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Testata giornalistica registrata
presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 6, n.3
“Amoglianimali”
Bellezza
Da leggere (o rileggere)
Da vedere/ascoltare
Di tutto e niente
Il desco dei Gourmet
Il personaggio
Il tempo della Grande Mela
Comandacolore
Incursioni
In forma
In movimento
Lavori in corso
Primo piano
Salute
Scienza
Sessualità
Stile Over
Volontariato & Associazioni
Minnie Luongo
Marco Rossi
Alessandro Littara
Antonino Di Pietro
Mauro Cervia
Andrea Tomasini
Paola Emilia Cicerone
Flavia Caroppo
Marco Vittorio Ranzoni
Giovanni Paolo Magistri
Maria Teresa Ruta
Attilio Ortolani
Sito web: https://generazioneover60.com/
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Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).
Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”.
Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60.
Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.
DOTTOR MARCO ROSSI SESSUOLOGO E PSICHIATRA
è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P.
Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.
DOTTOR ALESSANDRO LITTARA ANDROLOGO E CHIRURGO
è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo
PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO DERMATOLOGO PLASTICO presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).
DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO
è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.
ANDREA TOMASINI GIORNALISTA SCIENTIFICO
giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.
PAOLA EMILIA CICERONE GIORNALISTA SCIENTIFICA
classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica
Tai Chi Chuan e meditazione.
Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.
FLAVIA CAROPPO GIORNALISTA E AMBASCIATRICE DELLA
CUCINA ITALIANA A NEW YORK
Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie
MARCO VITTORIO RANZONI GIORNALISTA
Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.
COMANDACOLORE è uno Studio di Progettazione Architettonica e Interior Design nato dalla passione per il colore e la luce ad opera delle fondatrici Antonella Catarsini e Roberta D’Amico. Il concept di COMANDACOLORE è incentrato sul tema dell’abitare contemporaneo che richiede forme e linguaggi mirati a nuove e più versatili possibilità di uso degli spazi, tenendo sempre in considerazione la caratteristica sia funzionale che emozionale degli stessi.
MONICA SANSONE VIDEOMAKER
operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.
-10-
Generazione F
Un editoriale bonsai che ognuno può interpretare a modo suo Editoriale di Minnie Luongo
-11-
Foto d’autore
L’importanza dell’elasticità di Francesco Bellesia
-13-
Stile Over
I GRANDI VECCHI di Paola Emilia Cicerone
-17-
Da vedere
Il magico potere dei gelsi Di Amelia Belloni Sonzogni
-26-
Il personaggio
Pino D’Angiò, ma che idea geniale rinascere! di Alessandro Paola Schiavi
-29-
Versi Di...versi
Se non avessi i sogni
Di Bruno Belletti
-31-
Versi Di...versi
All you can love
Di Bruno Belletti
-33-
Da leggere (o rileggere)
Stallo alla messicana
Di Federico Maderno
-38Benessere
Cos’é il microbiota intestinale? E come agisce per il nostro benessere?
dalla Redazione
Questo mese abbiamo deciso, per la seconda volta in più di cinque anni, di fare un numero a tema libero. Perché non approfittare allora per scrivere un Editoriale bonsai ? Il motivo? Con la primavera la pigrizia la fa da padrona, e io non mi sottraggo certo a questa indolenza stagionale.
Ciò non esclude che la sinteticità possa venirmi in auto per il mio Editoriale. Meglio di tante sbrodolate per arrivare al punto. In questo caso volevo scrivere della poesia più breve mai scritta finora. La dobbiamo ad Aram Saroyan, che entra nel Guinness dei Primati con una poesia che non si può scrivere con nessun alfabeto. È una sola lettera, una “m” con una stanghetta in più, che si può (forse) leggere come “i’m”, ossia “io sono”. Siamo al minimalismo poetico.
L’autore , classe 1943, l’ha realizzata nel 1965 . Non è possibile scriverla al computer, perchè si basa su un carattere inventato e illeggibile, una specie di m con una stanghetta in più, una sorta di doppia n attaccata, che è circa così:
<nn>
Secondo alcuni sarebbe solo una provocazione, secondo altri un atto di creazione di un alfabeto nuovo, altri ancora vedono nel carattere inventato un “i’m” nascosto, ovvero un “io sono”, una sorta di grido esistenzialista dell’uomo nell’universo.
Come sia non lo sappiamo davvero, ma io l’ho scelta senza esitazione per introdurre il numero di marzo di generazione Over 60. Yes, <nn>.
“Anatomy… Sotto la pelle si possono trovare delle sorprese. Essere elastici: un segreto importante e utile nella vita!” Foto e commento di Francesco Bellesia
Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita.
Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt.
Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti.
Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.
