Anatomia

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I racconti contenuti in questa raccolta sono stati pubblicati con license creative commons su Tutta colpa della Maestra I diritti appartengono ad ogni singolo autore


I nervi. Giorgio D'Amato L'intestino. Mauro Melon Cuore. Antonella Tarantino Sic Transit. Gianluca Meis Encefalo. Clotilde Alizzi Vene ed altri‌disastri. Lucia La Gatta Maestra, si può dire Culo? Ermelinda Frangisponde Piedi. Barbara Goria Gli occhi. Bea Ary La lingua. Ella Bix Il cranio. Gianluca Meis I testicoli. AAVV La clitoride. Bea Ary Fegato. Vito Bartucca Vulva. Roberta Lepri Le Tette. Anna Wood



I nervi Sottile la parete sottile tra la calma e l’esplosione, cartongesso da abbattere con una spallata, o carta 80gr a metro quadro da ridurre in coriandoli mentre digrigni i denti o burro, sì, burro sezionato con un nylon sottile e diviso in due – o tre o quattro – come un bivio, come un destino che al mattino tra auto funzionante e auto in panne sceglie un guasto al carburatore, da arrivare in ufficio in ritardo di due ore e trasformare la funzione customer care nella traduzione fedele di “Insulti al pubblico” alla clientela; tre come chi non sa chi bestemmiare tra padre, figlio o quel pennuto dello spirito santo; quattro come tutte le femmine che rompono i coglioni di un uomo – la madre, la moglie, la figlia, la collega capoufficio che l’ha spuntata non si sa per quale ragione – e allora prendi un filo, sottile di nylon sottile, e te lo avvolgi attorno (un salame, un lacerto, un baco da seta che si fa pupa stronza), e poi torni a casa e prendi un chiodo e lo conficchi alla parete con una testata o il martello, e con un nodo fissi un capo del filo, e poi prendi un altro chiodo e lo conficchi alla parete con una testata o il martello, e tendi il filo, e poi prendi un altro chiodo e lo conficchi alla parete con una testata o il martello, e tendi ancora il filo, e poi un quarto chiodo, un quinto, tanti chiodi che la stanza diventa una trappola di ragno elevata alla potenza di chissà quale numero potente e tu ti metti in centro, e cominci a tirare, e salta il primo chiodo, il secondo chiodo, il terzo chiodo, e spunta il primo buco, il secondo buco, il terzo buco e allora occorre tinteggiare, indorare, sistemare, tante volte, tante volte, troppe volte, oppure niente, e lasci il mondo così, per come lo hai trovato. Giorgio D'Amato


L'intestino François de Neufville, secondo duca de Villeroy, era oltremodo infastidito dall’atteggiamento che tutti avevano nei suoi confronti. Con quale coraggio lo dipingevano come uno dei peggiori militari del regno, lui che era arrivato al sommo grado della scala gerarchica diventando Maresciallo di Francia? Certo, tutto dipendeva dai suoi soldati, ingrati e ignorati i quali cantavano allegri quando lui fu catturato durante la battaglia di Cremona; m. de Villeroy non avrebbe mai potuto dimenticare quei versi per quanto lo volesse, e soprattutto non poteva fare in modo che li dimenticasse tutta la Corte di Versailles: Par la faveur de Bellone, Et par un bonheur sans égal, Nous avons conservé Crémone Et perdu notre général. Per un uomo come lui non era poi tanto importante ciò che si diceva quel paese strano e favoloso che era la Corte di Francia: sapeva essere magnifico in tutto, e aveva quel genere di spirito derivantegli dall’uso del gran mondo in mezzo al quale era cresciuto e aveva passato la vita; ora aveva persino ottenuto l’ambitissima carica di tutore del giovane re, Sua Maestà Cristianissima Luigi, decimoquinto del nome, per la grazia di Dio Re di Francia e di Navarra, capo e sovrano gran maestro degli ordini di San Michele e dello Spirito Santo, capo e sovrano protettore degli ordini riuniti di Nostra Signora del Monte Carmelo e di San Lazzaro. Dopo l’ecatombe che aveva funestato la famiglia reale nel tempo di un battere di ciglia, con la malattia che aveva stroncato tre Delfini in un anno (nonno, padre e nipote), la deliziosa Duchessa di Borgogna e alla fine perfino il Gran Re, Luigi XIV, non c’era spazio per dubbio alcuno: non poteva trattarsi sicuramente di vaiolo o di qualche altro morbo; la parola esatta era “veleno”, doveva per forza essere veleno. E chi altri poteva avere ordito un piano tanto demoniaco se non una persona che tutti sapevano trafficare con alambicchi, demoni, magia, orge, incesto ed empietà della peggior specie? L’uomo che aveva un piede sui gradini del trono per diritto di nascita, colui che con la sua stregoneria era riuscito a convincere perfino il Parlamento di Parigi a cassare il testamento del defunto re e a farsi assegnare la Reggenza… si, lui diceva che gli spettava di diritto in quanto erede presuntivo della Corona, ma se il Re Sole aveva ritenuto cosa saggia non mettere il potere e l’educazione del giovane re in mano sua era perché Dio lo aveva ispirato, indubitabilmente. Dio, attraverso madame de Maintenon che lo conosceva così bene da vicino. E come poteva spiegarsi che il giovane re amasse a dispetto di tutto quel suo parente che lo trattava con grande affetto e con una deferenza infinita? Quell’uomo dallo sguardo sempre sognante dato dalla forte miopia, dalla faccia arrossata dal vino e dal carattere dolce ma fermo, e che per ossimoro


era irrimediabilmente debole? Stregoneria, solo stregoneria. Veleno e stregoneria, le armi del Maligno. M. de Villeroy avrebbe protetto ad ogni costo il suo regale pupillo da quel tizzone infernale del Duca d’Orléans, davvero ad ogni costo, compresi il disprezzo della Corte e l’ostilità della vecchia Madame, madre del Reggente. Madame, che dopo un lunghissimo periodo di sfavore era ritornata a essere apprezzata a Versailles da quando suo figlio era salito al potere, aveva sempre avuto un peso politico nullo, o forse anche inferiore, ma diventava una leonessa quando si trattava di difendere i suoi figli, nonostante avesse sempre odiato il mestiere di madre. Tutta la Francia ricordava fin troppo bene il clamore che suscitò quando suo marito, Monsieur il fratello del Re Sole, voleva fare di uno dei suoi favoriti il tutore figlio, cosa che secondo Madame ne avrebbe fatto un asino oltre che un omosessuale come il padre, se avesse seguito le istruzioni di un uomo che tutta la Francia sapeva amare i ragazzini. Ritenendo fosse necessario ammantare il proprio lavoro di un’aura quasi sacrale per svolgerlo al meglio, e ben conscio dell’importanza che i gesti e lo spettacolo rivestivano per la Corte, M. de Villeroy decise di diventare l’angelo custode del piccolo re, nulla di meno. Amava darsi importanza e apparire gravato da misteriose preoccupazioni, con un misto di affettazione, non chalance e segretezza teneva chiusi a chiave il pane e il burro che mangiava Luigi XV. Madame non sopportava tutte le allusioni al veleno e al ruolo che suo figlio avrebbe potuto avere in un ipotetico attentato a Sua Maestà; allusione che alle volte non erano nemmeno tanto velate, e decise di muovere all’attacco un giorno in cui il re si lamentava di soffrire di mal di pancia. Madame si avvicinò al sovrano, e gli diede con gesto teatrale un biglietto che aveva preparato in anticipo. M. de Villeroy vigilava come sempre, e cercò di intercettare il foglietto senza troppi riguardi per l’etichetta: - Madame, che biglietto date al Re? Domandò il maresciallo, con l’aria più seriosa possibile. - È un rimedio contro le coliche dei venti, rispose la Duchessa vedova con lo stesso tono. - È solo il primo medico del Re che può proporgli dei rimedi - Per questo, sono sicura che M. Dodard lo approverà. Il re, la cui timidezza lo rendeva imbarazzato dallo scambio di battute tra i due commedianti, aprì il biglietto e si mese a ridere fragorosamente. - È possibile vederlo? Chiese m. de Villeroy. Il re passò il biglietto all’anziano tutore che lesse: Voi che nel mesentere Avete dei venti impetuosi, sono pericolosi e per disfarvene petate: petate, non potrete far di meglio petate, troppo felice di disfarvene. Madame amava da sempre la risata salata, ma m. de Villeroy non si divertì affatto. Mauro Melon


