N 7/8 Anno 6 Generazione Over60

Page 1


Luglio Agosto 2024

Testata giornalistica registrata

presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 6, n.7/8

Le rubriche

EDITORIALE

“Amoglianimali” Bellezza

Da leggere (o rileggere)

Da vedere/ascoltare

Di tutto e niente

Il desco dei Gourmet

Il personaggio

Il tempo della Grande Mela

Comandacolore

Incursioni

In forma

In movimento

Lavori in corso

Primo piano

Salute

Scienza

Sessualità

Stile Over

Volontariato & Associazioni

Generazione Over 60

DIRETTORE RESPONSABILE

Minnie Luongo

I NOSTRI COLLABORATORI

Marco Rossi

Alessandro Littara

Antonino Di Pietro

Mauro Cervia

Andrea Tomasini

Paola Emilia Cicerone

Flavia Caroppo

Marco Vittorio Ranzoni

Giovanni Paolo Magistri

Maria Teresa Ruta

DISEGNI DI

Attilio Ortolani

Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com

Issuu: https://issuu.com/generazioneover60

Facebook: https://www.facebook.com/generazioneover60

Youtube: https://www.youtube.com/channel/generazioneover60

Generazione Over 60

MINNIE LUONGO DIRETTORE RESPONSABILE

Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).

Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”.

Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60.

Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.

Foto Chiara Svilpo

Chi siamo

DOTTOR MARCO ROSSI SESSUOLOGO E PSICHIATRA

è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.

DOTTOR ALESSANDRO LITTARA ANDROLOGO E CHIRURGO

è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo

PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO DERMATOLOGO

PLASTICO presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).

DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO

è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.

ANDREA TOMASINI GIORNALISTA SCIENTIFICO

giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.

Chi siamo

PAOLA EMILIA CICERONE GIORNALISTA SCIENTIFICA

classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione.

Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.

FLAVIA CAROPPO GIORNALISTA E AMBASCIATRICE DELLA

CUCINA ITALIANA A NEW YORK

Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie

MARCO VITTORIO RANZONI GIORNALISTA

Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.

COMANDACOLORE è uno Studio di Progettazione Architettonica e Interior Design nato dalla passione per il colore e la luce ad opera delle fondatrici Antonella Catarsini e Roberta D’Amico. Il concept di COMANDACOLORE è incentrato sul tema dell’abitare contemporaneo che richiede forme e linguaggi mirati a nuove e più versatili possibilità di uso degli spazi, tenendo sempre in considerazione la caratteristica sia funzionale che emozionale degli stessi.

MONICA SANSONE VIDEOMAKER

operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.

Sommario

-10-

Generazione F

Generazioni in sintonia. Anche nel canto Editoriale di Minnie Luongo

-14-

Foto d’autore

Generazioni: un’immagine perfetta per evocarle Di Francesco Bellesia

-16-

Racconto in anteprima «Ucci, ucci, cavallucci…» Di Amelia Belloni Sonzogni

-21-

Stile Over

Trent’anni di X Files: “la verità è là fuori” Di Paola Emilia Cicerone

-26Per ricordare

Generazioni e Gene – razioni Di Federico Maderno

Sommario

-35-

Dal nostro archivio

Anni ’60: quanti ricordi di quelle estati!

Di Paola Emilia Cicerone

-38-

Di tutto e niente

Ferragosto con amore

Di Andrea Tomasini

-40-

Versi Di...versi

Macerie & Memorie

Di Bruno Belletti

-42-

Da leggere (o rileggere)

Quando non si può fare a meno di scrivere poesie

Di Paola Emilia Cicerone

-44AMOGLIANIMALI

Tiriamo fuori le Zanne

Di Amelia Belloni Sonzogni

Generazione F

GENERAZIONI IN SINTONIA. ANCHE NEL CANTO

EDITORIALE

Della mia amicizia ultratrentennale con Giovanna (Nocetti) ho scritto spesso anche qui, sul magazine. L’idea del tema del numero estivo me l’ha fornita proprio lei, con il lancio del suo singolo “Sono quel che sono” , duettando con Alessandro Paola Schiavi , amico recente e collega giornalista. Ma prima di lasciarvi alle righe sotto, fornitemi dall’Ufficio Stampa e che ben spiegano com’è nata questa solo apparente bizzarra collaborazione, desidero ricordare che i due protagonisti appartengono a generazioni ben distanti, che secondo alcuni (e Dio sa quanto ci si può sbagliare riducendo la data di nascita a un mero numero) non potrebbero mai trovare la maniera di duettare in modo così semplice e naturale. Ma quando c’è sintonia, ironia e tutto quello che è alla base della “filosofia” di GenerAzione over60 e che i nostri lettori ben conoscono… niente è impossibile . Giusto per la cronaca, inutile cercare in Rete perchè Giovanna è una donna e un’artista intelligente che non nasconde la sua età: lei è del 1945; Alessandro è nato nel 1993. E adesso ascoltate il brano, e vi sarà chiaro il rapporto che c’è fra di loro. Lo stesso che lega me ad amici e amiche di qualsiasi età. https://youtu.be/ T5sAH-F9CkE?si=OFzLYiJ5XihW4AM8

Generazione F

“SONO QUEL CHE SONO”, L’ESTATE DI GIOVANNA NEL NUOVO SINGOLO IN DUETTO CON ALESSANDRO, IN ARRIVO IL REMIX

È uscita a giugno su tutte le piattaforme digitali la canzone inedita “Sono quel che sono” prodotta dalla casa discografica Kicco Music e distribuita per conto di Believe Digital, brano dal ritmo coinvolgente che racchiude l’estate di una cantante amatissima sin dagli anni ’70, l’inossidabile Giovanna.

La canzone è stata scritta dal compositore e paroliere cosentino Vincenzo Ricca, (Nastro d’Argento 1990) che ha proposto il brano alla cantante e produttrice discografica Giovanna Nocetti, in arte Giovanna qualche mese fa in occasione del prossimo album della cantante in uscita a fine anno dal titolo “Le mie perle”, un ri-editing di grandi successi e alcuni inediti come questo singolo.

L’artista ha subito accettato di interpretare il singolo volendo però aggiungere al testo un ritornello cantato da una voce maschile per poter rendere il pezzo più accattivante

Entra così in scena a sorpresa Alessandro Paola Schiavi al debutto come cantante ed in arte solo Alessandro, che ha accettato di duettare con l’icona della musica italiana

“Il pezzo è fresco ed estivo ed il ritmo entrerà in testa subito al pubblico, ne sono convinta. La gente vuole leggerezza, ballare e divertirsi, un po’ come racconta il testa di questa canzone, siamo quel che siamo, ognuno a modo suo”, racconta Giovanna.

Generazione F

Per Alessandro invece, collaboratore della cantante da anni e giornalista, il debutto è in un ruolo insolito “Ci vuole coraggio ad accettare un duetto con un’icona come Giovanna, ma ha voluto fare tutto lei. Quindi mi sono fidato come sempre del suo intuito. Il pezzo è una vera bomba.” dichiara Alessandro.

Arrangiato dagli Studi Village in Milano dal Maestro Massimo Magenes, la canzone è disponibile anche in fisico per un’edizione limitata di pezzi ancora disponibili sul sito della Kicco Music.

Il progetto grafico è stato curato dal designer Renato Aggio e la post produzione dalla producer discografica Amelia Gianni.

Generazione F

La canzone è disponibile su Spotify, YouTube, Amazon Music, Deezer, iTunes e le principali piattaforme digitali mondiali.

Un pezzo fresco ed estivo il cui unico scopo vuol essere quello di essere spensierati ed essere accettati con tutti i nostri difetti.

