Corriere del Po 10 - 2016

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Direttore Responsabile: Carlodaniele Caramaschi

Corriere del Po Anno III - n° 09 - Da 16 Maggio al 29 Maggio 2016

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IL MATCH DELLA DOMENICA

Un racconto di paese, una storia pallonara! Spacon e Pelacan (Spaccone e Pelacane), erano il portiere ed il centrattacco della squadra di calcio paesana. Pelacan non era un’aquila ma aveva un genere letterario cui si dedicava, leggeva i fumetti: Gim Toro, Tex, Il Piccolo Sceriffo, ne aveva una stanza piena. Lo assorbivano in modo totale, diveniva assente, entrava come in trance. A chi lo interpellava rispondeva a monosillabi con frasi sconnesse e smozzicate. Fuori si stava organizzando la partita, varie volte lo chiamammo quel giorno…. ma non c’era verso di smuoverlo dall’estasi fumettistica in cui s’attardava. Ad inizio anni cinquanta già avevano preso piede i concorsi di miss Italia, quella volta ebbero risonanza particolare. Fu allestito un autocarro per l’occasione, fu montato un palo longitudinale, ancorato alla cabina, procedeva fino alla sponda di fondo, le miss vi si attaccavano con la mano, esattamente come avviene in autobus. Lanciavano qualche manciata di caramelle ai crocchi di bambini, non tante invero, l’epoca dell’abbondanza ancora non era giunta. Il camion procedeva lentamente percorrendo tutte le vie del paese. Erano ancora a venire gli anni dei film e delle attrici americane a coscia lunga, ancor più l’era delle minigonne, le sottane delle nostre donne erano poco più di una spanna sopra la caviglia. Ogni mattina noi ragazzi ci appostavamo davanti alla porta di una professoressa, usciva puntualmente un po’ prima delle otto, anche d’estate, nel salire in bicicletta le s’alzava un po’ la gonna e s’intravedeva qualcosa sotto, ebbene, ci appostavamo e fingevamo di giocare proprio lì, ci preparavamo un quarto d’ora prima e, chi prima arrivava, aveva il posto frontale di miglior prospettiva. A maggior ragione, vedere sui carri tante belle ragazzone in costume da bagno, sorridenti e prodighe di mossettine sexy, era uno spettacolo che agitava i nostri pensieri notturni in cento erotiche fantasie. Pelacan ancora non usciva per la partita, il giorno prima, causa i fumetti, s’era perso il passaggio delle miss…. si faceva tardi, cosa escogitare?…. “Pelacan…. ghè li miss n’atra volta - urlò Spacon - dai cli va via…. se ghe ved fin le ciape….”!!!! Quando le due parole “miss” e “ciape”, sfondata la barriera d’estasi fumettistica furono giunte nei meandri del cervello, Pelacan uscì di botto, come un bolide, Spacon per meglio destarlo dal trance, lo centrò in pieno con un secchio d’acqua, poi, per ovvie ragioni, si diede alla fuga. Dopo circa trenta metri, tale era la distanza, sgattaiolò in casa e richiuse la porta. Pelacan, riavutosi, prese ad inseguirlo ma ebbe un ripensamento, tornò dentro, prese seco la pietra che stava dietro al portone di casa onde non sbattesse col vento e tornò ad inseguire ma, nell’attimo, lo perse di vista. “Dov’è Spacon che lo ammazzo”? “Ha appena svoltato l’angolo, dai che lo prendi”! Percorse il periplo del quartiere col pietrone in spalla e si ritrovò davanti a casa. “Duvel cal masi…..” “Ha scantonato appena ora, accelera che lo raggiungi”. Dopo un paio di giri abbandonò la pietra e si sedette stremato sul marciapiede. Spacon per un paio di giorni non uscì di casa….. ma incombeva la partita della domenica, come affrontare il nemico senza il portiere? Spacon era indispensabile per l’esito della partita, come Achille alla guerra di Troia. Andammo a parlamentare! “No, me al masi”! - fu la risposta di Pelacan. “Bene – rispondemmo noi – lo ammazzi dopo la partita”!!! Pelacan rimase perplesso, poi accettò. “Invece d’ammazzarlo – soggiungemmo – lo tratteniamo nello spogliatoio, tu ti prepari fuori con in mano un secchio d’acqua e, com’esce già rivestito…. splasch”…. Era l’uovo di Colombo! La partita ebbe esiti alterni, Pelacan segnò una rete ma, proprio nel finale…. uno sgambetto in area e…. implacabile, il fischio dell’arbitro, “RIGORE”, una partita quasi vinta prendeva una brutta piega. Il pallone sul dischetto…. un attimo di tensione…. Spacon d’anticipo, si buttò sulla destra…. rigore parato!!! Tutti corsero ad abbracciarlo, tranne, ovviamente, Pelacan…. restava in sospeso il conto del secchio….. L’epilogo? Uscivamo dallo spogliatoio assieme a Spacon dandogli pacche sulle spalle dicendo ch’era il mago dei rigori…. completamente immemori di Pelacan appostato all’esterno, con un secchio colmo d’acqua lurida dell’attiguo dugale di scolo. Spacon s’avvide in tempo e si scansò, lo scroscio centrò in pieno l’arbitro dietro di lui. Smessa la divisa nera, aveva indossato l’abito buono della festa per ben figurare con la gente che a crocchi, s’attardava a commentare la partita. Il castigo fu immediato ed esemplare! Prese Pelacan prima a ceffoni, poi a calci nel didietro, in una serie che non finiva mai. Spacon dunque n’uscì indenne…. lasciando Pelacan a meditare su una nuova e più tremenda vendetta. Noi, per giunta, lo prendevamo a sfottere: “Vedi Pelacan? Ha ragione la maestra, lo dice sempre…. di non infantasmarsi a leggere fumetti…. i fumetti sono dannosi….”! Nel suo caso, nulla di più vero, da allora d’anni ne sono passati a iosa tuttavia, in paese, i due non frequentano lo stesso bar e, se s’incontrano, voltano faccia dall’altra parte. Giorgio Boldrini


