uomini del 125° reggimento si diressero marciando verso la stazione tra due ali di folla entusiasta. «Ci gettavano fiori che noi mettevamo nelle canne dei fucili», così Lanz avrebbe in seguito ricordato quei giorni. Naturalmente, l’impiego da ambo le parti di moderne armi di uccisione di massa come le bombe a mano, le mitragliatrici e i lanciafiamme non tardò a gettare molta acqua sul fuoco 32 M. Pössinger (in collaborazione con Josef Bader), Lebensbilder eines Gebirgsjäger, Grainau 1997, p. 21. 33 R. Kaltenegger, Ludwig Kübler, cit, p. 42. Nel corso della guerra si procedette alla costituzione, oltre che di diversi corpi d’armata da montagna, anche di 12 divisioni da montagna: 10 con la numerazione da 1 a 10, mentre le rimanenti due erano la 157a e la 188a. Ogni cacciatore da montagna portava sul berretto il simbolo della stella alpina, ma solo gli appartenenti alla 1a divisione da montagna potevano portarlo anche sul braccio. 34 BA-Freiburg: N562/22, lascito Hubert Lanz. Tra il 1972 e il 1977 Lanz dettò le sue memorie (in tutto «14 dettati» per complessive 375 pagine dattiloscritte). L’ex comandante del XXII corpo d’armata da montagna compilò il suo «curriculum vitae» soprattutto su richiesta di Charles B. Burdick, il professore di storia contemporanea della università californiana di St. José con il quale strinse una lunga amicizia (così Lanz nel 1977), amicizia di cui è senz’altro prova lo scritto commemorativo che lo storico americano pubblicò in occasione del settantacinquesimo compleanno di Lanz su richiesta della moglie di questi, Gerty [Ch. B. Burdick (a cura di), Furchtlos und treu, Köln 1971)]. Nell’introduzione Franz Halder, l’ultimo capo di stato maggiore dell’esercito, definisce Burdick un «ammiratore del festeggiato». Nel 1988 Burdick ha dato alle stampe una biografia di Lanz del tutto priva di spessore critico (Ch. B. Burdick, Hubert Lanz, General der Gebirgstruppe 1896-1982, Osnabrück 1988). 35 BA-Freiburg: N6562/22, lascito Lanz, capitolo: «La giovinezza».


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dell’ingenuo entusiasmo di quelle giovani reclute. Da poco arrivato al fronte, Lanz assistette alla morte del comandante della sua compagnia falciato da raffica di mitragliatrice, ed egli stesso il 9 settembre rischiò di fare la stessa fine davanti a Verdun. Incaricato di uscire in perlustrazione dovette infatti percorrere 400 metri allo scoperto: una «azione suicida» nel corso della quale una granata francese esplose a poca distanza da lui ferendolo seriamente e facendogli perdere conoscenza. Tra indicibili sofferenze venne trasportato su un carro trainato da cavalli fino al più vicino posto di medicazione e da lì, con un treno sul quale assistette alla morte della maggior parte dei feriti che viaggiavano con lui, venne trasferito all’ospedale militare di Stoccarda, dove – «bendato dalla testa ai piedi» – restò fino alla completa guarigione (anche se a causa di una scheggia di granata che era penetrata nel collo, sarebbe rimasto rauco per tutta la vita). Non dimenticò mai la visita che il Kaiser fece all’ospedale in cui era ricoverato, tanto che in seguito, quando sul fronte orientale avrebbe comandato la 1a divisione da montagna e la sua presenza in prima linea non era «indispensabile»36, si sarebbe dimostrato altrettanto premuroso con i feriti e i moribondi che venivano portati nei posti di medicazione. Tre mesi dopo il suo grave ferimento Lanz tornò al fronte, dove venne assegnato al battaglione di riserva del reggimento. Per la sua «eroica azione» davanti a Verdun gli venne concessa la «Croce di ferro di seconda classe». Nel contempo, però, egli trasse dall’insensata azione cui aveva preso parte e che gli era quasi costata la vita una significativa lezione: la disciplina era certo importante ma, come avevano dimostrato alcuni comandanti nel 1914, la «scarsa capacità di comando e la cattiva pianificazione» potevano anche condurre «alla follia». Nel febbraio del 1915 il diciottenne Lanz venne promosso sottotenente. Nel frattempo il suo reggimento era stato trasferito in Polonia, dove il giovane ufficiale prese parte a numerosi combattimenti al comando di una compagnia mitraglieri. Nel settembre del 1915 il reggimento venne impiegato nella campagna contro la Serbia, e in ottobre venne nuovamente trasferito sul fronte occidentale, a Ypern/Ypres, dove fino al luglio del 1916 combatté contro inglesi e canadesi una sanguinosa guerra di posizione. Successivamente, Lanz prese parte alla battaglia sulla Somme. Nella guerra di posizione che si protrasse fino al marzo del 1917 tedeschi, francesi e inglesi persero più di un milione di uomini tra morti e feriti, senza realizzare significativi progressi territoriali. Un vero «mattatoio» cui il credente Lanz avrebbe detto in seguito di essere scampato «solo grazie ad un miracolo»37. Quando nell’aprile del 1917 gli Alleati scatenarono una nuova, grande offensiva, Lanz vide per la prima volta all’opera i «grandi carri armati» che impiegati con la fanteria e l’artiglieria erano in grado di decidere le sorti di una battaglia. Dopo aver preso parte ad altri combattimenti nei pressi di Arras, nell’Artois e nelle Fiandre, all’inizio dell’autunno il reggimento venne prima trasferito – per «ritemprarsi» – sul relativamente tranquillo fronte dei Vosgi e in seguito in Carinzia e in Italia, dove prese parte alla dodicesima e decisiva battaglia dell’Isonzo. All’inizio del 1918, ultimo anno di guerra, il 125° reggimento di fanteria venne ritirato dall’Italia e trasferito in Alsazia. Quando però in estate l’Alto comando si convinse che gli Alleati avrebbero lanciato un’offensiva nella zona di Salonicco, il reggimento venne traspor-

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M. Starl/R. Klebe, General der Gebirgstruppe – General Hubert Lanz, in: «Die Gebirgstruppe», 6, 1985, p. 4. BA-Freiburg: N562/22, lascito Hubert Lanz, capitolo: «Scelta della professione e suoi risultati».


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tato via ferrovia in Macedonia per contribuire alla stabilizzazione di quel fronte. Ma dopo 5 giorni gli uomini vennero nuovamente rispediti sul fronte occidentale: una vera e propria odissea attraverso l’Europa centrale e sud-orientale che durò 11 giorni. Dopo il definitivo ritorno del reggimento in Alsazia, Lanz cominciò «per la prima volta a dubitare che la guerra stesse andando bene e potesse terminare vittoriosamente». E siccome anche nelle settimane seguenti, e senza che venissero mai indicati obiettivi chiari e precisi, il reggimento fu costretto ad un continuo andirivieni tra Verdun e la Maas e venne impiegato in una logorante guerra di posizione, il giovane ufficiale finì per perdere «ogni residua fiducia in una condotta ragionevole delle operazioni»38. Ciò nondimeno, l’annuncio dell’armistizio (11 novembre 1918) lo colse «completamente di sorpresa»39. Quando fece ritorno a casa dopo quattro anni di guerra, Hubert Lanz aveva sperimentato e assistito ad una quantità di violenza e brutalità senza precedenti nella storia dell’umanità. Come buona parte dei suoi non meno traumatizzati commilitoni egli sognava di prendersi la rivincita per l’«onta subita» a causa dell’inattesa disfatta, e nonostante la carneficina cui aveva appena preso personalmente parte sui campi di battaglia nutriva la speranza in una pronta e vittoriosa «guerra revisionista». Dopo la capitolazione l’allora ventiduenne Lanz, che nell’ottobre del 1918 era stato promosso tenente, ebbe l’incarico di procedere alla smobilitazione del suo battaglione: incarico che assolse con grande decisione opponendosi categoricamente ad ogni tentativo spontaneo di scioglimento e affrontando con fermezza – minacciò di fucilarli – i consigli rivoluzionari dei soldati che chiedevano la consegna delle armi del battaglione. Del resto, il giovane ufficiale – cristiano, conservatore, rispettoso dell’autorità e ancora fedele alla monarchia – aveva orrore della sinistra, di tutta la sinistra. Anche così si spiega la risolutezza, che non passò inosservata tra i suoi superiori, con cui intervenne contro i «radicali di sinistra» (Lanz). Su consiglio del fratello Albert, dopo aver lasciato l’esercito Lanz si iscrisse alla facoltà di legge all’università di Tübingen40, ma non esitò un istante a lasciarla quando, del tutto inaspettatamente, l’ufficio personale dell’esercito di Berlino gli chiese se era disposto ad arruolarsi come aiutante del primo battaglione nel 25° reggimento fucilieri della Reichswehr di stanza a Stoccarda. Ancora «anima e corpo soldato», l’11 settembre del 1919 Lanz accettò la proposta41. Il suo ingresso nel reggimento fucilieri fu accompagnato dalla assicurazione dell’ufficio personale dell’esercito che avrebbe potuto prendere parte ad un corso di formazione che gli avrebbe aperto le porte dello stato maggiore. Al corso, della durata di tre anni, furono ammessi solo 300 candidati e di questi solo dieci entrarono alla fine nello stato maggiore. Al termine del secondo anno di corso Lanz perse la voce a causa della ferita alla gola che aveva riportato in guerra e poté riprendere a parlare solo alcune settimane più tardi, dopo un’apposita operazione. La sua menomazione, tuttavia, non gli impedì di ottenere eccellenti nelle molte prove che dovette sostenere in vari reggimenti. Nel febbraio del 1928 venne promosso capitano ed ebbe anche la tanto sospirata conferma che rientrava nel gruppo dei dieci che erano stati ammessi allo stato maggiore. Il 4 giugno il capo dell’Ispettorato/Ufficio

38 Ibid., 7° dettato. 39 BA-Freiburg: Pers. 6/250 Hubert Lanz. Inoltre: P. Stockert, Die Eichenlaubträger 1940-1945, Friedrichshall, senza data, p. 177. 40 Archivio Munzinger, Ravensburg: archivio biografico internazionale 34/1982, Hubert Lanz. 41 Ch. B. Burdick, Hubert Lanz, cit., p. 46.