“Sono quel che sono e non me ne vanto, ma so quanto valgo, e lo devo a me” dice Giovanna stuzzicando il compagno che controbatte ben conscio del suo gioco “ma fai quel che ti pare, ti lascio un po’ giocare, ricordati ragazza, sono qui”, quindi pur sapendo chi ha di fronte il partner, l’altro è sempre presente nonostante i battibecchi o le incomprensioni. Un messaggio di leggerezza e di non prendersi mai troppo sul serio, da solo o in coppia.

www.kiccomusic.com o kiccomusic@yahoo.it

Foto d’autore

GENERAZIONI: UN’IMMAGINE PERFETTA PER EVOCARLE

Quando uno scatto d’Autore ha la capacità di far capire meglio di cento parole l’importanza di un’idea

Generazioni

Questa foto di Francesco Bellesia rappresenta, in maniera immediata e romantica, le generazioni che si susseguono, cullate e protette dalle precedenti.

Foto d’autore

FRANCESCO BELLESIA

Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita.

Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt.

Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti.

Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.

Racconto in anteprima

«UCCI, UCCI, CAVALLUCCI…»

… cantava il nonno

Di Amelia Belloni Sonzogni – scrittrice

Si vedeva da lontano, oltre la ringhiera in ferro battuto del balconcino al primo piano, la poltroncina di vimini che il nonno spostava per guardare da una parte o dall’altra di via Callisto Piazza, a Lodi.

Se aspettava figlia e nipotina, la girava verso via Solferino perché da quell’angolo sarebbero arrivate, lui si sarebbe alzato, appoggiato alla ringhiera con una mano, salutato con l’altra, felice del loro arrivo. Dopo pranzo, invece, mentre moglie e figlia chiacchieravano in cucina, la girava verso via Tito Fanfulla per guardare la facciata della chiesa di San Cristoforo: stretta fra le case, lineare, pulita, cinquecentesca; in apparenza povera, dentro quasi esplodeva nello spazio, illuminato dall’alto della cupola e da una grande vetrata sopra il portone, altissimo. Era stata chiesa, scuderia e poi un magazzino e di nuovo luogo di culto.

Il balconcino

Dopo pranzo, la nipotina avrebbe dovuto dormire. La adagiavano sempre sul divano letto della sala con la consueta raccomandazione: «Dormi!» ma lei non aveva mai sonno, specie quando andava dai nonni. Così, chiudeva gli occhi, lasciava passare un po’ di tempo e poi si alzava; si avvicinava alla porta semiaperta della cucina a guardare la mamma che lavava i piatti del pranzo; girata di spalle, chiacchierava con la nonna, seduta tra la finestra aperta sul cortile e il tavolo, gli occhiali sulla punta del naso, il ditale sul medio della mano destra, piegato a spingere l’ago nella stoffa che la mamma aveva portato da casa, perché la nonna aggiustava tutto. Erano talmente prese dai loro discorsi («Sai chi è morto?» con relativi commenti) e convinte che lei dormisse, da non vederla. Le lasciava parlare e andava dal nonno.

Il nonno pisolava, lo faceva sempre dopo pranzo; con la bella stagione e il clima più mite, pisolava sul balconcino, seduto sulla poltroncina di vimini, addosso una copertina con le frange per non prendere freddo, addosso fin sopra la testa. E la nipotina si divertiva tantissimo a sbirciare lì sotto, per vedere il nonno mentre dormiva e ascoltare il suo respiro. Si avvicinava piano, si piegava sotto il lembo della copertina e lo sollevava quel poco che le serviva per infilarcisi sotto anche lei. Stava accovacciata lì, di fianco al bracciolo. Il respiro era regolare, forse un po’ pesante ma non rumoroso, interrotto talvolta da qualche strano mormorio, parole incomprensibili e gesti lievi delle mani, appena sollevate dai braccioli nell’atto di dirigere un’orchestra.

Racconto in anteprima

La nipotina sapeva che il nonno suonava il pianoforte perché ne aveva uno nello studio; una volta le aveva anche detto che le avrebbe insegnato a suonarlo:

– Quando, nonno?

– Quando queste mani piccole cresceranno un po’.

– E questa, nonno, cos’è?

– Una fisarmonica.

Era pesantissima, le faceva anche un po’ impressione con tutta quell’aria dentro.

– Mi insegni anche questa?

– Questa, vedremo.

Con i nonni davanti a San Cristoforo

Racconto in anteprima

La nipotina sapeva che il nonno era un musicista: sapeva suonare tutti gli strumenti radunati nello studio, anche il corno e il triangolo, e aveva avuto anche una tromba ma quella non c’era più. Sapeva che aveva insegnato a ragazzi e ragazze che ogni tanto lo venivano a trovare perché lo chiamavano Maestro. Aveva anche sentito parlare di bande, ma non aveva capito cosa fossero.

Il nonno si svegliò. Guardò le proprie mani ancora levate a dirigere l’aria. Le lasciò lì e si accorse della nipotina, accovacciata, che lo guardava zitta e stupita. Le sorrise:

– La mamma aveva detto dormi …

– Cosa fai con le mani per aria?

– Sognavo di dirigere una banda delle mie.

– Cos’è una banda? E quante ne avevi?

Il nonno si tolse la coperta dalla testa:

– Vieni qui, ti racconto .

Allungò le braccia verso la nipotina che gli salì a cavalcioni sulle ginocchia, curiosa di ascoltare il racconto del nonno e scoprire finalmente cosa fosse una banda, felice perché, quando il nonno la prendeva in braccio così, finiva sempre per cantarle una filastrocca («Ucci ucci cavallucci, sento odor di cristianucci») mentre la faceva sobbalzare come fosse a cavallo e le diceva :

– Salta, salta! Saltavo anch’io con il mio Lustro.

Avrebbe voluto conoscere anche la storia di Lustro che era stato il cavallo bianco del nonno per tutto il tempo che aveva servito nell’esercito, quasi fino alla pensione; rimandava sempre, il nonno, non era mai il momento giusto per raccontargliela.

La nipotina rise felice ad ogni sobbalzo; rise anche il nonno.

La mamma li trovò così:

– Hai dormito? – le chiese.

– Sì, sì – rispose il nonno – abbiamo dormito insieme.

– Va bene papà, ho capito… la mamma e io andiamo in solaio.

Solaio? La parola agì sulla piccola come lo scatto di una molla. Balzò dalle ginocchia del nonno e iniziò a implorare:

– Vengo anch’io in solaio!

– Prometti di non toccare niente, di non mettere in disordine?

– Prometto, prometto.

Uscirono le tre generazioni. Salirono la tenebrosa rampa di scale che conduceva al solaio, il misterioso luogo

Racconto in anteprima

delle meraviglie della nipotina, il rifugio per una famiglia poverissima che i nonni avevano ospitato durante la guerra in cambio di qualche servizio, il ricovero di un paio di galline che depositavano uova per tutti e che la mamma, ragazzina, era incaricata di recuperare.

Nel buio polveroso filtrava la luce delle finestrelle a pavimento: era bassissimo il soffitto in quel punto, solo la nipotina ci stava in piedi senza piegare il capo, ma i vetri pericolanti e l’assenza di imposte le impedirono di avvicinarsi a guardare la via di sotto e salutare il nonno ancora sul balconcino.

– Vieni via di lì! – tuonò la mamma – Altrimenti ti riporto a casa.

– Stai qui con me – disse la nonna – e guarda!

La nipotina si avvicinò alla nonna che, seduta su una minuscola seggiola impagliata, armeggiò con la serratura di ferro di un baule polveroso. Lo aprì, spostando con una mano la nipotina per ripararla dalla nuvola di polvere che si formò e dal forte odore di canfora che ne uscì.

– Vedi un po’ cosa può servirti – disse la nonna alla propria figlia mentre spostava tovaglie bianche e freschi asciugamani di lino.

– Cosa sono, nonna?

– Vecchie cose di un corredo.

– Cos’è un corredo?

– Quando ti sposerai, lo avrai anche tu: lenzuola, tovaglie, asciugamani, camicie da notte, tutto quello che serve a una donna in una casa.

– E questo era il tuo, nonna?