In memoria, con immenso affetto, della mia amica Liselotte. Élisabeth-Charlotte von der Pfalz Simmern (Heidelberg, 27 maggio 1652 Saint-Cloud, 8 dicembre 1722), Duchessa d'Orléans, era figlia dell’Elettore Palatino Karl Ludwig (1617-1680) e Charlotte di Hessen-Cassel (1627-1686), e fu la seconda moglie di Philippe, Duca d’Orléans, fratello cadetto di Luigi XIV. Il suo nome è molto frequentemente riportato erroneamente, per lo più come Élisabeth-Charlotte di Baviera, altrettanto errato è l’appellativo comune di Principessa Palatina, che invece era il modo in cui in Francia era chiamata sua zia, Anna di Gonzaga di Clèves, moglie di suo zio Edoardo e figura estremamente intrigante durante la Fronda. Sul contratto di nozze figura il titolo di “Elisabeth-Charlotte, Princesse Electorale Palatine du Rhin”, e la confusione sul cognome deriva dalla sua appartenenza al ramo principale della famiglia dei Wittelsbach, che regnava sulla Baviera. A Corte le spettava il titolo di Madame, come moglie del primo Figlio di Francia, ma per tutto il suo parentado tedesco ha sempre portato il nomignolo di Liselotte.


Cuore Oh mio piccolo cuore, caro compagno, che batti e ci tieni in vita, stai sempre con noi, in cucina (a volte nel tegame, ottimo con cipolla e aceto), sulle nostre tavole (piatto piano, contorno di purè) e nei nostri letti: filo sottile ti collega e alla mente e all'anima e a quei luoghi bassi (dove non batte il sole). Posizione secondaria ti e' capitata...ahime'! Lo sterno ti fa da scudo e provi gelosia, nascosto talvolta da un petto villoso in cerca di una sensuale tartaruga, altre volte da un davanzale sovrastato da un prosperoso seno che desta curiosita' e molteplici interrogativi circa la sua misura. Mai nessuno che si occupi di te, nessuno che si interroghi sul numero delle tue frequenze cardiache, ne' una lode a Leonardo che rappresento' la tua anatomia. I tuoi battiti da uno stetoscopio sono monitorati: quando sono lenti sembra che tremi, poi le tue frequenze accellerano - ci sono attimi dove corre il rischio di scoppiare, altri in cui sembra voglia schizzare dalla cassa toracica. "Cuore matto" mentre abbracci la persona amata fino a sentirti male,"cuore muto" quando ti commuovi, tremi di freddo e di paura - il dolore ti indurisce. Se vai in defibrillazione fai correre tutti:"presto...lo stiamo perdendo...piu' veloci!" I medici cercano di ascoltare ogni tua anomalia, aritmia o tachicardia, collegandoti ad una macchina, analizzano il tuo miocardio, ventricolo destro, ventricolo sinistro, ma tu sei forte, perfino in coma spesso resisti. Cerchi sempre qualcosa o qualcuno da amare e non ti dai pace: avvelenato da molti mostri grassi che aumentano i trigliceridi e ti fanno soffrire chiudendo le tue arterie (ma anche certi magri sono dannosi uguale). Oh cuore, batti e non ascolti ragione, perdoni, ti nascondi, ti disperi, ti ammali...cuore zittito, disperato, messo in croce: segui l'illusione di una adrenalinica passione, scherzi quando sembri spezzato dal dolore ma poi torni a battere e pulsare in modo regolare. Tu, oh cuore, pompi il tuo sangue e lo distribuisci nelle vene, e li' racchiudi tutto il tuo segreto, organo pulsante - tra una pompa e l'altra, che sia funebre o d'altra specie: pompa di calore o da pompiere o pompa magna. Antonella Tarantino


Sic Transit "Ha reso l'anima a Dio il bastardo"? "Sì, Padre". "Andate a chiamare il generale Bertrand. Uscite tutti. Lasciate la stanza...Lei resti dottore". "Posso servirla ancora in qualcosa Padre"? "Può aiutarmi a cambiarlo"? "Certo, ma per questa incombenza possiamo attendere le suore". "Possiamo benissimo farlo noi; e poi ho bisogno di lei per un'altra faccenda". "Come posso servirla"? "Gli tolga la camicia, tolga tutto". "Mandiamo Alì a prendere la sua divisa in lavanderia". "Niente divisa, gli inglesi sono stati chiari, al massimo quella dei cacciatori della Guardia Imperiale". "Padre, dovremmo predisporre la salma anche per l'autopsia". "Tumore allo stomaco, non mi pare un verdetto complicato". "Ma..." "I suoi ma non le rendono un buon servizio: faccia come le dico e anche lei avrà di che guadagnarci da questo corso ormai innocuo". "Cosa intende dire"? "Prenda la forbice e inizi dai capelli: ci sono ancora molti nostalgici disposti a sborsare denari per qualcosa che ricordi loro Napoleone; almeno non sarò marcito su questo sputo di terra per nulla". "Ho capito padre: possiamo usare la mia borsa se crede". "Credo, credo...e ora gli scopra l'inguine". "L'inguine"? "É quel che ho detto: ha avuto molte amanti ricche e con quello posso pagarmi il resto che ho da vivere" "Ma padre se ne accorgeranno..." "Ora è il momento di farsi mandare la divisa e rivestirlo. Compili il certificato di morte per gli inglesi. Avranno fretta di seppelirlo. Nessuno ci farà caso".

È morto il 17 maggio 2007 in un ospizio di Englewood (Gran Bretagna), a 92 anni, il professore della Columbia University John F. Lattimer . Urologo, esperto balistico che tra i primi esaminò il corpo di John Fidgerald Kennedy, Lattimer si divertiva nel tempo libero a collezionare reliquie militari e resti umani. Tra di essi c’era anche il pene di Napoleone Bonaparte. Leggenda vuole che l’organo riproduttivo dell’Imperatore francese sia stato fatto decurtare da uno dei suoi nemici, il clerico Vignali, che al generale non aveva mai perdonato alcune pesanti allusioni sulle sue presunte defaillance sessuali. Ne dà notizia il quotidiano spagnolo El Mundo, che accompagna lo scritto con qualche divertita precisazione: “Il pene napoleonico passò di mano in mano, restando però di proprietà della famiglia Vignali per molti anni”. Battuto poi


all’asta nel 1999, fu acquistato da Lattimer per 4 mila dollari. “La misura del pene di Bonaparte - spiegò Lattimer senza fornire ulteriori dettagli - era di quattro centimetri e mezzo in stato di riposo che diventavano 6,1 durante l’erezione”. Come Lattimer conoscesse così dettagliamente le misure di Bonaparte è un mistero, ma pare che l’Imperatore - noto ai più come un impenitente sciupafemmine - soffrisse sin da adolescente di un grave problema endocrinologico che limitò la crescita dei suoi organi genitali. Concludono rassicuranti gli esperti sessuologi consultati da El Mundo: “Questi dati smentiscono chi crede che il successo amatorio dipenda dalla lunghezza dell’organo. Certamente tra le virtù di Napoleone non c’erano né la statura né la “lunghezza”, ma non vi è alcun dubbio che sia stato ugualmente capace di dispensare grandi passioni alle donne che ha amato”. Gianluca Meis