Suzzara e i Suzzaresi come sono cambiati in trent’anni?

Nostra intervista al Prof. Carlo Prandi (Accademia Nazionale Virgiliana-Mantova). Nel 1998 sulla “Voce di Mantova” apparve una intervista, a firma di Vanni Buttasi, al parroco dell’Immacolata” di Suzzara, Don Lino Boselli, il quale analizzava la vita sociale, politica e culturale della città. Don Lino dichiarò che questa viveva umanamente e socialmente due percorsi paralleli che solo di rado si incontravano. Si trattava della lettura di un parroco presente nella sua città da 30 anni. D) Professor Prandi, dopo quasi vent’anni dalla scomparsa di don Lino, conferma i due percorsi paralleli o Suzzara è cambiata? R) I due avverbi sono inclusivi di molti significati. Se per “umanamente” si intendono i valori vissuti dai singoli e per “socialmente” si intende un vissuto condiviso dalla comunità, direi che non si è fatta molta strada da allora, dal momento che “socialmente” è quasi pressoché coincidente a Suzzara dal dopoguerra con “politicamente”. Ciò che va sottolineato peraltro è la presenza sul territorio di alcune decine di associazioni di volontariato che operano nel sociale e nella cultura. Ciò che manca all’insieme di queste realtà è una struttura informativa che permetta la circolazione delle conoscenze relative alle rispettive attività e stabilisca un rapporto non episodico con gli organi di stampa. D) Don Lino diceva che i rapporti politici erano sempre improntati a grande tensione. E’ passata una generazione: come sono oggi tali rapporti? R) La tensione politica era un dato oggettivo per il fatto che Suzzara è una città industriale che ha partecipato alle difficoltà e alle lotte diffuse nel paese. Il perdurare della crisi dal 2008 e il cambio di generazione alla direzione del Comune hanno attenuato la conflittualità che caratterizzò i primi decenni del dopoguerra sino agli anni Settanta. Una situazione alla Peppone-don Camillo non si è mai verificata a Suzzara. Ai tempi in cui la DC era presente e forte come partito, la conflittualità fu più a livello politico e non coinvolse direttamente le due “parrocchie” se non in casi sporadici al centro e in modo più sistematico in frazioni come Tabellano, dove più forte era lo spirito sovietico. D) Alcuni decenni fa – tra gli anni ’60 e gli anni ’70 - dal punto di vista culturale vi era una molteplicità di offerte culturali con una discreta risposta da parte della comunità. Qual è lo stato della cultura oggi a Suzzara? R) L’attività culturale a Suzzara fu assai intensa tra la fine della guerra e gli anni Settanta. Il Premio Suzzara, che personalmente considero storicamente esaurito, diede la possibilità a questo Comune di apprestare nella Galleria del Premio l’archivio italiano dell’arte neorealista. A Suzzara ci fu un susseguirsi di Circoli del Cinema che tuttora si esprime nell’Associazione degli Amici del Politeama. Purtroppo questo fervore andò raffreddandosi dagli anni Ottanta in poi per la presenza in Comune di assessori alla cultura che hanno contribuito a desertificare la città. Con l’arrivo del prof. Guandalini all’Assessorato alla Cultura (essendo sindaco il prof. W. Melli) la situazione è mutata, sia con l’inaugurazione del Centro Piazzalunga, sia con il rilancio della Galleria del Premio. Gli attuali organi della cultura stanno cercando di continuare l’opera iniziata dall’amministrazione precedente, ma hanno bisogno di farsi le ossa e quindi di un sostegno e di uno stimolo continuo