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In alto Nunzio Filogamo, presentatore della prima edizione del Festival di Sanremo (29 gennaio 1951); sotto Amadeus (6 febbraio 2024) alla conduzione della 74a edizione
Testata giornalistica registrata
presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 6, n.2
“Amoglianimali” Bellezza
Da leggere (o rileggere)
Da vedere/ascoltare Di tutto e niente
Il desco dei Gourmet
Il personaggio
Il tempo della Grande Mela
Comandacolore Incursioni
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Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).
Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”.
Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60.
Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.
DOTTOR MARCO ROSSI SESSUOLOGO E PSICHIATRA
è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.
DOTTOR ALESSANDRO LITTARA ANDROLOGO E CHIRURGO
è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo
PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO DERMATOLOGO PLASTICO
presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).
DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO
è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.
giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.
classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione.
Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.
Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie
Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.
COMANDACOLORE è uno Studio di Progettazione Architettonica e Interior Design nato dalla passione per il colore e la luce ad opera delle fondatrici Antonella Catarsini e Roberta D’Amico. Il concept di COMANDACOLORE è incentrato sul tema dell’abitare contemporaneo che richiede forme e linguaggi mirati a nuove e più versatili possibilità di uso degli spazi, tenendo sempre in considerazione la caratteristica sia funzionale che emozionale degli stessi.
operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.
-10Generazione F Perché Sanremo è Sanremo! Editoriale di Minnie Luongo
-16Versi Di...versi Grazie dei fior Di Bruno Belletti
-18Versi Di...versi Sono solo canzonette?
Di Bruno Belletti
-20Stile Over Gli Over e Sanremo di Paola Emilia Cicerone
-25Per approfondire
Lo stanco rito di San Scemo martire (nell’accezione etimologica del termine) Di Federico Maderno
-29Da leggere (o rileggere) Chi ha vinto Sanremo? Di Amelia Belloni Sonzogni
-40Da leggere (o rileggere) Un trenino per Sanremo Di Amelia Belloni Sonzogni
-46Food
Mangiare con le mani non è più vietato dal galateo di Paola Emilia Cicerone
Se non ora, quando? Tradotto: se non in occasione di questo numero che ha come fil rouge il Festival di Sanremo, quando togliersi la curiosità di andare a leggere in Rete come nacque il famoso tormentone Perché Sanremo è Sanremo ?
Detto fatto. Risale all’edizione del 1995 (quindi, quasi a 30 anni fa) l’ormai inconfondibile jingle della manifestazione canora. Composta dal direttore d’orchestra Pippo Caruso, venne cantata da Maurizio Lauzi (figlio del geniale Bruno) nella sua prima versione e successivamente da Rudy Neri dei Prefisso. E qui la curiosità, almeno la mia, è più che appagata.
Nelle pagine che seguono troverete contributi di chi detesta il “Festival della Canzone italiana”, di chi gli dà un’occhiata zampettando da un canale all’altro, di chi lo segue sempre. Sta di fatto che ancora in corso la 74a edizione, già si è cominciato a fare previsioni sul direttore artistico del prossimo anno. Perché Sanremo inizia prima di cominciare ufficialmente, e continua anche calato il sipario dell’ultima serata. Fatto di costume, tradizione, “rito” o altro, è indubbio che il Festival faccia ormai parte della nostra storia (magari con la s minuscola) da oltre 70 anni, ovvero prima della nascita della TV (le primissime edizioni furono trasmesse per radio) e quindi… scriviamone.
Il mio rapporto con Sanremo è discontinuo. Alcuni anni lo ignoro, altri lo seguo dall’inizio alla fine di ogni serata, nonostante ultimamente ciascuna duri cinque ore filate.
Accennerò solo a un paio di ricordi. Avevo poco più di nove anni quando sdraiata sul divano di casa mi ero addormentata seguendo Sanremo. Mi risvegliai con una strana sensazione: c’era Mina che cantava un motivo che mi apparve come surreale, sospeso tra la veglia e il sonno che ancora non mi aveva lasciato. In realtà non mi sbagliavo più di tanto: almeno con me gli autori avevano fatto centro col significato del loro brano “Le mille bolle blu”. Leggo infatti: Le bolle creano un’atmosfera fantastica, e i testi descrivono un ambiente onirico ed etereo in cui la cantante vede migliaia di bolle blu fluttuare intorno a lei, mentre si alzano e cadono nel cielo. Il tutto si può interpretare come una rappresentazione dell’amore puro e innocente. Una fuga dalla realtà in uno stato di beatitudine ”. Chissà, forse avrei dovuto fare il critico musicale!
Per chi non lo ricordasse, ecco il testo completo:
Se tu
Chiudi gli occhi
E mi baci
Tu non ci crederai
Ma vedo
Le mille bolle blu
E vanno leggere, vanno
Si rincorrono, salgono
Scendono per il ciel
Blu
Le mille bolle blu
Blu
Le vedo intorno a me
Blu
Le mille bolle blu
Che volano e volano e volano
Blu
Le mille bolle blu
Blu
Mi sento dondolar
Blu
Tra mille bolle blu che danzano
Su grappoli di nuvole
Dentro a me le arpe suonano
Bacio te
E folli immagini
Giungono
Blu
Le mille bolle blu
Blu, le vedo intorno a me
Blu, le mille bolle blu
Che volano, mi chiamano, mi cercano
Amor
Impazzisco di gioia
Se vedo passeggiar
Nel vento, le mille bolle blu
Un bacio, ancora un bacio S’avvicinano
Eccole eccole
Sono qui
Blu
Le mille bolle blu
Blu
Le vedo intorno a me
Bolle
Le mille bolle blu
Che volano e volano e volano
Blu
Le mille bolle blu
Blu
Mi sento dondolar
Blu
Tra mille bolle blu che danzano Su grappoli di nuvole
Dentro a me le arpe suonano
Bacio te
E folli immagini
Giungono
Blu
Le mille bolle blu
Blu, le vedo intorno a me
Blu, le mille bolle blu
Che volano, mi chiamano, mi cercano
E volano, volano...
Nel ciel
Passano pochissimi anni e nel ’64, tredicenne, davanti allo schermo mi innamoro. Perdutamente. Di lui, diciannovenne romano con gli occhi truccati (uno scandalo a quei tempi!), ancora liceale, che canta “Una lacrima sul viso”. E sulle note di questa canzone ballai i miei primi lenti alle feste di pomeriggio a casa di una compagna di scuola, con un quattordicenne biondino dagli occhi azzurri che mi teneva le mani sui fianchi, quasi senza sfiorarli, e col quale- nei tre minuti della durata del 45 giri- non scambiai mai neppure una pa -
rola. Anzi una da parte sua: la famosa “Balli?” e un monosillabo bisbigliato da me: “Sì”. Ma ancora adesso quando sento attaccare le prime note di “Una lacrima sul viso” avverto un conosciuto sfarfallio nella pancia e il ricordo va a Walter B. e al suo “Balli?”. Per inciso: Bobby Solo continua a piacermi, sia pur solo come cantante…
Un’ultima riflessione riguarda il Festival appena concluso e la mia coetanea Loredana Bertè con “Pazza”. Qui a conquistarmi è un verso della canzone in cui mi rifletto come poche volte:
E sono pazza di me
Sì perché mi sono odiata abbastanza
S. Una domanda che continua ad assillarmi: perché nel 1964
Bobby Solo venne squalificato perchè costretto a cantare in playback per via di una faringite che l’aveva colpito, mentre esattamente 20 anni dopo i Queen, superospiti della manifestazione sanremese, furono costretti ad esibirsi in playback? Non ringraziero’ mai abbatanza il genio di Freddie Mercury, che per “sabotare” l’esibizione, tenne volutamente a molta distanza dalla bocca il microfono!