Sempre più longevi, sempre più sani: come cambia la percezione dell’età nel nuovo millennio
Di Paola Emilia Cicerone- giornalista scientifica
Foto Unsplash (Artyom Kabajev)
Se Dante fosse un nostro contemporaneo, dovrebbe cambiare il celebre incipit della sua Commedia : perché i trentacinque anni non sono più, come ai suoi tempi, il “mezzo del cammin di nostra vita”. Soprattutto in Italia, visto che siamo uno dei paesi più longevi del mondo: nonostante i disastri provocati dal Covid, le italiane hanno oggi un’aspettativa di vita media di 84,8 anni, mentre gli uomini superano gli 80. Ma la vera novità sono i grandi vecchi. Ci sono sempre stati - non dimentichiamo che Goethe scrisse il Faust a 80 anni e alla stessa età Verdi musicò il Falstaff - ma oggi i novantenni non sono più una rarità, e anche gli ultracentenari, e soprattutto le ultracentenarie, sono sempre più numerosi. Gli over 100 in Italia sono 22mila, con un incremento dell’80% rispetto ai primi anni 2000. E i grandi anziani di oggi sono assai più in forma dei loro coetanei di qualche decennio fa. Da bambina ho conosciuto due bisnonni over 90, la nonna Emilia e il
nonno Giuseppe. Decisamente fragile anche se lucida la prima, mentre per quanto riguarda il bisnonno ho il ricordo di un signore energico e magrissimo, comunque in grado di imporsi in famiglia grazie a un leggendario caratteraccio. Niente a che vedere, in ogni caso, con i novantenni che ho sott’occhio oggi: la prima che mi viene in mente è un’adorabile zia acquisita - classe 1933 - che incontro nelle mie passeggiate fiorentine, riscoprendo un legame che mi è stato assai caro quando ero bambina. Quando l’ho rivista, dopo anni, ho faticato a conciliare con la mia idea di “signora anziana” la gradevole figuretta in jeans e camicetta a fiori che mi trovavo davanti, e solo pochi giorni fa, sentendola spiegare al ragazzo filippino che le dà una mano in casa cosa io facessi di lavoro, mi sono resa conto che -nonostante le difficoltà di spiegare internet e i social a chi non li ha mai usati - in qualche modo se ne è fatta un’idea piuttosto realistica. Ma il recordman è il papà del mio compagno, un arzillo novantasettenne che è un vero personaggio nel quartiere milanese dove abita e volentieri passeggia nelle belle giornate, tanto da essersi ritrovato protagonista di varie storie Instagram proprio per la sua voglia di comunicare e raccontare aneddoti e curiosità a ogni interlocutore gentile.
A livello demografico, storie come queste ci suggeriscono di modificare la nostra prospettiva di vita. Mentre demografi e amministratori pubblici si preoccupano delle difficoltà di gestire una società sempre più anziana, noi cominciamo a renderci conto che, all’età in cui fino a pochi anni fa ci si rassegnava a guardare nostalgicamente indietro, può aver senso cominciare a fare progetti per i venti o più anni che ci aspettano se va tutto bene.
Un grosso “se”, perché le malattie croniche sono un problema a livello sia individuale che sociale, viste le difficoltà che attraversa il nostro Servizio Sanitario Nazionale Anche per questo, in tutto il mondo si studiano gli ultracentenari per capire quali sono gli elementi che aiutano non solo a invecchiare, ma a invecchiare bene : sono state identificate così le Blue Zones , aree demografiche in cui la concentrazione di ultracentenari è particolarmente alta. ( www.bluezones.com/ ). Il concetto è nato nel nostro paese, dallo studio di quella che sarebbe diventata la prima Zona Blu, le aree interne della Sardegna, in particolare in provincia di Nuoro. Ne sono poi state aggiunte altre: l’isola di Okinawa in Giappone, la penisola di Nicoya in Costa Rica, l’Isola di Icaria in Grecia e le comunità avventiste di Loma Linda in California. Comunità molto
diverse una dall’altra con alcuni punti in comune: una dieta ricca di vegetali e soprattutto di legumi, un’attività fisica moderata ma costante e una solida rete sociale che permette di sentirsi utili e attivi anche in tarda età. Tutte indicazioni che può essere utile seguire: “A chi mi chiede una pillola magica per non invecchiare, spiego che quella pillola esiste, e si chiama attività fisica: fare un po’ di movimento, anche una piccola passeggiata ma tutti i giorni, è il miglior regalo che possiamo fare a noi stessi”, spiega Luigi Ferrucci, geriatra italiano - tra gli ideatori di quello studio InCHIANTI che ha confermato l’efficacia della dieta mediterranea - oggi direttore scientifico del National Institute on Aging statunitense, arrivato a Milano per partecipare al Longevity Summit sui progressi degli studi sull’invecchiamento Anche la geriatria ha cambiato rotta, oggi l’obiettivo non è tanto vivere di più, quanto aumentare gli anni vissuti in salute : sempre più spesso ci rendiamo conto che l’età biologica non va di pari passo con l’età anagrafica, e i progressi della medicina ci aiutano a identificare i fattori biologici che rallentano o accelerano l’invecchiamento Anzi, si sta scoprendo che le malattie che ci affliggono in età matura, prime fra tutte le demenze, nascono proprio dal processo che chiamiamo invecchiamento Quello che speriamo tutti è che conoscere meglio questi meccanismi possa aiutarci a rimanere in forma più a lungo .