per affrontare, con la scarsezza di mezzi e di esperienza di cui dispongono, l’imprescindibile compito di conferire alla cultura il posto le spetta. In ciò sono aiutati, in modo determinante, da alcune Associazioni che ruotano intorno al nome “Premio Suzzara”, ma con attività rivolte ad uno spettro più ampio di iniziative. D) Don Lino disse che non accettava di avere una parrocchia che cammina su binari paralleli con due comunità che non si incontrano: “Spero, diceva, che nel futuro questi due binari si incontrino”. Secondo Lei a cosa si riferiva? Dopo 30 anni i binari stanno ancora lì e di che tipo sono? R) Secondo me don Lino si riferiva ad un tema sul quale sono tornato già in precedenza utilizzando l’immagine della “communitas”: se non si entra in questa forma mentis con iniziative concrete che arricchiscano questa immagine e la rendano reale, le due comunità a cui si riferiva don Lino non s’incontreranno mai. Fuori dai denti: se tutto deve avere un sapore politico e deve essere narrato e compiuto con linguaggi e scopi politici – vedì l’assoluta centralità tuttora conferita alla Festa dell’Unità che occupa mezza estate – è chiaro che alla “communitas” non rimane molto spazio autonomo. D) Torniamo ancora più indietro: nel 1986 in una intervista a cura di Maurizio Guandalini, Don Lino disse che a Suzzara mancava l’entusiasmo, la voglia di fare, la fiducia nel futuro; era pure scomparso il senso della gratuità del fare, il mettersi a disposizione degli altri. Lei, prof. Prandi, che è un suzzarese impegnato nella cultura, cosa pensa, in piena libertà, dei suzzaresi di oggi (mi riferisco ai nativi ovviamente)? R) Prima ho fatto cenno alle molte associazioni di volontariato che operano sul territorio: questo è un esempio concreto di “voglia di fare per gli altri”. Può essere un fattore correttivo. Quanto alla fiducia nel futuro, si tratta di un problema nazionale: la lunga crisi, come si sa, ha tolto la fiducia a molti giovani, altri li manda all’estero, ha spinto persino diversi imprenditori a togliersi la vita, fa fallire varie banche. La fiducia nel futuro non nascerà certo a Suzzara. D) Infine, la domanda più difficile: come sarà Suzzara fra una o più generazioni, comprendendo in tal caso anche i numerosi stranieri, di diverse culture e religioni, che saranno ormai abitanti stabili della città? R) La domanda è assai difficile perché v’è un dato certo: le forme migratorie sud-nord dureranno per decenni ancora. L’Occidente sta pagando secoli di sfruttamento colonialistico, non solo ma si trova di fronte ad un Islam superato, almeno dal Settecento in poi, in efficienza scientifica, tecnologica e militare e che ora sta giocando una rivalsa che ha risvolti talora tragici. Le generazioni future dovranno convivere con una situazione che ora è soltanto all’inizio. Prima o poi bisognerà studiare, con prudenza e intelligenza, le condizioni per riconoscere la cittadinanza a chi nasce qui (jus soli), anche perché la diminuzione delle nascite in Occidente porterà il mercato del lavoro a cercare soggetti disponibili a tipi di attività da cui le giovani generazioni nostre rifuggono. Non bisogna fare previsioni né catastrofiche, né ecumeniche a buon mercato. Occorrerà prudenza, intelligenza, realismo, fermezza, capacità di negoziazione, cultura e intercultura. Tutte doti “nuove” per un popolo che non ha mai avuto a che fare con i “diversi”. Saranno forche caudine inevitabili e necessarie. Attilio Pignata