Encefalo alfa privativo, sub come sotto, down come basso. Up come alto...insomma ci vuole orecchio Come diceva quel vecchio che guardando in alto lassù dritto verso il cielo cantava: perché ci vuole orecchio, quello buono che ci garbi parecchio. Perché senza non vai da nessuna parte. Perché ci vuole orecchio, bisogna avere il pacco immerso dentro al secchio. Bisogna averlo tutto anzi parecchio. Per fare certe cose bisogna avere orecchio...Mentre l'alba respira le prime luci, chiarori arborei dentro una città di ultimi e di primi. Gli occhi assonnati già aperti da tempo, sorbito un caffè bollente, ingollato poi tutto di colpo per riscaldare il petto e la vita dal naso in giù. Fa più forti adesso che la fatica è tanta giù ai mercati ortofrutticoli. Scarichi di ogni tipo. Sacchi, cassette, pacchi e pacchi, cassette e sacchi. Gin ha la maglia rossa e lunga fino al ginocchio, ha bevuto un po' di gin già alle 5 per combattere il freddo. Strofina le mani forti l'una contro l'altra per scaldarle. Io mi accontento di correggere il caffè, poi ci fumo con voluttà sigarette forti, che invadono i polmoni di polvere sottile e come veleno con cui scoppiare prima o poi. Ma sarà poi lo so...Troppa rabbia in corpo per arrendermi. Gin ha fatto il giro dei colli ammassati tre volte, prende le misure prima di demolirli come sempre con grande tenacia e metodo. Comincia sempre da quelli più grossi. E' fatto così. Sceglie lui come procedere, né puoi impedirglielo. Gin ...grande!!! Gli batto una gran manata sulle spalle, mentre sghignazzo con tanta allegria in corpo da risvegliare anche i topi immersi dentro i sacchi di legumi. Non parliamo del resto della fauna che già ha girato alla larga da tempo, ai primi rumori dentro l'hangar . Lo incalzo, prendiamoci una pausa Gin, sembro dirgli. Prima che tutto vada in malora, l'alba finisca in qualche intoppo senza uscita. E allora dovremo imprecare e sputare sangue dal corpo e sudore e viscere senza fermarci. Gin, ehi Gin che dici, ce le cantiamo quelle due strofe come fanno...Dai intona, amico. Perché ci vuole orecchio...bisogna avere il pacco, immerso dentro al secchio!!! Bisogna averlo tutto, ...anzi parecchio Gin canta con quella felicità immensa negli occhi. Sa. L'innocenza. Sa. L'allegria dei suoi occhietti rossi e intorno la cute rugosa. Sa. Sa cantare alle 5 del mattino prima che l'alba si prenda tutto. In una maglia rossa lunga fino al ginocchio, il berretto calato sugli occhi. Mi dice dammi il sigaro, fammi provare. No, Gin stai lontano da questo, ti uccide. E tu ? Dice. Perché tu si? Clotilde Alizzi


Vene ed altri…disastri Era immobile al letto, qualche giorno prima avevano deciso di “sfilargli” una vena. Si, sfilarla dalla sua sede naturale, una gamba. Faceva troppo di testa sua quella vena, si gonfiava, doleva, rischiava di strozzarsi da sola come un bambino ai primi pasti. Insomma, bisognava ripulirla ben bene e farle un buon lifting. Il giorno stabilito era arrivato e prima di cominciare lo avevano praticamente denudato, lasciandogli addosso solo una maglietta, poi lo avevano disteso su un lettino in una stanza gelida. Dopo pochi minuti di solitaria attesa era arrivata professionale e distaccata l’infermiera che si sarebbe presa cura di lui, aveva alzato il lenzuolo, e con un altrettanto professionale sguardo aveva commentato: “qui dobbiamo tagliare tutto!”… “come…tagliare tutto…per una vena?” aveva farfugliato lui. L’infermiera a quel punto lo aveva guardato con un sorriso tra l’ironico ed il commosso, ed aveva spiegato che, quello che avrebbe tagliato non erano i suoi “preziosi gioielli”, ma tutto quell’inutile sottobosco intorno alla “zona protetta” perché, era dall’inguine che avrebbero sfilato quella fastidiosissima vena. Palesemente sollevato si disse pronto all’operazione peli superflui, ma non aveva fatto in tempo a sentirsi sollevato che tra le mani dell’abile infermiera era apparso un rasoio bic bilama usa e getta pronto a tagliare tutto il possibile e senza neppure il conforto di una spruzzata di schiuma da barba. L’infermiera viaggiava decisa ma delicata, in una mano reggeva il bilama e nell’altra reggeva il suo “inseparabile compagno di viaggio” il quale, man mano che intorno a lui si faceva terra bruciata, iniziava a fare troppo di testa sua a causa di quel continuo e delicato palpeggiamento. Sposta e taglia, taglia e sposta…e così si era ritrovato pelato ed…eccitato sotto lo sguardo dell’infermiera che, almeno così gli era sembrato, aveva perso un pochino della sua gelida professionalità. “Mi scusi” aveva farfugliato lui chiaramente imbarazzato. “Ma prego” aveva replicato lei chiaramente compiaciuta. Lucia La Gatta


Maestra, si può dire Culo? “I maschi disegnati sui metro, confondono le linee di Miro”… Questo verso della canzone “I Maschi” di Gianna Nannini, l’ho sempre trovato geniale: la perfetta sintesi dell’atteggiamento che spesso in molti assumiamo per giustificare ad esempio la pornografia, dimenticando molto dell’aspetto ludico e liberatorio di un graffito infantilmente osceno. Ovunque, specie sui muri di città, tutti i giorni vediamo disegni abbozzati dell’organo genitale maschile, segni, scrostati magari dal tempo, di un’autoaffermazione, di uno scherzo, perché no, di una voglia. Forme e dimensioni spesso irreali, proprio come le linee di qualche artista moderno, che per un mattino catturano la nostra attenzione, i sorrisi maliziosi di ragazzine in gruppo i cui pensieri ancora spaventano coetanei intenti spesso solo ad accertarsi di averlo ancora tra le gambe, con un tocco a volte lieve, furtivo, ma di potente richiamo. “L’amore è cieco e il suo bastone è color rosa…” E il culo? Non mi vergogno nel dichiarare tutto il mio amore a quella parte del corpo maschile che secondo me ha in assoluto il potere più ipnotico, ammaliatore, spesso inconsapevole. Il culo ha carattere, un misto di forza e tenerezza allo stesso tempo che non solo mi mette voglia di affondare famelica i denti, ma di consumare la mano in carezze. “la tua forma alla vista è tale che a descriverti sono inetto e tardo. Guardandoti non ci si può sbagliare Sul dettaglio più stretto o sul più largo: un’arcana virtù il tuo corpo illumina, fosti creato come nessun altro: alle carezze infatti sembri fuoco, ma sei soltanto luce per lo sguardo”. (Al Gahiz, poeta arabo del IV secolo) Un bel culo maschile era (ormai devo usare il passato) sufficiente motivo per vincere la mia innata pigrizia e dedicarmi al gioco della seduzione; e nulla, credetemi, giustificava la fatica come la gratificante ricompensa di sentirselo docile sotto il palmo della mano. “Conto ano e oro; la somma di lettere è uguale: contando candidamente ho fatto la scoperta” (Stratone, Antologia Palatina, epigramma sesto)


Una delle rappresentazioni pittoriche del Paradiso, a mio avviso tra le migliori, si trova sulla cupola del Duomo di Parma e porta la firma del Correggio: un “alveare” di giovinetti nudi e seminudi che sfondano il cielo e lasciano a chi guarda da sotto la visione del loro volo senza mutande. Una sarabanda erotica notevolissima, ambigua! Il culo non fu intaccato nemmeno dalla Contro Riforma, quando si arrivò quasi alla canalizzazione dello spirito, altro che volontà protestante di cancellare le immagini perché sempre fonte di peccato! Ce ne sarebbe di materiale a tal proposito, ma infondo ero partita da una canzoncina pop e lì voglio restare: magari seduta al parco inebetita in una sorta di “bisogno di consolazione” dal continuo andirivieni di culi perfetti che in corsa o a piedi si offrono alla mia calma da pensionata. Vos mea mentila deseruit, dolete puellae, pedicat culum Che deliro! Farmacista?! Ermelinda Frangisponde