– No, questo era di una signora che si chiamava Zandoni Maria: vedi qui, le iniziali ricamate a punto croce, Z.M.

– Chi era?

– Una mia zia che non c’è più. Guarda che bella questa camicia da notte.

Dispiegò una stoffa bianca di un certo peso e al contempo leggera e fresca, un lino robusto; lo stese in lunghezza e apparve un ampio camicione bianco, lungo fino alle caviglie di una donna di media statura. Le maniche merlate arrivavano al gomito, lo stesso ricamo era ripreso sulla scollatura abbottonata; ai lati di asole e bottoncini erano ricamati bianco su bianco fiori ancora attaccati ai loro steli, piccoli trafori per una pudicissima trasparenza.

La nipotina rimase incantata da questo indumento semplice, essenziale, elegante:

– Posso mettermelo?

Risero la nonna e la mamma, con una sottile vena di amabile scherno che individuò senza comprendere:

– Sei troppo piccola!

Racconto in anteprima

– Ci stai dentro quattro volte come minimo!

– Allora, me lo conservi per quando sarò grande abbastanza?

Nel pacco di stoffe che la mamma portò a casa c’era anche la vecchia camicia di Z.M. che la nipotina aveva mostrato vanitosa al nonno. «Ti starà benissimo!» le aveva detto lui e lei felice gli aveva buttato le braccia al collo e schioccato un bacio sulla guancia grinzosa, con la barba un po’ lunga.

– Nonno, ma tu, quanti anni hai?

– Non sei capace di contare fino a lì…

La camicia di Z. M.

«Non è ancora il momento di buttarla?» disse sorridendo il marito alla moglie «No, perché?»

«Qui dietro, in basso, c’è un buchino…» e glielo indicò . Lei valutò la possibilità di un rammendo . Certo, sua nonna lo avrebbe reso invisibile .

«Sai quanti anni ha questa camicia?» domandò mentre la infilava sopra il costume da bagno «Troppi, secondo me»

«Secondo me, no»

Uscirono, lei salì sullo scooter facendo attenzione al buchino che doveva restare tale ancora per molto. Lui sorrise, mise in moto e il vento gonfiò la camicia di Z.M. in uno svolazzo felice fino al mare.

Stile Over

TRENT’ANNI DI X FILES: “LA VERITÀ È LÀ FUORI”

Com’è cambiata la televisione. Dai telefilm alle serie “on demand”

Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica

Ci sono cambiamenti di cui non ci rendiamo conto, fino a quando una data particolare non ci obbliga a guardare indietro nel tempo e a fare un rapido bilancio, osservando cambiamenti dei quali, vivendoli giorno per giorno, non ci eravamo appunto resi conto.

A me è successo con l’anniversario di X files : la serie televisiva ha da poco compiuto trent’anni, con la prima messa in onda in Italia datata 29 giugno 1994. Per chi l’ha vista e l’ha amata, X files è stata una serie fondamentale, che raccontava l’alleanza non solo professionale tra una laureata in medicina arruolata dall’FBI, Dana Scully (Gillian Anderson), e un investigatore del mistero , Fox “Spooky” Mulder (David Duchovny), entrambi incaricati dal Bureau di seguire casi con elementi misteriosi e paranormali, gli X Files appunto.

Impossibile riassumere qui vicende che si sono dipanate in undici stagioni e due film, raccontate attraverso il continuo scambio d’idee tra una donna fermamente razionale e un uomo incline a credere nel paranormale : sul piccolo schermo perché allora la tv era indubbiamente tale – si sono intrecciati complotti e servizi deviati, rapimenti alieni e scontri con creature che sembravano uscite da un classico della cinematografia horror . E devo dire che, nonostante la mia allergia per il genere, proprio queste ultime puntate, ribattezzate dagli

Stile Over

appassionati Monster of the week, sono secondo me le più fascinose : alcune fanno davvero paura, ma episodi come Strane Ferite ( Humbug ) ambientato in un circo di freak o La cZasa dei mostri ( Home ) giudicato così inquietante dalle emittenti americane da essere stato messo in onda solo in un secondo tempo, sono pieni di ironia e punteggiati da citazioni cinematografiche che li rendono alquanto intriganti . Per noi appassionati gli X files sono stati un appuntamento importante, da commentare con gli amici, e forse a qualcuno hanno anche cambiato la vita, visto che uno studio americano mostra che il personaggio di Scully ha indotto molte ragazze a scegliere di perseguire una carriera scientifica . Ma che effetto ci fanno oggi gli stessi episodi? Sempre fascinosi ma inevitabilmente datati, e non solo per l’evoluzione degli effetti speciali: perfino le scene, all’epoca emozionanti, in cui compare l’”uomo che fuma”, ”cattivo” ufficiale della storia, ci sembrano lente , anche se la serie è ancora disponibile (su Disney +) e si parla di un reboot dedicato agli stessi personaggi.

Gillian Anderson, alias Dana Scully in X- Files

Stile Over

L’attore David Duchovny, che interpreta l’agente Fox Mulder in coppia con Dana Scully

Sono cambiate le serie tv? Sicuramente sì; intanto sono cambiati il modo di guardarle e gli strumenti che usiamo per farlo . In passato quello con il telefilm, e poi con la serie preferita era un appuntamento settimanale, da attendere con ansia per seguire l’evoluzione della storia e, spesso, per commentarla poi al telefono con le amiche. Oggi le serie sono messe on line su piattaforme – gratuite o a pagamento – e si possono guardare secondo le proprie esigenze, oppure fare indigestione di puntate. Su un televisore smart ma più spesso su un tablet o uno smartphone.

Ma soprattutto sono cambiati i ritmi narrativi , e non solo perché oggi molte piattaforme offrono la possibilità di accelerare la riproduzione delle puntate. E’ proprio la narrazione che va veloce, inserendo in una sola puntata una quantità di vicende ed episodi di contorno che non lasciano allo spettatore il tempo di distrarsi o – peggio – di cambiare canale .

Anche se continuano ad avere successo serie vecchio stile come Poirot , La signora in giallo o in tempi più recenti I misteri di Murdock . E sono serie che amo, ma io stessa mi rendo conto, guardando quelli che una volta si chiamavano telefilm, che spesso la narrazione è troppo lenta per i gusti attuali.

Stile Over

Nonostante questo, non riesco a convincermi ad abbonarmi a una piattaforma, non tanto per risparmiare quanto perché mi pare che la produzione in chiaro sia più che sufficiente per farmi passare davanti alla tv anche più tempo del dovuto. E tutto sommato – sono cresciuta così – non mi dispiace che la televisione mi induca a dare un’occhiata a qualcosa che mi potrebbe anche piacere, piuttosto che offrirmi “on demand” quello che so già di voler vedere. Certo mi perdo diverse cose interessanti, anche se in realtà molte serie di culto come The Walking dead o Game of Thrones sono troppo macabre o violente per i miei gusti E mi rendo comunque conto che i gusti “televisivi”, come quelli cinematografici, sono davvero cambiati .

Angela Lansbury (“La signora in giallo”)

Stile Over

Alcuni dei protagonisti di ER , con un giovane George Clooney che proprio con questa serie conobbe il successo

Però qualcosa da vedere c’è sempre, grazie a novità interessanti ma anche all’abitudine dei canali digitali di proporre repliche: proprio adesso sto riguardando – su Warner Tv – ER Emergency Room , che a trent’anni dall’uscita mi pare regga più di altre serie il passare del tempo, forse per l’estrema modernità dello stile narrativo . Ma occasionalmente guardo anche altre serie “d’epoca”, e ho tenuto il videoregistratore soprattutto perché X Files io ce l’ho in videocassette, gentile omaggio di un amico che aveva comprato per sè i DVD. E ancora oggi, se ascolto per caso la celebre sigla ( eccola: https://www.youtube.com/watch?v=Qz2wnSVeITg ) non posso fare a meno di fermarmi ad ascoltare: “ La verità è la fuori…”

Per ricordare

GENERAZIONI E GENE – RAZIONI

(Ogni tanto penso che le nuove leve abbiano dotazioni genetiche razionate)

Di Federico Maderno – scrittore

Ricordo numero 1 .