Percorsi

Volto Umano

Gli Opposti

Movimento in evoluzioni asincroniche toccate metodiche precisioni in perenne scorrer circolare. Tecnologica divina creazione con robotizzante perfezione. Tempo e luogo ne matura l’evoluzione, regole di divino dettato su binari percorribili per la perenne duratura. Scambi ove termina la percorrenza obbligata destino dellacangiante umana materia. Come sta scritto nel libro della vita analisi vissute dagli uomini transitano nel percorso. Trasgressione del volere per goder di sensazioni diverse dai dettati ogni percorso ha un fuori pista di ignoto conto finale. Nell’ideale c’è giustezza nella pratica l’ignoto.

Leale e sincera mi dicevi stupido quando ero in torto. In ogni frangente dal tuo volto riuscivo a capire se la ragione avevo o no. Il tuo volto era la bibbia del mio cuore dal quale traevo l’espressione da dare al mio viso. Guardandoci ci scambiavamo idee e amore ma coraggio di aprire bocca non l’avevamo.

Un signore con il suo macchinone vagabonda per quartieri oscuri cercando una pianta con fiori d’oro. Girando e rigirando sbatte il muso in un pugno di case squallide. Gli abitanti gli vanno incontro gli danno da bere, da mangiare e da dormire. Il gallo canta, di scatto lui balza giù dal letto si affaccia alla finestra: sente braccianti cantare, lavoratori ridere della loro fatica e piange vedendo il suo opposto.

1-3-2014 Bruno Mazzacani

Carlo Cassiani di Viadana

Futuro Girando e rigirandomi nel letto la mia mente vola in un bosco primaverile. Annusando il profumo boschifero maledizioni scaturiscono in me,

Carlo Cassiani di Viadana per come la gente se ne frega pensando solo a sè stessa e non all’imminente domani pieno di leoni e tigri. Carlo Cassiani di Viadana