Intervista a Margherita Bialetti, pittrice. «Il paesaggio e l’anima» è il titolo della sua mostra, aperta a Milano fino al prossimo 28 marzo nei locali della Fondazione Antroposofica Milanese, in via Vasto, 4 di Amelia Belloni Sonzogni - scrittrice
Sono stati i gelsi a conquistarmi: appena li ho visti, identici a quelli impressi nella memoria, robusti e spogli, monchi dei rami, il freddo della neve sulle radici come non accade più, l’acqua delle rogge, delle marcite intorno a dissetarli, mi hanno riportato nell’atmosfera atavica della Bassa , la stessa che ho provato a ricreare in un racconto ( Il gelso bianco, appunto) che è stata la mia prima narrazione compiuta; l’ho scritto nel momento doloroso di un’assenza incolmabile, nel quale questo preciso ambiente, patria e casa della mia famiglia d’origine, mi ha avvolto e consolato . Si tratta del lodigiano, diverso ma non dissimile
dalla Lomellina nel paesaggio con le rogge che aprono la campagna, i filari di pioppi, le cascine in apparenza immote, ricche di vita operosa nascosta, protetta, salvaguardata al loro interno, eppure possibile preda delle piene dei fiumi che delimitano e contengono il territorio .
Proprio come se potessimo passeggiare insieme lungo una roggia, accanto a queste piante generose, mi piace pensare di rivolgere a Margherita Bialetti le domande che spero riescano a indurre una conoscenza più approfondita della sua opera e dell’autrice.
Le do il benvenuto, dunque, e la ringrazio per aver accettato di raccontarsi sulle pagine di Generazione Over60, in particolare di essersi affidata alle mie parole. Spero di essere all’altezza.
Nel video che la riprende alla presentazione di una sua esposizione del 2017 1 , ho sentito il presentatore sottolineare il suo spirito di ragazza e il desiderio di autopromuoversi . Da un lato comprendo di cosa parla, perché spesso devo pensare alla mia data di nascita per convincermi di non avere più sedici anni; tuttavia, capita a volte di lasciarsi prendere dallo sconforto, dal desiderio della rinuncia . Perciò le domando : come si riesce a mantenere viva la voglia di essere protagonisti?
Devo dire che io non ho proprio nessun desiderio di protagonismo, e neanche di autopropormi o di autoesaltarmi. Assolutamente queste cose non le sento. La mia pittura è un impulso naturale che mi viene senza nessun desiderio di protagonismo: è piuttosto la voglia di esaltare questo mio territorio nel quale sono nata e sono vissuta, al quale mi sento legata. Se qualcosa ho voluto esaltare, è il mio territorio.
Risaia a Ferrera
Scorrendo la sua biografia, appare evidente che la culla culturale in cui è stata nutrita era naturalmente ricca, feconda di stimoli storicamente rilevanti sia nell’ambiente artistico di Mede – Pavia – Milano, sia e soprattutto nell’ambito familiare. Ci racconta qualcosa dei suoi mentori? Mi riferisco a suo papà, ai suoi zii, ai suoi insegnanti.
L’ambiente famigliare è stato determinante: fin da piccola ho vissuto in un ambiente artistico con papà decoratore [Carlo Bialetti], lo zio scultore [Felice Bialetti] la cui personalità geniale era ancora presente benché prematuramente scomparso, e soprattutto lo zio pittore dal quale ho imparato molto [Ferdinando Bialetti]. Uscivo con lui a dipingere “en plein air” e ho appreso moltissimo da questa esperienza.
Poi ho continuato per conto mio, venendo a Milano, studiando con il prof. Giuseppe Ornati e con il prof. Cesare Fratino, che insegnava arte dei giardini alla Statale e sopra all’arcata della Galleria aveva lo studio che si affacciava da una parte sulla Galleria, dall’altra sulla piazza della Scala. Molti pittori di quel periodo venivano lì e conversavano con noi.
Ho partecipato attivamente alla vita sociale della Famiglia Artistica Milanese e della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, nel “mitico” corso Garibaldi, 6 – casa di ringhiera con tanti studi di artisti. Sono state molto importanti per me: ho esposto in collettive e anche in una personale.
Poi ho continuato a dipingere, per conto mio, anche dopo che mi sono sposata: ho continuato, fin che ho potuto, più che ho potuto, come ancora faccio.
La scenografia del veglione “Novecento” realizzata da suo padre Carlo mi pare abbia accenti futuristi, o sbaglio?
Non sbaglia. Fin da quando era a Milano a lavorare, papà ha sviluppato la decorazione “liberty” (di cui è stato uno dei pionieri in Italia) e ha partecipato alla corrente futurista, come si vede appunto dalla scenografia del veglione “Novecento”. Come decoratore si è affermato nel settore dell’architettura (facciata del Trianon) e poi non solo dei veglioni ma anche delle fiere, come testimonia il padiglione della nautica nell’Esposizione del 1906.
Dal punto di vista pittorico mio, posso dire che lo stile di papà non ha influito su di me. Però come spirito sì, come del resto tutto l’ambiente artistico che mi circondava. Da papà ho preso sicuramente lo spirito creativo
Le note critiche che la riguardano parlano di influenze riconducibili all’impressionismo e alla corrente metafisica di Carrà. Lei si riconosce in queste attribuzioni? Le condivide? E perché ha scelto, se così si può dire, questo tipo di tratto pittorico?