– Saluta la Signora!

– Ciau, signola.

– Si dice buongiorno. Non è una tua amica.

– Ah: buongiolno signola!

– Oh, che ometto educato !

Avevo forse tre anni e mezzo e non comprendevo perché, ogni tanto, si dovesse mettere in scena quel rito noioso.

Oltretutto, era evidente che non tutti i conoscenti che s’incontravano per strada erano così simpatici da meritarsi quella pur piccola attenzione.

C’erano i Fratelli Piras, ad esempio, che avevano il laboratorio fotografico proprio accanto al portone della nostra scala. Erano due sardi piccoletti e lestissimi, somiglianti come due gocce d’acqua tranne che per la capigliatura (uno portava i capelli lisci e tirati con la brillantina, l’altro due protuberanze crespe ai lati della fronte, da sembrare il Sor Pampurio). Loro, per dire, erano simpaticissimi. Quando si andava a ritirare gli sviluppi e le stampe dei rullini fotografici non mancavano mai di donarmi qualche sciocchezzuola che avevano in negozio, ed una volta, addirittura, mi regalarono una foto scattata al passaggio del Giro d’Italia del 1966, con la maglia “Salvarani” di Gimondi in primo piano.

Loro sì, non si faceva fatica a salutarli. Anzi, veniva spontaneo.

Ma il Dottor Malgara? Vogliamo parlarne?

Abitava due piani sopra di noi e aveva l’abitudine di andare a passeggiare sotto i portici dal palazzo, evitando però di percorrerli per l’intera lunghezza (sarebbero stati almeno un’ottantina di metri), ed invece preferendo invertire quasi subito il cammino e tornare indietro dopo non più di una decina di passi.

A guardarlo da lontano, lo si sarebbe detto in attesa nervosa di qualcuno in ritardo ad un appuntamento. Non era così. Passeggiava per una mezz’ora in quella maniera ogni sera, prima della cena. Può essere che glielo avesse prescritto il medico per farsi venire appetito o che la moglie non lo volesse tra i piedi mentre preparava il desinare.

Ma c’era una caratteristica peculiare che accomunava il Malgara ad alcune altre persone che ho poi conosciuto nel corso della mia vita: era terrorizzato dall’idea di dover salutare la gente. Così, sfruttava questa

Per ricordare

sua particolare tecnica di deambulazione per sottrarsi costantemente all’eventualità di dover scambiare un “Buonasera!” o un più amicale “Ciao!”. Infatti, ogni volta che scorgeva da lontano qualche persona per la quale sarebbe stato conveniente un cenno di intesa, al momento opportuno gli volgeva rapidamente le spalle, rendendo così sostanzialmente impossibile l’incrociarsi degli sguardi. E maggiormente succedeva quando le persone sbucavano repentinamente da dietro il cantone del palazzo, dal momento che il portone di cui sopra si trovava all’inizio dei portici.

Allora, l’operazione di girata e fuga doveva svolgersi con celerità ineccepibile così che il poveretto s’era ridotto ad assomigliare ad uno di quegli orsetti dei tiro a segno che colpiti si ergevano rampanti e poi invertivano il verso della loro corsa.

Ebbene, anche in quel caso e contro ogni logica apparente c’era sempre l’indicazione genitoriale di attendere che lo sgusciante vicino di casa si concedesse una minima disattenzione per fulminarlo con un sonoro: “Buona sela, Dottol Malgala!”.

Per ricordare

Ricordo numero 2 .

Erano passati alcuni anni e frequentavo la seconda media. C’erano allora, tra le materie (oggi si devono chiamare “discipline”, altrimenti ti arrestano), le indimenticabili “applicazioni tecniche”. Classe regolarmente divisa in contingenti femminile e maschile. Secondo una logica che ricordava ancora molto le Figlie della Lupa, le ragazze si occupavano di gastronomia, modellazione della creta, cura delle piante da appartamento. Noi maschi dovevamo costruire una radio a galena e nessuno ha mai capito perché. Ci lavorammo quasi un anno, con molta svogliatezza e moltissima invidia per le compagne che pasticciavano con l’argilla. Alla fine, fingemmo tutti di percepire una vaga musichetta provenire dalle cuffie del marchingegno (qualcuno si disse convinto che si trattasse di “Giovinezza”) e l’impresa fu archiviata con la notazione: “Esperienza pienamente riuscita, ma con ampi margini di miglioramento”.

Avvenne un giorno che il Docente del comparto maschile fosse assente. Si trattava di un cinquantenne bolso come un pugile a fine carriera; anzi, come il sacco da allenamento del pugile in questione. Era un ex calciatore di origine ungherese a nome Meza Merdesz. Così, per quelle due ore di applicazioni tecniche fummo uniti alle compagne e dunque finimmo sotto la sorveglianza della loro insegnate, l’altezzosa Prof.ssa Maria Solletico.

Permettetemi, a questo punto, un piccolo inciso. Per correttezza, affinché non si possa risalire ai protagonisti veri di queste vicende, tutti i nomi citati sono stati drasticamente modificati. Per esempio, la Professoressa Maria Solletico in realtà si chiamava Mara Solletico.

Ora, quel genio della lampada in forma di donna decise che per unire le competenze di entrambi i comparti fosse utile impartire all’intera classe qualche nozione di disegno tecnico e si lanciò in una trattazione tanto maldestra dell’argomento che poco dopo, nell’esempio di assonometria cavaliera di un semplice cubo, risultarono visibili, della superficie laterale del solido, ben tre facce contemporaneamente. Avrei potuto stare zitto, questo è vero. La storia del disegno tecnico non avrebbe subito conseguenze irreparabili. Ma gli idioti mi hanno sempre dato fastidio, fin dalla tenera età. In breve, ne nacque una disputa piuttosto accesa, durante la quale, di questo sono sicuro, mai travalicai i limiti di una educata contestazione. Più tardi, andai da mio padre indignato. Lui si fece spiegare per bene l’accaduto, poi si lasciò scappare un sorriso e ciondolò un po’ il capo.

– Ma ho ragione o no? – domandai.

– In merito a cosa? Se ti riferisci all’assonometria cavaliera, non ci sono dubbi, ma…

– Ma…?

– Ma Lei, in quel momento era la tua insegnante e sarebbe bastato farle notare, un’unica volta e con calma, l’assurdità della sua costruzione grafica. Non le avresti fatto fare una figuraccia davanti a tutti; più tardi, riflettendoci, avrebbe capito di aver preso un abbaglio e…

Per ricordare

Lo so: mio Padre aveva troppa fiducia nella specie umana. Io, in cuor mio, sapevo già che gli idioti non sono abilitati per i tempi supplementari, per ripensare a quello che hanno detto o fatto. Un idiota di classe, di prima fascia, ha un solo colpo in canna. Una volta sparato, si sente a posto e gratificato.

A metà anno scolastico, arrivarono le pagelle. Io trasecolai. In corrispondenza della disciplina di Applicazioni Tecniche, circondato sopra e sotto dagli otto e dai nove, campeggiava un improponibile 5. Oggi quella pagella è da qualche parte, in un raccoglitore marrone che non apro da decine di anni. Giuro che un giorno la tirerò fuori e la incornicerò, mettendola accanto alla mia laurea in ingegneria (ora che ci penso anch’essa ancora da incorniciare).

Ma quel giorno il mio stato d’animo era assai meno disinvolto e sarcastico. Tornai a casa in lacrime, letteralmente. Questa volta, nemmeno mio padre riuscì a lasciarsi scappare un sorriso. Avrebbe potuto, ora lo so, andare a scuola e fare un pandemonio. Oltretutto, avrebbe avuto l’appoggio di tutti i docenti della classe che probabilmente quel 5 dovevano pur averlo letto come la stupida smargiassata di un collega.