Piedi Devo confessare una mia fissazione. Io soffro di una specie di riluttanza a mostrare i piedi… ho il pudore ai piedi per così dire… non so… non mi va tanto di farmi vedere a piedi nudi…persino in spiaggia li nascondo sotto la sabbia scavando cunicoli dalla sdraio…che poi non sono mica male i miei piedi… non dimostrano affatto di aver camminato quarantacinque anni. Ma ci pensate quarantacinque anni? Provate voi a portarvi a spasso una cinquantina di chili (ho arrotondato per difetto, non stiamo lì a far le pulci) tutti i santi giorni per quarantacinque anni… Mi aiutate dunque ad analizzare il perché di questo particolare pudore? Sarà perché quando ero ragazza mia madre ha sempre continuato a ripetermi “ ti sei lavata i piedi prima di uscire che non si sa mai che fai un incidente e vai in ospedale con i piedi sporchi …” Ma ditemi: secondo voi i piedi sono belli da vedere? Ogni tanto non vedete dei piedi che ti fan pensare “ragazza mia e mettiti ‘na paperina, ‘na polacchina, ‘na scarpa da tennis … per amor del cielo… anziché l’infradito pitonato con ste dita contorte, callose, accavallate e ste unghie lunghe e ricurve che ci avrai pure messo lo smalto ma purtroppo già è passata ‘na settimanella eh lo so tempus fugit… e se sta scrostando tutto… “ E sto tallone screpolato a mo’ di deserto australiano e pure un po’ annerito? E ste cipolle, più rosse di quelle di Tropea che spuntano dalla fessura del sandalo… e che è? Pietà… copritevi un po’! “ E vale anche per voi Signori uomini che appena il Bernacca di turno prevede un leggero rialzo delle temperature è n’attimo: il francescano che c’è in voi prende il sopravvento. Qualcuno però ogni tanto uno scrupolo se lo fa, e in un impeto di buona creanza rimedia con il calzino… er pedalino pe' li romani. Ma quanto sono chic i pedalini bianchi con l’elastico che stringe proprio quel decimetro più su della caviglia, indossati col sandalo… In questo i tedeschi fanno tendenza e di solito li abbinano con i bermudoni a scacchi…irresistibili! Ma che dire dei giapponesi? Ho visto fior fiore di Vice President, Managers, CEO e Tycoon del sol levante arrivare al Top Executive- Global -Steering Commette in doppio petto blu, gemelli e fazzolettino bianco nel taschino che dopo mille inchini e salamelecchi arrivano nella sala videoconferenze ultratecnologica che sembra di stare sul set di matrix e…? Appena seduti al tavolo di ciliegio e pelle Frau… slap… via le scarpe… eh certo…. e nemmeno cercano di farlo senza farsi notare … che tanto semo ‘n famiglia no? Eh no signori !! Mica voi avete appena finito di assistere al matrimonio di vostra cugina che vi ha lasciato a stazionare quelle due orette sotto il sole cocente - tanto dura il servizio fotografico, che nemmeno il set di Vogue sfilate p/e…- nella stradina del Castello Medievale, quella fatta con i sassi del fiume, col tacco a spillo tempestato di strass, che siccome il giorno prima pioveva, si infila nel fango tra un sasso e l’altro che neppure le trivelle di James Dean ne “Il gigante” vanno tanto a fondo… I miei piedi però non possono lamentarsi, che li ho sempre trattati bene…


trascorro dei quarti d’ora imbambolata a rimirare plateau e tacchi alti nelle vetrine del centro ma ormai ho capito…non fanno per me…a meno che non debbia espiare qualche peccato capitale… Si perché signorine colleghe strafighe che continuate a menarmela che col tacco dodici tutto il giorno in ufficio siete comodissime…ma smettiamola di dire fregnacce!! Ditemi che quei cinghietti che sprofondano nella carne avvolgendo le cinque dita a mo’ di salamella ferrarese vi procurano piacere… o che le scarpe a punta, che le dita invece le fanno tenere tutte accavallate, che quando te le togli ti ritrovi con un piede palmato perché le dita bianco latte ormai in assenza di circolazione son diventate un tutt’uno…son pantofole. E poi quel dolore da tacco alto, che parte dal cuscinetto sotto la pianta del piede, lì all’attaccatura delle dita e che sale su tutta la colonna vertebrale stazionando sui reni e fino a trapanare il cervello… non lo sentite… ma fatemi il piacere! E ancora per favore qualcuna mi spiega come fa a mettere la scarpa di vernice tacco 10-12 open toe, cioè con il ditone che spunta e inevitabilmente scivola in avanti sfregando sulla cucitura SENZA CALZE, anche in pieno inverno ?!!! … Ma solo a me vengono le vesciche? Un alone rosso fuoco tutt’attorno e madreperlate sulla sommità, ripiene di un fantastico liquidino trasparente e grosse come lupini…che non li mangio perché appunto mi ricordano le pellicine delle vesciche quando esplodono! Non so.. c’è qualcuno che per i piedi invece fa follie…veri feticisti del piede … ma siete sicuri che poi durante ‘sti preliminari non rischiate un’impasse incappando in qualche profumo che non propriamente rimanda al patchouli o ai mandorli in fiore… che magari la vostra lei ha appena finito la sessione di jogging nel parco e la vostra foga non le ha lasciato nemmeno il tempo di slacciare le adidas e togliere il tubolare di spugna… E ditemi quel che volete veline, troniste, vallette ungheresi e principesse di mezzo mondo: secondo me i piedi puzzano anche a voi che tanto gentili e tanto oneste apparite… Barbara Goria


Gli occhi

Il mio terzo occhio esiste ma ultimamente non ci vede benissimo. Vi ricordate di Mr. Magoo? Quel simpatico vecchietto borbottone e miope fino al midollo che si ostinava a girare per il mondo senza occhiali, con due fessure al posto degli occhi? Ah, che mito! Per lui, esisteva solo la realtà che immaginava. Un mondo a rovescio. Se entrava in un ascensore, era di sicuro una tradotta per il Kilimangiaro e se finiva sulle ali di un aereo, era convinto di trovarsi sulla plancia di un catamarano impegnato in chissà quale regata mondiale. Quando un poliziotto voleva aiutarlo ad attraversare la strada, lui lo pigliava a ombrellate credendolo un ladro e quando invece una banda di drogati lo accerchiava, lui era convinto di essere finito ad un campo scout e snocciolava perle di saggezza. Altro che Topolino, altro che Wonder Woman, quel nanetto col bastone era diventato il mio idolo. Sono pochi i cartoni che hanno così tanto influito sulla mia immaginazione. E poi, scusate, lui per me era la dimostrazione vivente che gli occhiali non servono a nulla e forse manco gli occhi. Se si è dotati di quel radar interno che alcuni ora chiamano “terzo occhio”, altri intuito, altri ancora sesto senso, si può avventurarsi dovunque. Io invece ero stata costretta fin dalla più tenera età a fare i conti con orribili protesi al naso e per giunta gravata da terribili sensi di colpa. Di cosa mi lamentavo, era solo colpa mia se non ci vedevo tanto bene: avevo guardato troppa tv! Certo, per sforzarmi di decifrare la realtà sghemba di Mr Magoo, m’ero di sicuro giocata anche quelle poche, residue diottrie che mi rimanevano dalla nascita, visto che ero affetta da miopia progressiva, ereditata dalla nonna. « Non devi stare troppo vicina alla tv, piccina, che ti fa male alla vista!» mi ripetevano mamme, zie e prozie varie, mentre io sbuffavo avvicinandomi ancor di più allo schermo in bianco e nero. Ero veramente scocciata: quei continui rimbrotti mi impedivano di afferrare bene i commenti