Non mi sento particolarmente legata a Carrà, come forse alcuni hanno ipotizzato. Mi sento in qualche modo legata alla corrente impressionista, tardo-ottocentesca, con accenni metafisici (non nel senso di De Chirico) e soprattutto crepuscolari; questo tengo a dirlo perché proprio lo sento particolarmente, fa parte della mia natura. Neppure con le sinfonie di colori tonali delle nature morte di Morandi, come alcuni mi hanno detto, sento in verità un forte legame. Tra gli autori che si situano tra l’impressionismo e il metafisico sento affinità con Seurat, con le sue atmosfere, soprattutto quando diventa anche lui un po’ crepuscolare, e con Turner.
Mi ha simpaticamente colpito, leggendo di suo zio Ferdinando, l’abitudine di uscire con tela e pennelli per ritrarre i volti dei passanti (se non ho capito male), come una specie di fotografo specializzato in istantanee. E ho notato, al contrario, nei suoi quadri la quasi totale assenza dei volti. C’è una correlazione tra questi due dati? Immagino sia stata una scelta precisa, la sua: dettata da cosa? Questo aneddoto su mio zio non è assolutamente vero: era un grande ritrattista, lo faceva come lavoro su ordinazione. Anch’io ho dipinto ritratti, quando sono stata chiamata a farlo; si tratta di un lavoro molto tecnico, ma bisogna anche saper cogliere il sentimento, attraverso lo sguardo e l’atteggiamento. Leggo nel catalogo di una mostra personale realizzata nel castello sforzesco di Vigevano nel 2008 2 , una sorta di appunto critico : «la sua costante imitazione della natura pone un freno alla libera creatività; è questo, a mio parere, il limite della sua scrittura artistica» (p 14) Non ho di sicuro le competenze specifiche per asserire il contrario, ma l’effetto che le sue tele hanno avuto su di me, osservandole, è stato di calma e pace immediate I suoi dipinti, a mio parere, inducono all’introspezione, suggeriscono il silenzio Non è solo imitazione della natura, è il suo respiro . Posso sperare di aver colto almeno in parte l’intento?
Brava, proprio questo! Confermo. Non ci sono limiti a questo tipo di lavoro: mi dedico al paesaggio e non penso affatto che ciò mi limiti; è una passione, questa mia esaltazione del paesaggio, del mio paesaggio. La mia non è imitazione né trasfigurazione: è un’interpretazione del paesaggio; non parlo di atteggiamento tecnico o teorico, questa è proprio la mia arte e la mia passione.
Nello stesso catalogo poco più avanti c’è una nota sull’assenza di implicazioni sociali nella sua scelta dei soggetti da dipingere: il lavoro contadino – delle mondine o del lavoratore ritratto di spalle – non mostra i volti. È tuttavia a mio parere parte del paesaggio; le cascine non sono vuote, al loro interno pullula la fatica che accompagna la Alberata al tramonto
cura di questi luoghi. Ho “letto” questa assenza di visibilità come un invito a riflettere sull’essenzialità del lavoro, in particolare di quello contadino. Ho pensato alla «verde gente» di Gadda, al «popolo folto e fedele dei pioppi». Che ne pensa?
Non è vero che nella mia pittura non c’è implicazione sociale! Il lavoro delle mondine, il lavoro dei campi fanno parte della mia arte perché sono immersi nella natura e nella sua atmosfera, cioè in quello che io ritraggo.
Un rilievo importante nella sua vita ha avuto la frequentazione di Albissola e dell’ambiente artistico che ruotava attorno alle antiche fabbriche di ceramica. Ci racconta qualcosa di quel mondo che l’ha portata più spesso a una ribalta che, mi par di capire, non ama particolarmente?
Albissola è stata uno stimolo importante per riprendere a lavorare. Lì ho fatto una mostra importante al Circolo degli Artisti. Dal punto di vista artistico, l’ambiente dei ceramisti era diversissimo dal mio, quindi non posso dire di aver preso qualcosa, però era divertente, si stava bene insieme.
Ho provato anche a realizzare qualcosa in ceramica, in particolare dei piatti, con dei gelsi stilizzati. Un’attività simpatica, mi è piaciuta.
Una mia personale curiosità: perché non c’è il mare nelle sue opere?
Perché non lo sento: è un elemento che io non sento. La mia atmosfera è diversa da quella del mare.
Ho ancora una richiesta personale: deriva dal mio essere “aspirante scrittrice” con il proposito, da realizzare quanto prima, di scrivere un romanzo storico, ma penso possa interessare tutti i lettori di Generazione Over60 che amano ogni manifestazione artistica, scrittura compresa, e leggono . Lei che ha scritto un romanzo storico, ce ne racconta la genesi? Quali suggerimenti può dare a chi, come me e forse qualcun altro, si affaccia – nonostante l’età – alla scrittura?