Non lo fece e ora gliene sono infinitamente grato.

Per ricordare

Ricordo numero 3. (tranquilli, brevissimo) .

– Nonna, oggi a scuola un mio compagno mi ha fatto un dispetto.

– Cosa ha combinato?

– Mi ha preso il diario e me lo ha pasticciato tanto con un pennarello che adesso ho difficoltà a scriverci qualcosa sopra per le prossime due settimane.

– Poverino!

– No, tranquilla non è molto grave. Mi prendo gli appunti su qualche foglietto e poi lo infilo in mezzo al diario e così…

– No, ma io intendevo “poverino” il tuo compagno.

– Perché?

– Perché se alla vostra età nessuno gli ha ancora insegnato la differenza tra uno scherzo e un comportamento stupido che provoca solo un danno… prima o poi qualcuno gli darà quel che gli viene.

Potrei continuare, ma sarei solo più noioso di quanto non sia già stato.

Cosa si vuol dimostrare? Un concetto abbastanza semplice. Il fatto che l’educazione, all’inizio, neppure si riesce a capire. Perché è materia più complessa di quello che sembri. Soprattutto per una giovane mente. All’inizio, è inevitabile che si subisca, come una regola di gioco che sembra andare contro la logica e contro i propri interessi. Come per gli Imprevisti del Monopoli: – Andate in prigione direttamente e senza passare dal “Via!” –. Sai che così ci perdi le ventimila lire, ma ti adegui.

Per ricordare

Però, c’è di bello che l’educazione ti rimane dentro e lentamente prende corpo e significato.

Ora, mi sia consentito il dire che in questi giorni tormentati…

Sembra che quello della nostra infanzia sia un mondo andato perduto. L’”Atlantide” dei comportamenti sociali, l’estrema Thule del convivere civile.

Cosa ci sia “dietro” è difficile dirlo. Carenze di educazione familiare, certamente. Poi, ci sono i social e sui danni che ne possono conseguire preferisco sorvolare. E ancora, quanto male possa fare l’istruzione scolastica attuale non spetta a me giudicare. Per intenderci, faccio addirittura parte del sistema ma sono troppo di parte, nel senso che in termini educativi rappresento uno degli abitanti di Atlantide (peraltro il più anziano).

Mi limito, dunque, ad osservare gli effetti di questo “nuovo mondo”, del bel Sol dell’avvenir.

Eccole, le nuove generazioni!

Ma… Un attimo, perdio! Sento già un brusio di disapprovazione che si leva dalla schiera dei lettori (tutti e tre tetragoni, oggi Ugo ha detto che non poteva venire). Allora, chiariamo il concetto: a quanti stanno già storcendo il naso, voglio dire che le considerazioni che seguono sono al netto delle classiche eccezioni, rare ed eventuali.

1) L’adolescente medio ha un solo registro di comunicazione, verbale e comportamentale. Tende a rivolgersi ad un adulto come ad un coetaneo, ad uno sconosciuto come ad un amico di bagordi.

Esempio: ci sono due docenti che discutono in corridoio, o nella sala insegnanti? Bene: arriva lo studente di turno e…

– Prof, le ha corrette le verifiche?

Non aspetta nemmeno che chi sta parlando concluda una frase. Si piazza tra i due colleghi (preferibilmente dando le spalle a quello che in quel momento meno lo interessa e cercando anzi di spingerlo materialmente lontano, escludendolo dall’argomentazione) e pretenderebbe, seduta stante, non solo di avere la risposta alla vexata quaestio, ma anche che l’insegnante ricordasse, uno ad uno, i voti attribuiti.

– Non vedi che sto parlando col collega? – provi ad obiettare.

– Ah, ma dicevo così (“dicevo così”, per un adolescente equivale a “intanto ogni cosa ha importanza zero, massimamente le cazzate che condivide con quel cretino di matematica ”).

E infatti, mica smette, insiste:

– Quando ce le porta le verifiche, Prof?

2) L’adolescente medio ritiene che il mondo sia imperniato sulla sua augusta persona. Quello che gli gira intorno fa parte di meccaniche celesti che seguono algoritmi bruti, perfettamente inutili.

Per ricordare

Finisce l’intervallo, viene concesso un tempo ragionevole per raggiungere l’aula, poi si chiude la porta e si riprende la lezione. Dopo un lasso imprecisato che può andare dai due ai dieci minuti, l’uscio si spalanca con un vigore mal trattenuto e entrano due o tre allievi ritardatari, in gruppetto o alla spicciolata.

Danno un’occhiata fugace a quello che c’è scritto sulla lavagna e tentano di raggiungere il banco, non di rado annunciando a mezza voce (volume che per un docente corrisponde a gridare in biblioteca) che “AL BAR SONO FINITE LE FOCACCE FARCITE”. “Tentano di raggiungere”, dicevamo, perché li fulmini con uno sguardo che incenerirebbe gli arbusti e finalmente capiscono che qualcosa non sta funzionando. Si bloccano. Esibiscono un’aria sinceramente stupita (questo è il dramma : “sinceramente stupita”) e restano in piedi a metà del tragitto.

– E allora…?! – dici tu a muso duro, sperando che nelle loro menti semplici si sviluppi un vago senso di inadeguatezza.

Le prime volte credono che tu ti sia alterato per la drammatica notizia delle focacce. Sono bravi ragazzi, in fondo. Non mi meraviglierei che si rendessero disponibili a procurarti le focacce dal panettiere più vicino.

– Si entra così? – provi ad aiutarli.

Ma non capiscono.

Non capiscono nemmeno quando gli ricordi che due giorni prima il Dirigente scolastico, arrivato in aula per una comunicazione alla classe, ha bussato garbatamente prima di dischiudere l’uscio e poi lo ha fatto con una cortese delicatezza.

Per ricordare

No, non lo capiscono ancora.

Allora, al momento rinunci. Vedasi la regola degli “imprevisti” e delle ventimila lire non ritirate.

Li fai uscire. Li fai bussare e rientrare invitandoli ad aprire la porta delicatamente. Le prime volte, sui loro volti si irradia un’espressione di garrulo imbarazzo. Assomigliano ai pigmei che per la prima volta vedono i loro volti impressi nella stampa di una Polaroid.

Va avanti così per un mese, con le classi nuove, quelle non ancora “trattate”. Poi, continuano a non capire, ma rientrano con meno ritardo, bussano e si siedono senza far rumore. Probabilmente credono faccia parte di un rito pagano (i Pigmei sono sempre dietro l’angolo).

3) L’adolescente medio ha per la cosa pubblica la stessa attenzione che riserva per i jeans con gli strappi vista natiche. La stessa che riserva all’incolumità dei compagni e finanche alla sua.

Li porti fuori di classe (io ho questo terribile privilegio) per una esercitazione. Utilizziamo strumenti che costano fino a ventimila euro ciascuno. Ne parli in aula molto prima di passare alla pratica, subissando la platea distratta di raccomandazioni che pare perfino tragico dover fare a dei quasi adulti. Ti sembrano concetti semplici, comprensibili anche per un bambino: gli strumenti costano un patrimonio, se li danneggiamo non possiamo più esercitarci; gli strumenti dotati di laser, inoltre, sono potenzialmente pericolosi per la vista.

Per ricordare

In ultima analisi: se alla prima uscita vi comportate da sciocchi, la prima uscita può considerarsi anche l’ultima.

Dopo ore di spiegazioni, esempi e raccomandazioni, arriva il giorno della prima prova pratica.