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truppe, il generale Werner von Blomberg, scrisse al «civile» Lanz queste testuali parole: “Illustrissimo Signore, Lei è stato riconosciuto idoneo ad assumere la qualifica di ufficiale di stato maggiore42”. Nell’ottobre del 1926 Lanz aveva sposato43 a Düsseldorf Gerty Beterams e si era poi trasferito con la moglie a Berlino, dove fino al 1931 lavorò presso il ministero della Reichswehr nella sezione «Eserciti stranieri» dell’Ispettorato/Ufficio truppe (servizio informazioni)44. Siccome dalla fine della guerra non aveva più ricoperto alcun comando effettivo, il primo ottobre del 1932 venne inviato nella Prussia orientale, dove assunse il comando della 9a compagnia del terzo battaglione del primo reggimento (prussiano) di fanteria che aveva soprattutto compiti di polizia confinaria. Il primo gennaio del 1933 Lanz venne inviato con il suo reparto a Berlino per svolgere dei «servizi di guardia», e il successivo 12 marzo, in occasione della «giornata di lutto nazionale» in memoria dei caduti della prima guerra mondiale, venne scelto per comandare il picchetto d’onore al «monumento Unter den Linden» alla presenza del nuovo cancelliere Adolf Hitler e del presidente del Reich Paul von Hindenburg45. Negli anni che videro i nazionalsocialisti dedicarsi con tutti i mezzi disponibili al rafforzamento della nuova Wehrmacht, anche Lanz fece rapidamente carriera: nell’agosto del 1934 venne promosso al grado di maggiore, nel marzo del 1937 divenne tenente colonnello e solo un anno e mezzo dopo, nell’agosto del 1938, ottenne la promozione a colonnello46. Certo, egli si sentiva «con tutto il cuore monarchico e patriota», un conservatore per il quale «tradizione, obbedienza, comando, fede, patria, ordine e onore professionale» erano valori irrinunciabili47, ma nulla prova che negli anni che precedettero lo scoppio del secondo conflitto mondiale egli abbia espresso una qualche critica sul conto del partito nazista (NSDAP) e delle sue posizioni in materia di politica estera e razziale. Come la maggior parte degli ufficiali che componevano l’«esercito dei 100.000 uomini», in effetti, anche Lanz si riteneva apolitico e coltivava sentimenti di rivincita nei confronti delle potenze vincitrici perché non poteva e non voleva superare né il «dolore per la guerra perduta», né il trattato di Versailles (l’«infame trattato»), e nemmeno «la vergogna per la successiva rivoluzione del 1918/1919»48. Per questo accolse con favore la messa al bando di tutte le forze di opposizione ad opera dei nazisti e la «pace e l’ordine» che ne conseguirono. Per Lanz «la NSDAP aveva posto le basi per un nuovo entusiasmo nazionale»49, così Burdick, il suo biografo, che a proposito dei suoi rapporti con il partito nazista scrive: “Non si è mai interessato molto di politica. Per lui i soldati avevano compiti militari e i politici dovevano occuparsi di politica. Ha ammesso con franchezza di aver condiviso senza riserve molte idee e molti degli obiettivi di Hitler perché corrispondevano in tutto e per tutto agli interessi della Germania. Certo, lo infastidivano il fanatismo e l’antisemitismo dei nazisti ma non a tal punto da fargli dimenticare il suo senso del dovere nei confronti

42 BA-Freiburg: Pers. 6/250, Lanz, vol. 26. 43 Ibid., vol. 16. La coppia ebbe due figlie: Ingeborg (1927) e Annemarie (1931). 44 Il primo ottobre 1929 Lanz sostenne l’esame di interprete di francese presso il ministero della Reichswehr. 45 Nel 1934 il regime trasformò la «giornata di lutto nazionale» nella «giornata di commemorazione degli eroi» per celebrare e propagandare l’eroismo e la disponibilità al sacrificio. 46 BA-Freiburg: Pers. 6/250, Lanz, vol. 1. 47 Ch. B. Burdick, Hubert Lanz, cit., p. 72. 48 Ibid., p. 80. 49 Ibid., p. 73.


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del Paese e la sua professione. Era convinto che il tempo e il peso crescente delle responsabilità sarebbero bastati da soli a correggere gli errori provocati dai fanatici del partito50”. Dopo il suo ritorno allo stato maggiore con il grado di maggiore, a partire dal 1937 Lanz prestò servizio nell’appena costituito 9° corpo d’armata, che per aggirare le clausole restrittive del trattato di Versailles venne inizialmente chiamato con il nome di copertura di «Heeresdienst-Kommando 9». Incaricato della costituzione di nuove unità tra Hannover e Fulda, evidentemente assolse talmente bene il compito affidatogli che poco dopo i suoi superiori lo nominarono Ia (capo dell’ufficio operazioni) del corpo51. Nel frattempo le sue capacità organizzative erano state notate e apprezzate in seno allo stato maggiore dell’esercito. Quando il feldmaresciallo Walther von Brauchitsch, comandante in capo dell’esercito, si recò in visita al corpo dopo la «pacifica» occupazione dei Sudeti (ottobre 1938), offrì subito al giovane tenente colonnello il comando del 100° reggimento cacciatori da montagna, che era posto alla dipendenze operative della 1a divisione da montagna comandata dal generale Kübler52. Il 9 novembre 1938, vale a dire poche ore prima che le sinagoghe venissero date alle fiamme e si verificassero violenti pogrom antiebraici («notte dei cristalli»), Lanz si recò a Monaco per assumere il nuovo comando e per ringraziare il «Führer», su incarico del generale di divisione Eugen Ritter von Schobert, comandante del 7° corpo d’armata, per la costituzione della 1a divisione da montagna. Hitler ricevette Lanz nel suo studio, noto per la grande finestra che occupava una intera parete e dalla quale si godeva una splendida vista sull’Obersalzberg. Lanz rimase affascinato dal «caloroso saluto» con cui il dittatore lo accolse e dal suo «grande interesse […] e dalle conoscenze sorprendentemente approfondite che egli dimostrò di avere in tema di questioni organizzative e di armamenti»53. Il nuovo incarico di Lanz, tuttavia, fu di breve durata. Appena sei mesi dopo, infatti, venne promosso colonnello e divenne capo di stato maggiore nel V distretto militare54, dove ebbe compiti organizzativi e si occupò della costituzione di nuovi reparti. In occasione di un viaggio che fece a Berlino per un colloquio al ministero della Guerra, il giovane colonnello venne invitato ad una «serata in onore degli ospiti del Führer» nella nuova cancelleria del Reich. Lanz rimase fortemente impressionato dall’«imponente edificio neoclassico realizzato nel cosiddetto “Führer-Stil”». Ammirò in particolare la «lunga, impressionante sala delle bandiere con gli splendidi arazzi» e rimase colpito dall’«impressione di solennità» che l’insieme suscitava. Nelle grandi sale da pranzo i tavoli erano coperti di «raffinati addobbi floreali e preziose porcellane»; e mentre una piccola orchestra intratteneva discretamente gli ospiti e «numerosi attendenti SS […] servivano una cena decisamente frugale», Hitler, che indossava una «sobria giacca militare di semplice fattura con i simboli del potere sul braccio sinistro»55, 50 Ibid., p. 80. 51 Oltre all’Ia (capo ufficio operazioni), presso lo stato maggiore si trovavano anche l’Ib (2° ufficiale di stato maggiore, responsabile dell’ufficio logistico), l’Ic (3° ufficiale di stato maggiore, preposto alla definizione del profilo del nemico) e l’Id (4° ufficiale di stato maggiore, responsabile dell’ufficio addestramento). 52 BA-Freiburg: N562/22, lascito Lanz, dettato del 16.2.1972. Fino ad allora questo incarico era stato ricoperto da Rudolf Schmundt, futuro aiutante capo della Wehrmacht presso Hitler nonché capo dell’ufficio personale dell’esercito. Fervente nazionalsocialista, Schmundt ebbe con Lanz un rapporto amichevole e basato sulla reciproca fiducia. Già nel 1936 i due avevano seguito insieme i giochi olimpici dal cosiddetto «palco del Führer» all’Olympiastadion di Berlino. Schmundt era stato personalmente invitato da Hitler. 53 Ch. B. Burdick, Hubert Lanz, cit., p. 77. 54 BA-Freiburg: Pers. 6/250, Lanz. 55 H. Lanz, Begegnung mit Hitler, in: «Die Gebirgstruppe», 3, 1969, p. 7.


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passava di tavolo in tavolo, «aveva una parola per tutti ed era prodigo di ringraziamenti» per la rapida e vittoriosa conclusione della campagna di Polonia. Profondamente commosso, Lanz apprezzò non poco il fatto di aver fatto parte di una ristretta cerchia di militari ai quali era stato concesso l’onore di trascorrere una sera in compagnia del Führer: «Non era possibile sottrarsi alla sensazione di vivere qualcosa di speciale». Trovò contagioso l’«ottimismo» del dittatore dopo la campagna di Polonia, al punto di affermare che “senza dubbio quella sera di novembre la maggior parte di noi, impressionata da tanto splendore e da tanto ottimismo, fece ritorno a casa di buon umore e i giorni seguenti si rimise al lavoro con rinnovato entusiasmo”. Al più tardi dopo la serata «speciale» trascorsa presso la cancelleria del Reich Lanz si lasciò completamente irretire dal regime. Un coinvolgimento che dopo la guerra egli avrebbe cercato di spiegare con il «notevole successo» che l’«abile regia psicologica dell’ex regime» aveva saputo conseguire. In ogni caso, anche l’«euforia» con cui tornò a casa dopo il suo incontro con Hitler non poteva bastare a fargli apprezzare il lavoro impiegatizio che svolgeva a Stoccarda. Lanz, infatti, era un «uomo d’azione non infiacchito da fumisterie intellettuali», così il suo biografo Burdick, e poiché sentiva la mancanza del contatto diretto con le truppe «fece tutto il possibile per tornare alla vita di guarnigione»56. Il suo desiderio venne esaudito il primo febbraio del 1940, allorché – vero «dono del cielo» – venne chiamato a ricoprire la carica di capo di stato maggiore del XVIII corpo d’armata da montagna e venne inviato a Neuwied am Rhein, dove nelle settimane seguenti si dedicò alla messa a punto del piano d’attacco contro l’Olanda, il Belgio e la Francia57.

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Ch. B. Burdick, Hubert Lanz, cit., p. 82. BA-Freiburg: N562/22, lascito Hubert Lanz, dettato dell’8.3.1972.