chiave del mio eroe e di capire in quale realtà credeva di essere planato. Povero Mr. Magoo, io mica ridevo di lui, anzi solidarizzavo profondamente. Le sue vicende mi erano così familiari. Ogni tanto però ero assalita da dubbi e perplessità. . . Di sguincio, sbirciavo le facce dei miei fratelli. Ridevano certo, ma si capiva benissimo che in fondo non erano così immedesimati quanto me. A loro mica capitavano quelle situazioni così rocambolesche. Infatti, quando si giocava a nascondino, ad esempio, tutti correvano sicuri ai loro posti e mi battevano sempre sul tempo nel captare qualunque indizio. L’unica che non vedeva mai un accidenti ero io. . . Come facevo a confessargli che avevo scambiato un uccello per un cappello o la scopa di saggina per i capelli della Carolina? Puntualmente, quando correvo come una forsennata a battere ‘’tana’’ sul muro, di solito seguivano ghigni e sberleffi dato che avevo ‘visto’ cose assai improbabili e solitamente le più strampalate. Situazioni, tra l’altro, che sono rimaste immutate nel tempo nonostante un’operazione di cataratta giovanile e una serie infinita di lenti correttive. L’avvistamento uccelli e oggetti non identificati è diventato il mio forte. A giudicare dalle quotidiane cantonate che prendo, pare che io viva in una giungla popolata da ragni schifosi, uccelli rari e bestie variopinte. Si vede che sono proprio miope nel DNA, come il mio eroe dei cartoni. Fatto sta Mr. Magoo è rimasto nel mio cuore, anche solo per il suo modo bizzarro di affrontare la realtà, ignorandone totalmente gli spigoli. Lo sua invulnerabilità era diventato il mio specchio segreto. Come in un “trailer” cinematografico, già dalla mia prima giovinezza si configuravano le mie future e innumerevoli gaffe di donna profondamente e titanicamente in lotta con la realtà visiva e non. Infatti, dai tempi dei cartoni in TV, ho continuato a rincorrere la realtà come in un “tapis roulant” , sempre col naso appiccicato a quello schermo virtuale che divide l’io dal mondo al di fuori di noi, quel diaframma che si interpone tra noi e la realtà e sul quale sono svariate volte andata ad incocciare. Comunque, una volta terminato quello stadio di immedesimazione nell’eroe miope, anch’io ho finalmente iniziato a camminare per il mondo come lui ed è lì che son diventata anche un po’ la linea bisbetica e lagnona della Lagostina. Ve la ricordate quella specie di sagoma borbottante che cammina su una linea infinita di cui fa parte essa stessa. Man mano, la linea si trasforma in vari ostacoli e oggetti e la sagoma se la prende col disegnatore, imprecando in una strana lingua. Ecco, quante volte anch’io mi son trovata in totale dissonanza e irrimediabilmente fuori contesto! Quanti ematomi sulla pelle e quanti buchi neri nel cervello! Che ci potevo fare io se le mie sinapsi erano miopi? Sì perché, secondo me, quando la vista non funziona bene, ci si proietta veramente un film diverso dagli altri. Poco importa se per evitare un ostacolo immaginario, si fa la fiancata all’auto parcheggiata in seconda fila o se si inviano per sbaglio agli alunni le foto dell’ultima vacanza al mare invece degli esercizi per le vacanze! Ma io che ci posso fare se, con l’andar del tempo, le sagome e le linee del mondo assumono contorni sempre più aleatori? Infatti, come se non bastasse, oltre a diventare sempre più astigmatica (cioè sempre più spostata), dopo l’operazione di cataratta, ho


avuto pure bisogno delle lenti per leggere, come le nonnette!! Per non parlare della diplopia galoppante. . . E giuro che l’alcol non c’entra, o almeno non del tutto! Insomma. . . ormai le mie gesta sono diventate un classico del genere e mi sono quasi trasformata anch’io in un cartone animato, sottotitolato alla pagina 777 per gli ipervedenti (altrimenti detti anche ultraefficenti e integrati). Questi ultimi non possono proprio capire cosa significhi essere sempre e disperatamente off. Mi hanno anche dato un nome: Woody Gardaland, per quell’aria da eterna marziana nel paese delle meraviglie che continuo ad avere nonostante la non più tenera età. Oui, Woody Gardaland c’est moi e vi do anche uno scoop, se nei pressi di qualche scuola guida avete visto affisso in giro dei cartelli con su scritto: «Pericolo Pubblico ‒ Most Wanted», beh, insomma, ehm. . . sì, sì, lo confesso, è me che cercano! Ingrati istruttori di guida, con me avete fatto soldi a palate! Altro che “most wanted”. Per la categoria ci vorrebbe un capitolo a parte. Come ho odiato le vostre arie da perfetti e inappuntabili guidatori quando invece eravate dei pirati della strada in camouflage. Cosa vi credete? Che perché ero miope, non vi vedessi sgommare per andare all’appuntamento con l’amichetta dopo il lavoro? Ipocriti! E poi tutte quelle manfrine da superdotati solo perché avete la leva del cambio in mano! Tsè! Eh, io ero proprio carne da macello per voi. Ma alla fine ve l’ho messa in saccoccia! Infatti, arrivata alla veneranda età di 40 anni o suppergiù, ho deciso di prendere la patente! Avevo svariate volte tentato di prenderla ma, ovvio, non passavo mai la visita medica. . . Poi, in preda alla famosa sveglia biologica, nel momento di massima cortina fumogena da cataratta, ho deciso di sfidare la sorte per l’ennesima volta. La mai sopita sindrome da kamikaze aveva raggiunto il suo acme. Ma questa volta, una buona stella brillava sopra di me, anche se io non me n’ero accorta. Ah, quante volte hanno tentato di mostrarmi Alfa Centauri e la costellazione di Orione! Tutto fiato sprecato. Allora, dicevo, avevo una compagna di merende, una tardona come me che s’era finalmente decisa a patentarsi. Eccoci arrivare titubanti allo studio oculistico. Lei, gatto e volpe tutto insieme, mi fa: «Allora, ascolta: entro io per prima e cerco di memorizzare le righe centrali e poi te le impari, ok?» Io, sempre più miope e con dei fondi di bottiglia ultra ossidati sul naso, modello nonna di Silvio Pellico, annuisco titubante. M’è sempre sembrato che la mia memoria non abbia mai un granché funzionato per un evidente stato di continua confusione e mancata coordinazione oculo-manuale, come diceva sempre il mio professore di ginnastica guardandomi con compatimento. In pratica, la mia memoria funziona solo se la realtà che vedo è quella che m’invento. Sarà questo il fatidico terzo occhio? Secondo me sì! Comunque, lode e grazia al terzo occhio e alla mia compagna di merende perché m’hanno consentito di passare la visita della patente per la prima volta in vita mia! Le prime tre righe le ho sbagliate di mio, ma le ultime tre, signori cari, le ho snocciolate da ipervedente. «Lei vede undici decimi, complimenti!» si è


congratulato l’oculista. E tutto grazie al terzo occhio. . . meno male che non m’ha chiesto quelle centrali! Sono ancora qui che mi domando se anche il medico aveva il terzo occhio e magari s’è immaginato che io vedessi , tanta era la mia disinvoltura! Una Mrs. Magoo emancipata, diciamo. Passata la visita per la patente, è iniziata la “carambola” delle lezioni pratiche. Ed è lì che Woody Gardaland si è definitivamente infilata nella corsia del bitume. In senso metaforico, si potrebbe dire che ho trovato il mio habitat, come una novella Mrs. Magoo nel suo strano mondo. Tutto è nato il giorno che andai con un amico a fare pratica. Devo confessare, che avevo una profonda ammirazione per questi martiri che si immolavano per la mia causa. Che dio li benedica in eterno. Dunque, per l’esercitazione, scegliemmo un orario da coprifuoco, appunto per non creare troppo scompiglio. Tutto normale per un po’. . . arrivavo allo stop su due ruote, deceleravo invece di accelerare in partenza. Affrontavo le rotatorie in senso opposto. . . c’è mancato poco che abbia tamponato uno per la forza dirompente di uno starnuto improvviso. Insomma, ordinaria amministrazione. Poi un giorno, c’era l’arcobaleno ricordo , Woody Gardaland e il suo prode si sono avventurati sulla tangenziale ovest. Go West cantavano i Pet Shop Boys dallo stereo. All’improvviso, chi ti vedo apparire all’orizzonte? Proprio uno stuolo di omini a torso nudo. . . Avete presente, quegli operai in tuta arancione che faticano sotto il sole cocente per riasfaltare le strade? Ma a me sembrava di stare nel video dei Pet Shop Boys e ho iniziato a cantare a squarciagola: (Go West) Life is peaceful there (Go West) In the open air (Go West) Where the skies are blue (Go West) This is what we're gonna do (Go West, this is what we're gonna do, Go West) Poveretti, loro hanno avuto il loro bel da fare a sbracciarsi per segnalare l’obbligo di stop. . . Anche il mio istruttore del momento, poveretto, non ha fatto in tempo a intimarmi di fermarmi che io, in preda all’esaltazione, era già bell’e partita tra sciami di asfalto fresco tra i capelli. Da quel giorno, sono stata consacrata la vera diva della corsia del bitume. Perfino il mascara era bitumato e le unghie rigorosamente dark. Ma il mio sorriso non è più sparito al ricordo di quell’impresa. Morale, la patente alla fine l’ho presa e ora guido, per così dire, a occhi chiusi. Però vi confesso che ultimamente il mio terzo occhio pare non ci veda benissimo. Infatti, e non fa una piega, mi sto preparando per un decollo definitivo dalla rampa del bitume verso “mondi lontanissimi” – ho già la colonna sonora! Quindi, datemi una cloche e vi stupirò! Bea Ary