Ma ne avrei tante altre di emozioni legate a Sanremo da ricordare… Perché? Perché Sanremo è Sanremo !
Di Bruno Belletti - autore
Sfavilla il teatro, tappeti di fiori, la musica ondeggia, cantori di sogni, risvolti di vite, reali e mancate. Indugia l’orchestra, rincorre i solisti dei cuori trafitti, artisti impegnati in trame ed orditi di vecchi racconti,
di nuove tensioni. E il ritmo di arterie incalza chi ascolta, interroga anfratti di lande incompiute. Grida, sussulti, parole soffuse, acuti vibranti e la melodia comunque pervade le anime belle e quelle piegate a giorni sommessi.
Di Bruno Belletti-autore
Stelle filanti, come luci d’insegna e musica dentro, solfeggi spaiati a indurre miraggi.
Suoni e parole, meno banali di quanto si creda, a risvegliare sensi riposti, a provocare immota quiete.
Riflessioni e confessioni (spesso inaspettate) di chi davvero non segue il Festival, e nonostante ciò se ne “ricorda” molto. L’autrice spiega i motivi di questa apparente contraddizione… Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica
“ E ora, come faccio?” Confesso che è stato questo il mio primo pensiero, quando ho scoperto che il filo conduttore di questo numero di Generazione Over 60 riguardava la manifestazione canora. Perché io, Sanremo, non lo guardo . E quest’anno una trasferta di lavoro del mio compagno mi ha risparmiato anche l’ultima puntata, che di solito seguo insieme con lui. Non posso dire di non saperne niente, perché molti miei amici commentano sui social e quindi ho visto mise improbabili, ascoltato pronostici e polemiche sulle scarpe di John Travolta, apprezzato il garbo e l’eleganza di Ghali . Però, di tutto questo, ho ascoltato solo il discorso di Allevi: perché in genere se del festival mi piace qualcosa, come Drusilla Foer nel 2022, ha poco
a che vedere con le canzoni in gara. Con qualche eccezione, perché in passato mi è capitato, colpita da una faccia simpatica o da un consiglio particolarmente azzeccato, di trovare qualche brano di mio gradimento, come la mitica Occidentalis Karma di Francesco Gabbani o più di recente L’addio dei Coma Cose .
Ma quest’anno, per ora, non mi ha attirato niente. E ora che la kermesse è archiviata con la vittoria - meritata, per quanto posso capire dai commenti - di Angelina Mango, posso tornare ai miei ricordi e al Sanremo del passato. Perché una volta io, Sanremo, lo guardavo. Anche se non ricordavo che quella che oggi è una fluviale kermesse televisiva, in realtà è nata in radio .
Era il 1951 e il primo vero Sanremo - preceduto nel 1948 da un Festival della Canzone Italiana organizzato alla Capannina di Viareggio - si tenne al Casinò , presentato da Nunzio Filogamo con venti canzoni in gara. Vincitrice con Grazie dei Fior fu Nilla Pizzi, che avrebbe poi stravinto anche l’anno successivo conquistando da sola il podio, un record mai eguagliato, con tre brani, Vola Colomba, Papaveri e papere e Una donna prega
In quegli anni non ero nata, eppure queste canzoni - soprattutto Papaveri e Papere , colonna sonora della mia infanzia - me le ricordo bene. Come ricordo Romantica di Renato Rascel che vinse nel 1960, e Nel blu dipinto di blu , il successo di Modugno del 1958, che ha pochi mesi meno di me ma che ascoltiamo ancora con piacere.
Perché all’epoca le canzoni duravano anni. Tutto era diverso, lo spettacolo non finiva certo alle due di notte e i cantanti si presentavano in abito da sera. Rimpianti? Certo : e scorrendo l’elenco dei vincitori di Sanremo si ritrova nel bene e nel male tutta la musica italiana, da Lucio Battisti ( Un’avventura, sconfitta al Festival nel 1969 e poi destinata alla fama) a Dalla con 4 marzo 1943 (Sanremo 1971) e prima di loro Gigliola Cinquetti, Claudio Villa, Adriano Celentano, Bobby Solo che ricordiamo soprattutto per Una lacrima sul viso , anche se in realtà vinse l’anno successivo con Se piangi se ridi e ancora nel 1969 con Zingara in coppia con Iva Zanicchi . E poi Fausto Leali, Little Tony, Patty Pravo, Orietta Berti, il grande e sfortunato Luigi Tenco e l’altrettanto grande e sfortunata Mia Martini .
E ancora - vado a memoria, con un amarcord assolutamente soggettivo e quindi discrezionale - Caterina Caselli con Nessuno mi può giudicare e poi Nada con Ma che freddo fa - due piccole rivoluzioni - Loretta Goggi con la sempreverde Maledetta primavera , Sergio Endrigo e Vasco Rossi con Una vita spericolata , e tanti altri. Per chi volesse immergersi nei ricordi e costruire una propria classifica Wikipedia propone l’albo d’oro del Festival https://it.wikipedia.org/wiki/Albo_d%27oro_del_Festival_di_Sanremo e una selezione delle 100 canzoni più belle - https://it.m.wikipedia.org/wiki/Le_100_canzoni_pi%C3%B9_belle_del_Festival- in realtà una raccolta di CD realizzati dalla Sony .
Che cosa ci resta di Sanremo? Stamattina ho trovato sui social un elenco delle canzoni che parlano di farmaci – qui il link https://saluteducazione.wordpress.com/2019/05/28/note-e-medicine-quando-le-can -
zoni-parlano-di-farmaci/ – e una riflessione sulle parole usate quest’anno nelle canzoni : che sono 1500, neanche tante . Quella che ricorre più spesso è “non” ma anche “vita “e “amore” se la cavano bene, mentre tra le parole che ricorrono una solta volta, forse non inaspettatamente, c’è “professori” .
Sempre in questi giorni, un’indagine sulle canzoni che mettono allegria ha messo al primo posto Gianni Morandi. E certamente il Gianni nazionale - più per le canzoni del passato che per quelle di oggi - ha un posto nel mio cuore. Anche perché io per la musica allegra ho un debole quasi fisiologico, considerato l’effetto che hanno le note sul mio umore: ci sono canzoni bellissime e amate che ascolto poco proprio per questo motivo. E tra i miei brani preferiti ci sono pezzi musicalmente improbabili come Mamma Maria dei Ricchi e Poveri ma anche canzoni surreali come Mille bolle blu di Mina o A me mi piace vivere alla grande , (Sanremo 1979 ) https://www.youtube.com/watch?v=Yf4Rs_z9yz8 di Franco Fanigliulo, scomparso precocemente e che proprio in questi giorni avrebbe compiuto 80 anni .