I. La 1a divisione da montagna dal settembre 1939 al marzo 1943

1. La «fulminea avanzata su Lemberg» 58. I cacciatori da montagna nella campagna contro la Polonia (settembre 1939)

La 1a divisione da montagna fu tra le unità della Wehrmacht che presero parte alla seconda guerra mondiale dall’inizio fino alla sua conclusione. Dopo l’incruenta occupazione dell’Austria (marzo 1938) e della Cecoslovacchia (settembre 1938), il 25 agosto 1939 la divisione ricevette l’ordine di tenersi pronta a marciare contro la Polonia59. Quattro giorni dopo l’inizio dei combattimenti, i cacciatori da montagna ebbero il loro battesimo del fuoco a occidente del passo Dukla, sul fianco meridionale del fronte tedesco, dove avevano preso posizione nell’ambito del XVIII corpo d’armata da montagna. A loro venne affidato il compito di raggiungere «al più presto», con marce forzate di 35/60 km al giorno, l’importante nodo ferroviario di Lemberg, e quindi di impedire al nemico di ritirarsi «verso est» costringendolo alla resa60. Da qui il famoso-famigerato ordine di «avanzare fulmineamente su Lemberg» che il generale Kübler impartì al colonnello Ferdinand Schörner61, comandante del 98° reggimento. Con elementi del primo e secondo battaglione del 98° e del 99° reggimento, Schörner 58 Città all’epoca polacca (Lwów), oggi ucraina (L’viv). Nome italiano: Leopoli. 59 R. Kaltenegger, Stammdivision, cit., p. 79. 60 Ibid., p. 99. 61 H. Weiß (a cura di), Biographisches Lexikon zum Dritten Reich, Frankfurt a.M. 2002, p. 414. Ferdinand Schörner nacque a Monaco l’11 giugno 1892. Per essersi distinto a Verdun e nella conquista del monte Kolovrat sul fronte dell’Isonzo (prima guerra mondiale) gli venne concessa la più alta onorificenza tedesca (“Pour le mérite”). Nel 1919 fece parte a Monaco, con il grado di tenente, del «Freikorps Epp». In seguito strinse rapporti molto stretti con i dirigenti nazionalsocialisti e divenne un fidatissimo seguace di Hitler: ciò che gli consentì di fare una rapida carriera nell’esercito. Nel 1940 venne promosso generale di brigata e gli venne affidato il comando della 6a divisione da montagna. Il decisivo contributo da lui fornito nella rapida vittoria riportata in Grecia (1941) diede un ulteriore, forte impulso alla sua carriera. Nominato all’inizio del 1942 generale di divisione e generale delle truppe da montagna verso la metà dello stesso anno, nel 1944 divenne prima capo dello stato maggiore nazionalsocialista presso l’OKH e in seguito comandante di un gruppo di armate sul fronte orientale. Nell’aprile del 1945 Hitler lo promosse feldmaresciallo e, nel suo testamento, comandante in capo dell’esercito. Il 9 maggio del 1945 lasciò il suo gruppo di armate in Cecoslovacchia e fuggì in Tirolo, dove venne catturato dagli americani, che successivamente lo consegnarono ai sovietici. Tornato nella Repubblica Federale Tedesca nel 1955, nel 1957 venne condannato a quattro anni e mezzo di carcere per «omicidio doloso semplice». Dopo un fallito tentativo di revisione del processo, Schörner venne rilasciato nel 1960 per motivi di salute. Morì a Monaco nel 1973. Cfr. anche P. Steinkamp, Generalfeldmarschall Ferdinand Schörner, in Gerd R. Ueberschär (a cura di), Hitlers Militärische Elite, vol. 2, Darmstadt 1998.


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La «fulminea avanzata su Lemberg», ovvero l’impiego della 1a divisione da montagna in Polonia, settembre 1938.

formò un gruppo di combattimento alla testa del quale, in mancanza di un’autoblindo, pose una vettura scoperta, a sua volta seguita da 25 sidecar armati di mitragliatrici. Con una «fulminea avanzata» di 50 km nel corso della quale spezzò ogni resistenza che incontrò sul suo cammino il 9 settembre occupò Sanok. Due giorni dopo gli uomini di Schörner raggiunsero Sambor ed in tal modo vennero a trovarsi circa 100 km più avanti rispetto alle divisioni che seguivano. Il pomeriggio del 12 settembre il gruppo di combattimento fece irruzione nei quartieri sudoccidentali della città62, ma l’attacco venne respinto al termine di aspri combattimenti che causarono pesanti perdite da entrambe le parti. Duramente contrastati dai difensori polacchi anche nei giorni seguenti, gli attaccanti riuscirono ad accerchiare la città ma non ad occuparla. Con «grande sorpresa» dei comandanti in loco, il decimo giorno dei combattimenti comparvero davanti alla città alcuni carri armati sovietici. In applicazione del «protocollo segreto» allegato al patto Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939, infatti, l’Armata Rossa era venuta a prendere possesso dei territori che in base a tale patto rientravano nella sua zona d’interesse. Benché «controvoglia», come ancora nove anni dopo la fine della guerra avrebbe sottolineato 62 H. Grashey, Die Kriegsleitung der deutschen Gebirgstruppe, in: «Die Gebirgstruppe», 5, 1987, p. 9. Pubblicato nel 1942 nell’annuario dell’esercito tedesco, l’articolo, inattendibile perché del tutto propagandistico, venne ripreso e pubblicato senza commento dalla rivista «Die Gebirgstruppe» nel 1987. Grashey ha fatto parte della Bundeswehr raggiungendo il grado di generale di brigata.


I. La 1a divisione da montagna dal settembre 1939 al marzo 1943

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con rammarico Max Pemsel, l’ex Ia della divisione, i cacciatori da montagna dovettero quindi abbandonare le posizioni raggiunte63. Durata esattamente 18 giorni, la campagna della divisione si concluse con la perdita di 1.402 uomini, il che significa che su un totale di 17.000 effettivi un uomo su otto perse la vita, rimase ferito o venne dato per disperso64. Poiché molti tra i caduti erano stati mortalmente colpiti alla testa, venne deciso che d’ora in avanti gli uomini avrebbero indossato l’elmetto al posto dell’amato berretto alpino. Quanto ai caduti polacchi nella zona dove combatté la divisione, non esistono dati attendibili. Da un ordine del giorno che Kübler redasse il 21 settembre nel tipico gergo dell’epoca e nel quale elogiava tra l’altro i «soldati della [sua] gloriosa 1a divisione da montagna» per i loro «irresistibili» attacchi, risulta comunque che vennero fatti «10.000 prigionieri» e che «diverse migliaia [di nemici] vennero spinti tra le braccia [delle divisioni vicine]». L’ordine del giorno di Kübler si chiudeva con una frase destinata a diventare una sorta di «motto» della 1a divisione da montagna e che nel prosieguo della guerra si sarebbe rivelata quanto mai appropriata: «La 1a divisione da montagna è diventata il terrore del nemico»65. 63 M. Pemsel, Der Feldzug gegen Polen, in: H. Lanz, Gebirgsjäger, cit., p. 55. 64 H. Lanz, Gebirgsjäger, cit., p. 318. 65 Generalkommando VII. Armee-Korps (a cura di): Wir zogen gegen Polen, p. 132. Cfr. anche R. Kaltenegger, Ludwig Kübler, cit., p. 88.


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Il 27 ottobre 1943 Hitler conferì a Kübler – unico tra i comandanti di divisione nella campagna di Polonia e primo tra gli appartenenti alla 1a divisione da montagna – la «Croce di cavaliere della Croce di ferro». Non furono pochi, tuttavia, i cacciatori da montagna che espressero critiche all’indirizzo di Kübler e soprattutto della caparbia ostinazione con cui non defletteva da una decisione una volta presa. In particolare, criticarono la sua decisione, militarmente poco sensata, di dare l’assalto alla città fortificata di un Paese ormai sconfitto. Quel che è certo, in ogni caso, è che la «fulminea avanzata su Lemberg» è passata alla storia come la «Langemarck dei cacciatori da montagna», e che nella circostanza venne affibbiato a Kübler un altro, ma stavolta assai poco lusinghiero nomignolo, e cioè quello di «cane sanguinario»66.

2. La guerra sul fronte occidentale: operazioni «Felix» e «guerra dei fiori». I cacciatori da montagna in Francia e Jugoslavia (maggio 1940 – aprile 1941)

All’inizio delle operazioni sul fronte occidentale (10 maggio 1940), il XVIII corpo d’armata da montagna varcò il confine tra il Belgio e il Lussemburgo presso Bastogne e il giorno 13 raggiunse la Mosa senza incontrare resistenza. All’epoca capo di stato maggiore del corpo, Lanz rimase così sconcertato dalla mancata reazione francese che confidò agli uomini del suo staff che di fronte a loro c’era un avversario ben diverso da quello che nella prima guerra mondiale aveva difeso con accanimento ogni centimetro del suo territorio («Nessun nemico in vista. Com’è diverso dal ’14»)67. Solo il giorno 19, quando raggiunsero il canale Oise-Aisne, i tedeschi incontrarono una dura resistenza e la loro fulminea avanzata ebbe una battuta d’arresto. Su un terreno poco agevole – paludi infestate dalle zanzare, fitto sottobosco, rilievi con una visibilità molto ridotta e boschi impraticabili – le operazioni ristagnarono e cominciò la tanto temuta guerra di posizione, con quotidiani scambi di colpi tra le artiglierie e molte perdite da entrambe le parti. Solo dopo due settimane, il 4 giugno, giunse dal XXXXIV corpo d’armata da montagna (generale Hermann Ritter von Speck)68 l’ordine di attraversare il canale (largo 20 metri e profondo 2)69. Quando alle 5.30 del cinque giugno i primi uomini del 100° reggimento cominciarono ad attraversare il canale, «pezzi di tutti i calibri», così Lanz, «aprirono il fuoco contro il nemico». I francesi si difesero accanitamente, tanto che verso mezzogiorno il primo battaglione del 100° reggimento era pressoché decimato: erano rimasti sul terreno 41 uomini ed altri 115 erano rimasti feriti. Verso sera il 99° e il 100° reggimento riuscirono a penetrare in profondità in territorio nemico e a spezzare la resistenza francese, ma «il 5 giugno», così ancora Lanz, «fu il giorno più sanguinoso della campagna di Francia e ci costò più di 500 uomini tra morti e feriti»70. Quel giorno, in effetti, caddero in battaglia 139 tra ufficiali e soldati mentre altri 430 uomini rimasero feriti, in altre parole venne messo fuori combattimento «all’incirca il 16% degli effettivi della divisione» impegnati nell’attacco71. Dopo l’attraversamento del canale Oise-Aisne, il 9 giugno i tedeschi cominciarono ad

66 67 68 69 70 71

J. Knab, Falsche Glorie. Das Traditionsverständnis der Bundeswehr, Berlino 1995, p. 92. H. Lanz, Gebirgsjäger, cit., p. 74. Il XXXXIV corpo d’armata da montagna era alle dipendenze della 6a armata. R. Kaltenegger, Die Stammdivision, cit., p. 129. H. Lanz, Gebirgsjäger, cit., p. 80. R. Kaltenegger, Die Stammdivision, cit., p. 133.