La lingua

Talmente usata da esser dimenticata. Protagonista silenziosa, istrionica custode dell'anima. Avviluppata, arrotolata vive nascosta tra soffi e sbuffi in un umida caverna. Comanda e decide ogni azione tenendo in scacco intelletto e ragione. Pudica, sboccata, Difesa da due ancelle arroganti e vanitose. Due sierene imbellettate e viziate. Due mascar spietate. Meretrice e traditrice Voluttuosa danzatrice Taciturna dispensatrice di pensieri Anima di uomini e di imperi Adorata musa passionale e golosa Al suo volere ti devi inchinare è lei che ti racconta in silenzio tristezze e piaceri. è lei che per prima devi nutrire. è lei che per prima ti dirà che devi morire. Ella Bix


Il cranio Desiderata in un compieta mistico esaudito, ella rompeva il silenzio col suo singhiozzar sommesso: udite! udite! Clangor di catene e sibilar di fruste. Sulle purulente piaghe sparse del sale offrendo il suo dolore a Dio! Santo! Santo! La folla urlava la sua santità...ma ella imperterrita insisteva: "Non posso masterizzare le mie suppliche, ho il personal computer impallato". L'uditorio non comprendeva quello che parve ai più un delirio della febbre indotto dalle torture. Arrivò il boia col suo nero mantello. Le tavole del palcaccio allestito per il macabro supplizio chiamato giustizia, scricchiolavano sinistre. Col capo scoperto e offerto al ludibrio volse un'ultima volta il suo sguardo al cielo che andava schiarendosi nel mattino. Quando la testa rotolò nel cestino una pia donna raccolse in un sudario il tutto e ne baciò la bocca schiusa nella rigidità della morte. Tutto fu compiuto... Nella cartella clinica vennero riportate con ordine le novità della seduta. Compilato il ricettario e aumentate le dosi di sedativo. Avanti il prossimo. Ognuno si difende come può: lo psicologo che interpreto io, arrivato al proscenio, non aspetta gli applausi, ma la successiva recita diventata routine. Gianluca Meis



I testicoli Che esistano si sa, giornalmente qualcuno ne ricorda la presenza citandoli in conseguenza di trattamenti quali frantumazione, gonfiatura, glassatura, modanatura. Normalmente nascosti, nella rappresentazione della nudità maschile rivestono un ruolo secondario rispetto al piffero. Riescono a ritagliarsi un ruolo tutto loro solo al mare, quando da certi boxer con gamba larga e mutanda slentata, loro scivolano fuori: eccoli soddisfatti che ti guardano e dicono "ce l'abbiamo fatta, siamo usciti da soli senza quel cazzone del capo!". Vengono chiamati in modo diverso, vezzeggiati se riguardano i bambini (palline o palluzze - se trattasi dei figlioletti di un boss mafioso allora "pallottole"), dispregiati se riguardano gli adulti: chi non ha mai sentito la forma idiomatica "sei un coglione"?. Notevole è, quindi, il potenziale analogico-metaforico dei sinonimi di testicolo (poco usati invece - i testicoli nella similitudine: mai sentito dire che qualcuno "sembri un coglione" o "è come un paio di palle" ). C’è chi li definirebbe “amici”, ma per forza di cose si sono trovati avviluppati nella stessa sacca raggrinzita. A stretto contatto hanno deciso di collaborare. Soprattutto nei più piccoli, a volte, può succedere che uno dei due non voglia scendere e allora l’altro da giù che grida – dai! Buttati che si tocca! Non è profondo! - in alcuni casi la forte azione di convincimento da parte dei dottori può funzionare a farlo scendere. Non che abbiamo mai goduto di grande considerazione: prendiamo il nome stesso "testicoli", viene da "testimoni"...di che? Dell'atto sessuale al quale non partecipano, ma fungono appunto da muti testimoni. La storia ha riservato loro alterne fortune. O meglio, se ne è parlato solo per casi eccezionali: quando venivano tagliati o quando ve n'erano in eccesso. La mitologia ci dice che dai testicoli di Kronos tagliati da Zeus e finiti in acqua nacque niente meno che la bellezza! Afrodite, uscita già coi biondi capelli al vento dalla spuma del mare fecondata da quella incidentale caduta. Oppure, per eccesso, le tre palle del Colleoni: valoroso condottiero che proprio in virtù di quel tanto coraggio non poteva averne solo due! Ancora oggi nella cattedrale di Bergamo campeggia l'insegna bronzea del fu signore triorchiuto. Un bronzo tirato a lucido dalle tante mani che vi si sfregano in cerca di fortuna. Nel medioevo qualcuno pagava profumatamente i boia per poter entrare in possesso dei testicoli di qualche brigante mandato a morte: ben essiccate potevano tornar utili a far ritrovare la virilità a qualche danaroso acquirente. La loro mancanza poi spalancava in alcuni casi anche le porte del paradiso: castrati infatti erano i cantori più ricercati, i quali, in Vaticano per esempio, potevano godere di splendidi appartamenti e del favore di più di qualche cardinale!


Raramente hanno ispirato la letteratura, tra i pochi cantori testicolari, di seguito, un anonimo del ventesimo secolo: Che cosa terribile fu per Giorgio tirar via il pannolino. Abituarsi a quel freddo vasetto azzurro confetto fu un nuovo parto, un nuovo squarcio di tessuti fetali, un nuovo abbaglio di luce al neon di sale da parto antisettiche. Voleva ancora il calore fetido tra le gambe e il fremito impareggiabile di chi trattiene e poi lascia andare. E i pisellini dei suoi compagnetti a scuola che erano belli e a lui piaceva vederli e anche toccarli. E giocava e rideva coi campenellini degli amichetti, sotto i baffi di una maestra indaffarata di carte e telefonate. Si guardava allo specchio Giorgio e si piaceva con quegli occhi verde oliva e i capelli color grano. Bianco era che sembrava burro e scoprÏ che il suo pisellino poteva sparire tra le sue cosce di putto settecentesco. E i campanellini andavano via anche ed era bello perchè erano brutti e cadenti e ingombranti. E il dolore di quel gioco gli saliva fino alle tempie e gli piaceva stordirsi a quel modo, sorridendo fiero mentre guardava le punte rosa dei suoi capezzoli. Puntura d'ago e capogiro. il neon di una sala operatoria e poi il buio. Si guarda adesso allo specchio Giorgio, col corpo di una statua. E alza gli occhi al cielo e accarezza le labbra con i denti e sorride accogliente al suo nuovo riflesso nello specchio. Un Bisturi ha segato l'ingombro tra le sue gambe. "Finalmente sono io". Gianluca Meis, Federico Orlando, Giorgio D'Amato, Vito Bartucca