Un parterre composito, il mio, che forse dovrebbe farmi guardare con maggior indulgenza ad alcune recenti esibizioni che ora mi paiono francamente improbabili . Ma ci sarà un motivo - intendo, un motivo diverso dal mio decadimento cognitivo - per cui ricordo canzoni degli anni ‘70, o anche precedenti, e non chi ha vinto Sanremo lo scorso anno?
Quando il titolo spiega meglio e di più di quanto potrebbe fare un eventuale sottotitolo. Leggere per credere…
Di Federico Maderno - scrittore
Arriva tutti gli anni. Più puntuale dell’ondata di influenza e per quello non c’è nemmeno il vaccino. Anzi, sembra che ci sia chi non vede l’ora di essere contagiato. Non appena davanti ai calendari s’inizia a pensare di voltare la pagina di gennaio, ecco lì, all’orizzonte, il tristo rituale del Festival della canzone italiana. Anzi, no. Perché l’effetto Sanremo ormai comincia ben prima; come le vendite dei panettoni natalizi, che una volta iniziavano i primi giorni di dicembre ed ora partono da settembre, quando si liberano gli espositori estivi, che contenevano gli ombrelloni e le paperelle gonfiabili. Del Festival successivo si parla addirittura prima che termini l’edizione corrente. Perché bisogna innanzi tutto chiarire chi sarà il Direttore artistico per il prossimo anno. Altrimenti, come si fa ad andare avanti?
Non ci credete? Fate la prova, buon Dio! Provate a digitare su Google: “direttore ar…”; così, nemmeno completando il secondo lemma, e scoprirete che il motore di ricerca vi suggerirà immancabilmente “… tistico Sanremo 2025”. Perché è fondamentale sapere in anticipo chi sarà la persona, probabilmente del tutto incompetente di musica, che si porrà al timone del carrozzone televisivo.
Del resto, anche quest’anno ad organizzare la kermesse sanremese e a decidere quale tra le canzoni fosse degna di gareggiare è stato un signore dal titolo di studio assai coerente con l’evento (sulla rete c’è un po’ di confusione: chi lo chiama geometra, chi ragioniere. Una via di mezzo tra Fantozzi e Calboni, insomma. Quello che pare certo è che è partito come perito agrario, ma poi non è giunto al diploma specifico). Certo, ha avuto una brillante carriera come D.J. e questo gli consente di ricevere, “si dice”, fino a 700.000 euro di compenso, ossia quanto stenta a guadagnare un operaio specializzato in tutta la sua vita e quanto riceve Cecilia Gasdia, Direttrice artistica della fondazione Arena di Verona, in 5 anni di lavoro. Ma lei, oltre ad essere stata una star della lirica, ha un diploma di Liceo classico e due Diplomi decimo anno di Conservatorio; dunque, niente “Fantocci”. “Si dice” che il nostro geometra abbia ricevuto 700.000 euro, perché a quanto pare, al contribuente non è concesso neppure sapere quali siano le spese sostenute dalla Televisione di Stato per questa gioiosa macchina da guerra. Resta un enigma, come quello del perché il Principe dei Savoia ha, a suo tempo, partecipato alla gara. “Misteri italiani!”, direbbe Carlo Lucarelli. Alleghiamo foto di Lucarelli perché per quella del Principe sul palco dell’Ariston, francamente, non ci regge lo stomaco.
E veniamo alla manifestazione vera e propria. Dismessi i panni eleganti e troppo ingessati degli anni ruggenti ed eroici (dall’imbalsamato Nunzio Filogamo alla matronale Nilla Pizzi), il Festival è diventato una mera ricapitolazione di quello che si vede giornalmente e durante tutto l’anno. I cantanti sono gli stessi che passano ossessivamente sui social o che escono dai talent ultra pilotati. Così, mentre tra le giovani promesse femminili si rafforza la mise “maîtresse di bordello” (ma loro risultano assai meno simpatiche di quelle vere) gli uomini puntano più sui tatuaggi e sui piercing che sulla voce. Tutto fa brodo. Ricordati che hai pochi minuti per farti notare e farti votare. La gente ha bisogno di essere sbalordita e la concorrenza è tanta. “Guarda, stupisci! Com’è ridotto quest’uomo per te” diceva il poeta. La canzone? E chi la sta ad ascoltare? Sono finiti gli anni della musica di qualità. Quelli dei Matia Bazar e degli Enrico Ruggeri. Dei Dalla e delle Mina. A Sanremo si vocifera che 19 cantanti su 30 abbiano usato l’autotune, ossia un dispositivo elettronico in grado di rendere intonata anche la vincitrice dell’ultima edizione, e questo mi appare davvero come un miracolo. Oggi, per dire, sembra incredibile ma può provarci anche una come Elodie, che in un Paese musicalmente preparato già verrebbe mal accolta alla sagra della melanzana.
Del resto, la pochezza della cultura musicale nel nostro paese è ben nota e consolidata. Tra i giovani, il numero di quelli che suonano uno strumento musicale è in caduta libera. Accademie musicali e Conservatori stentano a mantenere un livello decente di iscritti, ma in compenso impazzano i rapper biascicanti (Ehi, bro!). Per capire quanto la stessa RAI (ossia lo Stato) tenga poco alla musica in Italia, basti ricordare che fino a una trentina di anni fa erano attive 4 orchestre sinfoniche della televisione nazionale; oggi si stenta a tenerne in vita una. Niente di cui stupirsi, se eminenti Ministri di Governo hanno dichiarato che con l’arte e la cultura non si mangia.
Mauro Sabbione ex pianista dei Matia Bazar e Litfiba al Kolbe di Mestre
Poi, a Sanremo ci sono gli ospiti. Ed anche per quelli, la selezione sa molto di mercato delle vacche (considerare che sono vegano). Una sorta di Foro Boario internazionale. Nel senso che Sua Eccellenza RAI li prende un po’ dove capita. Meglio se dichiaratamente bolsi (per il bollito va bene tutto) o se già impegnati in una tournée europea; perché, in tal modo ed in entrambi i casi, costano meno. Nulla c’entrano, è evidente, con un festival della canzone. Arrivano, fanno due sciocchezze sul palco, e se ne vanno con la loro mazzetta di euro in tasca. Una volta, tra di loro poteva annidarsi qualche cantante vero (nel 1984 costrinsero i Queen a cantare in playback, ma quelli erano appunto gli anni ‘80 e la musica era altra cosa); ora li evitano come la peste e li cacciano via prima che possano far impallidire la straziante produzione nostrana.
Tra gli ospiti italiani c’è sempre qualche cabarettista o presunto tale. Ti aspetti il Mac Rooney di turno o il nuovo George Carl. Uno che sappia far ridere, insomma, che ti stupisca. Invece, vedi arrivare le solite facce. Qualcuno sarebbe perfino decente, con un discreto talento. Ma sono gli stessi che vedi tutti i giorni nei palinsesti. Sai già cosa diranno: è come vedere “Blob” con gli spezzoni montati
e se ti assopisci un attimo e riapri gli occhi rischi di credere che ci sia “Zelig”, sullo schermo. Sanremo è morto: viva Sanremo.