Ho scritto questo romanzo poiché il Medioevo mi interessa, mi è sempre interessato. È un’epoca storica che amo. Il libro si intitola “Il curato di San Michele”. Ho condotto parecchie ricerche per quel romanzo, ho inventato la figura di questo curato di campagna che trova una reliquia nascosta e sopravvissuta al passaggio di Attila; la vicenda si svolge a Lomello, vicino a Mede, dove si trova in realtà un complesso notevolissimo di architettura romanica.
Il mio suggerimento è quello di impegnarsi nella ricerca, che deve essere un atteggiamento mentale, di rigore e applicazione al lavoro. Nel caso del mio lavoro non è stata pura fantasia, ma un’integrazione tra immaginazione e ricostruzione storica.
Per concludere, pensando agli aspiranti pittori, quali suggerimenti pensa di poter dare?
Ci sono due aspetti da considerare: tecnico e ideale, spirituale.
Per la parte tecnica servono esercizio, lavoro, capacità di disegnare e ritrarre .
Per la parte ideale è importante assumere una visione spirituale, avere cioè la consapevolezza di seguire la propria vocazione artistica non per puro impulso cieco, ma con la cognizione precisa della direzione da prendere e della meta da raggiungere.
Lavoro, dunque, rigoroso e costante per mettere a frutto, il più possibile ricco, i propri talenti.
Ascolto della propria anima alla ricerca delle inclinazioni personali e del motivo del nostro esistere, del nostro ruolo.
Umiltà, che non significa soggezione.
Cura e amore per la terra e la natura, proprie perché native ma non per questo meno universali.
Ringrazio ancora Margherita Bialetti Ferrario, anche per questi insegnamenti cardine che ho ricavato dalla nostra chiacchierata.
Ricordo che si possono ammirare i suoi dipinti, oli su tela e oli su tavola, fino al 28 marzo alla Fondazione
Antroposofica Milanese in via Vasto, 4 – Milano.
Inoltre, al minuto 37:58 del link della trasmissione Rai “Paparazzi” [“che racconta con allegria e in lingua inglese il nostro Paese a chi ci segue in tutto il mondo”] si può ascoltare e vedere l’intervento di Susanna Ferrario, nipote di Margherita Bialetti, in diretta dall’inaugurazione.
https://www.raiplay.it/video/2024/03/Paparazzi-del-07032024-879245ec-fa48-41e7-8528-7bbba4c1b19f. html
1 https://www.youtube.com/watch?v=MbGOjAwpp6c mostra personale a Sannazzaro .
2 Mostra personale di Margherita Bialetti , a cura di Marilisa Di Giovanni, in Margherita Bialetti , Arti Grafiche Pinelli, 2008, pp. 5-21.
Il ritorno sulla scena di un’icona tra stile e intelligenza di Alessandro Paola Schiavi - giornalista
Pino D’Angiò all’ultimo Festival di Sanremo con il gruppo musicale Bnkr44 nella serata dedicata alle cover
Quando il Festival di Sanremo finisce resta sempre qualche strano sentimento inspiegabile. Manca la leggerezza in cui sera dopo sera ci si diverte a fare commenti (spesso perfidi) sui cantanti, suoi look, sugli ospiti, sulle canzoni.
Resta però quello che poi ha successo in radio, sui social, decretando così il tormentone preferito. Ma, una delle cose più belle a Festival finito, è trovare il tempo per metabolizzare i momenti, le performance, gli ospiti, ed in quel momento forse si capisce realmente chi e cosa ha lasciato un segno.
Nella serata delle cover, infatti , quest’anno è accaduto l’incredibile, ossia che un gruppo di giovani al loro primo Festival in gara (il loro debutto è del 2019, allo scorso Festival furono ospiti a loro volta nella serata
delle cover), i Bnkr44 , vogliano a tutti i costi esibirsi con Pino D’Angiò, riproponendo la cover di quel singolo rimasto iconico che è “Ma quale idea?” (1981) trasformandolo in “Ma che idea”.
Accade in quell’istante qualcosa di magico: 5 giovani talentuosi ragazzi delle gen Z portano sul palco dell’Ariston (finalmente) colui che fu il primo a inventare il rap in una canzone, quel folle artista arrivato dalla Campania con l’aria furba e sexy, ma anche un po’ menefreghista, che portò un nuovo genere musicale nel mondo, arrivando a vincere anche un Grammy e ad essere osannato da Billboard.
Ma in Italia si sa, la retorica è di casa e quindi, se non hai un ufficio stampa, se non paghi profumatamente addetti ai lavori per la giusta promozione, puoi vincere anche il Nobel senza che in troppi lo vengano a sapere; poi però basta che degli estranei partecipino ad un reality per avere una effimera gloria da strapazzo. I media ormai sono così. Ma esiste un rovescio della medaglia che io da buon giornalista chiamo “la ruota gira”.
Ed ecco che quando la vita ti mette alle strette, quando il tuo corpo cambia drasticamente e non ti resta che rimanere inerme al cambiamento repentino, quello che per altri potrebbe essere una tragedia o una nuova vita nella TV del dolore che gode nel vedere gli artisti malati, senza denaro o senza lavoro, diventa l’inizio di una nuova era.