I. La 1a divisione da montagna dal settembre 1939 al marzo 1943

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incalzare il nemico ormai sconfitto e in rotta su tutto il fronte. Per parte sua, la 1a divisione da montagna attraversò i fiumi Marna e Senna e si spinse fino alla Loira, dove venne impegnata in combattimenti non meno aspri e sanguinosi di quelli che aveva affrontato nelle settimane precedenti sul canale Oise-Aisne ma riuscì comunque ad impossessarsi di un ponte di grande importanza strategica e a costituire una testa di ponte sull’altra riva del fiume72. Al momento dell’armistizio franco-tedesco (22 giugno 1940) le perdite della divisione ammontavano in totale a 1826 uomini: 17 ufficiali, 76 sottufficiali e 353 soldati caduti in combattimento; 47 ufficiali, 209 sottufficiali e 1.106 soldati rimasti feriti; 1 ufficiale, 3 sottufficiali e 14 uomini dati per dispersi73. Dopo la capitolazione della Francia, la 1a divisione da montagna venne dislocata nel Giura francese, al confine con la Svizzera, con compiti di difesa confinaria ma anche per «riprendere fiato». A Lanz, che secondo il giudizio dei suoi superiori «aveva personalmente guidato i suoi uomini in battaglia e con un comportamento esemplare li aveva condotti all’assalto con le armi in pugno»74, venne conferita la Croce di cavaliere75. L’alto riconoscimento venne concesso anche ad un altro membro della divisione, il ventiduenne bavarese Michael Pössinger, che già aveva avuto modo di segnalarsi nel corso della «fulminea avanzata su Lemberg»76 e che come vedremo sarà spesso al centro delle vicende che avranno per protagonista la divisione. Non lontano dal «fumante cumulo di macerie» di Juvigny, così Lanz, Pössinger aveva personalmente distrutto «sette carri armati francesi e ne aveva messi fuori combattimento altri quattro», e più tardi, nel corso della stessa giornata, aveva preso parte alla cattura di un «intero reggimento con 35 carri»77. A metà ottobre von Brauchitsch invitò Lanz a colazione e con sua grande sorpresa gli disse che in considerazione del brillante comportamento da lui tenuto sul fronte occidentale gli sarebbe stato affidato il comando della 1a divisione da montagna, che nel frattempo era stata trasferita ad Arras (Francia settentrionale) per essere impiegata nella prevista invasione della Gran Bretagna (operazione «Seelöwe»). Quanto a Kübler, lasciò il comando della divisione il 25 ottobre e venne incaricato della costituzione del nuovo XXXXIX corpo d’armata da montagna. Con la sua promozione a generale di brigata, avvenuta il primo novembre 1940, il quarantatreenne Lanz divenne il più giovane generale della Wehrmacht78. Lanz e i suoi uomini, tuttavia, non misero mai piede in Gran Bretagna. Nonostante la 72 H. Lanz, Gebirgsjäger, cit., p. 87. 73 Ibid., p. 318. 74 F. Thomas/G. Wegmann, Ritterkreuzträger der Gebirgstruppe, Osnabrück 1994, vol. 2, p. 17. 75 Ibid., pp. 316 sgg. 166 membri della divisione ottennero la Croce di ferro di prima classe e 2.939 quella di seconda classe. 76 F. Thomas/G. Wegmann, Ritterkreuzträger, cit., p. 167. 77 M. Pössinger, Lebensbilder, cit., p. 27. Michael Pössinger nacque a Ettal (Baviera) il 18 gennaio 1919. Dopo la presa del potere da parte dei nazisti entrò nella «Hitlerjugend». Alla conclusione del suo anno di lavoro obbligatorio nell’«Arbeitsdienst», il 3 ottobre del 1937 entrò volontario nell’esercito, e precisamente nella 6a/98°. Pieno di errori e di fatti storici manipolati o travisati, il suo libro (1997) uscì con «poche righe di accompagnamento» dell’ex presidente bavarese Max Streibl, che già da bambino «aveva ascoltato rapito i racconti del glorioso soldato insignito della Croce di cavaliere». Nella prefazione Streibl si augurava che molti potessero leggere il libro e che «soprattutto i giovani» potessero, tramite il «piacere della lettura», conoscere i fatti storici e quindi comprendere meglio gli «anziani». (Nato nel 1932 nell’Oberammergau, Streibl entrò nella CSU come giurista nel 1957. Dopo molti anni nel corso dei quali ricoprì diverse cariche – segretario generale, ministro dell’Interno e dell’Ambiente -, nel 1988 Streibl successe a Franz Josef Strauss come presidente bavarese. Ritiratosi a vita privata in seguito al cosiddetto «Amigo-Affäre», Streibl morì nel 1998 all’età di 66 anni). 78 BA-Freiburg: Pers. 6/250, Lanz.


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Hermann Frank Meyer - Il massacro di Cefalonia

Il piano per un eventuale impiego dei cacciatori da montagna a Gibilterra, gennaio 1941.


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Hermann Frank Meyer - Il massacro di Cefalonia

Rassegna di unità della divisione Acqui sulla piazza del tribunale di Argostoli.

I capitani Renzo Apollonio (a sinistra) e Amos Pampaloni (a destra), il 5 ottobre 1944 nel porto di Argostoli, con il comandante politico della VII brigata dell’ELAS «Thanos” (con la barba) e il sottotenente Dionysis Georgopoulos.


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Il tenente Karl-Heinz Rothfuchs era responsabile della definizione del profilo del nemico e della lotta contro le bande. Dopo il 9 settembre egli inoltrò gli ordini di passare per le armi tutti i soldati italiani sorpresi in abiti civili.

Il tenente colonello Johannes Barge comandava il 966° regimento granatieri da fortezza. Sede principale dell’unità era la città portuale Lixuri sulla penisola di Paliki.

Il generale Antonio Gandin, comandante della Divisione Acqui a Cefalonia. Sede del suo stato maggiore era Argostoli, la capitale dell’isola.

Il colonnello Luigi Lusignani, comandante del contingente italiano a Corfù, rispinse la richiesta tedesca di cedere l’isola.


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Hermann Frank Meyer - Il massacro di Cefalonia

Dieter Grönhagen, caporale della seconda batteria del 201° gruppo semovente di artiglieria d’assalto, aveva con sé una macchina fotografica. In questo scatto del 14 settembre 1943 è ritratto in cima ad una casa diroccata sopra la baia di Argostoli.

I mezzi d’assalto della batteria di Dieter Grönhagen durante un trasporto ferroviario nei pressi di Salonicco nel luglio 1943.


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I mezzi d’assalto della batteria di Dieter GrÜnhagen a bordo di un’imbarcazione nel canale di Corinto il 4 settembre 1943.


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Sigle e abbreviazioni 01 A.K. ANA AA AK AMM ARMIR Art. AUSSME BA-MA Batt. BdA

Ordonnanzoffizier / Ufficiale d’ordinanza Armee-Korps / Corpo d’armata Associazione Nazionale Alpini Aufklärungs-Abteilung / Reparto esploratori o esplorante Arbeitskreis / Gruppo di lavoro Allied Military Mission / Missione militare alleata Armata Italiana in Russia Artillerie / Artiglieria Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito Bundesarchiv-Militärarchiv Freiburg / Archivio federale e archivio militare di Friburgo Batterie / Batteria Bund der Antifaschistinnen und Antifaschisten / Associazione o Lega delle antifasciste e degli antifascisti BdM Bund deutscher Mädchen / Associazione delle giovani tedesche BLO British Liaison Officer / Ufficiale di collegamento inglese BMM British Military Mission / Missione militare inglese Btl. Bataillon / Battaglione CEGES Centre d’Etudes et de Documentation Guerre et Sociétés contemporaines CICR Comité International de la Croix Rouge DM Draža Mihailović EAM Ethniko Apeleftheriko Metopo / Fronte di liberazione nazionale EDES Ethnikos dimokratikos ellinikos syndesmos / Unione nazionale democratica greca o Esercito nazionale democratico greco EKKA Ethniki kai koinoniki apeleftherosi / Movimento di liberazione nazionale e sociale ELAS Ellinikos laikos apeleftherikos stratos / Esercito popolare greco di liberazione EOEA Ethnikes omades ellinon antarton / Unità nazionali della guerriglia greca EPON Jugendorganisation der EAM / Organizzazione giovanile dell’EAM Erm. Ermordet / Ucciso EuGH Gerichtshof der Europäischen Gemeinschaften / Corte di giustizia europea Exl. Exellenz / Eccellenza GAR Gebirgs-Artillerie-Regiment / Reggimento artiglieria da montagna Geb.A.K. Gebirgs-Armee-Korps / Corpo d’armata da montagna Geb.Jg.Rgt. Gebirgsjägerregiment / Reggimento cacciatori da montagna Geb.Art.Regt. Gebirgs-Artillerie-Regiment / Reggimento artiglieria da montagna Geb.Div. Gebirgs-Division / Divisione da montagna Geb.Jaeg.Btl. Gebirgs-Jäger-Bataillon / Battaglione cacciatori da montagna Gef. Gefallen / Caduto GJR Gebirgsjägerregiment / Reggimento cacciatori da montagna GPU Vedi OGPU GRK Griechisches Rotes Kreuz / Croce Rossa Greca Hiwis Hilfswillige / Aiutanti volontari HJ Hitlerjugend / Gioventù hitleriana HQ Hauptquartier / Quartier generale Ia Führungsabteilung: Operationen. Generalstabsoffizier für führungsmäßige und taktische Belange / Primo ufficiale di stato maggiore o capo ufficio operazioni Ib Quartiermeisterabteilung: Versorgung / Secondo ufficiale di stato maggiore o capo ufficio logistico Ic Führungsabteilung: Feindlage und «Bandenbekämpfung» / Terzo ufficiale di stato maggiore incaricato di definire il profilo del nemico e della «guerra alle bande» IGM Istituto Geografico Militare IKRK Internationales Komitee des Roten Kreuzes / Comitato internazionale della Croce Rossa IMI Italienische Militärinternierte / Internati militari italiani Inf.Div. Infanterie-Division / Divisione di fanteria


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Jg.Div. k.u.k. K.D.F. KKE Kp. KPJ KZ LSA Lw.Feld.Div. MdB M.G. Mann. Mil.Befh. NA NKDW NP NSDAP o.J. O.O. OGPU OHL OKW OMM OSAF OUN P.E.A.E.A. Pak PK PRO Rgt. RSHA RSI Sanka SD SFK SGW Sipo SIM SMG SO SOE SRK SSW Stalag StGB Stuka u.a. USSME VVN W.C.P.L. WASt Wbfh. SO ZStl.