La clitoride Da secoli e secoli, si tramandano strane dicerie e teorie scientifiche strampalate riguardo la sessualità femminile. Si sa,fin dai tempi più remoti, noi donne siamo state sempre identificate con la materia e la natura. Noi siamo il corpo che nutre e produce, dispensatrici di beni o di mali. Streghe o madonne. E in nome del controllo, quanti crimini sono stati perpetrati contro di noi. Mutilazioni sessuali, burqa, femminicidi, negazione dei diritti più fondamentali. E tutto questo perché la donna doveva essere semplicemente l’accogliente utero materno, la fattrice dei figli e la curatrice dei ‘peni’ di famiglia e non certo un’ ‘immatura’ invasata alla ricerca del piacere personale. Pensate che nell’Ottocento, le ragazze che si esploravano traendo piacere dalla masturbazione , erano considerate casi clinici. Per fortuna, ormai non è più un mistero che gran parte del piacere per una donna derivi dalla stimolazione della clitoride, quel piccolo organo erettile situato sulla parte anteriore della vulva e che possiede migliaia di terminazioni nervose, più del doppio rispetto al pene. Alla faccia di Freud! E’ proprio vero che “questo sesso che non è un sesso” (Luce Irigaray), non finisce mai di stupire per la sua complessità e la sua ‘fluidità’. E naturalmente , più questa sua natura fluida e multipla emerge più fa sbarellare il potere maschile. A questo proposito, vorrei raccontarvi la storia esemplare di una mia cara amica che molto tempo fa è stata addirittura coinvolta in un processo per stupro. Si chiama Clit (diminutivo di Clitoride) ed è tuttora follemente innamorata di una ragazza di nome Vulvia. La Clit e la Vulvia si sono conosciute in tenera età a un concerto di due cantanti oramai dimenticate. La colonna sonora del loro acerbo amore è stata: “Siamo donneee, oltre le gambe c’è dipiùùùùù!!!”. Forse qualcuno di voi se la ricorda ancora. Quando Clit teneva per mano Vulvia, sentiva il cuore che le scoppiava e la stringeva forte forte a sé. Vulvia la guardava con gli occhi languidi e sentiva tutto il suo essere sciogliersi di tenerezza. Le due ragazze, allora minorenni, vivevano ancora con i genitori. Un giorno, si appartarono nella camera di Vulvia e cominciarono a scambiarsi effusioni sotto il poster di una donna tettutissima e leggermente strabica. Il loro amore era travolgente. Clit era molto focosa e le sue labbra non smettevano di pulsare alla ricerca della sua Vulvia. Mentre Clit accarezzava Vulvia, lei si sentiva travolgere dalla passione e dal più profondo del suo essere sentiva risvegliarsi un torrente di emozioni. Le due ragazze non riuscivano più a controllarsi finché, a un certo punto, Clit prese a dimenarsi furiosamente sopra la sua amata, la quale non riusciva più a frenare le urla di piacere. Erano totalmente intrecciate e avvinte come e più dell’edera. D’un tratto, la porta della camera si aprì. Proprio in quell’istante, Vulvia si mise a urlare come un’ossessa e dalla sua vulva zampillavano fiotti di liquido bianco, sembrava una fontana di Versailles a pieno regime. Dal corridoio, si sentì un grido soffocato, seguito subito dopo da un tonfo sordo. Le due ragazze, ormai placate e appagate si voltarono entrambe verso la


porta: a terra c’era la madre di Vulvia, svenuta. Dopo poco Vulvia fu denunciata e costretta a subire la gogna mediatica e un processo per stupro. Ecco alcuni stralci dal processo che ha suscitato grande scalpore assurgendo a caso da giudicare in prospettiva de jure condendo e sollecitando un ampio dibattito in parlamento: – E ora, signori della corte, diamo la parola all’imputata. Signorina Clit, prego, si accomodi. Dunque Lei è imputata in questo processo ha l'obbligo di dire tutta la verità e nient’altro’altro che la verità. – Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza. – Lei è accusata di stupro e violenza ai danni di Vulvia de Cunnus. – Vostro onore, io amo Vulvia e lei ama me. – Lei, signorina Clit, ha usato violenza contro la signorina Vulvia per mezzo della sua clitoride inducendola ad atti contro natura. – Vulvia mi ha sempre detto che nessun pene era mai riuscito a darle così tanto piacere, è forse questo Vostro Onore che vi turba e sconcerta? – Oltraggio alla corte! Il processo è stato seguito in diretta nazionale su tutti i maggiori network. Dopo lungo dibattito in aula , la corte si è ritirata per emettere la scontata sentenza : ‘clitoridectomia’, cioè l’amputazione della clitoride. L’imputata è ancora detenuta nel carcere di Gishiri, una specie di Guantanamo per crimini sessuali. Un vasto movimento d’opinione popolare sta raccogliendo migliaia di firme affinché la ragazza venga rilasciata. I fatti da me sopra descritti sono ovviamente frutto di fantasia ma si basano su esperienze dolorose e reali, vissute da migliaia di donne costrette per secoli ad reprimere e abiurare le proprie inclinazioni sessuali o semplicemente le proprie preferenze. Il controllo della sessualità, come diceva Foucault, è uno dei metodi principali che il potere esercita sui soggetti. L’isterizzazione del corpo e del desiderio femminile ne è un chiaro esempio. Tuttora una lesbica viene sprezzantemente definita un uomo mancato. No, la clitoride non è un piccolo pene, toglietevelo dalla testa, cari uomini. La clitoride non è che la punta di un iceberg, perché l’intumescenza della donna avviene tutta all’interno e non si vede. Per la cronaca : ancora nel Novecento i medici americani erano disposti a praticare persino l'infibulazione per impedire alle femmine di masturbarsi. Negli Stati Uniti, l’ultima clitoridectomia per “curare” la masturbazione risale al 1948, su una bambina di cinque anni. Si stima che ogni anno nel mondo tre milioni di bambine vengano sottoposte a escissione, clitoridectomia e infibulazione. Le mutilazioni genitali femminili sono maggiormente diffuse in alcune aree dell'Africa e parzialmente diffuse nel Sud-Est asiatico e nel Medio Oriente. Bea Ary


Fegato Queste cose non avvennero mai ma sono sempre. Sallustio Le sue tempie pulsavano vistosamente. Gli occhi offuscati dalla concentrazione e dal furore col quale guardava il verme nemico che sorgeva imperioso di fronte a lui. I muscoli tesi dentro a quell’armatura lucente e fiera. Le vene del suo braccio sembravano affluenti del grande fiume d’Egitto, tanto erano colme di sangue infetto dal morbo della vendetta. La mano destra stringeva la sua temibile lancia e nella sinistra, a coprire buona parte del suo glorioso corpo, il magnificente scudo forgiato solamente per lui. La mente gli si offuscava. Fiamme, bagliori, fumi, gambe e braccia e poi il volto di lui. Bisbigliava qualcosa quel vile uomo, quella feccia schifosa che presto avrebbe conosciuto la sua furia. Vacillò un momento e una lacrima, che sembrava goccia del suo sudore, percorse il viso tinto di terra e sangue. Quel sangue che aveva unito lui e il suo diletto dilaniato e oramai sepolto. Nelle sue orecchie rimbombava quella voce che non avrebbe più udito. Gli apparve il suo spettro una notte “Vivo m'amasti, e morto m'abbandoni. Sotterrami, ti prego. Respinto sono dalle vane ombre defunte, né mischiarmi con loro di là dal fiume mi si concede. Vagabondo mi aggiro. Più non potremo vivi entrambi, lontano da tutti, sedere a parlare e aprire le nostre bocche e parlare di noi. Fammi cenere, come se fosse il tuo ultimo atto di amore”. E quella notte, quella stessa notte “Aspetta! Lascia che ti abbracci” e strinse fumo. E strinse il suo dolore tra le mani fredde e sanguinose di eroe. Dai suoi occhi uscivano lacrime copiose di sale e percuoteva le sue cosce possenti di guerriero che avevano domato cavalli e puledre, schiave e regine, servi e l’unico uomo che amava. E poi fumo e vino, carne tenera d’agnello e belve inferocite. Sapore di sangue arrivò fino alla gola. Ingoiava sabbia e vomitava rabbia. E vacillò ancora con un ghigno beffardo e guardò il nemico negli occhi e questi a sua volta indietreggiò quando sentì il furore della lancia affilata. Fu in un lampo. Con la forza di cavalli e fiere selvagge puntò l’oggetto del furore. E fu un attimo che scorse lo spiraglio, il punto fatale del nemico, una fessura nell’armatura, lì dove il collo finisce e inizia la spalla destra. Godette al pensiero e gemette quando inflisse dentro alle carni la sua spada lucente forgiata dentro ad un vulcano. La giugulare del nemico zampillava che, se non fosse stato per il vigore rosso del liquido, si sarebbe detto essere vino buono. E si inginocchiò la feccia cadendo di botto ai piedi del Pelide. Ma il vincitore non si saziò ancora. Morte cruenta e di cane doveva avere l’assassino del suo diletto. Spogliò quello che era il corpo statuario di guerriero arcigno. I muscoli si rilassarono dopo che ebbe esalato. Lo colpì più volte e cadevano le lacrime dal suo viso sporco di sangue e sudore e bisbigliava preghiere incomprensibili ad orecchio umano. Sputava dentro a quegli occhi spenti e combatteva il desiderio di sbranare il torace e strappargli