Resta San Scemo. Lui non molla, è tetragono. A volte anche pentagono. Se ne sta lì, davanti alla televisione, a contribuire al costante aumento dei dati d’ascolto, e peccato che ci sia la crisi demografica, altrimenti…! Guarda un po’ le mise dei cantanti, un po’ l’arredo sempre più scialbo del palco. Scrolla il capo, come fa tutti gli anni.
“Quella sembra ingrassata. Lui… Mio Dio com’è invecchiato (è imbolsito, così costa meno n.d.r.)”
Per forza, lei è costantemente a cantare nei reparti alimentari dei supermercati (vedi, sui social, l’ultima vincitrice) o partecipa alla sagra della melanzana. Lui continui a rivederlo nei film di trenta anni fa e quando ti capita davanti live, sembra il nonno dei Bassotti di Topolinia.
Ma non temete, cari appassionati del festival! Il vostro mito non morirà mai. Finché ci saranno giri di soldi e poltrone da assegnare, godrà di ottima salute. La musica un po’ meno; quella buona, del resto, si fa altrove.
Nota finale per la Direttrice della rivista: “Non mi sfidate, su certi argomenti, ché poi divento cattivo e spiacevole”.
Storia di ordinaria amministrazione. Ogni riferimento a fatti e persone è casuale
Di Amelia Belloni Sonzogni – scrittrice
La dottoressa Parpagliuolo entrò nella stanza 404, poggiò la borsa sulla scrivania, appese il cappotto all’appendiabiti e guardò, fuori dalla finestra, il cielo giallognolo milanese, tipico. Sospirò, rimpianse il panorama del golfo di Sorrento, lasciato di recente con un trasferimento “su” che sperava temporaneo. La domanda presentata per tornare “giù” aspettava in un cassetto i tempi tecnici necessari.
Sbadigliò. Aveva fatto tardi la sera prima, davanti alla televisione accesa mentre parlava al telefono con il marito rimasto a Sorrento.
Sentì bussare.
«Avanti» disse .
«Buongiorno, dottoressa . Ho il faldone udienze di oggi» annunciò il cancelliere, fermo sulla soglia . «Buongiorno . Metta pure qui, sulla scrivania . È arrivato l’avvocato Saccolla?»
Il cancelliere depositò il faldone e rispose di non averlo ancora visto ma, per sicurezza, tornò alla soglia a controllare, infilando il collo tra le ante, pesanti e dotate di molla chiudi-porta; se gli fosse scivolata l’anta che teneva aperta con una mano, non lo avrebbe decapitato, ma quasi. Guardò bene, a destra, a sinistra, scrutò nel capannello degli avvocati praticanti fermi di fronte all’ufficio della Parpagliuolo, poi riferì:
«Non c’è, dottoressa Se crede, torno ad avvisarla appena arriva, ché tanto deve passare prima da me per un’altra pratica» .
La Parpagliuolo lo congedò con una smorfia della bocca – labbra sporgenti con angoli in giù, leggero piegamento a sinistra anche della testa – per dire che non era necessario.
«Piuttosto, mi dica – aggiunse mentre scorreva il primo fascicolo del faldone – la signora Tanzini come arriva in tribunale?»
«Credo in ambulanza, dottoressa» .
«Se ne accerti, per favore» e lo congedò
Il cancelliere salutò e uscì. Due passi dopo fu fermato da una coppia, adulti sulla cinquantina, sciupati. «Mi scusi – chiese lui – posso chiederle per favore se siamo nel posto giusto per questa udienza?» e gli mostrò la citazione
Il cancelliere lesse velocemente, accennò di sì e indicò una panca addossata al muro: «Aspettate qui, finché chiamano. La stanza 404 è questa da cui sono uscito».
Roberto e Angela si sedettero, stretti una all’altro, sentendosi due briciole scaraventate lì da qualcuno che dopo pranzo aveva scosso una tovaglia fuori dal balcone. Il corridoio del Palazzo di Giustizia era lungo, largo, alto, spropositato. Sono più o meno tutti simili, i Palazzi di Giustizia in Italia: mastodontici, squadrati, tipica architettura del ventennio, uno spreco di spazio che crea un’impressione di vuoto vacuo, poco consono a quanto sono deputati a tutelare.
Foto Palazzo di Giustizia di Milano Di Davide Oliva
https://www.flickr.com/photos/davideoliva/4062848387/, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=42659750
Angela si alzò; era in tensione e non riusciva a stare ferma, ma muoversi in quello spazio enorme peggiorava il suo stato d’animo; Roberto la teneva d’occhio, pronto a individuare i sintomi delle crisi di panico che avevano ripreso a tormentarla negli ultimi mesi, pronto a intervenire perché si concentrasse sul respiro, per evitare l’esplosione della crisi. Mancava poco: mani fredde, affanno, sguardo agitato che si spostava da un capo all’altro del corridoio.
«Vieni – la prese per mano e gliela scaldò al solo contatto – andiamo a vedere se arriva tua madre» .
Angela lo seguì, verso la rampa dalla quale erano saliti, affacciata su un pianerottolo che pareva una piazza d’armi; su quella, sbarcava anche un ascensore. Si rendeva conto di muoversi come un automa quando avrebbe dovuto avere, invece, il controllo della situazione. Si ripeté di non dover temere nulla, stava agendo per il meglio possibile. E di fronte al giudice le sarebbe bastato spiegarsi per essere compresa, ne era certa: chiunque avrebbe capito. Anche Roberto glielo aveva ripetuto, più volte, più del suo analista. E il certificato medico era già agli atti, insieme con il resoconto dettagliato dell’accaduto.
«Come la devo chiamare, secondo te?» chiese a Roberto . «Chi? Il giudice tutelare?»
«Sì . Come la chiamo : giudice, dottoressa, signora?»
«Non importa, Angela : stai tranquilla; racconta l’accaduto e basta Capito?»
Angela scosse la testa per dire sì, aveva capito e stava tranquilla, ci provava almeno.
«Guarda, è arrivata tua madre»
Distesa sulla barella sotto una coperta, con la schiena sollevata, era avvolta in un giubbotto che Angela non riconobbe come suo; i capelli bianchi in ordine, l’espressione per nulla smarrita, come aveva invece ipotizzato di vedere sul suo volto. Guardava ora l’uno, ora l’altro dei due volontari della Croce Bianca che la spingevano in cerca della stanza 404. Sorrideva ora all’uno, ora all’altro, gli occhi chiari piccoli e puntuti, lanciavano sguardi che si sarebbero potuti dire languidi se la signora Tanzini non fosse stata una cosiddetta “grande anziana”. Aveva anche perso il vezzo o vizio di togliersi una decina di anni abbondante a chi le chiedeva l’età; da qualche tempo si compiaceva di sbandierarla, considerato che le amiche della sua “classe” erano già tutte defunte. E se ne vantava, poi aggiungeva parole di cordoglio.
I volontari si fermarono a chiedere indicazioni a un inserviente che spingeva un carrello carico di faldoni. Uno domandò, l’altro tenne a bada la grande anziana che gli disse, con tono melenso: «Sa che lei assomiglia a un cantante che ho visto ieri sera? Si chiama Pat, Pat Boone e mi ha dedicato la canzone che ha presentato al Festival».