Jäger-Division / Divisione cacciatori kaiserlich-königlich / imperialregio Kraft durch Freude / Organizzazione dopolavoristica nazista Kommunistische Partei Griechenlands / Partito comunista greco Kompanie / Compagnia Kommunistische Partei Jugoslawiens / Partito comunista jugoslavo Konzentrationslager / Campo di concentramento Londoner Schuldenabkommen / Accordo di Londra sulle riparazioni e i danni di guerra Luftwaffen-Feld-Division / Divisione da campagna della Luftwaffe Mitglied des Bundestages / Membro del Bundestag Maschinengewehr / Mitragliatrice Mannschaften / Truppa Militärbefehlshaber / Comandante militare National Archives / Archivio nazionale (USA) Narodny Kommissariat Wnutrennych Del / Commissariato del popolo per gli affari interni Nürnberger Prozeß / Processo di Norimberga Nationalsozialistische Deutsche Arbeiter Partei / Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori Ohne Jahresangabe / Senza indicazione della data Ohne Ortsangabe / Senza indicazione del luogo Ob’edinennoe gosudarstvennoe političeskoe upravlenie / Amministrazione politica di stato unificata [Polizia politica e di sicurezza sovietica] Oberste Heeresleitung / Comando supremo dell’esercito Oberkommando der Wehrmacht / Comando supremo della Wehrmacht Omas Merachion Makedonias? Oberster SA-Führer / Comandante supremo delle SA? Organisation Ukrainischer Nationalisten / Organizzazione dei nazionalisti ucraini Panellinia Gnosi Afoniston Ethnikis Antistasis / Unione panellenica combattenti della resistenza Panzerabwehrkanone / Cannone anticarro Propaganda-Kompanie / Compagnia di propaganda Public Record Office / Archivio nazionale del Regno Unito (dal 1838 al 2003) Regiment / Reggimento Reichssicherheitshauptamt / Ufficio centrale per la sicurezza del Reich Repubblica Sociale Italiana Sanitätskraftwagen / Ambulanza Sicherheitsdienst / Servizio di sicurezza Serbisches Freiwilligenkorps / Corpo volontari serbi? Serbische Grenzwacht / Guardie di frontiera serbe? Sicherheitspolizei / Polizia di sicurezza Servizio Informazione Militare Stato Maggiore Generale Südost / Sud-est Special Operations Executive / Organizzazione d’intelligence britannica operante durante la seconda guerra mondiale Schweizerisches Rotes Kreuz / Croce Rossa Svizzera Serbische Staatswacht / Guardia di stato serba Stammlager / Campo di prigionia per militari di truppa Strafgesetzbuch / Codice penale Sturzkampfflugzeug / Bombardiere da picchiata unter anderem / tra l’altro Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito Vereinigung der Verfolgten des Naziregimes / Associazione dei perseguitati dal regime nazista War Crimes Prison Landsberg / Prigione per criminali di guerra di Landsberg Wehrmachtsauskunftsstelle / Ufficio informazioni della Wehrmacht Wehrmachtsbefehlshaber Südost / Comando sud-est della Wehrmacht Zentrale Stelle der Landesjustizverwaltungen / Ufficio centrale delle amministrazioni regionali della giustizia


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Indice dei nomi A Adenauer, Konrad 327, 461 Agnanostou, Nikos 117 Agnanostou ,Vassilis 117 Aigner, Fritz 279, 329 Alexander , Sir Harold 96 Amati, Giuseppe 315 Ambrosini, Abele 209 Ambrosini, Giuseppe 306 Ambrosio, Vittorio 255 Anagnostou, Nikos 117 Andorno (ex sottotenente medico) 357 Andronidis, George 20 Angioy, Paolo 122 Antonescu, Ion 435 Apollonio, Renzo 201, 202, 209, 210, 211, 283, 286, 294, 295, 296, 297, 312, 314, 315, 319, 329, 350, 351, 353 Apostolou, Antonios 130 Apostolou, Dimitris 136, 137 Arena, Francescantonio 122 Arsovic, Dusan 85 Aschenauer, Rudolf 324 Astor. Vedi Aster, Pietro; Vedi Aster, Pietro; Vedi Aster, Pietro; Vedi Aster, Pietro; Vedi Aster, Pietro Augstein, Rudolf 338, 339 B Babalis, Nikolaos 100 Babouska, Eleni 411 Bader, Anton 126, 130, 185 Bader, Paul 180, 181 Badoglio, Pietro 89, 90, 121, 156, 204, 225, 227, 322, 328, 363, 420 Balanos, Dimitrios 109 Barattieri, Ludovico 350 Barbas, Georgios 109 Barge, Hans 155, 192, 193, 195, 196, 197, 198, 199, 201, 202, 210, 211, 212, 213, 214, 215, 216, 217, 219, 220, 221, 222, 225, 226, 227, 228, 245, 268, 282, 308, 314, 329, 334 Barker-Benfield, Karl Vere 428 Barker, Karl Vere 428 Barnes, C.E. (Tom) 103, 120, 129, 413, 426, 428, 429 Barni, Giorgio 214, 285, 286 Bassermann, Friedrich 251, 265, 266 Battinou, Zanet 20 Bauer, Paul 153 Baumann, dott. 20 Benedetti, Evardo (anche

Edgardo) 286 Benelli, Cesare 98 Benkel, Manfred 469 Bergamaschi (caporalmaggiore) 262 Bergmann, Georg 276 Bernardelli, Sergio 355 Beterams, Gerty. Vedi Lanz, Gerty; Vedi Lanz, Gerty; Vedi Lanz, Gerty; Vedi Lanz, Gerty; Vedi Lanz, Gerty Bettini, Elio 347, 353, 354 Beuler, Wilhelm 221 Bianchi, Giuseppe 299 Bianchi, Pietro 286 Bickel, Hans-Jakob 365, 366, 367, 368, 409, 412, 414 Biener, Kurt 111, 112, 246, 260, 418, 435 Biroli, Pirzio 84 Bitsis, Christos 130 Bittermann, Ludwig 233 Blomberg, Werner von 29 Bock, Fedor von 42 Böhme, Franz 80, 82, 322, 327, 457, 458, 461 Böhm, Martin 246 Bonizzoni, Piero 262 Bormann, Martin 239 Borowski, Heinrich 178, 179, 180 Borsella, Carlo 299 Bottico, Giuseppe 282 Botti, Georgios 20, 110 Brandner, Hans 187, 346, 363 Brauchitsch, Walter von 30, 37, 39, 58, 60 Brauns, Walter 251, 266, 285, 288, 289 Brenner, Eduard 361 Bronzini, Ermanno 211, 267, 278, 281, 282, 284, 285, 286, 293, 295, 310, 311, 312, 319 Broz, Josip, \„Tito\“ 79 Buchner, Hans 460 Burdick, Charles B. 26, 28, 29, 30, 31, 42, 56, 61, 66, 148, 150, 177, 272, 441, 448, 460, 461 Burkhard, Werner 246, 280 Busch, Hermann 210, 211, 212, 213 Buttlar-Brandenfels, Horst Freiherr von 211, 229 C Capozzi, Duilio 252 Carocci, Giovanni 282 Cascioli, Giuseppe 360 Castellano, Francesco 286 Cattani, Rino 291 Cessari, Ernesto 193, 202 Chako, Sini 355 Chaplo, Siri 355


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Chiminello, Ernesto 193, 355, 356, 357, 359, 360, 361 Choleva, Eleni 411 Churchill, Winston 91 Ciampi, Carlo Azeglio 317 Ciano, Galeazzo 80, 83, 89, 90, 91 Cirillo, Domenico 286 Cirino, Emilio 361 Claussen (Maggiore, comandante di piazza di Požarevac) 180 Corvaja, Santi 314, 319 Cosmetatou, Elena 298 Costantini, Bartolomeo 283 Costovic, Wladimir 85 Cunico, Nino 299 D D’Agata, Alfredo 349, 350, 354 Dalmazzo, Renzo 104, 356 Dara, Franceso 261, 278, 332 D’Armino, Salvatore 104 Daumiller, Werner 340, 341, 463, 464 Defregger, Karl 129, 130, 131, 135 de Glutz, Beat 366 Dehler, Thomas 460 Dehm, Johann 277, 278, 337, 342, 343 Dehner, Ernst 322, 327 Delacher, Hermann 129, 134, 135, 145 Della Bona, Guido 102, 103, 112, 113, 115, 121, 124, 138, 153, 185, 186, 204, 362 De Negri, Francesco 302 De Negri, Marcella 302, 344 De Paula, Bruna 20 Dermatas, Stavros 20 Deuring, Adrian 51, 86, 87, 101, 108, 115, 418, 419 De Vera D’Aragona, Alberto 302 Diamantini, Aldo 279, 294 Diamantis, Vassilis 109, 110 Dietl, Albert-Christian 153, 159, 177, 199, 203 Dietl, Eduard 465 Dietrich, Josef 147 Dino, Nouri 124 Di Rocco, Vincenzo 255 Dittmann, Fritz 186, 195, 346, 347, 348, 349, 350 Djurišić, Pavle 83, 84, 85 Dodel, Siegfried 206, 207, 222, 344, 350, 355, 356, 357, 358, 359, 438 Dönhoff, Sylvina, Gräfin von 75 Döppenschmitt, Fritz 151, 153, 159, 177, 206, 230, 239, 245 Dörner (colonnello delle SS) 423 Dörner, Herbert 439 Doumas, Dimitrio 409 Doxiadis, Constantine A. 432 Drexler, Hermann 266 Drum, Karl 157

E Ecker, Johann 116, 128, 131, 136, 138, 143 Edmonds, Arthur 97, 98 Efthymiou, Giorgos 199 Ehrenstråle, Hans 425 Eicke, Theodor 147 Eisenhower, Dwight D. 96, 156 Eisgruber, Karl 447 Eisl, Alois 144, 412, 436, 438, 459 Eisner, Kurt 25 Enessee, Nicholas 20, 189, 191, 298 Epp, Franz Xaver Ritter von 24, 33, 72 Eppler, Hermann 261, 287 Esposito, Elio 282, 283, 284 F Fauth, Jacob 200, 208, 211, 220, 259, 273, 274, 275, 278, 288, 329 Fehlig, Robert 357 Felber, Hans 156 Fellner, Rudolf 116 Felmy, Hellmuth 92, 121, 152, 157, 178, 322, 327, 448 Fenstermacher, Theodore 44, 212, 324, 325, 362 Ferrari, Gianni 262 Feser, Raimund 349, 438 Feuchter, Richard 211 Fiandini, Cesare 257 Filippini, Federico 198, 286 Filippini, Massimo 318, 319 Filippucci, Federico 248 Fioretti, Giovanni Battista 202, 211, 218, 219, 267, 282 Fleischer, Hagen 20, 81, 93, 94, 95, 97, 98, 154, 413, 432, 434 Focardi, Filippo 333 Foertsch, Hermann 151, 153, 156, 160, 229, 322, 327 Fokas-Kosmetatos, Kosmas P. 334 Fokas, Nikos 290 Fontana, Leopoldo 284 Formato, Don Romualdo 68, 197, 198, 210, 214, 218, 228, 254, 258, 261, 267, 276, 278, 279, 281, 283, 284, 285, 286, 293, 294, 302, 312, 314, 317, 318, 319, 330, 334 Formato, padre. Vedi Formato, Don Romualdo; Vedi Formato, Don Romualdo; Vedi Formato, Don Romualdo; Vedi Formato, Don Romualdo; Vedi Formato, Don Romualdo Fortner, Hans 81, 457 Franco, Francisco 39 Frank, Hermann 20 Fraticelli, Goffredo 286 Frey, Karl 281, 324 Fricke, Gert 158, 159, 160, 178, 188, 199, 202, 220, 228, 244, 245, 272, 273, 334, 338, 339, 351