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Mi ricordo ancora

Piante secolari abbellivano un lungo, Molti anni fa, in un casinò di Montevideo (Uruguay) dove mi trovavo, conobbi viale ghiaiato che precedeva la casa di casualmente un inserviente della casa da gioco che parlava piuttosto bene Angelica, tutt’attorno un immenso pra- l’italiano. Era un tipo dalla statura media, carnagione olivastra, capelli impoto tenuto a pennello nel quale ogni po- matati pettinati all’indietro e baffetti neri lucidi. Una volta mi disse: << Solo meriggio Angelica portava a pascolare tre uomini nella storia sono riusciti ad ammutolire i 100.000 spettatori dello le sue care pecorelle, permettendo a stadio Maracanà di Rio de janeiro. Giovanni Paolo II, Franck Sinatra e il Toby il riposino pomeridiano, poichè sottoscritto. Il papa e Franck Sinatra per motivi facilmente intuibili, io perchè ormai era vecchiotto. Era proprio l’ul- nel 1950, nella partita decisiva per l’assegnazione del titolo di Campioni del tima pianta che metteva fine al viale, Mondo di calcio, feci il gol che condannò definitivamente alla sconfitta, contro in cui Angelica amava sostare, meditaogni pronostico, la super favorita Nazionale Brasiliana, re, non certo sola, frà le sue pecorelle che oltretutto in quella circostanza giocava in casa>> una era la sua prediletta Dolly, fedele e . Incredulo, gli chiesi il nome, era Alfredo Ghiggia, miubbidiente, ancora più di un cagnolino; tico attaccante della Nazionale Uruguaiana all’epoca Sedevano all’ombra, del vasto fogliadei fatti. Ghiggia non è più tra noi, ma il ricordo mi è me, come cuscino, un bel tappeto d’errimasto impresso nella mente in modo indelebile. Valentino Berni ba, tenera nel quale, sbucavano dipingendolo glicini selvatici. A piedi scalzi, Caritas gambe distese, Angelica sentiva la neAveva sofferto tanto per l’abbandono del padre malcessità di coccolarsi Dolly non volendo però creare gelosia alle sue amiche, si grado capisse che la situazione famigliare degenerasse sempre più, sino ad metteva seminascosta, dietro il gros- arrivarne alla separazione, quel papà che adorava così tanto, s’allontana deso tronco, appoggiandosela stretta, finitivamente dalla loro casa, sofferenza tremenda per Camilla che per soppestretta al cuore, che il calore della sua rire al dolore si reca a fare volontariato alla Caritas, con la quale prestazione lana scaldava; Le sue mani continua- accumulava punti al suo studio. Passano i mesi, in una serata simile a tante, vano ad accarezzarla come non averla in quel luogo malinconico scorge due occhi che riconosce, quelli di un uomo mai posseduta, le sue continue carez- malconcio con un cappello in testa, forse solo la gran voglia di ritrovare suo ze riuscirono ad addormentarla. Non padre sorvola, una cosa sembra darle certezza, quel signore che cercava di avrebbero mai voluto lasciarsi, solo coprirsi il volto con il cappello prende un tovagliolo e comincia a lavorarlo forquando il tappeto d’erba iniziava ad mandone una rosa, cosa che faceva sempre, il papà nel tempo che intercorinumidirsi, piano piano si incammina- reva ad aspettare il cibo. Camilla l’osservava non facendosi sfuggire un altro vano raggungendo le altre, le quali a particolare per lei molto valido, nel suo polso c’era un braccialetto con attaccapo chino continuavano a brucare fin- cato un campanellino ed una piccola tartaruga. Conferma che quella persona gendo di non vedere, dovevano capire era il papà che dà tanto le mancava, e corre ad abbracciarlo, lacrime irrefreda povere bestiole che Dolly e Angeli- nabili ricoprono il volto di entrambi d’accordo con l’intima amica se lo portò a ca erano una cosa sola, il loro era un casa ripulendolo, e facendogli indossare gli abiti che dà tempo erano rimasti grande amore, erano un corpo ed un nell’armadio. Non aveva giudicato quel padre che in fondo in fondo non si anima sola. era rifatto una famiglia; ma s’era inserito in un luogo, in un mondo totalmente Bozzolini Vanna Bozzolini nuovo, la famiglia Caritas. Vanna