«Ah… – rispose il volontario in modo solo in apparenza evasivo Prestò invece molta attenzione a quello che la signora Tanzini diceva – è un cantante che non conosco, ma quale festival?»
«Di Sanremo ! Certo, lei è giovane, è un cantante degli anni… mah, non mi ricordo quali, passati»
«Però l’ha visto ieri sera, in televisione O no?»
«È bellissimo ! Ha detto che mai mai mai amerà qualcun’altra dopo me, Valentina».
«Quindi, Tina è il diminutivo di Valentina È il suo nome, signora?»
Il volontario diede uno sguardo alla cartella clinica (Tanzini Tina, nessuna traccia di Valentina). Cercò di capire se la grande anziana fosse lucida, se stesse bene, se vaneggiasse e quindi fosse il caso di riportarla in ospedale.
Angela e Roberto approfittarono di quel momento per avvicinarsi.
«Ciao, mamma» disse Angela Ricevette per risposta uno sguardo sprezzante La signora Tanzini si rivolse subito dopo a Roberto :
«Farabutto ! Non la passerai liscia, vedrai» sibilò inviperita
Roberto si allontanò, due passi indietro portando con sé Angela che, sempre più gelata e sudata, aveva stretto la sua mano.
Il volontario rivolse loro un muto sguardo di commiserazione; rispose al cenno del suo collega che lo stava chiamando; farfugliò “scusate” e spinse la barella nel corridoio davanti alla stanza 404. Bussò, la porta si aprì e la dottoressa Parpagliuolo apparve in controluce seduta alla scrivania. A un suo cenno, i volontari infilarono la barella nella stanza e uscirono, mentre, trafelato, con il cappottino striminzito, sbottonato sul completo liso alle ginocchia, la cartella vuota nella mano sinistra, arrivò ed entrò un uomo sulla trentina, piccolo, tondo, pelato.
«Avvocato Saccolla, alla buon’ora! – si sentì la Parpagliuolo esclamare – Almeno il giorno della sua nomina, la puntualità! Non crede?»
La porta si richiuse sulle scuse approntate lì per lì.
Angela e Roberto, che avevano seguito barella e scena, si guardarono. Lei aveva gli occhi lucidi e spaventati.
«Non piangere, non vale la pena» provò a calmarla Roberto «Ancora offese gratuite, insulti, e hai notato lo sguardo?»
«Ci importa? No, non mi scalfisce neanche»
«Perché non puoi entrare con me?»
«Perché solo tu hai titolo per entrare» .
«Lo so, lo so» .
«Si renderanno conto, vedrai . Sarà forse una cosa più lunga di quanto pensiamo, d’altronde devono essere convinti per prendere una decisione . Tu stai tranquilla, mi raccomando : racconta, rimani lucida, senza arrabbiarti» .
«Angela Baldi? È lei, signora? Prego, si accomodi» la invitò la dottoressa Parpagliuolo.
L’avvocato Saccolla era vicino alla barella; teneva una mano sulla spalliera e provava a stare attento sia al giudice, che stava per interrogare la Baldi, sia alla signora Tanzini, che gli parlava in continuazione, bisbigliando:
«Chi le piace? Mi dica, Milva, le piace? Nel più bel sogno ci sei solamente tu… Con quella bocca larga ! E la Berti? Quattro vestiti, quattro colori… ah, no, questa è ancora Milva Ha visto che vestito a strisce, la Berti? Pareva una zebra . Una zebra a pois, me l’ha data il maraja… vecchia canzone di Mina. Ah, Mina! La più brava, secondo me; lei che ne pensa? Le piace o no?»
Saccolla provò a zittirla ad ogni punto interrogativo, ma non ci riuscì. Intanto Angela rispondeva alle domande della Parpagliuolo, ma le risposte gli arrivavano monche.
«Preferisce gli uomini, per caso? Beh, che male c’è . Endrigo, per esempio, secondo me è bravissimo : lontano dagli occhi, lontano dal cuore Oppure quella del tavolo, la conosce? Per fare un tavolo ci vuole il legno, ma poi alla fine ci vuole un fiore . Grazie, dei fior ! Anticaglia dei miei tempi . Oggi c’è più ritmo, più ye-ye, più rock Voglio una vita, spericolata ! Non mi ricordo se l’ha cantata al festival oppure no»
Tina Tanzini continuava a distrarre il Saccolla con citazioni che gli ricordavano qualcosa raccontato dai propri genitori, risaliva a quando loro erano bambini. Lui, il festival di Sanremo, non lo aveva quasi mai visto. Voleva sentire il dialogo tra la Parpagliuolo e la Baldi ma riuscì a coglierne solo una parte:
«Il certificato medico che ha presentato è chiarissimo, signora . Lei di sicuro non è in grado di occuparsi di sua madre in questo momento» .
«Perciò mi sono rivolta a lei . Mia madre non può più stare da sola come pretende; non è più in sé : sembra lucida ma non lo è, le assicuro Ha delle fissazioni, convinzioni su episodi mai accaduti, confonde il presente con il passato, la realtà con la televisione . Le ho scritto tutto nella richiesta agli atti, l’avrà letta; se ne renderà conto anche lei» .
«Dopo esaminerò sua madre . Agli atti ci sono i referti degli specialisti che l’hanno visitata in occasione del ricovero per la frattura del femore Dicono il contrario di quanto lei sostiene»
«Lo so, ero presente; in due minuti cosa possono aver dedotto? Loro non ci hanno vissuto a contatto diretto e quotidiano per una vita intera, non hanno…»
Saccolla fu di nuovo fagocitato dalla grande anziana che mostrava per lui una particolare simpatia. Gli sorrise e gli disse, questa volta:
«Quello lì però, che vuole la vita spericolata, a me non piace tanto, sa? Sembra uno che si lava poco Invece Bobby, Bobby Solo, ah, è bellissimo ! Una lacrima sul viso ha svelato il tuo segreto, dopo tanti e tanti mesi ora so… e poi Domenico Modugno ! Litigavo sempre con mio marito perché a lui non piaceva, diceva che ha la bocca a culo di gallina, ma si può? Però, sa, a mio marito piaceva scherzare e stuzzicare»
La Parpagliuolo lanciò un’occhiataccia di sbieco al Saccolla che provò a far tacere la grande anziana, ma questa proseguì imperterrita, alzando anche il tono della voce:
«Mio marito prendeva sempre in giro tutti, anche mia figlia : litigavano per la Caselli e i complessi beat, tutti quelli che partecipavano al festival, e Claudio Villa ! Oh, su quello si scannavano, per ridere, si intende, lui e mia figlia, quella lì, seduta là» .
E indicò Angela con un cenno del mento.
«La guardi : com’è diventata brutta a stare con quello là, che è rimasto fuori; non ha avuto il coraggio di entrare»
«Non è entrato perché non gli compete – spiegò il Saccolla – e lei signora potrebbe per favore abbassare la voce?»
La grande anziana si mise un dito sulle labbra, a promettere il silenzio, però riprese:
«Ma la vede? Pare una zingara per come è combinata Prendi questa mano, zingara, dimmi pure che destino avròòòòò» .