Hai venti assatanati da seguire, li porti in laboratorio a recuperare la dotazione strumentale e inevitabilmente sei l’ultimo ad uscire dal locale. Quando arrivi in strada, si sono già organizzati. Un paio sta utilizzando le paline per una gara di giavellotto. Un idiotino (non vorrei infierire, ma si chiama Paolino Solletico) si ostina ad appoggiare l’occhio al cannocchiale dalla parte della lente collettrice: se pasticciando sui tasti come sta facendo attivasse il segnale laser del distanziometro diventerebbe ipso facto l’Orazio Coclite del corso geometri. Un altro ha montato lo strumento sul cavalletto, ma quello si ostina a non ruotare. Gli hai spiegato cento volte di non forzare mai gli apparati di blocco, ma lui no. L’alidada non gira, e lui spinge, il maledetto. Sembra che non abbia mai fatto altro nella vita. Probabilmente sono mesi che si sta allenando, in palestra, per fare fuori il sistema pur robusto della vite di pressione. Gli arrivi da dietro e solo per una frazione di secondo eviti il disastro, ma quello che vorresti fare davvero è dargli un buffetto sulla nuca. Di quelli così forti da spostargli di un paio di centimetri le efelidi.

Hai appena salvato ventimila euro della Scuola e alle tue spalle una voce dice:

– Prof, ma cosa succede se si ruota davvero la levetta di collegamento tra il basamento e l’alidada? Ha presente quella che lei ci ha detto di non toccare nemmeno?

Ti giri con aria spiritata:

– Ma lo hai fatto? – esclami disperato, cercando con gli occhi pezzi di strumento ormai irrimediabilmente dissociati.

– Ah, ma dicevamo così… – dice un’altra voce. Nemmeno controlli. È quella di Paolino S.!!!!!!!!!!!!!! Alla fine, mi torna in mente mia Nonna. Poverini.

Dal nostro archivio

ANNI ’60: QUANTI RICORDI DI QUELLE ESTATI!

Quando si partiva tutti rigorosamente ai primi d’agosto, mentre le città si spopolavano e i negozi chiudevano in massa

Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica

Per molti di noi, in questo 2020 così travagliato, le vacanze non saranno viaggi avventurosi ma piccole trasferte, un’occasione per stare un po’ nella natura, magari ospiti di amici e parenti. La parola d’ordine è ”quest’anno andiamo vicino”, con programmi che ci ricordano un po’ quelli della nostra infanzia.

E le vacanze degli anni ’60, c’è da dirlo, restano mitiche, non fosse altro perché è in quegli anni che la vacanza diventa un vero fenomeno di massa Prima di allora, per i pochi che potevano permetterselo, c’era la villeggiatura: si andava “in villa”, trasferendo famiglia e servitù in un luogo più salubre come la Brianza o i laghi per i Lombardi, le rive del Brenta per i veneziani, i colli per piemontesi o toscani o i castelli per i romani. E’ a quelle villeggiature che dobbiamo molte delle splendide ville che ornano il nostro Paese, retaggio di un’epoca in cui i bagni di mare non andavano ancora di moda, e i viaggi erano stravaganze per intellettuali avventurosi, o al massimo esperienze per i figli dell’aristocrazia che facevano il Grand Tour in Europa prima dell’ingresso ufficiale nella vita adulta. I soggiorni in località balneari o montane cominciano ad andare di moda all’inizio del ‘900, ma per anni saranno accessibili solo ai più benestanti. Nel giro di pochi decenni

Dal nostro archivio

intanto nascono le prime colonie estive, lo scoutismo e, durante il fascismo, i treni popolari che sono per molti italiani la prima occasione per vedere il mare.

Ma ancora nel 1959 ad andare davvero in vacanza è solo il 13% degli italiani . Le vacanze come le intendiamo noi nascono con il boom economico e soprattutto con la diffusione delle prime utilitarie, perfette per caricare intere famiglie e sopportare il peso di una pila di valigie, ammonticchiate sul tetto e assicurate con gli appositi elastici. Per prepararsi poi a lunghe code sotto il sole, un’accettabile premessa del desiderato soggiorno balneare: le “partenze intelligenti” non erano ancora state inventate, e tutti partivano rigorosamente ai primi d’agosto, mese in cui le città si spopolavano e i negozi chiudevano in massa.

La meta indubbiamente più gettonata era il mare, da vivere in una pensione o più spesso in una camera, o per i più fortunati un appartamento, affittati per l’occasione. E mare voleva dire spiaggia al mattino, in attesa di un bagno sempre troppo corto e severamente disciplinato dalle mamme italiane, per cui “mai con la pancia piena”, “metti il cappellino/la maglietta/ i sandali” e soprattutto, anche con trenta gradi all’ombra, “stai attento che prendi freddo”. E poi, per i più fortunati, c’erano ciambelle o cocco acquistati in spiaggia –mia madre, salutistica, imponeva dei tristissimi biscotti estratti dalla borsa per il canonico spuntino del dopo bagno – e all’ora di pranzo tutti a casa per un pasto completo seguito da riposino .

Al pomeriggio qualcuno tornava in spiaggia – chi arrivava per un solo giorno non aveva abbandonato la postazione, rifocillandosi con le vivande portate da casa – oppure si andava a passeggio. E per i bimbi era l’occasione per strappare ai genitori il permesso di mangiare un gelato, particolarmente ambito visto che all’epoca si consumava solo d’estate, mentre i più grandicelli ascoltavano musica al juke box.

Passatempi proibiti per me bambina, visto che i programmi di mia madre escludevano qualunque golosità e prevedevano una passeggiata in pineta (la pineta di Castel Fusano a Ostia, allora ancora molto bella): un

Foto d’epoca di una colonia estiva fascista

Dal nostro archivio

programma non particolarmente allettante, che io trasformavo in una meravigliosa avventura grazie alla presenza di numerosi formicai abitati da formiche di tutte le specie. Probabilmente mia madre vedeva di buon occhio questi miei interessi scientifici, perché ero autorizzata a portare con me un cartoccino di zucchero e un pezzetto di pane per nutrire le mie compagne di giochi, con cui passavo ore piacevoli mentre mia madre leggeva. Solo più grandicella, affidata a mia zia che era molto giovane e scarsamente incline alla disciplina, ho potuto durante altre vacanze assaporare il piacere di gustare una bibita fresca al tavolino di un bar o di scegliere i dischi preferiti da far suonare con i pochi spiccioli disponibili.

La sera poi, dopo la cena a casa o in pensione, si usciva ancora per una passeggiata al fresco, per qualche sagra o a volte per un cinema all’aperto. Non ricordo che esistesse l’Autan, mentre ricordo bene l’odore dell’ammoniaca con cui, ogni mattina, venivano medicate le punture della notte …

Il tutto si ripeteva senza troppe variazioni per due o tre settimane: perché la durata media delle vacanze era superiore all’attuale – 20 giorni l’anno nel 1965 – e perché era diffusa l’abitudine di “parcheggiare” al mare mamme e bimbi, mentre i padri si riunivano alla famiglia il venerdì sera. Dopo una settimana in città che sollevava il sospetto di avventure peccaminose – pensiamo al papà tentato da Marilyn di “Quando la moglie è in vacanza”- titolo italiano che riflette un timore del tradimento legato alla vacanza assai più nostrano che statunitense – mentre nella maggioranza dei casi le trasgressioni si traducevano in cenette solitarie a base di birra e Simmenthal.

Di tutto e niente

FERRAGOSTO CON AMORE

Tre persone, tre generazioni, per festeggiare assieme l’Assunzione di Maria

Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico

“Nei miei pensieri all’incontrario va” (scatto di Andrea Tomasini)

Di tutto e niente

Quest’anno siamo in tre. Tra poco ci raggiunge mio figlio. L’anziana genitrice indossa un abito coloratissimo, optical. La convinsi io ad acquistarlo a Spoleto. Forse l’ultimo abito che si è comprata. Era il 2018, credo, e lo prese da Nerina, a Spoleto – luogo di eleganza e amicizia che nel cupio dissolvi della città ora non c’è più . “Ma non è troppo colorato per me?” “Ma che dici, Luciana…” mi dava manforte Silvio, amico da una vita e agevolatore dell’incontro tra la mia maman e il mio papà .