Pino D’Angiò negli ultimi anni si ammala, dirada le sue apparizioni, perde l’aspetto del bello che tutto può senza però perdere il coraggio, l’ironia e il talento, la voglia di vivere a 1000, ed forse è lì che la vita ti ripaga. Fra un intervento e l’altro, fra una malattia e una sola corda vocale rimasta, qualcuno nei club di tutta Italia torna a suonare “Ma quale idea?”, forse per gioco forse per effetto
Amarcord
È un delirio inaspettato, chiunque sopra i 10 anni torna a cantare quella canzone . I club chiamano Pino per le serate ed il pubblico è più gasato che ad un concerto di Sfera Ebbasta (vedere per credere; basta andare su Tik Tok) .
Tutti cantano Pino, lui si mette in gioco, giacca e camicia, sigaro alla mano: “Si dice così no?” diceva 40 anni fa
“E poi?” - continua la canzone. E poi i fan sono in delirio e cantano a squarciagola. Un trionfo. E lui ringrazia “Non me lo aspettavo, siete unici, siete voi il mio ufficio stampa”, dichiarazione che l’artista continua a fare dopo la prima data del tour a Milano iniziata circa tre anni fa dove erano attese 200 persone e ne arrivarono 700, in una discoteca.
Stessa dichiarazione che mi confidò quando lo intervistai proprio a ridosso di una serata nei club in Oltrepò Pavese pochi mesi fa.
È così Pino : generoso, energico, solare, positivo .
Se semini bene, le cose belle arrivano, la ruota gira come dicevo, ed eccolo finalmente sul palco che più merita, quello dell’Ariston, a riproporre la nuova versione di quel pezzo, passando in parte il testimone ai Bnkr44: “Balla!” esclama ad un punto della canzone, e lui balla, si muove, gioisce, se ne frega di tutto e di tutti.
Pino D’Angiò, forse con qualche corda vocale in meno, è rimasto il ragazzo scatenato e ribelle di 40 anni fa, un artista a cui non si può non voler bene, perché ci insegna ancora oggi che la vita è meravigliosa.
Alla fine dell’intervista, Pino mi disse: “Sai, alla fine noi artisti diciamo le solite cose”, ma tu caro Pino, ogni volta che parli non dici le solite cose, trasmetti la vita, la vita che rinasce, la vita che è unica, non la solita cosa.
Ma che idea geniale hai avuto caro Pino, a rinascere per dare una lezione di vita a tutti noi.
Pino D’Angiò con il giornalista
Di Bruno Belletti - autore
Se non avessi i sogni, sarei cenere muta, alla mercé di brezze oscillanti e prive di approdo.
Se non avessi i sogni,
ogni giorno il mio risveglio sarebbe il cupo antefatto delle solite ore scipite. Se non avessi i sogni, potrei forse resistere all’ascia sottile delle mie insensatezze.
Ma, credo, soltanto per poco: affonderei come pietra scagliata
da un malvagio Nettuno nei fondali impietosi delle mie torpide assenze.
Di Bruno Belletti - autore
I sorrisi non fanno clamore
e il suono di sguardi non ha melodia.
I sorrisi
abbracciano
le rocce più impervie e sciolgono
il ferro
di mille armature.
Effondono luce, là dove ristagna l’incerta movenza di occulte tristezze.
I sorrisi raccontano storie, e scrivono gioie con penna dorata di tenero amore.
Partita a tre
Di Federico Maderno - scrittore
Via Attilio Pedrosa 13/ scala B interno 4
Ho guardato dappertutto, mi sembra .
Credo di aver frugato in ogni angolo della casa. Anche in quei posti dove non aveva senso cercare, perché la logica e la memoria mi dicono che lì non avrei potuto infilarlo, nemmeno per sbaglio; nemmeno facendolo soprappensiero o assestandogli involontariamente una spinta. Niente: quel maledetto volumetto non viene fuori .
Nell’appartamento, ho recuperato perfino cose che non trovavo più da anni; a dirla tutta, anche cose che non ricordavo più di avere e perfino oggetti che nemmeno sforzandomi riesco a rammentare di aver comprato o credere che qualcuno mi abbia regalato.
Sotto il letto, per esempio, è saltata fuori la gomma da cancellare Oregon che usavo quando ancora si ripassavano i disegni a china, prima di fare le elio-copie. L’avevo cercata per ore, nello studio, e Dio solo sa come è potuta arrivare in camera. Può essere che le abbia affibbiato qualche calcio senza accorgermene e che la sua elasticità abbia fatto il resto. S’era nascosta all’altezza della testiera, piazzata in verticale contro il muro, così che nemmeno l’ho vista ogni volta che ho spostato il letto, per le pulizie.
Nel mobiletto del terrazzo, invece, proprio sotto una pila di riviste sul giardinaggio ho trovato una pinza per fare gli innesti, ancora custodita nella sua scatola di cartone. L’ho acquistata io? Non credo. E allora, a chi sarebbe venuto in mente di farmene dono? Mah!
Il libro maledetto, no. Quello non si trova più. “Bruciasse”, come diceva mio zio quando si trovava nelle stesse situazioni. “Almeno si capirebbe dove s’è andato a cacciare”. Poi, ci ripenso e… no, meglio che non bruci perché allora sarei proprio nei pasticci.