Saccolla non trovò di meglio che tossire per mascherare il tentativo di acuto; quindi, riprovò a concentrarsi sulla Parpagliuolo che parlava:
«Capisco, signora Baldi; tuttavia, se lei era così sicura di quello che mi ha riferito, che ha scritto nel ricorso al giudice tutelare perché sua madre sia assistita in modo adeguato, avrebbe dovuto presentare un certificato medico anche per sua madre. Perché non l’ha sottoposta a una visita psichiatrica? O anche di uno psicologo».
«E come? Contro la sua volontà? Che valore avrebbe avuto?»
«Ah, nessuno, ovviamente Sua madre doveva essere consenziente, come lo è stata in ospedale» .
Saccolla si sentì tirare per la manica della giacchetta:
«Non ha l’età, non ha l’età per amarlo… sto adattando le parole alla vicenda di quella lì seduta là La canzone è della Cinquetti, ecco sì, la Cinquetti è un tipo che potrebbe piacerle, avvocato, non è vero? Forse un po’ troppo alta per lei, in effetti : sembrereste l’articolo il»
«Signora Tina, guardi – la interruppe Saccolla – il giudice le vuole parlare».
La Parpagliuolo si avvicinò alla barella, sorridendo.
«Ancora? Le ho già detto tutto prima Cosa vuole sapere?» disse la grande anziana guardandola diritto negli occhi, con un’aria di sfida .
«Sa dove si trova, signora?»
«Certo : in tribunale»
«Per quale motivo?»
«Perché lei mi deve aiutare, tutelare»
«In che anno siamo?»
«2011, perché?»
«Mese e giorno?»
«Febbraio, il mese di Sanremo ! »
«E il giorno?»
Tina Tanzini ebbe un momento di esitazione. Angela sperò che fosse un primo indizio utile a far vacillare le certezze del giudice. La Parpagliuolo invece aveva sorriso condiscendente e continuava a sorridere per non mettere in difficoltà la grande anziana. Dato che il giorno pareva non affiorare alla memoria, cambiò tattica: «Tra poco lei finirà la riabilitazione; come si sente, signora?»
«Bene ! »
«Come pensa di riprendere la sua vita e le sue abituali occupazioni?»
«Torno a casa mia, finalmente»
«Sì, ma per qualche tempo non potrà ancora camminare, le serve un aiuto»
«Non credo proprio, ho sempre fatto da me; alla peggio, chiamo qualcuno» .
«Se invece, per questa volta, decidessi di farla aiutare da una persona?»
La grande anziana parve incerta, non seppe rispondere con prontezza; Angela sperò che la Parpagliuolo vi prestasse attenzione. E cosa stava bisbigliando il Saccolla con sua madre?
La grande anziana d’un tratto disse: «Oggi è il 20 febbraio» e poco dopo: «No, aspetti: il 21, oggi è il 21 febbraio». Guardò riconoscente il Saccolla che guardò la Parpagliuolo che riprese:
«Esatto, signora Tina, oggi è il 21 febbraio . E si ricorda cosa ha fatto ieri sera?»
«Certo : ho guardato alla televisione il Festival di Sanremo . E lei, l’ha guardato?»
«Avevo la televisione accesa, però non guardavo niente . Ma ieri sera era domenica . Sicura che ci fosse il festival?»
La grande anziana e il Saccolla si scambiarono uno sguardo breve ma intenso.
«Mi sono sbagliata, era sabato, l’altro ieri, ieri l’altro . Dura un po’ di giorni» .
«Ah, ecco, mi sembrava . E non so neppure chi ha vinto» .
«Lo so io ! » esclamò la grande anziana, con aria gioiosa .
La Parpagliuolo formulò la domanda quasi ridendo, quasi sorpresa di se stessa:
«Chi ha vinto Sanremo?»
Ci fu un momento di silenzio, poi arrivò la risposta:
«Un vecchio, no aspetti, Vecchioni»
«Ah, bene . Ascolti, signora Tanzini, cosa ne dice se decido di affidarla all’avvocato Saccolla che sarà il suo sostegno, fino a quando si rimette in piedi?»
La signora Tanzini, sorridente e con un certo languore negli occhi, guardò il Saccolla, poi canticchiò: Angelo, prenditi cura di me.
Saccolla la rassicurò, aprì la porta e chiamò i volontari. La Parpagliuolo salutò la grande anziana precisando che poteva in qualsiasi momento ricorrere a lei, congedò Angela in modo sbrigativo e si sedette alla scrivania. Prese la penna, firmò e chiuse il fascicolo.
Il casinò di Sanremo, prima sede del Festival, foto di Jordiferrer – Opera propria, CCBY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=50990705
Per la cifra di euro seimila annui più rimborso spese a carico dell’assistita, il giudice tutelare Clementina Parpagliuolo nominò l’avvocato Maurizio Saccolla amministratore di sostegno della signora Tina Tanzini, che – si lesse nella disposizione – si era mostrata bene orientata nel tempo e nello spazio, in grado di capire cosa le si stava chiedendo e aveva fornito risposte pronte e pertinenti, ricordando particolari di un certo rilievo. Da rivedere tra un anno, dopo il festival di Sanremo.
Giovani professori di belle speranze, nel tragitto casa – scuola, il giorno dopo Sanremo. Da un’idea di F.N. liberamente interpretata Di Amelia Belloni Sonzogni – scrittrice
Il trenino Di Moliva – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10437799
Tre colleghi, ex compagni di liceo, viaggiano insieme ogni mattina da Milano a Limbiate. Hanno partecipato ai concorsi per insegnare lettere nella scuola media e si sono ritrovati nello stesso istituto.
Artemio Guidotti , filosofo, è risultato primo in tutte le graduatorie di tutti i concorsi ai quali ha partecipato. Metodo e rigore, scrupolo e studio sono i suoi imperativi morali. Ha un ricco mondo interiore che non mostra a nessuno.
Francesco Nasello , anch’egli filosofo, ha invece una grande empatia con il prossimo; è arguto, simpatico, con uno spiccato senso dell’ironia con il quale coglie il lato divertente delle situazioni.
Alma Bini Sebretti (un cognome solo, due parole, antica nobiltà) unica ancora precaria dei tre, storica,
aspira a diventare una ricercatrice di ruolo perciò collabora – cioè, fa volontariato gratuito – con il proprio relatore . A questo scopo, necessita del lunedì come giorno libero settimanale, ma al primo incarico ha preso quel che c’era
Si trovano ogni mattina in via Carlo Farini, alla fermata del tram per Limbiate, tram che tutti chiamano trenino . Il tragitto è lungo ma i tre riescono ad arrivare a scuola prima che suoni la campanella. Con loro viaggia di solito anche un amante, molto amante, fanatico della geografia, Gherardo Stallone, che Alma ha scoperto essere stato un alunno di sua madre alle elementari: è un tipo strano, a dir poco umbratile, di certo misantropo, forse misogino. Infatti, quando gli capita di viaggiare con Orsolina Manieri, una collega che sale un paio di fermate più avanti, è capace di ignorarne i maldestri tentativi di intavolare una chiacchierata e tace, ostinato, per tutto il tragitto, costringendo lei pure al silenzio più ingessato.
È l’11 febbraio 1985 .