Tutti quei colori… e lei è cieca, ha disfagia che la funesta, bronchiectasie che rendono complesso respirare… Le giornate sono costellate di adempimenti. Lei dice che è stanca. Io anche sono affaticato e malinconico –pensando a chi non c’è… Ma stanco no.

“…Ma noi ci siamo, e questo è importante – dico all’anziana genitrice abbracciandola- quanti ferragosto assieme abbiamo fatto…”

“Vero – risponde- dell’anno scorso non mi ricordo…”

Io sì. “Eravamo noi due e c’era perfuso un mondo d’amore…”

“Beh, quest’anno viene Emiliano…”

Vero. Mia figlia sta in vacanza a Londra ed Emiliano è qui perché lavora…

Ho cucinato cose che hanno significato per noi. Le origini spoletine danno il nome a questo giorno: festa dell’Assunta, perché il Duomo è a lei dedicato e mia nonna materna si chiamava Assunta. Si convergeva a Spoleto per festeggiarla da ovunque si fosse… grandi tavolate, tartufi estivi per condire la pasta, crostini di fegatini di pollo e un secondo di carne. Io ho fatto della pecora stufata – ha cotto 4 ore. Il resto, come da tradizione.

Dolce malinconia. Ci siamo e siamo felici e ce lo diciamo. Chi manca… eh, se ci si crede allora chi manca sa di mancare e sa anche quanto.

Da noi che siamo in tre buona festa dell’Assunta a tutti.

Versi Di...versi

MACERIE & MEMORIE

Soltanto una mezza parete, là in fondo alla valle, invasa da edere e insetti. Muretti a secco, proni alla furia d’immani tempeste. Un giorno magione, povera e afflitta, raccolta di stenti, di braccia consunte da pene estenuanti.

Ora abitata dal vento aleggiante di morte stagioni.

Versi Di...versi

Una bambola monca fra siepi incolte ridesta visioni di giochi perduti. Il tempo avvelena mortali sembianze ma sale da rose selvagge fragranza di vita nascente.

La nonna intenta a una cena frugale, bambini festanti e la giovane mamma che sprona al dovere dei compiti a casa. Il padre è sui campi, a travagliare per poche sostanze. Rivedo frammenti di infanzia perduta e rimasta, rammento quei gesti scolpiti, mordaci più di tante parole, e ora il silenzio sovrasta i giorni e le notti che forse io vissi.

Da leggere (o rileggere)

QUANDO NON SI PUÒ FARE A MENO DI SCRIVERE POESIE

E’ il caso di Bruno Belletti, docente e dirigente scolastico, che ha sempre affiancato alla sua attività anche quella di poeta. Ecco la sua ultima opera, in cui si esorta la generazione dei più giovani a “ritornare tra gli umani a tutto tondo”

Per chi segue Generazione Over 60 e conosce già le poesie di Bruno Belletti, sarà una piacevole sorpresa incontrare questo volume ( Se non avessi i sogni www.amazon.it/Se-non-avessi-sogni-Risonanze/dp/ B0D3Z7PGGL /) che ne raccoglie un buon numero quasi in ordine sparso, lasciando al lettore il piacere di costruire un proprio percorso, approfondendo la vena più intima del poeta ma anche la sua capacità di riflettere sull’attualità o di tratteggiare una situazione in pochi versi.

Per tutta la vita Belletti è stato un uomo di scuola, prima come docente e dirigente scolastico in istituti superiori statali e ora come preside di un istituto privato. Ma a questo percorso ha affiancato la sua attività di poeta, scrivendo su varie riviste e sul suo blog personale. Incurante del fatto che, come scrive nell’introduzione Paola Maldotti, oggi il contesto scolastico non sia precisamente aperto alla poesia. L’autore vive la lirica come necessaria, indispensabile – come i sogni cui fa riferimento il titolo della raccolta – a dare significato alla vita anche quando sembra che non ne abbia. Bruno Belletti, autore di “Se non avessi i sogni”

Da leggere (o rileggere)

Alternando diversi registri, perché l’autore ha la capacità di scrivere poesia di occasione, legata a un evento o a una ricorrenza, ma anche di seguire le emozioni e la fantasia.

E così buona parte delle liriche è dedicata all’amore : “Sono perché sento il pulsare degli abbracci”, scrive Belletti in Ontologia e ancora in Saliscendi , in versi che ricordano gli haiku giapponesi – un modello stilistico che gli è particolarmente congeniale – “alterno emozioni e mi sovviene il sapor della vita”. Non mancano note amare, come nelle riflessioni sullo scorrere del tempo o il rimpianto per le occasioni perdute, raccontate in versi che sembrano aspettare un corredo di note musicali per trasformarsi in malinconiche ballate . L’autore scrive da “palombaro dell’animo umano” – così lo definisce Maldotti – che può contare su anni di letture attente: così ci sono echi dei versi di Quasimodo nella poesia a lui dedicata, e altrove – come quando i ricordi dei cari defunti sono descritti “vivi come rondini dormienti in attesa dei tepori” – si intuisce una lunga familiarità con la poesia classica.

Ma a darci una scossa sono i versi dedicati all’attualità – come le poesie sulla guerra – in cui l’attenzione all’etica è esortazione all’impegno civile, ma anche satira, come in Generazione web dove l’autore invita i più giovani a “ritornare tra gli umani a tutto tondo” . “Riscopri veemenze di giovani assalti e lascia che un pugno sferrato all’autunno ridesti sorprese di favole nuove” scrive Belletti in Ascensione , anche se poi nella lirica dedicata ad Alda Merini descrive la sua penna come “debole fionda”. Ma accanto al pessimismo compare anche, in Aspettativa, l’attesa di“nuove sgargianti primavere di festa “.

AMOGLIANIMALI

TIRIAMO FUORI LE ZANNE

Presentazione di un libro over-generation

Di Amelia Belloni Sonzogni – scrittrice

Approfitto della gentilezza e disponibilità della «direttora nostra» Minnie Luongo, per raccontare di un libro, appena uscito per i tipi di Cronache Ribelli, che mi sta molto a cuore e – secondo me – dovrebbe essere adottato nelle scuole come manuale di educazione civica, giusto per rispettare e dare vita all’articolo 9 della Costituzione: la Repubblica italiana «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni». L’auspicio sarebbe anche quello di rendere la scuola partecipe e incisiva nel momento in cui le linee guida dell’educazione personale e familiare difettano o, peggio, deviano fino a consentire i comportamenti atroci testimoniati dalle cronache. Evito l’elenco dei casi recenti perché accrescerebbe solo il dolore di chi è partecipe delle sofferenze gratuite, ingiustificate, vere e proprie violenze subite dagli animali.

Perché certi insegnamenti possano attecchire, classe dopo classe, generazione dopo generazione, bisognerà agire con piccole, diffuse, mirate e ostinate, direi pervicaci, insistenti azioni, pur nella consapevolezza del rischio (di vari e imprevedibili livelli) di parlare al vento.

Viene spesso il dubbio che il vento potrebbe far meglio, ma si dovrebbe – anzi, si deve – tentare di convincere classe dopo classe, generazione dopo generazione, che l’uomo non è il centro di questo mondo, che gli animali sono esseri senzienti con tutti i diritti a vivere bene, che patiscono, gioiscono, si annoiano, si divertono come noi, animali umani.

Lo so, la realtà è desolante. Il docente che si accinge a tale impresa ciclopica si sente solo, isolato, persino deriso. Inutile sperare in appoggi istituzionali a qualsiasi livello.

Non resta che tirare fuori le zanne e agire nel proprio piccolo, ove e come possibile, come fanno gli animali che non si rassegnano.

Contro ogni evidenza, decido anch’io di sperare che «accada l’ideale che ci riscatta» [1] .

Chissà che un libro possa diventare un grimaldello, con buona pace della mia insegnante di lettere delle medie (Suor Maria, quella dei temi lampo) che combatteva tenace contro la mia convinzione che gli animali abbiano un’anima.