Ho cominciato a cercare poco dopo le sette. Lo faccio ogni mattina da più di dieci anni. E da allora, non impiego più di due minuti per individuare la copertina marrone con fregio dorato che può salvarmi la vita. Ma oggi, sembra che il maledetto blocco rilegato abbia deciso di farmi impazzire, che mi veda arrivare e animatosi riesca a spostarsi quel tanto che basta per non farsi individuare .
Provo a ripensare a ieri, all’ultima volta che l’ho visto e l’ho usato. Dovevo essere vicino al telefono, per forza, e allora non lontano da lì dovrebbe trovarsi. Che io possa aver fatto la sciocchezza di farlo uscire di casa lo ritengo impossibile. Ad ogni buon conto, ho riguardato ben tre volte la borsa che uso per i documenti e perfino sono andato a controllare nel sacchetto dell’immondizia.
Niente e poi niente.
Alle nove, già discretamente disperato, ho ricominciato da capo. Questa volta, cercando di essere più metodico . Iniziando cioè dalle postazioni più vicine al telefono fisso e poi allargando il raggio d’azione. Alle dieci, più o meno, ero al punto iniziale. Con l’appartamento ormai ridotto ad un bazar e la paura che la ricerca, che pur doveva andare avanti, risultasse ancora meno agevole.
Ho fatto un ultimo tentativo sistematico. Ho ricominciando dall’inizio, procedendo un vano alla volta, ma senza successo. A quel punto, è iniziata la vera disperazione.
Perché in quel volume dalla copertina marrone un po’ rugosa, conservo, regolarmente in ordine cronologico, ossia appuntati accanto ad una data progressiva, dodicimila codici alfanumerici di sette cifre ciascuno creati circa tre anni fa da un sistema automatico. Ironia della sorte : quello di ieri (mi servisse a qualcosa, almeno ! ) me lo ricordo perfino a memoria : 34GK10U .
Cosa me ne faccio, di quei codici? È semplice. Ogni mattina, prima delle ore dodici, compongo il numero di un cellulare. Una voce calma, impassibile, mi dice semplicemente: “Sì?” . A quel punto, io gli leggo il codice corrispondente alla data del giorno (per sicurezza, lo leggo due volte, non volesse il cielo che io dovessi sbagliare a dettarlo) e così mi salvo la vita, per un giorno. Se il cellulare non fosse raggiungibile, posso inviare un sms o in alternativa un messaggio di posta elettronica. Sempre, naturalmente, corredato di codice aggiornato.
Chi ha concepito un tale sistema perverso? Io, naturalmente. E mi costa non poco, per giunta. Quattromila euro ogni mese, attraverso un bonifico su conto svizzero, intestato ad un improbabile Mario Rossetti . Del resto, non sono i soldi a farmi difetto.
All’altro capo della linea, c’è una persona che ha le credenziali per accedere a quel deposito d’oltralpe e conserva un libro identico al mio, con gli stessi codici. Naturalmente, non si chiama Mario Rossetti e a dire il vero io non so neppure quale sia il suo vero nome. A me, lo hanno presentato come Jack La Faina e di mestiere fa il sicario, il Killer professionista.
Se entro il mezzogiorno di ogni giorno non riceve quella telefonata, si assicura che il mio apparecchio sia raggiungibile, che non ci siano stati problemi di contatto, e immediatamente si attiva per uccidermi, non appena io metta piede fuori dalla mia abitazione . In ogni caso. Qualunque cosa io possa dire, senza il minimo ripensamento o esitazione. Questo è il contratto che abbiamo stipulato. Ho scelto Jack, perché non è uno di quei pivelli tutti muscoli e niente cervello. L’ho scelto perché non è un ragazzino, ma un uomo di esperienza e deve perciò sapere lui stesso cosa possa essere la crudezza della vecchiaia.
L’ho fatto perché io della vita non ho paura di niente, tranne della possibilità di diventare una di quelle larve inconsapevoli consumate dall’Alzheimer o dalla demenza senile. Quello, proprio, è il mio unico, vero terrore.
Meglio non rischiare. Meglio la certezza di essere in grado, all’ultimo, di togliersi in tempo dalla ribalta e di non fare la fine di qualcuno che non ci ha pensato per tempo e poi non ne ha avuto più modo. Perché la lucidità può mancarti all’improvviso e quando accade è già troppo tardi per tenere ancora le briglie in mano. Così, devo dimostrare ogni giorno di essere in grado di compiere una procedura semplice ma allo stesso tempo probante. Di ricordare, insomma, significato e meccanismo di quella verifica che mette in gioco la mia esistenza.
Siamo in tre, a giocare questa partita. Io, Jack La Faina e l’Alzheimer .