il cuore a morsi. Prese in fretta due ganci con le mani che tremavano di adrenalina e collera non ancora stemperate. Non ne era sazio, non ne aveva abbastanza. Scalzò il suo rivale e conficcò i due ganci, uno alla caviglia destra ed uno alla caviglia sinistra. E sussultava di piacere che gli arrivava dal ventre mentre sentiva l'orribile suono della punta di metallo attraversare i muscoli e penetrare i tendini. Una leggera ritrazione fece muovere quelle gambe molli. Era il sangue che non si era ancora arreso alla sua traversata. Legò delle cinghie di cuoio al suo destriero e ai ganci coi quali aveva inciso il corpo morto. Montò il cavallo e galoppò senza meta sentendo il rumore sordo di quel corpo che trascinava che oramai non aveva più sembianze di uomo né di bestia. L’aria fredda che sapeva di fuoco e vino scompigliava i capelli di Achille. E poteva allentare la morsa che sentiva al ventre. Le lacrime lavarono il suo viso e la preghiera bisbigliata si fece nome. Patroclo. Vito Bartucca


Vulva Salve … Sì, sono proprio io: Vulva! Ho deciso di parlarvi di me, insomma, di fare outing, di svelarmi. Sono in effetti un tipo misterioso, quasi sempre vivo celata, a volte proprio segregata. La mia storia è antica e io vengo da lontano … (mon dieu, che modo per dirlo!) Da primitiva non me la passavo male, vita sana e all’aria aperta. Fu l’invenzione della stoffa, a rovinarmi: la prima cosa che fecero con il primo lembo di tessuto fu coprirmi! Praticamente, venni rinchiusa prima dell’avvento del figlio di Dio e ritrovai la luce con i figli dei fiori! Anche nei dipinti e nelle sculture antiche, dove era un tripudio di sessi maschili, tette, tettine e glutei di ferro, io venivo coperta, o al limite citata. Ma sempre di striscio. Gesù sulla croce si è visto anche tutto nudo, ma ve la immaginate una santa nelle stesse condizioni? Guai! Eppure, già in natura nasco pudica: da piccina sono nuda ma nella pubertà mi ricopro di capelli ricciuti che mi nascondono alla vista … in pratica, ho le mutande incorporate! Ma non conta, dice che faccio scandalo! Non si ricordano, gli uomini e le donne che tanto di frequente mi oltraggiano e altrettanto spesso a me anelano, che prima di trovare asilo sulla nuda terra, sono passati tutti da qui? Che ingrati … Insomma, come dicevo, nacqui libera e fui imprigionata. Pochi pensano a me con esattezza, anche se sono un’idea fissa per tutti. Tra questi, ricordo un signore tanto gentile, Gustave Courbet, che per primo mi ritrasse come sono. Altro che pubblicità di Victoria’s Secret, in cui la mia vista viene promessa e mai mantenuta! Altro che Play Boy, in cui vengo truccata, illuminata, falsata e ridotta a un posacenere per vecchi sigari o giovani cigarillos! Courbet mi volle senza trucchi e io posai per lui, sentendomi apprezzata nel mio intimo … che è poi tutto quello che sono. Il mio ritratto, tanto per cambiare, fece scandalo e per anni restò velato ma adesso al Musée d’Orsay mi si può vedere come sono, finalmente! Cos’altro dire di me? Ho un’infanzia, una giovinezza e una vecchiaia, come tutti. Però anche questo non si può dire, o si rischiano fischi, lazzi e chiusura in reparto geriatrico! Eppure io sono sempre vispa e gentile: la farfallina cresce e diviene una farfalla notturna ma è bella comunque! E, per concludere, sono un tipo socievole e mi piace ricevere visite … ma solo su invito! Roberta Lepri


Le Tette Le tette sono sempre in 2 viaggiano in coppia, una sta a destra e l’altra a sinistra, come le Kessler se non le contieni ballano il dadaumpa sotto le magliette. Non si scambiano mai, al massimo dopo una certa età si incrociano sotto l’ombelico o dietro la schiena per un tè. Sono in dotazione genetica, non si possono scegliere o tutte noi le avremmo a coppa di champagne, tranne Pamela Anderson che preferisce la forma a glacette. Le dobbiamo accettare e amare per tutta la vita come i peli superflui e i baffetti. Oltre a non poterle scegliere vengono distribuite in modo assolutamente random ai petti delle donne. C'è chi magra come una lucertola si ritrova a dover gestire due angurie e chi bella in carne due kiwi, ma spesso indipendentemente dalla corporatura molte donne si ritrovano con due mirtilli. Il tipo “anguria” è molto difficile da contenere, occorrono reggiseni con pizzo rinforzato in filo d’acciaio e bretelle di sicurezza. L’uso del push up è sconsigliato perché le spinge verso l’alto con effetto esplosivo ma la prima volta che Vi inchinate a raccogliere le margherite in un prato, le Vostre tettone si ribalteranno come la sabbia da un cassone di un camion. Sono tette difficili da accontentare e contenere ma sono le più acclamate e strapazzate. Il tipo “kiwi” è il modello più distribuito, può stare in qualsiasi reggiseno senza problemi, è l’utilitaria delle tette, accontenta tutte. Ma proprio per questo motivo è spesso oggetto di modifiche dimensionali. Taroccare questo tipo di tette è semplicissimo, Uno dei metodi più diffusi nel passato era imbottire il reggiseno di cotone, ora esistono i pesciolini al silicone o all’olio che debitamente infilati nelle coppe PAF aumentano di una taglia i 2 kiwi. Si raccomanda di non usare il fai da te riempendo i sacchetti ecologici del Carrefour con il FRIOL nel caso si volesse triplicare la taglia in quanto sono biodegradabili. Il tipo “mirtilli” è un modello che non necessita di alcun reggiseno ma di tanto buon umore per non farlo diventare un problema. Ha comunque molti lati positivi che non vanno sottovalutati .Ad 80 anni le tette saranno sempre al loro posto e non caracollate ad altezza ombelico. Come le orecchie del cocker. La possibilità di indossare vestiti con profonda scollatura davanti e dietro senza che si veda l'inestetica bardatura, correre la maratona di New York senza imbrigliarle in reggiseni da robocop, fare il topless senza scandalizzare nessuno. Il luogo meno sicuro per le tette è il reggiseno a balconcino. Compattate come l’immondizia in una discarica prima o poi saltano fuori curiose dal loro nido di pizzo chantelle e solo la mano veloce e allenata della proprietaria può riportarle al loro posto non prima di averle schiaffeggiate per la loro impudenza. Ci sono una gran varietà di tette ma mai nessuna che soddisfi in pieno noi donne, perché: “le tette della vicina sono sempre più belle”. Anna Wood



Tutta colpa della Maestra svolgimento.blogspot.it


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