Gli animali non umani sono esseri inermi tra i più oppressi eppure tra i più ribelli e manifestano la loro volontà di ribellione perché si ribellano sempre, ci provano sempre, nonostante le costrizioni e la totale mancanza della certezza di riuscire: gli esempi (e sono solo alcuni) che uno dei curatori, Francesco Cortonesi, elenca e racconta nell’introduzione sono storici, reali, accaduti e non lasciano spazio a fraintendimenti o strane interpretazioni.

AMOGLIANIMALI

Sensibilizzare dunque, questo lo scopo del libro. Ma non solo: l’altro intento è quello di supportare una campagna in difesa degli animali.

Non tutti sono capaci – e mi metto in prima fila tra questi – di azioni fisiche concrete, come entrare per esempio in un laboratorio in cui si prosegue a torturare i cani con il fumo di sigaretta (perché c’è ancora qualcuno che non ne conosce gli effetti cancerogeni sull’uomo) e liberarli; oppure documentare le infinite sevizie alle quali sono sottoposti gli animali in certi allevamenti e mostrarle, denunciarle, lottare perché siano almeno interrotte; oppure creano e gestiscono (come Susanna Panini, altra curatrice del volume e il “suo” Ippoasi) rifugi per quelli che sono stati salvati.

C’è chi – come me – può solo, per varie ragioni, non ultima l’età Over, scrivere e destinare agli animali il ricavato di ciò che scrive, perché anche la scrittura è una forma di lotta; sono d’accordo con Francesco Cortonesi.

AMOGLIANIMALI

È il caso di questo libro: Zanne. Antologia di animali ribelli.

Tutti gli autori che hanno collaborato scrivendo, hanno ceduto i diritti all’Assemblea Antispecista che li devolve alla causa degli orsi in Trentino: mai come ora bisognosa di supporto, dopo la «rimozione» di KJ1; così nel decreto che ne ha ordinato l’abbattimento è stata definita l’azione messa in atto dalle guardie PAT (Provincia Autonoma di Trento).

Non avevo idea, quando ho inviato a Cronache Ribelli il mio racconto, Dina e Mario , di cosa avrebbero scritto gli altri; quando mi sono arrivate le bozze, terminata la lettura di queste 242 pagine, ho pensato subito due cose: fra gli autori, almeno per quello che ho letto nelle loro biografie, sono la più anziana e l’ampio arco anagrafico che rappresentiamo manifesta una consapevolezza comune, una partecipazione davvero confortanti. Il tema della ribellione degli animali all’uomo è affrontato e raccontato in un modo così «immersivo» da lasciare un segno tanto coinvolgente da convincermi a scommettere sul suo potere persuasivo e a confidare ancora nelle intelligenze umane che lo leggeranno.

Mi sono detta: chi legge, arriverà in fondo e si sarà tanto immedesimato che avrà compreso; la ribellione interiore si opererà; gli animali saranno considerati esseri senzienti, persone, le «piccole persone» delle quali parla Anna Maria Ortese in un altro libro fondamentale per un’educazione in questo senso, saranno trattati con dignità e rispetto; si estingueranno invece, via via, secondo il ciclo naturale della vita e grazie al ruolo fondamentale dell’educazione, gli esseri che arrivano alla ribalta delle cronache – quelli che uccidono animali per noia o divertimento, quelli che li sfruttano per soldi, quelli che li maltrattano – perché il seme di una coscienza nuova attecchirà.

Non potrà essere altrimenti.

Qualcosa in Zanne ha incrinato il mio pessimismo, lo stesso dichiarato in calce al mio racconto quando affermo che secondo me gli animali non hanno scampo: «il loro punto di vista» – quello degli animali, intendo – ha un impatto, una forza, una capacità di persuasione altissimi in questa antologia, sia nella prima parte, di invenzione narrativa, sia nella seconda che raccoglie vite vissute, reali.

Ne ho già scritto sul mio blog «note a margine» :

«Tra queste ultime, tutte appassionanti, quella che più mi ha toccato è la confessione dell’assassinio di Diasprilla, lucida e impietosa analisi da parte del suo mandante-esecutore-proprietario. Credo racconti come sia possibile l’assenza di un’empatia che dovrebbe essere ovvia tra cavaliere e cavallo e come sia possibile e auspicabile il pentimento, il rimorso, il comportamento diverso, opposto, attraverso una presa di coscienza, con i tempi necessari.

C’è tanta morte in questa antologia: quella alla quale ci si rassegna [forse; mai per quel che mi riguarda] per evitare sofferenze insensate; quella che si cerca di cacciar via, perché no, non deve prendersi Tombola; quella incarnata in senso letterale dai corpi smembrati appesi nelle celle frigorifere di una macelleria; quel -

AMOGLIANIMALI

la delle macellazioni inarrestabili, per il gusto delle papille umane, con lo strazio di anime sofferenti oltre la vita. Un orrore che va fermato, una vendetta che va portata a termine: dunque c’è anche la morte umana, dei responsabili di atrocità folli, del commerciante di scimpanzè e schiavi umani, degli uomini come specie soccombente a un virus trasmesso da cavie di laboratorio.

E ci siamo passati: «Aviaria, Hendra, Ebola, SARS, malaria, vaiolo delle scimmie, Nipah, Febbre del Nilo Occidentale, HIV e Covid sono solo alcune delle zoonosi che ci ricordano quanto noi facciamo parte del Mondo esattamente come gli altri animali, e che il nostro considerarci “specie superiore” non può proteggerci in questi casi» (F. Cortonesi, Introduzione , in Zanne , pp. 20-21).

Altri racconti indagano i temi degli animali ridotti a fenomeni di baraccone nei circhi, persino quando uno di loro, grazie alla propria intelligenza, riesce a sfuggire al macello e il tema del rapporto tra cavia e uomo che su di lei effettua esperimenti. C’è anche una favola, leggiadra come una farfalla.

Argomento affascinante – che mi tocca molto in considerazione della mia convinzione che gli animali abbiano un’anima – quello degli animali fantasmi: nessuno può fermarli, nella forma eterea riescono a unirsi, a diventare forza dirompente. Non voglio dire altro, ma il cane Danny che prova comunque a difendere chi ama mi resterà marchiato addosso».

AMOGLIANIMALI

Spendo due parole per il mio Dina e Mario.

Dina è un cane, Mario il suo umano: un binomio saldo e felice che sarà spezzato dall’avida ferocia di altri biechi umani, sicari prezzolati. I nomi sono di fantasia, così come immaginato è ciò che Dina forse ha passato e tentato; la sparizione di Dina invece è cronaca del nostro tempo atroce. Il dolore di una simile separazione non è solo umano. E questo ho provato a raccontare.

Onore al merito, infine, a Cronache Ribelli che ha dato vita a questa iniziativa che promette di non restare isolata.

[1] Teresa Trivellin, Appunti su Zanne e Dina e Mario, in un post su X del 24 luglio scorso.

Immagini e fotografie

Copyright

Dove non espressamente indicato le foto o le immagini presenti attualmente nella rivista sono situate su internet e costituite da materiale largamente diffuso e ritenuto di pubblico dominio.

Su tali foto ed immagini la rivista non detiene, quindi, alcun diritto d’autore e non è intenzione dell’autore della rivista di appropriarsi indebitamente di immagini di proprietà altrui, pertanto, se detenete il copyright di qualsiasi foto, immagine o oggetto presente, oggi ed in futuro, su questa rivista, o per qualsiasi problema riguardante il diritto d’autore, inviate subito una mail all’indirizzo generazioneover60@gmail.com indicando i vostri dati e le immagini in oggetto.

Tramite l’inserimento permanente del nome dell’autore delle fotografie, la rimozione delle stesse o altra soluzione, siamo certi di risolvere il problema ed iniziare una fruttuosa collaborazione.

ILLUSTRAZIONE DI ATTILIO ORTOLANI

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.