La Cavalleria Leggera e la pesante

Analizzando la storia militare della cavalleria non possiamo non rilevare che si contrappongono e si scontrano ripetutamente due concezioni tecnicamente opposte: La “cavalleria leggera” e la “cavalleria pesante”. La cavalleria leggera: celere, con cariche veloci, con attacco a distanza e la cui arma più tipica è l’uso dell’arco; con cavalieri che scagliano le frecce e con una rapida conversione sanno ritirarsi, per poi tornare all’attacco nuovamente; evitando sempre di prendere contatto diretto con l’avversario. Una tattica tipicamente usata dai cavalieri nomadi delle vaste steppe e da chi principalmente assale e non deve difendere né città né beni immobili. Una tattica specializzata nell’impegnare il nemico in lunghe corse per stancarlo ed attirarlo lontano dalle basi per poi attaccarlo agevolmente in schiere. Cavalli veloci, agili e leggeri, di tipo “meso - dolicomorfo” selezionati per l’uso. Cavalieri agili, con staffature corte e selle leggere. Poco ingombranti. Cavalieri “leggeri sulle staffe” e che proprio grazie all’utilizzo delle staffe non “gravano” seduti sul dorso dei “destrieri” ma se ne distaccano in velocità distribuendo maggiormente il loro peso su ambo i lati lasciando al cavallo la massima libertà di “schiena”. La cavalleria pesante: più lenta, più statica, d’urto e che ha come arma l’impatto travolgente e la lunga lancia (lancieri a cavallo); col cavaliere protetto da una più robusta e pesante corazza e da uno scudo e che pertanto ricerca lo scontro ravvicinato. Cavalieri con staffature-lunghe e gambe praticamente distese in selle più avvolgenti e pesanti ed in grado di dare “stabilità” sia a chi indossava più voluminose armature che alle “reste” delle lance. Cavalieri seduti in toto sul dorso, col loro totale e ingombrante peso e quello delle armature gravante in toto sulle schiene dei cavalli. Cavalli morfologicamente diversi da quelli funzionali alla “cavalleria-leggera”: cavalli più robusti e più lenti; in grado di “portare- peso” e appositamente selezionati per l’uso. All’inizio dell’39; VIII secolo venne introdotto in Europa l’uso della staffa che, insieme alla resta che fermava la lancia contro l’armatura, rese possibile al cavaliere caricare il nemico al galoppo e colpirlo con tutta la propria forza, senza per questo essere sbalzato dalla sella. L’utilizzo della cavalleria pesante, che sfruttava questa nuova tecnica per costituire una forza d’urto inarrestabile, fu promosso da Carlo Magno e dai suoi successori, che addirittura strutturarono tutta la società franca in modo da permettere il reclutamento e il mantenimento di una efficace forza di cavalleria. Nel periodo medioevale le fanterie erano spesso neglette e composte da fanti per lo più di estrazione rustica o servile, male armati e poco addestrati. Soltanto dal XIII secolo in avanti si affermarono reparti di fanteria più addestrati e bene armati come gli svizzeri, i lanzichenecchi o i tercios spagnoli, capaci di tattiche idonee ad ostacolare i cavalieri. L’arma più efficace per combattere contro la cavalleria erano le picche, lunghe lance con le quali i cavalieri venivano disarcionati oppure uccisi i cavalli. Ciò diede origine alle prime armature per i cavalli. In Inghilterra invece si puntò soprattutto sugli arcieri, che colpivano i cavalieri prima che venissero a contatto, restando protetti dietro palizzate appuntite appositamente predisposte sul terreno. In epoca moderna la cavalleria pesante comprendeva i corazzieri, i dragoni, i carabinieri, i granatieri a cavallo; la cavalleria leggera era costituita da cavalleggeri, lancieri, cacciatori a cavallo, ussari, ulani. (Tratto da Enciclopedia Libera). Luigi Mignoli


TANTI AUGURI!!!

IL NIDO Ecco qua sotto in foto lo SPLENDIDO ed ENORME frutto raccolto dall’albero della Ferramenta Rossi di Viadana

Un Cedro di 1,2 Kg

Ho visto un nido di merlo dentro la siepe di pini. Non è stato facile vederlo così nascosto tra rami e spini. Tondo, perfetto e accogliente come fatto da mano sapiente. Invece da un becco è costruito che con pazienza l’ha ben rifinito. Ora è vuoto: non più cinguettii, da tempo esauriti tutti gli addii: i figli a lanciarsi verso un futuro, la madre a sperare per loro un’ancora e un porto sicuro. Piccola storia di vita normale, uguale a tante e quasi banale ma anche un nido ha il suo valore poiché ha racchiuso un po’ d’amore. Marina Lombardi

!

ettacolare!!

Sp Veramente

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