486

Furlan, Egidio 340, 341 G Galantin. Vedi Galantini, Luigi; Vedi Galantini, Luigi Galantini, Luigi 280 Galiatsatos, Andreas 199, 201 Galiatsatos, Lykourgos 297 Galland, Adolf 75 Gallotta, Vito 317 Gandin, Antonio 122, 154, 155, 189, 193, 194, 195, 196, 197, 198, 199, 201, 202, 203, 204, 208, 209, 210, 211, 212, 213, 214, 215, 216, 217, 218, 222, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 230, 241, 243, 248, 251, 252, 255, 260, 261, 267, 270, 271, 273, 274, 275, 276, 277, 278, 282, 283, 287, 288, 296, 297, 312, 322, 323, 324, 325, 326, 328, 329, 330, 333, 335, 336, 337, 340, 342, 343 Garbis, Spyros 253, 254 Gariboldi, Italo 147, 148 Gasco, Giovanni Maria 202, 283 Gasparinatos, G. (vittima di guerra) 297 Gaus, Günter 339 Geiger, Michela 465 Geitner, Kurt von 322, 327 Geloso, Carlo 81 Gentile, Carlo 20 Georgiadis, Nikolaos 109 Georgopoulos, Charalambos 201 Georgopoulos, Gerassimos D. 297 Georgopoulos, Kostas I. 297 Georgopoulos, Takis 20 Gherzi, Edoardo Luigi 198, 202, 214, 260, 261, 278, 296, 330, 332 Ghilardini, Don Luigi 286, 294, 295, 298, 299, 300, 301, 302, 304, 305, 306, 307, 312, 316, 319, 334 Giorgio II (re di Grecia) 91 Giraudi, Giovanni 95, 122, 197, 294, 296, 311, 315, 316, 317, 319, 349, 350 Gjergo, Aleks 107 Gokas, Giannis 117 Goldmann, Otto 129, 133 Golemi, Ismail 355 Göller, Sigwart 106, 107, 237, 241, 242, 246, 247, 254, 261, 263, 266, 269, 287, 296, 309, 335, 336, 438, 440, 441, 447 Göring, Hermann 93 Grandi, Dino 121 Grashey, Hellmuth 34, 463 Grassi, Giovanni 257, 262 Graziotto, Giacinto 120 Grönhagen, Dieter 193, 278 Groth, Heinz 55, 65, 206, 328, 346, 368, 412, 436, 437, 438, 439, 441, 447

Groth, K.H.. Vedi Groth, Heinz; Vedi Groth, Heinz Groth, Thomas 20 Grunert, Walter 269 Gugeler,Friedrich 233 Guglielmo II 351 Günther, Georg 295 Gyldenfeldt, Heinz von 122, 124, 140, 155, 156, 157, 177, 196 H Haarde, Johann 123 Hackensellner, Eberhard 464 Haken (capitano) 356, 357, 358, 359 Halder, Franz 26, 41, 42, 57, 66, 67, 71 Handy, Thomas T. 327 Harling, Franz von 231 Hartmann, Gerhard 231, 233, 234, 235, 237, 245, 246, 249, 250, 252, 254, 265, 287, 288, 295, 298, 309, 329, 330, 336, 358 Haslauer, Johann 134 Hausser, Paul 148, 149, 150 Heck, Walter 309 Heer, Hannes 20, 42, 52, 53, 54, 55, 56, 74, 466 Heimkes, Heinrich 54, 55, 64 Heller, Fritz 250 Helmbold, Werner 250, 288, 289 Hengeller, Aldo 262, 263, 286, 332 Henne, Heinz 46, 49, 51, 76, 125, 254, 420, 421, 462 Hensel (colonello, comandante di reggimento) 180 Hepp, Kurt 237, 238, 239, 240, 275, 276, 323, 465 Hermann, Rudi 291 Hindenburg, Paul von 29 Hirschfeld, Gerhard 24 Hirschfeld, Harald von 45, 46, 47, 48, 57, 58, 63, 65, 66, 67, 68, 74, 75, 112, 113, 115, 130, 181, 185, 204, 205, 206, 219, 221, 222, 225, 226, 227, 231, 232, 233, 234, 235, 236, 237, 238, 239, 240, 241, 242, 243, 245, 246, 248, 250, 251, 254, 255, 261, 263, 266, 267, 268, 269, 273, 274, 275, 276, 277, 279, 285, 288, 291, 307, 310, 323, 329, 330, 336, 337, 343, 346, 349, 350, 352, 353, 358, 359, 360, 361, 362, 415, 422, 423, 447 Hitler, Adolf 30, 33, 41, 42, 52, 71, 72, 74, 81, 147, 148, 149, 194, 210, 317 Hoffmann, dott. prof. 20 Hofmann, Hans Otto 43, 44 Holle, Alexander 157, 206, 207, 211, 222 Höller (tenente) 76 Hölz, Walter 438 Hörmann, Martin 264, 287, 288, 296 Horter, Arthur 289 Horthy, Miklos 420 Hosenfeld, Gustav 259, 260 Huber, Christoph 188, 230, 239


487

Humann, Dieter 246, 361 I Ikonomopoulos, Marcia Haddad 20 Infante, Adolfo 122 Intelisano, Antonio 282 Ioannou, Christos 125 Ioannou, Kostas 126, 128 Ioannou, Nikolas 125 J Jelpke, Ulla 469 Jodl, Alfred 147, 156, 194, 204, 211, 229, 459 Juppe, Hans 180, 181 K Kakouris, Dionysis G. 297 Kalbhenn, Beate 20 Kalogeratos, Giannis 259 Kamaras, Vasileios 424, 425 Kappel, Hans 258 Karadiosi, Kemal 355 Karageorgis, Elias 297 Karagiannis, Ioannis 423 Karkanis, Nikos 97 Katevati, Mary 297 Kavvadias, Themistoklis 199, 200 Keitel, Wilhelm 82, 179, 194 Keller, Paul 274 Keppler, Einhard 233 Keppler, Georg 147 Kershaw, Ian 149 Khodeli, Riza 107 Kinzenbach, Wilhelm 221, 258, 287 Kirch, Heinrich 236 Kirchner, Friedrich 68 Kitsos, Myltiades 114, 117, 118 Kitterle, Wolf 51, 57 Kitzer, Siegfried 128, 135 Klamert, Gerhard 341, 466, 467, 468 Klaras, Thanasis (Athanasios) 94 Klarsfeld, Beate 467 Klebe, Pauli 46 Klebe, Reinhold 25, 27, 43, 45, 57, 69, 71, 74, 106, 116, 120, 127, 128, 129, 139, 142, 143, 144, 145, 188, 192, 221, 222, 228, 231, 232, 233, 234, 235, 236, 237, 239, 241, 243, 244, 245, 246, 247, 248, 252, 254, 260, 261, 265, 266, 268, 269, 273, 274, 275, 276, 277, 278, 287, 288, 309, 329, 336, 337, 338, 340, 341, 343, 422, 461, 462, 464, 468 Kleiser (procuratore) 143, 144 Klinkhammer, Lutz 98, 333 Kloth, Franz 276 Klotz, Norbert 260 Knab, Jacob 20, 36, 465

Knilling, Josef 261 Kniss, Kurt 235 Knopp, Guido 240 Knorr, Alfred 234, 235 Kohl, Christiane 268, 278, 341 Köhler, Ernst 265 Koliokotsis, Christos 132 Koliokotsis, Efstathios 132 Kolios, Nestor 118 Kondogiannis, Thomas 132, 133 Konrad, Rudolf 23, 43, 60, 61, 64, 65, 66, 68, 69, 73, 150, 296, 435, 436, 458, 459, 461, 463 Konstantinidis, Agathoklis 409 Köplin, Gerhard 255, 290 Korizis, Alexandros 91 Kotopoulou, Maria 109 Kött (capitano) 148 Kouros, Konstantinos 110, 111, 116 Kouros, Konstantinos Nikolas 116 Koutavas, Gerassimos 253 Koutsoumbouris, Giannis 20 Krafft von Dellmensingen, Konrad 23, 24 Kranzdorf, Paul 235 Kravari, Thoma 108 Kreppel, Hans 56 Krüger, Walter 122 Krumreich, Gerd 24 Kübler, Josef 440, 457, 458 Kübler, Ludwig 24, 25, 26, 30, 33, 35, 36, 37, 39, 42, 43, 48, 53, 56, 57, 59, 60, 61, 82, 440, 458, 465 Kuby, Erich 318 Kuchenbauer, Konstantin 342 Kuchenmeister, Helmut 235 Küchle, Wilhelm 52, 61, 83, 85, 421, 435, 440 Kuhn, Franz 330 Kulow, Ludwig 266, 335 Kunert, Katrin 469 Kuntze, Walter 322, 327 Künzel, Wilhelm 235, 251 Kurz, Max 224, 246, 342 L Landau, Felix 56 Lange, Werner 157, 208, 222, 290 Lang, Richard 39 Lanza, Gustavo 361 Lanz, Berta 26 Lanz, Hubert 18, 19, 20, 21, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 35, 36, 37, 39, 40, 42, 43, 44, 45, 48, 49, 50, 51, 52, 54, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 85, 103, 106, 118, 141, 147, 148, 149, 150, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 157, 158, 159, 160, 177, 178, 181, 183, 184, 185, 186, 187, 188, 189, 192, 193, 195, 196, 199, 203, 206, 211, 212, 213, 214,