Alma detesta arrivare in ritardo, quindi è sempre in abbondante anticipo. Nei tempi morti dell’attesa le scappa talvolta qualche considerazione a mezza voce.
«Pensare che, quando andavamo a scuola noi, oggi sarebbe stato un giorno di vacanza . Invece siamo qui, al freddo ! Mancano almeno venti minuti alle sette e un quarto, uffa» . Borbotta infilata nel bavero, che tiene stretto al collo con le mani guantate, il vapore caldo dello sbuffo esce dalla pelliccia È finta, acquistata in saldo in un negozio di Porta Romana dove mai avrebbe comprato neppure un calzino . Non ha ancora capito se le piace o no, di sicuro è calda, adatta a questo inverno gelido, nevoso, sempre più insopportabile . Dopo la nevicata memorabile di gennaio e tre giorni di pioggia, Milano è avvolta da un bel nebbione, dal quale sbuca – ma non lo vede – uno dei suoi compagni di viaggio . Con il bavero alzato, gli occhiali gelati, un cappello tirolese ben calcato sulla fronte e il naso pronunciato tutto rosso, la fa sobbalzare:
«Ma cosa fai, parli da sola, adesso?»
«Francesco, che spavento ! »
«Oh, ma che schianto, che top model, che capo da sfilata ! »
«È troppo vistosa, vero?»
Francesco esita. In realtà, la palandrana gli pare estranea all’abituale sobrietà di Alma, quindi cambia discorso:
«Per cosa ti stavi lamentando?»
«Ma cosa fai, mi leggi nel pensiero? Pensavo : tempo fa si stava a casa nell’anniversario della Conciliazione» «Vero ! »
«Da quando ho iniziato a insegnare, uno alla volta, sono spariti tutti i presunti vantaggi . Meglio che non ci pensi . Hai visto? La pioggia ha sciolto i resti della nevicata epocale ! Quei mucchi di neve nerastra a bordo marciapiede erano proprio orrendi»
Il trenino bloccato dalla neve di Marco Lambruschi da wikipedia
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10436184
«In effetti, stonavano con il tuo aristocratico piedino…».
«Spiritoso! Il mio aristocratico piedino in questo momento è freddo gelato. Arrivasse almeno il tram! Guarda, arriva Artemio, invece».
«Dove lo vedi? Con questa nebbia… ah, eccolo. Ciao. Gherardo non c’è?»
«Ciao. L’ho aspettato alla fermata della 92, ma poi temevo di perdere il trenino e non ho atteso oltre. Come state?»
«Bene, sì, bene; io ho passato la domenica a correggere temi».
«Io ho cercato di sopravvivere al freddo: si è rotta la caldaia condominiale; con la prova orale di filosofia da preparare, è stata una tortura stare ferma a studiare».
«Avrai modo di scaldarti a scuola…».
«Eh, ridi, ridi, Nasello. Vorrei vedere te, mentre rincorri un alunno per i corridoi!»
«Appunto, ti tieni in formissima. Sei un figurino».
«Unico vantaggio di questo incarico! Va bene un anno di servizio, stipendio e punteggio, ma almeno fatemi fare quello per cui ho studiato, non l’insegnante di sostegno. Ci vorrebbe per me, il sostegno… Mah!»
«Se ti servono appunti per il concorso, ti passo i miei».
«Grazie, Artemio. Li accetto molto volentieri».
«Te li porto domani».
«Supererai anche questo e il prossimo anno avrai la tua cattedra, sono sicuro».
«Dici sul serio, Francesco?»
«Certo! Non sto scherzando: sono profondamente convinto delle tue aristocratiche capacità». Ride Francesco, sotto le falde del copricapo tirolese; la stuzzica, ma dice sul serio e lei lo sa: «Va beh, lasciamo perdere. Arriva il trenino. Era ora».
«Sediamoci qui, c’è posto anche per la Maniero, quando salirà» .
«Vedi Artemio, com’è premuroso Francesco . Perché fai quella faccia?»
«Non la capisco : la Maniero non articola le parole, parla a bocca chiusa» .
«È un po’ chiusa, in effetti . Alla prossima fermata salirà anche “Non solo moda”» .
Non solo moda, rotocalco televisivo Di Diablos screenshot, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3188651
Artemio Guidotti sorride per il soprannome appioppato da Francesco Nasello a una signora non proprio elegante che prende spesso la stessa corsa e guarda fuori per individuarla alla fermata, ma il finestrino è appannato e desiste. Alma è impaziente di vederla:
«Come sarà abbigliata oggi? Magari avrà preso spunto dalle toilettes da sera del Festival . A proposito, l’avete visto? Perché ridi, Francesco?»
«Per l’espressione di Artemio ! »
Sembra infatti che abbia sentito un improvviso fetore ma al tempo stesso sia curioso di scoprirne l’origine:
«Non mi vorrete dire che l’avete seguito, tutto? ! »
«Sono stata obbligata ! A casa mia, con mia madre incollata al televisore, non si è potuto vedere altro» .
«A me interessa come fenomeno di costume . Penso abbia una sua filosofia, e tu, Artemio, mi sei maestro in materia» .
«Preferisco leggere Sto lavorando a un nuovo saggio su Jean Meslier»
«Potremmo unire le nostre forze, però…»
Il discorso lasciato in sospeso da Francesco solletica la curiosità degli altri due, che domandano all’unisono: «Per cosa?»
«Per un bell’articolo a sei mani: “Pensiero e storicità del festival di Sanremo”. Suona bene, o no? Suona, Sanremo…». Muove pollice e indice per sottolineare la freddura che lascia tutti più freddi che pria . Alma esclama:
«Eccola : sta salendo “Non solo moda”»
«Pensavo peggio ! » si distrae Artemio dalle proprie riflessioni .
«Per forza, a parte il berretto di lana all’uncinetto, è tutta imbacuccata nel cappotto; non si vede nulla di quanto c’è sotto» .
Francesco lancia il sottinteso ad Artemio che non coglie, forse, non si sa.
Alma vede la Manieri in cerca di un posto a sedere e la chiama sventolando una mano sulle teste degli amici:
«Orsolina ! Siamo qui, Nasello ti ha tenuto il posto ! (Ahi, che gomitata ! )»
«Ma ben gentile ! Buongiorno, colleghi Posso sedere teco, Francesco?»
«Certo, accomodati . Stavamo parlando del Festival di Sanremo . L’hai visto?»
Orsolina Manieri sbianca e, mentre il trenino riprende la corsa, perde l’equilibrio: in un attimo, vola sul sedile, senza riuscire a controllare le gambette secche che non arrivano, neanche con la punta delle scarpe, a toccare il pavimento gommato del mezzo e vanno per aria, con scompiglio della gonna e affanno di Orsolina che prova a coprirsi.
«Ti senti bene?» le chiede Artemio, premuroso . Gli altri due faticano a restare seri .