C’era solo un problema, da considerare. E l’ho fatto nel modo migliore. Jack potrebbe scegliere di non portare a compimento la sua missione. Una volta verificato il mio deterioramento neurologico, potrebbe convincersi che io non sia più in grado di effettuare il bonifico mensile. A quel punto, potrebbe lasciarmi, semplicemente, al mio destino. Come un limone spremuto che non vale nemmeno la pena gettare nella pattumiera. Per quello, l’ho citato nel mio testamento. Non una grande cifra, sia chiaro. Niente che possa invogliarlo a passare con anticipo alla cassa. Chiamiamola una buonuscita di tutto rispetto. Per avere la quale, senza attendere troppo, deve avvitare il silenziatore alla sua arma. Ma oggi, il sistema si è inceppato. Manca solo un quarto d’ora, alle dodici, e quel maledetto quaderno con la copertina marrone non salta fuori. Eppure, lo so, nulla varrebbe pregare, scongiurare, provare a spiegare la situazione. Il meccanismo l’ho creato io e l’ho studiato bene, a prova di incertezze, spietato. Ancora pochi minuti per fermare la ruota. Per non essere costretto a star rintanato in casa mia per i prossimi giorni, senza neppure andare a procurarmi un po’ di cibo. Poi, non so. Ma sento già il sibilo della pallottola che deve raggiungermi al cervello, per colpirmi lì dove il mostro rischia di essersi sviluppato...
Via Gaspare Condotti 18/16
Questa mattina, non mi è ancora arrivata arriva la solita telefonata.
Situazione strana, da un po’ di tempo. Il telefono squilla, io vado a rispondere e non faccio a tempo a dire “Sì…?” che un imbecille mi snocciola una sbrodolatura di numeri e pezzi di alfabeto del tipo 90UK34LN8 o roba di questo genere. Non faccio a tempo a dire “Chi cazzo sei?” che il tipo interrompe la comunicazione. La cosa buffa è che ho trovato qui in casa un quaderno marrone con dentro una serie di cifre senza
senso proprio come quelle che dice al telefono il tizio sconosciuto; e neppure ricordo perché io lo abbia conservato . Del resto, di gente pazza non ne manca. Ieri, o forse due giorni fa mi viene alla porta un tipo con la faccia segnata da una cicatrice. Mani infilate nelle tasche di un impermeabile e sigaretta tra le labbra. – Ehi, Jack, come ti butta? – mi dice.
– Ma che vai cercando, amico? – gli faccio.
Lui mi osserva strano.
– Hanno detto gli amici che da qualche settimana non te le passi molto bene... – insiste, guardandomi dritto negli occhi.
– Ma di che amici va parlando?
– Senti, Jack, se c’è qualcosa che non va…
– Ma chi sarebbe, poi, questo Jack – gli faccio. – Io mi chiamo, io mi chiamo…
Va bene, al momento non ricordavo di preciso il mio nome, ma qualcosa devo pur avergli detto, perché mi ha squadrato ancora fisso, poi ha scrollato un po’ il capo e se n’è andato via.
A proposito: questa mattina non mi è ancora arrivata la solita telefonata. Situazione che mi sembra davvero strana. Vado a rispondere e dall’altra parte un tipo mi fa: ER67M9M8 o robe del genere. E poi, ho qui in casa un libro marrone che non so come mi sia arrivato e...
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A cura della Redazione
Il ruolo dell’intestino va ben oltre la digestione. È infatti la sede del nostro microbiota intestinale, una im mensa comunità di microrganismi che svolgono numerose funzioni per la salute del nostro organismo.
Ma quali sono le funzioni del microbiota ? Questa importante comunità di microrganismi, invisibile all’occhio umano, è capace di sintetizzare per noi vitamine e altre sostanze chiave, indispensabili al nostro organismo nello svolgere le proprie funzioni quotidiane. Tra queste vi sono la difesa da potenziali patogeni e allergeni, la digestione di specifici alimenti e la fermentazione delle fibre alimentari trasformate in energia per le cellule intestinali.
Condizioni quali lo stress, fattori ambientali, l’avanzamento dell’età, una dieta povera di fibre, infezioni intestinali o l’assunzione di antibiotici possono causare uno squilibrio della composizione e della funzione del microbiota che prende il nome di disbiosi. Questa disarmonia conduce all’accumulo di metaboliti nocivi e limita la produzione delle sostanze benefiche per il nostro organismo.
Per questi motivi, è importante assumere alimenti in grado di supportare la proliferazione dei cosiddetti “batteri buoni”, quali cibi fermentati, fermenti probiotici e fibre, riportando così il microbiota nella situazione di equilibrio e armonia detta di eubiosi.
Tra i batteri buoni che possono essere assunti facilmente attraverso l’alimentazione, c’è l’esclusivo fermento probiotico L. casei Shirota (LcS) che, raggiungendo l’intestino ancora vivo, favorisce l’equilibrio della flora intestinale.
Il ceppo probiotico LcS è contenuto esclusivamente nella bevanda di latte scremato fermentato Yakult , disponibile presso i principali supermercati e ipermercati. Ogni bottiglietta contiene 20 miliardi di fermenti probiotici LcS ed è disponibile in tre versioni: Yakult Original, con un delicato gusto di agrumi e vaniglia, Yakult Balance , con un fresco gusto di limone e fonte di vitamina D per ossa e muscoli e Yakult Plus , con un delicato gusto di agrumi e yogurt, ricco in vitamina C per il sistema immunitario.
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