488

215, 216, 217, 219, 220, 222, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 230, 231, 232, 235, 236, 237, 238, 239, 240, 241, 245, 246, 247, 264, 267, 268, 269, 270, 271, 272, 273, 274, 275, 276, 287, 308, 309, 310, 311, 322, 323, 324, 325, 326, 327, 328, 329, 330, 331, 334, 335, 336, 337, 338, 339, 340, 344, 346, 347, 350, 351, 352, 353, 355, 356, 358, 362, 363, 367, 368, 409, 412, 414, 420, 421, 422, 423, 424, 425, 426, 427, 428, 431, 434, 436, 437, 438, 439, 440, 441, 442, 447, 448, 458, 459, 460, 461, 463, 464, 469 Lanz, Otto 26 La Sala, Vito 286 Laternser, Hans 157 Lazaris, John H. 295 Leber, Georg 463 Leeb, Wilhelm Ritter von 42 Lenthe, Gebhard von 153, 187, 188, 328, 368, 426, 427 le Suire, Karl von 122 Leyser, Ernst von 322 Lichti, Eugen 427 Limpert, Alfred 130 Lipp, Georg 64, 70, 339, 340, 458 List, Wilhelm 63, 65, 71, 322, 327 Löhr, Alexander 80, 81, 82, 95, 97, 99, 121, 145, 151, 152, 153, 154, 156, 157, 158, 160, 177, 184, 196, 207, 212, 213, 215, 224, 225, 226, 228, 229, 245, 270, 271, 272, 273, 329, 351, 353, 355, 422, 423, 424, 425, 426, 436, 439, 448, 457 Lolos, Vassilios 469 Lorentsatos, Dionysis 256, 257, 259 Loukatos, Spyros 199, 201, 202, 210, 222, 223, 293, 294, 296, 297 Loustalot, Irene 366 Lübke, Heinrich 433 Ludwiger, Hartwig von 122, 154, 178, 181, 182, 185, 329, 330, 415, 420, 421, 439, 457, 458 Lusignani, Luigi 185, 192, 195, 204, 205, 206, 207, 215, 344, 346, 349, 350, 352, 353 Lüters, Rudolf 87 M Maaß, Ulrich 20, 341, 342, 343, 344 Maggiani, Mario 122 Magioros, Efstathios, Efstathios 131 Magiorou, Maria 130 Maitland, Sir Thomas 191 Maitland Wilson, Sir Henry 96 Malios, Amalia 132 Malios, Andriana 132 Malios, Avra 132 Malios, Maria 132 Malios, Spiridon 132

Mallios, Achilleas 132 Mallios, Alexandros 126, 129, 130, 132, 133, 134, 136, 137, 138, 139, 468 Mallios, Theodosis 132 Mallios, Vassiliki 132 Mallmann, Luitwin 223, 224, 346, 348 Malter, Alfons 436 Manfredini, Umberto 114, 115, 118, 119, 120, 122, 123, 124, 125, 155, 363 Manstein, Erich von 58, 148, 149, 150, 229 Mantas, Kostantinos 243, 244 Mantelli, Brunello 98, 100, 333 Manzi, Luigi 122, 151 Marghinotti, Mario 121, 154, 182, 185 Marinos, Themistokles (Themi) 103, 413 Marsenic, Philipp 86 Martino, Gaetano 332 Masovic, Krste 86 Mastrangelo, Mario 198, 286 Mayer, Hans-Peter 20 McCloy, John J. 327, 448 Melas, Basilios 109 Mende, Erich 460 Mentis, Dimitros 111 Messe, Giovanni 189 Messolora, Athina 297 Metaxas, Ioannis 91, 93, 413 Meyer, Gerd R. 341 Meyer, Gerd. R. 341 Meyer, Hans-Peter 468, 469 Michel, Bruno 235, 251 Mihailović, Draza 82, 83, 182, 416, 472 Milas, Kostantinos 297 Milenco, Mistovic 86 Miliaressis, Agissiloas 199, 200, 201 Milorad, Mistovic 86 Misha, Vladimir 20 Mohr, Markus 20, 458, 459, 460, 465 Monelli, Paolo 363, 364 Montanari, Mario 192, 193, 197, 198, 203, 218, 219, 222, 255, 267, 319 Morandi, Enzo 20 Mosandl, Anton 76 Muco, Skander 355 Mühlhauser, Otmar 277, 278, 337, 342, 343, 344 Müller, Franz 361 Müller, Helmut 234, 264, 290 Muraca, Ilio 315, 316 Muscettola, Giuseppe 264 Mussolini, Benito 17, 39, 84, 89, 90, 91, 92, 151, 155, 185, 189, 191, 194, 195, 200, 210, 211, 212, 236, 260, 275, 279, 284, 354, 363, 419 Myers, Edmund Charles Wolf (Eddie) 94, 97, 98, 102, 414 Myers, Edmund (Eddie) 97, 99, 101


489

N Nachtweh, dott. 336, 337 Nakolari, Pavli Stefan 111 Nassi, Frideriki 20, 125 Natsis, Athanassios 409 Naumann, Kiersten 42, 74, 466, 469 Naumann, Klaus 465 Neidholdt, Fritz 82, 457 Nele, Ilo 20 Nennstiel, Fritz 231, 233, 235, 237, 245, 250, 251, 252, 254, 265, 266, 276, 288, 295, 329, 330, 335 Neri, Antonio 286 Neri, Nereo 214, 286 Nienberg, Ludwig 266 Niesner (tenente) 76 Niforatos, Stavros 334 Nisiotis, Efstathios 141 Nordenström, delegato della Croce Rossa svedese) 297 Nye, Sir Archibald 96 O Obluda, Johannes 231, 237, 269, 271, 273, 274, 276, 314, 334, 335 Opalka, Bruno 263 Otto, Viktor 465 P Pallotta, Eraldo 303, 304, 306 Palmieri, Vincenzo 296, 349, 355, 356 Pampaloni, Amos 200, 201, 202, 203, 209, 210, 214, 249, 295, 296, 297, 312, 329 Pangalos, Theodoros 412 Papadatos, Panagis 243, 244 Papadopoulos, Alekos 368 Papageorgiou, Apostolis 20 Papageorgiou, Kostas A. 410, 411 Papini, Eberto 122, 185, 186, 362 Pappas, Dimitrios 411 Pappas, Georgios 468 Pappas, Stefanos 126, 129, 136, 137, 141 Pappas, Zoes 132 Parini, Piero 191 Parissone, Giovanni 260, 283, 284 Paulus, Friedrich 147, 148 Pavelić, Ante 416 Pemsel, Max 35, 459, 461 Perosa, Olinto 287, 293, 294, 320 Pfeffer von Salomon, Franz 47 Pfleiderer, Karl 240 Pflugrath, Kurt 363 Phleps, Artur 81, 82, 417 Pica, Armando 299 Picker, Egbert 64 Picozzi, Livio 294, 312, 313, 314, 329

Pieber, Franz 280 Piniatoros, Georgakis 297 Piscopo, Mario 282 Plastiras, Nikolas 413 Plendl, Alfons 280, 281 Ploetz, Fritz 44, 144 Podimatas, Gerassimos M. 297 Polatos, Dimitrios 199 Pössinger, Michael (Michl) 25, 26, 37, 67, 68, 69, 75, 86, 108, 111, 185, 347, 348, 349, 350, 368, 447, 461, 462, 468 Prinzis, Christos 110 Proksch (giudice distrettuale, Salisburgo) 143 Prollius, Max 427 Psarros, Dimitrios 414 Purkhold, Georg 270, 273, 274, 275 R Rademaker, Hans 263, 264, 268, 329 Rakowski, Franz Justus 64 Rampf, Karl 352 Raptis, Alekos 20 Reggianini, REnzo 122 Reichel, Konrad 246, 296 Reimann, Joachim 337, 338, 339, 340 Reinhardt, Klaus 465 Reißmüller, Johann Georg 457 Remold, Josef 74, 113, 114, 121, 123, 124, 153, 185, 186, 207, 222, 329, 346, 349, 351, 352, 353, 464, 465, 468 Rendulić, Lothar 417 Renz, Irina 24 Ribbentrop, Joachim 34, 194 Ricci, Ezio 193, 202, 214, 285 Richter, Alfred 247, 253, 259, 260, 268, 310, 341 Richter, Heinz A. 413 Richter, Heinz. A. 20 Riedl, Josef 131 Riegele (capitano) 363 Rigo, Silvio 284 Rintelen, Enno von 194, 195 Roatta, Mario 81 Rochat, Giorgio 20, 189, 192, 193, 195, 318, 319, 320, 321, 330 Rodewald, Georg Wilhelm 140, 287 Rohlfs, Egon 291 Romagnoli, Mario 198, 201, 202, 214, 282 Rommel, Erwin 65, 94, 151 Roncaglia, Ercole 83, 84, 85, 96 Rondholz, Eberhard 343 Rosenberg, Alfred 47 Röser, Willibald 116, 127, 128, 129, 133, 134, 136, 138, 139, 140, 142, 143, 233, 242, 246, 254, 259, 273, 274, 275, 288, 462 Rossi, Carlo 204, 205, 349, 350 Rothfuchs, Karl Heinz 73, 82, 105, 140, 150, 187,


490

328, 360, 368, 437 Roubanis, Germanos 297 Rouskas, Nikolaos 410, 411 Ruoff, Richard 65 Rupp, Hans 234 Ruscigno, Nicola 284, 285 S Sabattini, Alfredo 286, 289, 299 Saettone, Vincenzo 267 Sagmeister, Karl 135 Sakkatos, Vangelis 317, 319 Sakovic, Lubomir 85 Salminger, Josef 19, 40, 45, 46, 50, 51, 52, 55, 57, 65, 68, 74, 76, 84, 85, 99, 100, 103, 106, 108, 111, 112, 113, 114, 115, 116, 119, 120, 123, 124, 125, 126, 127, 130, 140, 145, 146, 153, 155, 185, 186, 195, 244, 270, 363, 365, 368, 410, 412, 414, 415, 416, 462 Saoulis, Evangelos 297 Sarafis, Stefanos 97, 98, 99, 102, 413, 415 Sauter, Fritz 155, 156, 159, 160, 177, 186, 188, 211, 212, 225, 229, 230, 231, 269, 287, 308, 310, 322, 323, 324, 350, 351, 352, 353, 362 Scala, Edoardo 313, 319 Scalvini, Angelo 293, 321 Schäfer, Paul 469 Scharl, Michael 261, 286 Scharping, Rudolf 467 Schiller, Oskar 287 Schipp von Branitz, Hans Joachim 229 Schlüter, Jürgen 463 Schmid, Emil 266, 287 Schmid, Erich 462 Schmidt-Richberg, Erich 457 Schminck-Gustavus, Christoph 20, 188, 189, 200, 249, 291, 292, 324, 411 Schmitt, Walter 328 Schmundt, Rudolf 30, 71, 72, 74, 75, 147, 150, 238, 239 Schobert, Eugen Ritter von 30, 58 Schon, Franz 129 Schörner, Ferdinand 33, 34, 45 Schreiber, Gerhard 188, 192, 215, 272, 292, 314, 318, 319, 350, 353, 354, 363 Schröppel, Alfred 246 Schubert, Albrecht 447 Schulz, Helmut 40, 51 Schwarz, Rudolf 64, 70, 83, 144 Sdrin, Elena 297 Sebastiani, Sebastiano 261, 278, 332 Seeberger (sergente) 419 Seganti, Vittorio 286 Seidel (Maggiore) 113, 114, 121, 187 Seischab, Klemens 268, 289 Seitner, August 128, 132, 135, 136