Integerrima, claustrale, il sorriso raro e tirato, sempre a denti stretti, Orsolina è davvero un esempio di omen nomen . Fatica a trattenere l’indignazione suscitata dalla domanda (Ovvio che non – e sottolinea non – lo ha
visto, il festival! Orrore! Come possono persino domandarglielo?) ma soprattutto dalla scoperta che quei suoi colleghi, quelli che stimava così tanto, con i quali poteva pensare di intavolare dialoghi sui massimi sistemi considerate le rispettive competenze, proprio loro, di cosa discutevano il lunedì mattina prima delle lezioni? Di uno spettacolo televisivo futile, legato alle scommesse del Totip, quindi a chissà quali intrallazzi, con quelle canzoni insulse, eppure vincenti: come si fa a dire “se mi innamoro, sarà di te”? Che fai, ti innamori a comando? E quella tappetta (Orsolina pativa molto a osservare negli altri la sua stessa caratteristica bassa statura) che canta senza stare mai ferma, pare un grillo impazzito. E l’energia felice che le sprizza dagli occhi e da tutto il corpo quando canta? Fastidiosa. Una nullità, al confronto con i Duran Duran: mostri sacri della nuova discografia, oggetto di scene di fanatismo che le ricordavano quelle per i Beatles osservate da giovinetta. Forse (e sottolinea forse) poteva apprezzare qualcosina di quel Mango che ha vinto il premio della critica ma non è neppure arrivato all’ultima serata, a riprova del fatto che il pubblico italiano medio non capisce un accidente. Per non parlare poi della scenografia: pareva di stare sopra un’astronave. Il secondo classificato, ma non sembrava uno dei loro alunni? Ragazzo di oggi… poveri noi.
Artemio, Alma e Francesco si guardano allibiti. Mai, nei mesi di conoscenza, per quanto pochi, l’hanno sentita parlare in modo così esplicito, con una così chiara articolazione di sillabe e parole, tanto da aver compreso tutto il detto e anche il non detto . È Francesco ad azzardare un commento, a mezza voce («Per fortuna non lo ha visto») che Orsolina però non coglie e riprende:
«Tuttavia, almeno ha una voce meno nasale di quello della Terra promessa dell’anno scorso . E anche Al Bano, volete mettere che do di petto?»
«Volete mettere Freddie Mercury e i Queen? Radio Ga Ga, radio Gu Gu»
Su questo strabiliante e inaspettato appunto canterino di Artemio – sì, proprio lui, il rigoroso filosofo – il trenino giunge a Sanremo, cioè no, a Limbiate.
Capolinea, si scende.
La campanella suona.
Alma e Francesco si avviano a passo veloce verso la scuola poco distante dalla fermata.
«Donne, du du du» intona Francesco .
«In cerca di guai» continua Alma
«Donne al telefono…» ribatte Francesco
«Che non suona mai…» risponde Alma, pensando al suo ultimo amore perduto
Orsolina e Artemio li seguono a ruota. Artemio adegua il passo a quello breve di lei; pare abbiano trovato il modo per comprendersi: una serata davanti alla televisione, insospettabile per entrambi, forse li ha avvicinati. Gli sguardi risuonano sulle note di Wagner, lei sogna di essere Elsa che attende Lohengrin in arrivo dal mare a cavallo del cigno. Tuttavia, gli sguardi sono muti e tali resteranno. La magia del Festival è terminata.
Nel saggio “Elogio del mangiare con le mani” Allan Bay, storico e critico della gastronomia, ci spiega perché
Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica
“Non mangiare con le mani!” Per molti di noi è stato questo l’imperativo che ci inseguiva quando da bambini allungavamo la mano verso un piatto di pasta o una coscia di pollo . Eppure, è inevitabile ammetterlo, mangiare con le mani dà soddisfazione. Anche perché, naturalmente, fa parte della nostra storia e ci riporta al passato. Come racconta Allan Bay , https://allanbay.it/ storico e critico della gastronomia, nel suo ultimo saggio Elogio del mangiare con le mani (ll Saggiatore 2024).
Come è ovvio ci sono alimenti, pensiamo ai biscotti o alle patatine chips, per cui nessuno si sognerebbe di usare le posate, e altri come le minestre in brodo che lo rendono inevitabile. Ma quello che succede nel mezzo è tutta questione di cultura, storia e galateo. E nel suo libro Bay propone un’ampia ricostruzione storica che non comprende solo la storia delle posate ma anche quella della cucina - fin dalle prime attestazioni che risalgono alle civiltà della Mesopotamia - e di alcuni alimenti . Scopriamo così che la forchetta è stata inventata in Cina, dove è stata poi sostituita da più economiche bacchette, e che in Europa si è diffusa dal Rinascimento: tra i nobili, perché per i ceti popolari la consuetudine di mangiare con le mani, aiutandosi al massimo con un coltello o un cucchiaio, è proseguita a lungo. E anche le forchette si sono evolute per rendere più agevole mangiare gli spaghetti che per secoli, ricorda Bay, sono stati afferrati con le mani come fa Totò nel film Miseria e Nobilità
Lo stesso vale per la pizza, e d’altronde tutto quello che oggi si chiama street food è in gran parte fatto di alimenti che si possono mangiare con le mani, magari scottandosi un po’ le dita: crocchette, supplì, panzerotti e panini di ogni tipo .
Mangiare con le mani ci permette di coinvolgere tutti i sensi, incluso il tatto, spiega Bay, e in qualche modo il cibo così ci sembra migliore . Tanto che in molti paesi è tuttora consuetudine mangiare con le mani: in Medio Oriente e Africa settentrionale, ricorda l’autore, il cibo si consuma spesso da un piatto comune, con pollice indice e medio della mano destra riuniti a formare una sorta di pinza; altrove ci si aiuta magari con un pane sottile come l’ injera o si gusta cibo porzionato alla bisogna come il sushi.
Perché, bisogna ammetterlo, a noi mangiare con le mani piace, regala soddisfazione, e forse un piccolissimo senso di trasgressione . Anche una delle mie nonne, signora borghese cresciuta all’alba del ‘900, amava citare, ogni volta che in tavola compariva un pollo arrosto, una battuta che rievocava vecchi amici di famiglia: “lo disse il Galli, lo confermò il Taviani/ come l’è bono il pollo, mangiato con le mani”. E Bay ci incita a trasgredire proponendo addirittura - chi ci avrebbe pensato?- di mangiare con le mani il panettone, non afferrandone con le dita una fetta come facciamo di solito, ma proprio affondando le mani nel dolce e facendolo a brani per poi passarselo l’un l’altro come in un rito arcaico. È successo durante un incontro con alcuni giornalisti. E avendo partecipato, devo ammettere che dopo l’iniziale imbarazzo l’esperienza è stata divertente e di grande soddisfazione (anche perché il panettone era davvero buono) .
Per chi vuol addentrarsi nelle delizie del cibo da mangiare con le mani, il libro di Bay propone decine di spunti, esotici e nostrani, dai più ovvi ai più azzardati: ci sono spiedini di costine di capra e frittelle di cotenna di maiale, ma anche blinis con caviale, pinzimonio, fish and chips e crocchette di ogni tipo con ricche salse di accompagnamento. Oltre ad alimenti che ci sembrano difficili da mangiare con le mani – ma l’autore invita a provare - come cotechini, insalate o bollito misto. E se le mani si sporcano? Se l’etichetta lo consente, azzarda l’autore, ”succhiarsi le dita è un godimento puro”, altrimenti si può ricorrere alle salviettine profumate o alle coppette lavadita.
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