Serafini, Armando 286 Sergiannis (vittima di guerra, Kommeno) 131 Seydlitz (capitano di cavalleria) 151 Sfiligoi, Elio 321 Siafakos, Kostantinos 411 Skouravelis, Vasilios 132 Soddu, Ubaldo 91 Sommer (colonello) 53, 97, 106, 108, 112 Sontheimer, Albert 127 Soufleris, Charalambos 109 Soulis, Theodoros 102, 115 Spahiu, Bedri 355 Speck, Hermann Ritter von 36 Speer, Albert 66 Speidel, Hans 148, 152, 332, 461 Speidel, Wilhelm 148, 149, 152, 156, 327, 329, 330, 331, 332, 448 Spindler, Wilhelm 203, 204, 205, 231, 233, 235, 237, 245, 246, 247, 259, 280, 287, 288, 309, 310, 329, 336, 358, 359, 360, 447 Spittäler, Friedrich 298 Spyrokosta, Ismini 130 Stadlhuber, Willibald 264 Stamatis, Lambros 129 Stanghellini, Angelo 276 Starl, Matthias 27, 45, 47, 68, 71, 76, 85, 125, 126, 149, 154, 155, 230, 231, 232, 233, 236, 237, 239, 272, 324, 337, 368, 409, 410, 447, 459 Stasinos, Nikos 137 Stasinos, Serafim 131, 137 Stasinos, Yannis 137 Steets, Johann 43 Stefanidis, Minas 110 Stefanitsis, Gerassimos 210 Stehböck, Martin 465, 468 Stern, August 342, 343, 344 Stettner, Walter Ritter von Grabenhofen 57, 58, 72, 73, 75, 76, 84, 204, 205, 329, 346 Stettner, Walter, Ritter von Grabenhofen 72, 73, 75, 76, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 96, 99, 102, 103, 104, 105, 112, 113, 115, 116, 118, 120, 122, 123, 124, 125, 138, 141, 145, 152, 153, 184, 185, 203, 204, 205, 206, 207, 222, 238, 244, 329, 330, 344, 346, 347, 348, 349, 350, 351, 352, 356, 358, 359, 362, 367, 368, 410, 412, 422, 423, 436, 437, 438 Stoiber, Edmund 467 Storck, Rudolf 250, 251 Stratos, Vassiliki 109 Strecker, Karl 63 Stredele, Bernhard 44 Streibl, Max 37 Student, Karl 93 Stülpnagel, Carl-Heinrich von 42, 57, 63 Stumpf, Otto-Heinrich 232, 337, 338 Stupperich, Reinhald 20


491

T Taudtmann, Waldemar 247, 265 Taviani, Paolo Emilio 331, 332, 333 Terrone, Alfredo 315 Tesapsides, Byron 20 Teupen, Manfred H. 20 Thaler, Gregor 20, 232 Theofylatos, Thanasis 297 Thilo, Karl Wilhelm 73, 76, 84, 85, 101, 102, 103, 105, 111, 113, 118, 120, 126, 127, 139, 140, 142, 187, 189, 346, 459, 461, 463, 464, 465, 468 Thurn, Elmar 233, 237, 238, 239, 240 Timmermann, Otto 230, 272 Timoschenko, Semjon M. 63 Tjulenew, Iwan Wladimirowitsch 67 Tognato, Girolamo Antonio 249 Tomasi, Gennaro 219, 241, 267, 284, 294 Tomatschitz, Franz 135 Tomkowiak, Bernhard 87, 187 Torresan, Rodolfo 122 Torsiello, Mario 215, 314, 318, 319, 353, 357 Totosani, Chemsi 355 Trattmann, Ewald 280 Triantaffylidis 414 Trikkalinos, Ioannis 109 Trinkl, Josef 234, 269 Triolo, Lelio 286 Truman, Harry 429 Tsagaris, Franz 20 Tsepas, Nikolaos 111 Tsimbouki, Panagiota 132 Tsimbris, Michail 409, 427 Tucholsky, Kurt 466 Turri, Ugo 137, 138 Tutscheck, Ritter von 24 Tzimas, Andreas 97 U Uggè, Carlo 284 Ulmer, Erich 234 V Valgoi, Antonio 257 Vangelatos, Spyros 256, 257, 258, 259, 306 Vazoukis, Nikolas 20 Vecchiarelli, Carlo 19, 81, 98, 104, 105, 116, 121, 122, 124, 140, 155, 156, 157, 159, 160, 177, 178, 195, 196, 212, 225, 229, 323, 324, 338 Venizelos, Eleftherios 412, 413 Venturi, Marcello 334 Vetter, H. 47, 423 Villa, Bruno 153, 155, 157, 159, 302 Vittorio Emanuele III 121 Vlachlidis, Dimitrios 153, 187, 206, 409, 427 Vlachos, Spyridon 366

Vogli, Dorothea 107 Vögtle, Helmut 246 Volckamer von Kirchensittenbach, Friedrich Jobst 463 Vorošilov, Kliment J. 42 W Wagner, Franz 231, 233, 236, 237, 245, 265, 273, 274, 287, 288, 293, 308, 336 Waldheim, Kurt 140, 141 Walle, Heinrich 149 Wallert, Kurt 200, 201, 208, 210, 217, 218, 220, 221, 241, 242, 243, 244, 248, 274, 275, 278, 290 Warlimont, Walter 150, 151 Wecker, Franz 427 Wehmeyer, Erwin 289 Weinsteiger, Johann 254, 287 Wendel, Josef 462 Wiesenthal, Simon 333, 338, 339 Wille, Doris 20, 264, 268 Winter, August 156, 158, 159, 160, 203, 215, 216, 231, 270, 271, 272 Wintergerst, Karl 54, 55 Wittman, August 458 Wittmann, August 436, 437, 438, 440, 458, 459, 461 Woodhouse, Christopher (Chris) M. 94, 97, 103, 413, 414 Wörner, Manfred 465 Z Zakouri, Ali 20 Zamparo, Ugo Francesco 256, 257, 283, 286, 291 Zanello, Valentino 286 Zehetmayer, Anton 233 Zeitler, Karl 226, 239, 240 Zeitzler, Kurt 151, 416 Zervas, Napoleon 19, 20, 94, 97, 99, 102, 103, 113, 118, 129, 355, 356, 409, 412, 413, 414, 421, 424, 425, 426, 427, 428, 429, 431 Zettel, Theodor 210 Ziegler, Anton 44, 76, 127, 128, 133, 134, 138, 142, 144, 145, 233, 234, 236, 244 Zikas, Zaccarias 109 Zorbas, Zorbas 131, 135 Zwack, Robert 246


Fonti iconografiche Archivi e fotografi Archiv der Gebirgstruppe, München: pp. 34; 167 b; 397 a; 455 b Archive du CICR, Genf: p. 172 a Archivio Giorgou A. Athanasaina, Athinai: p. 402 a. Archivio Biblio-Verlag, Osnabrück: pp. 161 b/s; 163 a; 163 b; 169 b/s; 392 a/d; 398 a, 454 a Archivio Hagen Fleischer, Athinai: p. 379 a/s Archivio Focas-Cosmetatos, Argostolion: pp. 393 b; 398 b Archivio Dieter Grönhagen, Achern: pp. 380 a; 380 b; 381; 382 b; 388 Archivio Thomas Groth, Cham: p. 382 a Archivio Heribert Henne, Darmstadt: p. 176 b/s Archivio Pauli Klebe, Warngau: pp. 174 b/s Archivio Irene Loustalot-Bickel, Basel: pp. 449 a; 450 a Archivio Hermann Frank Meyer, Bruxelles: pp. 50 b/s; 82; 161 a; 164 b; 167 a; 169 b/d; 172 b/s; 172 b/d; 173 a; 174 a/s; 174 a/d; 379 a/d; 451 b/d, 454 b Archivio Michael Pössinger, Garmisch-Partenkirchen: pp. 164 a Archivio Erich Schmid, Balingen: pp. 176 a/s; 449 b/s; 455 a Archivio Manfred H. Teupen, Milano: pp. 175 b (Ugo Turri); 176 a/d (Ugo Turri); 370-371; 406 a (Olinto Perosa) Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito (AUSSME), Roma: pp. 377 b, 378 a, 378 b, 379 b/s, 379 b/d, 383 a,384 a, 392 a/s, 392 b, 393 a, 396 a, 396 b, 397 b, 399 a, 402 b, 404 b, 405 a (tutte: H5 Fondo Apollonio); 395 b, 403 a, 403 b, 405 b (tutte: H5 Fondo Ghilardini) Archivio Doris Wille, Argostolion: p. 404 a Bundesarchiv Freiburg: pp. 168 a/d (Pers 6/730, Personalakte H. von Ludwiger); pp. 372; 376; 385 (tutte: RH24-22/2, Kriegstagebuch) Bundesarchiv Koblenz: p. 400 a/d (1011-177-1460); 400 b (1011-177-1460); 401 b (1011-177-1460); 451 a, 452 a, 452 b (tutte: Akte Griechenland) Imperial War Museum, London: p. 453 (E 29595) Istituto Geografico Militare, Firenze: pp. 206; 395 a; 408 b (modificata) Hans-Peter Mayer, München: p. 456 National Archives, Washington, D.C: p. 398 b (T-315/670-537, Kriegstagebuch) Staatsanwaltschaft Dortmund: pp. 386-387, 389, 390 a, 390 b, 391 a, 391 b, 401 a, 407 b (tutte: 45Js34/64, Ermittlungsverfahren Kefalonia) Pubblicazioni Cefalonia 1941-1944. Un triennio di occupazione. Il contributo della popolazione locale, a cura di Orlanducci Enzo, Roma 2004: p. 407 a/d Dermot Bradley/Richard Schulze-Kossens (Hg.): Tätigkeitsbericht des Chefs des Heerespersonalamtes, General der Infanterie Rudolf Schmundt, Osnabrück 1984: p. 169 a Geschichte des II Gebirgs-Jäger-Regiments 98 Lenggries, Berlin (senza anno, ca. 1939): pp. 166 a/s; 166 a/d. Israel Gutman (Hg.): Enzyklopädie des Holocaust. Die Verfolgung und Ermordung der europäischen Juden, vol. I, Berlin 1993: p. 86 (modificata). Rudolf Konrad: Kampf um den Kaukasus, München (o. J): p. 168 b/s Hubert Lanz, Gebirgsjäger. Die 1. Gebirgsdivision 1935-1945, Bad Nauheim 1954: pp. 32-33; 165 a; 165 b; 166 b/d; 168 a/s; 158 b/d; 174 b/d; 450 b; 451 b/s. Peter Schenk, Kampf um die Ägäis, Hamburg 2000: p. 380 b. Janusz Piekalkiewicz: Krieg auf dem Balkan 1940-1945, München 1984: pp. 377 a, 453 b Internet http://de.wikipedia.org/wiki/Ludwig_Kübler: p. 161 b/d http://www.lexikon-der-wehrmacht.de/Personenregister/W/WeichsMFv-R.htm: p. 176 b/d



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